Astrid Zei Il ruolo del Senato Federale nel progetto di riforma della

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Astrid Zei Il ruolo del Senato Federale nel progetto di riforma della
Astrid Zei
Il ruolo del Senato Federale nel progetto di
riforma della Costituzione
1. La circolazione dei modelli - 2. Sulla "contestualità affievolita" - 3.
Codecisione o riflessione? Sul ruolo delle Seconde camere nei parlamenti
bicamerali e sull'originalità del modello prescelto
1. La circolazione dei modelli
Il "Forum dei Senati del Mondo", convocato dal Senat francese nella
primavera del 2000, ha offerto l'occasione per censire 67 Parlamenti
nazionali con struttura bicamerale (Forum of the Worls's Senates, cui è
dedicato il sito www.senat.fr/senatsdumonde) e confermare la tendenza ad
integrare il principio della rappresentanza politica con quello della
rappresentazione
delle
istanze
etniche,
territoriali,
conservatrici,
professionali, culturali (cfr., da ultimo, H. Schambeck, Zur Bedeutung des
parlamentarischen Zweikammernsystems - eine rechtsvergleichende Analyse
des "Bikameralismus", in "Journal für Rechtspolitik", 2003, p. 87-95).
La creazione di una Senato federale, avviata con l'assenso di Palazzo
Madama sul testo dell'ennesimo progetto di revisione costituzionale, una
volta approvata sarà forse soggetta ad ulteriori aggiustamenti, dovendo
scontare l'insonne spirito riformista degli ultimi anni (cfr. A. Barbera, Le
riforme costituzionali: un "mito"? in web.unifi.it/progetti/forumcostituzionale
.
Lasciando da parte il discusso "correttivo" della c.d. devolution, la
riforma del Titolo V della Costituzione sarebbe stata certo l'occasione naturale
per la creazione di una Seconda camera realmente rappresentativa delle
Autonomie territoriali, che si configura come un elemento coessenziale ad un
"tipo di Stato" federale (per questa definizione, connessa ma distinta da
quella di "forma di Stato" (F. Lanchester, Stato (forme di), in "Enciclopedia
del diritto", vol. XLIII, p. 799).
La partecipazione delle Regioni alla formazione della volontà dello
Stato/Repubblica (la Costituzione si premura oramai di distinguere l'uno
dall'altra) attraverso una Seconda Camera viene normalmente intesa come
garanzia sufficiente anche a ridimensionare i conflitti di competenza sulle
materie rimesse alla legislazione concorrente, garantendo dai rischi di un
eccessivo centralismo (R. Bifulco, Il bilancino dell'orafo. Appunti per la
riforma del Senato, in "Politica del diritto", 2003, p. 207-229, p. 210).
Guardando ai vicini europei ed alla loro storia costituzionale esistono
molte "ricette" per creare un Senato federale. In Germania i membri del
Bundesrat rappresentano i governi dei Länder, che li nominano e li revocano.
In Austria sono le Assemblee legislative regionali ad eleggere i propri
Senatori. Il Senado spagnolo presenta una composizione mista, dato che una
parte dei Senatori vengono eletti direttamente dal corpo elettorale regionale,
e gli altri (circa in quinto del totale) sono designati dall'Assemblea legislativa
o, in mancanza di essa, dall'organo collegiale supremo delle Comunità
www.giuffré.it
Autonomiche, secondo quanto stabilito dagli Statuti. Il Senato francese è
eletto da un collegio ristretto di 150.000 elettori tra Deputati, Consiglieri
regionali, Consiglieri generali e delegati dei Consigli Municipali.
In questo periodo la circolazione dei modelli di federalismo in Europa è
particolarmente intensa perché il Parlamento italiano non è il solo ad essere
impegnato sulla via delle riforme istituzionali. Oggi esiste in Germania una
"Commissione per l'ammodernamento delle istituzioni" che sta lavorando
sugli stessi temi. Oltre che sugli istituti del federalismo fiscale e sulla
ripartizione delle competenze tra Federazione e Länder, gli esperti che essa
riunisce, assieme ai membri delle due Camere, stanno studiando una
limitazione delle materie sulle quali il Bundesrat è in grado di opporre un veto
sospensivo. Lo stesso dibattito si svolge dallo scorso giugno nella Sala delle
Candele del Bundesrat austriaco dove si riunisce la Convenzione
costituzionale (composta per meno di un terzo dai membri del Parlamento
nazionale), con il compito di rafforzare il ruolo delle autonomie nel sistema
federale austriaco, anche attraverso una riforma del Bundesrat.
Da più parti, in Germania, si guarda ora al vicino modello austriaco
quanto alle modalità di nomina dei Senatori. La natura di Camera degli
esecutivi dei Länder del Bundesrat tedesco si è mostrata a lungo un elemento
di forza perché è assolutamente coerente con il modello di federalismo
"d'esecuzione": nella maggior parte delle materie spetta ai Länder adottare i
provvedimenti attuativi delle leggi approvate dal Parlamento federale, e
pertanto l'istruttoria legislativa si configura come sede efficace per
ricomporne "a monte" i nodi più problematici. L'interpretazione estensiva
delle materie rimesse alla competenza della Federazione e la crescente
importanza assunta dalle Conferenze intergovernative dei Länder, anche
come sede di concertazione con il governo federale, ha finito, tuttavia, col
relegare le assemblee legislative regionali in un ruolo del tutto marginale. I
Presidenti dei Landtagen tedeschi, attraverso l'istituzione di una Convenzione
per il Federalismo, riunitasi a Lubecca nel marzo 2003, si sono fatti pertanto
promotori di una revisione dei criteri di composizione del Bundesrat e della
ripartizione delle competenze legislative tra Federazione e Länder. In Austria
i membri del Bundesrat sono eletti dalle Assemblee regionali in base ad un
criterio proporzionale (art. 35 B-VG). È però necessario sottolineare anzitutto
che essi non devono essere membri del parlamento regionale, e soprattutto,
che non esiste rapporto fiduciario con l'assemblea, né la possibilità di un
recall attraverso il voto popolare. Di fatto, una volta eletti cessa ogni
rapporto formale con il Land di appartenenza, salvo la decadenza dalla carica
al rinnovo dell'Assemblea regionale. Significativamente, i Senatori austriaci
siedono (e votano) nel Bundesrat raggruppati per partito, e non per Land. Ciò
viene considerato come una delle ragioni della debolezza del Bundesrat
austriaco, che in molti casi ha condisceso a leggi limitative della competenza
dei Länder (P. Pernthaler, Lo Stato federale differenziato, Bologna, Il Mulino,
1998, p. 45). Per questo oggi se ne propone il superamento a favore di un
"Parlamento comune dei Länder" (v. il rapporto realizzato dal Institut für
Föderalismus di Innsbruck, 26. Bericht über den Föderalismus in Österreich,
2001, p. 6-7), ovvero dell'introduzione di un vincolo di mandato per i membri
del Bundesrat, oppure di una soluzione ispirata a quella tedesca, per cui
membri del Bundesrat sarebbero i Ministri del Land (P. Bussjäger, Der
sklerotische Bundesstaat. Modernisierungsprobleme im österreichischen
föderalen System, in "Zeitschrift für Politik", 2002, p. 149).
2. Sulla "contestualità affievolita"
Nulla di tutto questo si intravede nel progetto in commento. La soluzione
"italiana", infatti, non prevede una legittimazione popolare indiretta, né
attraverso un'elezione dei Senatori da parte dei Consigli regionali, o delle
Giunte, né attraverso il voto di un collegio elettorale ristretto a coloro che
rivestano una carica rappresentativa, sul modello francese.
La riforma votata in prima lettura dal Senato, dopo aver ridotto il
numero dei senatori a 200, interviene invece anzitutto sul piano
dell'elettorato passivo. Per concedere almeno il beneficio del dubbio all'ipotesi
di un "suicidio politico" (L. Antonini, Brevi note sul progetto di una seconda
Camera territoriale: soluzioni di compromesso per evitare il suicidio politico
dei senatori, in "Federalismi.it", 2003) degli attuali senatori, il disegno di
legge costituzionale originariamente presentato dal governo (A.S. 2544)
aveva già previsto che l'applicazione delle nuove regole fosse posticipata fino
alla XV legislatura e, inoltre, che fossero eleggibili anche coloro che fossero
già stati Deputati o Senatori. Fatte salve tali "deroghe" il criterio doveva
essere quello della limitazione dell'elettorato passivo a coloro che avessero
rivestito cariche elettive a livello regionale e locale, nell'ambito della stessa
regione. Tale proposta, inizialmente accolta dalla Commissione Affari
costituzionali del Senato, è stata superata in Assemblea per concedere
l'eleggibilità anche a "tutti coloro che risiedano nella Regione alla data di
indizione delle elezioni".
Se con ciò l'ispirazione federale sembra essere venuta meno a favore
della più tradizionale politica dei partiti e dei "seggi sicuri", altrettanto debole
sembra il principio della contestualità dell'elezione del Senato con il rinnovo
dei Consigli regionali (M Manetti, Alcune riflessioni sul c.d. Senato federale, in
www.associazionedeicostituzionaliti/dibattiti).
Una volta escluso un qualche criterio di rotazione dei seggi senatoriali
(dipendente o meno dalle vicende della politica regionale, mantenuto anche
in Francia dopo la riforma del 2003), il testo prefigura ogni cinque anni
l'impegno delle forze politiche in una campagna elettorale che coinvolge
contemporaneamente tutte le regioni e che pertanto non può che essere
sbilanciata sui temi della politica nazionale (R. Tosi, Un Senato articolato sul
territorio
versus
una
Camera
di
rappresentanza
regionale,
in
www2.unife.it/forumcostituzionale?)
Se è vero che in Germania il Presidente della Repubblica J. Rau aveva
recentemente denunciato l'eccessivo numero di consultazioni elettorali
regionali su cui si incentra di volta in volta l'attenzione dei Media,
costringendo il Paese ad una "campagna elettorale permanente", è vero
anche che questo genere di calendario ha almeno il pregio di porre di volta in
volta in primo piano i temi politici di maggiore interesse per i singoli Länder.
Oltretutto, il testo approvato dal Senato, prendendo espressamente in
considerazione l'ipotesi di uno scioglimento anticipato dei Consigli regionali e
la necessità di indire nuove elezioni, introduce anche un correttivo alquanto
problematico: con una modifica all'art. 60 Cost., si prevede, infatti, che in tali
casi i cittadini residenti nella regione vengano chiamati ad eleggere un
Consiglio regionale che resterà in carica solamente sino alla successiva
elezione del Senato. Il legame, se esiste, non unisce i Senatori ai Consigli
regionali, ma, all'inverso, subordina i Consigli al Senato (B. Caravita di
Toritto, Il pendolo del Federalismo, Editoriale in "Federalismi.it", n.5/2004, p.
4).
Dubitando, dunque, che nel momento della prima riunione del Senato
federale esista un legame "congenito" con le vicende della politica regionale,
resta da vedere quali sono gli strumenti previsti per consolidarlo in corso di
legislatura.
L'art. 10 del Progetto (art. 67 Cost.) conferma, anzitutto, la teoria del
libero mandato, e si tratta, del resto, di mandato conferito direttamente dal
corpo elettorale e non dagli organi della Regione. Non si prevede, inoltre, che
i Senatori possano essere chiamati dinanzi al Consiglio regionale a riferire del
loro operato, ma, al contrario che siano i membri della Giunta e del Consiglio
regionale a poter cercare nel Senato una cassa di risonanza per le questioni
della politica regionale "ogni volta che lo richiedano". La reciproca
informazione e collaborazione tra i Senatori e gli organi della Regione è un
impegno che la (futura) Costituzione comunque sancisce, pure ricorrendo,
però, ad una formulazione più generica (v. G.M. Salerno, Le novità del d.d.l.
di revisione costituzionale proposto dalla I Commissione del Senato: alcune
brevi considerazioni, in www.associazionedeicostituzionalisti.it/dibattiti).
La "regionalizzazione" del Senato, nell'esercizio di importanti funzioni
non legislative, come la nomina di una quota dei giudici della Corte
Costituzionale e la decisione sull'opponibilità del limite dell'interesse
nazionale alla legislazione regionale, doveva realizzarsi attraverso la
partecipazione dei Presidenti delle Giunte regionali (così nell'emendamento
proposto dal governo e convenuto con i rappresentanti delle regioni in sede
di Conferenza Stato-Regioni) e dei Consigli regionali (così proponeva la
Commissione Affari costituzionali del Senato). Quanto all'elezione del
Presidente della Repubblica era stato previsto l'incremento del numero dei
delegati regionali (così nel progetto del governo) e la partecipazione dei
Presidenti delle Giunte e dei Consigli regionali (nel testo proposto dalla
Commissione Affari costituzionali). Anche nel testo approvato dall'Assemblea
di Palazzo Madama permane una composizione allargata per la nomina dei
nove giudici della Corte Costituzionale (art. 40 del progetto), cui partecipano
anche i Presidenti delle Giunte regionali, e per l'elezione del Presidente della
Repubblica, cui si aggiungono anche i delegati dei Consigli regionali, in
numero variabile in ragione dell'entità della popolazione residente nella
Regione (art. 19 del progetto).
Spetterà dunque al regolamento del Senato individuare modalità di
informazione e collaborazione efficaci a rendere il Senato federale l'essenziale
luogo di raccordo politico tra le Regioni e la Repubblica.
3. Codecisione o riflessione? Sul ruolo delle Seconde camere nei
parlamenti bicamerali e sull'originalità del modello prescelto
Il progetto approvato prefigura una Seconda camera che si differenzia
dalla Camera dei Deputati non solo per modalità di composizione, ma anche
per funzioni. Il superamento del bicameralismo perfettamente simmetrico,
che faceva del nostro ordinamento pressochè un unicum tra le moderne
democrazie occidentali, avviene anzitutto sottraendo il Senato al circuito
fiduciario del governo.
Di per sé non si tratta di un elemento che caratterizza solo gli
ordinamenti federali, ma, più in generale, si ritrova in quelli in cui vi sia una
qualche differenziazione nel mandato assegnato ai senatori, rispetto a quello
della rappresentanza politica diretta della Prima camera. Ciò vale laddove
l'elezione dei Senatori avviene in secondo grado, ma anche in quegli
ordinamenti in cui la Seconda camera rappresenta interessi corporativi e/o
settoriali, come era il caso del Senato bavarese, soppresso nel 1999, o del
Consiglio Nazionale previsto dalla Costituzione della Slovenia del 1991, che
rappresenta interessi sociali, economici, professionali e locali, e partecipa alla
funzione legislativa, con un potere di veto sospensivo, oppure della Seconda
camera del parlamento irlandese, in cui una parte dei Senatori è espressione
delle Università.
Negli ordinamenti federali, il ruolo della Seconda Camera si differenzia,
inoltre, nell'ambito del procedimento legislativo, a seconda della materia
trattata e risulta, quasi sempre attenuato salvo la facoltà di opporre un veto
assoluto sulle materie che incidono direttamente sugli interessi e sul regime
di autonomia degli enti territoriali (importanti eccezioni sono quelle del
Senato statunitense e di quello svizzero).
Il testo approvato dal Senato prevede procedimenti differenziati, con la
prevalenza ora dell'una ed ora dell'altra Camera, a seconda delle materie su
cui il Parlamento è chiamato a deliberare.
Quando si tratti di legiferare sulle
esclusiva dello Stato il Senato federale
sospensivo, superabile con una nuova
Deputati, e senza alcun aggravamento del
materie rimesse alla competenza
può opporre solamente un veto
deliberazione della Camera dei
quorum previsto.
Si mantiene invece un bicameralismo paritario laddove il Parlamento
disciplini gli strumenti dell'autonomia regionale e della cooperazione tra i
livelli di governo (funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città
metropolitane, autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, leggi di
perequazione finanziaria, in materia di cooperazione interstatale,
coordinamento ed intese tra Stato e Regioni per alcune materie rimesse alla
competenza esclusiva dello Stato, principi fondamentali della legislazione
elettorale regionale, istituzione di organi di giustizia amministrativa
regionale, conferimento di funzioni amministrative ai Comuni ed alle
Province, ridefinizione dei confini amministrativi delle Regioni e delle
Province), ovvero quando legiferi in materia di garanzie (leggi che
disciplinano l'esercizio dei diritti fondamentali, la composizione ed il
funzionamento della Corte Costituzionale, e la materia penale) e per la
disciplina del potere sostitutivo del governo (in tal caso, il "nuovo" art. 120,
II co., prevede la necessità di un voto a maggioranza assoluta in entrambe le
Camere).
In caso di disaccordo tra le due Camere i rispettivi Presidenti possono
chiedere la convocazione di una Commissione mista paritetica che lavora
sulle disposizioni su cui manca l'intesa e presenta infine un testo su cui non
sono più ammessi emendamenti. Il modello è quello della analoga
Commissione di mediazione tedesca (art. 77 GG) prevista, però, sia per i casi
in cui l'assenso del Bundesrat sia necessario, sia per quelli in cui questi abbia
facoltà di opporre solamente un veto sospensivo.
E' invece al Senato federale che viene attribuita facoltà di decidere
definitivamente sulle leggi statali che fissano i principi fondamentali delle
materie di competenza concorrente, con l'eccezione delle leggi di
perequazione delle risorse finanziarie, di quelle che disciplinano l'autonomia
finanziaria delle Regioni e degli enti locali, e della disciplina della
concorrenza. Anche in questo caso, il veto della Camera dei Deputati non
richiede che il Senato si esprima con una maggioranza qualificata nella
seconda deliberazione.
Poiché si tratta delle materie in cui più di ogni altra si esercita l'indirizzo
politico del governo (basta pensare ai rapporti internazionali e con l'Unione
europea, alla tutela e sicurezza del lavoro, istruzione, ricerca scientifica e
tecnologica, tutela della salute, infrastrutture, energia, previdenza
complementare ed integrativa, credito, etc.) si comprende come, anche nel
quadro del rafforzamento dell'esecutivo perseguito dalla riforma, al governo
venga concessa la possibilità di imporre il passaggio ad un procedimento di
"codecisione" tra le due Camere per quei provvedimenti sui quali il "Primo
ministro" abbia chiesto ed ottenuto la fiducia dalla Camera dei Deputati (per
questa soluzione, v. già, S. CECCANTI, Guida ragionata di lettura della bozza
di riforma costituzionale elaborata dai "saggi" della maggioranza, in
www.unifi.it/progetti/forumcostituzionale).
La scelta di attribuire al Senato una prevalenza nella legislazione sui
principi fondamentali delle leggi dello stato, resta però quantomeno
controversa.
Si tratta di una scelta informata ad un sicuro "realismo", dato che
l'esperienza repubblicana ha ampiamente dimostrato quanto fosse spiccata la
tendenza ad una interpretazione estensiva del concetto di principi
fondamentali, tale da lasciare alle regioni poco spazio per l'attuazione di un
proprio indirizzo di politica legislativa (R. Bifulco, Solo l'elezione diretta del
Senato federale assicura la rappresentanza degli interessi, in "Guida al
diritto", 2004, n.6, p. 13). Da un punto di vista sistemico, però, convince
anche chi si pone dei dubbi sulla migliore vocazione di un Senato delle
regioni a fissare, attraverso i principi fondamentali, quelle ragioni di
unitarietà della disciplina e di unità nelle scelte politiche fondamentali del
Paese che pure in altri ordinamenti sono concepite fino a legittimare una
deroga al criterio di ripartizione delle competenze (C. Fusaro, Prime
valutazioni sul Disegno di legge costituzionale, cit.; T. Frosini, Luci ed ombre
del progetto governativo di riforma costituzionale, in "Federalismi.it", n.
11/2003, p. 5). In secondo luogo, resta sicuramente problematica la scelta
dissociare la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle materie
rimesse alla competenza esclusiva delle regioni, dalla fissazione dei principi
fondamentali delle materie di legislazione concorrente, assegnando agli uni
ed agli altri ora alla decisione definitiva della Camera dei Deputati, ora a
quella del Senato (v. L. Antonini, Brevi note sul progetto di una Seconda
Camera territoriale: soluzioni di compromesso per evitare il "suicidio dei
Senatori", in "Federalismi.it", 2003, p. 4; R. Tosi, Un Senato articolato sul
territorio versus una Camera di rappresentanza regionale, cit.).
Anche il limite dell'interesse nazionale, ora nuovamente opponibile alle
scelte di politica normativa delle Regioni, viene formalmente reintrodotto
(art. 38 del progetto) per essere invocabile dinanzi al solo Senato (con il
problematico concorso del Presidente della Repubblica, cui spetta l'eventuale
annullamento della delibera regionale). Ma se il Senato si configura come
Camera delle Regioni, resta poi da verificare fino a che punto l'interesse
nazionale corrisponda alla "somma" degli interessi delle Regioni, che è ciò su
cui un Senato Federale potrà convenire, e che, invece, dovrebbe assolvere ad
una più ampia funzione di sintesi dei valori dell'ordinamento (cfr. A. Barbera,
Regioni e interesse nazionale, Milano, 1973). La scelta di lasciarne invariata
la composizione, mentre la Comissione Affari costituzionali prevedeva la
partecipazione dei Presidenti delle Giunte e dei Consigli regionali, lascia
pensare, invece, che il Senato federale non sia concepito come una vera
Camera delle Regioni, ma solo come una sede privilegiata di
rappresentazione degli interessi regionali e nazionali (cfr. M. Manetti, Alcune
riflessioni sul c.d. Senato federale, in www.associazionedeicostituzionalisti.it)
Storicamente, il bicameralismo non è una scelta obbligata. Molte delle
Costituzioni approvate dopo la Seconda guerra mondiale hanno optato per
sistemi monocamerali ed il bicameralismo (quasi) perfetto si ritrova con
maggiore frequenza negli ordinamenti che non presentano una forma di
governo parlamentare (v. R. Bifulco, Il bilancino dell'orafo, cit., p. 211 e ss.)
ed in cui non esiste, dunque, il "rischio di una dispersione dei rapporti politici
parlamento-governo" (G. De Vergottini, Diritto costituzionale comparato,
Padova, Cedam, 1999, p. 494).
Tra i virtuosismi legati all'esistenza di una Seconda camera federale
viene tradizionalmente annoverato, oltre all'arrichimento delle forme della
rappresentanza (con la possibilità di dare migliore spazio a minoranze etniche
o sociali particolarmente radicate in una parte del territorio), la funzione di
camera di riflessione, o di "raffreddamento" rispetto alle decisioni assunte
dalle maggioranze politiche, in grado cioè di consentire una maggiore
ponderazione delle scelte compiute, una doppia istruttoria, e, di
conseguenza, anche una migliore qualità della legislazione (M Volpi, in A.
Morbidelli/L. Pegoraro/A. Reposo/M. Volpi, Diritto costituzionale italiano e
comparato, Bologna, Monduzzi editore, 1995, p. 419)
La stragrande maggioranza dei parlamenti bicamerali sono concepiti in
maniera da attribuire maggior peso ad una delle due Camere, normalmente,
quella di derivazione popolare diretta. Esistono, tuttavia, molte soluzioni
intermedie tra il "temporeggiamento" e la codecisione. Anzitutto, la necessità
di un quorum aggravato per superare il veto opposto dalla Seconda camera.
In Germania, ad esempio, al Bundestag è richiesta una nuova deliberazione
alla presenza di almeno la metà dei membri e con la stessa maggioranza con
cui il Bundesrat ha respinto il testo.
Il testo approvato, non richiede, invece, alcun aggravamento del
quorum perché una Camera superi il veto opposto dall'altra. Per le
deliberazioni del Senato, in particolare, è richiesta solo la presenza di due
quinti dei suoi membri e dei Senatori di un terzo delle Regioni.
Non si tratta, comunque, di un unicum. Esistono, inoltre, soluzioni per
così dire, "miste": la Costituzione spagnola, ad esempio, consente di
trasformare il veto sospensivo del Senato, che comporta una nuova
deliberazione della Camera dei Deputati a maggioranza assoluta, in un veto
meramente "ritardante" che, una volta trascorsi due mesi, è possibile
superare anche con una maggioranza semplice (art. 90 Cost. spagnola). Nel
sistema politico austriaco, basato su governi di coalizione, di fatto il potere di
veto del Bundesrat si configura come meramente "ritardante", salvo che
nell'ambito di un procedimento di legislazione costituzionale.
Tale ritardo, però, in Austria ha una durata di ben otto settimane, al
punto che l'opposizione del Bundesrat trova espressione non solamente
nell'esercizio del potere di veto, ma anche facendo decorrere inutilmente il
periodo previsto: ciò non impone al Nationalrat, e, dunque, alla maggioranza
di governo, la mera ripetizione di una procedura di voto già espletata, ma un
ritardo di due mesi nell'approvazione del provvedimento (B. Schick, Artikel
42, in K. Korinek/M. Holoubek, Österreichisches Bundesverfasssungsrecht.
Kommentar, Wien/New York, Springer, 1999, § 21, p. 17)
Anche laddove il Bundesrat non abbia facoltà di opporre un veto assoluto
sulle delibere del Bundestag, la Legge Fondamentale tedesca prevede una
procedura che può giungere a coprire undici settimane di tempo per le
proposte del governo (ovvero, otto, nel caso si tratti di un provvedimento che
il governo abbia "eccezionalmente designato, nel trasmetterlo al Bundesrat,
come particolarmente urgente", o addirittura quattordici, se richiesto dal
Bundesrat "per disegni di legge di particolare ampiezza", art. 76 GG), più il
tempo impegnato dalla Commissione paritetica di conciliazione per tentare
l'elaborazione di un testo condiviso da entrambe le Camere.
Gli esempi di "ritardi" più gravosi di quelli previsti nel progetto
approvato dal Senato possono seguitare. Basta ricordare i cento giorni
previsti dalla Costituzione francese del 1946 dopo le modifiche apportate
dalla legge costituzionale del 1954, un anno dalla prima deliberazione
previsto dal Parliamentary Act inglese del 1949 per i public bills presentati
dal governo (di solito) alla Camera dei Comuni,
I quaranta giorni previsti dal "futuro"(?) art. 70 della nostra
Costituzione, che sono venti per la conversione dei decreti legge,
contribuiscono, dunque, a rafforzare l'impressione che si sia voluto
configurare non un bicameralismo sul tipo di quello che caratterizza gli
ordinamenti federali, quanto una sorta di "doppio monocameralismo" (C.
Fusaro, Prime valutazioni sul Disegno di legge costituzionale concernente il
senato federale della Repubblica, la composizione della Corte Costituzionale,
la forma di governo e modificazione degli artt. 104, 117, 127 e 138 della
Costituzione in web.unifi.it/progetti/forumcostituzionale; T. Frosini, Luci ed
ombre del progetto di riforma costituzionale, in "Federalismi.it", n. 11/2003,
p. 5), aggravato, inoltre, dalla dissociazione dei procedimenti previsti per la
fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle materie rimesse alla
competenza esclusiva delle Regioni, in cui è la Camera dei Deputati che
decide in ultima istanza, da quelli relativi alla determinazione dei principi
fondamentali delle materie di legislazione concorrente, in cui prevale il voto
del Senato.
Mentre era necessaria la creazione di un Senato delle Regioni che si
configurasse sia come "luogo del dialogo delle Regioni con il centro (...), sia
lo strumento di dialogo del centro con le Regioni" (B. Caravita di Toritto, La
Costituzione dopo la riforma del Titolo V. Stato Regioni e autonomie fra
Repubblica e Unione europea, Torino, Giappichelli, 2002, p. 160-161), il
progetto approvato sembra insistere su una ennesima ed eccentrica forma di
"divisione del lavoro", questa volta tra le assemblee, troppo vicine per
vocazione e troppo diseguali per funzioni e ruolo (M. Manetti, Alcune
riflessioni
sul
c.d.
Senato
federale,
in
www.associazionedeicostituzionalisti/dibattiti).