Libri - Dehoniane

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Libri - Dehoniane
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30/11/2012
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EDB 50 anni col Concilio
IL CONCILIO VATICANO II
quindicinale di attualità e documenti
2012
EDIZIONE DEL CINQUANTESIMO
POSTFAZIONE DI CHRISTOPH THEOBALD
pp. 1940 - € 69,00
20
16
A CURA DI MARCO VERGOTTINI
PERLE DEL CONCILIO
DAL TESORO DEL VATICANO II
INTRODUZIONE DI CARLO MARIA MARTINI E MARCO VERGOTTINI
Attualità
pp. 440 - € 20,00
FILIPPO RIZZI
QUELLI CHE FECERO IL CONCILIO
INTERVISTE E TESTIMONIANZE
pp. 128 - € 9,90
GERARDO CARDAROPOLI
IL CONCILIO VATICANO II
649
652
657
665
705
Politica in Italia
Il vecchio e il vuoto
Obama 2012: perdono i vescovi
Il sinodo e l’evangelizzazione
Internet in monastero
Studio del Mese
Il Sud del Concilio
Congresso di Porto Alegre: un bilancio
della teologia della liberazione 40 anni dopo
L’EVENTO, I DOCUMENTI, LE INTERPRETAZIONI
NUOVA EDIZIONE
pp. 160 - € 13,00
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Anno LVII - N. 1133 - 15 novembre 2012 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione
e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”
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quindicinale di attualità e documenti
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UMBERTO MAZZONE
A
ttualità
L’Ottantanove è lontano
15.11.2012 - n. 20 (1133)
Caro lettore,
649 (G. Brunelli)
presentandole questo nuovo numero de
Il Regno – attualità la invitiamo
ad accompagnarci anche nei prossimi
mesi nel nostro lavoro d’informazione
e ricerca. Le riconfermiamo, da parte
nostra, il desiderio e l’impegno di
accompagnare ciascuno di voi in questo anno, offrendo uno sguardo il più
possibile documentato e incisivo sugli
avvenimenti che costruiscono il cammino della Chiesa nella storia, un’interpretazione dell’attualità alla luce della
fede, un aiuto alla formazione di una
coscienza cristiana e responsabile. A
ciascuno di voi chiediamo ancora una
volta di esserci, rinnovando o sottoscrivendo l’abbonamento, perché la rivista
la costruiamo insieme.
R
DAVIDE CALDIROLA
ANTONIO TORRESIN
I verbi
del prete
Forme dello stile presbiterale
V
erbi come «predicare», «benedire»
e «ascoltare» accompagnano sempre i gesti e le azioni dei preti, dando
così forma al loro stile presbiterale. In
questo libro i due autori, parroci a Milano, ci restituiscono frammenti di vita
e spunti di riflessione, interrogandosi
sulla qualità evangelica del loro ministero.
«CAMMINI DI CHIESA»
www.dehoniane.it
pp. 160 - € 11,50
Via Nosadella, 6
40123 Bologna
Tel. 051 4290011
Fax 051 4290099
Italia – Politica: il vecchio e il vuoto
{ Dalla scomposizione del centrodestra alle primarie del PD }
652 (M. Faggioli)
USA – Elezioni presidenziali:
Obama 2012
{ Un amaro risveglio per i vescovi }
656 (G. Mocellin)
Benedetto XVI – Concistoro
L’equilibrio mantenuto
657 (L. Bressan)
Chiesa cattolica – XIII Sinodo:
rinascere dall’alto
{ I temi e il dibattito }
658 (G. B.)
Sinodo dei vescovi
Primi passi
661 (D. Sala)
Chiesa d’Inghilterra
Nuovo leader, nuova crisi
662 (D. S.)
Serbia-Croazia – Cattolici e ortodossi
Di nuovo nemici
662 (D. S.)
Italia – Evangelici
Nello spazio pubblico
663 (M. B.)
Santa Sede – Lefebvriani
Attendismi e doppi binari
664 (M. B.)
Santa Sede – Legionari
Ridefiniti: vertici e carisma
665 (I. Jonveaux)
Monachesimo – Media digitali:
la rete nel chiostro…
{ …e il chiostro nella rete }
669 (M. Gronchi)
Psicanalisi – Teologia:
la parola fatta silenzio
{ Trascendenza e incarnazione }
671 (C. Manenti)
Italia – Architettura sacra
Sulle chiese del Concilio
672 (L. Berzano)
Italia – Religione popolare:
i nuovi pellegrini
{ Classe media, prevalenza dei sensi }
Libri del mese
675 (I. Illich)
Con gli occhi aperti sulla vita
{ Ricordando I. Illich e R. Fox }
681
694 (Caritas italiana)
P. Beccegato, W. Nanni, F. Strazzari,
Mercati di guerra
695 (G. Matti)
Italia – Migrazioni:
andata e ritorno
{ Migranti: il dossier statistico }
697 (M.C. Giorda)
Egitto – Chiesa copta:
Tawadros, il nuovo papa
{ Dopo Shenouda e dopo Moubarak }
699 (M.E. G.)
Africa del Nord – CERNA
Nel medesimo crocevia
700 (M.E. Gandolfi)
Africa – Rep. dem. del Congo
Ancora in guerra
701 (M. Castagnaro)
Guatemala – Chiesa cattolica
Una svolta autoritaria
701 (M. C.)
Nicaragua – Chiesa cattolica
Astensionismo e democrazia
702 (A. Speciale)
Filippine – Fronte islamico
Verso la pace a Mindanao
703 (D. Sala)
704 (L. Accattoli)
«OGGI E DOMANI»
Agenda vaticana
pp. 192 - € 15,00
Studio del mese
{ Teologia della liberazione
e Vaticano II }
705 (M. Matté, F. Strazzari)
Il Sud del Concilio
707 (D. S.)
Teologia della liberazione
Sulla linea del tempo
710 (M. Matté, F. Strazzari)
A colloquio con i protagonisti
Roma-Brasile, domani
713 (M.A. Bazzocchi)
Sul dolore e sull’amore:
se il male ha principio
{ «Il tempo è un dio breve»,
romanzo di M. Veladiano }
715 (T. Subini)
Ferite di ogni giorno
{ «Amour», film di M. Haneke }
717 (P. Stefani)
Parole delle religioni
Segnalazioni
693 (P. Stefani)
Il grigio e il tiepido
719 (L. Accattoli)
693 (M.E. G.)
«Benedicimi». La benedizione
come liturgia del cristiano comune
Nuovo Testamento e Salmi.
Cinese - italiano
PRESENTAZIONE DI PAOLO PRODI
Diario ecumenico
Schede (a cura di M.E. Gandolfi)
R. Etchegaray,
L’uomo a che prezzo?
Chiese e società da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI
Io non mi vergogno del Vangelo
Colophon a p. 718
EDB
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quindicinale di attualità e documenti
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UMBERTO MAZZONE
A
ttualità
L’Ottantanove è lontano
15.11.2012 - n. 20 (1133)
Caro lettore,
649 (G. Brunelli)
presentandole questo nuovo numero de
Il Regno – attualità la invitiamo
ad accompagnarci anche nei prossimi
mesi nel nostro lavoro d’informazione
e ricerca. Le riconfermiamo, da parte
nostra, il desiderio e l’impegno di
accompagnare ciascuno di voi in questo anno, offrendo uno sguardo il più
possibile documentato e incisivo sugli
avvenimenti che costruiscono il cammino della Chiesa nella storia, un’interpretazione dell’attualità alla luce della
fede, un aiuto alla formazione di una
coscienza cristiana e responsabile. A
ciascuno di voi chiediamo ancora una
volta di esserci, rinnovando o sottoscrivendo l’abbonamento, perché la rivista
la costruiamo insieme.
R
DAVIDE CALDIROLA
ANTONIO TORRESIN
I verbi
del prete
Forme dello stile presbiterale
V
erbi come «predicare», «benedire»
e «ascoltare» accompagnano sempre i gesti e le azioni dei preti, dando
così forma al loro stile presbiterale. In
questo libro i due autori, parroci a Milano, ci restituiscono frammenti di vita
e spunti di riflessione, interrogandosi
sulla qualità evangelica del loro ministero.
«CAMMINI DI CHIESA»
www.dehoniane.it
pp. 160 - € 11,50
Via Nosadella, 6
40123 Bologna
Tel. 051 4290011
Fax 051 4290099
Italia – Politica: il vecchio e il vuoto
{ Dalla scomposizione del centrodestra alle primarie del PD }
652 (M. Faggioli)
USA – Elezioni presidenziali:
Obama 2012
{ Un amaro risveglio per i vescovi }
656 (G. Mocellin)
Benedetto XVI – Concistoro
L’equilibrio mantenuto
657 (L. Bressan)
Chiesa cattolica – XIII Sinodo:
rinascere dall’alto
{ I temi e il dibattito }
658 (G. B.)
Sinodo dei vescovi
Primi passi
661 (D. Sala)
Chiesa d’Inghilterra
Nuovo leader, nuova crisi
662 (D. S.)
Serbia-Croazia – Cattolici e ortodossi
Di nuovo nemici
662 (D. S.)
Italia – Evangelici
Nello spazio pubblico
663 (M. B.)
Santa Sede – Lefebvriani
Attendismi e doppi binari
664 (M. B.)
Santa Sede – Legionari
Ridefiniti: vertici e carisma
665 (I. Jonveaux)
Monachesimo – Media digitali:
la rete nel chiostro…
{ …e il chiostro nella rete }
669 (M. Gronchi)
Psicanalisi – Teologia:
la parola fatta silenzio
{ Trascendenza e incarnazione }
671 (C. Manenti)
Italia – Architettura sacra
Sulle chiese del Concilio
672 (L. Berzano)
Italia – Religione popolare:
i nuovi pellegrini
{ Classe media, prevalenza dei sensi }
Libri del mese
675 (I. Illich)
Con gli occhi aperti sulla vita
{ Ricordando I. Illich e R. Fox }
681
694 (Caritas italiana)
P. Beccegato, W. Nanni, F. Strazzari,
Mercati di guerra
695 (G. Matti)
Italia – Migrazioni:
andata e ritorno
{ Migranti: il dossier statistico }
697 (M.C. Giorda)
Egitto – Chiesa copta:
Tawadros, il nuovo papa
{ Dopo Shenouda e dopo Moubarak }
699 (M.E. G.)
Africa del Nord – CERNA
Nel medesimo crocevia
700 (M.E. Gandolfi)
Africa – Rep. dem. del Congo
Ancora in guerra
701 (M. Castagnaro)
Guatemala – Chiesa cattolica
Una svolta autoritaria
701 (M. C.)
Nicaragua – Chiesa cattolica
Astensionismo e democrazia
702 (A. Speciale)
Filippine – Fronte islamico
Verso la pace a Mindanao
703 (D. Sala)
704 (L. Accattoli)
«OGGI E DOMANI»
Agenda vaticana
pp. 192 - € 15,00
Studio del mese
{ Teologia della liberazione
e Vaticano II }
705 (M. Matté, F. Strazzari)
Il Sud del Concilio
707 (D. S.)
Teologia della liberazione
Sulla linea del tempo
710 (M. Matté, F. Strazzari)
A colloquio con i protagonisti
Roma-Brasile, domani
713 (M.A. Bazzocchi)
Sul dolore e sull’amore:
se il male ha principio
{ «Il tempo è un dio breve»,
romanzo di M. Veladiano }
715 (T. Subini)
Ferite di ogni giorno
{ «Amour», film di M. Haneke }
717 (P. Stefani)
Parole delle religioni
Segnalazioni
693 (P. Stefani)
Il grigio e il tiepido
719 (L. Accattoli)
693 (M.E. G.)
«Benedicimi». La benedizione
come liturgia del cristiano comune
Nuovo Testamento e Salmi.
Cinese - italiano
PRESENTAZIONE DI PAOLO PRODI
Diario ecumenico
Schede (a cura di M.E. Gandolfi)
R. Etchegaray,
L’uomo a che prezzo?
Chiese e società da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI
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Politica
I TA L I A
i
l vecchio e il vuoto
E
ra il 2011, anno 150°
della nostra unità nazionale, l’anno nel quale il sistema politico italiano ha
fatto naufragio. Tentare
di descrivere la situazione
politica italiana, a un anno dal fallimento
politico del governo Berlusconi e dopo un
anno di governo presidenziale guidato
dal prof. Monti, è ancora compito difficile. Molto cose sono accadute da allora.
La grande recessione e la crisi finanziaria
non si sono placate. La crisi politica e
istituzionale è irrisolta.
Uscire dallo stato d’eccezione
Siamo stati salvati da quel che c’è di
Unione Europea, perché la nostra fine
avrebbe trascinato con sé l’intero sistema. Per questo il tentativo di salvataggio dettatoci dall’esterno, una volta
dichiarato nel novembre del 2011, a
Bruxelles, il fallimento berlusconiano,
ha seguito una via eterodossa su un
piano istituzionale. La nostra era ed è
una democrazia in stato d’eccezione.
Non c’era tempo per elezioni politiche o
altre soluzioni parlamentari. Il governo
Berlusconi si è dimesso sulla sfiducia
della Germania, degli Stati Uniti e dei
mercati finanziari, non su un voto parlamentare. Il Quirinale ha imposto un
suo governo d’emergenza nazionale, appoggiato in Parlamento dai partiti principali dell’ex maggioranza (Popolo della
libertà – PDL) e dell’ex opposizione (Partito democratico – PD, Unione democratica di centro – UDC) per l’impossibilità di formare un qualsiasi governo
politico.
Il nuovo governo ha deciso nel primo
Dalla scomposizione del centro-destra
alle primarie del PD
mese di vita un provvedimento di peso,
come la riforma delle pensioni, poi ha
proceduto a qualche taglio più o meno lineare sul capitolo della spesa pubblica
(sanità, scuola, pubblico impiego) e ha
aumentato le imposte (dirette e indirette).
Per il resto, i provvedimenti governativi
sono stati di minor peso o non sono ancora approdati a un voto parlamentare.
Vedremo cosa produrranno le ultime settimane di legislatura. Ma di certo, dei cosiddetti «compiti a casa» imposti dall’Europa, il governo Monti ne ha fatti più
o meno la metà.
Un «blocco politico-amministrativogiudiziario», come ha osservato Panebianco, tiene in scacco il paese e impedisce quelle «riforme radicali» di cui esso ha
bisogno e che ruotano tutte attorno alla
ridefinizione del sistema pubblico (regioni, sanità, giustizia civile) che grava
sulla società invece di sostenerla, nonché
alle conseguenti (o antecedenti) riforme
costituzionali.
Se un governo che ha agito in stato
d’eccezione, con la gran parte dei media
a favore e il diretto coinvolgimento dell’ultima istituzione rimasta in piedi in
questo paese, la Presidenza della Repubblica, è riuscito a produrre poco, c’è da
chiedersi che cosa potrà produrre il prossimo, in condizioni non certamente migliori.
La questione della crisi economico-finanziaria non riguarda evidentemente
solo i temi specifici della crisi, l’epifenomeno, ma attiene più ampiamente, soprattutto nel nostro paese, a una crisi di
legittimità delle nostre istituzioni. Qualcosa di ciclico nella nostra storia. E quello
che un governo tecnico non può fare, e
non ha fatto, è di riportare il paese dal
piano inclinato della sfiducia dei cittadini
verso le istituzioni pubbliche, del discredito dei ceti dirigenti e della complessiva
delegittimazione della politica e dei suoi
soggetti al piano retto di una nuova legittimità.
Quella che viene rubricata come antipolitica e che si è in parte partitizzata nel
Movimento 5 Stelle di Grillo, che nelle
elezioni regionali siciliane ha ottenuto il
15% e nei sondaggi attuali è dato al 18%,
è in realtà una profonda, ancorché scomposta, domanda di politica, rispetto alla
quale l’offerta degli attuali soggetti politici
risulta inadeguata: nessuno di essi è stato
in grado di proporre un progetto per il
paese.
Per questo serve la politica. Ma una
politica nuovamente credibile e autorevole. La combinazione drammatica della
recessione economica internazionale e
della crisi politico-istituzionale evidenzia
assai bene la connessione tra i due ambiti:
se non si interviene sul piano di una profonda ristrutturazione del sistema pubblico, attraverso una profonda ristrutturazione del sistema politico, ci attendono
solo politiche recessive e una dinamica sociale antidemocratica: più tagli e più tasse,
meno società e più disuguaglianze, meno
sicurezza e meno investimenti, meno democrazia.
Non avere voluto una coerente riforma elettorale in senso maggioritario
(qui la responsabilità è di tutte le istituzioni, non solo dei partiti) fa oggi la differenza in tema di stabilità e governabilità.
Presente e futura. Attorcigliarsi attorno a
un Monti assai poco politico è solo il segno del procedere della crisi.
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Repubblica uno e due
L’idea di fondo insita nei referendum
dei primi anni Novanta conteneva in sé
l’esigenza di un cambio dei modelli elettorali per determinare la ridefinizione del
sistema politico e garantire la governabilità. Evocava cioè il tema della ristrutturazione del sistema politico. Il fallimento
della prima repubblica, incentrata su uno
sviluppo abnorme della partitocrazia
(cioè della dilatazione della rendita politica dei partiti e della loro occupazione
della società), e sulla conseguente stabile
instabilità degli esecutivi, aveva determinato l’esplosione del debito pubblico fino
alla sua insostenibilità e al rischio di fallimento dello stato.
La seconda repubblica avrebbe dovuto incidere su quei mali divenuti strutturali, agendo sul rafforzamento del governo e sulla liberazione della società
dall’occupazione e dai vincoli della politica. Non è riuscita a farlo: per incompiutezza delle riforme istituzionali e per
fallimento della ristrutturazione politica.
Nessuna riforma in grado di stabilizzare il nuovo corso è stata fatta. Basterà ricordare il fallimento della Commissione
bicamerale, presieduta da D’Alema.
Anzi, i partiti si sono rifinanziati surrettiziamente, nonostante i referendum vinti
dai cittadini, attraverso regolamenti parlamentari e leggi ordinarie. Le modifiche
costituzionali introdotte (del Titolo V)
hanno aggravato disfunzionalità e costi
dell’amministrazione pubblica, aumentando in particolare la spesa delle regioni.
Molte cose hanno condizionato anche
dal lato politico. In primo luogo l’anomalia berlusconiana. Una creazione politica formidabile, quella che Berlusconi
ha posto in essere nel 1993-94, ridefinendo il campo elettorale del centro-destra in chiave post-fascista e allargando il
bacino elettorale che era stato del pentapartito. Ma quello schieramento non è
mai riuscito a produrre una visione, né a
essere un modello politico liberale, né a
operare riforme coerenti e l’intera vicenda è tristemente finita avviluppata in
un mix di populismo, scontri istituzionali, conflitti di interesse e udienze in tribunale.
Poi c’è la contraddizione leghista. Nel
vuoto politico determinatosi col crollo
della prima repubblica, il movimento di
Bossi ha cercato di dare rappresentanza a
legittimi interessi locali, ma lo ha fatto in
forme puramente rivendicative, accom-
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pagnandole con una cultura localistica
dai tratti persino razzisti, tematizzando
una ridistribuzione del potere tra centro
e periferia non sostenuta da una visione
istituzionale complessiva dello stato nazionale. Per beffarda ironia il fondatore
della Lega è poi finito coinvolto in una dinamica familistica, e il partito in episodi
di corruzione, fenomeni che la sociologia
avrebbe tradizionalmente attribuito a
tratti idealtipici del nostro Meridione,
piuttosto che al Lombardo-Veneto.
Ma ha soprattutto pesato il mancato
superamento della stagione precedente
da parte dei soggetti politici che provenivano dai partiti di massa. Il fallimento
della seconda repubblica è in gran parte
interno al fallimento dell’uscita da quella
stagione. Su un piano politico, pur nel
parziale passaggio a una nuova generazione, gli ex esponenti della prima repubblica (democristiani e comunisti) non
sono mai davvero diventati post: coloro
che provenivano dal Partito comunista
italiano (PCI) per continuità della forma
organizzativa del partito, alla quale
hanno sacrificato ogni ipotesi politica di
rinnovamento del paese; mentre coloro
che provenivano dalla Democrazia cristiana (DC) per frammentazione di storie.
Degli ex DC, quanti sono approdati al
campo del centro-sinistra hanno velocemente rinunciato a determinare la fuoriuscita culturale e politica dei loro nuovi
compagni di strada dalla loro stagione
precedente. Solo gli ex popolari si sono
sciolti e fusi nel nuovo contenitore. Non
gli ex comunisti, che hanno proposto il
vecchio contenitore come luogo del
nuovo partito. Ai nuovi arrivati sono state
offerte quote rilevanti, persino sovrastimate, di posti. Con ciò essi hanno rinunciato alla loro missione storica, consentendo alla vecchia visione egemonica
della sinistra di riprodursi e finendo col
determinare la loro stessa condizione di
subalternità. Quando si dice di non mettere il vino nuovo in botti vecchie!
Quanti invece sono andati inizialmente nel centro-destra hanno sperimentato un percorso analogo, ma rimanendo uniti. Non sono stati in grado di
condizionare politicamente Berlusconi,
nonostante l’appoggio iniziale delle gerarchie ecclesiastiche, poi hanno pensato
più vantaggioso un solitario ritorno al
centro. Una manovra che li ha parzialmente conservati, anche se con numeri
residuali, ma che ha altresì impedito loro
di svolgere un’azione politica significativa su un piano generale. Se i primi
hanno sperperato, i secondi non hanno
investito la loro ricchezza.
Consumata la frattura con le culture
storiche di riferimento, o riproposto il legame in forme meramente organizzative,
i soggetti politici non sono stati in grado
di rielaborare una visione di cultura politica dell’Italia e del suo futuro all’altezza
del compito che li attendeva.
La vicenda degli ultimi vent’anni non
ci ha dunque liberato della partitocrazia,
che in forme nuove si è riprodotta, facendosi nuovamente protagonista del sistema di corruzione (basterà ricordare la
crisi gravissima di regioni come la Sicilia,
il Lazio e la Lombardia, o gli innumerevoli protagonisti di indagini provenienti
dalla pubblica amministrazione o da
aziende più o meno statali).
E ciò, nonostante la seconda repubblica avesse posto le premesse per vincere
la scommessa, avendo prodotto un’idea di
superamento della prima.
Di quella stagione che cosa rimane in
positivo? Tre cose: il sistema di elezione
diretta dei sindaci (il solo sistema che
regge le comunità locali); una propensione culturale al modello competitivo bipolare (adesione al sistema delle primarie
e attenzione mediatica al modello americano); infine, sul piano del governo, l’aggancio dell’Italia al sistema Euro.
Ricomincio da tre
Quanto alla terza repubblica, che sin
qui è stata evocata nelle intenzioni di un
neo-movimento («Verso la Terza Repubblica» appunto), che raccoglie forze eterogenee, da Montezemolo al segretario
della CISL Bonanni, al fondatore della
Comunità di Sant’Egidio Riccardi, al presidente delle ACLI Olivero, non sembra
ancora nata. Una piccola formazione di
moderati neocentristi, di per sé, non risulta in grado di inverarla. Il nuovo movimento pare rappresentare una delle
forme della crisi in atto, piuttosto che la
definizione di un nuovo progetto politico.
Ad esempio, la partecipazione di Bonanni
in quanto segretario della CISL alla
nuova formazione finisce per affondare
definitivamente ogni ipotesi di autonomia del sindacato, vero manifesto dell’identità della CISL e sua funzione storica. In ogni caso, il nuovo movimento si
pensa come forza neocentrista e antibipolare, che auspica il ritorno al propor-
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zionale per poter rimanere in campo anche con un numero non eclatante di voti
(i sondaggi gli accreditano un 4-5%); vede
in Monti l’unico protagonista di riferimento per il governo della prossima legislatura; esprime, complessivamente, posizioni prossime se non sostanzialmente
identiche a quelle dell’UDC di Casini.
Il vero problema di una nuova fase
politica appartiene ancora alla costruzione delle due grandi aree politiche.
Il PDL che fu di Berlusconi si trova
oggi in una situazione drammatica. Bloccato, anzi tenuto prigioniero, dal suo
stesso fondatore-presidente.
A fine ottobre, nel volgere di due
giorni, Berlusconi ha proposto al suo partito e al futuro degli italiani due linee politiche opposte. Il 24 ottobre, con un comunicato scritto, ha dichiarato la propria
disponibilità a lasciare la leadership del
PDL e del centro-destra; ha proposto una
linea europeista, appoggiando la prospettiva delineata dal governo Monti; ha
indicato nella necessità di un rassemblement dell’area di centro-destra, posto
sotto le insegne del Partito popolare europeo, la strada per contrapporsi a un
centro-sinistra sempre più incline alla
forma del vecchio progressismo.
Il 26, all’indomani della sua condanna
in primo grado a quattro anni di reclusione nell’ambito del processo Mediaset,
Berlusconi ha rovesciato la linea politica
precedente: ha affermato di rimanere in
campo, dedicandosi prioritariamente alla
lotta alla «magistratocrazia»; ha delegittimato il governo Monti definendolo
come il segno della malattia e non la cura;
ha rinviato l’ipotesi del Partito popolare
europeo sezione italiana a data da destinarsi. Delle due anime del cavaliere prevale sempre quella più greve, che poi corrisponde ai suoi interessi.
In questo frangente, il segretario Alfano ha avuto per un momento in mano
il suo destino di leader e il destino politico
del centro-destra. Avrebbe dovuto prendere le distanze da Berlusconi, mantenere fermo il tema delle primarie, formalmente già decise dal partito, e
contrastare la schizofrenia di una linea
che somiglia più alla dissoluzione di una
storia che a un nuovo inizio. Ma Alfano
non ha avuto sufficiente forza e determinazione. Da segretario del PDL, è ritornato a essere segretario del partito di Berlusconi; ma la fine di Berlusconi,
sostanzialmente tragica, rischia di trasci-
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nare con sé quel che rimane del partito e
dell’intero centro-destra, consegnando il
paese all’instabilità e infragilendone ulteriormente la democrazia.
Poiché il problema della crisi del sistema politico italiano si è posto proprio
nello spazio del centro-destra, con l’esplosione della DC e del pentapartito, è in
quello spazio che occorre agire. Legare il
destino del partito al destino personale di
Berlusconi determina l’impossibilità di
una leadership vera di tutto il centro-destra da contrapporre a Bersani e al centro-sinistra alle prossime elezioni, consegnando il centro-destra al disastro e il
paese a una crisi ancora più radicale.
Le magnifiche sor ti
e «progressiste» del PD
Il PD vive giorni felici. La prova delle
primarie imposta da Renzi, ma – occorre
dirlo – accettata e salvaguardata da Bersani, di fronte all’intero gruppo dirigente
del partito che non la voleva, ha ridato
una qualche legittimazione al partito e recuperato alla partecipazione una quota di
elettori di centro-sinistra. Tre milioni di
partecipanti non sono molti in sé, ma
moltissimi se si pensa da dove si ripartiva.
Ma è l’esito del primo turno che ha reso
verosimili e utili le primarie del PD, anche
in mancanza di una legge elettorale coerente al modello delle primarie. Il combinato disposto tra la mancata vittoria di
Bersani (45%) al primo turno e il risultato
di Renzi (36%) mette capo a un confronto effettivo e nuovo dentro il PD e nel
centro-sinistra. Alle primarie del 25 novembre si sono scontrate due visioni della
politica, del centro-sinistra e del PD.
Il segretario Bersani rappresenta l’ultimo tentativo di rinnovamento nella conservazione di una nomenclatura (composta da ex PCI e da ex Popolari) e di una
forma partito (sostanzialmente erede del
PCI) che ha perduto la sfida della riforma
del paese dopo il 1989. Egli ha una visione socialdemocratica della politica e un
approccio pragmatico da un punto di vista amministrativo. È un leader credibile:
ha una personalità autentica.
Le primarie e lo scontro con Renzi lo
hanno rafforzato rispetto al gruppo dirigente e a D’Alema in particolare. Anzi, le
resistenze scomposte alle primarie hanno
di per sé contribuito a mettere fuorigioco
una parte del vecchio gruppo dirigente
(da Veltroni alla Bindi). Tuttavia, la sua
vittoria condiziona non poco la defini-
zione politica e la figura della coalizione
di centro-sinistra. L’appoggio inevitabile
di Vendola e la necessità di tenere unito
il sindacato di riferimento (la CGIL) lo costringono nella vecchia figura politica del
«progressismo». La sua vittoria ne rafforza la leadership, ma ne segna e ne determina politicamente la linea. Ed è una
linea di ieri: andare uniti alle elezioni
come fronte progressista e allearsi dopo
con il centro di Casini.
Molto dipenderà dalla legge elettorale. Al PD sarebbe convenuto il ritorno
alla legge Mattarella, non avendo voluto
affrontare per tempo una riforma seria sul
modello semipresidenzialista piuttosto
che un «porcellum» qualsiasi, questo o un
altro che sia. Ma come è accaduto per le
primarie, il gruppo dirigente del PD ha
sempre puntato sulla conservazione del
partito in quanto partito, aggregando gli
alleati di turno, e non è stato in grado di
inserire il proprio legittimo interesse in
quello del paese.
Il sindaco Renzi è una figura nuova. È
di formazione cattolica, ma non è riconducibile a nessuna delle due storie: né a
quella comunista, né a quella democristiana. È il prodotto politico dell’elezione
diretta dei sindaci. Di qui gli deriva la
forza non velleitaria di sfidare nella nomenclatura del partito la forma stessa del
partito e provare a superarla dall’interno.
I risultati conseguiti nelle cosiddette zone
rosse confermano che egli ha misurato
una necessità reale e oggi condivisa dallo
stesso elettorato di centro-sinistra. È di
una generazione più giovane, ed è mosso
da un vitalismo nuovo.
Quanto sia in grado di indicare una linea politica all’altezza dei problemi del
paese rimane ancora un’incognita. Non è
detto che lo sia. Ma ha percorso con forza
la strada che ha intrapreso, ha avuto coraggio e determinazione, mostrando doti
di leadership. Un leader nascente, contemporaneo, non calante. Rimane aperto
l’interrogativo sul disegno complessivo,
che sembra ispirato più al modello democratico americano che a quello socialdemocratico tedesco.
Non sappiamo se e come verrà impostata e risolta la crisi aperta da Renzi
nel PD. Sappiamo del rischio che alle
prossime politiche il confronto – complice la legge elettorale – sia tra il vecchio
e il vuoto.
Gianfranco Brunelli
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Elezioni presidenziali
USA
o
bama 2012
Un amaro risveg lio per i vescovi
e la «destra religiosa»
B
arack Obama è stato rieletto alla presidenza degli
Stati Uniti d’America da
una maggioranza di elettori diversa da quella che lo
portò alla Casa Bianca quattro anni fa.
Nel gruppo di coloro che vengono annoverati, oggi, tra l’opposizione al presidente degli Stati Uniti ci sono anche i
vescovi guidati dal card. Dolan, che insieme al Partito repubblicano e alla «destra religiosa» americana sono i grandi
sconfitti delle elezioni del 6 novembre
2012.
I flussi elettorali mostrano somiglianze e differenze rispetto al 2008.
Obama ha raccolto poco più della metà
dei voti dei cattolici americani (il 50%
contro il 48% di Romney), e ha perso
quindi una quota percettibile di quel
54% dei voti dei cattolici che aveva ricevuto nel 2008. Obama ha perso ancora più voti tra i «cattolici bianchi»:
questa emorragia di voti è stata compensata solo parzialmente dal voto dei
«cattolici non bianchi» (afro-americani,
ispanici, asiatici). Obama ha raccolto
solo una piccola minoranza dei voti dei
«protestanti bianchi» (specialmente gli
evangelicals) e dei mormoni, ma ha
avuto la maggioranza dei voti provenienti da tutti gli altri gruppi religiosi
(musulmani ed ebrei, con questi ultimi
in leggero calo rispetto al 2008) e circa
il 70% di quelli degli elettori «non religiosi».
Il voto degli elettori religiosi ha seguito linee di faglia etniche o «razziali»,
non confessionali o religiose: i protestanti afro-americani hanno votato
Obama il doppio di quanto non lo ab-
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biano votato i protestanti bianchi; il
79% degli evangelicals bianchi ha votato Romney, un bianco la cui Chiesa
mormone è considerata da molte Chiese evangelicali una «setta» non cristiana.1 La Chiesa mormone ha superato un test importante: gli americani
non hanno considerato la fede di Romney un elemento rilevante per giudicare il candidato, anche grazie alla riluttanza dell’interessato a parlare in
pubblico della questione. Nel 1960 John
Kennedy aveva «privatizzato» il suo
cattolicesimo, ma dopo aver affrontato
la questione cattolica esplicitamente più
volte durante la campagna elettorale;
Romney non ne ha mai parlato in pubblico, e la Chiesa mormone si è tenuta
distante dalla pubblicità della campagna elettorale.
Uno scontro aspro:
tre i vincitori
La campagna elettorale per le presidenziali del 2012, lunga un anno e
mezzo, ha visto la Chiesa cattolica americana giocare un ruolo del tutto particolare. Nei due anni prima delle elezioni il confronto tra la Casa Bianca e la
Conferenza episcopale, guidata dall’arcivescovo di New York e neo-cardinale
Timothy Michael Dolan, ha assunto
toni aspri come non mai nella storia
americana. Dopo la stagione delle primarie repubblicane a lungo dominata
da un cattolico tradizionalista come
Il vescovo di Venice in Florida, mons. Frank Joseph Dewane, durante la manifestazione nazionale per la
libertà religiosa dell’8 giugno 2012.
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Distribuzione del voto secondo l’appartenenza religiosa ed etnica (elaborazione del Pew Research Center)
2000
Gore
Bush
%
%
TOTALE.
Protestanti/Altri cristiani
Protestanti bianchi/Altri cristiani
Rinati/evangelicali
Non evangelicali
Protestanti di colore/Altri cristiani
Cattolici
Cattolici bianchi
Cattolici ispanici
Ebrei
Altre fedi
Nessuna appartenenza
Mormoni
48
42
35
92
50
45
65
79
62
61
-
48
56
63
7
47
52
33
19
28
30
-
2004
Kerry Bush
%
%
48
40
32
21
44
86
47
43
65
74
74
67
19
51
59
67
79
55
13
52
56
33
25
23
31
80
2008
Obama McCain
%
%
53
45
34
26
44
94
54
47
72
78
73
75
-
46
54
65
73
55
4
45
52
26
21
22
23
-
Variazione
2012
votanti
Obama Romney
democratici
%
%
2008-2012
50
42
30
20
44
95
50
40
75
69
74
70
21
48
57
69
79
54
5
48
59
21
30
23
26
78
-3
-3
-4
-6
–
+1
-4
-7
+3
-9
+1
-5
-
Si noti che in questa tabella il termine «protestanti» si riferisce a coloro che agli exit poll si sono definiti «protestanti», «mormoni» o «altri cristiani»; tale
classificazione è quella che meglio si avvicina ai dati degli exit poll riportati immediatamente dopo le elezioni dalle fonti di informazione. Si noti anche
che alcune stime riguardanti il 2000, il 2004 e il 2008 differiscono leggermente dalle precedenti analisi del Pew Forum a causa di piccole modifiche nella
codificazione dei dati. Quanto alle fonti, le stime del 2004 sui cattolici ispanici provengono dagli exit poll statali aggregati effettuati dal National Election
Pool; altre stime provengono dagli exit poll nazionali effettuati dal Voter News Service / National Election Pool, mentre i dati del 2012 provengono da
NBCNews.com e dalla National Public Radio.
Rick Santorum, il panorama delle candidature presentava per la prima volta
due cattolici candidati alla presidenza:
Joe Biden, incarnazione del cattolicesimo americano vecchia scuola, e Paul
Ryan, della nuova leva dei cattolici militanti animati da un neo-conservatorismo mercatista che si è lasciato alle
spalle anche il «conservatorismo compassionevole» di George W. Bush.
Le elezioni del novembre 2012
hanno rappresentato la fase suprema
dello scontro maturato a partire dal
2010 tra i vescovi e Obama a causa
sulla legge di riforma sanitaria che contiene un «mandato», per tutti i datori di
lavoro, a fornire ai lavoratori polizze di
assicurazione che coprano i costi per
procedure mediche che la Chiesa cattolica considera immorali (nella fattispecie, aborto e contraccezione).
Su tale questione la Casa Bianca
aveva modificato la legge per venire incontro alle richieste dei vescovi circa la
particolare situazione degli enti religiosi
(comunità e monasteri); ma la Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati
Uniti (USCCB) non si è dichiarata soddisfatta e nella primavera del 2012 ha
lanciato una campagna per la difesa
della «libertà religiosa» in America.2
Questo confronto ha dominato l’atteg-
giamento dei vescovi per tutta la campagna elettorale, e ha incitato alcuni singoli vescovi a paragonare Obama a Hitler e Stalin quanto a odio per la Chiesa.
Intenzionata a non allargare lo sguardo
ad altre questioni, la USCCB si era limitata a ripubblicare alla fine del 2011
Faithful Citizenship,3 il documento del
2007 elaborato ancora durante l’era
Bush e pubblicato prima che iniziasse la
più grave crisi economica e sociale dai
tempi della «grande depressione».
In un editoriale pubblicato due
giorni prima delle elezioni, il National
Catholic Reporter era stato facile profeta: al termine di una campagna elettorale in cui hanno giocato un ruolochiave la «dottrina sociale cattolica» e le
sue diverse interpretazioni (quella democratica incentrata sulla giustizia sociale, e quella repubblicana sulle life issues e la libertà del mercato), i veri
vincitori del 2012 sono le suore, il same
sex marriage, e i latinos.4 Le suore americane, finite nel mirino dei repubblicani dopo che erano state oggetto di
un’indagine vaticana e di una censura
dei loro vescovi,5 hanno incarnato in
queste elezioni la tradizione di pensiero
e di azione cattolica che vede nello stato
e nel governo una forza essenziale per
riparare ai guasti del mercato.
Il matrimonio omosessuale ha vinto
per la prima volta tutti e quattro i referendum negli stati (Minnesota, Maryland, Washington e Maine) in cui si votava sulla questione, con la sconfitta
delle Chiese cattoliche che erano state
mobilitate e schierate dai loro vescovi in
comitati di azione politica diretta. I latinos, ignorati (se non disprezzati) dalla
campagna elettorale di Romney e
Ryan, hanno giocato un ruolo decisivo
negli Stati del Sud-est e del Sud-ovest,
dando a Obama vittorie cruciali.
Il caso dei latinos assume un’importanza particolare perché mostra la complessità di quello che si chiama facilmente
«voto cattolico»: sebbene socialmente
conservatori sui temi della famiglia e
della protezione della vita, i latinos non
sono single issue voters e scelgono sulle
questioni di giustizia sociale e a favore di
un governo garante del bene comune.
Due gli sconfit ti
I referendum votati in alcuni stati
aiutano a comprendere meglio la nuova
America, in cui la constituency bianca e
protestante del Partito repubblicano si
sta lentamente estinguendo sia dal
punto di vista religioso sia da quello etnico. I referedum sul matrimonio omosessuale fanno del 2012 un anno di
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svolta nella storia del movimento omosessuale in America; in Massachusetts il
referendum pro-eutanasia è stato sconfitto di misura; la California ha detto no
al ritorno della pena di morte; due stati
hanno legalizzato l’uso «ricreativo»
della marijuana; candidati anti-abortisti sono stati sconfitti nelle elezioni per
il Senato.
Questi risultati costituiscono una
sconfitta non solo dei vescovi cattolici,
ma anche della «destra religiosa» e delle
faith coalitions nate tra la fine degli anni
Settanta e l’inizio degli anni Ottanta.
Ma se la «destra religiosa», espressione
della ex maggioranza WASP,6 può incolpare della sconfitta la demografia
dei suoi attivisti, la Chiesa cattolica
americana non ha questo alibi. Una
volta il «Great Old Party» (GOP) repubblicano era il volto politico della
crisi culturale dell’evangelicalismo americano; oggi diversi osservatori pensano
che il disastro politico del GOP è anche
la crisi culturale e intellettuale dei nuovi
leader (chierici e laici) del cattolicesimo
americano.
In questi ultimi anni la gerarchia
americana ha dato incautamente e surrettiziamente copertura a un Partito repubblicano privo di un’anima, se non
quella della paura della fine della supremazia americana nel mondo e della
supremazia bianca in America: i messaggi pre-elettorali dei vescovi americani sono stati seguiti solo dai cattolici
bianchi. Non stupisce che l’appoggio
dato dai vescovi americani a Romney
(in alcuni casi in modo esplicito, come
per esempio ha fatto l’arcivescovo Chaput di Philadelphia)7 e a un cattolico
come Ryan abbia contribuito alla sconfitta elettorale, allontanando dal GOP
gli elettori non ideologizzati, le donne,
i giovani, le minoranze etniche: c’è da
chiedersi se questo allineamento tra vescovi e Partito repubblicano non incoraggi l’allontanamento di queste medesime fasce di popolazione anche dalle
Chiese cattoliche.
Di fronte all’allineamento di molti
vescovi americani all’ideologia antistato del Partito repubblicano invaso
dal Tea Party, e in seguito al ralliement
della Santa Sede alla USCCB sulle questioni politiche interne (dopo i cenni
d’intesa tra la Segreteria di stato e la
Casa Bianca del 2009),8 Obama e la
sua campagna si sono adattati tentando
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L’appoggio dato a Barack Obama dai vari gruppi religiosi
100%
75%
50%
25%
0%
nov.
gen.
mar.
mag.
lug.
set.
nov.
2011-2012
Protestanti evangelicali bianchi
Cattolici bianchi
Protestanti bianchi
Religiosamente non affiliati
Protestanti di colore
di conservare il loro elettorato cattolico, ma cercando anche un elettorato
molto più «secolare».
La demografia spiega parte di questo spostamento: ben un terzo di americani tra i 18 e i 22 anni oggi si dichiara
non religioso, e il futuro del paese si
prospetta ben più secolarizzato del suo
recente passato. La simbologia della religione civile americana resta, ma gli
interpreti e i contenuti cambiano. Un
altro motivo di questo spostamento di
Obama verso un elettorato più secolare è il disagio dei cattolici liberal nei
confronti delle politiche di sicurezza, in
particolare rispetto al regime di detenzione dei sospetti terroristi non processabili e alle esecuzioni extragiudiziali
per mezzo di droni.9
L’America più secolare
e la divisione dei cat tolici
Tra gli elementi che emergono da
queste elezioni del 2012 sui rapporti
tra Chiesa e politica in America, vi è
l’evidenza che la Chiesa non influenza
le appartenenze politiche, ma al contrario le appartenenze politiche influenzano le visioni e le esperienze di
Chiesa. Negli ultimi quarant’anni il si-
stema bipartitico americano e la posizione dei due partiti sull’aborto hanno
creato una Chiesa pericolosamente bipartitica. La questione dell’aborto è il richiamo identitario più importante, ma
non l’unico: nell’America della crisi
economica indotta dalla globalizzazione questioni di equità e solidarietà
sociale giocano oggi un ruolo maggiore
di venti o trent’anni fa. I «Catholic democrats» e i «cattolici repubblicani»
hanno stili devozionali diversi, ecclesiologie diverse, e molto diverse interpretazioni della dottrina sociale della
Chiesa.
La questione è resa più grave dal
fatto che la Chiesa pare soggetta, se non
inconsapevolmente fautrice, alla stessa
divisione dello spettro politico tra gruppi
etnici: i bianchi da una parte, e tutti gli
altri gruppi dall’altra. Pesa il silenzio dei
vescovi americani di fronte ai toni chiaramente razzisti di parte del paese, che
dal gennaio 2009 in poi ha tentato di delegittimare la presidenza Obama in vari
modi: accusandolo di essere un criptomusulmano, di mentire sul suo vero
luogo di nascita, di condurre il paese
verso il comunismo, e via di questo
passo.
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I due partiti hanno sfruttato e recepito opportunisticamente, sia nelle loro
politics che nelle loro policies, le questioni teologiche ed ecclesiali più drammatiche nella Chiesa in America oggi –
il gender e la «razza»: se il 6 novembre
2012 avessero votato solo i maschi bianchi, Romney sarebbe stato eletto presidente degli Stati Uniti a larghissima
maggioranza.
Gli Stati Uniti sono un paese in via di
secolarizzazione, in gran parte a causa
del declino della tradizione protestante:10
in un paese in cui la libertà ha assunto un
valore teologico legato alla religione civile, i frutti della secolarizzazione assumono tratti più brutali che altrove. La
tentazione di molti cattolici americani è
di denunciare la cosiddetta «state-dominated logic» e di ritirarsi in un universo
di tipo comunitarista, togliendo allo stato
e al governo la legittimità della tutela
del bene comune, in una sostanziale rimozione della visione di società e stato
offerta dal magistero della Chiesa e dal
concilio Vaticano II. Non è una tentazione che tocca solo alcuni ideologi: il
messaggio che viene dai vescovi americani di fronte alla radicalizzazione della
sfida del secolarismo in America sembra
sognare il ritorno a un perbenismo piccolo borghese stile anni Cinquanta.
Esemplari di questa cultura sono gli
instant books pubblicati negli ultimi mesi
dal card. Dolan e dal leader della Catholic League, Bill Donohue: un cattolicesimo che si appella a una tradizione
«liberale» ottocentesca, che dice di rifarsi a Lord Acton e a John Henry Newman, ma che è stato definito come «un
ibrido malconcepito di economia capitalistica e di benevolenza patriarcale che
si poggia su concezioni sorpassate di
ruoli di genere uomo/donna e di legge
C ’è un «piano B»?
La Conferenza episcopale, riunitasi
a Baltimora tra il 12 e il 15 novembre,
doveva rispondere all’inequivoca domanda posta, all’indomani del voto,
dal noto analista T.J. Reese: «I vescovi
hanno, sulla politica, un “piano B”?».12
L’assemblea ha avuto molta materia su
cui dibattere, e ha mostrato il proprio disorientamento di fronte non solo al mutare dello scenario politico americano,
ma anche di fronte alla crisi economica.
Dall’inizio del collasso finanziario nel
2008 la USCCB non aveva mai pubblicato nessun documento pastorale sul
tema della povertà e delle diseguaglianze
sociali in America. L’assemblea di Baltimora avrebbe dovuto sanare questa
mancanza, ma il documento elaborato
da una Commissione ad hoc (guidata
dall’arcivescovo Vigneron di Detroit,
l’epicentro della deindustrializzazione
in America) è stato respinto dai vescovi
per il voto contrario di 84 vescovi e 9
astenuti contro 134 voti positivi (era ri-
1
Cf., sul sito del Pew Forum on Religion and
Public Life (www.pewforum.org), l’analisi, datata 7.11.2012, «How the Faithful Voted».
2
Il testo del relativo documento La nostra
prima, più cara libertà, diffuso il 12.4.2012, in Regno-doc. 9,2012,297; cf. il sito web della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti
www.usccb.org alla sezione «Issues-and-action»,
aprendo la pagina «Religious liberty».
3
Con una Nota introduttiva del card.
Dolan: cf. Regno-doc. 19,2011,624 e Regno-att.
18,2011,581.
4
Cf. «This election season has three winners», editoriale del National Catholic Reporter,
5.11.2012, anche sul sito web ncronline.org.
5
Cf. «Religiose americane: dall’inchiesta all’intervento», in Regno-att. 8,2012,263; «Roma e le
teologhe», in Regno-att. 12,2012,378; «Lo spazio
del discernimento», in Regno-att. 16,2012,521; i
testi più rilevanti in Regno-doc. 9,2012,263 e
15,2012,458ss.463ss
6
Acronimo di White Anglo-Saxon Protestant,
ovvero di «razza» bianca, di origine anglosassone
e di fede protestante.
7
Cf. C.J. CHAPUT, «Figthing for Religious
Freedom», column comparsa il 16.11.2012 nella sezione «On the square» del sito web di First Things,
mensile dell’Institute on Religion and Public Life
fondato da R.J. Neuhaus: www.firstthings.com.
8
Cf. F.X. ROCCA, «Four years later, Vatican
takes a different approach toward Obama», in
Catholic News Service, 9.11.2012.
9
Cf. «Obama’s Scandal», editoriale di America, 22.10.2012.
10
Lo si vede anche dalla composizione della
classe politica a Washington: il numero dei parla-
di natura. Incantati sia dal Medioevo sia
dal mito della domesticità americana
nella sua versione da villetta suburbana,
i cattolici conservatori americani sono
del tutto moderni, ma continuano ad
accusare la modernità senzadio».11
L’idea di società, di ruoli di genere,
di America proposta da Romney e dal
suo candidato alla vicepresidenza, il
cattolico Ryan, erano il sogno di un individualismo anti-stato addolcito dalla
promessa di ritornare all’America precedente i Sixties. Quanto proposto dai
vescovi americani e dai loro corifei non
ha fatto altro, in queste ultime elezioni,
che dare una copertura morale a questa
ideologia repubblicana nutrita di nostalgia.
chiesta una maggioranza qualificata dei
due terzi).
La bocciatura di un documento presentato all’assemblea plenaria è un fatto
assai raro nella storia della USCCB, se
solo si pensa alla compattezza mostrata
dai vescovi in anni passati anche di
fronte a documenti e risoluzioni controverse (come nel 2009 sulla nuova traduzione inglese del Messale). Il documento
di 14 pagine dedicava attenzione scarsa
o nulla alla tradizione del magistero sociale della Chiesa sull’economia (tra le
assenze cospicue, l’enciclica di Benedetto
XVI Caritas in veritate) e non menzionava neppure di sfuggita lo storico documento dei vescovi americani del 1986,
Giustizia economica per tutti.13
Dal dibattito è emersa una spaccatura tra i vescovi più anziani e gli emeriti da una parte, preoccupati di tenere
in vita una tradizione magisteriale impegnata a denunciare le ingiustizie sociali e che attribuisce allo stato e al governo ruoli essenziali nel moderare le
storture del libero mercato, e i vescovi
più giovani e conservatori dall’altra
parte, convinti che non spetti ai vescovi
parlare di questioni sociali e che debba
essere la carità privata, e non il governo,
a occuparsi della povertà in America.
L’assemblea dei vescovi non è quindi
riuscita ad approvare un documento
pastorale sull’economia. Il fatto che alla
stessa assemblea i vescovi abbiano dato
la loro approvazione alla causa di beatificazione di Dorothy Day, avvocata
dei poveri e cattolica anarchica, è solo
apparentemente una contraddizione
con l’evidente paralisi culturale dell’episcopato americano di fronte agli
Stati Uniti di inizio secolo XXI.
Massimo Faggioli
mentari protestanti al Congresso è sceso dal 75% del
1961 al 56% di oggi; attualmente il 30% dei parlamentari è cattolico (91 tra deputati e senatori per i
democratici, 70 per i repubblicani) contro il 19% del
1961: cf., ancora sul sito web del Pew Forum
www.pewforum.org, l’analisi, datata 16.11.2012,
«Government Faith on the Hill», sulla «composizione religiosa» del 113° Congresso degli Stati Uniti.
11
Cf. E. MCCARRAHER, «Morbid Symptoms», in Commonweal 23.11.2012.
12
Il commento è apparso sul sito web del National Catholic Reporter, www.ncronline.org,
l’11.11.2012.
13
Giustizia economica per tutti. L’insegnamento sociale cattolico e l’economia degli Stati
Uniti, apparso in traduzione italiana su Regnodoc. 3,1987,66ss e in un volumetto omonimo
(EDB, Bologna 1987, pp. 240).
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ENEDETTO XVI
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Pagina 656
- Concistoro
L’
equilibrio mantenuto
I
nuovi cardinali, «che rappresentano varie diocesi del mondo,
sono da oggi aggregati, a titolo tutto speciale, alla Chiesa di
Roma e rafforzano così i legami spirituali che uniscono la
Chiesa intera, vivificata da Cristo e stretta attorno al Successore
di Pietro. Nello stesso tempo, il rito odierno esprime il supremo
valore della fedeltà. Infatti, nel giuramento che tra poco voi farete, venerati fratelli, stanno scritte parole cariche di profondo significato spirituale ed ecclesiale: “Prometto e giuro di rimanere, da
ora e per sempre finché avrò vita, fedele a Cristo e al suo Vangelo, costantemente obbediente alla santa apostolica Chiesa romana”. E nel ricevere la berretta rossa sentirete ricordarvi che essa
indica “che dovete essere pronti a comportarvi con fortezza, fino
all’effusione del sangue, per l’incremento della fede cristiana, per
la pace e la tranquillità del popolo di Dio”. Mentre la consegna dell’anello sarà accompagnata dal monito: “Sappi che con l’amore del
Principe degli apostoli si rafforza il tuo amore verso la Chiesa”».
Pronunciando queste parole, sabato 24 novembre scorso, a
un mese esatto dall’annuncio, Benedetto XVI ha tenuto il quinto
Concistoro ordinario pubblico del suo pontificato, per la creazione di 6 nuovi cardinali.
Uno solo di loro è un arcivescovo impegnato nel servizio di
curia: si tratta dello statunitense mons. James Michael Harvey, che
lascia l’incarico di prefetto della Casa pontificia per diventare arciprete della basilica papale di San Paolo fuori le mura.
Gli altri cinque sono tutti pastori, e pastori di Chiese extraeuropee: il libanese s.b. Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei maroniti; l’indiano s.b. Baselios Cleemis Thottunkal,
arcivescovo maggiore di Trivandrum dei siro-malankaresi; il nigeriano mons. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja; il
colombiano mons. Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotà;
il filippino mons. Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila (Filippine).
Chiesa universale
Oltre alla provenienza extraeuropea ed extracuriale, i nuovi
cardinali si caratterizzano per la giovane età: hanno mediamente
63 anni e comprendono un cinquantacinquenne, Tagle, e un cinquantatreenne, Thottunkal, che divengono i più giovani in un
gruppo di cardinali cinquantenni davvero esiguo (con loro ci sono
solo i tedeschi Woelki e Marx e l’olandese Ejik). Un altro tratto che
accomuna alcuni di loro è il difficile contesto dei rapporti con
l’islam che segna le loro Chiese, come è il caso del Libano del patriarca Raï e della Nigeria dell’arcivescovo Onaiyekan.
Durante il rito, è stato lo stesso papa a sottolineare, in un discorso tutto dedicato a descrivere la cattolicità della Chiesa (in
pochi minuti, i concetti di «cattolico» e «universale» sono ritornati
21 volte), che l’intero Collegio cardinalizio si colloca «nel solco e
nella prospettiva dell’unità e universalità della Chiesa», espressa
nella «varietà di volti» che esso presenta; ma che «attraverso questo Concistoro, in modo particolare» egli ha desiderato «porre in
risalto che la Chiesa è Chiesa di tutti i popoli, e pertanto si
esprime nelle varie culture dei diversi continenti. È la Chiesa di
Pentecoste, che nella polifonia delle voci innalza un unico canto
armonioso al Dio vivente».
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Già al momento dell’annuncio dei sei nomi, il 24 ottobre, la
gran parte degli osservatori (confortati, tre giorni dopo, dalle parole rivolte da Benedetto XVI al Sinodo dei vescovi), aveva letto
questo Concistoro come un «completamento» di quello del febbraio scorso, egemonizzato dalla presenza di prelati europei e di
curia (cf. Regno-att. 2,2012,19).
Tuttavia le percentuali che allora registravamo nella «geografia» dei cardinali elettori non risultano poi così diverse, oggi: su
un totale che è tornato di 120 elettori (a febbraio erano saliti a
125) gli italiani sono adesso 28, il 23,3% (a febbraio erano 30, il 24%),
e l’insieme degli europei 62 (dal 53,6% scendono al 51,6%); 35 gli
americani (dal 29,6% al 29,2%), di cui 14 tra statunitensi e canadesi;
11 gli asiatici (dal 7,2% salgono al 9,2%), 11 gli africani (dall’8,8% al
9,2%) e 1 dall’Oceania (lo 0,8%). Ovvero, il saldo tra gli 11 cardinali
usciti dal novero degli elettori dopo il 22 febbraio e i 6 entrati dal
24 novembre dice che è leggermente calata la quota degli europei a vantaggio degli asiatici, mentre il peso relativo dei cardinali
degli altri continenti è rimasto immutato.
Concistori frequenti
Nemmeno considerando la quota dei cardinali impegnati nel
servizio di curia rispetto all’insieme degli elettori appare un riequilibrio particolarmente evidente rispetto a febbraio: allora i «curiali» erano 43 su 125 (34,4%), oggi sono 41 su 120 (34,1%), per effetto,
da un lato, del compimento degli 80 anni da parte dei cardd.
Arinze e Martino e della morte del card. Baldelli, e dall’altro della
«berretta» assegnata a mons. Harvey.
Più che di completamento, si dovrebbe dunque parlare della
conservazione di un equilibrio, perseguita tramite la scelta di intensificare i concistori: le ultime tre tornate di nomine cardinalizie di Benedetto XVI si sono concentrate in due soli anni
(facendo sì che già a febbraio i cardinali elettori di nomina ratzingeriana, 63, superassero, sia pure di un’unità, quelli di nomina
wojtyliana; mentre oggi sono saliti a 67), ma anche il totale di 5
dice di un Concistoro ogni anno e mezzo: un ritmo esattamente
doppio di quello, triennale, che aveva caratterizzato il pontificato di Giovanni Paolo II.
Entro la linea di Benedetto XVI di celebrare concistori con frequenza, mantenendo il più possibile prossimo al tetto dei 120 il
numero dei cardinali elettori e in equilibrio geopolitico le loro
proporzioni, diventa più facile spiegare anche le «nomine mancate»: il fatto cioè che vi siano prelati che, per l’incarico che svolgono in curia o per la tradizione della Chiesa di cui sono alla guida,
possono legittimamente aspettarsi di diventare cardinali, ma ancora non lo sono diventati. Tra i vescovi che dopo il Concistoro di
febbraio 2012 avevamo considerato «in attesa» non figurano più
Tagle e Raï, ma vi rimangono, solo per citarne qualcuno, l’italiano
Nosiglia (Torino), l’inglese Nichols (Londra), l’ucraino Schevchuk
(Kiev), lo statunitense Chaput (Philadelphia). Tuttavia, di qui a un
anno il gruppo dei cardinali elettori perderà sicuramente altri dieci
membri, e dunque è prevedibile che anche per qualcun altro di
questi l’attesa sia prossima alla fine.
Guido Mocellin
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CHIESA
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XIII Sinodo dei vescovi
C AT TO L I C A
r
inascere dall’alto
C
ome può accadere questo?» (Gv 3,10). L’immagine di Nicodemo,
concentrato nello sforzo
di entrare nella visione
che Gesù gli sta aprendo davanti agli
occhi – e allo stesso tempo sbalordito
e confuso per la novità di ciò che sta
apparendo con chiarezza alla sua
mente –, mi è tornata alla mente più
di una volta ripensando all’intensità e
alla profondità dell’ascolto e del dialogo di cui sono stato testimone partecipando alla XIII assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi.
Come per Nicodemo, la presenza del
Signore è stata vissuta come un forte
invito a lasciarsi guidare dallo Spirito
in una fase nuova della vita della nostra fede, come già indicato dallo
stesso tema messo al centro dell’assemblea: «La nuova evangelizzazione
per la trasmissione della fede cristiana» (cf. i testi di riferimento in Regno-doc. 5,2011,129ss; 13,2012,385ss
e 19,2012,577ss).
Carismaticità
di Benedet to XVI
Immaginare questa assise come
una sorta di gestazione, di tempo dedicato alla raccolta di energie in vista
dello sforzo di rinnovamento richiesto
alla Chiesa, era l’intenzione del papa,
espressa con chiarezza in modo costante durante la celebrazione del Sinodo, in tutte le sue prese di parola.
Nell’omelia iniziale, quando della
nuova evangelizzazione ha descritto
l’ambito: la «nuova evangelizzazione,
orientata principalmente alle persone
I temi e il dibattito sinodale.
Le questioni aperte e da approfondire
che, pur essendo battezzate, si sono allontanate dalla Chiesa, e vivono senza
fare riferimento alla prassi cristiana.
L’assemblea sinodale che oggi si apre è
dedicata a questa nuova evangelizzazione, per favorire in queste persone un
nuovo incontro con il Signore»; nella
prima meditazione, quando della
nuova evangelizzazione ha sottolineato il metodo: «Il cristiano non deve
essere tiepido. L’Apocalisse ci dice che
questo è il più grande pericolo del cristiano: che non dica di no, ma un sì
molto tiepido. Questa tiepidezza proprio
discredita il cristianesimo. La fede deve
divenire in noi fiamma dell’amore,
fiamma che realmente accende il mio essere, diventa grande passione del mio essere, e così accende il prossimo. Questo è
il modo dell’evangelizzazione: “Accéndat
ardor proximos”, che la verità diventi
in me carità e la carità accenda come
fuoco anche l’altro. Solo in questo accendere l’altro attraverso la fiamma della
nostra carità, cresce realmente l’evangelizzazione, la presenza del Vangelo, che
non è più solo parola, ma realtà vissuta»
(Regno-doc. 19,2012,580s); nell’omelia
di chiusura, quando della nuova evangelizzazione ha indicato lo scopo, il
rinnovamento della Chiesa: «In varie
parti del mondo, la Chiesa ha già intrapreso tale cammino di creatività pastorale, per avvicinare le persone allontanate o in ricerca del senso della
vita, della felicità e, in definitiva, di
Dio». In ogni sua parola il papa non ha
smesso di ricordare come la nuova
Vaticano, 23 ottobre 2012: Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione.
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evangelizzazione sia anzitutto un appello alla Chiesa perché torni a recuperare quel dinamismo e quel calore
originario della fede cristiana, dispersi
in seguito al confronto non facile e
anche logorante con le sfide di questo
tempo postmoderno.
Nuova evangelizzazione:
i contorni
Questo rinnovamento della Chiesa,
questa riforma non tanto strutturale
quanto piuttosto spirituale della comunità ecclesiale, è stata indicata in
parecchi interventi come un obiettivo
da mettere al cuore di ogni agenda pastorale.
Una riforma anzitutto «logica»: le
comunità cristiane, che non vivono in
uno spazio astratto ma sono inserite
nella cultura del mondo, hanno vissuto senza accorgersi più di un processo di «autosecolarizzazione» (per ri-
SINODO
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prendere una formula del papa riproposta in più di un intervento al Sinodo). È accaduto infatti che la secolarizzazione ha eroso il loro patrimonio
linguistico, indebolendo il loro modo di
comprendersi, privandole delle parole
per la preghiera, svuotando del loro
significato gli strumenti per mantenere
attiva la loro relazione con Dio; e in
questo modo si sono trovare prive del
legame fondamentale che nutre e sostiene la loro fede e la loro identità.
Una riforma poi, in un secondo momento, «organizzativa»: i forti movimenti di popolazione, la caduta della
pratica religiosa hanno avuto come conseguenza l’indebolirsi e in più di un
luogo il venir meno delle tradizionali
forme di presenza della Chiesa tra la
gente, in molti casi trasformando in
sportelli fornitori di servizi quelli che
una volta erano luoghi vitali in cui fare
esperienze di fede. Al riguardo, il di-
battito sinodale ha archiviato come ormai appartenente al passato la dialettica
istituzione/movimenti: il cambiamento
culturale con cui ci stiamo misurando è
così forte da domandare ad ogni figura
che rende visibile la Chiesa un processo
di conversione e di rilancio.
Una riforma infine «culturale»: la
svolta nichilista impressa alla secolarizzazione che segna le culture occidentali ha prodotto come conseguenza
che il fondamento antropologico sul
quale si innesta la fede cristiana non sia
più condiviso, ma al contrario sia oggetto di una quotidiana opera di decostruzione. Occorre perciò che le comunità cristiane si attrezzino per una
testimonianza, per una buona apologetica di quelli che sono i cardini fondamentali dell’esperienza umana, del
suo darsi dentro la storia: solo così si
potrà comprendere appieno la bellezza/bontà del Vangelo cristiano.
DEI VESCOVI
Primi passi
N
on ha prodotto novità. Non arretramenti. Il Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione (Vaticano, 7-28 ottobre
2012) ha manifestato la volontà della maggioranza dei padri
di discutere apertamente del presente e del futuro della Chiesa. Di
farlo con tono positivo anche di fronte a sfide nuove e preoccupanti poste alle comunità in ogni continente.
È mancata una linea interna al Sinodo in grado di interpretare e
intrecciare speranze e complessità. Si è avvertita talora una presenza sovradimensionata della curia romana, desiderosa di riprendere quello stile di sorveglianza sui temi da trattare e da non
trattare abituale prima del Vaticano II. Ma non ha prevalso.
Di buona fattura gli strumenti preparatori (Lineamenta e Instrumentum laboris); inservibile, secondo molti sinodali, la Relatio
ante disceptationem (del card. Donald Wuerl, arcivescovo di Washington), più accettabile quella successiva al dibattito; descrittive
le Propositiones; bello il Messaggio finale.
La definizione più condivisa del tema è quella fornita dalla proposizione n. 7: «L’evangelizzazione può essere compresa sotto tre
aspetti. Anzitutto l’evangelizzazione ad gentes è l’annuncio del Vangelo a coloro che non conoscono Gesù Cristo. Secondariamente,
comprende la maturazione progressiva della fede, cioè la vita ordinaria della Chiesa. Infine, la nuova evangelizzazione è diretta specialmente a coloro che si sono allontanati dalla Chiesa» (Regno-doc.
19,2012,592).
Circa l’analisi del contesto storico e le preoccupazioni sulla scristianizzazione in atto in diversi parti del mondo e la desertificazione prodotta dai processi di secolarizzazione, il Messaggio
afferma: «Non ci sentiamo intimoriti dalle condizioni dei tempi che
viviamo. Il nostro è un mondo colmo di contraddizioni e di sfide,
ma resta creazione di Dio, ferita sì dal male, ma pur sempre il
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mondo che Dio ama, terreno suo, in cui può essere rinnovata la semina della Parola perché torni a fare frutto. Non c’è spazio per il
pessimismo nelle menti e nei cuori di coloro che sanno che il loro
Signore ha vinto la morte e che il suo spirito opera con potenza
nella storia» (n. 6; Regno-doc. 19,2012,586). Oltre alla denuncia degli
effetti di secolarismo e relativismo, occorre sapere tornare alle fonti
della rivelazione cristiana.
I temi prevalenti hanno riguardato il recupero della dimensione
parrocchiale della vita comunitaria, più e oltre i movimenti. Poi la famiglia come nucleo basilare di tenuta della società e dell’annuncio.
Infine la riforma della Chiesa intesa soprattutto come conversione,
riforma interiore, secondo l’impostazione di Benedetto XVI. Su
questo asse si sono mosse molte e diversificate sensibilità, tra le
quali è apparsa originale la sottolineatura del tema della contemplazione come richiamo alla bellezza della fede che investe ogni
dimensione del vivere. Da parte ecumenica (Bartolomeo I e R. Williams) sono giunti i richiami più insistiti a una ripresa della memoria
del Vaticano II. Le testimonianze più commoventi sono state quelle
sulla difficile convivenza con l’islam fondamentalista.
Affido le parole conclusive a una suggestione di mons. Bruno
Forte: «Questo Sinodo, nella memoria viva del Concilio, ci spinge a
una conversione continua. Conversione non è solo dimensione individuale, ma anche conversione pastorale della Chiesa. Essa muove
dall’incontro tra salvezza e storia. Per questo non siamo smarriti.
Alle nuove generazioni, spesso costrette in situazioni caotiche,
dobbiamo comunicare la fede lungo la via della bellezza. Non solo
la verità e il bene, ma la fede come bellezza. Non possiamo amare
senza bellezza».
G. B.
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Nuova evangelizzazione:
i contenuti
Un simile rinnovamento, se da un
lato presenta i tratti dell’urgenza e
della globalità (tutta la Chiesa è chiamata a mettersi in gioco), d’altro lato e
proprio per gli stessi motivi non può
che fare del quotidiano il luogo della
propria azione e della propria strategia. Non a caso le istituzioni maggiormente indicate come il perno di questa
nuova evangelizzazione sono state la
famiglia e la parrocchia. Facendo esercizio di realismo: nonostante le loro
fatiche, anzi proprio attraverso le fatiche vissute ogni giorno queste istituzioni possono mostrare la gioia, la capacità di futuro e la forza di coesione
della fede cristiana.
Il Sinodo in questo è stato un buon
esercizio di riaffermazione del valore
della Chiesa locale: ha rimesso in gioco
la figura del vescovo (i padri sinodali si
sono interrogati in modo autocritico su
come rileggere la loro figura alla luce
di questo compito di nuova evangelizzazione), ha affermato in modo sostanziale il ruolo di ogni battezzato,
ha registrato il bisogno di vocazioni
che si prendano a cuore la vita delle
comunità cristiana, cominciando dalla
figura presbiterale.
Il Sinodo è stata anche l’esperienza
di una Chiesa che ha saputo raccontarsi nella sua varietà, nonché confrontarsi a partire da essa. Ci sono stati
argomenti e temi che hanno registrato
grandi convergenze; ci sono state questioni che hanno portato alla luce sfumature e modi differenti di affrontare
da cristiani la situazione.
In generale il dibattito ha permesso
di registrare la vitalità della Chiese
asiatiche, la serenità con cui affrontano le sfide di un cristianesimo ancora giovane che non ha paura di misurarsi con culture e religioni più
antiche e strutturate; l’assemblea ha
potuto registrare i segni di fatica delle
Chiese europee e nordamericane; la
durezza del confronto con le sette da
parte delle Chiese africane, insieme
alla lotta contro la povertà; la resistenza del tema del ripartire dai poveri
nelle Chiese latinoamericane, unite al
progetto di una missione continentale,
lanciato dall’appuntamento di Aparecida, offerto dagli interventi di alcuni
padri sinodali come carta d’identità
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che descriveva la loro specificità locale.
È stata ascoltata con molta attenzione la testimonianza delle Chiese che
vivono, soprattutto in Medio Oriente,
in paesi a maggioranza islamica: ha
creato forti emozioni il racconto delle
testimonianze della fede che giungono
anche al martirio, le domande che il
confronto con l’islam pone al cristianesimo, la necessità di far evolvere la
piattaforma dei diritti umani (chiedendo maggiore salvaguardia del versante soggettivo del diritto alla libertà
religiosa, ovvero la libertà di coscienza,
la libera scelta della religione che uno
tiene per vera), le iniziative di dialogo
riuscite, i racconti delle conversioni
dall’islam al cristianesimo.
Un contenuto è stato condiviso in
modo praticamente unanime da tutti
gli interventi: l’assoluta centralità dell’esperienza personale e comunitaria
con il Signore risorto. È questo il cuore
e il segreto della nuova evangelizzazione: una Chiesa che torna a fare
della missione il proprio principio
d’identità, è una Chiesa che rimette al
cuore del suo esserci questa relazione
con Dio, che allo stesso tempo custodisce l’unicità del cristianesimo dentro la storia, e ne specifica il compito.
La Chiesa esiste per custodire gelosamente questa esperienza; e allo stesso
tempo per condividerla con tutti gli
uomini, contagiando in questo modo e
trasformando il mondo.
Come la samaritana
al pozzo
Il Sinodo avrebbe potuto trasformarsi in una sorta di stati generali della
Chiesa, chiamata a difendersi dagli attacchi della cultura ipersecolarizzata
del mondo occidentale – da un lato – e
dalle pressioni che nascono dal confronto con le grandi religioni, in particolare con l’islam – dall’altro –. In parte
il Sinodo ha avuto questa tentazione,
ma ha saputo vincerla, perché si è lasciato guidare da un’immagine evangelica che – ricevuta dal magistero del
papa espresso nel documento di indizione Porta fidei – ha attraversato per
intero il dibattito ed è stata consegnata
a tutta la Chiesa nel Messaggio finale.
La samaritana al pozzo descrive
bene il modo con cui la Chiesa intende vivere il suo rapporto con il
mondo: «non c’è uomo o donna che,
nella sua vita, non si ritrovi, come la
donna di Samaria, accanto a un pozzo
con un’anfora vuota, nella speranza
di trovare l’esaudimento del desiderio
più profondo del cuore, quello che solo
può dare significato pieno all’esistenza. (…) Come Gesù al pozzo di Sicar, anche la Chiesa sente di doversi
sedere accanto agli uomini e alle
donne di questo tempo, per rendere
presente il Signore nella loro vita, così
che possano incontrarlo, perché lui
solo è l’acqua che dà la vita vera ed
eterna» (Messaggio finale, n. 1; Regnodoc. 19,2012,585).
Come Gesù, anche la Chiesa vuole
farsi prossima di un’umanità che porta
in sé domande di senso e sete di felicità
che sono incolmabili, finché non si incontra Gesù Cristo. Rendere possibile
questo incontro, annunciare che esiste
una risposta a domande che altrimenti
producono disperazione, se lasciate in
solitudine o non aiutate nella ricerca di
una risposta: questa è la nuova evangelizzazione.
La samaritana al pozzo consegna
inoltre un altro elemento essenziale per
decifrare il contenuto della nuova evangelizzazione: il contesto, ovvero il deserto. La Chiesa è invitata a vivere questa richiesta di forte cambiamento
come l’esperienza del deserto vissuta
dal popolo d’Israele, ci ha detto il papa.
Un deserto che è luogo di intimità con
Dio, oltre che di tentazione e di povertà; un deserto che chiede di prendere con sé soltanto le cose a cui la nostra fede non può rinunciare.
«In questi decenni è avanzata una
“desertificazione” spirituale. Che cosa
significasse una vita, un mondo senza
Dio, al tempo del Concilio lo si poteva
già sapere da alcune pagine tragiche
della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. È il
vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a
partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo
nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi
uomini e donne. Nel deserto si riscopre
il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo
sono innumerevoli i segni, spesso
espressi in forma implicita o negativa,
della sete di Dio, del senso ultimo della
vita. E nel deserto c’è bisogno soprat-
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tutto di persone di fede che, con la loro
stessa vita, indicano la via verso la
Terra promessa e così tengono desta la
speranza. (…) Ecco allora come possiamo raffigurare questo Anno della
fede: un pellegrinaggio nei deserti del
mondo contemporaneo, in cui portare
con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro,
non due tuniche – come dice il Signore
agli apostoli inviandoli in missione (cf.
Lc 9,3) –, ma il Vangelo e la fede della
Chiesa» (Benedetto XVI, Omelia,
11.10. 2012; Regno-doc. 19,2012,579).
Alcune consegne pratiche
Pur non addentrandosi in analisi
troppo dettagliate, il Sinodo ha toccato
alcuni luoghi dell’azione ecclesiale che
chiedono di essere meglio curati e ridefiniti dentro questa logica di nuova evangelizzazione. Tutto il capitolo dell’educazione, a livello umano come di fede, ha
bisogno di maggiore cura e attenzione.
Si è parlato di iniziazione cristiana, di
scuola, di impegno dei genitori, di necessità di una cura maggiore degli spazi
che abitiamo dentro le culture e le società per vivere e testimoniare la nostra
fede. Le Propositiones testimoniano bene
il modo con cui si è parlato di questi
temi: più che cercare vie nuove, si è voluto evidenziare come il cuore della
nuova evangelizzazione permetta di trovare energie e risorse per vivere con rinnovata vitalità compiti fondamentali
della fede cristiana, oggi però in parecchi casi disattesi.
Si è parlato di missione: si sente il bisogno di una sorta di «missione mondiale» che stimoli ogni cristiano e ogni
comunità a sentirsi maggiormente responsabile dell’annuncio della nostra fede,
in un momento in cui i cambiamenti che
stiamo vivendo hanno indebolito se non
frantumato molti strumenti tradizionali
di trasmissione della fede. In tutti questi
campi è stato proficuo l’ascolto delle
Chiese e delle comunità cristiane che ci
sono sorelle: l’ecumenismo è uno strumento indispensabile per vivere la nuova
evangelizzazione.
Si è parlato di come disegnare la figura della Chiesa locale alla luce della
nuova evangelizzazione: nuova evangelizzazione vuol dire aiutare le comunità a
vivere bene la loro fede (nutrita dalla Parola e dai sacramenti), a saperla testimoniare senza paura e falsi pudori; vuol dire
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curare la qualità della vita comunitaria,
perché sia fonte di fascino; vuol dire vivere con maggiore intenzione la carità
come lo strumento che permette a ogni
uomo di incontrare la gratuità dell’amore
di Dio; vuol dire infine avere a cuore il futuro, prendendosi cura dei giovani e della
loro educazione.
Si è insistito sul bisogno di una nuova
devotio, che permetta di rivivere in tempi
di postmodernità quel rinnovamento spirituale che ha saputo trasformare la modernità, alla fine del Medioevo. Occorrono strumenti semplici ma allo stesso
tempo profondi, capaci di parlare al cuore
delle persone, e di trasformarli riaccendendo la loro capacità di essere luoghi in
cui accogliere Dio. In questo contesto è
stato più volte ripreso e riproposto il sacramento della riconciliazione: qualche
intervento lo ha presentato come il sacramento della nuova evangelizzazione,
proprio sottolineando la potenzialità di
conversione che esso contiene, unitamente alla semplicità della sua celebrazione.
Punti da approfondire
ulteriormente
Il carattere di gestazione e il tono di
attesa che ho usato come metafore per
descrivere il clima che ha caratterizzato il
Sinodo – quasi una sorta di parto, come
racconta san Paolo nella Lettera ai Romani (8,22) –, ci permettono anche di
dire cosa è mancato in questo confronto,
cosa deve essere ulteriormente approfondito dall’esortazione apostolica con la
quale abitualmente il papa rilegge e sviluppa l’evento sinodale. Sostanzialmente
due contenuti.
Anzitutto un’analisi più rigorosa del
rapporto tra fede e cultura, del modo con
cui viene declinato nel nuovo orizzonte
postmoderno che abitiamo. Sarà interessante vedere come dentro il grande capitolo della nuova evangelizzazione viene
declinato il rapporto tra fede e scienza
non soltanto come nodo specifico dell’azione pastorale, ma piuttosto come il
luogo dentro il quale oggi costruiamo le
categorie che dicono la credibilità della
nostra fede di fronte al mondo, oltre che
cercare i contenuti per esplicitare il senso
della rivelazione di Dio.
Un secondo tema che è stato davvero
poco affrontato è la questione della trasmissione della fede. La dinamica sinodale si è concentrata molto sulla prima
parte del tema dato come titolo, dedicando poco spazio e poche energie al secondo braccio del titolo. Eppure la
grande sfida posta davanti alla Chiesa di
oggi riguarda proprio il modo con cui
trasmettere la fede cristiana.
«Ritorna all’amore
di prima!»
«Conosco le tue opere: tu non sei né
freddo né caldo» (Ap 3,15). «Ho però da
rimproverati di avere abbandonato il tuo
primo amore» (Ap 2,4). Pur con tutti i limiti di una cronaca così breve, le parole
dell’angelo dell’Apocalisse ci permettono
di intuire il senso profondo, il motore
della nuova evangelizzazione che il Sinodo ha analizzato, nell’intenzione di
precisarla e consegnarla alla Chiesa. Si
tratta di uno stimolo per evitare la mediocrità che rischia di contagiare la
Chiesa, come conseguenza delle trasformazioni che il cambiamento culturale
sta generando in noi. A trasformazioni
così forti si risponde con un soprassalto di
calore della nostra fede: ecco il senso
della nuova evangelizzazione. Ecco anche l’utilità di uno strumento come
l’Anno della fede.
Il bisogno di tornare all’amore di un
tempo è stato anche il contenuto che più
spesso è tornato nelle parole dei delegati
fraterni. Come il primate anglicano Rowan Wiliams ci ha limpidamente espresso (cf. Regno-doc. 19,2012,581ss), è solo
con un rinnovato esercizio contemplativo
che potremo davvero entrare nel mondo
di oggi capaci di trasmettere il Vangelo e
la fede. Una contemplazione intesa come
atto umano totale, che ci permette di riconoscere i segni della presenza di Dio
anche sotto le tracce di un mondo che
sembra allontanarsi sempre più da lui:
nuova evangelizzazione è anzitutto la riscoperta di una fedeltà che esige un caro
prezzo, e che deve trasformarsi in esercizio di discernimento, non tanto logico
ma pneumatico, delle tracce dell’amore
di Dio che non si stanca di amare questo
nostro mondo.
Luca Bressan*
* Don Luca Bressan, teologo pastoralista, è
Vicario episcopale per la cultura, la carità, la
missione e l’azione sociale nell’arcidiocesi di Milano; ha partecipato alla XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi (2012) in
qualità di esperto (adiutor secretarii specialis) nominato dalla Santa Sede.
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uovo leader, nuova crisi
I
l nuovo primate anglicano avrà «il fisico di un bue e la scorza di
un rinoceronte», auspicati da Rowan Williams pensando al proprio successore?1 Molti ne sembrano convinti. La scelta di Justin
Welby come 105° arcivescovo di Canterbury indica la direzione
e il passo con cui la Chiesa d’Inghilterra vuole entrare nel prossimo
decennio.
L’attuale vescovo di Durham (da neanche un anno, un difetto di
esperienza che tuttavia non gli ha precluso la nomina) ha 56 anni. Figlio di un commerciante di whisky e nipote di un vice primo ministro
conservatore, frequenta il college di Eton, dove studiano i membri
della famiglia reale, e successivamente si laurea in storia e diritto a
Cambridge. Per 11 anni è dirigente della multinazionale francese del
petrolio Elf, finché nel 1983 la tragica scomparsa della prima figlia, di
sette mesi, in un incidente stradale non lo conduce a una crisi profonda. Nel 1987 la decisione: diventare prete.
La sua carriera di ecclesiastico lo ha visto parroco nella diocesi di
Coventry, quindi decano della cattedrale di Liverpool dal 2007 al 2011,
infine vescovo dell’antichissima sede di Durham. Nel frattempo ha
avuto altri 5 figli e ha ricoperto incarichi di rilievo sia nella Chiesa
d’Inghilterra, dove è direttore del Centro internazionale per la riconciliazione, sia nella società, come membro della Commissione di riferimento per i fondi etici di una grande compagnia d’investimenti
della City; sia nello stato, nella Commissione parlamentare sugli standard bancari, che conduce un’inchiesta sul livello professionale e la
cultura del settore bancario britannico, dopo lo scandalo dell’indice
Libor truccato che nello scorso luglio ha macchiato l’immagine delle
banche inglesi.
Ora come arcivescovo di Canterbury assommerà in sé un numero impressionante di ruoli: vescovo della diocesi di Canterbury,
nel Kent; metropolita della provincia omonima, che comprende le
30 diocesi dell’Inghilterra meridionale; primate di tutta l’Inghilterra;
primus inter pares e simbolo dell’unità tra tutti i vescovi della sempre più divisa Comunione anglicana. Nei prossimi anni dovrà convocare e ospitare la Conferenza di Lambeth, il sinodo che ogni dieci
anni raduna i vescovi anglicani (nel 2018). A quanto risulta dalle indiscrezioni, il ritardo di qualche settimana nella scelta dei candidati da
parte della Crown Nomination Commission non era dovuto all’incertezza sul suo nome, che ha da subito convogliato la maggioranza
dei consensi, ma su quello del secondo candidato. Welby è apparso
adatto sia sotto il profilo personale, sia sotto quello teologico, sia
per la linea pastorale.
Un proget to di Chiesa
Justin Welby è un evangelico, dunque appartiene alla corrente
ecclesiale anglicana che si attendeva di produrre il prossimo arcivescovo di Canterbury – data la tradizionale alternanza tra un primate
evangelico e uno anglo-cattolico, come Rowan Williams –. Inoltre
dal punto di vista dottrinale è conservatore, caratteristica che lo
rende maggiormente gradito alle province anglicane del Sud del
mondo, che avversano le tendenze liberal di una parte dell’anglicanesimo occidentale specie sulle questioni legate all’omosessualità.
Nel discorso che ha tenuto a Lambeth Palace il 9 novembre, dopo il
comunicato ufficiale della nomina da parte del primo ministro, ha da
un lato manifestato la propria contrarietà al matrimonio tra omosessuali,2 dall’altro affermato di dover «ascoltare molto attentamente
le comunità LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender; ndr), ed
esaminare il mio pensiero nella preghiera. Sono sempre contrario al
linguaggio dell’esclusione, quando ciò a cui siamo chiamati è amare
come Gesù Cristo ci ama».
Pur essendo un conservatore, tuttavia, si è espresso a favore dell’ordinazione delle donne all’episcopato, causa per la quale Rowan
Williams ha svolto una paziente opera di mediazione tra le correnti
contrapposte in seno alla Chiesa d’Inghilterra.3 Il ministero episcopale femminile è osteggiato dai tradizionalisti della componente
anglo-cattolica e dai conservatori di quella evangelica, i primi a motivo della Tradizione e i secondi a motivo dell’autorità della Scrittura.
Ma le misure per concedere la supervisione episcopale di un vescovo uomo alle parrocchie che ne faranno richiesta sono avversate,
sia nella formulazione proposta nel luglio scorso sia in quella bocciata
per un soffio al Sinodo generale del 19-21 novembre, anche da un certo
numero di progressisti, soprattutto donne, che ritengono l’emendamento in questione4 una concessione umiliante, in quanto relegherebbe i vescovi donna in uno status di serie B. Probabilmente lo stop
riportato alla Camera dei laici è dovuto a un’alleanza paradossale tra gli
oppositori e i sostenitori più radicali delle donne vescovo.
Per il nuovo arcivescovo di Canterbury dunque si tratta di una
partenza in salita, per quella che si preannuncia come una gravissima
crisi, per tentare di ricucire l’unità tra la maggioranza della sua Chiesa,
favorevole alle donne vescovo, e la minoranza contraria. Gli saranno
necessarie tutte le qualità personali di leadership, pragmatismo e humour che gli vengono unanimemente riconosciute.
Molto vicino alla spiritualità benedettina, pur appartenendo alla
corrente evangelica Welby ha culturalmente molto in comune con la
Chiesa cattolica, e in particolare è affine alla sensibilità sociale che caratterizza la leadership cattolica dell’arcivescovo di Westminster Vincent Nichols.
La scelta di Welby contiene anche una presa di posizione della
Chiesa d’Inghilterra nei confronti del liberismo sfrenato e dello strapotere dell’alta finanza che la City di Londra simboleggia, e non è
questione di poco conto se si pensa che la Chiesa d’Inghilterra è ancora Chiesa di stato, e la nomina del primate spetta al primo ministro
e alla regina. L’esperienza di manager ha fatto di Welby un critico autorevole del capitalismo muscolare in più di un’occasione, dalla tesi
di licenza su Can companies sin? (Le imprese possono peccare?) al
suo intervento di qualche settimana fa alla Camera dei Lord sulla necessità di trasformare il settore bancario «dalle macerie di un disastro
provocato dalla tracotanza al recupero del suo compito fondamentale di permettere alla società umana di fiorire davvero». E in questo
si pone senza dubbio in continuità con Rowan Williams.
Daniela Sala
1
Sull’arcivescovo di Canterbury uscente cf. Regno-att. 18,2012,578.
Coerentemente con la risposta ufficiale della Chiesa d’Inghilterra
alla consultazione proposta dal governo di David Cameron; cf. Regno-att.
16,2012,157; Regno-doc. 19,2012,627.
3
Cf. Regno-att. 14,2012,451.
4
Il cosiddetto «emendamento Appleby», steso dal vicario Janet Appleby in settembre e bocciato in Sinodo il 20 novembre, richiede che i vescovi e i preti uomini nominati ministri per parrocchie contrarie alle donne
vescovo debbano essere scelti in modo da rispettare le ragioni per le quali
vengono richiesti. La Camera dei vescovi ha approvato l’emendamento per
44 a 3, quella del clero per 148 a 45, mentre quella dei laici, con un 132 a 74
e 9 astenuti, per 6 voti non ha garantito la maggioranza dei due terzi in
ciascuna Camera che sarebbe stata necessaria per approvare la legislazione.
2
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Serbia-Croazia
Cattolici e ortodossi
La riconciliazione difficile
Di nuovo
nemici
H
a suscitato reazioni contrapposte la
sentenza della Corte d’appello del Tribunale penale internazionale per l’ex
Iugoslavia. Il 16 novembre ha dichiarato Ante
Gotovina e Mladen Markač non colpevoli di
crimini contro l’umanità e violazioni delle leggi
e delle convenzioni di guerra, ribaltando così
la sentenza di primo grado del 15 aprile 2011.
Un anno e mezzo fa i due militari croati
erano stati condannati per le uccisioni e deportazioni di civili serbi durante l’«Operazione
tempesta» (Oluja), con la quale dal giugno al
settembre 1995 l’esercito croato riprese il controllo delle Krajne, le due regioni a maggioranza serba che nel 1991 avevano dichiarato
l’indipendenza dalla Croazia: 24 anni a Gotovina, colonnello generale dell’esercito croato
e responsabile dell’operazione, arrestato in
Spagna il 7 dicembre 2005, 18 a Markač, comandante operativo delle forze speciali di polizia, consegnatosi al Tribunale dell’Aia l’11
marzo 2004. Secondo la sentenza d’appello
non c’è stata associazione in impresa criminale, né deportazione degli abitanti di nazionalità serba, né un eccessivo bombardamento
della città di Tenin.
Il giorno stesso della sentenza il presidente della Conferenza episcopale croata
Želimir Puljić, arcivescovo di Zara, ha convocato presso la sede dell’episcopio una conferenza stampa, durante la quale così si è
espresso: «Gioisci, o terra di Croazia! Con
l’atto di oggi terminano i tuoi lunghi anni di
sofferenza durante la guerra di liberazione, il
periodo postbellico e tutti i momenti difficili
che abbiamo sopportato, non solo durante la
pesante occupazione della guerra ma anche
dopo, quando sono state diffuse diverse teorie sulla valutazione di quanto accadutoci.
Davvero abbiamo il diritto di rallegrarci, perché con l’assoluzione dei generali croati Ante
Gotovina e Mladen Markač è finalmente finita la guerra difensiva». E ancora: «Dio non ha
permesso che il giudizio di primo grado rimanesse valido. Ne avremmo riportato per decenni uno stigma, da cui sarebbe stato difficile
liberarci», e «Penso che questa sia opera di
Dio», con l’annuncio di messe di ringraziamento il 24 e il 25 novembre con tanto di Te
Deum.
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Di segno opposto la reazione dei vescovi
ortodossi serbi, che hanno fortemente stigmatizzato l’esultanza manifestata dagli omologhi cattolici croati: «È stupefacente e assurdo che la maggioranza dei vescovi cattolici
croati – se non tutti – associno questo verdetto a Dio e alla provvidenza divina, con
qualcuno che si spinge fino a presentarlo
come il risultato delle numerose messe e preghiere per i “difensori della Croazia” chieste
da questi due generali “onesti” e – come ora
sappiamo – “innocenti” della “guerra patriottica”.
Il Santo Sinodo condanna fermamente
questa sentenza “politica” della Corte d’appello del Tribunale dell’Aia grazie alla quale
sono stati liberati questi generali croati, perché rappresenta uno schiaffo in faccia alla verità e, ancor peggio, permette a un crimine di
proclamarsi “guerra difensiva” e ai criminali di
guerra di pretendere di essere “vittime”» (19
novembre).
Italia
Evangelici
Nello spazio
pubblico
E
sprimere una voce protestante in uno
spazio pubblico sempre più multiculturale e caratterizzato da una crescente
pluralità di presenze è una delle maggiori sfide
che ci stanno davanti». Il documento Gli
evangelici nello spazio pubblico, approvato
all’unanimità dalla XVI Assemblea della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI,
Roma-Pomezia 1-4.11.2012), delinea il programma che i protestanti italiani si danno per
il prossimo triennio, ispirandosi al versetto di
Is 58,6 «Si spezzino le catene della malvagità».
La FCEI è l’organismo che raduna le
Chiese protestanti storiche italiane, in rappresentanza di circa 60.000 credenti ma con
un peso sempre maggiore anche dei fedeli
evangelici provenienti dall’immigrazione (cf.
Regno-att. 16,2012,528). In questo documento
programmatico tali Chiese, che hanno inscritto nel loro DNA tanto il riferimento prio-
La sentenza è riuscita a unire le «due Serbie», quella nazionalista e ostile al percorso di
adesione all’Unione Europea e quella filo-occidentale e sinora favorevole al Tribunale per l’ex
Iugoslavia come strumento di giustizia e riconciliazione dopo le sanguinose guerre degli anni
Novanta. La Serbia è da quest’anno un paese
candidato all’ingresso nell’UE, e la cooperazione
con il Tribunale penale internazionale è stata
posta come un requisito indispensabile per il
procedere dei negoziati: due anni fa, faticosamente, l’ala progressista ha sbloccato la situazione facendo esprimere dal Parlamento le
scuse ufficiali per il massacro di Srebrenica e soprattutto consegnando Ratko Mladić, attualmente sotto processo all’Aia. Ora la riconciliazione è legata alla capacità che la giustizia croata
saprà dimostrare di cercare e condannare i veri
colpevoli dei crimini di guerra compiuti nelle
Krajne, e alla disponibilità dei vescovi croati di
riconoscere anche le vittime serbe.
D. S.
ritario alla Scrittura quanto l’impegno per la
giustizia sociale come espressione necessaria
della fede cristiana, raccolgono i fili del lavoro
degli ultimi anni e li proiettano nel futuro
sotto la cifra sintetica dell’apertura alla multiculturalità. Dalla messa in discussione del
modello economico imperante consegue
che «la vigilanza critica sulle scelte politiche
ed economiche, lo schieramento dalla parte
di chi più soffre le conseguenze della situazione in atto, la difesa di uno stato sociale efficiente e rigoroso, il lavoro giovanile costituiscono per noi priorità etiche e sociali da
affermare e rivendicare nello spazio pubblico».
«Restituire dignità e ruolo alla politica»,
rafforzare la libertà religiosa e aprirsi alla multiculturalità che sta cambiano irreversibilmente il panorama sociale e religioso italiano
sono le priorità individuate, che si esprimeranno anche concretamente – come già nei
mesi passati – nella mobilitazione per il riconoscimento dei diritti di cittadinanza ai ragazzi nati o cresciuti in Italia da genitori stranieri e in un’azione di sensibilizzazione a
favore di una nuova legge sulla libertà religiosa.
Sul piano ecumenico l’impegno della FCEI
sarà di favorire la piena adesione degli avventisti, che attualmente partecipano all’organismo solo come osservatori, e la costituzione
di luoghi permanenti d’incontro e confronto
con le nuove importanti presenze religiose
che si stanno radicando in Italia.
D. S.
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Santa Sede
Lefebvriani
Attendismi
e doppi binari
L
a Pontificia commissione Ecclesia Dei
«coglie l’occasione per annunciare
che, nella sua più recente comunicazione (6.9.2012) la Fraternità sacerdotale
di S. Pio X ha indicato di aver bisogno per
parte sua di ulteriore tempo di riflessione
e di studio, per preparare la propria risposta alle ultime iniziative della Santa Sede».
Così l’ultima dichiarazione ufficiale
proveniente da Roma (27.10.2012) ha confermato la situazione di stallo del negoziato con la Fraternità sacerdotale S. Pio X
(FSSPX), il cui superiore generale, mons.
Fellay, appare del tutto bloccato di fronte
alle proposte vaticane del giugno scorso
(una «dichiarazione dottrinale» e la proposta di una prelatura personale «per la
normalizzazione canonica»; cf. Regno-att.
12,2012,379).
La situazione è bloccata
Mentre la Santa Sede resta «in attesa
della risposta ufficiale» (come recita la
stessa dichiarazione), la crisi interna alla
Fraternità – già segnalata ad aprile dal duro
scambio epistolare tra Fellay e gli altri tre
vescovi della Fraternità, che si erano dichiarati contrari «a qualunque accordo
pratico» con Roma (cf. Regno-att. 12,2012,
379) – si acuisce fino all’espulsione ufficiale
di uno dei tre, mons. Williamson, per decisione del superiore generale e del suo
Consiglio (4.10.2012).
Il discusso vescovo inglese, già noto
per le sue gravi dichiarazioni antisemite e
negazioniste della Shoah, sarebbe stato
espulso – si legge nel comunicato apparso
sul sito web dell’agenzia ufficiale della Fraternità (24.10.2012) – a motivo della sua
presa di distanza dal governo della FSSPX
e per il suo rifiuto di «manifestare il rispetto e l’obbedienza dovuti ai suoi superiori legittimi».
Dall’interno ci si è affrettati a dichiarare che «non è stato il problema delle
nostre relazioni con Roma a essere la
causa di ciò», ma un «problema di disciplina interna alla Fraternità che alla fine si
è manifestato con una sorta di ribellione
aperta contro l’autorità» (Fellay in un’omelia dell’11.11.2012; www.dici.org), e che «voler collegare questo triste avvenimento a
una volontà di cedimento dottrinale nei
confronti della “Chiesa conciliare” – accuse contenute in una lettera aperta dello
stesso Williamson a Fellay (19.10.2012) – è
puramente arbitrario, calunnioso e ingiustificabile» (comunicato del Distretto italiano, 25.10.2012; www.sanpiox.it). In ogni
caso la presenza di Williamson nell’operazione-rientro avrebbe comunque comportato forti contraccolpi all’interno della
Chiesa cattolica e nei rapporti con l’ebraismo.
Difficile negarlo: l’attuale crisi della
FSSPX costituisce un serio rischio per la ricomposizione auspicata da Roma dello
scisma lefebvriano, un passaggio che tra
maggio e giugno scorsi sembrava vicino a
perfezionarsi. In un’omelia dello scorso 11
novembre, le dichiarazioni di Fellay denotano una vistosa marcia indietro rispetto
alle posizioni precedenti, tanto da far pensare a un tentativo di evitare una probabile
e consistente spaccatura interna in caso di
accordo con Roma. Così il negoziato è in
un vicolo cieco.
«Dal mese di giugno le cose sono bloccate. È un ritorno al punto di partenza. Ci
troviamo esattamente allo stesso punto di
mons. Lefebvre negli anni 1974-1975», ha
affermato il superiore generale facendo
riferimento al chiarimento da lui personalmente richiesto al papa. «Scrivo al papa
dicendogli questo: “Visto che lei conosce
la nostra opposizione al Concilio e visto
che nondimeno vuole riconoscerci, ne
avevo dedotto che era disposto a mettere
da parte o a rimandare a più tardi questi
problemi del Concilio”. (…) Ho pensato:
“Visto che fa questo gesto verso di noi (…)
vuol dire che lei stima più importante dichiarare cattolica la Fraternità piuttosto
che mantenere a ogni costo questo Concilio; ma poiché mi accorgo che, alla fine,
lei stesso sembra imporre il Concilio, devo
dedurne che mi sono sbagliato. Allora, ci
dica, per favore, cos’è che lei vuole veramente”».
Ambiguità a Roma?
Il chiarimento si sarebbe reso necessario, stando a Fellay, a causa di un atteggiamento contraddittorio da parte romana, «che si manifesta nelle decisioni,
nelle dichiarazioni della stessa autorità,
cioè della Santa Sede, ma che proviene
da diverse persone della Santa Sede, persone diverse che sostengono cose opposte e persino contraddittorie». Denunciando l’esistenza di un «doppio
registro», Fellay può giustificare il suo attendismo e i suoi cambi di rotta con la
difficoltà, «da diversi anni, di comprendere cosa voglia veramente il capo, cioè
il santo padre».
«Mentre da un lato – dal canale ufficiale della Congregazione della fede e
della Commissione Ecclesia Dei – ci vengono consegnati dei documenti da firmare o da discutere, dall’altro riceviamo
da persone che lavorano negli stessi ambienti, a Ecclesia Dei, o tramite un cardinale, un messaggio differente dalla linea
ufficiale, più o meno in questi termini:
“Fra poco il papa riconoscerà la Fraternità
come ha fatto per le scomuniche, senza
contropartita da parte della Fraternità”».
«Una situazione – prosegue Fellay nell’omelia – che pone grossi problemi, perché tale messaggio non dice la stessa cosa
del testo ricevuto. (…) Ai messaggi ufficiali,
in cui ci si chiede di accettare quello che
nei colloqui non abbiamo accettato, la
nostra risposta è no. Ma nello stesso momento in cui riceviamo le risposte ufficiali, continuano messaggi di benevolenza, di cui è impossibile mettere in
dubbio l’origine. (…) Potevamo ignorare
totalmente questa seconda linea? Bisognava necessariamente verificarla, verificare la sua autenticità, la sua veridicità».
Affermazioni che lasciano intendere lo
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Santa Sede
Legionari
spirito con cui la Fraternità ha partecipato ai colloqui dottrinali con le Congregazioni romane degli ultimi anni.
Il 30 giugno, stando ancora alle parole
di Fellay, giunge la risposta di Benedetto
XVI. «La lettera manifesta che è effettivamente lui, il papa, a essere intervenuto
per obbligare ad accettare il Concilio, per
reintrodurre nel testo tutto quello che
io avevo tolto e che non potevamo firmare». Facendo sua la linea della Congregazione per la dottrina della fede, il papa
avrebbe inoltre posto alla Fraternità tre
condizioni per arrivare al riconoscimento
giuridico: «Accettare che “il magistero è
giudice della Tradizione”(…); accettare
“che il Concilio fa parte di tale Tradizione”»; accettare la validità e la liceità
della nuova messa.
Venite sicuramente a Roma
Tra gli accorati «messaggi di benevolenza» ricevuti in questi mesi da Fellay va
probabilmente annoverata una lettera che
don Nicola Bux, consultore della Congregazione per la dottrina della fede e dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche
del sommo pontefice, ha pubblicato (il
19.3.2012, in francese e italiano) sul sito web
della Scuola Ecclesia mater, di cui è tra i
fondatori (www.scuolaecclesiamater.org).
«È indubbio che non pochi fatti del
concilio ecumenico Vaticano II e del periodo successivo, legati all’elemento
umano di questo avvenimento, abbiano
rappresentato vere calamità e addolorato
grandi uomini di Chiesa», scrive Bux.
Quindi l’invito: «Con le parole di santa Caterina da Siena, possiamo dirvi: “Venite sicuramente a Roma”, presso la casa del padre comune, che ci è stato donato come
perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità cattolica. (…) Il vostro rifiuto aumenterebbe lo spazio delle tenebre, non quello della luce. (…) Come non
valutare l’apporto che potrete dare, grazie
alle vostre risorse pastorali e dottrinali,
alle vostre capacità e sensibilità, al bene di
tutta la Chiesa?».
«Questo è il momento opportuno,
questa è l’ora favorevole per ritornare (…)
non lasciatevi sfuggire l’occasione di grazia
che il Signore vi offre, non lasciate che
passi accanto a voi e non la riconosciate.
Potrà il Signore concederne un’altra? (…) Il
cuore del santo padre palpita: egli vi attende con ansia, perché vi ama, perché la
Chiesa ha bisogno di voi per una comune
testimonianza di fede in un mondo sempre più secolarizzato e che sembra volgere
le spalle al suo Creatore e Salvatore».
M. B.
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Con l’uscita di scena di Corcuera (ufficialmente «non si tratta di una dimissione dall’ufficio (…) ma di una specie di
anno sabbatico chiesto e concesso al
direttore generale») il vecchio gruppo
dirigente legato al fondatore p. Maciel, la
cui iniziale conferma da parte del delegato pontificio aveva suscitato critiche e
malumori, subisce un secondo duro
colpo (dopo quello di febbraio; cf. Regno-att. 4,2012,81) e perde ulteriore
forza dentro la Legione.
Il carisma esiste
Ridefiniti:
vertici e carisma
N
on mi è stato facile ammetterlo,
ma per l’amore che nutro verso
ognuno di voi ho visto davanti a
Dio che non ho la salute e le energie
necessarie per affrontare in modo responsabile le esigenze del governo generale nel momento storico attuale della
Legione e del Regnum Christi».
È il passaggio con cui, in una lettera
datata 9 ottobre (apparsa l’11 sul sito
web della congregazione), il direttore
generale dei Legionari di Cristo, p. Álvaro
Corcuera, annuncia la decisione concordata col delegato pontificio, card. Velasio De Paolis, di «non esercitare» più le
sue funzioni di governo «fino alla convocazione del prossimo capitolo generale».
In attesa del capitolo, previsto tra
fine 2013 e inizio 2014, nel quale «si dovranno eleggere i nuovi superiori dell’Istituto e approvare le nuove Costituzioni», le funzioni di direttore generale
sono state affidate al vicario, p. Sylvester
Heereman, che rientra già tra le nomine
di De Paolis.
In una lettera che accompagna quella
di Corcuera (pubblicata sullo stesso sito
web), De Paolis parla dell’«invito» da lui
fatto al direttore generale come di «una
decisione dolorosa, che ha portato sofferenza a tutti», ma che «si è stimata necessaria per il bene della Legione e dello
stesso p. Álvaro». Infatti, prosegue la lettera, «il suo impegno, svolto spesso in un
clima di sofferenza e di incomprensione,
ha debilitato le sue energie», al punto da
far temere «che se avesse continuato
(…) avremmo potuto compromettere la
sua salute».
Nel frattempo, il progetto di revisione delle Costituzioni dei Legionari e
degli Statuti delle due componenti del
Regnum Christi ha segnato un passo
avanti decisivo.
Il 19 ottobre, sul sito della congregazione, una lettera del delegato pontificio annunciava la pubblicazione degli
«Elementi essenziali del carisma comune
del Regnum Christi». Si tratta di un testo
breve e «non definitivo», nato dall’ascolto di numerose «testimonianze
personali di coloro che hanno vissuto il
carisma del Regnum Christi», che «non
intende innovare nulla circa il carisma
stesso», ma si propone di «chiarirlo e
approfondirlo».
A conferma della scelta di Roma, intenzionata a riconoscere e salvare l’esperienza spirituale, nella lettera si legge
un’affermazione importante: l’ascolto
delle testimonianze «ci ha confermato
nella consapevolezza che il carisma esiste, ed è vissuto da coloro che ne fanno
parte». De Paolis ritiene inoltre utile precisare che «fa parte del carisma solo ciò
che viene approvato dalla Chiesa», ma
soprattutto «che il carisma non si identifica con la persona del fondatore,
tanto meno con la sua santità o con il
suo peccato»; essendo un dono fatto
alla Chiesa, essa «mediante la sua legittima autorità, lo riconosce come suo».
La pubblicazione degli Elementi essenziali del carisma segna l’inizio della
seconda fase del processo di «profonda
revisione» richiesto dal papa. A partire
da esso, «ogni componente del movimento (legionari, persone consacrate,
fedeli sposati o celibi), ciascuna secondo
la propria condizione nella Chiesa, rivedrà la normativa che la regola», precisando «l’identità e quindi la distinzione
di ogni gruppo». La cooperazione tra le
singole componenti secondo il carisma
comune, sarà l’obiettivo di una terza,
successiva fase del percorso.
M. B.
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Media digitali
MONACHESIMO
l
a rete nel chiostro...
I
l nuovo interesse da parte del
mondo religioso per Internet e i
media digitali viene attualmente
studiato dalle scienze sociali, che
si interrogano sulle modalità di
questa inedita presenza online e degli
eventuali tipi di pratica religiosa virtuale. Dalle religioni o dai gruppi reli-
…e il chiostro nella rete:
nuove chance, nuove sfide
giosi che esistono solamente sul web,1
alle confessioni tradizionali che si sforzano di trovarvi gli accenti giusti, l’offerta religiosa su Internet sembra sterminata. I monasteri, in linea di principio
«chiusi» e distaccati dal mondo, non
sono estranei a questo slancio e frequentano in vari modi la rete.
La pagina Facebook dell’abbazia benedettina di Göttweig, in Austria.
Il complesso viene anche definito la «Montecassino austriaca».
Fra reticenza ed entusiasmo l’impegno sul web non è tuttavia adottato
in maniera uniforme nella vita consacrata cattolica e le comunità religiose
lo praticano a livelli diversi secondo
diverse variabili e a seconda dello
scopo che si prefiggono. Qui non ci
occuperemo soltanto dell’arrivo dei
monasteri su Internet ma anche dell’entrata di Internet nei monasteri.
Questo nuovo mezzo di comunicazione in effetti non è senza conseguenze per la vita monastica e il suo
utilizzo chiama in causa alcuni dei
suoi fondamenti. Cercheremo di vedere innanzitutto come Internet viene
accolto nei monasteri e gli eventuali
punti di tensione che può causare, e in
seguito di considerare le modalità in
cui i monaci e le monache lo utilizzano nel comunicare col mondo. Infine punteremo l’attenzione sulla rete
sociale Facebook per vedere quali interrogativi possono nascere dalla presenza dei religiosi sulla rete e dal
modo in cui vi presentano la propria
identità religiosa.
Basandosi su indagini e interviste
realizzate nei monasteri soprattutto
francesi e austriaci e sullo studio dei siti
web delle comunità e delle pagine Facebook dei monaci, questo articolo intende interrogarsi sul modo monastico
di frequentare Internet, sia dal punto
di vista delle implicazioni del suo utilizzo, come nuovi comportamenti o
cambiamenti nella vita monastica, sia
dal punto di vista della presenza dei
monaci su Internet e dei loro intenti
nell’utilizzo di questo nuovo tipo di comunicazione con il mondo.
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Internet in monastero:
adat tare la vita monastica
Rapida adozione ma differenze che
persistono. Il mondo monastico ha generalmente adottato questo mezzo di
comunicazione senza ritardi particolari rispetto alla società nel suo insieme. Su 55 abbazie francesi recensite sul sito abbaye.net, 6 hanno aperto
il proprio sito fra il 1996 e il 1998, ossia prima dell’entrata massiccia di Internet nella vita quotidiana, e 28 fra il
1999 e il 2001.
Tuttavia, il suo utilizzo è lungi dall’essere omogeneo nel mondo religioso, e all’origine di queste differenze
vi sono le numerose variabili che caratterizzano le comunità. La prima è
quella del genere poiché, come nella
società in generale (sebbene lo scarto
tenda a colmarsi), le donne e in questo
caso le comunità femminili utilizzano
di meno Internet in confronto agli uomini, come si può notare nella tabella
1. A questa prima variabile si aggiunge
l’età, che spesso riguarda le medesime
comunità, in quanto l’età media delle
comunità femminili è in media più
elevata di quella delle comunità maschili. Non avendo conosciuto questo
mezzo di comunicazione nel mondo, e
non avendolo utilizzato personalmente, è raro che le monache anziane
vedano quale interesse avrebbe la loro
comunità a essere presente sul web.
Anche la clausura è una variabile notevole, in quanto le comunità ove la
clausura è più stretta sono quelle meno
presenti sul web. Questi tre elementi
spesso si trovano riuniti nelle comunità
femminili, e ciò ne spiega la minore
presenza su Internet rispetto alle comunità religiose maschili.
Un ultimo elemento da considerare è quello del tipo di attività che
svolgono le comunità religiose e del
loro livello di relazioni col mondo
esterno. I monasteri austriaci, ad
esempio, dalla riforma di Giuseppe
II nel XVIII secolo che esigeva che i
monasteri praticassero un’attività considerata «utile» per la società, sono
molto impegnati nelle scuole o nelle
parrocchie, e hanno dunque attività
molto più esterne dei monaci francesi, i quali vivono di un’economia
interna di produzione (tabella 2).
La clausura riconsiderata. Portando il mondo intero all’interno del
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Tabella 1: Comunità che hanno un sito web secondo il genere
Uso di
Internet
Francia
Austria
Comunità maschili
Comunità femminili
Totale
Hanno un sito web
Totale
Hanno un sito web
56
25
30 (53,6%)
24 (96%)
248
23
73 (29,4%)
12 (52,2%)
Tabella 2: Comunità benedettine che hanno un sito web.
Comunità benedettine
Uso di
Internet
Totale
Hanno un sito web
Francia
Italia
Germania
Belgio
Austria
Totale
80
208
66
28
22
404
41 (51,2%)
59 (28,4%)
51 (77,3%)
11 (39,3%)
18 (81,8%)
180 (44,6%)
monastero, e permettendo ai monaci
di esservi presenti talvolta da dentro la
propria cella, Internet rimette in discussione quell’elemento fondamentale della vita monastica che è la clausura. Secondo Max Weber, il monachesimo è un’ascesi extramondana
poiché «questa concentrazione [esclusiva dell’azione sull’opera della salvezza] può fare apparire come necessaria una separazione formale dal
“mondo”, dai legami sociali e mentali
della famiglia, del possesso, degli interessi politici, economici, artistici,
erotici, di tutti gli interessi relativi alla
realtà creata in generale, in quanto
ogni implicazione pratica di questi legami appare un’accettazione del
mondo, la quale allontana da Dio».2
I monaci non hanno lasciato il
mondo perché questo è cattivo in sé –
il che sarebbe in disaccordo con la
teologia cattolica della creazione del
mondo da parte di Dio – ma in
quanto esso non permette di trovare
la calma e la pace propizie all’introspezione e alla contemplazione. Ora
Internet, varcando liberamente la
clausura, è in grado di portare nel
chiostro il mondo intero, e permette
anche ai monaci di essere presenti nel
mondo senza lasciare il monastero.
Come afferma una monaca benedettina italiana, «inoltre Internet, mentre
da una parte in qualche modo ha annullato la clausura (muraria), dall’altro
paradossalmente la permette (pen-
siamo alle nuove frontiere di lavoro,
formazione ed evangelizzazione)».3
Trapassando i muri, il flusso dei dati
annulla la clausura e può rimettere il
monastero nel mondo, almeno virtualmente.
Il controllo
dell’at tività informatica
Per salvaguardare l’opportuno ritiro dal mondo che li contraddistingue, i monaci fanno in modo di regolare questa pratica, sia attraverso il
controllo comunitario del tempo e
dello spazio, sia con una disciplina
personale che si impongono in maniera individuale. Nelle abbazie francesi sono rari i monaci che hanno accesso a Internet dalla propria cella, se
non è in ragione di una funzione particolare, come quella dell’abate o dell’economo. La cella, che è il luogo più
recondito e più privato del monastero,
dove in teoria solo il suo occupante
può entrare, è anche un simbolo del
deserto interiore della vita monastica.
Così, il maestro dei novizi di Solesmes afferma: «Sarebbe evidentemente contraddittorio avere Internet
nella cella». Numerosi monasteri francesi come La Pierre-qui-Vire, Solesmes o l’abbazia trappista di Tamié
hanno installato delle sale di informatica, dove è possibile usufruire dell’accesso a Internet, e ciò permette
un controllo sociale fra i monaci, poiché sarà facile notare chi vi passa lun-
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ghe ore o chi esplora contenuti poco
degni del proprio stato di vita. In questi stessi monasteri l’abate toglie la
connessione fra l’ultimo ufficio della
sera e il primo ufficio del mattino, affinché i monaci non abbiano la tentazione di andarvi durante le ore destinate al riposo e rispettino così «il
grande silenzio della notte» raccomandato da san Benedetto nella sua
regola.
Nei monasteri austriaci, meno separati dal mondo, non sono presenti
queste discipline comunitarie; in compenso numerosi monaci mi hanno
detto di imporsi una disciplina personale. Ad esempio, il maestro dei novizi
dell’abbazia benedettina di Kremsmünster ha scelto di non tenere il
computer nella propria cella – dove
potrebbe quindi avere un accesso a Internet – e cerca per quanto è possibile
di non andare in ufficio dopo compieta. Ognuno si costruisce dunque la
propria pratica ascetica in relazione a
Internet, rafforzata durante il tempo
della Quaresima. Sembra anche affermarsi la tendenza a non andare su Internet dopo compieta per rispettare il
«grande silenzio della notte». Altri
adottano come giorni personali di «digiuno» da Internet i giorni di digiuno
comunitario e di astinenza dalle carni,
il mercoledì e il venerdì, talvolta il lunedì. Un giovane frate di Seitenstetten4
ha deciso anche di non visitare Facebook durante la Quaresima. Occorre
precisare che per certi monaci impegnati nella pastorale, o docenti del liceo
abbaziale, diventa quasi impossibile lavorare senza utilizzare Internet, strumento ormai imprescindibile, e dunque
sarebbe loro impossibile rinunciarvi
completamente. Le regole personali
che ciascuno si impone, o le regole comunitarie nel caso della Francia, testimoniano dunque del potenziale pericolo che rappresentano i media digitali
nel chiostro, ma parallelamente, poiché essi non vengono totalmente rifiutati, del loro carattere ormai irrinunciabile.
Una nuova presenza
nel mondo
Una nuova visibilità per i monaci
extramondani. Mentre i monaci nelle
società secolarizzate moderne sono
sempre meno visibili, perché non sono
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più presenti nei luoghi dove li si poteva trovare in precedenza (scuola,
parrocchia), di rado indossano l’abito
in pubblico, il loro numero assoluto è
in calo, e infine semplicemente perché
la gente non li va più a trovare, su Internet essi possono trovare una nuova
visibilità in un luogo a priori religiosamente neutro, che colloca ogni realtà su un piano di uguaglianza. Internet è in effetti un luogo ugualitario
nel senso in cui tutto vi è posto sullo
stesso piano, senza distinzione, e potenzialmente può dunque permettere
un pubblico più largo.
A parte i siti delle comunità religiose che spesso attirano un pubblico
già interessato (il 39% dei visitatori
del sito dell’abbazia di Tamié vi accede direttamente, digitando l’indirizzo del sito),5 i monaci tentano altri
tipi di presenza sulla rete per raggiungere un pubblico più largo. Così,
i monaci di Heiligenkreuz in Austria
hanno creato un monastic channel,
ovvero dei video sulla loro vita monastica regolarmente caricati in due lingue su Youtube. Sebbene esista un canale equivalente cattolico (kathTube),
i monaci hanno scelto positivamente
di utilizzare Youtube per raggiungere
coloro che spontaneamente non visiterebbero dei siti esplicitamente religiosi.
Internet è dunque a priori uno
strumento di comunicazione religiosamente neutro, tuttavia i monaci, per
conservarvi la propria condizione monastica, devono affermare la propria
differenza. In realtà una visita ai siti
web delle abbazie mostra rapidamente
che, se da una parte i monaci utilizzano gli stessi codici di comunicazione
del resto della rete, dall’altra se ne distaccano per mostrare la propria identità. I siti monastici saranno così palesemente non commerciali, senza
pubblicità né altri tipi di promozioni.
Un monaco austriaco mi diceva anche l’importanza di non aggredire lo
sguardo con messaggi che passano
senza sosta o foto che cambiano rapidamente.
Un nuovo mezzo d’evangelizzazione. La Chiesa cattolica ha ben presto considerato Internet un potenziale
alleato per l’evangelizzazione. Papa
Benedetto XVI, nel suo messaggio in
occasione della XLV Giornata mon-
diale delle comunicazioni sociali, ricorda che «anche in questo campo,
noi [cristiani] siamo chiamati ad annunciare la nostra fede che Cristo è
Dio, il Salvatore dell’uomo e della storia», e invita «i cristiani ad unirsi con
fiducia e con consapevole e responsabile creatività nella rete di rapporti
che l’era digitale ha reso possibile».6 I
monaci e le monache considereranno
allora Internet un luogo più che un
semplice mezzo, dove la gente passa
del tempo, è disponibile a lasciarsi andare alla curiosità e alla scoperta, ed
è aperta a nuove relazioni. Questa
evangelizzazione è tuttavia limitata
da due strettoie: da una parte i codici
di Internet che, generalmente, non
permettono un discorso teologico profondo, e dall’altra la difficoltà di valutare il pubblico realmente raggiunto.
Sono così presenti sulla rete tante
iniziative monastiche, a cominciare
dalla dimensione spesso spirituale che
viene conferita ai siti delle comunità.
Per i monaci in effetti è importante
non limitare il contenuto dei propri
siti alle informazioni ma mostrare anche qualcosa della propria spiritualità. Talvolta è possibile iscriversi per
ricevere quotidianamente il Vangelo
del giorno sulla propria e-mail o sullo
smartphone.
Facebook
o la rappresentazione
del sé religioso
Restare connessi con un pubblico
giovane. Come dimostrano le indagini statistiche, per le fasce di età più
giovani (adolescenti, giovani adulti) le
reti sociali e particolarmente Facebook
sono il primo mezzo di comunicazione e di informazione. Di conseguenza, se i monaci, specialmente per
motivi pastorali, vogliono restare in
contatto con quel pubblico occorre
che utilizzino questi nuovi media.
Uno studio tedesco mostra come, fra
i partecipanti a un certo avvenimento
ecclesiale, dal 10 al 20% ne sia venuto a conoscenza per mezzo di Facebook. 7 Ciò prova l’efficacia della
presenza su questo mezzo. Certe comunità scelgono dunque di avere una
pagina comunitaria – è il caso di 9
monasteri su 54 in Austria – o che
rappresenta un gruppo particolare,
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Tabella 3: Presentazione di monaci e monache su Facebook
Profilo su Facebook
Titolo religioso nel nome
Foto in abito
Entrambi
668
sì
no
48%
90%
44%
52%
10%
46%
dicando nel nome lo stato di vita e indossando, nella foto, l’abito (tabella
3). In questo caso, è proprio in quanto
religiosi che essi frequentano queste
reti sociali.
come il Treffpunkt Benedikt, gruppo di
giovani dell’abbazia di Kremsmünster. Alcuni monaci hanno anche una
pagina personale, che utilizzano per
fini privati oppure legati al proprio
compito, a seconda delle persone che
hanno fra i loro «amici». Se questi
monaci vogliono continuare a restare
in contatto con i segmenti di età che
utilizzano questi mezzi di comunicazione, è essenziale che li impieghino
essi stessi. Così un monaco tedesco, in
una «apologia di Facebook» afferma:
«In questo modo possiamo rivolgerci
anche a persone che non possiamo
più raggiungere con i nostri mezzi di
comunicazione “classici” (periodici
ecclesiali, bollettini parrocchiali…».8
Credibilità e incarnazione. Lo studio di 50 profili di monaci e monache
austriaci e tedeschi (non ne ho praticamente trovati di francesi) fa balzare
all’occhio un grande lavoro sulla credibilità. Per mezzo delle foto che vengono caricate o, come dice un monaco
austriaco di Seitenstetten, mostrando i
propri interessi, i monaci si presentano
nella propria umanità, al di fuori del
loro ruolo puramente religioso e possono per questo risultare presso un
pubblico giovane maggiormente incarnati e credibili. Come abbiamo
detto, i monaci sono in generale meno
visibili nella società moderna: Facebook può mostrarli nella loro vita quotidiana e forse ridurre il divario di
comprensione che può esistere fra essi
e la società. In generale, i monaci e le
monache si presentano su Facebook
secondo la loro identità religiosa, in-
Un pericolo per i monaci?
Ma tale presenza monastica su Facebook non è esente da interrogativi.
Quando, nei vari profili dei monaci
austriaci, si osservano le loro foto al cinema, mentre giocano a calcio o
fanno il bagno in costume nel Mar
Morto, ci si può chiedere cosa vadano
cercando su queste reti sociali. I sociologi, studiando questi media, hanno evidenziato che utilizza maggiormente Facebook chi è più alla ricerca
di autostima.9 Quando i monaci mostrano le proprie attività su Facebook,
stanno cercando un riconoscimento
al di fuori della propria comunità? Si
attendono da parte della società secolarizzata, a seconda di come essa approverà le loro foto e il loro stato di
vita («mi piace»), una giustificazione
della propria identità di monaci? Allo
stesso modo, H.-T. Grace Chou ha
mostrato come le persone più attive su
Facebook siano quelle più propense a
credere che la vita degli altri sia migliore della propria. In effetti spesso si
esibirà sulle reti sociali quanto si ha di
positivo, talvolta davvero per dimostrare agli altri di essere capaci di
qualcosa di meglio. Ciò vale anche
per i monaci, nei confronti dei loro
«amici» laici? O inversamente, affermando su Internet la propria soddisfazione di essere religiosi, come una
1
Ad esempio «The Virtual Church of the
Blind Chihuahua». Riguardo alle religioni virtuali, cf. M.T. HOJSGAARD, «Cyber-religion: on
the cutting edge between the virtual and the real»,
in M. HØJSGAARD, M. WARBURG (a cura), Religion
and Cyberspace, Routledge, London 2005.
2
M. WEBER, Sociologie des religions, traduzione
di Jean-Pierre Grossein, Gallimard, Paris 1996, 194.
3
B. ZORZI, «La vita monastica a 40 anni dal
Concilio. Valutando il post-concilio: istanze accolte e disattese, sfide e prospettive (di “genere”)»,
in E. LOPEZ-TELLO GARCÌA, B.S. ZORZI (a cura
di), Church, society and monasticism, Studia Anselmiana, Roma 2009, 368.
4
Monastero benedettino in Bassa Austria/Niederösterreich.
5
Tamié è un’abbazia trappista maschile in
Savoia, Francia. Queste cifre, generate automaticamente dal sito, riguardano l’anno 2008 e mi sono
state fornite dal religioso responsabile del sito.
6
BENEDETTO XVI, messaggio Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale per la
XLV Giornata mondiale delle comunicazioni
sociali, 24.1.2011.
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suora tedesca che afferma di essere
«una felicissima suora del Carmelo»,
ci si attende che ciò abbia un effetto
sulle persone laiche che potrebbero
essere portate ad ammirare la vita
monastica? La maniera in cui i monaci e le monache rappresentano la
propria vita monastica sulle reti sociali
stimola dunque l’interrogativo riguardo a che cosa vi ricerchino, come
giustificazione esteriore alla vita religiosa.
In conclusione, la maggior parte
dei monasteri non è dunque assente
dal mondo della rete, senza però dimenticare le piccole comunità femminili, sempre più anziane, che perdono ulteriormente dinamismo e
visibilità a confronto delle altre in ragione dell’assenza dal web. Tutti questi fattori insieme rischiano di rendere
ancora più difficile la loro sopravvivenza.
Il mondo della rete, per la sua infinita diversità, comporta inoltre un
senso di incertezza riguardo all’autenticità di ciò che vi si può trovare. Il
mio obiettivo era focalizzato sulla
presenza dei monasteri reali sul web,
ma non tutte le presenze che si dichiarano «monastiche» promanano
necessariamente da un monastero
istituzionale, e può essere talvolta difficile per gli internauti distinguere
l’autenticità del messaggio. Ricercando monasteri virtuali sul web, ci si
può in realtà imbattere in siti creati
da laici che si richiamano alla spiritualità monastica. Nel «monastero
virtuale»,10 ad esempio, si afferma
che «il sito è di proprietà di tutti gli
uomini di buona volontà». L’esplorazione del web religioso dunque richiede sempre di vigilare sull’origine
dei siti, naturalmente a seconda di
ciò che vi si sta cercando.
Isabelle Jonveaux
7
J. PELZER, «Implizit religiös, Soziale
Netzwerke und ihre Rolle für die kirchliche
Kommunikation», in Communicatio Socialis
45(2012), 32.
8
M. RUNGE, «Kleines Plädoyer für Facebook. Begegnungen mit der Popkultur (2)», in
Erbe und Auftrag 87(2011) 2, 217.
9
C. CHRISTOPHE, «Narcissism on Facebook:
Self-promotional and anti-social behavior», in
Personality and Individual Differences 52(2012),
482-486.
10
www.monasterovirtuale.it.
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Te o l o g i a
PSICANALISI
l
a parola fatta silenzio
Q
uanto può dirsi, si può dir
chiaro; e su ciò, di cui non
si può parlare, si deve tacere» – così, nella Prefazione al suo libro più noto, Ludwig Wittgenstein.1
Con il proposito di dar ascolto a questa
preziosa indicazione, mi accingo a tratteggiare qualche linea intorno a quell’evento
che va sotto il nome di «silenzio» – perché
di accadimento si tratta. Infatti, sebbene lo
si ritenga in certo senso condizione di possibilità della parola, versante dal quale essa
si sporge, il silenzio è pur sempre qualcosa
di cui facciamo esperienza, almeno come
sospensione della parola, e perciò succede,
avviene, quindi è evento. Per tale ragione,
del silenzio si può parlare. Dal momento
che ne fa esperienza, ognuno, a suo modo,
ne sa qualcosa.
La tradizione cristiana, nella sua antica radice ebraica, attribuisce un valore
preminente alla parola, per la quale il Dio
d’Israele crea l’universo e lo sostiene. Persino al suo vertice, come nuovo inizio, il cristianesimo considera Gesù di Nazaret la
Parola primigenia (Logos, Verbo) che
«carne si fece» (cf. Gv 1,14: «Logos sarx
egheneto»). Tuttavia, il culmine della vicenda storica di quest’uomo venuto da Dio
si consuma nel silenzio della morte, quando
la sua voce vibrante è soffocata dall’ultimo
grido. Da qui ha inizio la storia della fede
cristiana, dal silenzio del Crocifisso.
In questo breve intervento, mi soffermerò su alcuni nodi che il pensiero credente ha visto stringersi intorno al legame
tra silenzio e parola, ovvero tra due eventi
nei quali s’inscrive l’eventuale relazione tra
l’uomo e il Dio di Gesù Cristo. Evidentemente, il discorso si svolge a due livelli in-
Riprendendo i significati di trascendenza
e incar nazione nel pensiero cristiano
terconnessi: quello antropologico e quello
teologico – con qualche cauto rimando alla
psicoanalisi, con la speranza di entrare in
dialogo.
La parola non dice tut to
Già in occasione del proficuo incontro
col presidente dell’International Psychoanalytical Association, il dott. Stefano Bolognini (nell’ottobre 2011, alla Scuola Normale di Pisa) − a proposito del suo libro Lo
Zen e l’arte di non sapere cosa dire (2010) −,
ebbi modo di evidenziare il nesso tra potenza e fragilità della parola.2 Pur ammettendo l’importanza della capacità trasformante e vitale della parola, vi è anche
un’altra dimensione, altrettanto essenziale,
che appartiene alla prassi analitica e all’esperienza religiosa: si tratta della fragilità
e inadeguatezza della parola rispetto alle
cose, alle persone, al mistero di Dio. Proseguendo la riflessione, ci chiediamo se
non si debba altrettanto valutare la potenza e la fragilità del silenzio.
Appartiene a un pensiero corrente
l’idea che il silenzio stia alla parola come
l’ombra alla luce, ovvero come il suo rovescio, il lato oscuro di ciò che merita maggior apprezzamento. Tuttavia, l’esperienza
rivela tutta l’ambiguità di tale luogo comune: il silenzio è doloroso quando è assenza, distacco, lontananza; come la tenebra, quando è disorientamento, cecità,
buio profondo. Non così, quando il silenzio è pausa, riposo, ascolto; come quando
l’ombra è frescura, riparo, refrigerio.
Questa semplice osservazione può risultare utile se consideriamo la cultura
odierna, in cui noi, nipoti dell’età dei
Lumi, siamo persuasi che il nitore dei pensieri e la chiarezza delle parole valgano più
del chiaroscuro, dell’insicurezza, dell’incertezza. Quella della luce, come pretesa
assoluta della ragione onnipotente, diviene
persino metafora tragica, talvolta sorgente
di violenza, come attestano le grandi narrazioni ideologiche del Novecento. Eppure anche il sogno solare della ragione va
incontro alla sua crisi, si estenua nella liquefazione, svanisce nell’inconcludente incomunicabilità (nonostante l’imperio dei
media – la «mediumcrazia»).
Mentre a questa deriva rischia di approdare la cultura odierna, la fede cristiana, da parte sua, ha imparato a mantenere la polarità tra parola e silenzio,
all’interno della propria variegata tradizione di esperienza e di pensiero. Predicazione pubblica e vita claustrale, infatti,
rappresentano le forme materiali della loro
compossibilità, laddove si proclama il
Verbo ad alta voce su tutta la terra e, d’altra parte, lo si ascolta in solitudine e in silenzio fuori dal mondo. A livello di riflessione, poi, convivono teologia catafatica e
teologia apofatica: il mistero di Dio è in
qualche misura percepibile e comunicabile, pur restando al tempo stesso inafferrabile e indicibile. In quest’ultimo senso, il
credente sosta nell’epoché, ascolta il silenzio, si lascia penetrare da un raggio di tenebra.
La consapevolezza espressa nell’adagio
«Inter Creatorem et creaturam non potest similitudo notari, quin inter eos maior sit
dissimilitudo»3 mette in guardia il pensiero cristiano dinanzi alla stessa pretesa di
dire Dio in modo esaustivo. Lo stesso
Tommaso d’Aquino ne era consapevole,
affermando che: «Actus autem credentis
non terminatur ad enuntiabile sed ad
rem».4 In definitiva, come ricordava acu-
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tamente Nicolò Cusano, quella della fede
è una «dotta ignoranza» del Deus absconditus.5
Paradossalmente, mentre si crede che
Dio parli, si deve prender atto che nessuno
ne ode la voce; egli rimane silenzioso sia
per chi crede sia per chi non crede. Anzi,
chi crede, ritiene di poter udire la sua Parola, ma più che nella solitaria percezione
interiore, nella storia di Gesù di Nazaret.
Perciò, questa parola abbreviata (il Verbum abbreviatum della tradizione medioevale) erompe dal silenzio e al silenzio ritorna, secondo quanto insegna Giovanni
della Croce: «Il Padre pronunciò una parola, che fu suo Figlio e sempre la ripete in
un eterno silenzio; perciò in silenzio essa
deve essere ascoltata dall’anima».6 Certezza storica della parola divina umanizzata e incertezza della sua percezione e
comprensione convivono. Nonostante
possa apparire singolare, l’esperienza della
fede cristiana custodisce nel suo patrimonio genetico il codice dell’esitazione, da cui
procedono l’affidamento, la fiducia e, in
definitiva, il credere stesso.
Nondimeno, le esperienze religiose altre da quella cristiana sembrano abitare
continenti affini, dal momento che la muta
inaccessibilità del divino viene interrotta
dai mediatori profetici − nelle tradizioni
monoteistiche di radice abramitica (ebraismo, cristianesimo, islam) −, o penetrata
dall’esperienza mistica dell’indistinzione
cosmoteandrica – nelle religioni orientali
(induismo, buddhismo, taoismo). All’interno di queste due prospettive, potremmo
anche riferirci a una distinzione sul modo
d’intendere il silenzio. Mentre per le religioni monoteistiche abramitiche «tacere»
significa zittirsi in ascolto del divino che si
rivela; in quelle mistiche asiatiche «silere»
vale ad accostarsi alla realtà ultima partecipando dell’ineffabile. In certo senso, sulla
soglia del silenzio, le religioni sembrano sostare insieme – e forse proprio su tale soglia trovano posto anche i non credenti.
Dunque, sia che il mistero trascendente di Dio faccia spazio alla parola dei
suoi interpreti, sia che si aspiri a raggiungerlo con la meditazione zen, comunque,
il divino abita il silenzio. Il silenzio di Dio,
più che un’ipotesi, si configura come la
condizione di possibilità del suo eventuale
uscirne, data la sua certa invisibilità e assoluta alterità. Noi uomini abbiamo la parola, per noi il silenzio è sospensione del discorso; per Dio vale il rovescio: egli è
silenzio, e la sua parola non potrebbe es-
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sere altro che sorprendente interruzione di
esso. Su questa linea d’orizzonte, le diverse esperienze religiose prendono forma,
assumendo il rischio di ascoltare parole
inaudite e di sostenere verità inconoscibili.
A questo paradosso, il cristianesimo tiene
fede, nel momento in cui attribuisce a Dio
la libertà di parlare e di tacere, nel vivere
e nel morire di Gesù di Nazaret. Nasce da
qui, intorno al senso di tale evento, la questione radicale del rapporto tra parola e silenzio.
La questione del senso
Da lungo tempo e da più parti, si ritiene
che la questione di Dio sia risposta alla questione dell’uomo, al suo desiderio d’infinito
e alla sua incompiutezza. Al contrario, non
è piuttosto Dio l’inquietante domanda rivolta all’uomo, proprio grazie al suo silenzio? Noi umani, parlanti, sappiamo che è il
silenzio a provocare la domanda di senso.
Cosa vuol dire il tuo silenzio – chiede
l’astante? Il silenzio suscita la domanda in
chi lo incontra. Questa potrebbe essere
l’origine dell’esperienza religiosa. Il silenzio
dell’Uno suscita la domanda nell’altro: perché non mi parli? Davvero esisti, se taci? O
non, invece, è solo della morte e del nulla il
silenzio? Mentre il silenzio dell’uomo di
fronte all’uomo suscita la domanda sulla relazione, sul suo senso e su che cosa cambia
in essa, il silenzio di Dio di fronte all’uomo
provoca la domanda sulla possibilità della
relazione, se davvero possa darsi, o non
piuttosto sia semplice desiderio, proiezione,
illusione.
Se consideriamo una tra le più spinose
questioni religiose, ovvero la realtà del dolore umano, questa ipotesi diviene più
chiara. Il Dio che si crede buono e amante
dell’uomo risulta incomprensibile per la
sua inazione di fronte al male – né vale
come spiegazione sufficiente la ricerca di
qualsivoglia colpevole. Dinanzi all’esistenza del dolore non ci sono parole utili di
Dio, finché non sarà lui a parlare; anzi,
meglio sarà il suo tacere di una spiegazione
inaccettabile. Ed è proprio intorno a questo nodo cruciale che per la fede cristiana
si dischiude la questione del senso, tra parola e silenzio.
Guardando al crocifisso Gesù di Nazaret, il silenzio tra Dio e l’uomo si fa persino silenzio tra Dio e il suo Figlio. Si tratta
dell’indifferente sottrazione di un «padrone assenteista», o dell’attento ascolto
empatico di colui che accetta d’immergersi nel più profondo abisso umano, ri-
nunciando alla replica? Il silenzio in Dio
attesta la sua «assenza» o non piuttosto la
sua «essenza»? Potrebbe avere un senso la
risposta di Dio al dolore come silenziosa e
amorevole compagnia, nella speranza di
attraversare insieme la notte?
Per i cristiani, è qui in atto l’effettiva decostruzione dell’immagine potente del Dio
della parola creatrice. Attraverso l’inaudita onnipotenza dell’amore, che liberamente trasforma la cattura in offerta, la distanza in empatia, la distruzione in
comunione, si compie un evento generativo: dal silenzio della morte germoglia
una parola di vita nuova. Assumendo questa prospettiva complessa, non risolutiva,
in attesa della risposta sempre sfuggente
alla domanda di Dio, il credente diviene
così capace di abitare umilmente l’incerto
spazio del mistero, sostenuto da un pensiero che potremmo definire «crocifisso»,
la cui cifra è il silenzio.
Se al centro della fede cristiana si staglia il Logos crocifisso, la Parola fatta silenzio, proclamata come speranza di vita,
ciò significa che la duplice immagine di
Dio, cara alla tradizione ebraico-cristiana,
viene mantenuta. Silente trascendenza e
verbale incarnazione permettono, al contempo, di tacère e silère; di porsi la mano
alla bocca come Giobbe (cf. Gb 40,4), per
sostare in un silenzio non vuoto, ma abitato da una presenza – non più davanti a
«quell’orientale avido di onori e di incensi
nella sua sede celeste» (F. Nietzsche), ma al
cospetto del fragile amore crocifisso. Il silenzio può essere così pensato come condizione di possibilità, e parimenti esito,
della forma empatica della relazione, in cui
si offre spazio all’altro, in ragione della reciproca libertà.
La penombra e il balbet tio
Con questo rapido sguardo sul silenzio,
si è voluto evidenziarne il carattere integrativo rispetto alla parola, senza voler celebrare primati, ma solo annotandone la
complementarietà, e persino l’ambivalenza. Da un lato, c’è un modo di tacere,
compiacente di se stesso, superbo, offensivo, e, dall’altro, c’è un silenzio che ha il
potere di chiarificare, di purificare, di concentrarci su ciò che è essenziale. Il nucleo
incandescente dell’esperienza cristiana −
l’evento pasquale di Gesù di Nazaret − ha
l’umile pretesa di lasciar brillare quella
scintilla di silenzio, grazie alla quale si diparte l’avventuroso incedere del credente,
nel chiaroscuro della fede.
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Italia
Architettura sacra
Come la terapia analitica conosce e
apprezza la discreta pazienza di attendere,
senza pretendere di saper subito che cosa
dire, parimenti l’esperienza credente non
può rinunciare alla sospensione propria
della fede, a quello iato che avviene tra il
parlare e il tacere, tra la luce e l’ombra, tra
persona e persona, tra il Crocifisso e il Padre, tra l’uomo e Dio. Tale epoché, anziché
significare il vuoto, costituisce spazio di libertà, che permette alle relazioni di formarsi e di trasformarsi, il cui esito riuscito
potrà riconoscersi come pura grazia. Il
che vuol dire vivere ogni relazione − tra
cui anche la più pericolosa, quella con Dio
− tra penombra e balbettìo, poiché stare
da una parte sola è sempre troppo poco.
Probabilmente, in quest’alveo è possibile
comprendere la sopravvivenza di potenza
e fragilità del silenzio, come della parola.
In definitiva, a ben guardare, molte
cose, nella vita − tra cui le relazioni −, si
trasformano in silenzio, e ad esso sono
provvidenzialmente debitrici. «In natura:
non si sentono i fiumi scavare il loro letto
o i venti abradere le cime dei monti, ma
sono loro ad aver disegnato poco a poco il
rilievo che abbiamo sotto gli occhi e a formare il paesaggio. (…) Allo stesso modo
non ci accorgiamo che i nostri figli crescono; o noi stessi non ci accorgiamo d’invecchiare. (…) Quello che avremmo un
tempo creduto impossibile, o che non
avremmo mai potuto immaginare, è infine
così ben risultato da questo svolgimento silenzioso che alla fine non ci sembra neppure più il caso di opporci a esso o anche
soltanto sorprendercene».7
Maurizio Gronchi*
* Maurizio Gronchi, che insegna alla Pontificia
università urbaniana, ha tenuto la presente riflessione
nel corso del Seminario psicanalitico 2012 (Firenze,
6.10.2012) dedicato a: «Il silenzio in psicanalisi».
1
L. WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, Prefazione (Vienna 1918), Einaudi, Milano 1984,
3.
2
Cf. M. GRONCHI, «Interrogando la psicoanalisi. Come cambia il mondo interno quando si trasforma quello esterno», in Regno-att. 20,2011,695ss.
3
CONCILIO LATERANENSE IV, c. II. De errore
abbatis Ioachim, in Denz 806.
4
TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae II-II,
q. 1, a. 2, ad 2.
5
Cf. N. CUSANO, La dotta ignoranza. Le congetture, a cura di G. Santinello, Rusconi, Milano 1988.
6
GIOVANNI DELLA CROCE, Parole di luce e
d’amore. Sentenze, 21, in ID., Opere, a cura di Ferdinando di S. Maria, Postulazione dei Carmelitani
Scalzi, Roma ³1975, 1095.
7
F. JULLIEN, «Ogni cosa si trasforma in silenzio»,
in Il Sole 24 Ore 6.5.2012, 32.
Sulle chiese
del Concilio
A
50 anni di distanza dal concilio Vaticano II è possibile fare un’analisi di
quanto in campo architettonico è
stato fatto fino ad oggi, per capire in che
maniera il rinnovamento proposto dal Concilio sia stato interpretato e quali proposte
potranno essere sviluppate per l’immediato
futuro. Una riflessione sul Concilio e sui
contenuti delle costituzioni dogmatiche,
soprattutto in riferimento ai due temi cardine dell’ecclesiologia e dell’escatologia, risulta, infatti, essere il migliore punto di partenza per comprendere quale modalità di
presenza l’edificio ecclesiale possa proporre
nella realtà odierna, in un momento storico
di profondi mutamenti sociali, fisici ed economici.
Considerando che parlare di identità
dell’edificio liturgico ecclesiale significa fare
diretto riferimento alla necessità che la comunità cristiana ha di riconoscersi nelle
forme fisiche dell’architettura, il quesito su
quali siano le modalità che permettono alla
Chiesa di esprimersi in forme materiche
identitarie, contemporanee e accessibili, è
una delle problematiche che costituiscono
la base che accomuna i temi proposti per gli
appuntamenti annuali del neonato Osservatorio sull’architettura sacra.
Nella tendenza individualistica della cultura contemporanea e nell’accento posto
sulle identità effimere del consumo e del
virtuale, è essenziale che venga fatta una
seria riflessione capace di cogliere le potenzialità e le proposte che la Chiesa può
fare per manifestare la sua presenza nel
mondo. Gli appuntamenti dell’Osservatorio intendono, quindi, affrontare da varie
angolature la realtà dell’edifico ecclesiale
nel contemporaneo, chiedendosi quali siano
le possibilità di coniugare le espressioni locali all’interno di un panorama di riferimento universale e quali siano le forme idonee a presentare la chiesa come un luogo
attraente senza scadere nella figura di facile
consumo. Come l’edificio ecclesiale può essere disponibile e accogliente manifestando
un’idea chiara di comunità e non un’immagine ecclesiale confusa e compromessa da
un non ponderato desiderio di «modernità»?
La liturgia è la principale azione della
Chiesa e la motivazione prima dell’edificio
ecclesiale, ma quali sono i mezzi e le modalità idonee perché quest’ultimo possa essere
pienamente rispondente alle attese della
comunità che celebra, ma sia anche capace
di trasferire i contenuti profondi dell’azione
rituale nelle forme materiche perché queste
possano testimoniare le verità rivelate anche
nei momenti in cui non è più in atto la celebrazione liturgica? Come la chiesa edificio
si deve manifestare alla e nella città?
La Chiesa e la cit tà
Il primo incontro dell’Osservatorio si è
tenuto a Bologna il 5 ottobre e ha avuto
come oggetto di discussione: «La Chiesa e la
sua presenza nella città». Configurato come
un seminario a inviti, l’Osservatorio ha raccolto attorno al tema 35 persone, liturgisti,
teologi e architetti, che si interessano dell’edificio ecclesiale a livello di ricerca scientifica.
In merito all’argomento trattato è risultata evidente la marginalità attuale dell’edificio liturgico rispetto al contesto culturale
e urbano della contemporaneità. Se un
tempo la chiesa era considerata un punto di
centralità e di riferimento nel paesaggio urbano, nel XX secolo l’interpretazione di una
comunità cristiana presente in maniera discreta all’interno della società, ha modificato la modalità con la quale l’edificio ecclesiale si manifesta alla città. Diverse le
posizioni espresse nell’ambito del seminario:
da quelle tendenti a ribadire l’opportunità di
una presenza cristiana poco visibile e lontana da volontà di egemonia, a quelle tendenti a una proposta di una più marcata visibilità della chiesa rispetto al panorama
urbano delle città. Nell’ambito del seminario non sono state tratte conclusioni, ma
sono state espressi pareri e punti di vista che
probabilmente necessiteranno di ulteriori
approfondimenti, incontri e ricerche, anche
se la pubblicazione degli atti del primo incontro dell’Osservatorio poterà inevitabilmente a tracciare qualche considerazione
generale.
Tra gli intervenuti è emerso unanime il
desiderio di continuare il confronto interdisciplinare proposto, rilevando come sia indispensabile lavorare in maniera congiunta
allo sviluppo di una ricerca che ha condotto
e accompagnato la riflessione architettonica in merito all’architettura sacra, dalle fasi
pre-conciliari fino ad oggi.
Claudia Manenti
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Santuari e religione popolare
I TA L I A
i
nuovi pellegrini
Classe media, prevalenza dei sensi
Q
uali le conclusioni al
Convegno sulla religione
popolare svoltosi il 19 e
20 ottobre 2012 presso
la basilica del Santo di
Padova, con la partecipazione di sociologi e semiologi italiani
e stranieri? La prima è sicuramente l’attualità della religiosità popolare quale
ripresentazione, trasformazione, quasi
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un avatar o rinascita della religione di
sempre. La seconda è la crescente presenza di pellegrini appartenenti alle
classi medie ed elevate e al mondo giovanile, oltre che al mondo dei non credenti e dei credenti a religioni non cristiane. Infine, ciò che il convegno ha
definito come «la generatività culturale
e spirituale dei santuari». Si è trattato di
orientamenti che non hanno fatto riferimento alle precedenti concezioni della
religione popolare quale residuo del
passato o forma pittoresca del religioso
inautentico; e nemmeno, come direbbe
Gramsci, solamente peculiare delle
classi subalterne.
At tualità della religione
popolare
Oltre le molte discussioni circa la
scomparsa della religione nelle società
moderne e il suo ritorno, la religione
popolare è sempre rimasta salda e viva.
Il detto di Galileo «eppur si muove» si sarebbe dovuto applicare anche alla religione popolare negli anni in cui si preconizzava l’eclissi del sacro. La religione
popolare è sopravvissuta anche nei decenni nei quali maggiore è stato il primato accordato all’espressione intellettuale della fede professata e vissuta nella
militanza storica. È sopravvissuta in una
sorta di clandestinità, fuori dai sistemi
teologici della razionalità e della tecnica
annuncianti il trionfo della scienza e
della laicità. E oggi, nella metamorfosi
delle strutture materiali e simboliche
delle società post-secolari, la religione
popolare ritorna suggestiva per molteplici ragioni.
Nella ricerca presentata durante il
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convegno sui pellegrini alla basilica di
Sant’Antonio a Padova, l’attualità della
religione popolare emerge nella trasversalità sociale, culturale, anagrafica e anche religiosa dei pellegrini.1 I nuovi pellegrini sono giovani, adulti e anziani,
donne e uomini con diversi livelli di
istruzione, italiani e stranieri, cattolici
praticanti e non praticanti, e, di recente,
anche cristiani e non cristiani.
Questa trasversalità dei pellegrini
contrasta con l’idea della religione popolare propria solo delle classi con limitata cultura e sensibilità. È sulla base di
questi dati che si comprende la grande
varietà delle motivazioni che spingono i
pellegrini alla devozione a sant’Antonio.
Le pratiche del pellegrinaggio sono
orientate in primo luogo alla protezione
del singolo pellegrino e delle persone vicine, e inoltre ai problemi di salute, di lavoro e di rapporti con gli altri. Sono problemi presenti o che si teme possano
porsi in futuro. La fonte della rassicurazione, nel caso di questa ricerca, è la figura di sant’Antonio, al quale il devoto
si sente legato emotivamente e con il
quale mantiene relazioni di ricordo, di
lode, di riconoscenza con preghiere, visite e offerte. Tale legame si rafforza
nelle situazioni di maggior rischio esistenziale. Tra i pellegrini ci sono sia
quelli che partecipano per chiedere una
grazia sia quelli che, avendola già ricevuta, sentono il bisogno di esprimere riconoscenza e rinsaldare il legame, la fiducia e la speranza di aiuti futuri. Dai
dati presentati nella ricerca risulta che le
motivazioni di aiuto e protezione sono il
47,9%, quelle di ringraziamento il
25,2%, quelle di devozione e attacca-
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mento il 22%, quelle di partecipazione
casuale il 4,9%.
Nella logica di queste motivazioni e
delle pratiche conseguenti sta il rapporto
tra il dono richiesto al Santo (la grazia)
e il dono offerto dal devoto al Santo. Si
tratta di un rapporto di scambio: il pellegrino presenta la sua richiesta e offre
preghiere, promesse, ceri, fiori, ex voto,
offerte in denaro. In questo rapporto di
scambio, e nelle sue varie funzioni materiali di «rifare l’ordine» in una situazione di rischio esistenziale, non sono
da rilevare unicamente le forme di preghiera tradizionale. Altre ricerche sui
pellegrini ai grandi santuari terapeutici
quali Fatima e Lourdes hanno evidenziato che la grazia ricevuta sta sia nella
risoluzione del problema, sia nella forza
ottenuta nell’affrontare e accettare la situazione di rischio. Non quindi l’uomo
primitivo che attendeva la pioggia dopo
aver eseguito il rituale previsto, ma
l’uomo che ricerca con le sue pratiche la
forza morale per affrontare e accettare il
suo avvenire.
Il diverso profilo
del pellegrino
La seconda conclusione è la maggiore presenza nei santuari di pellegrini
della middle class piuttosto che della working class. L’indagine citata smentisce
tutti i luoghi comuni sulla devozione popolare, quale religione di anziani, poco
scolarizzati e a basso reddito. Non è più
il popolo degli strati inferiori, ma è la società intera che, seppur in forme, tempi
e modalità diverse partecipa alla vita dei
santuari. Il profilo demografico vede individui di ogni età, genere, cultura e condizione socio-professionale. Anche il profilo religioso richiama la tipologia che si
ritrova nelle altre ricerche di sociologia
della religione in generale: credenti praticanti, credenti saltuari, credenti «a
modo loro».
La religione popolare rimane una religione dei sensi. Trascorrere un giorno
in un santuario per osservare i pellegrini
durante i riti individuali e collettivi conferma un ulteriore elemento. Non si
tratta di una religione intellettuale, ma di
una religione dei sensi. Tutte le pratiche
della religione popolare hanno un forte
riferimento ai sensi: il profumo degli incensi e della cera delle candele; mani
che toccano i marmi, le balaustre e i reliquiari; i canti, il suono dell’organo e il
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sottofondo delle preghiere bisbigliate dai
pellegrini; il pellegrino in piedi o in ginocchio, le mani alzate o giunte, il capo
appoggiato al grande reliquiario che custodisce il corpo del Santo.
Tutto nella religione popolare è per
l’homo videns che guarda, contempla, si
immerge nei diversi spazi della penombra, dei colori soffusi o della piena luce.
Tutto si offre al pellegrino perché egli lo
faccia suo, se ne appropri nei modi e
forme che maggiormente lo emozionano. Per tutto ciò il pellegrino è contrario a quanto ridimensiona la prevalenza dei sensi; per questo è contrario
alle candele elettriche che, pur conservando il simbolo della luce, sottraggono
l’odore della cera che brucia e il calore
della fiamma. Accendere meccanicamente con una moneta una candela che
simula la fiamma, non produce l’emozione che si prova nell’accendere personalmente un cero dopo averlo scelto tra
molti e averlo deposto nel luogo voluto
davanti alla statua del santo o nel posto
significativo per la propria devozione.
Alla candela elettrica manca tutto ciò, oltre che il profumo della cera, la fiammella che si muove a ogni soffio, il fumo
della cera che si brucia. Nel mondo dei
simboli al quale appartengono anche i
ceri, nulla è insignificante, soprattutto
nelle cose minime.
La religione popolare ha sempre seguito il principio secondo cui gli uomini
conoscono l’invisibile attraverso il sensibile e il senso si imprime nelle pratiche
corporali che risultano esse stesse di natura discorsiva. Ma la permanenza della
materialità delle pratiche rituali non presuppone che nel tempo non si trasformi
anche il loro significato.
Come cambiano i santuari
Introducendo il concetto di generatività dei beni della religione popolare, ci
si chiede: in quali modi la religione popolare contribuisce a promuovere anche
comunità e territori? È infatti di evidenza che valorizzare un antico santuario alpino, un’abbazia romanica, un
santo popolare, un sacro monte, una
croce campestre contribuisce a rigenerare un’intera vallata e anche a rilanciare l’economia di una comunità. Che
cosa può ridare oggi nuovo fascino, valore e significato a questo grande patrimonio religioso? Non sono sufficienti le
buone intenzioni per avere successo. Si
tratta di un processo di valorizzazione
che richiede modalità e capacità che non
tutti hanno. A tal proposito, si direbbe
che i beni della religione popolare attivano le loro risorse spirituali e anche
economiche solo a condizione che la religione popolare sappia continuare a
svolgere la sua propria e peculiare capacità sia di invenzione della vita quotidiana, sia di produzione di meta-narrazioni.
L’in-venire della religione popolare –
cioè tutto ciò che essa sa produrre e offrire al devoto – rappresenta una grande
trasformazione, poiché essa, anziché critica del razionalismo e del funzionalismo, è la riscoperta e la pratica del
«senso comune», cioè la koinè aistesis di
cui parlava la tradizione greca che rinvia
a tutti i sensi e al senso di tutti. La religione popolare è l’esperienza del mondo
religioso in forma personale e collettiva,
emotiva e intuitiva, creativa e orizzontale. L’invenzione della religione popolare è la religione che sa «essere all’altezza del quotidiano», come direbbe
Max Weber. In due celebri conferenze il
sociologo tedesco parlava della politica e
della scienza che avrebbero dovuto «essere all’altezza del quotidiano» – cioè di
ciò che sta in basso – del vivere insieme,
dell’orizzontalità fraterna, dell’uomo in
relazione con il gruppo, la natura, il sacro. La questione dell’invenzione della
religione popolare richiama quella della
generatività spirituale e culturale dei luoghi sacri, delle secolari tradizioni, dei
grandi simboli, delle millenarie memorie
dei santi, dei misteriosi reliquiari e delle
stesse moltitudini di pellegrini post-moderni.
Anche la costruzione di una metanarrazione attorno a un santo, a un santuario, a un miracolo – nonostante le
tante dichiarazioni di scomparsa di tutte
le meta-narrazioni – lo arricchisce di fascino e valore. Il plus-significato di un
bene culturale e religioso dipende dalla
cornice simbolica, estetica, mitica che
gli si costruisce attorno.
Luigi Berzano*
* Luigi Berzano è professore ordinario all’Università degli studi di Torino, coordinatore
nazionale dell’Associazione italiana di sociologia
(AIS), sezione Sociologia della religione. Contatti:
[email protected].
1
A. CASTEGNARO, U. SARTORIO, Toccare il
divino, Messaggero, Padova 2012.
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L ibri del mese
Con gli occhi aperti sulla vita
Ricordando Ivan Illich (1926-2002) e Robert Fox (1930-1984)
N
el decennale della morte
(2 dicembre 2002) Il Regno ricorda Ivan Illich,
sacerdote cattolico e poi
pensatore critico tra i più
«necessari» – è stato detto – del secolo
scorso. Lo fa riproponendone un testo del
1989, di un momento cioè in cui la riflessione religiosa torna ad affacciarsi
esplicita nei suoi scritti, per non abban-
CLXXXI
Ivan Illich negli anni Otttanta
(Beverly Hall Photography).
donarli più fino alle ultime e lancinanti
autotestimonianze (cf. «Corruptio optimi pessima», in Regno-att. 20,2008,
683ss).
Illich commemora qui, a sua volta, la
figura di un sacerdote cattolico, Robert
Fox, l’uomo con cui nel 1967 compose
quell’Invito a celebrare, rivolto ai giovani manifestanti in marcia verso il Pentagono, che in seguito egli mise a capo del
suo primo volume di saggi (Celebration
of awareness, 1970) e in certo modo a
insegna di tutta la produzione successiva.
I concetti (e le pratiche) di «consapevolezza» e di «celebrazione», centrali per
l’intelligenza della vita umana alla luce
dell’incarnazione in Illich, sono da lui restituiti qui a un’ispirazione da parte dell’amico, entro una vicenda di condivisioni e sovrapposizioni delle rispettive
esperienze però, che consente all’autore di
ripetere, anche, le ragioni della propria
fede cristiana, e con esse i motivi di fondo
della sua radicale critica della modernità.
La presente Testimonianza, occorrenza di un genere letterario senz’altri riscontri nella scrittura di Illich, e nondimeno ignorata da tutte le bibliografie
della sua opera, è apparsa originariamente in BEA MCMAHON (a cura di),
Fox-Sight. Telling the Vision of Robert
J. Fox, Our Sunday Visitor, Huntington
(Indiana) 1989, col titolo «Commentary» (pp. 154-160); il copyright è di Valentina Borremans, che ringraziamo per
l’autorizzazione a riprodurre il testo; la
traduzione e le note d’accompagnamento
sono di Fabio Milana, come pure i due riquadri biografici.
Cara suor Bea,
mi hai chiesto di scrivere un contributo per un libro in memoria del nostro
amico Bob. Scrivendo di un uomo
scomparso di recente, contravverrò a
una regola che ho fin qui osservato rigorosamente per lo meno dal giorno in
cui ho ascoltato la mia prima confessione. Ho deciso di trasgredirla ora: per
ringraziare Bob di un’intuizione che egli
mi ha concesso di condividere con lui il
giorno del nostro primo colloquio, e per
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ibri del mese
Robert J. Fox (1930-1984)
O
rdinato nel 1955, dopo gli studi a Washington e Ponce lavorò per alcuni anni con le charities cattoliche dell’arcidiocesi di New York; nel 1963 divenne responsabile dell’apostolato per un milione e mezzo di ispanici della stessa
arcidiocesi. Summer in the city fu la prima e la più nota delle attività che in tale veste egli ispirò, a partire dal 1964, in alcune parrocchie del Lower East Side, area storicamente interessata da
tutte le successive ondate migratorie.
Due anni più tardi l’iniziativa era diventata aconfessionale, era
finanziata dalla municipalità di NYC e coinvolgeva tutte le zone
popolari di Manhattan e del Bronx. Da questo ciclo di feste quotidiane, in cui artisti, suore, studenti si univano alle popolazioni
di quartiere per toglierle dalla paura e dall’isolamento, liberarne
le energie creative e la capacità di autodeterminazione, nacquero una quarantina di centri stabili con attività rivolte ai più giovani e da essi orientate.
Da uno di questi centri, nell’estate 1967, quando le tensioni
interraziali erano al loro apice in gran parte del paese, partì la
processione di fiaccole, bandiere, fiori per i poliziotti, che restituì New York ai suoi cittadini. Nella primavera successiva,
Thing in the Spring portò diecimila abitanti della inner city e
dei suburbi a pulire, riparare, ridipingere edifici vuoti e fatiscenti dei loro quartieri.
Mansight e più tardi Godsight erano esposizioni di immagini
invitare altri a riflettere insieme a me su
quel particolare genere di contemplazione del «ventre urbano» a cui mi ha
condotto il suo folle esempio.
Dopo gli studi accademici in Servizi
sociali all’Università cattolica di Washington, don Robert Fox fu mandato
dall’arcivescovo Maguire a Ponce, Puerto Rico, per passarvi l’estate a imparare
lo spagnolo.1 Per questo arruolamento
tardivo suor Joseph Lorraine McCormack chiese la mia approvazione. Era
decana di Facoltà, aveva molte antenne,
sapeva tutto, e quasi sempre la sua impressione era giusta. Ricordo ancora il
suo sorriso, l’ammiccare degli occhi, la
sua frase: «Sembra che sia una persona
speciale».
Il corso per preti e suore newyorchesi
destinati al lavoro coi portoricani era condotto con un budget limitato, e in capo a
una settimana fu chiaro che Fox rappresentava un problema finanziario. Dovette
essergli assegnato un docente individuale,
perché non si poteva integrarlo in nessun
gruppo. Quando ascoltava, udiva molto
di più degli altri. Ripeteva i pattern fone-
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del «ventre urbano», della sua gente con le proprie attività, per
incoraggiarla a vederle, appropriarsene, celebrarle. Nei primi anni
Settanta Fox promosse l’acquisto e la ristrutturazione in forma
cooperativa di due grandi caseggiati sulla East 102, con migliaia di
volontari che si aggiungevano ai membri della cooperativa la
sera, nei weekend o nei giorni di festa.
Uno di loro testimoniò: «Ci è stato dato di condividere le nostre vite di poveri e marginali, di riflettere su ciò che succedeva
nel nostro mondo e nelle nostre vite. Questo ci ha offerto il senso
della bellezza delle persone in quanto persone». Mons. Fox fu
inoltre a lungo impegnato nella National conference of catholic
charities, di cui contribuì a modificare la tradizionale vocazione
a offrire soltanto servizi; seguì per la diocesi di Chicago il processo
di reintroduzione del diaconato permanente; svolse quotidianamente attività pastorale come assistente presso la parrocchia di
St. Paul, East Harlem.
Con tutto ciò, egli restava «l’uomo del faccia-a-faccia, tutto
fuorchè un organizzatore», ha scritto p. Fitzpatrick: «Consapevole
com’ero dell’enorme influenza di Illich su tutta quella generazione
di giovani preti, trovavo in Bob qualcosa di più autenticamente newyorkese: di più radicato nel tumulto di questa città e nella sofferenza dei portoricani... qualcosa di più simile a Gesù che se ne
va per le strade di East Harlem».
F. M.
tici con sorprendente facilità e, contrariamente ai più, non metteva mai in discussione lo spagnolo dell’insegnante né
la sintassi inglese. Che ci crediate o meno,
nel 1958 l’addestramento linguistico basato sulla comparazione strutturale piuttosto che sulla grammatica faceva ancora
inarcare parecchi sopraccigli!
Posso anche ricordare la prima volta
in cui effettivamente lo incrociai. Ancora lo vedo, in compagnia della sua
insegnante Carmen Olivieri, mentre
scende per il sentiero fiancheggiato di
ibisco che dalla biblioteca si dirige alla
mensa di fortuna organizzata da Nora
Duffy. Fui colpito dal modo rilassato
con cui si sforzava di catturare l’intonazione portoricana della sua insegnante.
Ebbi fiducia in lui prima ancora che
scambiassimo due parole.
Dio, nell’immondizia
Deve essere stato un tre settimane
più tardi che gli diedi un passaggio per
San Juan, di là dalle montagne. René
Voillaume era stato con me qualche
giorno, e ora lo riaccompagnavo all’ae-
roporto. Padre Voillaume è il fondatore,
e a quel tempo era il priore, dei Piccoli
fratelli di Gesù: contemplativi che in
gruppi di due o tre vanno a stare nei
peggiori slum, guadagnandosi da vivere
tra i più poveri e dedicando lunghe ore
all’adorazione silenziosa.
Una presenza semplice, senza pretese, è il solo scopo della vita di un religioso del genere. Mentre passavamo attraverso St. Isabel, Voillaume espresse la
sua perplessità per il fatto che non un
solo nordamericano avesse fin lì trovato
la sua strada dentro la Fraternità. Azzardò per questo la seguente spiegazione: che negli USA la povertà, come
condizione permanente, non poteva essere capita. Quanti cercavano la povertà, finivano ogni volta per scoprire
una condizione che si poteva alleviare,
e mai uno stato in cui entrare una volta
per tutte. Dal sedile posteriore dell’automobile, dopo un lungo silenzio, con la
sua voce ferma e dolce Fox replicò:
«Quando c’è così tanto benessere in
giro, non devi cercare la povertà, puoi
trovarla ovunque».2
CLXXXII
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Sulla strada dall’aeroporto a San
Juan, Bob e io ci fermammo per un
piatto di riso e fagioli. Parlammo dello
sforzo del governo dell’isola per finanziare degli orfanotrofi, sforzo che io
consideravo fuorviante. Per secoli i portoricani avevano tradizionalmente accettato come dono del cielo (hijos de
crianza) quanti erano rimasti senza tetto
per una ragione o per l’altra, uragani o
migrazioni che fossero.
Fox era il primo assistente sociale
laureato con cui parlassi di persona.
Quando gli chiesi che cosa aveva studiato a Washington, rimase di nuovo in
silenzio. Dopo un po’ rispose qualcosa
del tipo: «Ho capito come vengono prodotti gli orfani». In quel suo modo dimesso, di fatto, già allora egli dava per
scontato ciò che un coro di profeti
avrebbe intonato a mo’ di litania dieci
anni più tardi.
La sera dopo, all’omelia quotidiana
che preparavo per la comunità estiva di
Ponce, cercai di partecipare ad altri
ciò che avevo capito grazie a Fox. Ed
Burke, di Brooklyn (si trovava là come
prete anziano per proteggere dall’eresia i giovani da poco ordinati), potrebbe ricordarsene ancora, giacché mi
contestò. Di colpo avevo capito che il
samaritano non si era andato a cercare il suo giudeo. Nemmeno aveva
sentito il bisogno di diventare come
lui. Aveva semplicemente riconosciuto
qualcuno che era stato derubato e accoltellato, per amore del quale abbandonare la propria strada, là dove lo
scriba3 e il levita avevano visto solo
l’ennesima vittima, e avevano tirato
dritto per i fatti loro. Parlai della scelta
tra diventare un samaritano – per
quanto nobile e disinteressato – e una
vita vissuta con occhi incondizionatamente aperti.
Da Fox ho imparato così a parlare
della fede come celebrazione del nostro
vedere ciò che c’è: lasciando che Dio sia
chi e cosa Dio è – per lo più «immondizia», come Fox avrebbe scoperto in
venticinque anni passati per le strade di
New York –. Puoi scegliere, come ha
fatto lui, di attraversare la tua vita con
gli occhi aperti all’esperienza sconvolgente di guardare le terribili conseguenze dell’incarnazione, poco importa
se ti faccia sentir meglio o peggio. Ma
puoi anche fuggire ed evitare tutto ciò:
CLXXXIII
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puoi scegliere di commiserare caritatevolmente le esperienze che ascrivi ad
altri – neri, storpi, donne stressate e tormentate, tossicomani –. Fox sapeva che
solo con un’amicizia e una grazia profonde è possibile «lasciare che Dio sia
chi e cosa Dio è». Molto per tempo era
diventato esperto della tentazione di essere «costumati a riguardo di Dio, di volere che Dio sia ciò che noi possiamo
permetterci Dio sia» e... di servirlo negli orfani che noi abbiamo prodotto.
Molti anni dopo, quando ci incontrammo per uno spuntino in un bar del
centro, capii dai suoi occhi che aveva
scelto di vivere la vita che non ci possiamo permettere. E più che mai mi
edificò. Non avevo più bisogno di chiedergli come fosse riuscito, col suo coraggio, a rimanere vulnerabile. Potevo
vedere ora che c’era qualcosa di verginale nel suo rifiuto di brividi e pene vicarie. Non si era mai piegato all’organizzazione di progetti, ma solo di
celebrazioni.
C’era in lui qualcosa del principe
Myshkin, l’idiota. Una volta, uno dei
nostri comuni superiori ecclesiastici, un
vecchio e coraggioso uomo di preghiera, mi confessò che non riusciva
proprio a capire Fox, ma solo a credere
in lui. Gli consigliai caldamente di leggere le ultime pagine di un libro in cui
Romano Guardini parla de L’idiota. Il
rispetto che per tutta la vita ha accompagnato don Fox è una testimonianza
della vitalità dell’arcidiocesi di New
York altrettanto sorprendente quanto il
rispetto tributato per tutta la vita a Dorothy Day.4
Al tempo del nostro primo viaggio
attraverso Cayey comunque, sulla
strada per portare Voillaume all’aeroporto, Fox era ancora nei suoi vent’anni,
e in linguaggio cattolico corrente la povertà era qualcosa di cui nelle parrocchie si occupava la San Vincenzo e da
oltremare riferivano i missionari.
Le «guerre» alla pover tà
In grande maggioranza gli americani si sentivano come Hoover nel 1928
«più vicini che mai nella storia di qualunque paese alla vittoria finale sulla
povertà». La «nuova posizione sulla povertà» di John Galbraith, esposta nell’Affluent Society, non era ancora stata
resa di pubblico dominio. Michael Har-
«Summer in the City», New York 1985.
rington aveva appena vinto la borsa di
studio grazie a cui, quattro anni più
tardi, avrebbe mostrato come la povertà
insidi la società opulenta in modi singolarmene minacciosi.
Era due anni prima che Kennedy, in
un discorso sugli Appalachi, dichiarasse
«guerra alla povertà», e parecchi anni
prima che gli accademici inaugurassero
il linguaggio dei livelli di povertà, delle
soglie di povertà, dei programmi contro
la povertà, che da allora hanno assicurato prestigio a così tante burocrazie.
Anche la parola «sottosviluppo» era all’epoca una nuova arrivata: era apparsa
per la prima volta sul New York Times
otto anni prima, in un resoconto dell’annuncio da parte di Truman di un
programma in quattro punti.
Vero: lo «sviluppo» era all’epoca già
in agenda; e Puerto Rico era una delle
vetrine per la nuova panacea. E siccome
all’epoca c’erano così grandi disponibilità finanziarie, la professione di «economista dello sviluppo» era cresciuta in
mezzo decennio da zero a un establi-
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shment. Ma la Chiesa ancora non aveva
investito nello sviluppo.
L’enciclica papale Populorum progressio che tentava di porre la Chiesa al
servizio della crescita economica era
ancora in pectore, l’idea di scimmiottare
i Peace corps con dei Papal volunteers
non era ancora stata concepita, né si era
ancora presentata l’opportunità di predicare ai poveri la coscientizzazione.
L’originalità e la coerenza della contemplazione di Fox, quella che gli diede la
forza di carattere di non investire in
questo titolo, dovrebbero essere considerate in un simile contesto.5
Perché, nel giro di pochi anni, i «poveri» divennero di gran moda in patria
e all’estero. La loro povertà divenne un
«problema» da risolvere, o dall’alto per
via manageriale, oppure unendosi a loro
come educatori, esperti, consiglieri di
guerrilla, organizzatori di comunità,
protettori di professione.
La povertà cominciò a essere vista
come una piaga da curare. Il paradigma
medico prese a prevalere: test, diagnosi
e terapia a mezzo d’intervento chirurgico, d’infusione, di cambiamento metabolico, divennero riferimento comune
al lessico economico e a quello militare.
Tutti i tradizionali «mali» della condizione umana divennero altrettanti
obiettivi, bersagli da attaccare.
La nuova formula magica consisteva
nel parlare dei mali come di «problemi», trasformandoli così in «bisogno di soluzioni». Le due parole, «problema» e «soluzione» agirono come
amebe nel linguaggio delle opere pie
cattoliche non meno che in quello delle
agenzie pubbliche.
Fox invitava i suoi amici a contem-
plare questa immondizia verbale con la
stessa pena e la stessa pazienza con cui
doveva fronteggiare l’immondizia nelle
scale dei caseggiati popolari. Ciò gli
permetteva di partecipare a molti comitati e di «non perdere la fede», come
ebbe a dire don Ed Burke. Don Fox
stava là fino all’assurdo in rappresentanza di ciò che vedeva, e faceva il possibile.
È questo probabilmente il motivo
per cui il card. Spellmann, che nell’arte
del possibile era un virtuoso, gli ottenne
il titolo di monsignore all’età di trentatré anni.6
Celebrare la croce,
accet tare la vita
Fox era un Don Chisciotte, e gli si
richiamava consapevolmente. Ma so
che non si rendeva conto di quanto
Ivan Illich (1926-2002)
C
ompì gli studi a Salisburgo e a Roma, dove venne ordinato
sacerdote nel 1951. Trasferitosi quello stesso anno a New
York, fu viceparroco all’Incarnation Church, a Washington Heights nel distretto di Manhattan. A contatto con la realtà
dell’immigrazione portoricana, sperimentò uno stile pastorale
innovativo, esercitato nella lingua e secondo le tradizioni religiose
dei migranti stessi, aiutato in questa intuizione dal gesuita p. Joseph Fitzpatrick della Fordham University.
Grazie al sostegno dell’arcivescovo card. Spellmann, i due riuscirono a estendere all’intera diocesi la loro esperienza. Nel 1956
fu inviato all’Università cattolica di Ponce, Puerto Rico, dove avviò tra l’altro un’attività di formazione linguistica, culturale, spirituale del clero e dei religiosi statunitensi destinati al lavoro pastorale con gli immigrati ispanici.
Lasciata l’isola per dissapori con la gerarchia locale, promosse
per conto delle diocesi di New York e Boston un nuovo Centro
per la formazione interculturale, che fu accolto a Cuernavaca, in
Messico, dal vescovo Sergio Mendez-Arceo. Qui il suo lavoro, presto condiviso da un prestigioso gruppo di pensatori e studiosi, acquisì un’intenzione polemica nei confronti della prassi missionaria corrente e dell’ideologia dello sviluppo tecnico-economico di
cui quella rischiava ora di farsi veicolo o rimorchio.
Nel 1966, a pochi mesi dalla chiusura del concilio Vaticano II di
cui era stato un attore dapprima (a fianco del card. Suenens), poi un
osservatore disincantato, Illich trasformò il suo Centro in un’istituzione di diritto civile (col nome di CIDOC), intensificando da un lato
la battaglia all’interno della Chiesa e contro le società «avanzate»
(quella statunitense in particolare), dall’altro gli studi sulla Chiesa e
la religiosità tradizionale latino-americana, di cui intendeva illustrare la specificità storica e difendere l’autonomia culturale.
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Inquisito dalla Congregazione per la dottrina della fede, Illich
preferì non sottoporsi a un procedimento che riteneva ispirato
da dossier della CIA e dell’Opus Dei; scelse di abbandonare l’esercizio pubblico del sacerdozio, per dedicarsi a una critica militante
delle moderne ideologie e istituzioni e a una parallela rivendicazione dei «valori vernacolari» – condotte entrambe «entro i limiti
della sola ragione» – cui negli anni Settanta toccò una notevole
fortuna internazionale (De-schooling Society, 1971; trad. it. Descolarizzare la società, 1972; Tools for Conviviality, 1973; trad. it.
La convivialità, 1974; Energy and Equity, 1974; trad. it. Energia, velocità e giustizia sociale, 1974; Medical Nemesis, 1976; trad. it. Nemesi medica, 1977).
Più tardi, venuta meno la plausibilità di una contestazione efficace dei modelli di sviluppo in auge, egli distanziò e radicalizzò
la sua critica, orientandola sull’intera parabola del processo di modernizzazione in Occidente e sulle trasformazioni antropologiche
da esso indotte (Shadow Work, 1981; trad. it. Lavoro ombra,
1985; Gender, 1983; trad. it. Il genere e il sesso, 1984; H2O and the
Waters of Forgetfulness, 1985; trad. it. H20 e le acque dell’oblio,
1988; In the Mirror of the Past,1992; trad. it. Nello specchio del
passato, 1992).
Nei saggi e nelle conversazioni dell’ultimo decennio (raccolti
nei due volumi postumi: La perte des senses, 2005; trad. it. La perdita dei sensi, 2009, e The Rivers North of the Future, 2005;
trad. it. I fiumi a nord del futuro, 2009) la riflessione di Illich si amplia a considerare l’intero arco storico dell’evo cristiano, mentre
i violenti contraccolpi del processo di «globalizzazione» in corso
contribuiscono a restituire attualità alle sue diagnosi presso il
grande pubblico e le nuove generazioni.
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MASSIMO GRILLI
spesso ripeteva Ortega y Gasset, Yo soy
yo y mi circumstancias, in ogni caso
esprimendo attraverso queste ultime la
sua fede nella presenza di Dio.7 Per
gente che vive circondata dall’immondizia, immersa in essa, «per fare esperienza e impegnarsi c’è bisogno di entrare in contatto con la bellezza e la
bontà che c’è ... allora convinci dei
bambini a spiegare un foglio di carta
sulla superficie di un tombino, e a sfregarci su una matita. Ora, quel tombino è stato progettato a fini commerciali, e chi l’ha fatto, l’ha fatto in vista
di un profitto. Eppure ha linee che
compongono triangoli che possono
sembrare diamanti. E in certi suoi
aspetti puramente funzionali, i buchi
ad esempio che un tombino deve avere
perché l’acqua possa defluirvi, sono
cerchi, e i cerchi sono a loro volta oggetti di bellezza... e quando il disegno
sul tombino affiora, all’improvviso la
cosa che non significava niente per
quel ragazzo o ragazza, significa qualcosa... è ora associato alla persona, perché è lei che ha fatto qualcosa di quel
tombino... e lo ha fatto insieme ad altri... il Piccolo principe ha addomesticato quel tombino».
Suor Bea, ti prego di non dimenticare che stiamo parlando della metà
degli anni Sessanta: il tempo della
«guerra alla povertà», della «guerra all’ignoranza», della malaria e dell’analfabetismo «estirpati», dell’assistenza
tecnica, delle riforme di struttura, dell’analisi specialistica, perfino delle
«strategie di pace» e delle «tattiche
nonviolente». E nel bel mezzo di questa merda sociologica piena di pretese,
attorno a un uomo laureato in «Servizi
sociali» – nientemeno – un branco disparato di tossici e di suore appena
sbarcate da Puerto Rico distribuisce
macchine fotografiche ai bambini degli
slum di New York per riprendere ciò
che di bello c’è ad Harlem, e per cavar
disegni dai tombini! A che scopo? «Per
celebrare la nostra consapevolezza di
quel che c’è».
Questa è buona teologia, Bea: la
celebrazione collettiva di quel che vediamo, e per questa via addomestichiamo – «rendiamo mansueto» sarebbe il modo più appropriato di
tradurre l’«apprivoiser» di Saint-Exupéry –8, la celebrazione collettiva della
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croce che accettiamo come nostra è
l’inizio della vita reale – e la presenza
anche di uno solo, tra i celebranti, consapevole del fatto che la croce è la
Croce di Cristo, porta in essere la
Chiesa. Che privilegio per te e per me
essere stati amici di un uomo che nei
primi anni Sessanta dava un simile
esempio di celebrazione.
Sono al corrente di tutto il discredito di cui gli ideologi hanno coperto
«Fox l’hippie», del know-how che ha
permesso agli psicanalisti d’irridere
l’attore mancato Fox, dei pastori che al
pubblico intrattenimento organizzato
da un Fox hanno contrapposto le cose
concrete fatte nelle loro parrocchie.
Però sono io che l’ho visto durante
una visita che mi fece a Cuernavaca
proprio mentre, radunati da padre Galilea di Santiago, gli allora pionieri e
oggi patriarchi della teologia della liberazione erano miei ospiti.9 Non fu
certo la sua formazione accademica –
fu quella cosa che i teologi chiamano il
sensus fidei (l’istinto della fede viva) a
dargli una sicurezza sonnambolica
nello scansare equamente l’uso del
Vangelo come un manifesto per utopie
economiche o politiche, e come un lasciapassare verso la palude romantica
dei buoni sentimenti. No, non era certo
un teologo. Ma a dispetto delle costruzioni teologiche, sociali, politiche di
tendenza, egli ha fatto un’importante
dichiarazione teologica con la sua vita.
Ho visto Fox triste ma mai in collera quando veniva frainteso o denigrato. Era fin troppo consapevole della
logica che finisce per trattenerti dal celebrare i tombini, i poliziotti antisommossa del sindaco Lindsay, la luce del
sole sui mucchi di rifiuti.10 Quel che ti
frena si chiama autodifesa, una cosa
più che legittima da quasi tutti i punti
di vista. «Sai per esperienza che se vai
per strada e tieni gli occhi aperti alle
esplosioni di bellezza e di gioia, se ne
aspiri profondamente, pochi passi più
in là tutto questo sarà esalato via e subentra una grande, grandissima dose
di frustrazione. Allora ti convinci che se
di quella gioia di prima non ti intridi
tanto in profondità, nemmeno quella
frustrazione scenderà così nell’intimo.
Stabilisci una sorta di equilibrio mentre procedi per via, e vivi in modo un
po’ meno che umano. Cristo per con-
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Sulla via
dell’Incontro
Commento alle letture
domenicali e festive. Anno C
L
a «via» è un tema ricorrente nella
Bibbia, perché ricorda la vita dell’uomo, dalla nascita fino al suo compimento. Seguendo questa metafora della condizione umana, l’autore propone
una lettura sapienziale e spirituale dei
testi, per avvicinare i fedeli al messaggio che la parola di Dio custodisce in
ogni pagina.
«PREDICARE LA PAROLA»
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FRANCESCO LAMBIASI
Sorpresi
dalla gioia
I vangeli delle domeniche
e delle feste. Anno C
C
ommentando con acume e sapienza
le letture dell’anno liturgico C, l’autore conduce verso l’incontro personale
con Cristo, la vera gioia che «sorprende»
lungo il cammino. La Parola entra così
nella vita, per illuminare e trasformare
le vicende che quotidianamente toccano
ogni uomo.
«PREDICARE LA PAROLA»
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tro sapeva vivere pienamente umano,
pienamente dedito all’amore, e a una
molteplicità di amori reali, e alla frustrazione, la paura, il fallimento, la solitudine».
Questo è ciò che significava, per Bob,
vivere: essere un persona disposta, ad
ogni passo lungo la via, a intridersi con
te in profondità di ogni cosa che c’è, inclusi la frustrazione, il fallimento, e un
senso crescente di solitudine. Concepiva se stesso come un prete che celebra insieme ad altri la consapevolezza
dell’estate e dell’immondizia, la generosità e la violenza spesso nella stessa
persona.
E per questa celebrazione egli era
continuamente in cerca della strada,
di una tribuna aperta, non di «un
qualche scantinato da conventicola, o
un grosso edificio scolastico, o un centro d’accoglienza o un qualche tipo
di vasca da bagno, dove ognuno può
canticchiare la sua canzoncina privata... ma nelle strade che andiamo rispettando, ciò che significa, letteralmente, che le andiamo guardando di
nuovo, e poi di nuovo, e poi ancora di
nuovo... ».
«Ri-spettare» in questo modo «significa essere sempre di più una persona, insieme con l’altro, trasformando
quel che c’è». Ciò che lo sfregamento
della matita fa al tombino, la celebrazione di quel che c’è lo fa alla comunità.
La sua capacità di «ri-spettare» immondizia, rifiuti, cianfrusaglie è ciò
che mantenne don Fox all’interno del
clero di New York, e altri insieme a
lui. Dove alcuni dei suoi confratelli e
sorelle si ritrassero dal puzzo del corpo
della madre Chiesa, Fox lo vide, e ne
parlò come di cosa analoga ai liquami
morali di Wall Street o alle macerie e
alla violenza nel barrio: come qualcosa
che doveva essere ri-spettosamente celebrato, mimato a parodia, fatto oggetto di riso, e in tal modo rivelato
come un aspetto del corpo di Cristo.
Ho davanti agli occhi quattro pagine dattiloscritte, sue annotazioni in
vista di un qualche discorso, datate a
poco prima della morte. Sottolineano il
diritto di appartenere al Dio che non
possiamo permetterci, nonostante le
pretese avanzate dalla Chiesa sul proprio personale; il diritto di vedere Dio
incarnato nella feccia, malgrado le immagini ben pettinate del nostro legittimo prossimo quali la Chiesa le spaccia; e il diritto di udire il nome del Dio
rivelato dalle labbra di coloro che ci
sommergono col loro amore.
1
Mons. John Joseph Maguire (1904-1989)
fu vescovo ausiliare (1959-1965) e arcivescovo
coadiutore (1965-1980) dell’arcidiocesi di New
York. I corsi di spagnolo erano organizzati da un
Center for Intercultural Communication (CIC)
creato da Illich (vicerettore dell’Università cattolica di Ponce tra 1956 e 1960) in collaborazione
con p. Joseph Fitzpatrick sj della Fordham University, grazie al finanziamento delle diocesi di
New York e Boston, le più interessate dal fenomeno dell’immigrazione di cattolici portoricani.
2
Rispettivamente «look for» e «see» nell’originale, in armonia con la dominante «visiva»
che caratterizza tutto lo scritto.
3
Un «sacerdote» in Luca 10,31.
4
Dorothy Day (1897-1980), fondatrice negli
anni Trenta del Catholic Worker Movement, si
trovò più volte in contrasto col suo vescovo, il
card. F. Spellmann, durante la Seconda guerra
mondiale e poi negli anni Sessanta, a motivo
della sua appassionata militanza pacifista; nel
2000 la stessa arcidiocesi ne ha intrapreso la
causa di beatificazione. Il volume di Romano
Guardini in precedenza citato è Religiöse Gestalten in Dostojewskijs Werke, 1947; trad. it. Il mondo
religioso di Dostojewskij, Morcelliana, Brescia
1951.
5
L’espressione di Herbert Hoover è tratta
dal suo discorso del 28 agosto 1928, di accettazione della nomination repubblicana per le elezioni presidenziali di quell’anno, in seguito da
lui vinte; sono spesso ricordate come «le ultime
parole famose» prima della Grande depressione.
Di «underdeveloped areas» il presidente Truman
parlò nel discorso inaugurale del suo mandato il
20 gennaio 1949, illustrando l’ultimo di quattro
punti del suo programma di politica estera; il relativo Point Four Program, implementato a partire dal 1950, costituì una delle principali strategie statunitensi nel corso della Guerra fredda.
La «New Position on Poverty» occupa il 23o capitolo del citato, classico volume di John Galbraith del 1958; del 1962 è l’altrettanto celebre
The Other America: Poverty in the United States,
il cui autore, Michael Harrington, già militante
del Catholic Worker Movement, mostrava tra
l’altro come circa un terzo della popolazione
statunitense vivesse al di sotto della «soglia di
povertà», con scarse prospettive di migliorare le
proprie condizioni. Si ritiene comunemente che
questa ricerca abbia influenzato le coeve politiche governative, in particolare l’«unconditional
war on poverty» proclamata nel 1964 dal neopresidente Lyndon Johnson, sulla scia di un
orientamento inaugurato da John F. Kennedy
nel 1960 durante le primarie democratiche in
West Virginia.
Dello stesso Kennedy sarebbe stato, nel
1961, il varo dei Peace corps, un programma di
volontariato internazionale promosso dal governo
tramite un’agenzia indipendente, al triplice scopo
di fornire assistenza tecnica ai paesi «in via di sviluppo», favorire in loco la conoscenza della cultura americana e, di rimando, la conoscenza della
cultura locale negli Stati Uniti.
Sempre nel 1961 debuttarono negli Stati
Uniti e in Canada i Papal volunteers for Latin
America (PAVLA), rispondendo all’appello di
Giovanni XXIII per l’invio di missionari e volontari laici in aiuto alle Chiese latino-americane, storicamente carenti di vocazioni; il programma iniziale era di «versare» a queste Chiese
una «decima» del personale religioso nordamericano entro dieci anni (una calcolata opposizione a queste iniziative, lette nel contesto della
rivoluzione cubana del 1959, caratterizzò il Center for Intercultural Formation aperto da Illich a
Cuernavaca in quello stesso 1961).
«Coscientizzazione», o «presa di coscienza
critica» è infine termine tecnico della pedagogia
di Paulo Freire, che in proposito si è riconosciuto
tributario di dom Helder Camara; considerata la
durevole sintonia tra Freire e Fox, però, è preferibile pensare che l’autore si riferisca qui più in
generale a contenuti e prassi della teologia della
liberazione.
6
Francis Joseph Spellmann (1889-1967) fu
arcivescovo di New York dal 1939 alla morte e,
nello stesso arco di tempo, vicario castrense
presso le forze armate statunitensi. Si noti che anche ad Illich egli procurò il titolo di monsignore
all’età di 33 anni.
7
La nota sentenza di Ortega y Gasset, formulata nelle Meditationes del Quijote (1914), reca
invero circunstancia; il riferimento è precisamente a «le cose mute che stanno più immediatamente intorno a noi».
8
Rispettivamente «to tame» e «to gentle».
Non è facile cogliere il senso della precisazione di
lllich in questo passo; il valore etimologico di
«abituare alla mano», sottraendo all’estraneo
senza per questo «impadronirsi» («creare legami»
è l’equivalente offerto dalla volpe nel celebre dialogo col Piccolo principe), è quanto ci si è proposti qui di mettere in risalto. Questa sottolineatura sembra anche la più coerente con quel
«celebrare la consapevolezza» che il testo reca
poche righe sopra, e che ripete il titolo del primo
libro di Illich, la Celebration of Awareness del
1970.
9
Padre Segundo Galilea (Santiago del Cile
1928-2010), sacerdote dal 1956, collaborò nei
primi anni Sessanta con il Centro de Formación
Intercultural (CIF) fondato da Illich a Cuernavaca; l’episodio qui rievocato dovrebbe risalire al
1965. Missionario e scrittore, è stato in seguito
esponente, non tra i più radicali, della teologia
della liberazione.
10
John V. Lindsay (1921-2000) fu sindaco di
New York per due mandati, dal 1966 al 1973, in
un periodo assai turbolento della convivenza
nella metropoli (nel maggio 1968, tra altre agitazioni, lo sciopero di nove giorni della nettezza urbana sprofondò la città in un cumulo di rifiuti;
andò peggio nel 1971, con lo sciopero degli addetti alle fognature e i liquami nelle strade di
Harlem); per la rielezione, nel 1969, poté vantare
un incremento di 6.000 unità nei corpi di polizia
urbana.
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L ibri del mese / schede
I Libri del mese si possono ordinare indicando
il numero ISBN a 13 cifre:
per telefono, chiamando lo 049.8805313;
per fax, scrivendo allo 049.686168;
per e-mail, all’indirizzo [email protected]
per posta, scrivendo a Centro Editoriale Dehoniano,
via Nosadella 6, 40123 Bologna.
Servizio a cura di Maria Elisabetta Gandolfi
quentato dalle pubblicazioni in lingua italiana – del gesuita spagnolo Ignacio Ellacuría, rettore dell’Università cattolica di El Salvador, ucciso per il suo impegno
«politico» a favore del «popolo crocifisso». Non si capisce la vicenda di E., scrive
l’a., «senza comprendere le ragioni teoriche più profonde che lo condussero alle
sue scelte esistenziali». Si giustifica così l’esigenza di un’indagine sul contributo
teologico (e filosofico) «contestuale» del gesuita basco, che il vol. presenta con apprezzabile chiarezza.
MAZZINGHI L., Il Pentateuco sapienziale. Proverbi Giobbe Qohelet Siracide Sapienza. Caratteristiche letterarie e etemi teologici, EDB, Bologna 2012, pp. 272,
€ 26,00. 9788810206645
rutto di un collaudato corso sui libri sapienziali, il vol. costituisce un’introF
duzione alla letteratura sapienziale biblica. Descrive le caratteristiche letterarie e storiche proprie di ognuno dei libri esaminati e focalizza i temi teologici
Sacra Scrittura, Teologia
che vi emergono. Pensato anzitutto per un pubblico di studenti, è adatto a
chiunque desideri intraprendere un primo approfondimento su testi biblici di
grande interesse.
AGOSTINO, Commento alla Lettera ai Galati. Introduzione, traduzione e note
di F. Cocchini, EDB, Bologna 2012, pp. 207, € 19,00. 9788810453087
MINISSALE A., Ester. Nuova versione, introduzione e commento, Paoline, Milano
2012, pp. 350, € 38,00. 9788831541749
n Agostino non ancora vescovo porta a termine tra il 394 e il 395 un comel commentario curato dall’a., biblista scomparso nel luglio 2011, viene preU
mento alla Lettera ai Galati. Al tempo già circolavano nell’Occidente latino N sentata per la prima volta la traduzione integrale e letterale delle tre versioi lavori di Caio Mario Vittorino, dell’Ambrosiaster e di Girolamo. Agostino co- ni che del libro esistono: il greco della Settanta – «dalla quale si era soliti estrarre
nosce questi autori e da essi riprende «spunti interpretativi, chiarimenti testuali,
sollecitazioni», entrando autorevolmente nella storia della recezione dello scritto
paolino. Circa il tema cruciale della Lettera – che cosa si debba intendere per
«grazia di Dio», che implica la condizione di «non essere più sotto la legge» –
Agostino afferma che «si tratta del dono della fede, la quale, dal momento che
opera per amore, non solo può sostituire la legge, ma soprattutto può far compiere le opere da essa richieste nell’unico modo che possa davvero risultare salvifico, ossia per amore».
BOVATI P., Parole di libertà. Il messaggio biblico della salvezza, EDB, Bologna
2012, pp. 241, € 22,00. 9788810221648
ttraverso l’approfondimento del tema della libertà e della liberazione nelA
l’AT, l’a. propone un coerente viaggio tematico e letterario, di grande attualità. All’interno dei tre blocchi testuali che strutturano l’AT, vengono esaminati sistematicamente prima il «racconto» e poi la «parola» che ne costituisce il commento interpretativo. Il racconto è la forma caratteristica della tradizione letteraria biblica, quella che attesta che il Dio d’Israele si rivela nella storia. Risulta perciò importante dare il dovuto rilievo alle narrazioni, così da coglierne il potente
messaggio di liberazione. Accanto troviamo la parola che spiega e integra l’evento narrato, secondo una specifica modalità: abbiamo così l’aspetto normativo della «legge» nel Pentateuco, la lettura della storia nella «profezia» nei profeti, e negli scritti la «sapienza», che svela il senso perenne della vita, pur senza nasconderne il dramma e occultarne il mistero.
DUNN J.D.G., Gli albori del cristianesimo. 2. Gli inizi a Gerusalemme. 1 –
La prima fase. 2 – Paolo, apostolo dei gentili. 3 – La fine degli inizi, Paideia, Brescia
2012, pp. 1.368+, € 49,30 + 44,90 + 39,90. 9788839408266 – 9788839408327 –
9788839408334
3 voll. editi tra i supplementi della collana «Introduzione allo studio della BibIponderosa
bia» sono la traduzione italiana del 2 vol. (Beginning from Jerusalem) di una
trilogia (Christianity in the making) di cui manca ancora la III parte.
o
L’a., emerito all’Università di Durham, è uno degli studiosi di riferimento sul tema delle origini cristiane. Questa sezione della trilogia, concentrata sul periodo
30-70 d.C., rintraccia le caratteristiche fondamentali del movimento originato
dalla predicazione di Gesù, con «particolare attenzione alle fonti primarie e ai dati storici disponibili provenienti da questo periodo». Assolutamente consigliabile
per gli appassionati del tema; imprescindibile riferimento di studio per la profondità dell’analisi e la vastità della documentazione.
FADINI G., Ignacio Ellacuría, Morcelliana, Brescia 2012, pp. 160, € 13,00.
9788837226084
o
della collana «Novecento teologico» che rilegge il percorso della teolo2logigia7piùvol.delsignificativi.
secolo scorso attraverso una carrellata di brevi profili biografici dei teoIl vol. è dedicato all’itinerario teologico-spirituale – poco fre-
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le cosiddette sei Aggiunte deuterocanoniche che in essa eccedevano rispetto al testo ebraico» –; il greco del cosiddetto Testo Alpha; il testo ebraico. Quest’ultimo –
scrive il curatore – «ha provocato spesso un certo scandalo tra i suoi lettori, perché si presenta privo di espliciti riferimenti religiosi (…). Ma il testo ebraico deve
essere accettato e valorizzato per quello che è: un libro drammatico in cui alla fase del panico e dell’afflizione segue quella finale del rasserenamento e della festa».
MOSETTO F., Lettere di San Paolo. Vol. I Lettere ai Tessalonicesi, Lettere ai Corinzi. Vol. II Lettera ai Filippesi, Lettera ai Galati, Lettera ai Romani. Vol. III Lettere
ai Colossesi, agli Efesini, a Timoteo, a Tito, a Filemone, Elledici, Cascine Vica (TO)
2012, pp. 272 + 214 + 208, € 19,00 + 14,00 + 14,00. 9788801046274 –
9788801046281 – 9788801050073
o scopo di questi 3 voll., elaborati da un biblista formatosi alla scuola del PonL
tificio istituto biblico di C.M. Martini, I. de La Potterie, A. Vanhoye, U. Vanni e così via, è quello didattico di «aiutare il lettore – studente di teologia, oppure
di scienze religiose, o comunque persona culturalmente preparata – ad accostare
l’epistolario paolino in modo serio e intelligente, senza tuttavia le pesantezze dell’erudizione e senza problematizzare all’eccesso il pur necessario studio critico».
Di ciascuna epistola si offre perciò un’Introduzione, con la bibliografia essenziale, e il testo della traduzione CEI 2008 con accurato commento.
NOCETI S., CIOLI G., CANOBBIO G., Ecclesiam intelligere. Studi in onore di
Severino Dianich, EDB, Bologna 2012, pp. 682, € 58,50. 9788810408353
l cuore della produzione teologica di Severino Dianich sta indubbiamente la
A
Chiesa, la sua ragion d’essere e la sua missione, la domanda sulla sua origine e sulla sua natura, l’interrogativo sulla sua vita e i suoi soggetti. Ecclesiam intelligere riassume l’impegno speculativo nella ricerca e un coinvolgimento esistenziale e pastorale sempre ragionato. La miscellanea comprende 38 contributi che
evocano diversi ambiti su cui si è mossa la sua ricerca teologica: ecclesiologia, cristologia, teologia e arte. La I parte, «Apprendere dalla storia», e la II, «Interpretare il presente», sono articolate in 2 sezioni: le radici bibliche e la Tradizione ecclesiale.
RESCIO M., La famiglia alternativa di Gesù. Discepolato e strategie di trasformazione sociale nel Vangelo di Marco, Morcelliana, Brescia 2012, pp. 280,
€ 22,00. 9788837225155
«l’approccio esegetico tradizionale con i metodi e i modelli proveIlarentegrando
nienti dalle scienze sociali, questo libro si propone (…) di ricostruire la particorappresentazione che Marco ci offre del rapporto tra Gesù, i suoi discepoli e
quella che potremmo considerare come l’istituzione di base del mondo mediterraneo del I sec.: la “famiglia”». Il Vangelo di Marco manca di qualunque riferimenti al retroterra familiare di Gesù, il quale «decide d’abbandonare il luogo in
cui è nato e cresciuto per aderire all’appello di un personaggio [il Battista] religioso “marginale” ed eccentrico. In questo esordio secco e improvviso (…) pos-
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L
UNIVERSITÀ
DEGLI STUDI DI URBINO
“CARLO BO”
ISTITUTO SUPERIORE
DI SCIENZE RELIGIOSE
“ITALO MANCINI”
Anno Accademico 2012-2013
Corso biennale
di alta specializzazione
in Scienze religiose
Direttore: Prof. PIERGIORGIO GRASSI
Il Corso rilascia un titolo in Scienze religiose che
è valido a tutti gli effetti per l’insegnamento della
religione nelle scuole di ogni ordine e grado.
Le finalità del Corso biennale
di Alta Specializzazione sono:
• la formazione di insegnanti di religione cattolica
altamente qualificati per le scuole pubbliche
(indirizzo pedagogico-didattico),
• la ricerca scientifica nel campo delle discipline
religiose e teologiche
(indirizzo di introduzione alla ricerca).
ibri del mese / schede
siamo già intravedere la logica profonda della narrazione marciana, dove l’abbandono di una condizione di vita ordinaria e la scelta di seguire il maestro, attribuiti in prima istanza a Gesù, diventeranno il tratto distintivo dei suoi futuri discepoli».
REY-MERMET T., Credere. Il Credo, i sacramenti, il Vaticano II, EDB, Bologna
2012, pp. 1136, € 55,00. 9788810940105
na solida e comprensibile trattazione, un inventario chiaro e completo degli
U
«strumenti» della fede e delle «verità da credere»: è ciò che intende offrire
il teologo Rey-Mermet nei primi 3 voll. – qui riuniti per la prima volta – di una
delle sue opere più importanti, pubblicata in Francia tra la metà degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta del Novecento e divenuta anche in Italia una
specie di classico. La fede del Simbolo apostolico, quella celebrata nei sacramenti e quella riproposta dal concilio Vaticano II costituiscono i tre pilastri di una riflessione che assume come presupposto la convinzione che essa «non è tanto un
fascio di credenze, quanto un legame personale e vitale con Gesù Cristo».
STANDAERT B., Marco. Vangelo di una notte, Vangelo per la vita. Commentario, EDB, Bologna 2012, pp. 934, € 65,00. 9788810206652
l commentario di Standaert – qui in un unico vol. – è frutto di 15 anni di laIstintivi
voro. A suo modo di vedere, sul piano letterario il testo contiene tutti i segni diche ne fanno un discorso convenzionale e un’azione drammatica, che richiede d’essere proclamata in una sola volta, d’un fiato. L’ipotesi guida della sua
lettura è la seguente: Marco veniva letto durante la notte pasquale cristiana, nella veglia fra il sabato e la domenica. I suoi destinatari erano una comunità mista,
a maggioranza di gentili. Per alcuni nuovi membri della comunità tale notte era
il punto d’approdo della propria iniziazione: al termine della lettura integrale del
racconto evangelico venivano battezzati e partecipavano per la prima volta al
banchetto eucaristico.
TOMASSONE L., Un vulcano nel vulcano. Mary Daly e gli spostamenti della teologia, Effatà, Cantalupa (TO) 2012, pp. 110, € 9,50. 9788874027422
rutto di un convegno tenutosi nel maggio 2010 in onore di Mary Daly – spenF
tasi il 3 gennaio dello stesso anno – presso la Facoltà valdese di teologia di Roma con la partecipazione del Coordinamento delle teologhe italiane, il volumetto ne ripropone i contributi, nell’auspicio d’introdurre e invogliare alla lettura diretta dei testi della teologa femminista statunitense. Saggi di C. Zamboni, L. Percovich, E. Green, L. Tomassone, D. Di Carlo, L. Vantini, C. Simonelli.
I docenti del Corso sono:
Andrea Aguti; Khaled F. Allam; Marco Cangiotti;
Gian Domenico Cova; Alberto Fabbri;
Carlo Fantappié; Marco Gallizioli;
Samuele Giombi; Franco Gori; Piergiorgio Grassi;
Angelo Maffeis; Andrea Milano;
Michele C. Minutiello; Gastone Mosci;
Romano Penna; Giuseppe Pulcinelli;
Graziano Ripanti; Maria Grazia Sassi;
Manlio Sodi; Sofia Tavella; Natalino Valentini;
Licia Zazzarini.
Le iscrizioni si chiuderanno il 15 dicembre 2012.
Saranno messi a disposizione degli iscritti,
per concorso, assegni di studio.
Per informazioni:
Istituto Superiore di Scienze Religiose “I. Mancini”
Tel 0722/303536 – Fax 0722/303537
[email protected]
http://www.uniurb.it/scirel
Pastorale, Catechesi, Liturgia
BERGAMO A., Accompagnare i ministranti, EDB, Bologna 2012, pp. 80,
€ 6,90. 9788810710692
ercorso formativo per i ministranti che va oltre un intento meramente liturP
gico-funzionale. L’esperienza del gruppo ministranti è infatti una vera e propria esperienza educativa, ricca di significato e coinvolgente.
BOCCI V., Comunicare la fede ai ragazzi 2.0. Una proposta di catechesi comunic-attiva, Elledici, Cascine Vica (TO) 2012, pp. 243, € 15,00. 9788801051858
l libro, a firma del direttore generale di Elledici, trae spunto dalla nuova sensiIsmissione
bilità comunicativa – sempre più incisiva sulle forme di organizzazione e tradelle conoscenze – impressa dalle tecnologie informatiche. Per superare l’attuale scoglio d’«immobilismo» didattico, anche nell’ambito della catechesi,
l’a. ha indicato formule d’apprendimento più dinamico, multimediale e interattivo. Con un unico obiettivo: far giungere il messaggio del Vangelo alle nuove generazioni tramite l’ipertesto su carta, un format cartaceo ispirato al modello online capace di coinvolgere i ragazzi in maniera più dinamica e a loro più congeniale e familiare, favorendo il coinvolgimento cognitivo e motivazionale.
BURANELLI F., CAPANNI F., Ventennale della Pontificia commissione per
i beni culturali della Chiesa, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano
2011, pp. 99, € 10,00. 9788820985202
a ricorrenza, nel 2009, dei 20 anni dalla fondazione, con la costituzione apoL
stolica Pastor bonus di Giovanni Paolo II, ha offerto alla commissione pontificia che si occupa dell’immenso patrimonio artistico della Chiesa cattolica l’oc-
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ANTONIO RUCCIA – MIMMA SCALERA
casione per fare un bilancio di quanto fatto, ma soprattutto una riflessione strategica per il futuro. Di particolare interesse nel momento in cui, per la prima volta,
essa annuncia la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 2013.
FAUSTI S., Il dono più grande. Novena di Natale, EDB, Bologna 2012, pp. 48,
€ 2,50. 9788810710715
Testimoni
dell’educazione
Per prepararsi e vivere il Natale
a profondità dell’esegesi e l’esperienza di p. Fausti accompagnano nel mistero dell’incarnazione a partire dai testi dei Vangeli previsti dalla liturgia del
giorno.
L
FERRARI G., La felicità inizia da te. I Padri della Chiesa parlano all’umanità.
Proposta di un cammino interiore, Elledici, Cascine Vica (TO) 2012, pp. 80, € 7,00.
9788801050974
l percorso è rivolto particolarmente all’uomo della società consumistica, diviso
tra anelito alla felicità e soddisfazioni effimere che lo allontanano da se stesso.
I brani, tratti dalle ricche testimonianze dei padri della Chiesa, accompagnati da
una lectio continua, dai commenti e dalle riflessioni dell’a., mirano a far intraprendere il progetto consapevole di un lungo viaggio interiore che ha per meta la
conoscenza di sè, il rapporto con Dio e il bene dell’altro.
I
GHINI E., Il Vangelo dato e ricevuto. Lettura spirituale della Prima Tessalonicesi, EDB, Bologna 2012, pp. 74, € 7,50. 9788810211311
a Prima lettera ai tessalonicesi è il più antico scritto di Paolo a noi pervenuL
to. Dopo un’Introduzione complessiva al contenuto della Lettera, il testo di
quest’ultima viene proposto in brevi pericopi successive, con relativo commento
teologico e tematico. Segue un suggerimento d’interiorità, in stile poetico-meditativo, per la preghiera e per la risonanza nella vita. L’a. ha fatto parte della squadra di firme che si sono avvicendate nella redazione dei «Sentieri paolini» di Avvenire, la rubrica di prima pagina resa particolarmente nota dai «Mattutini» del
card. Ravasi. Il vol. è il frutto di quella esperienza.
NOVENA
U
na novena che assume la
prospettiva di coloro che
hanno speso la propria vita
nell’ottica dell’evangelizzazione:
per accogliere Dio nella storia
con l’impegno di prendersi cura
di chi oggi è bimbo, adolescente,
ragazzo, uomo.
EDB
GUGLIELMONI L., NEGRI F., Una grande gioia. Novena di Natale con il Vangelo di Luca, EDB, Bologna 2012, pp. 44, € 2,50. 9788810710685
LOHFINK G., Pregare ci dà una casa. Teologia e pratica della preghiera cristiana, Queriniana, Brescia 2012, pp. 314, € 22,50. 9788839908582
elle parrocchie “normali” non c’è stata e non c’è nessuna educazione al«N
la preghiera e alla vita spirituale. (…) Dobbiamo quindi meravigliarci
che si desiderino esperienze spirituali attingendo a fonti completamente diverse?».
agili schede spiegano passo passo, con linguaggio semplice, i vari momenti
3vello6dellaculturale,
messa, dai riti introduttivi fino al congedo. Fruibile da persone di ogni lilo strumento non rinuncia al rigore e alla precisione.
MARCACCI F., Il Natale degli sposi. Per una spiritualità della tenerezza, EDB,
Bologna 2012, pp. 80, € 5,00. 9788810511343
ercorso di formazione e spiritualità per sposi in preparazione al Natale che si
P
apre con un brano evangelico, prosegue con alcune riflessioni e si chiude con
una preghiera e alcune domande rivolte alla vita di coppia.
MARTINI C.M., L’itinerario spirituale dei dodici. Esercizi ignaziani alla
luce del Vangelo di Marco, ADP – Apostolato della preghiera, Roma 2012, pp. 111,
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domenicale
gioia.
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NORMAND BONNEAU
li aa. traggono spunto dai personaggi e dagli avvenimenti del Natale quale
G
occasione per ricordare a ogni persona, famiglia e comunità che il Dio fattosi carne a Betlemme rimarrà sempre al nostro fianco: è lui la fonte della nostra
L’a., esegeta e teologo, affronta alcune questioni oggi piuttosto diffuse anche tra i
cristiani: a cosa serve pregare? Ha un senso la preghiera di domanda? Cos’è la
meditazione cristiana? Ma soprattutto: come (e chi) si deve pregare? Una bella introduzione alla preghiera che si segnala per l’attenzione alla teologia, il riferimento costante alla Scrittura, un linguaggio accessibile e uno stile venato da tratti di piacevolissima ironia.
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«SUSSIDI PER I TEMPI LITURGICI»
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Origine struttura teologia
L
a storia, lo scopo e la struttura del Lezionario domenicale continuano a essere poco conosciuti, anche dopo la
riforma chiesta dal Vaticano II. L’autore
tenta di colmare tale lacuna, illustrando il
senso teologico e liturgico di uno strumento tanto prezioso nella vita della
Chiesa.
«STUDI E RICERCHE DI LITURGIA»
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ibri del mese / schede
uesto vol. completa la collana di pubblicazioni in materia di esercizi spiriQ
tuali ignaziani alla luce dei Vangeli di Matteo, Luca e Giovanni dettati da
Carlo Maria Martini tra il 1974 e il 1976. Proponendo ora il Vangelo di Marco,
il testo, rivisto in questa nuova edizione col consenso dell’a. e arricchito di note essenziali, ne propone una «lettura catechistica» che condensandosi intorno all’itinerario spirituale dei Dodici permette a ciascuno d’intravedere il senso del proprio cammino interiore.
MAZZOLARI P., La Via crucis del povero. Edizione critica a cura di Giorgio
Campanini, EDB, Bologna 2012, pp. 196, € 15,00. 9788810108895
ella vasta produzione di Mazzolari La Via crucis del povero – apparsa nel
N
1939 e ripubblicata, con integrazioni, nel 1953 – occupa un posto particolare perché da una parte riflette la sua prolungata meditazione sulla Passione, dall’altra pone al centro il problema della povertà. Una celebrazione «tradizionale»
che viene riproposta in una prospettiva rinnovata, quella del povero, che è insieme Cristo e, dopo di lui, ogni uomo che viene in questo mondo.
OPERA MADONNINA DEL GRAPPA – CENTRO DI SPIRITUALITÀ, PILLONI F., I
segni dello sposo. La Chiesa sposa di Cristo nella famiglia e nella vedovanza, Effatà, Cantalupa (TO) 2012, pp. 156, € 11,50. 9788874027804
l testo – raccogliendo, rielaborati, alcuni scritti nati per tempi e destinatari diIil rapporto
versi – è scritto «da un architetto per gli architetti» come mano tesa a ricucire
tra «la Chiesa e il mondo dell’architettura e dell’arte contemporanea»
in particolare sul tema della progettazione delle nuove chiese. «Mi sono messo –
afferma Santi nell’Introduzione – dal punto di vista del committente (…). È un
punto di vista importante (…). Tanto più che – sostengono gli architetti – il committente ecclesiale, quando è interrogato, è o piuttosto taciturno o troppo loquace (…). Qualcuno doveva fargli da portavoce. L’ho fatto per molti anni, senza
troppa difficoltà [da responsabile per i beni culturali della CEI, ndr]. Continuo a
farlo».
SCHMUCKI A., Formazione francescana oggi. Corso di teologia spirituale 11,
EDB, Bologna 2012, pp. 514, € 40,00. 9788810541319
l vol. raccoglie una serie di contributi per la formazione alla vita spirituale, in
Iaccostino
particolare alla vita consacrata, in prospettiva francescana. Benché i vari aa.
l’azione formativa dell’esperienza spirituale a partire da competenze
differenti, tra le diverse prospettive si realizza una sorprendente convergenza.
e riflessioni raccolte in questo vol. colgono insieme due orizzonti diversi di
L
quella «realtà essenziale della vita umana» che è la famiglia. La I parte affronta il tema delle nozze cristiane, offrendo meditazioni sulla famiglia intesa co-
SEMINARIO ARCIVESCOVILE MILANO, Chi è mia madre e chi sono i miei
fratelli? La novità della famiglia cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)
2012, pp. 278, € 28,00. 9788821573705
me Chiesa domestica, seguendo un itinerario che va dall’amore umano alla famiglia che scaturisce dal matrimonio, fino alla considerazione della Chiesa stessa
come «famiglia di Dio». La II presenta il tema della vedovanza cristiana, considerata come un cammino spirituale che se da un lato mantiene salda l’esperienza del matrimonio vissuto, dall’altro apre sempre di più lo spazio all’amore trascendente verso Cristo, accolto e vissuto come unico Sposo.
riprende un dossier, già apparso su La Scuola cattolica, curato da docenIglieltivol.
del Seminario di Milano in vista del VII Incontro internazionale delle fami(Milano, 30.5-3.6.2012). La tesi di fondo è chiara: piuttosto che difendere «un
PANZARINO R., ANGELINI M., Santi & simboli. Storia, miracoli, tradizioni e
leggende nell’arte sacra, EDB, Bologna 2012, pp. 287, € 27,50. 9788810241233
a storia dell’arte cristiana è costellata di raffigurazioni di santi, comunemenL
te accompagnati da un complesso di simboli e segni distintivi. Il vol. effettua
il «restauro culturale» di un patrimonio prezioso, offrendo un repertorio di facile
determinato modello che, per quanto possa essere dichiarato “naturale” rimane
sempre culturalmente connotato», si preferisce annunciare la novità dell’amore
(sponsale) di Cristo quale grazia per vivere gli affetti e i legami familiari in un’epoca di crisi dell’istituzione matrimoniale. Il vol. organizza i contributi lungo le tre
dimensioni dell’amore di Cristo, secondo l’immagine di Ef 3,18-19: la famiglia
nasce «dall’Alto» (altezza), l’amore di Cristo plasma le relazioni (profondità) e la
famiglia vive nella Chiesa e nel mondo (ampiezza).
consultazione e corredato da numerosissime immagini.
STEVAN S., Incontrando Gesù. Lectio divina sul Vangelo, Monti, Saronno (VA)
2012, pp. 123, € 9,50. 9788884772466
PLANAS PAHISSA J., SALVÀ F., COZZI M.A., Nuovo messalino dei bambini.
Il mio primo libro di preghiere, EDB, Bologna 2012, pp. 175, € 7,50. 9788810768136
otto la guida dello Spirito Santo e in ascolto della Parola – è il metodo della
S
lectio divina – le piste di lettura che il vol. offre diventano «sorgente di grazia,
dialogo orante, appello alla conversione, proposta profetica e orizzonte di spe-
mato dal pubblico e apprezzato da parroci e catechisti, il Messalino dei fanA
ciulli torna in una nuova edizione: rinfrescato nella grafica, aggiornato nel
lessico secondo la sensibilità di oggi, mantiene inalterato il contenuto e il formato, a misura di bambino, nonché le simpatiche illustrazioni a colori, che hanno
contribuito al suo successo.
REZZAGHI R., Il sapere della fede. Catechesi e nuova evangelizzazione, EDB,
Bologna 2012, pp. 181, € 16,50. 9788810121061
ggi la catechesi ha un profilo conteso tra l’ambito teologico e quello pedagogico; tra trasmissione della fede e l’educazione religiosa; con un destinatario che un tempo era considerato soprattutto il minore, ma che oggi sempre più
spesso si vorrebbe fosse l’adulto. Tuttavia – afferma l’a. – «Ci interessano di più i
segni di speranza, i germi di bene (…) anche se ciò che Dio sta costruendo non è
sempre proprio secondo le nostre attese». Messa a fuoco la costitutiva dimensione evangelizzatrice della catechesi, il testo si dedica a ripensare di conseguenza i
soggetti, il metodo e gli esiti.
O
ranza» (dalla Presentazione di mons. E. dal Covolo, rettore della Lateranense).
BORELLI P., CALVETTI E., Il mondo aspetta qualcuno? Un itinerario verso
Natale, Elledici, Cascine Vica (TO) 2011, pp. 114, € 9,00. 9788801049268
CLARISSE DI CORTONA, I personaggi biblici dell’Avvento, Queriniana, Brescia 2011, pp. 102, € 8,00. 9788839932051
LOMURNO N., A me Dio non interessa. Come attirare a Gesù le persone indifferenti, Edizioni Segno, Feletto Umberto – Tavagnacco (UD) 2012, pp. 76, € 7,00.
9788861385528
MARTINI C.M., Invocare il Padre. Preghiere, EDB, Bologna 22012, pp. 228,
€ 12,00. 9788810108949
NOCETI S., TOSCHI N., Una speranza di giustizia e di pace. Ogni giorno
di Avvento con Isaia, EMP – Edizioni Messaggero, Padova 2011, pp. 127, € 8,00.
9788825029604
SALVOLDI V., Respirare l’amore. Per una spiritualità di condivisione. Prefazione di Angelo Comastri, Paoline, Milano 2012, pp. 199, € 15,00. 9788831541206
SEMERARO D., Messa e preghiera quotidiana. Dicembre 2012. A cura di fratel MichaeDavide, EDB, Bologna 2012, pp. 350, € 3,90. 9788810713730
arlare di spiritualità della famiglia non vuol dire fare grandi ragionamen«P
ti sui princìpi dottrinali, ma semplicemente rendersi conto che “là dove
c’è amore, c’è Dio”». Scopo del libro è esaltare il quotidiano amore che si tra-
Sindone. Vangelo, storia, scienza, Elledici, Cascine Vica (TO) 2010, pp. 295,
€ 16,00. 9788801044089
smette e si riceve in famiglia, una realtà, al tempo stesso umana e divina, che è
possibile incrementare con un cammino di pazienza, sopportazione, fedeltà, perdono e ricerca della santità. All’apertura d’ogni c. fa da guida «La Parola», seguita
poi da commenti, risonanze e testimonianze per aiutare a capire e introdurre finali momenti di preghiera.
684
SANTI G., L’architettura delle chiese in Italia. Il dibattito, i riferimenti, i
temi, Qiqajon, Magnano (BI) 2012, pp. 138, € 16,00. 9788882273613
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TOSCHI N., Glorificate Dio con la vostra vita. Novena di Natale, EMP –
Edizioni Messaggero Padova, Padova 2011, pp. 63, € 4,00. 9788825025361
VENTURI G., La corona di Avvento. Attualità di una tradizione natalizia, EMP
– Edizioni Messaggero, Padova 2011, pp. 63, € 3,90. 9788825029758
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www.edizionimessaggero.it
Spiritualità
AMIRANTE C., Solo l’amore resta. Nuovi orizzonti nell’inferno della strada,
Piemme, Casale Monferrato (AL) 2012, pp. 222, € 15,00. 9788838468254
a fondatrice della comunità «Nuovi orizzonti» (a oggi 174 centri d’accoL
glienza e formazione, 153 équipe di servizio, 5 «cittadelle Cielo» in via di realizzazione, oltre 250.000 «cavalieri della luce», in vent’anni di vita) racconta la
propria storia di credente, caratterizzata da un cieco affidamento a Dio e dall’impulso a portare la gioia del Risorto negli inferi dell’umanità.
ANTONINO G., Padre Pio presenta San Francesco, EDB, Bologna 2012,
pp. 76, € 6,90. 9788810507513
ei rapporti con le persone che si rivolgevano a lui e con i suoi confratelli alN
l’interno dell’Ordine, padre Pio ha fatto spesso riferimento a san Francesco
d’Assisi, come fondatore e modello di vita. Il vol. indaga l’immagine di san Francesco che emerge dagli scritti del santo di Pietrelcina, dai primi anni di convento
all’età matura. L’immagine che egli consegna è in un certo senso «classica», molto somigliante a quella trasmessa sin dalle origini dell’Ordine francescano. Tuttavia nei suoi testi essa è «impregnata» di insegnamenti ascetici esemplari.
Alessandro Castegnaro - Ugo Sartorio (a cura)
Toccare il divino
BAHARIER H., Qabbalessico, Giuntina, Firenze 2012, pp. 80, € 8,50.
9788880574484
Pag. 176 - € 16,00
sservazioni e annotazioni su fenomeni e fatti di cronaca, ponendoli in relaO
zione con la riflessione mistica e spirituale della Qabbalà ebraica. «Io penso che la Qabbalà sia un dono per tutti; per tutti coloro che a essa sono in grado
Il più recente e aggiornato studio
sul fenomeno della religiosità popolare,
condotto a partire dai dati dell’Ostensione
del corpo di sant’Antonio del 2010.
di elevarsi. Di certo alza più un sorriso, un’amara ironia, che un chilometro lineare di scaffalatura sull’argomento».
BARROS M., Il Vangelo che libera. In dialogo attorno a Luca, EMI, Bologna
2012, pp. 300, € 15,00. 9788830719873
opo Il baule dello scriba (2010), a commento del Vangelo di Matteo, il preD
sente vol. acquisisce la forma dialogica di un colloquio con l’evangelista Luca, immaginato presente alla lettura del suo testo in una comunità popolare del
Brasile. Con l’obiettivo di capire il testo del Vangelo rendendolo, attraverso lo stile dell’oralità, accessibile anche ai giovani, l’a. propone i recenti risultati della ricerca biblica alla luce delle realtà quotidiane e nel contesto della cultura popolare latinoamericana. Il libro, «costruito come un dialogo tra persone di diversi contesti culturali e spirituali» raccoglie anche altre considerazioni che partono da
punti di vista diversi e include preghiere e affermazioni di persone e mistici di altre tradizioni religiose.
BOSSIS G., Lui e io. Diario intimo di una mistica del Novecento, Marietti, Milano
2012, pp. 192, € 15,00. 9788821118302
iario intimo di una mistica del Novecento (1874-1950), nota non solo come
D
attrice teatrale e scrittrice , ma oggi anche come un’autentica «eco» di Cristo. I resoconti qui annotati, dapprima in forma di brevi estratti poi via via diventati veri e propri colloqui di una relazione sublime col divino, sono stati scritti dall’a. a partire dal 1936 quando, durante una tourneè in Canada, la «voce» che
già sentiva interiormente le chiese di scrivere questi discorsi.
CALDIROLA D., TORRESIN A., I verbi del prete. Forme dello stile presbiterale,
EDB, Bologna 2012, pp. 157, € 11,50. 9788810512111
i sono alcuni verbi che danno forma allo stile presbiterale. Uno stile che viene approfondito nel vol. attraverso gli articoli che due parroci di Milano
hanno scritto per il periodico Settimana (EDB). Con il preciso avvertimento che
«l’aura sacrale e la garanzia del ruolo sociale non servono più e non sono più raggiungibili». Fare i conti con i propri limiti e pregi, è un esercizio necessario per un
prete, come per ogni uomo, perché «nessuno dei compiti a cui il sacerdote è chiamato esige una impossibile perfezione».
V
CARAMORE G., Nessuno ha mai visto Dio, Morcelliana, Brescia 2012,
pp. 77, € 10,00. 9788837226275
li scritti diversi che compongono il vol. sono caratterizzati dall’«indicazione
G
di un problema intensamente sentito, quello della difficoltà di “pensare” Dio
e di “dire” Dio», in forma pressante «quasi (…) di un personale rovello». Il primo
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Luigi Berzano (a cura)
Credere è reato?
Pag. 312 - € 24,00
Il confronto di giuristi, sociologi e semiologi
sul grande tema della libertà religiosa
in Italia: riflessioni sullo stato laico
e sulla società multietnica e pluralista.
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scritto pone a tema il silenzio in cui è avvolta la «parola di Dio e la nostra difficoltà ad ascoltarla, leggerla, interpretarla». Il secondo ha come oggetto l’invisibilità di Dio cui fa da controcanto la visibilità delle «tracce d’amore, per così dire,
che si ritrovano nelle creature umane che lo invocano». Il terzo, infine, esemplifica una modalità concreta d’ascolto della Parola nell’«avere cura di chi è intorno
a noi».
GUSMITTA P.L., Cronache sacerdotali. Quale prete sogna Dio?, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 92, € 9,00. 9788874027187
ccompagnare i sacerdoti nel loro cammino è gesto di premura delicata e
attenzione allo Spirito Santo. Impegna ad ascoltare l’umanità concreta e
la ferialità talvolta opaca. (…) Le pagine che seguono sono frutto di tale esperienza umile e ricca». Direttore dell’Istituto per la formazione permanente del
clero di Vigevano, l’a. raccoglie brevi riflessioni scaturite da una «contemplazione» della vita sacerdotale (I parte) lungo il cammino di formazione condiviso coi
giovani preti della sua diocesi. Stimoli per la riflessione, la lectio divina e la preghiera completano il vol. (II parte).
«A
MALERBA P., Il lavoro non è tutto. Festa e riposo nel tempo della flessibilità, Queriniana, Brescia 2012, pp. 155, € 11,00. 9788839931498
l «lavoro e la festa sono due categorie concettuali spesso considerate antitetiche
Iè festivo...
nella cultura comune: si fa festa quando non si lavora e il tempo del lavoro non
Tuttavia, nella vita di ogni essere vivente questi due tempi sono strettamente connessi, anche se poi sono vissuti in modo antitetico, nel senso che uno
non può fare a meno dell’altro» (dall’Introduzione). Le meditazioni di questo libro cercano di dare una risposta a un interrogativo di fondo: come vivere il tempo della festa e del lavoro nella attuale era della flessibilità e come accordarli fra
loro.
MOSCA MONDADORI A., Cristo nelle costellazioni, Morcelliana, Brescia
2012, pp. 63, € 8,00. 9788837225711
telle che vegliano il silenzio delle costellazioni da loro stesse costruite come
S
una preghiera, un salmo, un canto volto a quella realtà che è nella sua essenza totalmente «cristica». Per raggiungerla bisogna invocare il sostegno di colui che è il solo in grado di uccidere il vecchio uomo, per far sorgere la nuova
creatura da una seconda creazione: «Aiutami Signore a perdermi. Che rimanga solo la Vergine, e il suo silenzio». L’a. con questa sua intensa, radicale opera
poetica riesce, senza mai perdere il ritmo di una musicalità tutta interna al testo
stesso, a far vivere sulla pagina bianca l’incontro con il mistero della vita. Poesie
simili a feritoie in cui Dio passa, tocca, ferisce come solo sa ferire un inno a Cristo e all’infinito racchiuso nel grembo di una Madre: «Le tue mani Cristo / al limite dell’universo. Perché i confini dell’universo / sono il tuo amore / che genera eternità / in ogni direzione./ Sei tu col tuo sguardo / a dilatare la beatitudine / e la materia».
REBORA C., Meditazioni. A Villa Grazia di Giogoli (FI). 1o diembre 1953 - 30
maggio 1954. A cura di Carmelo Giovannini, La grafica, Mori (TN) 2011, pp. 210,
s.i.p.
vol. propone la trascrizione di alcune meditazioni tenute da p. Rebora tra il
Ite adl1953
e il 1954 che seguono l’anno liturgico e che sono particolarmente attenalcune grandi figure femminili come s. Caterina da Siena o s. Maria Maddalena. La cura dei testi è di p. Carmelo Giovannini, studioso appassionato del
pensiero reboriano.
SCHÖNBORN C., Sulla felicità. Meditazioni per i giovani, ESD – Edizioni studio domenicano, Bologna 2012, pp. 231, € 15,00. 9788870947885
ono qui raccolti alcuni testi pronunciati in diverse occasioni dal card. ChriS
stoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, e tutti sul tema della felicità, perché
noi «siamo creati per essere felici». Nella I parte si tratta della tendenza dell’uomo alla felicità e delle sue piccole e grandi esperienze di essa; nella II della rivelazione di Dio nella Bibbia, promessa originaria di felicità; nella III della tragedia
del XX secolo, ossia di quando le ideologie promettono la felicità in terra; mentre l’ultima parte è dedicata alla lettura di brani di G. von le Fort, C.S. Lewis e W.
Shakespeare.
BOCCHINI S., LUSANI V., Il Natale è di tutti, EDB, Bologna 2012, pp. 30,
€ 2,50. 9788810707753
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BOCCHINI S., LUSANI V., In silenzio, EDB, Bologna 2012, pp. 30, € 2,50.
9788810707760
BORDT M., Ciò che conta nelle crisi. Come può riuscire la vita, Queriniana,
Brescia 2012, pp. 96, € 9,00. 9788839922946
CUCCI G., La lussuria. Una ricerca malata dell’assoluto, ADP – Apostolato della
preghiera, Roma 2012, pp. 30, € 3,00. 9788873575528
DANISI P., Oltre i limiti, Levante, Bari 2012, pp. 110, € 14,00. 9788879496100
SARTORIO U., Tra notizia e spiritualità. Editoriali sul filo, Cittadella, Assisi
2012, pp. 126, € 10,50. 9788830812536
TENGBOM M., Quando si resta vedovi, EMP – Edizioni Messaggero, Padova
2010, pp. 63, € 6,00. 9788825026092
Storia della Chiesa
CICCOPIEDI C., Diocesi e riforme nel Medioevo. Orientamenti ecclesiastici
e religiosi dei vescovi nel Piemonte dei secoli X e XI, Effatà, Cantalupa (TO) 2012,
pp. 142, € 16,00. 9788874027798
a medievistica più recente, che si è rivolta al tessuto locale delle diocesi, sta
L
superando la concentrazione della storiografia sull’azione politica episcopale
nel Medioevo. Viene così a incrinarsi il pregiudizio su quei vescovi che per la loro opposizione alla riforma accentratrice di Gregorio VII sono stati a lungo ritenuti «filoimperiali, dipendenti dai poteri laici, quando non assimilati a quelli corrotti e davvero simoniaci». Il vol. è un esempio interessante di tale tendenza. Concentrandosi sulle diocesi piemontesi, lo studio dimostra l’esistenza di un vero e
proprio movimento di «riforma vescovile» precedente la riforma gregoriana e riguardante l’azione «propriamente ecclesiastica e pastorale» dei vescovi (cura
d’anime, sinodi, stile di vita dei chierici).
HOLZHERR G., La regola di Benedetto. Introduzione alla vita cristiana, EDB,
Bologna 2012, pp. 692, € 48,00. 9788810453063
a
edizione qui presentata della Regola di san Benedetto – la 7 – permette un
L’
approccio integrato e pluridimensionale al testo, fornendo al lettore gli strumenti critici secondo diversi livelli di approfondimento. L’Introduzione inquadra
la Regola nel suo contesto storico, sociale e religioso, ne mette in risalto gli elementi innovativi e originali rispetto alle altre regole che comparvero nello stesso
periodo e soprattutto mostra come essa venne recepita nell’ambito ecclesiale del
Medioevo e dei secoli successivi. Il cuore del vol. è costituito dall’edizione critica
del testo latino della Regola accompagnato dalla traduzione italiana, che si contraddistingue per precisione, per perfetta aderenza all’originale e, al tempo stesso,
per uno stile estremamente scorrevole e leggibile. Il testo è corredato da un esauriente commento esplicativo che spiega la Regola parola per parola, ne esplicita i
riferimenti biblici e patristici, mette a fuoco la teologia, la spiritualità e il pensiero
di san Benedetto.
MIELE M. (a cura di), Le relazioni ad limina dell’arcidiocesi di Napoli in
età modera. A cura della Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale, sezione s. Tommaso d’Aquino, vol. 42 di Campania sacra, Napoli 2011, pp. 428, s.ip.
testo – numero monografico della rivista Campania sacra – offre l’edizione inImaltegrale
(solo latina) delle relazioni degli arcivescovi di Napoli presentate a Roin occasione delle periodiche visite ad limina dal Cinquecento al Settecento.
Esse non solo forniscono un quadro esaustivo della Chiesa locale ma sottolineano anche il ruolo di primo piano che la diocesi partenopea ebbe in tutto il Sud
d’Italia.
TENTORIO M., Saggio storico sullo sviluppo dell’Ordine somasco dal
1569 al 1650. La Compagnia dei servi dei poveri dall’approvazione di Pio V all’inchiesta di Innocenzo X, Archivio storico dei Padri somaschi, Roma 2011, pp.
499.
rchivista storico dei padri somaschi, l’a. traccia un profilo storico «metodiA
co», non in forma di «apologia, conferenza o panegirico», della sua Congregazione – dedita al servizio dei poveri e degli orfani – dall’anno di nascita, con
la professione dei primi sei padri (1569), al manoscritto sullo stato dell’ordine ste-
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so per ordine di Innocenzo X nel 1650. «Non mi propongo d’esaurire tutta la materia – scrive l’a. nell’Introduzione – ma solo di ordinare il vasto materiale, per dare l’avviamento a un futuro studioso che voglia interessarsi di questo argomento
storico».
VINCENZO DE’ PAOLI, Opere/9. Conferenze alle figlie della carità, Centro liturgico vincenziano, Roma 2012, pp. 1107, € 65,00. 9788873671510
l IX vol. delle Opere di s. Vincenzo de’ Paoli, che contiene 120 conferenze teItraccia
nute alle Figlie della carità tra il 1634 e il 1660 (con un ricco indice tematico),
l’emergere nel Seicento di una rivoluzione nella vita consacrata femminile, con l’istituzione di un nuovo tipo di vita religiosa al tempo stesso contemplativa e attiva, religiosa e secolare al di fuori delle mura del convento, nel vasto mondo, ovunque ci siano poveri da servire. Molto di quanto si legge in queste conferenze restituisce ancora intatti il calore e la passione della carità espressi dal santo della carità.
Attualità ecclesiale
ALBANESE G., Missione extra large. Per un Vangelo senza confini, EMP – Edizioni Messaggero Padova, Padova 2012, pp. 134, € 12,00. 9788825029475
adre Giulio ripercorre, alla vigilia della celebrazione del Sinodo sulla nuova
P
evangelizzazione, la propria esperienza di giornalista missionario comboniano da oltre 25 anni per ritrovarne il nucleo centrale e per «provocare quel cristianesimo algido e ingessato, a volte paludato, fatto di candelabri e merletti, che
sta allontanando soprattutto i giovani dalle nostre comunità». Infatti, prosegue,
«oggi più che mai la Parola deve uscire dalle nostre sacrestie, per entrare, a pieno
titolo, nelle vicende umane: a 360o, in misura… “extra large”». Prefazione di S.
Zavoli.
Cittadini della
terra e del cielo
Giovani, famiglia,
politica e società
Giorgio Fedalto
Da Pasqua il tempo nuovo
Questioni di cronologia
ebraico-cristiana
400 pagine, € 30,00
128 pagine, € 14,00
Trenta tra i più noti
specialisti tracciano un
quadro della società e delle
istituzioni del nostro Paese
e agli “affamati di cultura”
propongono gli strumenti
per migliorare lo stato di
salute della democrazia.
Dall’esigenza di fissare un’unica data
per celebrare annualmente la Pasqua,
Dionigi il Piccolo cominciò a datare
gli eventi a partire dall’incarnazione
di Cristo. Avrebbe però sbagliato
il calcolo per cui Gesù sarebbe nato
6 o 7 anni prima di Cristo.
Una nuova rivisitazione dei documenti
e il ricorso ai dati astronomici diffusi
dall’U.S. Naval Observatory permette
di proporre date più sicure sull’origine
del Cristianesimo.
Casa Editrice Mazziana
Via San Carlo 5 – 37129 Verona
Tel. e fax 045 912039
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DIANICH S., TORCIVIA C., Forme del popolo di Dio. Tra comunità e fraternità, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2012, pp. 230, € 24,00. 9788821573729
el vol. vengono in primo luogo analizzate dal punto di vista teologico le vaN
rie forme in cui si declina il concetto di comunità ecclesile, termine venuto a
imporsi negli ultimi decenni «per designare la Chiesa in un qualsiasi discorso che
tratti della concretezza del suo vivere e del suo agire», affiancatosi alla figura del
«popolo di Dio», alla base dell’ecclesiologia del Concilio. Successivamente il tema viene sviluppato e ampliato facendo ricorso agli strumenti offerti da sociologia, psicologia, filosofia e diritto. Viene così ridimensionata l’«emergenza imperiosa della figura dell’individuo», per lasciar spazio al concetto di fraternità.
L’esperienza religiosa di Paolo
Enchiridion Vaticanum/26. Documenti ufficiali della Santa Sede 2009-2010.
A cura di L. Grasselli, EDB, Bologna 2012, pp. 2298, € 46,00. 9788810802502
Giovanni Tabacco
o
l 26 Enchiridion, dedicato al biennio 2009-2010, testimonia un periodo partiIquello
colarmente ricco e intenso dell’attività della Santa Sede, dall’Anno paolino a
sacerdotale, dall’enciclica Caritas in veritate all’esortazione apostolica Verbum Domini, dal Sinodo sull’Africa a quello sul Medio Oriente, fino ai viaggi di
Benedetto XVI in Camerun e Angola, Repubblica Ceca, Terra Santa, Gran Bretagna e Spagna. Su questioni di grande importanza come i provvedimenti per il
rientro di anglicani nella comunione con la Chiesa cattolica, la controversa questione dei vescovi lefebvriani, il dramma delle violenze sui minori, la riforma dell’ordinamento economico-finanziario del Vaticano, ma anche le modifiche all’ordinamento canonico e alla struttura della Curia romana, come per molti altri
aspetti importanti, ma spesso meno noti, dell’attività della Santa Sede, i documenti pubblicati rappresentano una testimonianza irrinunciabile e al tempo stesso un’insostituibile chiave di lettura.
GUASCO M., Carità e giustizia. Don Luigi Di Liegro (1928-1997), Il Mulino,
Bologna 2012, pp. 337, € 25,00. 9788815240644
na «prima ricostruzione della biografia» di don Luigi Di Liegro (1928-1997)
a partire dal suo archivio personale, ora presso la fondazione a lui dedicata,
a opera dello storico Maurilio Guasco. Essa racconta «la storia non solo della diocesi di Roma ma della stessa città, almeno in alcuni dei suoi aspetti più significativi» e «il mondo spesso dimenticato (…) che venne al centro dell’attenzione grazie al contributo fondamentale dato proprio da don Luigi». Fondatore della Caritas di Roma, per la sua attività in favore dei più emarginati si scontrò sia con le
autorità politiche sia con le gerarchie cattoliche della città, pur godendo della stima personale di Giovanni Paolo II.
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Mauro Pesce
La conversione, il culto, la politica
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La metamorfosi della potenza
sacerdotale nell’alto medioevo
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ibri del mese / schede
Le costituzioni del Vaticano II. Sacrosanctum Concilium, Lumen gentium, Dei
verbum, Gaudium et spes, EDB, Bologna 2012, pp. 280, € 4,90. 9788810802526
l concilio Vaticano II (1962-1965) ha prodotto 16 documenti: 4 «costituzioni»
Icostituzioni
seguite da 9 «decreti» e da 3 «dichiarazioni». Il vol. riporta i testi italiani delle
per una loro rapida e sintetica consultazione.
MACCIANTELLI R., Mons. Mario Campidori. Vivere per fare la gioia, Dehoniana Libri, Bologna 2012, pp. 96, € 4,90. 9788889386590
uesto ritratto del fondatore dell’associazione bolognese Simpatia e amicizia,
impegnata nell’accompagnamento di persone affette da handicap, è curato
dall’attuale rettore del Seminario locale con l’esplicita volontà di valorizzare una
delle «figure sacerdotali eminenti del presbiterio bolognese» che numerose animarono la vita ecclesiale e sociale della diocesi specialmente a partire dall’episcopato del card. Lercaro.
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MARTINELLI P., Nuova evangelizzazione e carisma francescano. Prospettive e testimonianze, EDB, Bologna 2012, pp. 140, € 12,50. 9788810541463
empre più strada si fa la convinzione che la nuova evangelizzazione non è anS
zitutto una questione di strategie pastorali ma un evento spirituale. Quali risorse provengono dalle grandi spiritualità cristiane per questa sfida che sta di fronte alla Chiesa agli inizi del III millennio? E quale il contributo del carisma francescano all’annuncio del Vangelo oggi nella società postmoderna? A tali domande ha cercato di rispondere l’annuale giornata di studio promossa dall’Istituto
francescano di spiritualità della Pontificia università Antonianum, tenutasi in preparazione della XIII Assemblea del Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione e trasmissione della fede cristiana.
MAZZOLARI P., Un formatore di coscienze. A cura di G. Vecchio, La scuola,
Brescia 2012, pp. 160, € 9,00. 9788835029564
opo aver proposto nella I parte del vol. una sintesi della biografia di MazD
zolari, l’a. fa seguire la bibliografia vastissima delle sue opere – comprendente gli articoli, i saggi, le opere postume, i numerosi carteggi, i diari e gli studi
a lui dedicati, organizzati dalla Fondazione Mazzolari – aggiornata sulla base di
recenti studi. La II parte del vol. è un’antologia di brani ancora inediti del sacerdote, attraverso i quali è possibile intravederne la figura di un formatore di coscienze non solo sul piano della fede e della morale, ma anche su quello della professione e dell’impegno sociale e politico. Si tratta delle pagine iniziali del percorso educativo e formativo che é stato la sua vera missione.
PANETTIERE G., Non solo vescovi. La gerarchia cattolica e le sfide della Chiesa,
Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (VR) 2012, pp. 128, € 13,00.
9788860991676
e 13 interviste ad altrettanti vescovi di diocesi italiane (con prevalenza del
Nord) sono nate per la pubblicazione sul Quotidiano nazionale di cui l’a. è
firma. Qui raccolte e opportunamente suddivise per aree tematiche, riconsegnano la freschezza e la varietà di prospettive di chi ricopre oggi nella Chiesa la non
semplice funzione di governo. Come il card. Martini afferma nelle righe augurali scritte in prossimità della pubblicazione, qui la «storia concreta» di vescovi
«buoni e generosi» emerge oltre la «nube grigia» che talora sembra stagliarsi nell’orizzonte degli appuntamenti ufficiali; qui, ribadisce mons. Soravito (Adria-Rovigo) nella Prefazione, si colgono «i problemi più scottanti» che i vescovi «devono
affrontare nelle loro Chiese e nella società attuale».
L
QUINSON H., Degli uomini e degli dei. Il racconto del film Uomini di Dio, Jaca
Book, Milano 2012, pp. 246, € 22,00. 9788816305168
hi ha conosciuto e amato la vicenda dei monaci di Tibhirine, rapiti e uccisi
in Algeria nel 1996, e poi gustato il film a loro dedicato Uomini di Dio (uscito nel 2010) leggerà con interesse il racconto di Henri Quinson, già banchiere e
poi monaco e consulente per la parte «ecclesiale» del regista Xavier Beauvois. In
qualche modo gli attori e tutto il personale al lavoro per l’allestimento e le riprese rivivono gli interrogativi dei monaci nel farsi concreto del film; in una certa iniziale contrarietà dei familiari dei monaci; nei timori della comunità ecclesiale marocchina (le riprese sono state fatte in Marocco); nel calarsi nella parte dei vari attori, tra cui i magistrali Lambert Wilson e Michael Lonsdale.
C
RONCALLI M., Giovanni Paolo I. Albino Luciani, San Paolo, Cinisello Balsamo
(MI) 2012, pp. 734, € 34,00. 9788821573200
(734 pp.) ricostruzione della figura di Giovanni Paolo I a cenL’ impegnativa
t’anni dalla nascita (1912) è scritta da Marco Roncalli, saggista con all’atti-
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vo una ventina di pubblicazioni sulla storia della Chiesa nel Novecento. Essa vuole «far emergere il profilo di Luciani dai differenti contesti in cui s’è trovato a operare» e punta a ricostruire «una storia prima di tutto come ricerca, conoscenza».
Un’analisi condotta «nella libertà da pressioni istituzionali, accademiche, devozionali» che porta il lettore a formarsi un’idea a partire dai documenti al momento disponibili e che rende conto delle possibili e diverse interpretazioni – attualmente ancora plausibili – dei 33 giorni del suo pontificato.
SICCARDI C., Giovanni Paolo I. Una vita per la fede, Paoline, Milano 2012,
pp. 226, € 24,00. 9788831535007
alla feconda penna di Cristina Siccardi, che ha scritto numerosissime bioD
grafie (da Madre Teresa al card. Newmann, da Mafalda di Savoia a Paolo
VI), sgorga questa appassionata rilettura della vicenda terrena di papa Luciani
che aveva scelto come motto episcopale la parola humilitas. Nel 2006 si è conclusa la fase diocesana di raccolta delle testimonianze in vista della sua canonizzazione e l’iter processuale passato a Roma è seguito da mons. Enrico dal Covolo, rettore della Pontificia università lateranense.
SVIDERCOSCHI G.F., Il ritorno dei chierici. Emergenza Chiesa tra clericalismo
e Concilio, EDB, Bologna 2012, pp. 141, € 9,00. 9788810513248
a Chiesa cattolica sembra oggi avere due anime. La prima si sente deposiL
taria esclusiva della verità che annuncia ed è segnata da un risorgente clericalismo, da un’autorità che degenera spesso in puro potere. La seconda, che si
rifà al concilio Vaticano II, portatrice di tante novità e speranze, ma bloccata
nella fase evolutiva dalle paure e dalle resistenze di una parte della gerarchia ecclesiastica. Dal confronto tra queste due anime si deciderà il futuro del cattolicesimo, che sta vivendo una profonda crisi di fede ma anche di leadership, di uomini, di progetti, di strutture, di linguaggi, di rapporti con la modernità. È possibile – si chiede l’a. – che, al miliardo e più di battezzati che costituiscono la fitta trama della cattolicità nelle più diverse realtà del mondo, continui ad arrivare l’eco di scandali, conflitti, «Vatileaks» e non un rinnovato e vivificante annuncio del Vangelo?
VALLI A.M., Dai tetti in su, dai tetti in giù. Ovvero perché e come la famiglia
cristiana può salvare il mondo, EMP – Edizioni Messaggero, Padova , pp. 221,
€ 17,00. 9788825031447
critto in forma di diario, il vol. è il racconto di una storia familiare cristiaS
na (Valli è sposato con Serena e ha sei figli), in cui le vicende di vita quotidiana diventano spunto per riflessioni su argomenti attuali riguardanti gli stili
di vita che il mondo propone. L’ampio raggio dei temi trattati permette all’a.
di smascherare alcuni luoghi comuni, che nascono dal «soggettivismo radicale» prodotto dalla cultura dominante. Questioni complesse a cui l’a. risponde
riportando al centro l’importanza di una coscienza morale da riscoprire in famiglia.
Filosofia
DONATI A., Alla ricerca di Dio, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2012,
pp. 325, € 19,00. 9788849834482
uesto ponderoso vol. propone una nuova definizione dei fondamenti metaQ
fisici della realtà, partendo dalla necessità di un superamento della «filosofia intellettualistica», rappresentata dall’eredità platonica e aristotelica, per sfociare nel riconoscimento dell’esistenza di «due culture», fondate sul primato accordato alla «scienza dell’essere» da un lato e alla «scienza del divenire», intesa alla
luce delle sue moderne declinazioni scientifiche, dall’altro. Opera notevole per
l’ampiezza di temi e orizzonti aperti, anche se rimane aperto l’interrogativo se sia
lecito accordare ai rivestimenti filosofici della scienza moderna il valore di giudice della metafisica classica.
DREON R., Fuori dalla torre d’avorio. L’Estetica inclusiva di John Dewey oggi,
Marietti, Milano 2012, pp. 252, € 25,00. 9788821187124
ttraverso il confronto con tesi di filosofi e antropologi contemporanei, l’a. riA
percorre la riflessione estetica di J. Dewey, intesa in senso estensivo rispetto
ai confini assegnategli al momento della sua nascita come disciplina filosofica nel
XVIII secolo. Per D., infatti, essa include l’intera gamma di interazioni con l’am-
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GIAN FRANCO SVIDERCOSCHI
biente circostante, e può quindi essere identificata con la stessa esperienza, intesa
nei suoi primitivi aspetti qualitativi e irriflessi. Da questo approccio derivano una
serie di conseguenze, quali il superamento del dualismo fra «belle arti» e «arti minori» e un avvicinamento fra etica ed estetica.
GATTI R., Rousseau. Il male e la politica, Studium, Roma 2012, pp. 304, € 25,00.
9788838241598
del vol. è proporre un’interpretazione di alcuni punti essenziali del
Ila ntento
problema del male quale si presenta nel pensiero di Rousseau in relazione alpropria filosofia politica. Rivalutando l’antropologia e lo sfondo religioso in
Il ritorno
dei chierici
Emergenza Chiesa
tra clericalismo e concilio
cui essa si colloca, l’a. intende ridimensionare la tesi secondo cui «il male viene
prodotto attraverso la storia e la società, senza alterare l’essenza dell’individuo»,
sottolineando lo spazio accordato da R. alla debolezza e all’imperfezione connaturate all’uomo, sicché la società si configura non più come causa, bensì come occasione del male, da situare quindi all’interno dell’uomo, e non nella sua
periferia.
MORETTO G., Ermeneutica. A cura di Guido Ghia, Morcelliana, Brescia 2011,
pp. 200, € 15,00. 9788837225025
ermeneutica viene intesa in questa raccolta di saggi come nuovo paraL’
digma filosofico, stimolato dall’Illuminismo e maturato con la riflessione
idealista tedesca, teso a una compenetrazione di filosofia e teologia, nel contesto del superamento dell’antica distinzione fra ordine naturale e ordine soprannaturale. Non senza audacia (e consapevole dell’attrito con la prospettiva confessionale), l’a. legittima un’interpretazione filosofica dei testi sacri a
partire dal «principio della libertà», in essi stessi contenuto e non inferiore al
«principio della confessione», basandosi in particolare su Lessing e Schleiermacher.
NODARI F., Il pensiero incarnato in Emmanuel Lévinas, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 266, € 20,00. 9788837225766
n questo vol. viene approfondito il ruolo della corporeità nella filosofia di LéIdurante
vinas, appoggiandosi ai suoi Carnets de captivité, raccolta di brevi testi redatti
la prigionia presso un campo tedesco durante la Seconda guerra mondiale e rimasti inediti fino al 2009. L’approccio ermeneutico dell’a., di difficile
comprensione, intende evidenziare il percorso compiuto da L. a partire da premesse fenomenologiche, poi superate, per giungere, «al di là dell’ego trascendentale e a-storico» husserliano e del «Dasein disincarnato» dell’Essere e tempo heideggeriano, a un «pensiero incarnato», cioè a un «io sono» «garante-con-lapropria-vita-per-l’altro».
VOLPE G., La verità, Carocci, Roma 2012, pp. 144, € 11,00. 9788843065196
enza aver la pretesa d’«individuare un gioco linguistico più fondamentale di
S
altri», l’a. passa in rassegna le principali «teoria della verità», secondo una
prospettiva analitica: da quella «della corrispondenza», fondata su un’intuizione
realista e predominante nel corso della storia della filosofia, a quelle epistemiche
(«immanenza della verità alle nostre pratiche conoscitive»), dalla teoria semantica di Tarski, basata sulle «relazioni esistenti fra gli enunciati e gli oggetti di cui
«parlano», alle concezioni deflazionistiche, con la loro intenzione di «dissolvere,
anziché risolvere, la questione della natura della verità».
L
a Chiesa cattolica sembra oggi attraversata quasi
da un muro: da un lato una Chiesa che si sente
depositaria esclusiva della verità che annuncia, segnata da un risorgente clericalismo, da un’autorità che
degenera spesso in puro potere; dall’altro la Chiesa
«nata» 50 anni fa dal Vaticano II, portatrice di novità
e speranze, ma bloccata da paure e resistenze di parte
della gerarchia. Un giornalista affermato si interroga
Storia, Saggistica
sul confronto tra queste due anime, da cui dipenderà
ACANFORA P., Un nuovo umanesimo cristiano. Aldo Moro e «Studium»
(1945-1948), Studium, Roma 2011, pp. 143, € 15,50. 9788838241406
il futuro del cattolicesimo.
l piccolo libretto è una densa analisi non solo del Moro direttore della rivista
Itellettuali
Studium ma soprattutto della complessiva linea editoriale di quel gruppo di inche furono protagonisti del «quadriennio esaltante in cui nacquero la
«ITINERARI»
democrazia italiana e la repubblica costituzionale e si realizzò la stessa, duratura,
egemonia democristiana nel sistema politico» italiano. «Acanfora evidenzia le linee di fondo di un progetto collettivo piuttosto omogeneo, che affondava le sue
radici nell’atteggiamento impostato già all’interno del regime totalitario», mettendone i luce anche le «problematicità»; esso si applicava non solo alla nascente
democrazia ma serviva anche come modalità interpretativa del cristianesimo stesso (dalla Prefazione di G. Formigoni).
pp. 144 - € 9,00
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Tel. 051 4290011
Edizioni Dehoniane Bologna
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ibri del mese / schede
GRISONI F., Compagn. Prefazione di Giovanni Tesio. Postfazione di Giacomo Canobbio, Morcelliana, Brescia 2012, pp. 162, € 18,00. 9788837225650
POLIERI P., Dio è tollerante? Il cristianesimo di fronte alla pluralità delle religioni
e alla sfida etica globale, Stilo editrice, Bari 2011, pp. 395, € 35,00. 9788864790183
ata a Sirmione, dove vive e lavora, l’a. scrive i propri versi nel dialetto, o
l mio obiettivo è criticare per migliorare. Decostruire per costruire». CoN
forse sarebbe più corretto dire nella lingua del suo luogo di nascita. Con- «Isì l’a. presenta un vol. nel quale, con la sua formazione antropologicosiderata, a ragione, una delle voci più significative della poesia italiana con- culturale «costruita a partire dalla decostruzione delle strategie discorsive di
temporanea, la sua poesia è stata spesso accostata ad quella della grande poetessa americana dell’Ottocento, Emily Dickinson, per la comune contemplazione della natura e di ciò che accade nella quotidianità vista come evento.
Con questa sua ultima opera la vena poetica della Grisoni rende partecipe il
lettore alla propria avventura vissuta nella carne e nello spirito. Un itinerarium mentis in Deum, nel cui percorso la poetessa si lascia guidare e modellare da colui/Colui che si rivela come la Verità. Il Compagn del titolo significa in italiano come. Con l’uso di questo semplice avverbio la poesia della Grisoni esplora la separazione tra l’uomo e gli animali, il tempo dettato dal «non
ancora» da quello che «sarà», vale a dire la pienezza che vince la solitudine.
GUARDINI R., Opera omnia XIX/2. La Divina Commedia di Dante. I principali concetti filosofici e religiosi. (Lezioni). A cura di Oreste Tolone, Morcelliana, Brescia 2012, pp. 659, € 50,00. 9788837225445
iunge per la prima volta al lettore italiano il principale lavoro dedicato da
G
Romano Guardini alla Divina commedia di Dante e al suo contenuto filosofico e religioso, anche se erano state pubblicate due raccolte di studi danteschi
ora confluite nel vol. XIX/1 dell’Opera omnia, in corso di pubblicazione. Ne
emerge una particolare predilezione del filosofo per l’Alighieri e la sua Commedia,
con molti punti di affinità nel rispettivo pensiero filosofico, e insieme l’opera «ci
restituisce un’immagine più corretta anche di Guardini e del suo rapporto con la
letteratura, che appare ora ancora più nevralgico e strutturale all’interno del suo
pensiero» (O. Tolone).
HELLER A., I miei occhi hanno visto. Con Francesco Comina e Luca Bizzarri,
Casa editrice Il Margine, Trento 2012, pp. 130, € 15,00. 9788860891013
autoaffermazione identitaria», critica i modelli teorici dominanti del cristianesimo occidentale, incapaci – a suo dire – di riconoscere «in termini di parità (…) l’esistenza e il valore dell’alterità», e dunque di farsi realmente carico
della sfida del pluralismo religioso. La globalità della sfida del dolore e del male ha invece offerto a P. Knitter l’elaborazione di un pensiero dell’alterità innovativo, che l’a. analizza e assume come proposta per ridefinire le coordinate e i riferimenti tradizionali dell’identità cattolica davanti alle istanze del pluralismo.
RICORDA R., La letteratura di viaggio in Italia. Dal Settecento a oggi, La
scuola, Brescia 2012, pp. 407, € 22,00. 9788835029618
è una categoria che ha sempre affascinato scrittori, pensatori, poeIconlti«viaggio»
di ogni tempo; vasta è, infatti, la produzione odeporica da essa scaturente. L’a.
questo suo saggio suddiviso in due parti – la I di ordine metodologico e storico-critico, la II antologica con un’accurata scelta di testi – tratteggia un quadro
inevitabilmente generale nel quale, però, si cerca d’evidenziare le intersezioni dei
«fili elettrici» più interessanti in modo da suggerire stimoli, percorsi di lettura tali
da permettere al lettore interessato d’intraprendere il proprio viaggio in una letteratura che è cronaca, testimonianza, memoria.
Politica, Economia, Società
ANTISERI D., PANIZZA G., Il dono e lo scambio, Rubbettino, Soveria Mannelli
(CZ) 2012, pp. 90, € 10,00. 9788849832761
L
possibile addivenire a una sintesi tra solidarietà e profitto?» A partire
«È
da questo quesito si sviluppa il vol., breve ma ricco di richiami alla riflessione filosofica e al recente magistero pontificio, sulla possibilità di trovare
NAEF S., La questione dell’immagine nell’islam, O barra O edizioni, Milano 2012, pp. 130, € 14,00. 9788887510966
GRASSO A., Invito alla televisione. A cura di C. Penati, La scuola, Brescia
2012, pp. 126, € 9,00. 9788835028369
ibro-intervista in cui viene ripercorsa la vita della filosofa, in un intreccio di
storia personale e di storia intellettuale. Ricorrendo intenzionalmente a un
linguaggio quotidiano, l’a. ripercorre le vicende che hanno concorso a definire la
propria posizione intellettuale, dall’impatto traumatico degli eventi della Seconda
guerra mondiale (sintetizzati in Auschwitz e Hiroshima) all’incontro con personalità del mondo intellettuale ungherese, primo fra tutti Lukács, sino alle varie
tappe della carriera accademica, che hanno condotta H. all’insegnamento prima
in Germania poi in Australia.
un punto di contatto, se non una vera e propria conciliazione, fra l’etica cattolica e lo spirito del capitalismo. Abbandonando un’idea dualistica piuttosto
diffusa («La solidarietà è sinonimo di virtù, il profitto invece di vizio, l’una manifesta l’altruismo, l’altra invece egoismo»), si cerca di delineare un’idea dello
scambio e del profitto come complementari ai gesti di solidarietà, e in particolare al dono.
siste davvero una questione dell’immagine nel mondo arabo? O anch’esso
intento del volumetto, in cui C. Penati intervista il noto semiologo, è di «sotE
è oggi colpito da quell’infatuazione nei confronti dell’immagine che perva- L’ trarre il piccolo schermo alla banalità in cui spesso viene confinato» e in 10
de la cultura globale? L’a., professore ordinario presso il Dipartimento di ara- sintetici cc. «offrire un primo approccio semplice ma approfondito alla televisiobistica dell’Università di Ginevra, tratteggia un percorso storico della figurazione nel mondo arabo a partire dall’VIII secolo e fino alle manifestazioni contemporanee. «Mettere a confronto l’importanza reale acquisita dall’immagine
e la teorizzazione religiosa nei suoi riguardi dovrebbe permettere di verificare
se è davvero l’opinione degli ulema a forgiare la società, come spesso si pretende, oppure se è l’evoluzione della società a costringere i capi religiosi a riformulare la legge in modo da legittimare almeno parzialmente quanto è già entrato nei costumi».
NARO M., Sorprendersi dell’uomo. Domande radicali ed ermeneutica cristiana
della letteratura. Presentazione di G. Ferroni, Cittadella, Assisi 2012, pp. 392,
€ 22,80. 9788830812475
cos’è l’uomo?» del Salmo 8 è la domanda radicale che l’a. indaga avenIranealdo«Cheperrelativamente
sentieri alcune delle migliori pagine scritte dalla letteratura contempoal senso-non senso dell’esistenza umana. Si interrogano, pertanto, scrittori come Luigi Pirandello, Angelina Lanza Damiani, scrittrice mistica, o lo straordinario medico-scrittore Giuseppe Bonaviri o ancora la contemporaneità con il Cristo di un potente narratore quale era Mario Pomilio. Sono pagine di narratori che coinvolgono la teologia laddove l’artista pone, in modo impossibile da aggirare, le questioni di fondo a cui quest’ultima è costretta a dare
una risposta a partire proprio dal Salmo 8.
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ne come mezzo di comunicazione complesso e dotato di molti possibili livelli interpretativi».
PETROSINO S., Soggettività e denaro. Logica di un inganno, Jaca Book, Milano 2012, pp. 75, € 9,00. 9788816411241
a. propone un’interpretazione del denaro innestato su una ben definita
L’
struttura del soggetto, rispetto al quale è caratteristica l’impossibilità di pervenire a colmare definitivamente quella mancanza in cui propriamente consiste,
opportunamente distinto dal bisogno, il desiderio. Di quest’ultimo viene osservata
la capacità di generare strutture fantasmatiche a cui appoggiarsi per alimentare la
propria perpetuazione, ed è da questa prospettiva che vengono riesaminati i principali assunti della filosofia del denaro che, a partire da Simmel, hanno cercato
d’individuare i caratteri essenziali del più grande idolo dei nostri tempi.
POSSENTI V., Nichilismo giuridico. L’ultima parola?, Rubbettino, Soveria
Mannelli (CZ) 2012, pp. 220, € 18,00. 9788849832556
engono qui esaminati e condannati, in prospettiva filosofica e storico-filosoV
fica, gli assunti principali del nichilismo giuridico, considerato come «svuotamento» del diritto di qualsiasi contenuto veritativo ed esito finale del positivismo
giuridico, il quale, negando l’esistenza del diritto naturale, concepito in senso
«personalista», è giunto a rinchiudersi in un sistema formale autosufficiente e pri-
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vo di orizzonti ultimi. La presentazione della tesi non manca di aspetti problematici, a causa di un’apodittica assunzione di principi teologici non ben integrati rispetto al discorso filosofico più generale.
RUSCONI G.E., Cosa resta dell’Occidente, Laterza, Roma – Bari 2012,
pp. 290, € 19,00. 9788842098171
nalisi sui cosiddetti «valori occidentali» laddove l’essenza dell’Occidente
A
viene ravvisata nella «razionalità che ha acquistato significato e validità
universali» secondo la prospettiva delineata da Max Weber nel primo Novecento. Cosa resta di essa in questo inizio di millennio sconvolto dalla tragedia
del’11 settembre 2001? Cosa resta della razionalità che ha forgiato l’«isola occidentale» attraversata, interrogata, sfidata da altre culture, da altre antropologie, da altre religioni? Una paratia di fondo emerge dall’ultimo saggio di un
a. noto per il rigore e la sistematicità nell’affrontare le questioni più spinose:
recuperare proprio quella «razionalità» senza la quale l’Occidente resta privo
di realtà.
SCALFARO O.L., Lo stato è la casa di tutti. A cura di P. Naso e V. Mazza. Introduzione di D. Bognardi, Claudiana, Torino 2012, pp. 120, € 9,50. 9788870168662
l vol. raccoglie contributi pronunciati negli anni da Oscar Luigi Scalfaro, catImomento
tolico convinto, padre costituente e presidente della Repubblica italiana in un
particolarmente delicato della sua storia. I testi dei curatori – l’uno docente di Scienza politica all’Università La Sapienza, l’altro presidente emerito dell’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno – ripercorrono alcuni tratti salienti del suo percorso politico e umano, evidenziandone la difesa
convinta dei principi costituzionali fondamentali e la pratica illuminata della laicità, intesa non come indifferenza o insofferenza delle istituzioni verso le religioni, ma come rispetto e attenzione per le convinzioni di tutti, anche di coloro che
appartengono a confessioni minoritarie.
SIGNORE M, CUCURACHI L. (a cura di), Libertà democratiche e sviluppo,
Pensa multimedia, Lecce 2012, pp. 274, € 20,00. 9788882329327
l testo – dopo il primo, intitolato Libertà e laicità (Cluep, Padova 2001) – racIminario
coglie gli interventi di studiosi di varie discipline pronunciati durante un seresidenziale organizzato nell’ambito del Progetto culturale della CEI in
BETHAN JAMES - ANGELA JOLLIFFE
collaborazione con il Centro studi filosofici di Gallarate sul tema «Libertà e responsabilità». «Nella pluralità dei punti di vista, nella ricchezza e nel rigore
scientifico dei saggi che compongono il vol., si tenta di rileggere con taglio storico-critico impostazioni ormai classiche relative al tema della “democrazia” e della sua connessione problematica allo “sviluppo” e di progettare nuove possibili
aperture».
Il Natale
TOSINI D., Martiri che uccidono. Il terrorismo suicida nelle nuove guerre, Il
Mulino, Bologna 2012, pp. 193, € 18,00. 9788815234810
del terrorismo suicida è esaminato in quanto accadimento di naIvonolturafenomeno
collettiva, e quindi come il prodotto di un «retroscena» nel quale si muovari agenti che cooperano alla lotta armata, i quali operano in un contesto
costituito da specifiche condizioni militari, politiche, culturali e psicologiche. Vengono quindi analizzate le principali campagne suicide dal 1981 al 2010; le principali condizioni militari, politiche e ideologiche in cui si sviluppa e consolida una
campagna suicida; gli obiettivi militari e comunicativi che orientano a questa scelta; le condizioni sociali, culturali, psicologiche e i processi d’interazione che portano alla scelta individuale del suicidio terrorista. L’analisi offre interessanti ricadute sulle scelte che l’Occidente può e deve fare nella sua politica verso il Medio
Oriente.
URBINATI N., Liberi e uguali. Contro l’ideologia individualista, Laterza, Roma
– Bari 2012, pp. 175, € 16,00. 9788842095408
arattere strutturale della società moderna e della democrazia, l’individualiC
smo è spesso accusato d’egoismo antisociale e d’indifferenza verso gli altri e
la politica. La nota politologa italiana, docente alla Columbia University di New
York, difende in questo saggio il concetto d’individualismo democratico, distinguendolo dalla torsione in sentimento antisociale e tirannico, oppure apatico e indifferente verso i destini della comunità umana più ampia, dunque con un’incrinatura del legame tra libertà e uguaglianza. La via proposta è quella – sulla scia
di de Tocqueville – di trattare l’individualismo come categoria politica e non morale, per intenderne e valorizzarne il significato nella società democratica, e insie-
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Gioca e impara
I
l volumetto cartonato propone
ai bambini dai 4 ai 7 anni una
serie di semplici domande sulla
nascita di Gesù. Giocando a far
scorrere una finestrella, i piccoli
scopriranno sotto a ogni disegno
la risposta corretta. Una simpatica idea-regalo per un primo
approccio all’episodio evangelico
della Natività.
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
«PICCOLI IN ASCOLTO»
pp. 12 a colori - € 9,90
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ibri del mese / schede
me vederne e criticarne le aberrazioni, proprio facendo centro sulla relazione tra
libertà e uguaglianza.
DAFFI G., PRANDOLINI C, Mio figlio è un bullo? Soluzioni per genitori e insegnanti, Erickson, Gardolo (TN) 2012, pp. 128, € 15,00. 9788861379923
VACCARI C., La politica online, Il Mulino, Bologna 2012, pp. 280, € 25,00.
9788815238306
n libro che, rivolgendosi a insegnanti e genitori di «presunti bulli», vuole racU
contare il bullismo non dalla parte delle vittime, ma dalla parte del bullo. Il
vol., infatti, intende offrire alcune considerazioni di «ruolo» per affrontare la pro-
uanto pesa il web nella vittoria di un candidato o di un partito? CertamenQ
te oggi non c’è competizione elettorale che ne possa prescindere. L’a., che
insegna comunicazione politica all’Università di Bologna e alla New York University di Firenze, mette a confronto l’esperienza italiana con quella di altri paesi
occidentali, Stati Uniti in primis, considerando sia il lato dell’offerta, con un’analisi dei siti di partiti e candidati, sia quello della domanda, con uno studio su campioni di popolazione. Ne risulta una tendenza di Internet a modificare la politica
in senso partecipativo, con molte interessanti ricadute – effettive e non solo virtuali – sulle scelte sia dei politici sia dei cittadini.
ZANICHELLI M., Persone prima che disabili. Una riflessione sull’handicap tra
giustizia ed etica, Queriniana, Brescia 2012, pp. 95, € 8,00. 9788839909893
libro offre una panoramica del percorso compiuto dalle società occidentali
Ilivelloldegli
ultimi decenni nel rapporto con le persone disabili, ossia nella capacità, a
culturale e giuridico, di concepirle come soggetti portatori di diritti e tutelarne giuridicamente l’uguaglianza. Eppure questi approcci sono parziali e rimandano necessariamente alla concezione etico-antropologica più ampia, che le
sottende. La condizione disabile in realtà ci aiuta a riflettere in modo profondo
sull’essenza dell’umano: «È forse proprio nelle persone disabili che l’umanità
sembra vicina a svelare il suo segreto», ossia la sua intrinseca dignità come la sua
ineludibile vulnerabilità.
Pedagogia, Psicologia
BERNARD M.C., Genitori oggi. Un’avventura umana e spirituale, Elledici, Cascine Vica (TO) 2012, pp. 200, € 16,00. 9788801049916
a., teologa e antropologa, propone ai genitori una «mappa» orientativa su
L’
cui segnare gli aspetti fondamentali dell’educazione dei figli. I temi affrontati prendono in esame innanzitutto la dimensione formativa del bambino nella
sfera sociale: i figli come persone da allevare in un contesto rassicurante dal momento della nascita fino all’età adulta. Poi viene affrontata la questione dell’educazione cristiana: come condividere l’eredità cristiana con i propri figli, nel loro
pieno rispetto? Vengono trattati il contenuto e il significato di una eventuale trasmissione della fede cristiana, che potranno essere adottati dai genitori lungo il
cammino di crescita coi loro figli.
CAMPANELLA M., DI NOTO F., Lettera a una bambina molestata. Prefazione di Gianfranco Fini, Gruppo editoriale Viator, Milano 2012, pp. 73, € 10,00.
9788896813539
di un fratello di una vittima di violenza sessuale è la forma letteraINonlriaracconto
attraverso cui si raccontano alcuni episodi di questa terribile esperienza.
solo esprimendo empatia nei confronti della vittima ma dando anche voce
BERTAGNA G., CAPPELLETTI V., L’Università e la sua riforma, Studium,
Roma 2012, pp. 178, € 13,00. 9788838241635
impulso degli studi di ordine superiore – nel nostro paese affidati alIturollaforte
sola istituzione universitaria – fra i giovani è un fattore cruciale per il fudel nostro paese, e corre l’obbligo riflettere se il modello esistente e quello prefigurato dalla recente uniforma universitaria del ministro Gelmini possano essere all’altezza della sfida. Il libro propone gli Atti del convegno «L’idea
di università» promosso nel 2011 dall’Istituto Paolo VI di Concesio-Brescia e
dall’editrice Studium e ci aiuta a riflettere su storia, finalità e fisionomia dell’università del nostro paese a confronto con quella di altri paesi occidentali,
in particolare europei.
LAFORTUNE L., DOUDIN P.-A., PONS F., Le emozioni a scuola. Riconoscerle,
comprenderle e intervenire efficacemente, Erickson, Trento 2012, pp. 192, € 19,00.
9788859000204
diversi contributi e i differenti approcci metodologici presentati nel vol. conImento,
vergono sull’importanza della dimensione emotiva nel campo dell’apprenditroppo spesso trascurata a vantaggio di quella cognitiva. I programmi e i
principi generali d’intervento proposti potranno essere un supporto utile a prevenire le difficoltà d’apprendimento e di comportamento, le manifestazioni di violenza e bullismo a scuola, gli effetti negativi dei maltrattamenti subiti da alcuni allievi, riuscendo a instaurare condizioni che favoriscono atteggiamenti aperti alle
relazioni.
MARZANO M., Cosa fare delle nostre ferite? La fiducia e l’accettazione dell’altro, Erickson, Trento 2012, pp. 100, € 8,00. 9788859000075
a., laureata alla Normale di Pisa, è direttrice del Dipartimento di ScienL’
ze sociali e docente di Filosofia morale alla Sorbona: il suo percorso non
può che essere considerato di successo. Eppure umanamente ha dovuto affrontare e imparare ad accettare il proprio limite attraverso l’esperienza dell’anoressia, oggi diventata quasi un «sintomo sociale». L’a. non si vergogna di
partire da questa sofferenza personale per condurre una critica lucida dei mali della nostra cultura contemporanea, che sacrifica al «mito» del controllo e
dell’autonomia – intesa come autosufficienza – la capacità di leggere obiettivamente la realtà e riconciliarsi con le parti deboli e «imperfette» di sé stessi e
degli altri.
alla forte rabbia sperimentata dai famigliari. Da leggere per non pensare che ciò
che qui si narra accade solo ad altri.
AMBROSINI C., Il gioco nello sviluppo e nella terapia psicomotoria,
Erickson, Gardolo (TN) 2012, pp. 184, € 19,50. 9788861373747
CAMPIONE F., La domanda che vola. Educare i bambini alla morte e al lutto,
EDB, Bologna 2012, pp. 140, € 9,90. 9788810809426
FOGAROLO F., Il computer di sostegno. Ausili informatici a scuola, Erickson,
Gardolo (TN) 2012, pp. 247, € 23,00. 9788861379879
n una cultura che tende a rimuovere il tema della morte, gli adulti hanno spesItrauma
so timore di affrontarlo con i bambini, con l’esito di non aiutarli a elaborare il
in maniera sana. L’a. accompagna i genitori a divenire consapevoli che,
FREGONA R., QUARANTI C., Maschi contro femmine?. Giochi e attività per
educare bambini e bambine oltre gli stereotipi, Erickson, Gardolo (TN) 2011,
pp. 152, € 18,00. 9788861379350
per poter tentare con loro una qualche risposta, dovranno porre, anzitutto a sé
stessi, molte domande. Nella I parte del vol. l’a. affronta le problematiche dell’educazione alla morte indicando e illustrando varie alternative. Nella II analizza, con esempi clinici, la concezione scientifica – anzitutto psicologica – dell’educazione alla morte e la concezione religiosa della stessa, soffermandosi non solo
sulla concezione cristiana, ma anche su quella dell’ebraismo e di altre religioni.
Nella III illustra la propria proposta di educazione alla morte, basandosi su ciò
che la critica alle altre concezioni avrà evidenziato e sull’idea che la morte è destinata a sfuggire alle concettualizzazioni umane restando un «mistero» (desiderabile o indesiderabile), nell’intento di formulare un’indicazione educativa con un
certo carattere di universalità.
692
blematica da punti di vista poco considerati: che cosa si dice dei bulli e delle loro
famiglie; come accorgersi se nostro figlio ha comportamenti da bullo; come educarlo nel caso in cui lo fosse, ed esempi concreti della vita di tutti i giorni, come
spunto di riflessione.
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GHISLANDI P., Comunità di pratica per l’educazione continua in sanità.
Contributi al dibattito, Erickson, Gardolo (TN) 2011, pp. 303, € 24,00.
9788861379534
NERI M., Storie per 12 mesi. Racconti e attività ludiche per la scuola dell’infanzia e il biennio della scuola primaria, Erickson, Gardolo (TN) 2012, pp. 155,
€ 18,50. 9788861379688
PELLAI A., Il domatore del vento. Conoscere e superare le paure, Erickson, Gardolo (TN) 2012, pp. 55, € 13,50. 9788861371910
CXCVIII
L
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L ibri del mese / segnalazioni
R. ETCHEGARAY,
L’UOMO
A CHE PREZZO?,
San Paolo,
Cinisello
Balsamo (MI) 2012,
pp. 132, € 8,90.
9788821576966
S
iamo di fronte a un libro di piccole dimensioni, composto da brevi capitoletti
dedicati a temi tra loro anche piuttosto
diversi; eppure nulla qui è occasionale. Se qualcuno li volesse giudicare frammenti li dovrebbe, in ogni caso, considerare ricomposti in
un quadro unitario. L’insieme, oltre che con il
presente titolo, potrebbe essere espresso anche con quello di un precedente libro di Etchegaray, Ho sentito battere il cuore del
mondo (conversazioni con Bernard Lecomte,
pubblicato sempre da San Paolo nel 2008). In
ogni scritto del cardinale rimane alta e costante l’attenzione per quanto sta avvenendo
sull’intera superficie del nostro pianeta.
L’autore dichiara di aver composto le sue
pagine di getto durante la Quaresima e la settimana di Pasqua di quest’anno, dopo due mesi
d’incubazione, circondato da un numero immenso di libri e riviste accreditati della funzione tanto di campanelli d’allarme quanto di
salvagente (cf. 9).
La velocità di scrittura, dichiarata da Etchegaray nell’anno in cui sarebbe diventato
novantenne, è indice dell’erompere quasi improvviso di un distillato di esperienze, di ricordi, di letture e soprattutto di fede che,
lungi dall’essere ripiegato verso se stesso,
prende il largo sulla rotta del mondo. Si comprende quindi la raccomandazione dell’autore
di assorbire queste pagine a piccoli sorsi «assaporando il succo evangelico che ho cercato
di deporvi» (9). È un po’ – aggiungiamo – come
nel caso del detto evangelico che invita i discepoli a far risplendere la propria luce davanti agli uomini, comportamento da assumere a gloria del Padre e non già al fine di
essere ammirati (cf. Mt 5,16).
Il capitoletto dedicato al razzismo (20-23)
inizia con parole valide, in un certo senso, per
l’intero libro: «Siamo in un’epoca in cui le più
elementari evidenze hanno bisogno di pubblicità per imporsi». La frase può essere intesa
in modo basso sostenendo che, al giorno
d’oggi, la propaganda la fa da padrona, oppure
può essere compresa in maniera alta declinando il termine in senso pubblico e critico. In
altre parole, le convinzioni troppo facilmente
date per scontate hanno, oggi, bisogno di essere ribadite in maniera aperta; per evitare pe-
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ricolose ambivalenze esse necessitano, inoltre,
di una costante vigilanza.
Le pagine di Etchegaray – a cominciare
proprio da quelle dedicate al razzismo – indicano con chiarezza che è appunto il secondo
il senso in cui vanno recepite. Il libro, quindi,
può essere inteso anche come un riuscito tentativo di ridare spessore e autenticità a evidenze che hanno cessato di essere veramente
tali proprio perché date per scontate: «La lotta
antirazzista s’insabbia in una guerra di usura. Ha
per oggetto l’uguaglianza innata tra gli uomini
finendo per diventare una sorta di sfida dello
spirito, poiché gli uomini sono più avidi di differenze che di uguaglianze. Non v’è niente di
meno naturale che dire “ogni uomo è mio fratello” e vivere questa fraternità. (…) Se qualcuno vi dice: “Io non sono razzista”, non credetegli…, soprattutto se subito dopo aggiunge
un “ma…”! In questa enorme ricerca della fraternità universale il Vangelo ha il compito di
portare un “supplemento d’anima” per meglio
vivere la verità che “ogni uomo è mio fratello”»
(22-23).
Il testo di Roger Etchegaray è battagliero.
In esso, tra l’altro, sono frequenti le immagini
di tipo militare. Esse sono impiegate, non a
caso, pure nelle pagine dedicate alla non-violenza: «Un primo segno di originalità consisterebbe nel dire pacificamente: “no alla violenza”
e violentemente: “sì, alla pace”! Questo semplice cambiamento di tono indicherebbe in
quale senso vogliamo incanalare le nostre
energie» (27). Il coraggio della lotta deriva dalla
convinzione profonda di essere spronati dal
Vangelo; ciò avviene anche in tempi in cui
sono in atto troppi ripiegamenti («mi sembra
che durante la mia giovinezza fossimo più sensibili e fiduciosi nella non-violenza»; 30).
Gli argomenti toccati nel libro sono molteplici, vanno dall’ecologia all’emigrazione; dall’Europa (a cui sono dedicate pagine – da 41 a
44 – particolarmente intense) all’informazione,
dalle religioni all’ecumenismo, al ruolo dei laici
durante il Vaticano II e così via. In definitiva
esse testimoniano lo sguardo planetario tipico di chi fu a lungo, in anni passati, presidente del Pontificio consiglio della giustizia e
della pace.
Ciò non significa però che esse non siano
consapevoli dei mutamenti in corso. Di particolare rilievo in questo contesto alcune riflessioni sul concilio Vaticano II. Il suo «vero obiettivo» fu di «fare uscire dall’isolamento una
Chiesa in stato di assedio per farne una città
aperta a tutti i richiami del mondo».
Certo in questi cinquant’anni molto è mutato e solo da questa consapevolezza può nascere un rilancio: «Il centro di gravità è scivolato
da Dio verso l’uomo, non verso un uomo tentato di prendere il posto di Dio, ma verso un
uomo che risente dolorosamente delle sue
molteplici alienazioni. (…) Nell’ora in cui il Con-
cilio sembra allontanarsi da un orizzonte che, a
dire il vero, non è più lo stesso, la sola strada
praticabile oggi è di entrarvi ancor più profondamente per prendere il largo, a partire dalla
lettera e dallo spirito del Vaticano II» (123).
In definitiva, è agevole ricondurre il multiforme libro del card. Etchegaray a una linea
unitaria; essa attesta una pensosa inseparabilità tra la fiducia in Dio e quella riservata all’uomo. Lo dicono, tra l’altro, l’esergo e le ultime righe del testo; essi costituiscono una
specie d’inclusione che aiuta a interpretare
tutto quanto si trova nel mezzo: «Ho cercato
la mia anima e non l’ho trovata. Ho cercato Dio
e non l’ho trovato. Ho cercato mio fratello e
ho trovati tutti e tre» (William Blake). «Il prezzo
dell’uomo? È di essere senza prezzo. O meglio
è di essere costato la vita stessa di Dio Salvatore che l’ha offerta in riscatto per lui, con il
sangue prezioso di Cristo. (…) Più l’uomo si fa
valutare a peso di denaro, meno è apprezzato
dall’unità di misura dell’amore. Dio, il prezzo
dell’uomo» (131-132).
Piero Stefani
LA SACRA BIBBIA.
Nuovo Testamento
e Salmi.
Cinese – italiano
Piccola famiglia
dell’Assunta –
TherAsia ONLUS –
Amity Printing
Company, Coriano
(RN) – Roma –
Nanjing 2012,
XLVI+1.194, s.i.p.
A
i «fratelli cinesi che vivono in Italia» la
Piccola famiglia dell’Assunta di Rimini e
insieme l’ONLUS TherAsia di Roma donano – la distribuzione, infatti, è gratuita all’interno delle comunità cinesi – il testo della
parola di Dio nella versione cinese di p. Gabriele Maria Allegra, missionario francescano siculo (1907-1976), di cui a fine settembre ad
Acireale, sua diocesi natale, si è celebrata la
beatificazione.
La figura del biblista che ha dedicato la
propria vita alla Cina (il suo motto era: «Dare
Cristo alla Cina e la Cina a Cristo») è ricordata
nell’Introduzione di p. Giuseppe Bellia, anch’egli biblista, dal titolo «Fra’ Gabriele Maria
Allegra: uno scriba cristiano»(I-XLIV), in versione bilingue e tratta dal volume pubblicato
in occasione della beatificazione per i tipi de
Il Pozzo di Giacobbe (Trapani) Dio ama la parola dell’uomo. La storia di padre Allegra,
scriba cristiano.
Il testo biblico italiano, invece, è quello
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della nuova traduzione edita dalla Conferenza
episcopale italiana nel 2008; in questo modo
– afferma la Postfazione – nelle famiglie già da
tempo in Italia con figli, quindi «che sanno la
lingua italiana più della lingua cinese», si potrà
pregare insieme.
Ma soprattutto «sogniamo che questo testo sia usato in cenacoli di preghiera in ascolto
della Parola del Maestro che uniscano i due popoli, così straordinariamente diversi, nella comune ricerca della verità», per «abbracciare –
secondo le parole di Zhuangzi – la varietà delle
differenze» e «testimoniare l’universalità del
messaggio cristiano e la comunione ecclesiale.
Passando attraverso quella “porta aperta” che
Matteo Ricci ha lasciato in eredità alla Chiesa
e alla Cina, e che è lo stesso Signore Gesù,
Verbo incarnato» (dalla Prefazione).
M.E. G.
P. BECCEGATO,
W. NANNI,
F. STRAZZARI
(A CURA DI),
MERCATI
DI GUERRA.
Rapporto di ricerca
su finanza e povertà,
ambiente e conflitti
dimenticati,
Il Mulino,
Bologna 2012,
pp. 276, € 20,00. 9788815240811
I
l presente volume rappresenta la quarta
tappa di un percorso di studio sui conflitti
dimenticati, avviato dagli enti promotori
[Caritas italiana, Famiglia cristiana e Il Regno;
ndr] nel 2002, e che ha dato luogo a tre pubblicazioni.1 Con questo nuovo Rapporto Caritas italiana rinnova il suo impegno per la costruzione della pace e la lotta alla povertà,
anche attraverso attività di analisi e di indagine,
in linea con le finalità prevalentemente pedagogiche del suo mandato. Con questo spirito
si presenta questa quarta ricerca sui conflitti
dimenticati, frutto di un lungo lavoro di studio
a cura di un gruppo ristretto di studiosi ed
enti accreditati, sul rapporto tra guerre e ripresa mediatica delle stesse, tra violenza organizzata e opinione pubblica. Ma anche di
analisi dei contesti che producono morte e devastazione. E povertà. (...)
La presente edizione del Rapporto intende
approfondire in modo specifico la progressiva
centralità della dimensione economico-finanziaria nel determinare situazioni di tensione
politica e conflittualità armata, sia nell’ambito
dello scacchiere internazionale sia all’interno
dei singoli stati. Per motivi di comparazione
storica, il Rapporto continua comunque a
mantenere un interesse sui temi toccati nei
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precedenti: la situazione del terrorismo internazionale e dello «scontro di civiltà», il tema
ambientale e delle risorse energetiche, la tendenza delle attuali situazioni di conflitto armato a configurarsi come «emergenze umanitarie complesse» ecc.
La prima parte del Rapporto è di taglio descrittivo-analitico, e intende offrire uno spaccato dei fenomeni e delle tendenze in atto,
con particolare riferimento allo scenario geopolitico dello scacchiere internazionale, alla
situazione dell’intervento umanitario, alla centralità della dimensione economico-finanziaria
nel produrre situazioni di conflitto e violenza.
Sempre in questa parte del volume è riportata
una mappatura aggiornata dei conflitti armati
presenti nel mondo, elaborata in modo originale da Caritas italiana, sulla base del confronto incrociato di una serie di fonti statistiche, ufficiali e accreditate.
La seconda parte del volume rappresenta
il «cuore» dell’opera, in quanto presenta i principali risultati di una serie di rilevazioni sul
campo, condotte appositamente per l’edizione 2012 del Rapporto. Anche quest’anno,
pur in riferimento a un quadro complesso di
fenomeni, è stata adottata una metodologia
basata sulla selezione di specifici conflitti casistudio, rappresentati dai seguenti paesi: Libia,
Somalia, Afghanistan, Filippine, Colombia (tali
conflitti hanno costituito l’oggetto privilegiato
di rilevazione del monitoraggio sulla programmazione radiotelevisiva nazionale, in riferimento all’intero quadriennio 2008-2011). Come
gli anni precedenti, il Rapporto riporta inoltre
i risultati di un sondaggio demoscopico sulla
conoscenza dei conflitti tra la popolazione
italiana. Da segnalare invece un’ampia sezione
dedicata a esaminare, attraverso due rilevazioni innovative, realizzate ad hoc, la presenza
delle guerre all’interno dei new media (Twitter)
e della stampa gratuita (free press).
Una terza e ultima parte, che conclude il
Rapporto, è invece di taglio propositivo, e ha lo
scopo di delineare alcune possibili prospettive
di lavoro e di impegno, anche a partire da esperienze concrete, nell’ambito civile ed ecclesiale, con particolare riferimento al ruolo della
Chiesa universale e alla specifica realtà Caritas.
La crescente complessità delle guerre e
delle nuove emergenze umanitarie a esse collegate rende molto più difficile l’intervento
umanitario delle istituzioni internazionali, dei
governi, delle organizzazioni private, oltre che
della stessa Chiesa, locale e universale. Le
guerre odierne richiedono infatti una risposta
articolata e interdisciplinare, a cui deve contribuire tutta la comunità locale e internazionale. Si avverte una forte necessità di coordinamento tra i vari attori, ognuno in dovere di
portare il suo contributo. Questo tipo di approccio implica necessariamente una visione
olistica della situazione emergenziale, che
tenga conto non solo dei bisogni immediati,
ma anche di quelli di medio e lungo periodo;
che tenga conto delle cause che hanno portato all’emergenza stessa (prevenire la guerra),
ma anche dell’occasione di rinascita che può
svilupparsi dalle violenze, vedendo, quindi, la
comunità locale e le persone come protagonisti di questa rinascita e non solo come destinatari di un intervento.
Nell’ultima parte del Rapporto vengono
inoltre esposte alcune specifiche attenzioni
alle prospettive di intervento legate alla dimensione economica e finanziaria, con riguardo alla necessità di combattere le speculazioni che generano povertà, alla possibilità di
intervenire nella regolamentazione dei mercati
finanziari e del sistema economico mondiale,
nel sistema dei rapporti debitori tra stati, nel rispetto della legalità e dell’eticità negli scambi
commerciali ecc. Grande attenzione viene dedicata al possibile ruolo – politico, educativo,
culturale – della comunità e delle chiese locali
e al livello micro delle responsabilità individuali, dirette o indirette.
L’interesse di Caritas Italiana per il tema
dei conflitti non si limita alla produzione periodica del presente rapporto di ricerca: il crescente coinvolgimento di tante comunità ecclesiali, che non si arrendono all’inevitabilità
della guerra, ha spinto da alcuni anni Caritas
italiana a elaborare un progetto di Osservatorio permanente sui conflitti dimenticati.
L’idea, frutto della collaborazione tra Caritas
Italiana e Pax Christi Italia, cerca anzitutto di
offrire continuità e consolidamento all’impegno profuso dai due organismi promotori rispetto ai conflitti armati e alle loro tragiche
conseguenze.
Obiettivo del progetto è quello di rafforzare la linea di impegno verso una migliore informazione, rivolta prevalentemente alle realtà
impegnate nello sforzo missionario e pastorale,
e di svolgere un ruolo educativo nel porre le
basi e le condizioni per una crescita della consapevolezza delle minacce alla pace e dei segnali di speranza che si accendono nelle situazioni di conflitto. Le attività dell’Osservatorio
trovano una presentazione articolata all’interno di uno specifico sito Internet (www.conflittidimenticati.org), in cui sono disponibili informazioni dettagliate e aggiornamenti sui vari
conflitti, oltre che una serie di utili strumenti
per l’animazione pastorale delle comunità e la
crescita di una cultura di pace.
Caritas italiana*
* Per gentile concessione dell’editore, si riproduce qui parte dell’Introduzione al volume
(pp. 11-14).
1
CARITAS ITALIANA, I conflitti dimenticati, Feltrinelli, Milano 2003; ID., Guerre alla finestra, Il
Mulino, Bologna 2005; ID., Nell’occhio del ciclone,
Il Mulino, Bologna 2009.
CC
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Migrazioni
I TA L I A
a
ndata e ritorno
Migranti: il dossier statistico 2012
L
e migrazioni sono inarrestabili, non ingovernabili. Diverse, nelle loro modalità,
talvolta nelle cause, sono
uguali per i valori che agitano, che rivendicano, per i sogni e le delusioni, per la fatica di ricominciare.
Questo andare è possibile perché saggi,
pensatori e filosofi aprono percorsi impervi nella carne del pensiero dell’umanità. Cresce la conoscenza e la coscienza
di sé, dei propri diritti, della propria dignità. In avanti. Lasciandosi dietro terre di
pregiudizi, verso nuovi ideali. Ai percorsi
lenti, difficili, succedono, purtroppo, balzi
indietro, tremendi e ciò che era possibile
diventa impossibile, quanto era di tutti diventa di pochi. Le persone sono catalogate,
divise in classi: padroni, dipendenti, ricchi,
poveri, uomini, donne. Ma le barriere e le
fortezze, che frenano, ostacolano, non
sono insormontabili. Neppure le leggi sigillano le frontiere.1
Vediamo alcuni dati, spigolando nel
Dossier statistico immigrazione 2012. 22°
Rapporto, curato per Caritas italiana e
Fondazione Migrantes dal Centro studi e
ricerche IDOS e presentato il 30 ottobre
2012.
I numeri che contano
Le stime degli organismi internazionali, nel 2010, hanno contato 214 milioni di migranti e di rifugiati, nel mondo.
Dalla Seconda guerra mondiale, il numero di quanti sono in marcia verso i
paesi industrializzati è in crescita. Ha subito un lieve flessione dal 2009. Ma non
si arresta, nonostante le crisi economiche e politiche. L’Europa si conferma,
con il Nord America, il polo di maggiore
attrazione, con 33,3 milioni di presenze,
nel 2010;2 880.000 più dell’anno precedente; il 6,6% della popolazione. Anche
l’Asia sta diventando polo di attrazione. Il
Brasile registra numeri significativi di immigrati qualificati professionalmente, provenienti dall’Europa, in particolare da
Portogallo, Spagna, Italia.
Le migrazioni dirette verso l’Europa si
sono concentrate e si concentrano soprattutto in Francia, Germania, Inghilterra,
Italia e Spagna. Ma la Polonia, accanto
alla migrazione dei suoi cittadini vede ingrossarsi le fila degli immigrati,3 soprattutto dai paesi vicini. In un futuro non
lontano si prevede, invece, un rallentamento dell’emigrazione dalla Romania.
Le migrazioni sono alimentate dal bacino di 1,2 miliardi di esseri umani che
fuggono da regimi dispotici, in 34 stati, e
da 43 paesi dalle economie dissestate,
contagiati da guerre, emergenze climatiche, povertà endemica.
Le stesse cause, dal 1861 e per oltre
un secolo, hanno provocato la «grande
migrazione» italiana, diretta in America
del Nord, Brasile, Argentina, Cile, Nord
Africa. Dopo la Seconda guerra mondiale, assorbono manodopera italiana il
Belgio, la Germania, la Svizzera. Ma a
partire dagli anni Settanta del secolo
scorso, i flussi si invertono e, dal 1991,
l’Italia diventa paese di «grande immigrazione».
Alla fine del 2011, secondo la stima
del Dossier, gli immigrati costituiscono
l’8,2% della popolazione italiana, pari a
5 milioni, compresi i cittadini comunitari, stimati a 1.373.000 (27,4% del totale). Sono invece il 23,4% i cittadini europei non comunitari (in testa albanesi,
ucraini, moldavi…). Provengono dall’Africa 1.105.826 persone, di cui i marocchini costituiscono oltre il 50%. Non
raggiungono il milione, invece, gli immigrati provenienti dall’Asia, tra i quali i cinesi sono primi in classifica, seguiti dai filippini. Superano di poco i 400.000 gli
americani, del Sud e del Nord. Agli immigrati in Italia, comunitari esclusi, le
stime aggiungono circa mezzo milione di
irregolari.
La maggioranza dei residenti immigrati, nel nostro paese, si concentra per lo
più in Lombardia, Triveneto, Emilia-Romagna, Toscana, cioè dove esistono maggiori possibilità di lavoro. Di questi, gli occupati sono 2,5 milioni, per lo più nei
servizi alla persona (ucraini, romeni e
moldavi), nell’edilizia, nei trasporti, nell’agricoltura e allevamento. La crisi economica ha avuto un duplice effetto negativo sugli immigrati: l’innalzamento
della percentuale dei 310.000 disoccupati al 12,1% (4 punti in più della media
nazionale), e la perdita di circa 320.000
permessi di soggiorno. Al tempo stesso,
ha stimolato l’apertura di partite IVA,
portando, nel 2011, i cittadini stranieri titolari d’impresa a 249.464.
Con il loro lavoro, gli immigrati inviano, nei propri paesi, 7,4 miliardi di
euro di rimesse e versano allo stato italiano 1,7 miliardi di euro di contributi e
tasse varie.4 Le rimesse diminuiscono
man mano che le famiglie si stabilizzano
e si integrano socialmente, come conferma la comunità filippina.
Scivolare nell’irregolarità
Gli imprenditori sono concordi nell’affermare la necessità della forza lavoro
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degli immigrati nell’economia nazionale.
Ma questa «ricchezza» e disponibilità rischiano di assottigliarsi per colpa della
crisi. Il Sole 24 Ore del 18 ottobre 2012 ha
raccolto le dichiarazioni del ministro per
la Cooperazione e l’integrazione, Riccardi: «L’ultimo censimento ISTAT parla
di un milione di lavoratori in meno. Probabilmente – ha argomentato il ministro
– è un dato sovrastimato. Tuttavia, sono
sicuramente molti gli immigrati che, di
fronte alla crisi, sono tornati nei paesi
d’origine. Altri, invece, sono andati in altri stati europei, dove è più facile trovare
lavoro e integrarsi. Si tratta, in generale di
manodopera specializzata, molto richiesta dagli imprenditori e di persone che si
sono bene integrate: è un fenomeno che
rischia di tradursi in una perdita per il nostro paese».
Il dato quantitativo, che non trova riscontro nel Dossier, indica forse una realtà
peggiore. Non il ritorno al paese d’origine
o la fuga in altri paesi europei, quanto lo
scivolare nell’irregolarità. Chi non riesce
a ritrovare un lavoro entro l’anno dalla
scadenza del permesso di soggiorno, lo
perde. Diventa «clandestino», nonostante
anni di attività, di studio, di inserimento
sociale.
Oggi è impossibile pensare settori
come l’edilizia e gli allevamenti (bovini,
suini e polli), l’agricoltura e i trasporti, la
concia delle pelli e il tessile senza il contributo dei lavoratori immigrati. Le percentuali più alte di immigrati, infatti, si registrano nei comuni ove sono insediate le
attività meno attrattive per la manodopera nazionale. Imprescindibile il loro lavoro «nel settore domestico e familiare,
con il crescente problema all’assistenza
degli anziani; nel settore infermieristico,
dove specialmente nelle regioni settentrionali e in alcuni comparti, come quello
delle residenze protette per gli anziani e
quello della sanità privata, l’apporto di
professionisti stranieri è particolarmente
cruciale».5 Non è un caso che, nonostante
la xenofobia della Lega Nord, l’ex mini1
Nel giugno del 2012, il Consiglio dei ministri
degli Esteri dell’area Schengen, preoccupato per gli
arrivi dal Nord Africa a seguito della cosiddetta
«Primavera araba», ha modificato il Trattato e reintrodotto il controllo alle frontiere nazionali, in caso
di pressioni straordinarie (cf. Caritas-Migrantes,
Scheda di sintesi del Dossier statistico Immigrazione
2012).
2
Quasi 49 milioni, se si considerano i nati all’estero ma che hanno acquisito la cittadinanza nel
paese di residenza.
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stro Maroni abbia dato alle badanti la
possibilità di regolarizzarsi. Altra deroga
alla norma che impedisce agli immigrati
di svolgere attività pubbliche, è l’assunzione regolare e stabile di 40.000 unità di
infermieri immigrati, il 10% del totale.
Quale integrazione?
Se questo è l’apporto degli immigrati
alla nostra società c’è da domandarsi
quali siano gli strumenti legislativi, economici, sociali messi in campo per radicare la loro presenza nella nostra società.
Il ministro Riccardi indica alcuni obiettivi: l’integrazione dei lavoratori stranieri
nel territorio, «favorendo la legalità, rispetto delle leggi e reciproca comprensione e convivenza con gli italiani».6 In
breve, il recupero del sommerso, evitando, anzitutto, che le persone scivolino
nella «clandestinità» semplicemente perché perdono il lavoro. Poi l’emersione
dalla palude dell’illegalità, territorio favorevole alla criminalità organizzata.
Certo, il governo, quest’estate, quasi
alla chetichella, ha fatto un’altra sanatoria. Difatti è più agevole regolarizzare chi
è già sul posto, su richiesta degli imprenditori, piuttosto che prevedere e organizzare i flussi, l’accoglienza e l’integrazione.
Pur dando atto al governo di avere raddoppiato il termine per la ricerca di un
nuovo lavoro, di avere snellito le pratiche
per l’acquisizione dei documenti di soggiorno, di averne prolungato la durata e
diminuito il costo, è sempre più urgente il
riordino legislativo complessivo del Testo
Unico. È urgente dare maggiore razionalità e coerenza, soprattutto un’impronta europea, alla materia, individuando percorsi per giungere alla
cittadinanza, ad alcune precise condizioni ed entro tempi prevedibili.7
Nel frattempo occorre applicare le
leggi nazionali esistenti. Il rispetto delle
norme di concorrenza nel mercato del lavoro. La ricerca della coesione sociale,
della legalità. È noto che la mondializzazione può favorire correnti migratorie
3
Nel 2011 ha accolto 300.000 immigrati.
In Emilia-Romagna il gettito contributivo e fiscale degli immigrati, che sono pari al 12,4% della
popolazione, fornisce alla regione 1 miliardo e 332
milioni di euro di entrate. Secondo il Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione, realizzato
dalla Fondazione Leone Moressa (www.fondazioneleonemoressa.org), nel 2011, in Veneto, i lavoratori immigrati sono stati 247.000, l’11,6% in più dell’anno precedente. Gli imprenditori nati all’estero
sono 39.000: cinesi, marocchini, romeni. Di questi,
4
contagiate da fenomeni criminali come la
tratta di esseri umani, il commercio e lo
spaccio di droga, il terrorismo.
Se si creano quartieri monoetnici,
siamo di fronte a un’occupazione. Se
un’etnia minoritaria, in pochi anni, monopolizza un settore del commercio di
una città, c’è qualcosa che non quadra.
Se gli immigrati di un paese schiavizzano
gli immigrati di un’altra nazione significa
che lo stato è assente. Così nella scuola. I
connotati del molteplice, delle culture di
provenienza devono amalgamarsi nella
cultura indigena della società di riferimento per costruire insieme la nuova polis, l’Italia dell’Europa. Ma se la struttura politica è malata e corrotta, se il
tessuto culturale è sfilacciato, se settori
sociali si contrappongono, l’integrazione
sarà rovinosa e l’Italia non si rinnoverà. I
primi a rimetterci saranno proprio gli immigrati.
In questa prospettiva, le Chiese cristiane, in particolare la Chiesa cattolica,
hanno da svolgere una missione unica.
Oltre a chiedere rispetto e assistenza per
gli immigrati, che non sono numeri, la
gerarchia della Chiesa cattolica dovrebbe
vedere con favore l’ipotesi di istituire nelle
scuole un insegnamento di Storia della religioni, formulata recentemente dal ministro Profumo. Se non è sempre facile, e
non so fino a che punto utile, nei centri di
piccole dimensioni, avere la disponibilità
di sacerdoti che provengono dai paesi
d’origine degli immigrati, sarebbe opportuno celebrare i sacramenti nelle lingue europee più conosciute. L’ideale, tuttavia, parrebbe il coinvolgimento degli
immigrati cristiani nei consigli pastorali e
parrocchiali, nella catechesi, nella liturgia.
Condividere responsabilità e governo, e
prevedere l’intercomunione ove non esista la confessione di riferimento, dimostrerebbe che il 53,9% è un numero che
conta. Tanti, infatti, sono i cristiani tra gli
immigrati in Italia.
Giacomo Matti
il 34,1% opera nell’edilizia, il 27% nel commercio,
il 13,3% nei servizi alla persona. Le loro imprese producono il 6,4% del PIL regionale.
5
Cf. ancora Caritas-Migrantes, Scheda di sintesi del Dossier statistico Immigrazione 2012.
6
Il Sole 24 Ore 18.10.2012.
7
A questo proposito, la proposta del sindaco di
Bologna V. Merola di concedere la cittadinanza
onoraria ai giovani nati in Italia, al compimento del
loro 18° anno di età, nella sua provocazione rasenta
la battuta.
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EGITTO
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Chiesa copta
Tawadros, il nuovo papa
Dopo Shenouda e dopo Moubarak
T
utti i media egiziani, pubblici e privati, musulmani
e cristiani, hanno dato
grande risalto all’evento
dell’elezione di Tawadros
come nuovo papa copto, trasmettendo
in diretta la cerimonia sui loro canali
televisivi. Dopo quasi otto mesi e una
complicata procedura necessaria per
eleggerlo, e dopo una riunione comune
tra il Sinodo dei vescovi e un comitato
di laici, i ministri cristiani e alcune tra
le personalità più di spicco del mondo
copto hanno iniziato le discussioni, gli
scambi di idee, il confronto fino ad arrivare alla fase concreta delle elezioni:
i tre candidati con il maggior numero
di voti si sono riuniti, la scorsa domenica 4 novembre, per celebrare una
messa comune, durante la quale un
bambino ha scelto, estraendo fra i biglietti che riportavano i loro nomi, colui che sarebbe poi stato proclamato
patriarca d’Alessandria.
Così la scelta del fanciullo ha
espresso – secondo la tradizione – «la
volontà di Dio». Il suo nome è stato comunicato dal vescovo Pachomius che,
in questo periodo, ha retto ad interim
il patriarcato, dopo la morte del papa
Shenouda. Ha preso in mano il foglio
estratto dal bambino e lo ha letto ad
alta voce di fronte alla folla di fedeli
che si erano riuniti nella cattedrale di
San Marco al Cairo per assistere alla
proclamazione del loro nuovo capo religioso. L’eletto, l’abuna Tawadros, si è
insediato il 18 novembre e ha assunto
il titolo di papa di Alessandria, di tutta
l’Africa e della santa sede di San
Marco, salendo alla guida di una mi-
noranza religiosa che è egiziana da
sempre.
Chi sono i copti?
Occorre partire dal monachesimo
egiziano del IV secolo, culla dei monachesimi cristiani orientali e occidentali, per tracciare le linee della storia dell’Egitto cristiano o del cristianesimo «copto» (l’aggettivo che è utilizzato in riferimento ai cristiani d’Egitto). Probabilmente, corrompendo
il termine greco Aigúptios, «egiziano», gli arabi chiamarono gli egiziani
nativi Qbt o Qpht, che divenne poi a
sua volta cophto, e quindi copto, nelle
lingue occidentali. Questo termine,
nato intorno alla metà del VII secolo,
avrebbe dunque avuto, almeno all’inizio, un significato esclusivamente etnico e solo nel tempo una connotazione spiccatamente religiosa. A partire dal Mille, quando la maggior parte della popolazione egiziana era diventata musulmana, «copto» finì con
l’indicare gli egiziani rimasti aderenti
al cristianesimo, e nel contempo la loro lingua.
Le origini della Chiesa copta sono
strettamente legate ai primi sviluppi
del monachesimo egiziano, i cui protagonisti furono Antonio, considerato
primo «padre del deserto», Pacomio,
fondatore del cenobitismo (la forma
comunitaria di vita monastica), e Shenute, nomi noti in questi mesi per il vescovo in reggenza e per il papa deceduto.
Ma diversamente da Antonio e Pacomio, Shenute/Shenouda è molto
meno ricordato al di fuori dell’Egitto
perché i suoi monaci si staccarono
dalle posizioni ufficiali della Chiesa
bizantina, adottando la dottrina che
avrebbe poi dato vita alla Chiesa copta
maggioritaria che rifiutò il concilio di
Calcedonia del 451, quando fu stabilita la dottrina cristologica relativa alle
due nature (umana e divina) in una
persona. La maggioranza della Chiesa
egiziana riconobbe un’unica personanatura del Verbo incarnato, dotata di
umanità e divinità perfette (dottrina
impropriamente chiamata «monofisita», «una sola natura»). Tra i cristiani copti, da allora, vi sono i copti
«monofisiti», detti anche copti ortodossi o semplicemente copti, e i copti
melchiti (o, più sovente, greco-ortodossi) i quali, invece, aderirono alle
definizioni di Calcedonia.1
Un predecessore rilevante
Il nuovo papa copto, di 60 anni,
fra i tre che erano in lizza per la guida
dalla Chiesa egiziana è stato il secondo
vescovo più votato. Egli dovrà fare i
conti con l’enorme popolarità del predecessore, Shenouda III, amato e stimato non solo dai fedeli cristiani ma
anche da moltissimi islamici.
Senza dubbio, i conflitti e gli episodi di violenza che hanno attraversato la vita di Shenouda III fino alla
sua morte (17 marzo 2012)2 sono
un’utile lente di lettura dell’intera storia recente della Chiesa copta e delle
sue complesse relazioni con il potere
politico egiziano.
Monaco dal 1954, diventato patriarca nel 1971, Shenouda III fu alfiere del risveglio spirituale e comuni-
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tario dei copti, portavoce delle rivendicazioni e delle proteste dei suoi fedeli. Difficile fu il suo rapporto con
Sadat, a partire dalle tensioni e dalle
violenze del 1981, quando il patriarca
fu destituito e e costretto a chiudersi
nel monastero di Anba Bishoi. Il successivo presidente Moubarak adottò
un tono fermo nei confronti degli estremisti islamici e con lui il confino di
Shenouda III ebbe termine, il 31 dicembre 1984: questa dura prova contribuì a una nuova presa di coscienza
della comunità, che si trovò unita attorno al suo patriarca, martire perseguitato e poi vittorioso. Shenouda divenne così ago della bilancia per la
democrazia in Egitto: la sua figura fu
sempre un punto di riferimento per
mantenere in equilibrio i rapporti governativi egiziani con l’estero.3
Il rapporto con il predecessore pesa
ancora di più nel delicato momento
politico di transizione del paese, che si
trova a essere traghettato dall’era Moubarak a una democrazia di matrice
islamista. Quasi a segnare subito il confine, Tawadros ha annunciato alla televisione la sua intenzione di ripensare
completamente l’atteggiamento politico del predecessore, che si era fatto
portavoce dei fedeli dentro e fuori dalla
sfera spirituale, sostenendo pubblicamente per anni l’ex presidente Moubarak e, alla resa dei conti, intimando
ai copti di non partecipare alla rivoluzione di piazza Tahrir.4
Priorità spirituali,
sensibilità interreligiosa
«Il compito più importante della
Chiesa è fare un passo indietro e vivere coerentemente all’interno dei
confini spirituali secondo la sua missione», ha detto in un primo discorso
ai monaci del suo monastero. E ancora: «Voglio iniziare un processo di
ristrutturazione della casa dall’interno,
immettendo sangue nuovo. La mia
priorità è vivere insieme ai nostri fratelli musulmani; sono responsabile di
preservare la nostra convivenza». Ha
attribuito le tensioni tra copti e islamisti «alla politica della “porta aperta”
che dal 1973 ha permesso a molti egiziani di recarsi a lavorare in Arabia
Saudita, dove si pratica l’islam wahhabita. Ma questa tendenza – ha precisato – non ha molto spazio in Egitto,
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dove la maggioranza è moderata. Da
parte mia, il rapporto con l’islam sarà
all’insegna della pace, dell’amore e di
un grande rispetto».
La rete di relazioni con l’islam è in
effetti uno dei temi più importanti e
urgenti quando si vuole misurare lo
stato di salute della comunità copta:
gruppi fondamentalisti islamici sono
stati responsabili di numerosi attacchi
armati e violenze ai danni della minoranza copta, incomprensioni, ambiguità, emarginazione di alcune personalità di spicco. Che i copti siano
stati e siano discriminati è un dato che
emerge anche dalla difficoltà della valutazione del loro numero: le cifre
oscillano fra i 4 e gli 8 milioni, ovvero
un 6-10% della popolazione, vicina
agli 80 milioni di abitanti. L’imprecisione nel quantificare la minoranza è
indice degli stessi tentativi di emarginare questa comunità religiosa. In
gioco c’è, anche, la questione dell’identità egiziana.
Senza dubbio la storia dei rapporti
tra le comunità religiose, tra incidenti,
conflitti violenti, soprusi e rivendicazioni, ha conosciuto una fase particolare durante le proteste. All’inizio né i
Fratelli musulmani né i principali partiti politici d’opposizione, sia di sinistra
sia liberali, si sono schierati a favore
dei manifestanti, appoggiati e accompagnati in questo atteggiamento dalle
autorità. Dopo qualche giorno, però,
a mano a mano che le proteste guadagnavano consensi, si sono uniti anche loro, con l’eccezione dei salafiti, e
si è potuto così assistere alla prima
messa copta celebrata in piazza Tahrir
con la protezione dei musulmani, alle
preghiere dei musulmani con i cristiani al loro fianco, e in generale a
scene di dichiarata unità del popolo
egiziano contro ogni tentativo di dividerlo.
Pietà reciproca, condivisione, comunione difficili da interpretare anche
a distanza di tempo: si trattava di una
contingenza, di una pressione politica
forte quanto breve che ha investito le
comunità religiose? L’unione coptimusulmani, nel ricordo dell’unione tra
la croce e la mezzaluna del 1919, che
ha giocato un ruolo importante a livello della memoria, è stata anche nell’immaginario collettivo una reazione
forte e profonda rispetto agli incidenti
interconfessionali gravi occorsi negli
ultimi anni: una rivendicazione della
dimensione pubblica della fede in un
Dio unico – cristiano o musulmano –
nel nome della Bibbia o del Corano.
L’ennesimo effetto (collaterale) è
stato poi il discredito subito a opera
della base dei fedeli dalle autorità religiose, copte e musulmane, ree di aver
sostenuto il regime e, ancor più interessante, la domanda crescente di una
democrazia religiosa in cui tutte le
correnti e i movimenti possano far sentire la loro voce.
Pluralismo possibile?
Possiamo guardare la composizione
del nuovo governo del paese, presieduto da Hisham Qandil e formato da
35 membri, per riflettere se questo è
avvenuto o no.
Qandil, che aveva ricoperto il ruolo
di ministro delle Risorse idriche e dell’irrigazione, aveva ricevuto l’incarico
di formare il nuovo governo il 24 luglio
da Mohamed Mursi, il primo presidente dell’Egitto eletto dalla caduta di
Hosni Moubarak. Nella conferenza
stampa di presentazione, il nuovo
primo ministro ha spiegato che il governo è stato scelto sulla base della
competenza, che rappresenta tutto il
popolo e che dovrà innanzitutto affrontare la crisi economica.
Sette esponenti del governo
uscente, che era stato nominato dalla
giunta militare al potere, sono rimasti
in carica; l’ex primo ministro Kamal
el-Ganzouri è stato invece nominato
consigliere presidenziale. Il maresciallo
Hussein Tantawi, che è stato per vent’anni ministro della Difesa con Hosni
Moubarak e ha guidato il Consiglio
supremo delle Forze armate dopo la
caduta del regime, è stato confermato
in tale ruolo. Il generale Ahmed Gamal Eddin, ex capo del Dipartimento
per la Sicurezza pubblica, è il ministro
dell’Interno.
Nessuno dei ministeri più significativi (Difesa, Interni, Esteri e Finanze)
è stato assegnato a esponenti dei Fratelli musulmani, che guidano invece
altri quattro ministeri: Informazione,
Istruzione universitaria, Politiche abitative e Gioventù. Non è stato nominato ministro nessun personaggio vicino al movimento di piazza che ha
portato alla caduta del regime. Non
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Africa del Nord
CERNA
solo: ma nonostante le promesse di
rappresentare tutto il popolo, dunque
uomini e donne, del nuovo governo
fanno parte solo due donne, una delle
quali, Nadia Zakhary, è cristiana copta
ed è ministro della Ricerca scientifica.5
I compiti del nuovo papa
Gli analisti, e soprattutto gli attivisti
e gli intellettuali copti, reputano che il
nuovo papa possa intercettare i timori
di coloro che, spaventati dalla deriva
islamista della nuova democrazia egiziana, potrebbero preferire il disimpegno e che in realtà possa diventare un
punto di riferimento della comunità
copta, alle prese con una fitta quanto intricata nuova tessitura di rapporti con le
correnti islamiche che negli ultimi mesi
hanno di molto variato il loro assetto e
il loro peso politico.
I giovani della Maspero Youth Union,
l’organizzazione nata all’indomani del
massacro di Maspero (uno dei più
cruenti episodi di violenza degli ultimi
50 anni. il 9 ottobre 2011, otto mesi
dopo la cacciata di Moubarak, oltre 25
manifestanti furono uccisi durante gli
scontri con l’esercito egiziano presso il
Maspero, l’edifico sede della tv di stato,
nel corso di una manifestazione pacifica
per i diritti dei cristiani), si sono dichiarati soddisfatti dell’elezione. Il partito
dei Fratelli musulmani Giustizia e libertà si è dichiarato aperto a una collaborazione con il nuovo papa e il gran
imam di al-Azhar Ahmed el-Tayyeb ha
dichiarato la sua speranza in una ricomposizione delle fratture e nella fine
delle violenze.6
Bon gré mal gré, rispetto alle dichiarazioni e alle prime intenzioni di Tawadros di star fuori dalla politica, la
complicata transizione egiziana non potrà prescindere dal peso sociale e politico della comunità copta.
Maria Chiara Giorda
1
Cf. M.C. GIORDA, «L’abito fa il monaco»,
in Il Mulino, edizione on-line (www.rivistailmulino.it), pubblicato il 30.3.2012.
2
Cf. Regno-att. 6,2012,150.
3
Cf. GIORDA, «L’abito fa il monaco».
4
Cf. F. PACI, «Il nuovo papa copto, tassello
fondamentale nel complesso mosaico dell’Egitto
post Moubarak», in La Stampa, edizione on-line
(www.lastampa.it), pubblicato il 5.11.2012.
5
Cf. «Il nuovo governo egiziano», in Il Post
(www.ilpost.it), pubblicato il 3.8.2012.
6
Cf. PACI, «Il nuovo papa copto».
cesi che ci offrono sacerdoti fidei donum e
delle congregazioni – in particolare africane
– che scelgono d’impiantarsi nella nostra
regione».
Gioie e interrogativi
Nel medesimo
crocevia
S
i è riunita in Italia a Mazara del Vallo
(TP), dal 18 al 21 novembre, l’assemblea
della Conferenza degli episcopati del
Nord Africa (CERNA), su invito del vescovo
locale, mons. Domenico Mogavero. «La Sicilia è tradizionalmente un crocevia di migrazioni – afferma infatti il comunicato finale dell’assemblea a firma di mons. Vincent
Landel, arcivescovo di Rabat (Marocco), riconfermato alla presidenza della CERNA –
con una presenza significativa di musulmani
e la diocesi di Mazara del Vallo, gemellata
con quella di Tunisi, è molto attiva nel dialogo con l’islam e nell’accoglienza dei migranti».
A un anno di distanza dall’assemblea che
lo scorso anno prendeva atto, con preoccupazione ma anche con speranza, dei sommovimenti della cosiddetta «Primavera araba»
(Regno-att. 20,2011,659), oggi la «CERNA constata che le tre sfide (religiosa, politica e socio-economica) che essa aveva individuato
nel novembre 2011 sono sempre attuali, ma
che le transizioni si rivelano più complesse
e dolorose del previsto. La situazione del
nostro vicino del Sud, il Mali, la difficile ricostruzione in Libia, l’incertezza sul futuro
del processo di transizione in Tunisia ne
sono segni evidenti».
Per quanto riguarda la situazione delle
Chiese locali, il comunicato esprime la propria soddisfazione «per la fedeltà delle comunità di religiosi e religiose che servono e
pregano con perseveranza: rendiamo grazie
per la vitalità e la stabilità che esse danno
alle nostre Chiese. Esse spesso sono l’unico
segno dell’amore di Cristo per le popolazioni presso le quali esse vivono. Le nostre
sono Chiese modeste e fragili e la chiusura
di alcune comunità religiose radicate da
lungo tempo nel Maghreb, come la mobilità
in continua crescita dei membri delle nostre
parrocchie, ci portano a contare sempre più
sulla solidarietà di altre Chiese; per questo
rendiamo grazie per la generosità delle dio-
«Gioiamo anche – proseguono i vescovi
– per la presenza fervente di numerosi studenti, di migranti provenienti da tutta
l’Africa, di fedeli trasferiti da lungo tempo,
di famiglie di passaggio, di lavoratori esteri,
di volontari: anch’essi contribuiscono alla
vitalità delle nostre Chiese. In questo contesto geopolitico in movimento, ma anche nella dinamica del Sinodo sulla nuova
evangelizzazione, desideriamo riprecisare il
senso della testimonianza delle nostre comunità cristiane nel Maghreb: umanizzazione, incontro, dialogo, servizio, preghiera,
contemplazione, fiducia, speranza… sono
termini che ritornano spesso nelle fonti
delle nostre Chiese. Gioiamo inoltre per lo
spirito di responsabilità di cui danno prova
i laici, i sacerdoti, le congregazioni religiose,
i vescovi affinché le nostre Chiese esercitino la loro testimonianza: questa corresponsabilità è una realtà di cui certe comunità hanno preso più coscienza, come,
per esempio, la Chiesa in Tunisia nell’attesa di un nuovo arcivescovo; la Chiesa in
Marocco che si rallegra per il sensibile aumento della presenza dei francescani; la
Chiesa in Algeria dove un certo numero di
comunità hanno potuto quest’anno rinnovarsi; la Chiesa in Libia che beneficia dell’arrivo di numerosi operatori sanitari e insegnanti filippini e indiani, molto spesso
cristiani».
Il fatto di essersi riuniti in Sicilia – prosegue il comunicato –, «cuore del Mediterraneo, sottolinea l’urgenza del dialogo
tra le culture, le civiltà e le religioni fra le tre
rive di questo mare. Molte aspirazioni ma
anche molti interrogativi sono condivisi
dalle popolazioni di tutto il Mediterraneo
e la guerra in Siria, la situazione del Nord
del Mali, l’estremismo di alcuni gruppi religiosi intensificano le migrazioni forzate e
rafforzano le paure».
Mons. Mogavero, che è anche membro della Commissione CEI per le migrazioni, ha presentato la situazione degli immigrati in Italia, sollecitando a che questo
fenomeno «non sia più considerato come
un’emergenza, ma come un fenomeno culturale inerente l’uomo che da sempre è in
movimento. La terra – conclude mons. Landel citando il vescovo di Mazara del Vallo
– appartiene a tutti e non si darà mai un
territorio precluso a certi gruppi di persone».
M.E. G.
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A
FRICA
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- Repubblica Democratica del Congo
A
ncora in guerra
L’
appello inviato a fine maggio dai presuli della regione di Bukavu, nella Repubblica democratica del Congo (Regno-att.
12,2012,366), che si aggiungeva a una lunga serie di allarmi sul
rischio che l’Est del paese ripiombasse in uno stato permanente di
violenza e di depredazione del territorio, aveva purtroppo ragione.
E infatti era stato seguito da numerosi altri, espressi da soggetti
anche molto diversi tra loro: il 9 luglio il segretario della Conferenza
episcopale nazionale del Congo (CENCO) esprimeva il timore che
il paese scivolasse in una «balcanizzazione» tra gruppi armati; il 26
settembre un gruppo di vescovi della regione dei Grandi laghi, a seguito di una visita condotta assieme a una delegazione della CENCO
nell’Est del paese, condannava il clima di violenza che vi aveva constatato, in particolar modo a Bukavu; Benedetto XVI il 1o ottobre
chiedeva che il vertice sulla regione riunito presso l’ONU garantisse
stabilità e sicurezza per la popolazione locale; il rapporto dei primi
d’ottobre a firma della missione dell’ONU nella regione (la Missione
ONU per la stabilizzazione del Congo, MONUSCO, istituita il 1o luglio 2010) – una delle più grandi missioni dell’ONU, forte di 17.000
militari – individuava nel Ruanda e nell’Uganda i sostenitori materiali dei gruppi attualmente attivi nella regione, che sono circa una
trentina; poi erano seguiti gli appelli per la liberazione di tre religiosi
rapiti il 19 ottobre vicino a Beni (Kivu del Nord) e quelli del Jesuit refugee service (14 novembre) per le violenze subite dalla popolazione
della regione di Masisi…
Gli appelli sono caduti nel vuoto e, secondo modalità che sembrano ripetere schemi visti più volte in questi anni, l’Est del paese
è nuovamente in fiamme.
Secondo la ricostruzione fatta dall’International Crisis Group, la
violenza nella regione del Kivu data almeno dall’aprile scorso,
quando Bosco Ntaganda – colpito da mandato di cattura internazionale da parte del Tribunale penale internazionale dell’Aja – decide l’ammutinamento e la fondazione di un gruppo, chiamato
M23, dalla data (23 marzo 2009) in cui il governo di Kinshasa firmava
con il principale gruppo armato, il Consiglio nazionale per la difesa
del popolo (CNDP), sostenuto dal Ruanda, un accordo di pace rimasto lettera morta. In base a esso i militari del CNDP avrebbero dovuto confluire nell’esercito nazionale. Tuttavia, in assenza di una riforma complessiva condivisa dell’esercito e di un reale dialogo
politico tra le parti, l’unificazione non è mai decollata e i gruppi armati sono proliferati.
Come il CNDP nel 2008, così l’M23 oggi ha creato nei fatti una
propria amministrazione e un sistema di finanziamento autonomo,
mentre i gruppuscoli dei mai-mai sono stati liberi di espandersi nelle
aree rurali dove hanno commesso gravi violenze, alimentando le
tensioni tra gruppi etnici.
Goma, la preda
In luglio, secondo un’ulteriore voce degli accordi del 2009,
aveva preso vita la Conferenza internazionale per la regione dei
Grandi laghi, ma la proposta di dispiegare una forza d’interposizione di 4.000 uomini lungo tutto il confine tra Ruanda e Congo
si è rivelata irrealistica e le due maggiori parti in causa – Ruanda e
Congo – non hanno mostrato interesse ad addivenire a una soluzione.
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Non riuscendo a estendere il proprio controllo nella ricca regione di Masisi e costretto dalla chiusura da parte dell’Uganda dei
confini con il Congo, il 15 novembre l’M23 ha lanciato un’offensiva
contro Goma, la capitale della provincia del Kivu del Nord. Dopo tre
giorni di combattimento l’M23 ha avuto la meglio sulle forze armate
del governo guidato da Joseph Kabila e della MONUSCO, che in pratica non si è opposta.
Il 19 è stato proposto un negoziato in cui l’M23 chiedeva il ritiro
dell’esercito e la demilitarizzazione della città e del suo aeroporto; la
riapertura del confine con l’Uganda e un processo negoziale che coinvolgesse anche le opposizioni non armate presenti nel paese. In questo modo il gruppo tentava di mantenere la crisi sul piano di una questione interna al paese per impedire a Kinshasa d’allargare il negoziato
a livello regionale attraverso la Conferenza internazionale.
Sarebbe poi stato lo stesso Kabila a decidere all’ultimo di rinunciare ai colloqui perché ciò avrebbe significato riconoscere
l’M23 come interlocutore. Il 20 novembre il gruppo si è quindi impadronito della città.
L’allarme dei vescovi
La scena ripete tragicamente quella vista nel 2008, ad appena
cinque anni dalla fine di una delle più sanguinose guerre vissute dal
continente (Regno-att. 14,2009,486), quando il CNDP di Laurent
Nkunda prese Goma e, come oggi, fu la popolazione a pagare il
prezzo più alto: gravi violazioni dei diritti umani; processi arbitrari,
esecuzioni sommarie di coloro che si erano schierati contro l’M23;
successive rappresaglie; il ritiro da parte di Kinshasa da Goma e il riaprirsi del conflitto con il Ruanda; il discredito sia dell’ONU sia della
Conferenza internazionale, la cui azione risulta essere irrilevante. Allora Kabila fece un accordo con Kagame, il presidente ruandese, per
un’azione militare congiunta contro il CNDP: l’operazione fallì l’obiettivo e l’alleanza strategica si chiuse immediatamente. Ma la popolazione continuava a subire violenze d’ogni tipo (cf. anche Regnoatt. 16,2010,523).
«Migliaia di uomini, donne e bambini, vittime angosciate per
questa guerra che è stata loro imposta, a Goma e dintorni sono abbandonati e gettati ancora una volta sulla strada in totale povertà.
Sono preda delle intemperie, della fame, degli stupri e d’ogni sorta
di esazione, compreso l’arruolamento dei bambini. Questa è un’offesa della loro dignità umana di figli di Dio»: è la dolorosa constatazione che ancora una volta alcuni presuli africani, riuniti a Kinshasa
il 22 novembre per un incontro indetto da Caritas Africa, hanno
messo per iscritto nel tentativo di far conoscere al mondo il dramma
di queste popolazioni.
Ma mentre il mondo non sembra particolarmente interessato a
questo nuovo dramma, tanto più che le materie prime che si estraggono nella regione continuano nonostante tutto a fluire, l’M23 minaccia di marciare su Kinshasa. Frattanto vi sono, secondo alcune
stime, almeno 120.000 persone che hanno bisogno di un aiuto urgente
e la situazione sanitaria è destinata a peggiorare in maniera drastica, soprattutto per coloro (più di 700.000 persone) che ancora vivono nei
campi profughi a motivo dei conflitti precedenti.
Maria Elisabetta Gandolfi
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Guatemala
Chiesa cattolica
Una svolta
autoritaria
S
i registra una nuova conflittualità causata
dall’incapacità dello stato di orientare
al bene comune gli investimenti privati,
poiché nella privatizzazione delle aziende
pubbliche si è favorito il capitale privato, sono
state varate leggi in materia economica a favore delle imprese e non del bene comune,
non si è saputo suscitare l’appoggio della popolazione a programmi di sviluppo energetico ed educativo e si è speso denaro in politiche clientelari».
Così, in novembre, la Conferenza episcopale del Guatemala ha interpretato la crescente tensione sociale culminata il 4 ottobre
nella strage di 6 contadini quiché (con 35 feriti) compiuta dai militari a Totonicapán, mentre migliaia di persone protestavano contro
l’aumento delle tariffe elettriche, la riforma
della Costituzione (che, tra l’altro, disconoscerebbe le autorità tradizionali indigene), promossa dal presidente della Repubblica, il generale a riposo Otto Pérez Molina, e una
modifica della professione docente giudicata
funzionale alla privatizzazione del sistema scolastico. Perciò l’esecutivo, continuano i vescovi, «deve dissipare i sospetti di essere un
governo militarista, incline a favorire l’iniziativa
privata al di sopra del bene comune e che
usa la forza per soffocare qualsiasi critica».
Il governo con i privati
Senza appello era stato, già all’indomani
della strage, l’atto d’accusa dei 9 parroci della
zona pastorale di Totonicapán, nell’arcidiocesi
di Quetzaltenango: «Denunciamo la responsabilità del governo in questo massacro. E non
si incolpino singoli soldati, che servono da capri espiatori per assolvere il governo dalla progressiva militarizzazione cui sta conducendo il
paese. Non si tratta di un episodio, ma di una
politica di stato sostenuta da gruppi di potere
che discrimina i popoli indigeni». P. Antonio
Calderón, amministratore apostolico della diocesi di San Marcos, ha ricordato altre recenti
azioni repressive, come «lo sgombero violento
della popolazione civile contraria all’attività
mineraria a Santa Rosa», nonché «quanto accaduto a Santa Cruz Barillas».
Qui, il 1° maggio, era stato ucciso un esponente del movimento (e altri due feriti) che
lotta contro la costruzione della centrale idroelettrica Canbalam. L’uccisione, effettuata durante un’imboscata compiuta da alcuni uomini
armati (risultati poi legati alla società spagnola
Hidro Santa Cruz S. A., responsabile del progetto), ha avuto come effetto l’imposizione
dello stato d’assedio da parte dell’esecutivo.
Allora, mons. Rodolfo Bobadilla, vescovo
(oggi emerito) di Huehuetenango, aveva stigmatizzato tanto «la prepotenza e il rifiuto
del dialogo da parte dell’impresa» quanto
lo «sproporzionato dispiegamento della
forza» da parte delle autorità, che «ha provocato nella popolazione il timore di un ritorno alla situazione del conflitto armato»
terminata nel 1996. «Prendiamo atto», aveva
affermato il presule, «di come il governo abbia agito a favore della sicurezza di un’azienda
privata» più che «garantire ai cittadini la vita,
la libertà e la giustizia». Lanciava poi l’allarme
sul fatto che la le ricchezze della regione
«fanno gola ai settori economicamente forti
del paese», i quali, insieme alle imprese transnazionali e con la complicità dei governi,
mirano a «sfruttarne le risorse minerarie» e i
corsi d’acqua (con la costruzione di 16 centrali idroelettriche) contro la volontà della
popolazione e con un devastante impatto
ambientale. Questa situazione si inserisce in
un contesto nazionale segnato dalla «presenza
di un’élite che si è mantenuta al potere per curare i propri interessi», dal narcotraffico e dalla
criminalità organizzata «che si infiltrano nelle
strutture di governo», nonché «dall’influenza
delle imprese e dei governi stranieri impegnati
a proteggere il capitale che investono nel
paese». Perciò «le leggi vengono applicate a favore degli interessi dei potenti, criminalizzando e perseguitando la gente».
Analoga la situazione denunciata a fine
agosto dalla Pastorale sociale dell’ Ixcán nella
diocesi del Quiché per le «intimidazioni da
parte dell’esercito» in seguito «all’annuncio
della gara pubblica per la costruzione della
diga idroelettrica di Xalalá e la concessione
di sette aree destinate all’estrazione di petrolio». Non a caso vari organismi della società civile, tra cui la Conferenza dei religiosi
e delle religiose del Guatemala, hanno chiesto a Pérez Molina «la smilitarizzazione delle
forze dell’ordine e il ritiro delle unità militari
da compiti di pubblica sicurezza», richiesta
cui l’esecutivo (che conta otto alti ufficiali
tra i ministri) ha risposto disponendo che
l’esercito non sia più impiegato in occasione
di manifestazioni di piazza, mentre per l’eccidio di Totonicapán sono stati arrestati
nove soldati.
Mauro Castagnaro
Nicaragua
Chiesa cattolica
Astensionismo
e democrazia
C
ol 68% dei voti, il governativo Fronte
sandinista di liberazione nazionale
(FSLN) ha vinto nettamente le elezioni
amministrative svoltesi in Nicaragua il 4 novembre scorso, conquistando 134 municipi su
153 e lasciandone alle due principali forze di
opposizione, il Partito liberale indipendente
e il Partito liberale costituzionalista dell’ex
presidente della Repubblica, Arnoldo Aleman, rispettivamente 12 e 2, effetto di percentuali del 21% e dell’8% dei suffragi.
Anche se alcuni organismi della società
civile, come Etica e trasparenza, hanno accusato l’esecutivo di brogli e gli Stati Uniti
hanno parlato di «allarmanti irregolarità», gli
osservatori dell’Organizzazione degli stati
americani hanno costatato «un progresso rilevante» nel sistema elettorale e, pur esprimendo varie critiche, anche per organismi
nazionali poco indulgenti con l’esecutivo,
come l’Istituto per la democrazia, «non ci
sono segnali che possano mettere in dubbio
la trasparenza e i risultati» della consultazione.
Gran parte della polemica si è quindi
concentrata sul tasso di astensionismo. Secondo il Consiglio supremo elettorale, dei
cui magistrati le opposizioni, alcune organizzazioni civiche e i vescovi avevano chiesto
inutilmente la sostituzione, i votanti sono
stati 2,1 milioni, pari al 57,7% dei cittadini
iscritti nelle liste «attive» (3,75 milioni), cioè
già ripulite dai circa 750.000 cittadini che non
avevano espresso il suffragio tra il 2006 e il
2011 (spesso perché emigrati all’estero), contando i quali a recarsi alle urne sarebbe stato
il 47% degli aventi diritto, una percentuale di
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Filippine
Fronte islamico
poco minore a quella del 2008. Inoltre il calo
della partecipazione rispetto alle presidenziali dell’anno scorso avrebbe penalizzato soprattutto le opposizioni.
Le critiche dei vescovi
Di fronte ai risultati mons. Juan Abelardo
Mata, vescovo di Estelí e vicepresidente della
Conferenza episcopale, ha invitato la popolazione alla «resistenza davanti ad autorità illegittime», esercitando «il diritto a non
obbedire, a non pagare imposte, a scioperare
pur restando sul posto di lavoro». Mons. Silvio Báez, vescovo ausiliare di Managua, che
aveva parlato della consultazione come di
«un passo in più verso il consolidamento di
un potere dittatoriale», ha invece affermato
che «la grande sfiducia nelle autorità elettorali è stato il fattore principale che ha spinto
molte persone a non votare», ricordando
che ciò era già stato menzionato nella lettera
pastorale pubblicata in settembre dalla Conferenza episcopale del Nicaragua.
In quel documento l’episcopato aveva
definito la vita politica del paese «dominata
da uno stile autocratico e abusivo di esercizio dell’autorità, che si manifesta attraverso
la concentrazione del potere e il desiderio
incontenibile di perpetuarvisi, la manipolazione della legge e delle istituzioni e la distruzione dei principi fondamentali dello
stato di diritto. Allo stesso modo i partiti politici di opposizione si dibattono in lotte interne e reciproche squalifiche che traggono
origine dalla ricerca di maggiori spazi di potere e da ambizioni personali».
I vescovi, quindi, avevano dichiarato di
considerare «validamente fondate» tanto la
scelta di votare quanto quella di non recarsi
alle urne, poiché «l’esperienza delle municipali del 2008 e delle politiche del 2011, in cui
sono state registrate serie denunce di atti
fraudolenti e gravi irregolarità», aveva spinto
molti ad annunciare l’intenzione di astenersi
«per non diventare complici di un’altra grave
offesa alla democrazia» e altri a scegliere di
votare «per rafforzare la struttura democratica, non lasciare tutto lo spazio politico al
partito di governo e rispondere alla forte domanda di partecipazione elettorale delle
zone in cui l’opposizione è da sempre maggioritaria».
Questo intervento era stato da alcuni
letto come un appello all’astensione, interpretazione respinta da mons. Báez, che però
non ha voluto rivelare se alla fine si sia recato
alle urne. Lo ha fatto, invece, il card. Miguel
Obando y Bravo, arcivescovo emerito di Managua, che a fine ottobre aveva ringraziato
pubblicamente il presidente Daniel Ortega
per i programmi sociali varati dal suo governo.
M. C.
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Verso la pace
a Mindanao
C
i sono voluti più di 40 anni di conflitto
e almeno 100.000 morti su entrambi i
fronti. Ma lo scorso 15 ottobre, con
una cerimonia solenne nel Palazzo presidenziale di Malacanang a Manila, il governo delle
Filippine e il Fronte islamico di liberazione
Moro (MILF) hanno firmato un accordo di
pace. Nel terreno di scontro tra le due parti,
l’isola a maggioranza musulmana di Mindanao,
sarà creata entro il 2016 una regione autonoma col nome di «Bangsamoro». Si tratta di
un termine locale per identificare la comunità
islamica, ed è un segno della volontà di Manila di riconoscere il dominio ancestrale delle
terre da parte delle etnie di religione musulmana. La creazione della nuova regione semiautonoma sarà comunque sottoposta a referendum popolare, mentre il governo centrale
manterrà il controllo della difesa e della sicurezza, nonché la gestione della politica estera
ed economica.
Il MILF è stato fondato nel 1977 con lo
scopo di creare uno stato indipendente e si
stima che oggi conti circa 12.000 militanti.
Un primo accordo con il governo, con il
quale si concedeva alle aree a maggioranza
musulmana un certo grado di autonomia e
veniva creata la Regione autonoma musulmana di Mindanao (ARMM), era già stato
firmato nel 1996. Ma a causa degli scontri
con l’esercito, nel 2001 gli accordi erano saltati. L’intesa attuale, frutto di 15 anni di negoziati mediati dalla Malaysia, prevede la
creazione di una «Commissione di transizione» che dovrà elaborare le soluzioni legislative necessarie per realizzare nei fatti le
novità introdotto dall’accordo, e sancisce
che una pace definitiva dovrà essere firmata
già entro la fine di quest’anno. Negli ultimi
anni, infatti, in numerose occasioni i negoziati per l’autonomia dell’arcipelago a sud
delle Filippine si sono bloccati per la recrudescenza delle violenze.
In conseguenza delle violenze, l’isola di
Mindanao è oggi particolarmente povera,
malgrado la presenza di molte risorse natu-
rali nell’area, soprattutto miniere d’oro. Le
poche società che hanno provato a investire e ad avviare attività nell’isola in questi
anni hanno subito attacchi continui da parte
della guerriglia e sono state vittime di rapimenti a scopo di estorsione. La possibilità di
una fine del conflitto con i ribelli islamici
rappresenta quindi una grande opportunità
economica per la popolazione, che potrà in
futuro godere degli investimenti di paesi
stranieri e agganciarsi alla ripresa economica
delle Filippine, che crescono ad un ritmo annuale del 5,8%.
La Chiesa prudente
Intervistato dalla Radio Vaticana, p. Sebastiano D’Ambra, responsabile del dialogo cristiano-musulmano nella Conferenza episcopale filippina, che ha partecipato alla firma
degli accordi, ha cercato però di smorzare, almeno in parte, gli entusiasmi. Il sacerdote ha
sottolineato che non si tratta di un accordo di
pace vero e proprio, in cui è «tutto stabilito».
Ma, ha aggiunto, «ci sono le basi per poter
continuare a parlare. Hanno fissato dei parametri su cui lavorare, però non tutti i gruppi
hanno aderito». L’accordo raggiunto, quindi, è
«senz’altro importante ma non è veramente la
parola finale».
Parole di prudenza sono arrivate anche da
padre Angel Calvo, missionario clarettiano da
quarant’anni nelle Filippine e membro dell’Interreligious Solidarity Movement for Peace a
Zamboanga. «Il MILF – ha detto ad AsiaNews
– rappresenta solo una parte del panorama
estremista islamico che insanguina Mindanao
dal 1972. Fra essi vi sono Abu Sayyaf, gruppo
terrorista vicino ad al-Qaeda nato negli anni
Novanta, e il Bansamoro Islamic Freedom Fighters (BIFF), gruppo creato nel 2011 da ex
membri del MILF ostinati ad ottenere la piena
indipendenza della regione».
Tuttavia, per p. D’Ambra, dopo quarant’anni di conflitto la gente di Mindanao è
pronta per la pace: «Tutti hanno capito che
alla fine non è questa la via da seguire. Ci
sono stati centinaia di migliaia di morti nel
conflitto in questi 40 anni». Il governo di Benigno “Noynoy”Aquino – figlio dell’eroina
della lotta contro la dittatura Corazon
Aquino, poi diventata presidente dal 1986 al
1992 – gode di fiducia da parte di tutti gli attori in gioco. Tuttavia, per il rappresentante
dei vescovi, nell’opinione pubblica filippina
rimangono «molti dubbi e molte paure» nei
confronti dei ribelli islamici e delle loro rivendicazioni. «La gente – ha spiegato p.
D’Ambra – ancora è disorientata e quando si
parla di pace tutti sperano che veramente arrivi e non capiti come per gli altri accordi di
pace falliti che ci sono stati in passato».
Alessandro Speciale
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diario ecumenico
OTTOBRE
Chiude l’agenzia ENI. Il 1° ottobre l’agenzia Ecumenical news
international annuncia la sospensione delle pubblicazioni con effetto immediato, per reperire fondi d’emergenza per l’attività della
restante parte dell’anno. «Questo passo ci dispiace, ma nonostante
una massiccia riorganizzazione ENInews sente l’effetto dei profondi
tagli operati dai suoi sostenitori storici e dei mancati pagamenti da
parte di molti abbonati», dice il presidente di ENI David Harris. Fondata nel 1994, l’agenzia è finanziata dal Consiglio ecumenico delle
Chiese (CEC), dalla Federazione luterana mondiale (FLM) e dalla Comunione mondiale delle Chiese riformate, tutte con sede presso il
Centro ecumenico di Ginevra. Già nel 2011 il dimezzamento dei finanziamenti da parte del CEC aveva provocato il licenziamento
dello staff editoriale, pochi giorni dopo che l’Associated Church
Press riconoscesse a ENInews il premio di migliore agenzia sui temi
religiosi, e la sostituzione con un redattore a New York per il coordinamento dei 50 corrispondenti nelle varie parti del mondo.
Chiesa russa – Preti in politica. Il 4 ottobre il Santo Sinodo
della Chiesa ortodossa russa stabilisce che i propri preti eccezionalmente possano candidarsi a cariche politiche, soprattutto quando ciò
sia necessario per difendere la Chiesa da forze «scismatiche o di altre
fedi». Ciò è già possibile in Ucraina, dove dal 2006 il vescovo di Odessa
siede nel Parlamento regionale e sostiene una politica anti-ecumenica.
Il 14 ottobre, in visita al presidente della Bielorussia Aleksander Lukaschenko, il patriarca di Mosca Cirillo I afferma che la Chiesa ortodossa
Germania – Circoncisione. Dopo le polemiche sulla sentenza del Tribunale di Colonia, che aveva equiparato la circoncisione per motivi religiosi al reato di lesioni volontarie (cf. Regno-att.
14,2012,450), il governo Merkel raggiunge il 10 ottobre un’intesa su
una proposta di legge per la questione, che colpisce principalmente le comunità ebraiche e islamiche. In base a essa non saranno
punibili le operazioni di circoncisione sui minori praticate rispettando determinati standard medici. Le circoncisioni rituali potranno essere eseguite entro sei mesi dalla nascita del bambino
anche da rappresentanti della comunità religiosa con competenze
specifiche. I genitori dovranno essere informati delle conseguenze
e dei possibili rischi dell’intervento, e dovrà essere utilizzata una
«narcosi adeguata ed effettiva», mentre per i bambini più grandi si
dovrà tenere in considerazione la loro volontà.
I Consigli centrali della comunità ebraica e musulmana in Germania esprimono apprezzamento per l’equilibrio raggiunto dalla
proposta di legge, che ora dovrà passare il vaglio del Parlamento.
Di fronte alle accese proteste di tutte le comunità religiose per
una sentenza che prefigurava un grave restringimento della libertà
religiosa, il governo si era da subito impegnato a elaborare un quadro normativo che consentisse una composizione di tale diritto
con i diritti dell’infanzia.
Non solo per le nuove presenze religiose ma anche per quelle
più antiche e stabili, si vanno moltiplicando nei paesi europei i casi
nei quali la legislazione tenta di normare, in senso limitativo, le manifestazioni di appartenenza religiosa, sempre più avvertite in contrasto con i diritti civili. Prima della circoncisione c’erano state la
questione della macellazione rituale nei Paesi Bassi e quella del
velo in Francia. In questi casi le autorità ebraiche, islamiche e cattoliche hanno reagito avviando un’alleanza «trialogica».
russa vuole favorire il processo d’integrazione tra Russia, Bielorussia e
Ucraina, che in quanto costitutive della «santa Rus’» considera proprio
territorio canonico (insieme a tutte le repubbliche un tempo parte
dell’URSS, eccetto Georgia e Armenia).
Morte di Torkom Manoogian. Il 12 ottobre si spegne all’età
di 96 anni il primate del Patriarcato armeno di Gerusalemme Torkom II Manoogian, promotore di molte iniziative ecumeniche di
pace in Terra santa e animatore per conto del CEC del Programma
di accompagnamento ecumenico in Palestina-Israele (EAPPI). Nato
in Iraq, era stato primate della Chiesa armena del Nord America.
Poeta e teologo, ha offerto un significativo contributo alla riflessione sulla pace in Terra santa e alla storia del genocidio armeno.
Pasqua comune in Terra santa. Tra due anni tutti i cattolici
di rito orientale e latino delle diocesi di Terra santa adotteranno il
calendario giuliano, in uso agli ortodossi, dopo la redazione del decreto definitivo e la sua approvazione da parte della Santa Sede.
Nell’attesa i vescovi delle Chiese cattoliche di Terra santa possono
scegliere di cominciare l’esperienza a partire dal 2013. È l’esito della
decisione presa dall’Assemblea degli ordinari cattolici di Terra santa
(AOCTS), e così annunciata il 16 ottobre dal Patriarcato latino di Gerusalemme: «Questa decisione è segno di un passo concreto nell’ecumenismo. Essa è dovuta anche alla pressione esercitata dai
fedeli. Infatti, numerose sono le famiglie cristiane in Terra santa costituite da matrimoni misti tra cattolici, ortodossi, protestanti. Molti
dei loro membri non possono celebrare la Pasqua lo stesso giorno
perché i cattolici seguono il calendario gregoriano e gli ortodossi
quello giuliano».
Dialogo luterani-anglicani. Viene pubblicato in ottobre To
love and serve the Lord (Amare e servire il Signore), il rapporto finale della Commissione internazionale anglicana luterana (ALIC), che
tra il 2006 e il 2011 ha condotto la terza fase di dialogo tra la FLM e
la Comunione anglicana, centrata sul tema della diaconia, cioè del
servizio della Chiesa nella società. Il dialogo tra luterani e anglicani
è iniziato nel 1972.
Italia – Dialogo cristiano-islamico. La IX Giornata del dialogo cristiano-islamico, che è stata istituita dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, si celebra a Roma il 27 ottobre sul tema
«Islam, cristianesimo, Costituzione: cristiani e musulmani a confronto con la laicità dello stato». Vi aderiscono oltre cento associazioni e comunità di fede, promuovendo iniziative in tutto il
territorio nazionale.
Grecia – Chiesa ortodossa e crisi economica. «La nostra
Chiesa entro due mesi non potrà più pagare i suoi dipendenti; se
non si trovano i fondi necessari, dovrà licenziare più di 300 persone»:
lo dichiara l’arcivescovo ortodosso di Atene Ieronymos nel corso di
un’intervista televisiva diffusa il 26 ottobre. Nonostante le vive polemiche degli ultimi convulsi mesi per la ricchezza della Chiesa di
stato – il secondo proprietario immobiliare dopo lo stato stesso –
e per il suo tentativo di sottrarsi all’impopolare tassa sugli immobili
(cf. Regno-att. 4,2012,92), le casse dunque sono vuote, perché –
spiega il primate – alcuni immobili sono sfitti, altri sono affittati a
gente impoverita che non riesce a pagare, mentre molti investimenti
in fondi azionari si sono volatilizzati.
Daniela Sala
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agenda vaticana
OTTOBRE
Loreto. Il 4 ottobre il papa va pellegrino a Loreto «nell’anniversario dei 50 anni del pellegrinaggio in treno di papa Giovanni XXIII
a Loreto e Assisi (4 ottobre 1962) e per affidare all’intercessione della
vergine Maria i lavori del Sinodo dei vescovi e l’Anno della fede».
«Corvo» condannato a tre anni. Il 6 ottobre – alla vigilia dell’apertura del Sinodo dei vescovi – il Tribunale vaticano condanna il
«corvo» Paolo Gabriele a tre anni di carcere dimezzati in accoglimento
di attenuanti, tra le quali viene segnalato «il convincimento soggettivo
– sia pure erroneo – indicato dall’imputato quale movente della sua
condotta». Il 23 ottobre viene pubblicata la motivazione della sentenza
e due giorni dopo il condannato torna in carcere: «Dato che non sono
stati proposti appelli contro la sentenza, essa è divenuta definitiva. Perciò, per mandato del presidente del Tribunale, il promotore di giustizia
ha disposto questa mattina la reclusione in esecuzione della sentenza»:
così il padre Lombardi il 25 ottobre. Un comunicato della Segreteria di
stato afferma in tale data che la sentenza «mette un punto fermo su di
una vicenda triste, che ha avuto conseguenze molto dolorose».
Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Con due celebrazioni in San Pietro il papa apre il 7 ottobre e chiude il 28 ottobre la
XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi su «La
nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana». Il
Messaggio finale viene pubblicato il 26 ottobre e 58 Proposizioni il
27 ottobre. Cf. Regno-doc. 19,2012,577 e in questo numero a p. 657.
Anno della fede e 50° del Vaticano II. Con una concelebrazione in San Pietro con i padri sinodali Benedetto avvia l’11 ottobre, nel 50° dell’apertura del Vaticano II, l’Anno della fede, che andrà
fino al 24 novembre 2013. «In questi decenni – dice il papa all’omelia – è avanzata una “desertificazione” spirituale. Che cosa significasse una vita, un mondo senza Dio, al tempo del Concilio lo si
poteva già sapere da alcune pagine tragiche della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. È il vuoto che si è diffuso» (Regno-doc. 19,2012,578s). La concelebrazione termina con la
consegna a nuovi testimonial dei sette messaggi conclusivi del Vaticano II (ai governanti, agli uomini di scienza e di pensiero, agli artisti, alle donne, ai lavoratori, ai poveri, ai giovani). La sera dello stesso
giorno Benedetto si affaccia alla finestra per salutare i 40.000 partecipanti alla «fiaccolata» organizzata dall’Azione cattolica italiana, a
ricordo di quella organizzata mezzo secolo prima dalla stessa associazione e salutata da papa Roncalli con il discorso della luna e della
carezza ai bambini. «Anch’io ero in piazza – dice papa Ratzinger –
con lo sguardo a questa finestra, eravamo felici e pieni di entusiasmo, sicuri che dovesse venire una nuova primavera, una nuova Pentecoste. Anche oggi siamo felici, ma di una gioia più sobria, umile».
Guinea Equatoriale. Il 13 ottobre viene firmato a Mongomo un
Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Guinea Equatoriale sulle
relazioni tra la Chiesa cattolica e lo stato, nel quale «è riconosciuta la
personalità giuridica della Chiesa e delle sue istituzioni; l’accordo riguarda
anche il matrimonio canonico, i luoghi di culto, le istituzioni educative,
l’assistenza spirituale ai fedeli cattolici negli ospedali e nelle carceri».
Il Sinodo e la Siria. Il 18 ottobre viene annunciata una missione sinodale in Siria guidata dal card. Laurent Mosengwo Pasinya
(Kinshasa), con la partecipazione dei cardd. Timothy Dolan (New York)
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e Jean-Louis Tauran (Dialogo interreligioso). Il 22 ottobre il padre Lombardi informa che la «missione» è allo studio ma si farà dopo la chiusura del Sinodo per la mancanza – al momento – delle necessarie
condizioni di sicurezza. Così infine il 7 novembre il papa all’udienza generale annuncerà l’accantonamento definitivo dell’idea: «Per manifestare la mia solidarietà e quella di tutta la Chiesa alla popolazione
della Siria e la vicinanza spirituale alle comunità cristiane era mio desiderio inviare una delegazione di padri sinodali a Damasco, ma purtroppo diverse circostanze non hanno reso possibile l’iniziativa nelle
modalità auspicate perciò ho voluto affidare una missione speciale al
card. Robert Sarah presidente del Pontificio consiglio “Cor unum”, che
da oggi fino al 10 novembre si trova in Libano dove incontrerà pastori
e fedeli delle Chiese che sono presenti in Siria».
Concistoro. Il 24 ottobre al termine dell’udienza generale Benedetto annuncia che il 24 novembre terrà un concistoro per la nomina di sei cardinali: James Michael Harvey, prefetto della Casa
pontificia, che il papa ha «in animo di nominare arciprete della Basilica papale di San Paolo fuori le mura»; Béchara Boutros Raï, patriarca
di Antiochia dei Maroniti (Libano); Baselios Cleemis Thottunkal, arcivescovo maggiore di Trivandrum dei Siro-malankaresi (India); John
Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja (Nigeria); Rubén Salazar
Gómez, arcivescovo di Bogotá (Colombia); Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila (Filippine). Cf. in questo numero a p. 656.
Williamson. Il 24 ottobre un comunicato della Fraternità sacerdotale San Pio X annuncia che «avendo preso le distanze dalla direzione e dal governo della Fraternità sacerdotale San Pio X da diversi
anni, e rifiutando di manifestare il rispetto e l’obbedienza dovute ai
suoi superiori legittimi, mons. Richard Williamson è stato dichiarato
escluso dalla Fraternità con decisione del superiore generale e del consiglio il 4 ottobre 2012». Rende noto inoltre che Williamson ha reagito
a un ultimo richiamo chiedendo con lettera aperta le dimissioni del superiore della Fraternità, il vescovo Fellay. Cf. in questo numero a p. 663.
Lefebvriani. Il 27 ottobre un comunicato della Pontificia commissione «Ecclesia Dei» annuncia che il 6 settembre la Fraternità sacerdotale San Pio X «ha indicato di aver bisogno di ulteriore tempo
di riflessione e di studio per preparare la propria risposta alle ultime
iniziative della Santa Sede», che il comunicato così riassume: «Il 13
giugno 2012 la Commissione ha presentato alla Fraternità una dichiarazione dottrinale unitamente a una proposta per la normalizzazione canonica del proprio stato all’interno della Chiesa cattolica».
Segue questo commento: «Dopo trent’anni di separazione, è comprensibile che vi sia bisogno di tempo per assorbire il significato di
questi recenti sviluppi. Mentre il nostro santo padre Benedetto XVI
cerca di promuovere e preservare l’unità della Chiesa mediante la
realizzazione della riconciliazione a lungo attesa della Fraternità sacerdotale San Pio X con la Sede di Pietro – una potente manifestazione del munus petrinum all’opera – sono necessarie pazienza,
serenità, perseveranza e fiducia». Cf. in questo numero a p. 663.
Nuove competenze su seminari e catechesi. «Ho deciso di
trasferire la competenza sui seminari dalla Congregazione per l’educazione cattolica alla Congregazione per il clero e la competenza sulla
catechesi dalla Congregazione per il clero al Pontificio consiglio per
la promozione della nuova evangelizzazione»: così Benedetto parlando il 27 ottobre all’ultima congregazione generale del Sinodo.
Luigi Accattoli
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studio del mese
Cleus Andreatta
Oscar Beozzo
Frei Betto
Leonardo Boff
Te o l o g i a
della liberazione
e Vaticano II
Il Sud
del Concilio
Victor Codina
Jesus Garcia Gonzales
Diego Irarrazaval
Jon Sobrino
Andrés Torres Queiruga
José Maria Vigil
Celebrare il giubileo del Vaticano II
in America Latina significa, allo stesso
tempo, fare le somme di un quarantennio
di teologia della liberazione,
che del Concilio è stato nel continente
il momento recettivo e originale, effettivo
e conflittuale. Nel Congresso continentale
di teologia tenutosi a San Leopoldo,
nei pressi di Porto Alegre (Brasile, 7-11
ottobre), 750 protagonisti di questa
vicenda ne hanno tratto un bilancio.
Alla fine della parabola di questa ricerca
teologica, incorporata oggi in un modo
di essere Chiesa, ne sono state ripercorse
le tracce dal cuore del Concilio al cuore
della realtà latinoamericana, con la sua
storia d’ingiustizie e d’oppressione,
in una critica inesausta delle sfide che oggi
chiamano ancora in causa il «Dio liberatore».
All’orizzonte si profila la prossima
Conferenza generale dell’episcopato
latinoamericano, che si terrà
a Panama nel 2013.
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tudio del mese
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I
l giorno 11 ottobre, 50° anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II, il ritornello del
salmo responsoriale diceva: «Benedetto il Signore, Dio d’Israele, perché ha visitato il suo popolo». Quella mattina abbiamo partecipato all’eucaristia in Porto Alegre (Brasile), all’inizio
dell’ultimo giorno del Congresso continentale
di teologia, organizzato dall’Unisinos (Università do Rio
dos Sinos, dei gesuiti) a partire dal giorno 7.
Il ritornello per lo stesso salmo recitava, in portoghese, «Benedetto il Signore, Dio d’Israele, perché ha visitato e liberato il suo popolo». Il Benedictus nella versione
italiana dice: «... perché ha visitato e redento il suo popolo».
La diversa traduzione può ben marcare l’indole dell’appuntamento culturale ed ecclesiale organizzato in occasione dell’anniversario del Vaticano II, sostanzialmente in
coincidenza con i 40 anni della teologia della liberazione.
Gustavo Gutiérrez, al quale si riconosce la paternità della
controversa ermeneutica teologica, è stato tra i relatori del
congresso, anche se in collegamento video da Notre Dame
(Indiana, USA), non potendo spostarsi a causa di un
trauma da caduta. Insieme a lui erano presenti quasi tutti
gli esponenti più noti di questi 40 anni di teologia latinoamericana: L. Boff, J. Sobrino, V. Codina, O. Beozzo,
C. Mesters... Essi stessi, al momento della foto-ricordo, si
sono definiti ironicamente i «dinosauri» del «giurassico».
Fra i 750 partecipanti si sono contati anche 17 vescovi,
alcuni dei quali erano coordinatori di uno dei 21 talleres
(laboratori) programmati nel pomeriggio. C’era mons.
J.M. Pires, padre conciliare. L’ultimo giorno si è fatto
presente per un saluto anche il vescovo di Novo Hamburgo, Z. Hastenteufel; aveva resistito a forti pressioni che
volevano spingerlo a non autorizzare l’evento, e alla fine,
costantemente informato sull’andamento dei lavori e ripetutamente invitato a prendervi parte, ha superato il timore e si è affacciato per una benedizione. La Unisinos
non necessitava dell’autorizzazione dell’ordinario, dal
momento che non dispone di una facoltà di teologia e ha
promosso il congresso come attività culturale. È stato un
lavoro contro vento perché, sia da Roma sia da alcune autorità e ambienti ecclesiastici del continente, si temeva pregiudizialmente un raduno animato da ostilità nei confronti
del Vaticano e del magistero in generale. Lo svolgimento
ha serenamente smentito le paure. Le adesioni hanno
colmato le disponibilità e anzi, avendo chiuso il numero
per le iscrizioni provenienti dal Brasile, sono state respinte circa 400 richieste.
Il vescovo di Jales (Brasile) D. Valentini ha «inaugurato» il congresso –«Concilio Vaticano II e teologia della
liberazione in dialogo» – richiamando le parole di Giovanni XXIII per il Concilio: «Serenità di spirito, concordia fraterna, moderazione delle proposte, dignità della discussione e prudenza nelle delibere». «Gaudet mater
Ecclesia» si deve poter dire di ogni evento che raduna il popolo di Dio con i suoi pastori e i suoi teologi per riflettere,
pregare, programmare.
Recezione del Concilio
Tornando al salmo responsoriale, in quell’«adattamento» di una traduzione v’è molto della creatività e
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della modalità con le quali il Vaticano II è stato recepito
in America Latina e nei Caraibi. Le conferenze generali
dell’Episcopato latinoamericano, organizzate dal Consiglio episcopale latinoamericano (CELAM), in particolare
Medellín (1968) e Puebla (1979), hanno marcato autorevolmente la recezione; la teologia della liberazione ne
costituisce l’espressione più geniale; le comunità ecclesiali
di base il progetto più ambizioso. Difficile immaginare le
tre spinte disgiunte. «Abbiamo riaffermato che c’è un’intima e necessaria relazione tra teologia della liberazione
e comunità ecclesiali di base», dice la Sintesi finale del
congresso (di prossima pubblicazione su Regno-doc.). «La
Chiesa in questo continente ha incoraggiato a vivere la
fede, la speranza e l’amore in piccole comunità e in una
comunione di esse». Nella risultante si sono assommate,
ma anche compensate; in un equilibrio arduo ma non
impossibile; intrinseco e dunque infirmato più che garantito da interventi esterni che pure avrebbero voluto
puntellarlo.
Assimilare il Vaticano II è operazione più vasta della
sola recezione dei contenuti, perché il Concilio è stato magisteriale anche nella sua dinamica. L’apertura del Concilio corrispondeva alla «chiusura ufficiale di tutta
un’epoca storica. Epoca decisiva per l’umanità, ma che
aveva visto una Chiesa (auto)emarginata, con tendenza a
chiudersi in sé stessa, eccessivamente lontana del processo
generale che stava rinnovando dal fondo la cultura e la società. (...) Se personalmente dovessi riassumere in un solo
punto la documentazione storica del Concilio, direi che
consistette nel dare, in modo legittimo e ufficiale, libera
uscita alle spinte di rinnovamento che, non solo nella
teologia ma anche nello stesso corpo ecclesiale, giacevano
da lungo tempo duramente represse» (A.T. Queiruga).
Il Concilio ha dato fiato a una Chiesa che «preferisce
l’arma della misericordia a quella della severità» (Giovanni XXIII), il dialogo aperto alle definizioni chiuse,
l’invito al futuro piuttosto che la condanna del presente.
In teologia, il Vaticano II preferì quello che Rahner chiamava il «tuziorismo del rischio»: è più sicuro essere azzardati nell’annuncio del Vangelo al mondo tutto (Mt
28,19) anziché sotterrare i talenti (Mt 25,25). Come l’assise, anche il dopo-Concilio è stato dominato da una
forte dialettica fra spinte in avanti e pressioni alla restaurazione. Il Concilio aveva svuotato la terza opzione:
dopo l’evento, essere conservatori avrebbe voluto dire comunque custodire qualcosa di profondamente nuovo;
tentare di ingessare una reazione a catena ormai innescata. La Chiesa e la teologia in America Latina hanno
assunto la dinamica propulsiva del Concilio, privilegiando gli elementi di novità rispetto a quelli di continuità. Per questo, ha sostenuto Queiruga, affermare che
il Concilio sia all’origine dei mali della Chiesa attuale si
basa sull’assunto «ingiusto» che la situazione attuale sia
peggiore della precedente, «quando invece è certo che,
con tutti i difetti, il clima attuale risulta incomparabilmente più respirabile, la vita ecclesiale ha un stile molto
più sano e le possibilità di un’incarnazione autenticamente evangelica della vita di fede di molto superiori».
La cura del clima globale, si sa, non può esaurirsi nell’attenzione al singolo uragano.
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DELLA LIBERAZIONE
Sulla linea del tempo
1
955, Rio de Janeiro (Brasile). La Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, riunita per la prima volta, erige
il Consiglio episcopale latinoamericano (CELAM) per avviare
un processo d’integrazione delle Chiese del continente.
1968, Medellín (Colombia). La II Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano segna l’atto di nascita della teologia della liberazione, identificando come missione della Chiesa
quella di portare i popoli del continente alla completa e definitiva liberazione in Cristo, anche relativamente ai problemi politici
e sociali. Cf. Regno-doc. 20,1968,413ss.466ss.
1979, Puebla (Messico). La III Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano identifica l’opzione preferenziale per i
poveri come chiave dell’agire cristiano. Cf. Regno-doc. 5,1978,98;
7,1978,165; 9,1978,234.
1984, Libertatis nuntius. La Congregazione per la dottrina
della fede emana un’istruzione «su alcuni aspetti della “teologia
della liberazione”», che condanna l’impropria assunzione della lettura marxista della società nel discorso teologico. Cf. EV 9/866-987.
1986, Libertatis conscientia. Viene pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della fede una seconda istruzione,
«su libertà cristiana e liberazione», che riconosce la legittimità di
una riflessione teologica sviluppata a partire da una particolare
esperienza d’impegno per la liberazione integrale dell’uomo, purché si mantenga «chiaramente e permanentemente l’unità e in-
Recezione originale:
la teologia della liberazione
V. Codina ha qualificato la recezione del Concilio in
America Latina come originale, effettiva, conflittuale. La
teologia della liberazione è il frutto più polposo prodotto
dall’innesto del Concilio nella realtà latinoamericana e insieme il più esportato nel più ampio spazio della teologia
mondiale.
Il Concilio ha liberato la Chiesa «semplicemente»
aprendo le gabbie degli schemi concettuali e ponendola
di fronte a una realtà già mutata e ancora in cambiamento
perché ci dialogasse. La teologia della liberazione nasce da
questo dialogo realizzato nella situazione latinoamericana, nelle condizioni di un popolo segnato dall’oppressione non soltanto sociale, ma perfino antropologica. Il
brodo di coltivazione è la teologia della secolarità: «L’ingiustizia non è una disgrazia, ma opera delle mani dell’uomo» (Gutiérrez). Una teologia figlia del disincanto: «I
fenomeni umani e sociali hanno ragioni interne alla realtà
mondana» (Queiruga). I. Ellacuría interpretava la teologia come «intelligenza della realtà», realizzata in tre momenti successivi. 1) «Assumere la realtà», saperla almeno
fotografare e descrivere. P. Casaldáliga scriveva: «Oggi c’è
più ricchezza sulla Terra, ma c’è più ingiustizia». La realtà non è figlia del fato, l’ingiustizia è colpevole. Cosa dice
questa realtà di Dio e cosa ha da dire Dio su questa realtà?
2) «Farsi carico della realtà». La finalità della teologia, diceva J. Sobrino, non si esaurisce nell’accrescere la conoscenza, ma continua nel «far evolvere la realtà. In una direzione precisa: quella della salvezza, della compassione,
sieme la distinzione tra evangelizzazione e promozione umana»
(n. 64; EV 10/281).
1987, Sollicitudo rei socialis. Giovanni Paolo II stabilisce nell’enciclica il collegamento necessario tra sviluppo e liberazione dal
peccato e dalle «strutture di peccato» che producono ingiustizia.
Cf. EV 10/2503ss.
1991, Centesimus annus. L’enciclica di Giovanni Paolo II assume e legittima l’opzione preferenziale per i poveri (n. 57; EV
13/251).
1992, Santo Domingo (Rep. Dominicana). La IV Conferenza
generale dell’episcopato latinoamericano, nel V centenario della
scoperta dell’America, affronta il tema dell’evangelizzazione inculturata e della promozione umana dei popoli dell’America Latina. Cf. Regno-doc. 21,1992,649ss.
2007, Aparecida (Brasile). La V Conferenza dell’episcopato latinoamericano si radica nella continuità con la storia recente
della Chiesa in America Latina, attraverso la conferma del metodo
«vedere, giudicare, agire», la recezione del concetto di «strutture
di peccato», l’assunzione della dimensione cristologica della scelta
preferenziale dei poveri e la conferma e il rilancio delle strutture
partecipative interne. Cf. Regno-doc. 15,2007,505ss; 17,2007,540ss;
19,2007,623.
D. S.
della misericordia e dell’amore. La teologia è intellectus
amoris». 3) «Portare il peso della realtà», quel peso che
grava soprattutto «sugli anawim, gli oppressi di cui parla
la Scrittura». J. Sobrino vi ha aggiunto un quarto momento: «Lasciarsi condurre dalla realtà». Lavorare e soffrire è grazia per chi fa teologia. «Il teologo sa di essere
parte del popolo povero, non gli è esterno». La Sintesi del
congresso – Di ci ha fatto visita in questi giorni – riconosce: «Il congresso ci ha spronati a una teologia (...) fatta di
rigore e vigore, passione e coinvolgimento nella realtà. (...)
Una teologia dinamica, sempre aperta a nuove tematiche
e soggetti, che accoglie le nuove sfide storiche e dice la sua
parola come atto secondo, preceduta dell’atto primo della
prassi e del lavoro silenzioso in progetti alternativi, non
schematici, generatori di vita abbondante».
Medellín ha segnato la presa in carico della realtà,
Puebla ha adottato l’approccio teologico: «Positivamente,
Dio è essenzialmente un Dio liberatore. Difende e ama i
poveri – in quest’ordine – per il semplice fatto che lo sono.
Sia quella che sia la loro situazione personale e morale.
Dialetticamente, Dio è essenzialmente un Dio della vita
contro le divinità della morte» (Sobrino). In un paese
come il Salvador ci sono 13 omicidi al giorno. Davanti a
questa realtà, la questione su Dio diventa una priorità:
«Dio ha a che fare con la vita o con la morte?».
Recezione effet tiva:
la Chiesa dei poveri
Agli inizi del Concilio, il p. G. Hakim vuol far conoscere la riflessione di P. Gauthier Gesù, la Chiesa e i poveri
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e il 26 ottobre convoca una riunione dei primi dodici che
costituiranno il «Gruppo della Chiesa dei poveri». Il card.
P. Gerlier, allora vescovo di Lione, riassunse così quanto
emerso dal primo confronto: «Il problema si pone sotto
forme diverse, ma al fondo resta sempre lo stesso: quello
della situazione dolorosa di un enorme numero di uomini,
risultato di una ripartizione diseguale delle ricchezze.
Ora l’efficacia del nostro lavoro è legata a questo problema. Se non l’affrontiamo eludiamo gli aspetti più attuali della realtà evangelica e umana… Tutto il resto rischia di restare inefficace…». Il card. G. Lercaro, nel suo
intervento del 7 dicembre 1962, sollecitò: «Se in verità la
Chiesa, come si è detto molte volte, è il tema di questo
Concilio, si può allora affermare, in piena conformità con
l’eterna verità del Vangelo, e nel medesimo tempo in
perfetto accordo con la situazione storica presente: il
tema di questo Concilio è la Chiesa nella misura in cui
essa è specialmente “la Chiesa dei poveri”». La proposta
non riuscì ad affiorare nei documenti conciliari, e tuttavia il diario dei lavori conferma la forza che essa aveva
nella «mente» dell’assise, ben oltre il piccolo numero del
Gruppo.
La Chiesa e la teologia in America Latina hanno recepito il Concilio dando risalto e traduzione pastorale al
progetto «Chiesa dei poveri». L’«irruzione dei poveri» –
come dice G. Gutiérrez – nella consapevolezza della
Chiesa, come l’irruzione della realtà nella teologia, modella nel profondo la percezione ecclesiale della sua missione.
Il documento Sviluppo, giustizia e pace elaborato a
Medellín apre il capitolo sulla giustizia dicendo: «In tutti
[i documenti, ndr] si descrive la miseria che emargina
grandi gruppi umani. Quella miseria, come fatto collettivo, è un’ingiustizia che grida al cielo. (...) Non possiamo
ignorare il fenomeno di questa frustrazione di legittime
aspirazioni quasi universale, al quale si deve il clima di angoscia collettiva che già stiamo vivendo». L’opzione preferenziale per i poveri, maturata a Medellín, alla Conferenza di Aparecida (2007) raggiunge – addirittura
inaspettatamente – la sua più alta qualifica teologica e
viene dichiarata connessa alla cristologia: «Tutto quanto
ha a che fare con Cristo riguarda anche i poveri, e tutto
quello che è relativo ai poveri richiama Gesù Cristo» (n.
393; Regno-doc. 19,2007,628).
Le testimonianze hanno sottolineato come non sia
stata tanto la teologia ad avviare il processo iniziato a Medellín, quanto piuttosto la traduzione di Medellín nel vissuto delle comunità ecclesiali e delle scelte ecclesiali ad alimentare un rinnovato approccio teologico, dal quale è
nata anche la teologia della liberazione (insieme ad altre
teologie).
«Una teologia che sveli la “invisibilità” degli emarginati, degli esclusi, dei reietti e scopra così i nuovi volti,
tracce e corpi di molti fratelli e sorelle che chiedono giustizia a fondamento di nuove relazioni umane, sociali e politiche. Dando priorità agli “ultimi” in quanto prediletti,
come criterio ermeneutico, e come protagonisti della propria liberazione. (...) In questa teologia i poveri, i sofferenti,
gli insignificanti per la società non sono argomenti sui
quali si riflette, ma soggetti dotati della capacità di un pro-
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prio pensiero, secondo proprie categorie, miti e simboli»
(Sintesi).
Vicino a Dio... vicino ai poveri è il titolo del Messaggio
finale del congresso. È il criterio formulato da mons.
Oscar Romero («Sappiamo di stare vicini a Dio se stiamo
vicini ai poveri»). È l’invito di G. Gutiérrez, secondo il
quale la Chiesa non può accontentarsi di una riflessione
astratta, perché il rigore le viene dalla partecipazione alla
vita di comunità inserite nel mondo e che danno la vita
per i poveri. «Dio come assoluto, l’esperienza dei poveri
sofferenti come co-assoluto», dice la Sintesi parafrasando
P. Casaldáliga. La povertà, o meglio i poveri, sfidano la nostra ermeneutica della fede: come parlare di Dio al povero? «Quale linguaggio è necessario verso coloro che non
sono considerati esseri umani, persone, perché sappiano
di essere figli di Dio? ... Di quale Dio stiamo parlando
loro? ... Queste domande superano la nostra capacità di
risposta, ma non possiamo evitarle» (Gutiérrez).
La teologia articolata da una Chiesa dei poveri muove
dal principio che Dio e il povero sono, per la scelta di Cristo, insperabilmente uniti: l’uno rimanda all’altro, l’uno
«rivela» l’altro. Nel povero si fa visibile e destinatario
della nostra azione colui che sta nella storia come l’Invisibile. E l’Invisibile Dio sollecita la nostra azione nella storia perché i tanti dimenticati e invisibili della storia vengano riconosciuti.
La secolarizzazione ha estromesso Dio, lo ha reso insignificante per la nostra storia. La globalizzazione ha
estromesso il povero e lo ha reso insignificante per una storia pilotata dai potenti. Per questo ci parlano l’uno dell’altro. La Chiesa è chiamata a promuovere questo riconoscimento reciproco, perché entrambi siano riconosciuti
e si ridiano mutualmente significato.
L. Boff ha piegato il titolo che gli era stato assegnato,
per proporre la riflessione che da alcuni anni sta occupando per intero la sua opera di teologo. Ha classificato
anche la nostra «madre Terra» fra i poveri che meritano
la nostra attenzione preferenziale. Essa ci parla di Dio perché come lui ci dà la vita e subisce la nostra ingratitudine,
anzi il nostro sfruttamento violento. Quando si minaccia
la vita del povero, si minaccia l’intera umanità; così è per
la Pacha-Mama (la Terra). Dobbiamo essere consapevoli
che la violenza si ritorcerà contro chi la esercita: la Terra
può fare a meno di noi, ma noi non possiamo fare a
meno della Terra.
Recezione conf lit tuale:
i mar tiri
«Cosa è successo, Maria Pilar, cosa è successo col tuo Julián? ... Di cosa lo accusano il tuo Julián, forse di preoccuparsi degli altri? ... Non ha mai impugnato altro che la sua
bontà, il tuo Julián, Maria Pilar. ... Ci sono uomini giusti che
ti aiuteranno, vedrai, Maria Pilar. Ci sono uomini giusti
vero?». Il canto struggente nella voce matura e quasi rotta
di Teresa Parodi ha aperto, come un inno, la liturgia quotidiana mattutina del mercoledì. «Vi invitiamo a onorare
la memoria di tutti e tutte coloro che, prima e dopo questi
cinquant’anni di vita postconciliare, han dato la vita perché avevano capito che le gioie e speranze sono saldate a
dolori e angosce». E la preghiera proseguiva come una li-
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tania, recitando per diapositive successive i loro nomi; memoria di coloro che, in memoria del Cristo fattosi dono di
vita, hanno fatto dono della loro vita. La «preghiera» di
mons. Romero, che apriva la celebrazione eucaristica pronunciando i nomi di coloro che erano stati uccisi.
La storia che l’annuncio del Vangelo ha intessuto con
la terra latinoamericana è passione, nei suoi due significati: sentimento intenso e crocifissione; è storia di liberazione e di oppressione. Lo scontro inevitabile, il martirio.
Accingendoci a parlare della vita del popolo e della Chiesa
negli ultimi cinquant’anni – diceva V. Codina – «dobbiamo toglierci i sandali: siamo su un terreno sacro», per
il sangue di tanti martiri che lo hanno bagnato. «La
Chiesa dei poveri è una Chiesa perseguitata», diceva
mons. Romero; «una Chiesa crocifissa», ha aggiunto J. Sobrino. Il martirio non ha segnato qui eroi solitari, ma comunità e popoli.
«Sarebbe triste se in una patria dove si sta assassinando
con tanto orrore non si contassero tra le vittime anche i
sacerdoti» (Romero). La Chiesa dei poveri (fatta di poveri,
a servizio dei poveri) ne vive il medesimo destino. Religiosi
e religiose, sacerdoti, vescovi hanno incarnato numerosi
questa solidarietà. «In Salvador sono state infrante non le
regole del bene, ma quelle del male. Le regole del male dicono che non si uccide un prete» (Sobrino). Superati i regimi dittatoriali, oggi la «persecuzione» presenta altre
modalità, meno cruente forse, ma non meno oppressive.
«Veneriamo i nostri martiri, sono meta dei nostri pellegrinaggi, però non aspiriamo al martirio, che sarebbe
desiderare l’esistenza di assassini; tuttavia, spronati dai
martiri, accettiamo il prezzo della profezia del regno di
Dio e della sua giustizia» (Sintesi).
Segni dei tempi
Tra le suggestioni conciliari di maggior successo, l’invito
a riconoscere e discernere i segni dei tempi ha incontrato
particolare accoglienza nella Chiesa latinoamericana, attraversata in anticipo da fremiti di futuro che i rigidi schemi
ecclesiali e teologici degli anni Cinquanta non riuscivano
a interpretare. La teologia della liberazione, l’impianto
pastorale delle comunità ecclesiali di base, l’opzione preferenziale per i poveri nella progettualità dell’episcopato
continentale hanno dato modo di comprendere e incanalare quegli aneliti. Il libro dell’Esodo ha offerto un paradigma biblico per capire la propria storia e riconoscerla
come storia di salvezza, partecipata da Dio stesso.
«I tempi sono cambiati. Questo ci ha condotti a riflettere e mettere in dialogo la nostra teologia latinoamericana
con realtà e intuizioni non presenti alla riflessione del Vaticano II, e nemmeno agli albori della teologia della liberazione. Per noi sono nuovi appelli che vengono dai migranti, dalle donne, dagli indigeni e dagli afroamericani,
dalle nuove generazioni e da tutti i nuovi volti dell’esclusione che stanno emergendo dall’invisibilità. (...) Abbiamo
riaffermato la nostra convinzione che il cammino intrapreso a Medellín sia da seguire come cammino nostro di
questi tempi. Abbiamo tuttavia preso coscienza delle esigenze di un nuovo contesto culturale, sociale, politico, economico, ecologico, religioso ed ecclesiale, oggi globalizzato,
saccheggiato ed escludente. (...) Consapevoli che la “Chiesa
deve scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del
Vangelo” (Gaudium et spes, n. 4), abbiamo voluto passare
ai tempi dei segni e dar vita a un processo di maturazione
comune che articoli il nostro pensare, sentire e agire» (Messaggio finale).
Nel mondo globalizzato, dove perfino quelli di un continente sono confini stretti, emergono questioni nuove che
chiedono di essere interpretate alla luce del Vangelo, per ricavarne la missione della Chiesa: biotecnologia, sfruttamento massiccio delle risorse ambientali, finanziarizzazione dell’economia, pervasività dei media, diritti soggettivi,
identità di genere... La stessa teologia della liberazione
sente il proprio fiato corto dinanzi a queste sfide.
G. Gutiérrez ritiene siano tempi meglio interpretati
dall’esperienza dell’esilio: la condizione permanente di
estraneità al mondo, la necessità di convivere con la diversità, la pluralità delle culture, la vocazione a vivere la Parola senza il sostegno della terra-nazione, del tempio, della
legge civile. E in questa condizione di esiliati operare la giustizia nella miseri-cordia: il cuore presso il povero. E Dio a
vivere con noi, in questo mondo, la condizione di esiliato.
Davanti ai segni dei tempi nuovi, che riflettono una
nuova presenza dello Spirito, V. Codina prospetta una
nuova pneumatologia latinoamericana: «Dal basso ci può
aiutare a comprendere che la ricezione creativa del Vaticano II è un tema pneumatologico. La consuetudine dei
pastori a Medellín ad ascoltare il grido dei poveri, la nascita delle comunità ecclesiali di base, la vita religiosa in
mezzo ai poveri, l’esperienza spirituale del Signore nel
volto dei poveri a fondamento della teologia della liberazione non sono proposte ideologiche, sono doni e frutti
dello Spirito, che superano ogni calcolo logico e sconcertano quanti guardano da lontano e dall’alto, poiché lo Spirito è sempre sorprendente e nuovo, non sappiamo da
dove viene né dove va».
Il congresso ha messo in evidenza la fase di stanca del
rinnovamento conciliare. C’è un problema di «personale»:
la ricerca teologica fa ancora affidamento sui grandi nomi
che stanno lasciando il testimone, ma non è ancora emerso
a chi. Sul versante ecclesiale, per contro, le nomine episcopali mostrano di voler chiudere la fase creativa e riassicurare l’omologazione ai disegni di Roma. Quale futuro per
quale Chiesa? Saranno rivelatrici le scelte in ordine ai ministeri (ordinati e non) e ai nuovi movimenti come gli
Araldi del vangelo. Non sono orientamenti pastorali intrinsecamente alternativi, ma la preferenza, la priorità date
all’uno o all’altro indicheranno il progetto di Chiesa che si
intende promuovere. La rapida propagazione delle sette e
delle matrici pentecostali e i già notevoli flussi di fedeli che
abbandonano le Chiese tradizionali costituiscono una sfida
di livello ormai allarmante. Si preferirà consolidare le comunità ecclesiali rinforzando la prassi ministeriale o si
adotterà la politica conquistadora dei movimenti? La prossima Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano (Panama 2013) non mancherà di rispondere. Il congresso, per parte sua, ha riaffermato la speranza che «un
altro mondo e un’altra Chiesa sono possibili».
Marcello Matté,
Francesco Strazzari
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Porto Alegre, a colloquio
con i protagonisti
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Roma-Brasile,
domani
A
bbiamo incontrato, in momenti successivi, alcuni protagonisti della vita ecclesiale e della ricerca teologica in America
Latina (cf. riquadro qui sotto). Riportiamo intorno allo stesso tavolo di discussione, nello stile di un forum, le risposte
date alle nostre domande.
– La teologia della liberazione si pensava sfinita. In
questo congresso se ne parla come di una corrente vitale.
SUSIN: «Direi che adesso è più matura. Siamo capaci
di articolare la teologia con maggiore profondità, perché
disponiamo di categorie più complesse. Da quando ha
accolto visioni diverse, come la femminista, o l’ecologia,
si è arricchita. Ora sembra meno aggressiva. È sempre
militante, ma è più realistica».
VALENTINI: «Lasciando da parte ogni atteggiamento
polemico, vogliamo una teologia che aiuti a comprendere i
meccanismi di dominio nascosti nella realtà, familiare e sociale. Una riflessione che aiuti a dare ragioni alla nostra
azione pastorale. C’è meno polemica, ma continuiamo a
cercare nella pratica quello che per l’esperienza della Chiesa
in America Latina è molto importante: assumere le cause
del popolo, restare aperti, interessati, sensibilizzare i laici alla
questione dei diritti umani nella diocesi... Evitiamo le facciate con la scritta “Qui si fa teologia della liberazione”».
IRARRAZAVAL: «La cosa principale credo sia ascoltare:
il grido della terra e quello del povero. E ascoltando questo grido, ascoltare il Dio della vita che ci parla attraverso
queste mediazioni. In America Latina c’è grande passione per la parola di Dio che, come si è detto in questo
congresso, è una parola “infangata”, incarnata nel cammino di questo popolo».
Una Chiesa tut ta ministeriale
– Il Concilio, la teologia della liberazione: quali effetti
si vedono nella vita delle comunità cristiane?
VALENTINI: «Tutta la Chiesa ha bisogno della teologia. Dice qual è il cammino da seguire, aiuta a capire la
realtà, offre ragioni alla propria azione pastorale. Nella
vita concreta delle nostre diocesi e parrocchie, ciò si traduce nell’importanza della formazione. È mia convinzione che la formazione debba avvenire in un contesto
comunitario. Nella nostra scuola diocesana per animatori di comunità, possiamo sperare qualche effetto se lo
studente fa nella scuola un’esperienza comunitaria. Nella
nostra scuola i partecipanti trascorrono dieci fine settimana residenziali nell’arco di due anni e mezzo. Proponiamo cinque tappe: Bibbia, Chiesa, liturgia, sacramenti,
azione pastorale. Ogni tappa prevede una convivenza di
tre giorni nella scuola, durante la quale gli studenti si
fanno carico del disbrigo delle faccende e degli altri
aspetti concreti del vivere insieme. Le domande di fondo
sono: quale teologia? per quale Chiesa? A 50 anni dal
Concilio, perseguiamo l’ideale di Giovanni XXIII: una
Chiesa paziente, benigna, piena di misericordia e bontà
verso tutti, anche verso coloro che si sono allontanati da
lei. Una Chiesa samaritana, accogliente, aperta, partecipativa, che preferisce la misericordia alla severità.
Cerchiamo una Chiesa tutta ministeriale. Nella mia
diocesi abbiamo fatto un lungo lavoro di riflessione sui
ministeri, sul fondamento del ministero, perché il servizio è una dimensione essenziale del Vangelo. Una Chiesa
che fa affidamento sui ministri, non solo quelli istituiti.
Per piccola che sia, una comunità da noi ha almeno tre
ministri istituiti, e di questi uno è donna. Troviamo difficoltà quando si propone di ordinare diaconi, perché le
donne si sentono escluse in partenza. Per questo nella mia
diocesi non ci sono diaconi permanenti. Nel nostro cammino, tutti si devono sentire chiamati a partecipare, uomini e donne; il ministero non deve essere occasione di
discriminazione. La Chiesa non ha bisogno di fare miracoli, di avere ministri eccezionali. Roma pagherà caro
non permettere che le comunità mature di America Latina, Africa o altre zone possano rispondere alla necessità
più impellente: garantire i ministeri nelle comunità. Al
momento siamo impediti di farlo. Ma quale Chiesa vogliamo? Questa resta la domanda».
Voci dall’America Latina
A
genor BRIGHENTI, presbitero, è professore di Teologia sistematica all’Istituto teologico di Santa Catarina e presidente dell’Istituto nazionale di pastorale della Conferenza
nazionale dei vescovi del Brasile.
Victor CODINA, gesuita, è stato docente all’Università cattolica boliviana.
Manoel GODOY, paolino, è professore di Teologia pastorale
ed ecclesiologia, direttore dell’Istituto San Tommaso d’Aquino
(Belo Horizonte, Brasile) e docente all’Istituto di teologia pastorale (ITEPAL) del CELAM (Bogotà, Colombia).
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Diego IRARRAZAVAL, presbitero, è docente presso l’Università cattolica Silva Henriquez di Santiago (Cile), vicepresidente e membro
del Comitato internazionale di direzione della rivista Concilium.
Luis Carlos SUSIN, cappuccino, è docente di Teologia sistematica alla Pontificia università cattolica del Rio Grande do Sul
(Brasile) e membro del Comitato internazionale di direzione della
rivista Concilium.
Luiz Demétrio VALENTINI, vescovo di Jales (Brasile) dal 1982, ha
pubblicato nel 2011 in Brasile il volume Rivisitare il concilio Vaticano II.
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BRIGHENTI: «In Brasile abbiamo vescovi giovani,
coinvolti.... Alcuni loro interventi ci hanno ultimamente
sorpreso. Qui al Congresso c’è il vescovo Edson Damian,
che lavora in Amazzonia; c’è Esmeraldo Barreto, vescovo
a Porto Velho... In una Chiesa grande come la nostra abbiamo bisogno di un episcopato con questa prospettiva
per continuare il rinnovamento del Vaticano II. È un processo che in gran parte non dipende dai vescovi, ma un
vescovo lo può condizionare. Noi contiamo molto sulle
comunità di base, sul lavoro in ambito popolare. Abbiamo bisogno di una Chiesa più semplice, in fondo, non
più grande. Quelle minoranze “abramitiche” delle quali
parlava dom Hélder Câmara. Non è la quantità che fa
grandi cose, ma è la qualità dei testimoni di santità che
possono essere i precursori di trasformazioni e cambiamenti profondi e durevoli».
– A 50 anni dal Concilio e dopo 40 anni di teologia
della liberazione, quali sono le nuove sfide e come si sta rispondendo in America Latina?
IRARRAZAVAL: «Si stanno rivedendo questioni fondamentali. Per esempio, nelle teologie latinoamericane (al
plurale!) stiamo cercando come rispondere alle sfide della
crisi di civiltà, non così evidenti nei decenni passati. La
sfida fondamentale della povertà assume connotati diversi. S’impone con molta forza, almeno in alcuni settori,
la prospettiva del genere. Ciò significa un cambiamento
molto profondo. Si sta dedicando anche molta attenzione
alla nostra condizione di creature nell’opera divina. È
sorta prepotente una prospettiva eco-teologica, che andrà
crescendo negli anni a venire».
BRIGHENTI: «Le sfide maggiori si possono riassumere
in tre gruppi. Un primo gruppo si raccoglie intorno all’emergere di una nuova razionalità. La razionalità moderna è valida, ma è corta, perché in gran parte
prigioniera della ragione tecnico-strumentale. Una nuova
razionalità deve saper interpretare le ragioni del cuore,
saper leggere l’esperienza e dotarsi di comunicativa. Questo spinge a modelli nuovi il discorso teologico: più narrativo, più esperienziale, più sapienziale.
Un secondo gruppo di sfide converge attorno al cosiddetto mondo dei significati. La povertà è realtà più
complessa. Il povero di oggi non è semplicemente deprivato economicamente. La componente economica resta,
ma ci sono altri tipi di impoveriti, di invisibili, di insignificanti nella società di oggi. Il genere, i giovani, i bambini, l’etnia sono realtà problematiche cui la teologia deve
dare risposte.
Un terzo gruppo è riferito al pluralismo. Si parla non
più di cultura, ma di culture, e dunque non possiamo più
parlare di teologia, ma di teologie, ognuna rapportata al
suo contesto. Se i contesti sono differenti, anche le teologie sono differenti. Nel mondo di oggi è sempre più evidente il pluralismo delle religioni, sia quelle storiche – le
grandi religioni – sia le religioni indigene dell’America
Latina. Molte popolazioni dell’America Latina hanno
conservato una loro cultura e una loro religione. Il cristianesimo deve cercare nella religione dell’altro tutto ciò
che è compatibile con il Vangelo, rispettarlo e accoglierlo».
IRARRAZAVAL: «È importante leggere la realtà con at-
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tenzione alla tecnoscienza. La civiltà digitale, con tutte le
problematiche connesse, coinvolge molta gente, non solo
le generazioni nuove. C’è un settore significativo della popolazione giovane che sta dedicando attenzione alla fisica quantistica, per dirne una, altri ai metodi e alle
tecniche della comunicazione sociale. Questo sta influenzando il modo di rapportarsi con la rivelazione divina: come coglierla in una società marcata dall’informazione, dalla comunicazione, dall’interazione virtuale».
Le nuove generazioni
– Le nuove generazioni sono pronte a raccogliere il testimone?
IRARRAZAVAL: «Nelle nuove generazioni si sta risvegliando l’identità collettiva, dalla quale fiorisce una nuova
riflessione. Per esempio, nel caso degli afro-latinoamericani, l’identità di popolo marca il modo d’intendere
l’insieme del messaggio biblico e della rivelazione cristiana. L’identità della donna, l’evoluzione della sua presenza nella società, il modo in cui organizza la sua lotta
per la vita stanno segnando il pensiero teologico di molte
donne.
Le giovani generazioni sono dotate di ricchezza e
creatività; non si limitano a ripetere quello che si diceva
20 o 30 anni fa e stanno proponendo riflessioni ricchissime su vari argomenti. Ma hanno scarse possibilità di
diffondere la propria produzione, perché il mercato, al
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dell’educazione
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na novena che assume la
prospettiva di coloro che
hanno speso la propria vita
nell’ottica dell’evangelizzazione:
per accogliere Dio nella storia
con l’impegno di prendersi cura
di chi oggi è bimbo, adolescente,
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tudio del mese
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momento fermo, privilegia solo poche opere e sicure; non
rischia la novità. Per questo alcuni dicono: “Ci sono solo
vecchi tra i teologi della liberazione”».
CODINA: «Io penso che i giovani seguiranno il percorso tracciato, certo con alcune differenze; una più forte
attenzione alla prospettiva degli indigeni e delle donne,
ad esempio. I giovani sono un altro mondo. Dovranno
trovare la loro risposta alle inquietudini di questi tempi.
Credo che, in questo momento, le persone più attive
siano le donne. Anche gli indigeni sono una componente
molto vivace».
SUSIN: «Tra i giovani c’è anche un movimento di ritorno a posizioni conservatrici. Un fenomeno curioso dal
punto di vista sociologico, perché dai giovani ci si potrebbe aspettare una maggiore libertà. Subito dopo il
Concilio, noi tenevamo una distanza critica nei confronti
dell’autorità. Molti giovani sembrano affascinati dall’autorità. Preferiscono la sicurezza dell’autorità al rischio dei
poveri. Questo è forse il riflesso di un mondo più insicuro,
dove manca fiducia nella possibilità di agire con libertà.
Per questo è bello vedere qui molti giovani e molti studenti di teologia. Va anche tenuto conto che le persone
più libere hanno meno apparenza; i gruppi conservatori
sono più efficienti, sanno servirsi della tecnologia, lavorano molto su Internet, sono abili con i mass media, dispongono di reti di comunicazione, anche televisiva».
GODOY: «Si parla di “archaic fashion”, la capacità di
combinare l’antico con una nuova estetica. In quanto giovani amano la tecnologia e la nuova estetica, il contenuto
però è arcaico e conferisce per questo maggiore sicurezza.
In morale, l’“archaic fashion” si manifesta come osservanza di facciata che legittima una pratica molto liberale».
Continuare la ricerca
– Qual è il valore di questo congresso? E perché tanti timori della vigilia?
CODINA: «È la ripresa della prospettiva della teologia
latinoamericana, dopo anni che, per circostanze diverse,
era stata lasciata piuttosto in disparte. Quasi tutti i protagonisti della teologia della liberazione sono presenti.
Molto interessante è la presenza numerosa di vescovi. Si
sente una richiesta molto profonda di spiritualità (Sobrino, Boff, Gutiérrez...), che risponda alle sfide del
tempo, come parlare di Dio al povero, perché il povero
non soffra».
BRIGHENTI: «Esistono posizioni ecclesiali, reazioni e
tendenze diverse all’interno dell’episcopato. Ci sono molti
vescovi santi e profeti, capaci di voce critica. Anche in
questo congresso c’è un buon numero di vescovi. Ma la
gente pensa che nella Chiesa istituzionale prevalga la cautela, a volte la censura nei confronti di certe realtà critiche. Noi ci ispiriamo molto ai nostri vescovi, che hanno
rischiato, hanno rinunciato alla carriera, hanno assunto la
causa dei più piccoli e con grande spirito di santità e onestà non hanno esitato a prendere posizione, dire una parola, rivendicare diritti. Speriamo che la Chiesa possa
sempre contare su figure simili».
SUSIN: «Quando studiavo a Roma e si parlava della
teologia della liberazione, alcuni dicevano che questa im-
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postazione fosse accettabile come proposta pastorale, ma
non come teologia, perché per loro nelle categorie della
teologia non entra la lettura teologica della realtà. Tra i
motivi alla radice del timore di Roma c’è un difetto di conoscenza, una resistenza a conoscere la realtà da vicino.
Inoltre, è piuttosto normale che ci sia timore nei confronti
di un movimento o di un pensiero che propone una trasformazione. La parola stessa “liberazione” suona piuttosto dissacrante. E questo spaventa».
GODOY: «Il metodo induttivo marca la teologia della
liberazione. A Santo Domingo, la curia romana si preoccupò di cambiare il metodo, partendo dai principi e non
dalla realtà. Perché quando si parte dalla realtà i problemi
sono maggiori».
VALENTINI: «In questo congresso c’è stato un clima
di riflessione aperta. Ma ci sono timori pregiudiziali.
Roma, ad esempio, ha paura che le comunità ecclesiali
di base non vogliano il prete. Ma come? La festa più
grande è quando arriva il sacerdote! Durante la mia
prima visita ad limina nel 1985, la grande accusa di uno
dei dicasteri era: “la gente, nelle comunità ecclesiali di
base, vuole fare a meno del sacerdote”. Ma chi l’ha detto?
Se non c’è il sacerdote, la gente sa pregare insieme e
sanno farlo bene. Se viene il sacerdote, che festa! Mi sembra che Roma sia preoccupata non solo per la teologia
della liberazione, ma per qualsiasi teologia che non sia
europea. Si ha timore di una Chiesa autonoma e, in questo, di una teologia autonoma».
CODINA: «In questo congresso c’è uno spirito molto
ecclesiale, un desiderio che il Vaticano II prosegua il
suo cammino nel solco di Medellín. Niente dei fantasmi antiromani tanto temuti. Credo che sulla teologia
della liberazione corrano idee totalmente false, come se
i suoi maestri fossero un gruppo di ribelli. È gente che
lavora, evidentemente sviluppando un proprio senso
critico; però sono assolutamente fedeli al Vangelo e alla
Chiesa».
BRIGHENTI: «La dialettica fra magistero e teologia
negli ultimi tempi si è intensificata e questo è preoccupante, perché la teologia potrebbe sentirsi orfana della
Chiesa; avere l’impressione che per fare teologia con rigore accademico e scientifico ci si debba allontanare dalle
istituzioni. Le istituzioni hanno bisogno della teologia,
l’istituzione ha bisogno della ragione teologica, lo spazio
ecclesiale ne ha bisogno. È necessario quello che diceva
Agostino: In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas. Questo conflitto fra magistero e teologi è
più doloroso in America Latina, perché i nostri teologi
più autorevoli meriterebbero un riconoscimento invece
del sospetto per aspetti che sono parte della ricerca teologica».
SUSIN: «Possiamo aspettarci una grande crisi. E solo
una grande crisi potrà aprire una nuova discussione. Non
so se si possa definire una “speranza”, ma avviamoci fiduciosi verso questa grande crisi, dalla quale potrà nascere una Chiesa più vera».
a cura di
Marcello Matté,
Francesco Strazzari
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CINEMA
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S u l d o l o re e s u l l ’a m o re
E L E T T E R AT U R A
s
e il male ha principio
C’
è una scena di un bellissimo racconto lungo di
Calvino, La giornata di
uno scrutatore, che sembra essere – per antitesi
profonda – all’origine del racconto con
cui Mariapia Veladiano ci offre una
perfetta (cioè completa) parabola intorno all’amore.1
Lo scrutatore di Calvino, uomo di
fede marxista, si trova a dover trascorrere il periodo elettorale in un seggio
montato all’interno dell’ospedale del
Cottolengo, e qui, in un luogo dove il
male s’incarna nel corpo, la sua dottrina ortodossa sembra soccombere
sotto i colpi di un mondo dove non vigono le regole del mondo esterno.
Dentro il Cottolengo l’umano arriva a un limite oltre il quale non è più
umano. La donna senza gambe, gli uomini senza braccia, i bambini deformi
e deficienti stanno a testimoniare che
c’è un’altra possibilità di vita oltre a
quella che siamo soliti considerare normale solo perché la nostra prospettiva è
limitata a ciò che vediamo nel quotidiano. Amerigo, lo scrutatore, osserva
con attenzione un nano che cerca di
comunicare con un importante uomo
politico democristiano, e si sente, improvvisamente, nella prospettiva del
nano, poi osserva un padre che ogni
giorno nutre con pazienza il figlio
scemo: e capisce che l’umano arriva
esattamente dove arriva l’amore.
Ecco, da qui parte il discorso di Veladiano: per lei lo spazio del racconto è
circoscritto nel luogo (o nei luoghi) in
cui l’amore diventa eccesso, deve diventare eccesso e riesce così ad allargare
«Il tempo è un dio breve»,
r o m a n z o d i M a r i a p i a Ve l a d i a n o
senza tregua la giurisdizione dell’umano. Il suo racconto è permeato
con la fede, esprime un pensiero intorno alla trascendenza, ma non dimentica mai che fede e trascendenza
hanno un senso se calati dentro l’esperienza quotidiana dell’umano (che per
lei è un’esperienza che non può essere
contenuta da nessun limite, qualora si
presenti come esperienza d’amore diretto verso il mondo).
Ildegarda, moglie e madre
Ildegarda, il personaggio creato da
Veladiano, è una donna che conosce
profondamente la teologia ma che grazie alla teologia ha instaurato un rapporto con il mondo che non è riconducibile a nessun pensiero astratto. Dalla
madre ha imparato i segreti delle erbe,
ama il mondo vegetale, e nel mondo vegetale (esattamente come la mistica da
cui prende nome, Ildegarda di Bingen)
sa leggere le tracce di messaggi nascosti che percorrono la realtà e la rendono capace di ascoltare un linguaggio
dei sensi.
La storia di Ildegarda è, molto semplicemente, la storia di un matrimonio
che fallisce e di una madre che combatte per salvare il figlio dal contagio del
male. Il male è nel mondo, è intorno a
ogni creatura del mondo. Nel caso del
figlio di Ildegarda, il male trova un
varco passando attraverso la figura paterna, Pierre, che a sua volta ha assorbito il male dal corpo della propria madre.
Pierre, uomo bello, colto, affascinante, è pieno del male ricevuto da una
madre che gli ha trasmesso odio per il
mondo. Pierre non è stato educato alla
presenza del bene nel mondo, cioè all’amore. La ricca villa dove Ildegarda e
Pierre trascorrono la prima fase del loro
matrimonio è dominata dallo sguardo
della suocera: è lei che ha mozzato, con
rabbia, proprio la notte in cui ha saputo
di essere incinta del figlio, le zampe dei
mobili impero (uno sfregio contro il marito, che si chiama Leone?), è lei che ha
fatto distruggere il bosco che circondava e proteggeva la villa.
Nella figura di una mater dolorosa
che deve proteggere il figlio (non a caso
si chiama Tommaso, come l’apostolo
incredulo, ma anche come il santo domenicano) dalla presenza del male, Veladiano non può non aver pensato alla
fragile figura di Ida Ramundo che protegge il piccolo Useppe dalle bombe
della guerra e dalla devastazione della
violenza nazista. La Storia di Elsa Morante, dove scorre in non piccola parte
il pensiero di Simone Weil, è il modello
a cui guarda con attenzione Veladiano,
riproponendo la parabola complessa di
una madre che si sacrifica per il figlio.
I padri qui non ci sono, oppure sono
chiusi in un’inspiegabile assenza di
coinvolgimento come Pierre (che non è
colpevole per quello che fa, ma per
quello che non riesce a fare). E quando
spunta un padre sostitutivo, Dieter, sarà
un padre destinato ad agire «al di là» di
Ildegarda e a diventare padre-madre
per Tommaso.
Ma solo dopo che Ildegarda ha
compiuto l’atto senza svolta di donare
se stessa per la salvezza di Tommaso. E
il sacrificio ha un valore proprio perché
compiuto da chi conosce perfettamente
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il linguaggio del mondo, da chi sa
quanto conoscere passa attraverso la
cura del corpo. Non il linguaggio della
cultura (che può essere complesso ma
sterile) ma il linguaggio che parla dalle
cose e che la cultura può aiutare a decifrare.
Lo sguardo interiore
I dialoghi di Ildegarda con il direttore editoriale per cui lei lavora sono
esempi altissimi di un discorso che riguarda le figure della tradizione evangelica e biblica: Isacco, Giuditta ecc.
compaiono nei loro discorsi come presenze mitologiche che sanno dare luce
alle azioni degli uomini. E parlando con il direttore, Ildegarda rivela
l’aspetto più inquietante che giustifica la
sua scelta: «Maria ha perso un figlio
adulto e consapevole», il Cristo ha accettato il compito che lo portava alla
morte. Ma «con i bambini è un’altra
cosa»: i bambini non scelgono. In loro
il male appare con la sua faccia più terribile e insidiosa, non ha nessuna giustificazione. Come si fa a guardare dentro questo buio che sembra mettere in
crisi ogni prospettiva umana e ogni giustificazione? Il direttore difende la teologia come pensiero che esprime una distanza da Dio e quindi mette l’uomo al
riparo dal peccato d’onnipotenza che
nasce dalla presunzione di essere come
Dio. Ildegarda trova una soluzione diversa, una soluzione che va al di là di
Lutero e di san Tommaso: «Quel che il
suo amarci ha potuto fare per noi, anche noi forse lo possiamo fare». Questo
è il nodo.
Si tratta d’intraprendere ora un
nuovo destino, e Ildegarda riceve dal
suo sguardo interiore i messaggi che la
mettono in rapporto con questo destino. Sono i sogni, che costellano l’avventura di Ildegarda esattamente come
costellano l’avventura di Ida nella Storia. Ma Ida è una donna modesta,
umile; in lei solo i sensi sostituiscono la
vita intellettuale. In lei c’è una capacità
animalesca (per Morante superiore a
quella umana) di entrare in rapporto col
mondo.
Ildegarda possiede una vita intellettuale complessa, quella che la sua creatrice le ha prestato (o che ha messo alla
prova attraverso di lei). E la vita intellettuale s’incarna nell’immagine che domina con prepotenza la seconda parte
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del racconto, la grande montagna di
Croda di Luna, grazie alla quale il pensiero di Ildegarda riesce a trovare un accordo col male e a tenere il male lontano dal corpo di Tommaso.
I sogni di Ildegarda sono sempre
in rapporto con questa montagna, le
indicano la strada con cui leggere la
propria posizione nel mondo (o nel
nuovo mondo che le si apre di fronte,
un mondo che non coincide esattamente col nostro). Le visioni della
montagna indicano un cammino di
ascensione grazie al quale gettare sul
mondo uno sguardo libero da legami
malati.
Sentire il mondo,
amare tut to
Ildegarda scopre la bellezza delle
cose anche nel momento in cui accetta
lei di assorbire il male che potrebbe devastare Tommaso. Se Tommaso manifesta i segnali dell’epilessia (esattamente
come Useppe), la madre dona se stessa
a Dio in cambio della salvezza del figlio.
A Ida questo non era stato concesso. Per
la Morante non c’era possibilità di
scampo dentro la macchina infernale
della Storia.
Veladiano, invece, lascia aperto uno
spiraglio per il suo personaggio, anche
se questa apertura sbocca direttamente
sulla faccia irrazionale del pensiero. C’è
il sospetto del delirio nelle parole con
cui Ildegarda confessa a Dieter il suo sacrificio? Il cervello di Ildegarda è già minato dal male al momento dell’offerta a
Dio? E tutto questo racconto nasce
dallo sguardo di chi vede ormai in
un’«altra» realtà? Veladiano si muove su
un crinale sottilissimo, ma è questo crinale che le consente di non cadere in un
ordine prestabilito dettato da una posizione ideologica rigida.
Quando Ildegarda spiega a Dieter le
ragioni del suo darsi in cambio della salvezza di Tommaso, afferma quello che
il personaggio di Calvino (chiuso in
un rigido sistema di razionalità) non
avrebbe potuto affermare, e cioè che
non si deve aver paura di mettere a disposizione degli altri tutto l’amore di
cui si è pieni.
Quello che lei propone a Dio non è
un banale scambio, ma «qualcosa che
già c’è e va solo accolto». Non so se riesco a capire perfettamente le parole di
Ildegarda. Credo però che le si possa
leggere anche come il bisogno d’accettare la realtà nel suo essere in sé piena
di valori, senza paure o limiti: questo è
l’unico antidoto per evitare che il male
abbia principio e si diffonda.
Quando Ildegarda sogna d’addormentarsi dentro la cavità con cui culmina la grande montagna, in lei il pensiero della morte diventa capacità di
accettare un nuovo ordine delle cose.
Solo così, «sin otra luz o guìa sino la que
en el corazòn ardìa», come scrive Juan
de la Cruz («senza altra luce o guida se
non quella che nel cuore ardeva»). Il
pensiero di Ildegarda è saturo di dottrina.
Non a caso il medico che la cura, e
che compare nelle sue ultime visioni, si
chiama Angelico, e doctor Angelicus è
l’appellativo di san Tommaso d’Aquino.
Ma la dottrina resta sempre in lei capacità di sentire il mondo. «Non desiderare nulla, amare tutto»: questo è
l’approdo a cui arriva la mente di Ildegarda quando la malattia ormai l’ha
circonfusa di un male diventato conoscenza, anzi conoscenza sempre in aumento.
Oltre, sembra dire Veladiano, non si
può andare.
Marco A. Bazzocchi
1
M. VELADIANO, Il tempo è un dio breve,
Einaudi, Torino 2012, pp. 232, € 17,00.
9788806212742.
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f
erite di ogni giorno
«Amour», film di Michael Haneke
P
Jean-Louis Trintignant (nei panni di Georges)
insieme a Emmanuelle Riva (Anne) e Isabelle Huppert (la figlia Eva)
in due scene del film Amour.
alma d’oro di Cannes
2012, nelle sale italiane a
partire dalla fine di ottobre, Amour di Michael Haneke narra, con una ferocia
e una tenerezza disarmanti, del sentimento che lega Georges e Anne, due
colti e raffinati professori di musica in
pensione. Un giorno Anne è vittima di
un ictus, le cui conseguenze il film interroga nel corso di due ore di spietata
indagine.
Dal 1997, quando per la prima volta
partecipa al festival di Cannes con un
film in concorso – Funny Games, certamente la sua opera più problematica e
discussa, celebrata dieci anni dopo dallo
stesso regista con un remake americano
–, Haneke sottopone i propri spettatori
a film di non facile fruizione, duri, per
certi versi indigeribili, quanto di più distante possa esserci dalla logica consumistica dell’entertainment cinematografico tradizionale. Quello di Haneke
è un cinema votato alla messa in scena
della contraddizione umana, della crisi,
del limite, della violenza, pienamente
cosciente delle proprie «responsabilità»
nei confronti dello spettatore.1
Intervistato in una recente pubblicazione curata da un gruppo di ricerca
dell’Institute of Fundamental Theology
della Graz University (Austria), teso allo
studio del cinema di Haneke quale riflessione etica «su ciò che va male in
questa società globalizzata dei consumi
e dei media», il regista si dichiara preoccupato per quella che a lui pare una
generalizzata «guerra civile» attualmente in corso: «Credo che viviamo in
un permanente stato di guerra civile.
Con ciò non mi riferisco alla guerra di
noi ricchi contro i poveri di questo
mondo. (…) Quello a cui mi riferisco
con «guerra civile» è la guerra della disattenzione e dell’inumanità, guerra alla
quale tutti noi partecipiamo giorno
dopo giorno. Le ferite giornaliere che ci
procura questa guerra civile sono forse
le vere ragioni che stanno dietro alle
guerre cosiddette «vere». (…) Abbiamo
chiuso gli occhi di fronte agli orrori
della realtà, anzitutto per poterli sopportare. Questo occultamento è il peccato originale, in termini sia sociali, sia
individuali».2
Il cinema di Haneke si pone come
scopo principale proprio quello di fare
cosciente il pubblico dei meccanismi di
rimozione con cui ci nascondiamo la realtà. Ne consegue un cinema di forte
impatto, straordinariamente autentico e
vero.
Malat tia lunga e terribile
Anche questo suo ultimo film è
terribilmente lucido e a tratti insopportabile. Il rigore dell’indagine, la
spietatezza della struttura inquisitoria non producono, come ci si aspetterebbe, un film freddo, algido, scientifico: ci si trova piuttosto di fronte a
un’opera che non lascia scampo,
scuote, turba, scava nelle più intime
convinzioni che lo spettatore ha della
vita e della morte, le mette sotto pressione, le pone di fronte all’umanità
dei personaggi, alle vicende e alle
scelte che questi si trovano a vivere.
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Un giorno, durante la colazione,
Anne si «incanta»: Georges le parla,
ma lei non lo sente, è assente. Quando
si riprende, non ricorda nulla. È l’inizio di una lunga e terribile malattia,
che il film mostra nelle sue fasi discendenti.
Inizialmente Anne e Georges hanno la sensazione di poter gestire il problema, ancora contenuto. Ma non ci
mettono molto a prendere coscienza
delle derive cui conduce l’inesorabile
e veloce peggioramento della malattia. Un giorno in cui Georges si è assentato per assistere, non a caso, a un
funerale, Anne prova, senza riuscirci,
a togliersi la vita. È la svolta nella consapevolezza di entrambi che non c’è
gestione possibile di un male così radicale. Nelle fasi più avanzate della
malattia, quando Anne ha ormai
perso ogni controllo sul suo corpo,
dalla stanza in cui la donna giace proviene, impastato in un grido strozzato,
il termine che designa il concetto al
centro delle riflessioni di tutto il cinema di Haneke: «Male, male, male,
male, male…». Non è il dolore fisico,
non la percezione contingente della
malattia, è piuttosto la consapevolezza
di un male ontologico che affligge la
condizione umana. È il problema
della teodicea, ricondotto alle vicende
di una coppia di ottantenni nella società contemporanea.
Haneke lo affronta nella sua essenza: per questo motivo i due protagonisti appartengono a una classe sociale elevata, hanno la cultura e il
denaro per gestire tutto ciò che è
umanamente gestibile. Dalla casa
transitano inservienti e badanti, insieme agli strumenti tecnici necessari
alle cure; i due personaggi danno inoltre prova di avere una sensibilità non
comune, raffinata da una vita trascorsa in contatto con l’arte, e un’in-
tesa di coppia senz’altro figlia dell’amore che dà il titolo al film. Insomma, chi meglio di loro potrebbe
affrontare il terribile evento che gli
sta capitando? E in effetti lo spettatore
non può non rendersi presto conto
che tutto ciò che è umanamente fattibile per far fronte alla tragedia viene
fatto. Ma il problema di cui si tratta
qui sfugge alla gestione dell’uomo, anche dell’uomo meglio «attrezzato».
1
«Mi rifiuto di rendere consumabile la violenza al cinema. (…) L’unico che, a mio avviso, è
riuscito a rappresentare la violenza in maniera responsabile, è stato Pasolini in Salò o le 120 giornate
di Sodoma (1975). Lì la violenza era quello che è.
E questa violenza non si può consumare, a meno
che non si abbia qualche serio problema. Se ci si
sente responsabili per il film come opera d’arte,
questa è l’unica possibilità. Se, invece, il cinema è,
per definizione, merce, allora è giustificato qualsiasi
cinismo e tutto può essere rappresentato, tutto è legittimo e diventa solo una questione di bravura tecnica. Ma questa è una posizione con la quale non
mi voglio neanche confrontare, perché la trovo fa-
tale» (M. HANEKE, «“La negazione è l’unica forma
d’arte che si possa prendere sul serio”. Colloquio
con Michael Haneke», in A. HORWATH, G. SPAGNOLETTI (a cura di), Michael Haneke, Lindau,
Torino 1998, 59).
2
Nostra traduzione da M. HANEKE, «We
Live in a Permanent State of War», intervista a
cura di Franz Grabner, in A. ORNELLA, S.
KNAUSS (a cura di), Fascinatingly Disturbing. Interdisciplinary Perspectives on Michael Haneke’s
Cinema, Pickwick Publications, Eugene (OR)
2010, 14-15.
3
Sul tema della religiosità, Haneke si è così
espresso: «Se si affrontano certe questioni fon-
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Dalla violenza allo stupore
Ad un certo punto, quando il male
è divenuto insostenibile, dopo che
Anne gli ha fatto più volte intendere il
suo desiderio di morire, Georges trova
la forza per uccidere la moglie: lo fa
soffocandola con un cuscino, in una
scena straziante che non risparmia
allo spettatore la necessaria eppur inconcepibile violenza del gesto.
Poi, dopo aver distrutto ogni più
piccola illusione che lo spettatore poteva avere sull’amore nella malattia, il
film ha un finale colpo d’ala, tanto
commovente quanto erano terribilmente graffianti le immagini precedenti. Nell’ultima sequenza, liberando
una tensione sottesa a tutto il testo, il
film apre su una prospettiva ultraterrena.
Dopo aver soffocato la moglie, Georges la prepara per il funerale: sceglie
un vestito adatto, esce a comprare dei
fiori, riordina la stanza, poi si corica.
A un certo punto è risvegliato da alcuni rumori provenienti dalla cucina.
Lo stupore che assale Georges da questo momento fino alla fine del film ha
qualcosa di infantile, è lo stupore con
cui si entra in una dimensione nuova,
sconosciuta: fatica perfino a muoversi,
prova ad alzarsi dal letto ma deve rifare il movimento due volte prima di
riuscire a mettersi in piedi. Sul suo
volto si legge un disorientamento che
non significa difficoltà; piuttosto meraviglia di trovarsi catapultati in una
«realtà» che non si immaginava possibile. Georges raggiunge la cucina e
qui trova Anne che, con la naturalezza di sempre, sta lavando i piatti.
Anne invita il marito a mettersi le
scarpe, lei ha quasi terminato e a
breve potranno andare. Georges, sempre più stupito, obbedisce, mosso da
una forza misteriosa. Ora Anne è
pronta, si mette il soprabito e si avvia
verso l’uscita. Georges la guarda e fa
per andarle dietro. Lei si gira e gli
chiede: «Non prendi il cappotto?»,
quasi suggerendo che dove stanno andando non è poi molto diverso da
dove sono ora, servono le scarpe, il
cappotto, ecc. Lui obbedisce, nuovamente mosso da una forza misteriosa,
indossa il cappotto e attraversa, con la
moglie amata, la porta che separa
questa vita dall’altra.
Non c’è musica a commento dei titoli di coda, diversamente da come solitamente accade. Essi scorrono su uno
sfondo scuro, nel silenzio di una sala
pietrificata. Anche il pubblico evita di
commentare, diversamente da come
solitamente accade. Il mistero sulla
morte, e dunque sulla vita, squadernato al termine di due ore di lucida e
spietata indagine sulla condizione
umana, mette la sala in uno stato di
contemplazione, la cui intensità ha
qualcosa di sacro, di non violabile.3
Uscendo dal cinema, mi rendo
conto di aver assistito allo «spettacolo» (se così possiamo chiamarlo) con
un pubblico non più giovane, all’interno del quale riesco a distinguere
molte coppie di anziani, che vedo defluire verso le loro case, con i loro
commenti trattenuti, tenendosi per
mano.
Tomaso Subini
damentali, si finisce automaticamente a parlare
di questioni religiose ed esistenziali. (...) Se si affronta il tema del suicidio (...) allora automaticamente si finisce per pensare a questioni etico-religiose. (...) “Trascendenza” è un termine dal
significato ampio. Nel momento in cui un semplice contadino inizia a decorare la sua casa, egli
sta facendo qualcosa che va oltre una mera utilità. Egli sente dentro di sé il desiderio di qualcosa
di più che non semplicemente alzarsi, andare a
lavorare e tornare a letto – ciò si può estendere
a tutti i livelli dell’attività intellettuale. (...) Anche
la religione è un prodotto culturale» (HANEKE,
«We Live in a Permanent State of War», 30-31).
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Il grigio e il tiepido
Primo Levi e Dostoevskij
L’
espressione «zona grigia» è diventata, grazie alla penetrante onestà intellettuale di Primo Levi, una categoria morale. In questo caso, più delle parole
evangeliche che invitano a non giudicare per non essere giudicati (Mt 7,1) o di quelle secondo cui solo chi è senza
peccato può scagliare per primo la pietra (Gv 8, 1-11), va richiamato l’ammonimento rabbinico stando al quale bisogna
essere cauti nel giudizio (Pirqè Avot 1, 1). Pensare di poter formulare giudizi solo in base al bianco o al nero significa ignorare la complessità tipica tanto delle situazioni collettive
quanto dell’animo umano. Il grigio, lungi dall’essere un colore uniforme, è un variegato insieme di sfumature che vieta
brutali dicotomie.
Un giudizio color grigio
Compiere tagli netti mettendo i buoni da una parte e i
cattivi da quell’altra è tipico di uno spirito giovanile che non
ha ancora compreso che il foglio della vita ha più piegature
(proprio questo è l’etimo della parola «complesso»). Levi, per
indicare la tendenza, anzi il bisogno di dividere i buoni dai
cattivi, avanza un paragone: l’operazione equivarrebbe a «ripetere il gesto di Cristo nel Giudizio universale: qui i giusti,
là i reprobi».1 La divisione tra pecore e capre è prerogativa
del sommo giudice (cf. Mt 25,31-33). Anche quando, a partire dal XIII secolo, nella visione cristiana dell’aldilà venne
introdotta la «zona grigia» del purgatorio,2 essa restò connotata dal suo essere condizione destinata a finire l’ultimo
giorno. L’accesso all’eterno non conosce dimensioni intermedie. Tuttavia proprio la collocazione metastorica di quel
giudizio attesta, per contrasto, che l’esercizio del giudicare,
posto nell’ambito della condizione umana, non è in grado di
stabilire nulla di definitivo.
Il laico Levi non pensa però all’aspetto trascendente del
Giudizio universale; a rendere palese che il suo orientamento
è un altro è l’uso del verbo «ripetere». Quel che non è ancora avvenuto non è riproponibile. Se così si potesse dire, per
Primo Levi gli affreschi michelangioleschi della parete della
Sistina rappresentano l’unico Giudizio universale davvero
pensabile. Va però ribadito che la loro grandiosità artistica
indica quanto, sul piano etico, non dobbiamo fare.
Il grigio è una realtà intermedia; non è colore primario,
è frutto di una mescolanza. Lo stesso vale per il tiepido. Lo si
può definire come ciò che non è né caldo, né freddo; oppure,
al contrario, può essere presentato come quanto è sia caldo,
sia freddo. È un po’ come il bicchiere: per alcuni è mezzo
pieno, per altri mezzo vuoto. Tuttavia, a differenza di quest’ultimo caso in cui si sottolinea l’aspetto mancante, il tepore,
non di rado, è collegato, sia nell’esperienza concreta sia nell’uso metaforico, a una valenza positiva. Esistono, peraltro,
usi di segno contrario; per esempio, espressioni del tipo «ti
vedo tiepido» connotano da parte dell’interlocutore una reazione ben diversa da quella auspicata. Ancor più drasticamente la tiepidezza può circoscrivere l’esistenza degli ignavi
che vivono «sanza infamia e sanza lodo».
Nell’Apocalisse, il libro in genere più legato all’idea del
Giudizio, l’immagine del «tiepido» è connotata in maniera
fortemente negativa. Essa, in luogo di rappresentare l’ambito
ricco di oscillazioni e in parte di scusanti proprio della «zona
grigia», addita quanto è da respingere nel modo più assoluto.
Per comprenderne il perché vi sono molte strade, una di queste è di rivolgersi a una grande opera letteraria.
Nella psiche moderna
Dostoevskij termina il suo romanzo I demoni con un’appendice incentrata sul colloquio tra Stravoghin e il vescovo
Tychon. Al centro dell’incontro si colloca l’angosciosa lettura
dei foglietti in cui il protagonista narra di aver messo in atto,
ad arte, una situazione che portò al suicidio una ragazzina
undicenne. Stravoghin fu l’unica persona che vide i preparativi e intuì cosa stesse per avvenire. Poteva fermare il gesto
estremo, ma attese e contò il tempo finché tutto fosse compiuto. Anni dopo scrisse la storia su dei fogli a stampa tirati
in 300 copie che era in procinto di divulgare e mandare ai
giornali. In effetti la fece leggere solo a Tychon e, alla fine, la
divulgazione non avvenne mai. All’insegna dell’illusoria, perversa, dinamica secondo la quale chiodo scaccia chiodo sarà
piuttosto aperta la porta a un altro delitto.
La chiave ermeneutica del colloquio è data da una citazione dell’Apocalisse. Si tratta di un passo tratto dall’ultima
delle sette lettere rivolte ad altrettante comunità dell’Asia:
«All’angelo della Chiesa che è a Laodicea scrivi: “Così parla
l’Amen. Il testimone degno di fede e veritiero, il Principio
della creazione di Dio. Conosco le tue opere: tu non sei né
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freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei
tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti
dalla mia bocca. Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non
ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo...» (Ap 3, 14-17).
Per il sentire ottocentesco, che rovesciò il senso classico
della aurea mediocritas in grigia mediocrità, non vi fu nulla
di più facile che far propria la superiorità del freddo sul tiepido. In qualunque direzione sia rivolto, un forte sentire è
sempre meglio di un’insensibilità piatta e pavida. Non a caso
subito prima Tychon aveva affermato che l’ateo è più prossimo alla fede dell’indifferente.
L’ineguagliata capacità di penetrazione psicologica di
Dostoevskij si muove però a ben altre profondità rispetto a
queste prime osservazioni e lo fa rivelando, nel contempo,
una straordinaria capacità di comprensione del brano biblico. Il cuore dell’appendice a I Demoni, testo che non può
essere riassunto senza immiserirlo, sta nel fugace dischiudersi e nel repentino serrarsi della porta del pentimento. Si
è di fronte a una possibilità sfumata. Stravoghin cita un proverbio ebraico stando al quale «la sozzura che viene da te
stesso non puzza». In realtà, il perno su cui gira la questione
non è questo; non ci si limita al semplice non accorgersi di
quanto si è compiuto e neppure all’atto di fingere ai propri
stessi occhi.
Il discrimine sta nel non saper trarre le giuste conseguenze dall’essersi accorti di quanto si è effettivamente compiuto. Da qui nasce una paralisi che inizia dal morboso
compiacimento di sciorinare in pubblico le proprie meschinità, presente nella decisione di Stravoghin di far tirare 300
copie a stampa (dinamica oggi trionfante in non pochi talk
show), e perviene alla vergogna di ammettere a sé stessi di
essersi pentiti delle proprie azioni. Ci si vergogna, dunque,
non già delle propria malvagità, bensì del barlume di pentimento che era lì lì per lampeggiare. La tiepidezza sta nel
fatto di aver avvertito il caldo della contrizione e di averlo
poi annegato nel freddo di un’apparente imperturbabilità.
Lo spiraglio che si era dischiuso viene così di nuovo sprangato.
Dostoevskij, scavando nella psiche moderna, complica
e tormenta quanto in nuce c’era già nell’Apocalisse. La
Chiesa di Laodicea è tiepida non perché incapace di grandi
beni o di grandi mali, ma perché non regge alla sfida di
guardare a se stessa e aprire gli occhi sulla propria reale situazione: «Poiché dici: Sono ricco e mi sono arricchito e
non manco di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo». Si è di fronte a una condizione estendibile ad altre Chiese e ad altri tempi. Non vi
è tentazione maggiore di fingersi ricchi quando non lo si è;
in questi casi la rovina è davvero dietro l’angolo.
Il collirio dell’Apocalisse
L’Apocalisse invita a comprare del collirio al fine di accorgersi di essere nudi (Ap 3,18). L’Amen sembra quindi
voler dire: almeno foste come gli antichi progenitori i cui
occhi si aprirono dopo il peccato cosicché si accorsero subito di essere nudi (Gen 3,7). Da quello sguardo potrebbe
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nascere un processo in grado sfociare nell’essere rivestiti di
vesti bianche (Ap 3,18), particolare che si sarebbe tentati
di presentare come una specie di riproposizione salvifica
delle tuniche di pelle con le quali il Signore Dio rivestì il
primo uomo e la prima donna (Gen 3,21). Perché tutto ciò
avvenga occorre però essere disposti a pagare il prezzo connesso a un autentico pentimento. Se si cela ai propri occhi
quanto si è commesso o se lo si espone in pubblico in modo
tale da mascherarlo a sé stessi resta precluso ogni pentimento. Il vicolo in cui ci si inoltra condurrà, quindi, senza
scampo a un baratro. Analogo esito rovinoso è ipotizzabile
allorché si affoga l’embrionale consapevolezza delle proprie colpe nei gorghi di un compiacimento narcisistico o di
una vergogna che scambia per debolezza l’ammissione di
aver sbagliato. Il collirio è davvero la più necessaria tra tutte
le medicine.
Piero Stefani
1
P. LEVI, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 1986, 25.
In proposito rimane classica l’opera di J. LE GOFF, La nascita del purgatorio, Einaudi, Torino 1982 e successive ristampe.
2
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Editoriale Dehoniano.
Chiuso in tipografia il 30.11.2012.
Il n. 19 è stato spedito il 19.11.2012;
il n. 18 il 31.10.2012.
In copertina:
Immagine tratta dal volume
A. Cosmelli, G. Light, Brooklyn Buzz,
Damiani, Bologna 2012.
L’editore è a disposizione degli aventi diritto che non è stato possibile
contattare, nonché per eventuali e involontarie inesattezze e/o omissioni nella citazione delle fonti iconografiche riprodotte nella rivista.
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«Benedicimi»
La benedizione come liturgia quotidiana
del cristiano comune
“
IO NON
MI VERGOGNO
DEL VANGELO
“
U
n morente vede
un mendicante, lo
benedice e vuole
esserne benedetto. Un prete chiede la
benedizione all’infermiera che l’assiste. Una brasiliana trovandosi a un
colloquio drammatico con il vescovo
gli chiede di benedirla e gli dà la sua
benedizione. Un anziano amico che
veniva dalla Germania, in occasione
dell’ultima venuta mi disse: «Porta al
papa la mia benedizione». Vado a
fare visita a un collega morente e ai
saluti gli dico: «Dammi la tua benedizione» e gli do la mia.
Sono del parere che vada rimessa
in onore la «benedizione» come liturgia quotidiana del cristiano comune: non solo quella dei genitori ai
figli, già frequente e oggi rara, ma
ogni benedizione da persona a persona, nella coppia e in ogni relazione,
compresi i figli che benedicono i genitori o il cristiano comune che benedice un consacrato. Comprese le
relazioni della blogosfera.
BENEDIRE CIOÈ INVOCARE
IL SIGNORE SU QUALCUNO
Questa convinzione mi è cresciuta
dentro narrando i «fatti di Vangelo»
e scoprendo come tanti cristiani pra-
tichino anche oggi la «benedizione»
e spesso in forme nuove rispetto allo
schema ripetitivo che ci viene dalla
tradizione familiare: «Papà dammi
la benedizione», diceva il figlio, e il
padre rispondeva: «Dio ti benedica».
Riprendo i racconti abbozzati in
apertura e ne aggiungo altri somiglianti.
Il malato grave e il mendicante: si
tratta di Stefano Bellan, di Casale
Monferrato, che muore per tumore a
19 anni nel 2005 appena rientrato
da Lourdes. Animatore dell’oratorio,
Stefano vive da cristiano consapevole
la veloce evoluzione della malattia.
Narrando il viaggio a Lourdes, il
papà Luciano che l’aveva accompagnato ricorda che nel tragitto dalla
Grotta all’albergo «Stefano vide un
mendicante, mi fece fermare: digli
che lo benedico e che voglio la sua
benedizione» (dalle pagine 53s del
volumetto Stefano Bellan. Il fiore reciso di Porta Milano, Portalupi, Casale Monferrato 2009).
Benedire qualcuno significa invocare su di lui la «benedizione» del
Signore. Chi è vicino a morire e compie quell’avvicinamento sulle orme
di Cristo ha chiaro quale sia la «benedizione» più preziosa: quella di chi
meglio assomiglia al Signore. Da qui
la scoperta della valenza evangelica
del mendicante. E in che cosa egli, il
malato, potrà ricambiare quel dono
sacramentale se non invocando a sua
volta sul mendicante la divina benedizione?
Il secondo fatto, che attesta un’analoga intuizione da parte di una
persona semplice che apprende dalla
vita, riguarda il vescovo trentino
Guido Zendron, missionario in Brasile (vescovo di Paulo Afonso – Bahia): investe con la sua automobile un
uomo in bicicletta che muore sul
colpo. Il fatto avviene senza responsabilità da parte del vescovo che tuttavia l’avverte come «ingiusto» e così
in una lettera del 18 giugno 2010 al
settimanale Vita trentina narra la
conclusione della conversazione con
colei che aveva reso vedova: «Abbiamo pianto insieme, ma dopo aver
chiesto la mia benedizione lei stessa
ha voluto darmi la sua. È il riconoscimento che alla radice della vita e
della morte, alla radice di tutte le circostanze, non c’è il caso, ma un disegno buono del nostro Dio ricco in
misericordia».
«PORTA LA MIA BENEDIZIONE
A GIOVANNI PAOLO II»
Il vecchio amico che veniva dalla
Germania si chiamava Klaus H.
Arntz: è venuto l’ultima volta nell’anno 2000. Era un uomo del diritto e della finanza e veniva a Roma
una volta all’anno – intorno a Pentecoste – per «aggiornamento».
Qualcuno gli aveva suggerito di parlare con me per avere un aiuto a interpretare ciò che avveniva in Vaticano. Quell’ultima volta il Parkinson
l’aveva costretto all’uso del bastone:
«Se cado, cado in piedi», mi disse al
momento di salutarci. «Sei cristiano
Klaus?» gli ho chiesto. «Certo che lo
sono. Quando incontri il papa digli
che lo benedico». Io poco dopo vidi
il papa ma non sapevo come dargli
la benedizione di Klaus. Tutti chiedono la benedizione del «santo padre», Klaus invece gliela dava: cioè
invocava il Signore perché lo proteggesse. Un’azione appropriata. Ma
come dirla? Non la sappiamo dire
perché abbiamo fatto della benedizione un gesto rituale ed ecclesiastico. La prima volta che mi trovai
vicino a Giovanni Paolo – che era
stanco e piegato su se stesso, a ogni
evidenza bisognoso di benedizione
– dissi a mezza voce: «Santità, Klaus
H. Arntz la benedice». «Grazie»,
mormorò il papa tirando su un occhio.
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Nel condurre la mia indagine
sulle benedizioni ho chiesto aiuto –
come faccio spesso – ai visitatori del
mio blog e uno di essi, che si firma
Mattlar (Matteo Lariccia), mi ha segnalato un altro caso di qualcuno che
benedice un papa: don Andrea Santoro nella lettera privata al papa Benedetto XVI, pubblicata dopo il suo
martirio: «Santità, mi unisco a queste
tre donne (la lettera è preceduta da
uno scritto di tre donne georgiane
che chiedono al papa di andare a
Trabzon in occasione della visita in
Turchia del 2006, ndr) per invitarla
davvero da noi (…). La saluto e la
ringrazio di tutto. I suoi libri mi sono
stati di nutrimento durante i miei
studi di teologia. Mi benedica. E che
Dio benedica e assista anche lei».
GLI RISPOSI CHE BENEDIRE
ERA COMPITO DEI PRETI
In un’altra lettera – questa indirizzata agli amici – don Andrea motiva così la benedizione da cristiano a
cristiano, siano o no le nostre mani
consacrate: «Ogni “cristiano”, come
dice il nome, ha in sé lo “spirito di
Cristo” perché partecipa della sua
“unzione”, che lo consacra figlio di
Dio e portatore della salvezza di Cristo. Per questo i genitori possono benedire i figli, i membri di una comunità possono benedire i propri fratelli
e tutti possiamo benedirci a vicenda,
invocando gli uni sugli altri la grazia
di Dio e la potenza dello Spirito
Santo» (Lettere dalla Turchia, Città
nuova, Roma 2006, 18s).
Qui è l’infermiera che cura per
anni un prete a narrare come un
giorno sia stata richiesta di benedirlo:
«Gli risposi che dare le benedizioni
era compito dei preti (…). Quando
don Lorenzo è morto, ripensando a
quella richiesta, ho capito. Ho capito
che dobbiamo essere benedizione gli
uni per gli altri. Io mi sono sentita benedetta da lui, che è stato per me, nel
tempo della malattia, un padre e un
saggio consigliere» (così Letizia Regazzoni a p. 178 del volume di Arturo Bellini Don Lorenzo Mazzola, il
gusto della parola. Appunti per una
biografia, Gamba, Verdello 2012).
Accennavo in apertura a un caso
capitato a me con il collega Dome-
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nico Del Rio quando gli feci visita
per l’ultima volta al Gemelli e parlammo per tre ore con i toni espliciti
del commiato. Mimmo era sereno e
spesso sorridente. Gli ho detto:
«Posso tornare». Mi ha risposto:
«Questo era l’ultimo saluto». «Allora
dammi la tua benedizione», gli ho
detto e l’ha fatto con un gesto della
mano. Sulla porta mi sono fermato a
salutarlo con la mano e gli ho detto:
«Addio Mimmo, anch’io ti benedico». Ha ricambiato il gesto della
mano, visibilmente contento e ha ripetuto: «Saluta tutti».
QUANDO È UN EBREO
A BENEDIRE UN PRETE
Altro mio caso con il vescovo Alberto Ablondi, dimissionario da tempo e con Parkinson avanzato. Nell’ultimo incontro – era il 2010, l’anno
della sua morte – non riuscivo a capire che cosa mi dicesse dalla sedia a
rotelle, agitato e balbettante. In forza
dell’antica amicizia gli presi il viso
tra le mani e gli dissi lentamente:
«Scenda su di te, vescovo Alberto, la
benedizione del Signore». Poi gli
presi le mani per tenerle ferme, mi
inginocchiai davanti alle ruote della
sedia, posi quelle mani indocili sulla
mia testa e gli dissi guardandolo negli occhi: «Grazie della tua benedizione». Era raggiante.
Il mendicante, il sofferente, il morente sono ministri privilegiati della
benedizione. Questa intuizione è anche nel Diario di un curato di campagna di George Bernanos, in questo
passo che è stato segnalato anche nel
blog: «“Vi prego di benedirmi”, ho
continuato (…). Eravamo sulla soglia
“
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DEL VANGELO
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della porta. “Tu sei in pena”, m’ha risposto. “Tocca a te benedirmi”. E ha
preso la mia mano nella sua, l’ha alzata rapidamente sino alla sua fronte,
e se n’è andato» (Oscar Mondadori,
Milano 1984, 216).
Ci può essere benedizione anche
tra persone di diversa fede. Ecco un
prete che la chiede a un ebreo: è di
Ferrara, si chiama don Giovanni Camarlinghi e l’ebreo – Giorgio Bianchini – è anch’egli ferrarese. Chiamato alle armi nel 1915 il giovane
Giorgio era andato dal rabbino che
gli aveva imposto le mani e aveva
pronunciato la preghiera che nel Benedizionale degli ebrei il nonno recita alla partenza del nipote e che
dice all’incirca: «Angelo di Dio tu
condottier del viver mio, guidalo e
portalo tu sul sentier della virtù». Nel
1985 don Giovanni dovendo cambiare parrocchia va a salutare l’amico
ebreo novantenne alla casa di riposo
e gli chiede una benedizione. Giorgio
commosso e lusingato mette la kippah, pone le mani sulla testa del prete
e gli ripropone la benedizione che il
rabbino aveva un tempo invocato su
di lui: «Angelo di Dio tu condottier
del viver mio, guidalo e portalo tu sul
sentier della virtù».
«BENEDITE
COLORO CHE MALEDICONO»
Vedi lettore quanto territorio
siamo venuti ispezionando raccontando questa e quella benedizione
dei nostri giorni. Tornerò sull’argomento, ché c’è altro da dire. C’è il Benedizionale della CEI, che è una miniera e andrebbe esplorata. E c’è la
pratica della benedizione dei genitori ai figli, che ha una quantità di
modi tradizionali e rinnovati. Ci sono
le benedizioni negli epistolari, da
Leopardi ai condannati a morte della
Resistenza, ad Aldo Moro e a Ingrid
Betancourt nelle lettere dal carcere
delle Brigate Rosse e dalla giungla
delle FARC. E le benedizioni che
ognuno di noi può dare – e dà – a rimedio delle maledizioni che vede
scagliate intorno: «Benedite coloro
che maledicono».
Luigi Accattoli
www.luigiaccattoli.it
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20-2012 cop:REGATT 02-2010
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Il Sud del Concilio
Congresso di Porto Alegre: un bilancio
della teologia della liberazione 40 anni dopo
L’EVENTO, I DOCUMENTI, LE INTERPRETAZIONI
NUOVA EDIZIONE
pp. 160 - € 13,00
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Anno LVII - N. 1133 - 15 novembre 2012 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione
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