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Astrid Zei Il ruolo del Senato Federale nel progetto di riforma della Costituzione 1. La circolazione dei modelli - 2. Sulla "contestualità affievolita" - 3. Codecisione o riflessione? Sul ruolo delle Seconde camere nei parlamenti bicamerali e sull'originalità del modello prescelto 1. La circolazione dei modelli Il "Forum dei Senati del Mondo", convocato dal Senat francese nella primavera del 2000, ha offerto l'occasione per censire 67 Parlamenti nazionali con struttura bicamerale (Forum of the Worls's Senates, cui è dedicato il sito www.senat.fr/senatsdumonde) e confermare la tendenza ad integrare il principio della rappresentanza politica con quello della rappresentazione delle istanze etniche, territoriali, conservatrici, professionali, culturali (cfr., da ultimo, H. Schambeck, Zur Bedeutung des parlamentarischen Zweikammernsystems - eine rechtsvergleichende Analyse des "Bikameralismus", in "Journal für Rechtspolitik", 2003, p. 87-95). La creazione di una Senato federale, avviata con l'assenso di Palazzo Madama sul testo dell'ennesimo progetto di revisione costituzionale, una volta approvata sarà forse soggetta ad ulteriori aggiustamenti, dovendo scontare l'insonne spirito riformista degli ultimi anni (cfr. A. Barbera, Le riforme costituzionali: un "mito"? in web.unifi.it/progetti/forumcostituzionale . Lasciando da parte il discusso "correttivo" della c.d. devolution, la riforma del Titolo V della Costituzione sarebbe stata certo l'occasione naturale per la creazione di una Seconda camera realmente rappresentativa delle Autonomie territoriali, che si configura come un elemento coessenziale ad un "tipo di Stato" federale (per questa definizione, connessa ma distinta da quella di "forma di Stato" (F. Lanchester, Stato (forme di), in "Enciclopedia del diritto", vol. XLIII, p. 799). La partecipazione delle Regioni alla formazione della volontà dello Stato/Repubblica (la Costituzione si premura oramai di distinguere l'uno dall'altra) attraverso una Seconda Camera viene normalmente intesa come garanzia sufficiente anche a ridimensionare i conflitti di competenza sulle materie rimesse alla legislazione concorrente, garantendo dai rischi di un eccessivo centralismo (R. Bifulco, Il bilancino dell'orafo. Appunti per la riforma del Senato, in "Politica del diritto", 2003, p. 207-229, p. 210). Guardando ai vicini europei ed alla loro storia costituzionale esistono molte "ricette" per creare un Senato federale. In Germania i membri del Bundesrat rappresentano i governi dei Länder, che li nominano e li revocano. In Austria sono le Assemblee legislative regionali ad eleggere i propri Senatori. Il Senado spagnolo presenta una composizione mista, dato che una parte dei Senatori vengono eletti direttamente dal corpo elettorale regionale, e gli altri (circa in quinto del totale) sono designati dall'Assemblea legislativa o, in mancanza di essa, dall'organo collegiale supremo delle Comunità www.giuffré.it Autonomiche, secondo quanto stabilito dagli Statuti. Il Senato francese è eletto da un collegio ristretto di 150.000 elettori tra Deputati, Consiglieri regionali, Consiglieri generali e delegati dei Consigli Municipali. In questo periodo la circolazione dei modelli di federalismo in Europa è particolarmente intensa perché il Parlamento italiano non è il solo ad essere impegnato sulla via delle riforme istituzionali. Oggi esiste in Germania una "Commissione per l'ammodernamento delle istituzioni" che sta lavorando sugli stessi temi. Oltre che sugli istituti del federalismo fiscale e sulla ripartizione delle competenze tra Federazione e Länder, gli esperti che essa riunisce, assieme ai membri delle due Camere, stanno studiando una limitazione delle materie sulle quali il Bundesrat è in grado di opporre un veto sospensivo. Lo stesso dibattito si svolge dallo scorso giugno nella Sala delle Candele del Bundesrat austriaco dove si riunisce la Convenzione costituzionale (composta per meno di un terzo dai membri del Parlamento nazionale), con il compito di rafforzare il ruolo delle autonomie nel sistema federale austriaco, anche attraverso una riforma del Bundesrat. Da più parti, in Germania, si guarda ora al vicino modello austriaco quanto alle modalità di nomina dei Senatori. La natura di Camera degli esecutivi dei Länder del Bundesrat tedesco si è mostrata a lungo un elemento di forza perché è assolutamente coerente con il modello di federalismo "d'esecuzione": nella maggior parte delle materie spetta ai Länder adottare i provvedimenti attuativi delle leggi approvate dal Parlamento federale, e pertanto l'istruttoria legislativa si configura come sede efficace per ricomporne "a monte" i nodi più problematici. L'interpretazione estensiva delle materie rimesse alla competenza della Federazione e la crescente importanza assunta dalle Conferenze intergovernative dei Länder, anche come sede di concertazione con il governo federale, ha finito, tuttavia, col relegare le assemblee legislative regionali in un ruolo del tutto marginale. I Presidenti dei Landtagen tedeschi, attraverso l'istituzione di una Convenzione per il Federalismo, riunitasi a Lubecca nel marzo 2003, si sono fatti pertanto promotori di una revisione dei criteri di composizione del Bundesrat e della ripartizione delle competenze legislative tra Federazione e Länder. In Austria i membri del Bundesrat sono eletti dalle Assemblee regionali in base ad un criterio proporzionale (art. 35 B-VG). È però necessario sottolineare anzitutto che essi non devono essere membri del parlamento regionale, e soprattutto, che non esiste rapporto fiduciario con l'assemblea, né la possibilità di un recall attraverso il voto popolare. Di fatto, una volta eletti cessa ogni rapporto formale con il Land di appartenenza, salvo la decadenza dalla carica al rinnovo dell'Assemblea regionale. Significativamente, i Senatori austriaci siedono (e votano) nel Bundesrat raggruppati per partito, e non per Land. Ciò viene considerato come una delle ragioni della debolezza del Bundesrat austriaco, che in molti casi ha condisceso a leggi limitative della competenza dei Länder (P. Pernthaler, Lo Stato federale differenziato, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 45). Per questo oggi se ne propone il superamento a favore di un "Parlamento comune dei Länder" (v. il rapporto realizzato dal Institut für Föderalismus di Innsbruck, 26. Bericht über den Föderalismus in Österreich, 2001, p. 6-7), ovvero dell'introduzione di un vincolo di mandato per i membri del Bundesrat, oppure di una soluzione ispirata a quella tedesca, per cui membri del Bundesrat sarebbero i Ministri del Land (P. Bussjäger, Der sklerotische Bundesstaat. Modernisierungsprobleme im österreichischen föderalen System, in "Zeitschrift für Politik", 2002, p. 149). 2. Sulla "contestualità affievolita" Nulla di tutto questo si intravede nel progetto in commento. La soluzione "italiana", infatti, non prevede una legittimazione popolare indiretta, né attraverso un'elezione dei Senatori da parte dei Consigli regionali, o delle Giunte, né attraverso il voto di un collegio elettorale ristretto a coloro che rivestano una carica rappresentativa, sul modello francese. La riforma votata in prima lettura dal Senato, dopo aver ridotto il numero dei senatori a 200, interviene invece anzitutto sul piano dell'elettorato passivo. Per concedere almeno il beneficio del dubbio all'ipotesi di un "suicidio politico" (L. Antonini, Brevi note sul progetto di una seconda Camera territoriale: soluzioni di compromesso per evitare il suicidio politico dei senatori, in "Federalismi.it", 2003) degli attuali senatori, il disegno di legge costituzionale originariamente presentato dal governo (A.S. 2544) aveva già previsto che l'applicazione delle nuove regole fosse posticipata fino alla XV legislatura e, inoltre, che fossero eleggibili anche coloro che fossero già stati Deputati o Senatori. Fatte salve tali "deroghe" il criterio doveva essere quello della limitazione dell'elettorato passivo a coloro che avessero rivestito cariche elettive a livello regionale e locale, nell'ambito della stessa regione. Tale proposta, inizialmente accolta dalla Commissione Affari costituzionali del Senato, è stata superata in Assemblea per concedere l'eleggibilità anche a "tutti coloro che risiedano nella Regione alla data di indizione delle elezioni". Se con ciò l'ispirazione federale sembra essere venuta meno a favore della più tradizionale politica dei partiti e dei "seggi sicuri", altrettanto debole sembra il principio della contestualità dell'elezione del Senato con il rinnovo dei Consigli regionali (M Manetti, Alcune riflessioni sul c.d. Senato federale, in www.associazionedeicostituzionaliti/dibattiti). Una volta escluso un qualche criterio di rotazione dei seggi senatoriali (dipendente o meno dalle vicende della politica regionale, mantenuto anche in Francia dopo la riforma del 2003), il testo prefigura ogni cinque anni l'impegno delle forze politiche in una campagna elettorale che coinvolge contemporaneamente tutte le regioni e che pertanto non può che essere sbilanciata sui temi della politica nazionale (R. Tosi, Un Senato articolato sul territorio versus una Camera di rappresentanza regionale, in www2.unife.it/forumcostituzionale?) Se è vero che in Germania il Presidente della Repubblica J. Rau aveva recentemente denunciato l'eccessivo numero di consultazioni elettorali regionali su cui si incentra di volta in volta l'attenzione dei Media, costringendo il Paese ad una "campagna elettorale permanente", è vero anche che questo genere di calendario ha almeno il pregio di porre di volta in volta in primo piano i temi politici di maggiore interesse per i singoli Länder. Oltretutto, il testo approvato dal Senato, prendendo espressamente in considerazione l'ipotesi di uno scioglimento anticipato dei Consigli regionali e la necessità di indire nuove elezioni, introduce anche un correttivo alquanto problematico: con una modifica all'art. 60 Cost., si prevede, infatti, che in tali casi i cittadini residenti nella regione vengano chiamati ad eleggere un Consiglio regionale che resterà in carica solamente sino alla successiva elezione del Senato. Il legame, se esiste, non unisce i Senatori ai Consigli regionali, ma, all'inverso, subordina i Consigli al Senato (B. Caravita di Toritto, Il pendolo del Federalismo, Editoriale in "Federalismi.it", n.5/2004, p. 4). Dubitando, dunque, che nel momento della prima riunione del Senato federale esista un legame "congenito" con le vicende della politica regionale, resta da vedere quali sono gli strumenti previsti per consolidarlo in corso di legislatura. L'art. 10 del Progetto (art. 67 Cost.) conferma, anzitutto, la teoria del libero mandato, e si tratta, del resto, di mandato conferito direttamente dal corpo elettorale e non dagli organi della Regione. Non si prevede, inoltre, che i Senatori possano essere chiamati dinanzi al Consiglio regionale a riferire del loro operato, ma, al contrario che siano i membri della Giunta e del Consiglio regionale a poter cercare nel Senato una cassa di risonanza per le questioni della politica regionale "ogni volta che lo richiedano". La reciproca informazione e collaborazione tra i Senatori e gli organi della Regione è un impegno che la (futura) Costituzione comunque sancisce, pure ricorrendo, però, ad una formulazione più generica (v. G.M. Salerno, Le novità del d.d.l. di revisione costituzionale proposto dalla I Commissione del Senato: alcune brevi considerazioni, in www.associazionedeicostituzionalisti.it/dibattiti). La "regionalizzazione" del Senato, nell'esercizio di importanti funzioni non legislative, come la nomina di una quota dei giudici della Corte Costituzionale e la decisione sull'opponibilità del limite dell'interesse nazionale alla legislazione regionale, doveva realizzarsi attraverso la partecipazione dei Presidenti delle Giunte regionali (così nell'emendamento proposto dal governo e convenuto con i rappresentanti delle regioni in sede di Conferenza Stato-Regioni) e dei Consigli regionali (così proponeva la Commissione Affari costituzionali del Senato). Quanto all'elezione del Presidente della Repubblica era stato previsto l'incremento del numero dei delegati regionali (così nel progetto del governo) e la partecipazione dei Presidenti delle Giunte e dei Consigli regionali (nel testo proposto dalla Commissione Affari costituzionali). Anche nel testo approvato dall'Assemblea di Palazzo Madama permane una composizione allargata per la nomina dei nove giudici della Corte Costituzionale (art. 40 del progetto), cui partecipano anche i Presidenti delle Giunte regionali, e per l'elezione del Presidente della Repubblica, cui si aggiungono anche i delegati dei Consigli regionali, in numero variabile in ragione dell'entità della popolazione residente nella Regione (art. 19 del progetto). Spetterà dunque al regolamento del Senato individuare modalità di informazione e collaborazione efficaci a rendere il Senato federale l'essenziale luogo di raccordo politico tra le Regioni e la Repubblica. 3. Codecisione o riflessione? Sul ruolo delle Seconde camere nei parlamenti bicamerali e sull'originalità del modello prescelto Il progetto approvato prefigura una Seconda camera che si differenzia dalla Camera dei Deputati non solo per modalità di composizione, ma anche per funzioni. Il superamento del bicameralismo perfettamente simmetrico, che faceva del nostro ordinamento pressochè un unicum tra le moderne democrazie occidentali, avviene anzitutto sottraendo il Senato al circuito fiduciario del governo. Di per sé non si tratta di un elemento che caratterizza solo gli ordinamenti federali, ma, più in generale, si ritrova in quelli in cui vi sia una qualche differenziazione nel mandato assegnato ai senatori, rispetto a quello della rappresentanza politica diretta della Prima camera. Ciò vale laddove l'elezione dei Senatori avviene in secondo grado, ma anche in quegli ordinamenti in cui la Seconda camera rappresenta interessi corporativi e/o settoriali, come era il caso del Senato bavarese, soppresso nel 1999, o del Consiglio Nazionale previsto dalla Costituzione della Slovenia del 1991, che rappresenta interessi sociali, economici, professionali e locali, e partecipa alla funzione legislativa, con un potere di veto sospensivo, oppure della Seconda camera del parlamento irlandese, in cui una parte dei Senatori è espressione delle Università. Negli ordinamenti federali, il ruolo della Seconda Camera si differenzia, inoltre, nell'ambito del procedimento legislativo, a seconda della materia trattata e risulta, quasi sempre attenuato salvo la facoltà di opporre un veto assoluto sulle materie che incidono direttamente sugli interessi e sul regime di autonomia degli enti territoriali (importanti eccezioni sono quelle del Senato statunitense e di quello svizzero). Il testo approvato dal Senato prevede procedimenti differenziati, con la prevalenza ora dell'una ed ora dell'altra Camera, a seconda delle materie su cui il Parlamento è chiamato a deliberare. Quando si tratti di legiferare sulle esclusiva dello Stato il Senato federale sospensivo, superabile con una nuova Deputati, e senza alcun aggravamento del materie rimesse alla competenza può opporre solamente un veto deliberazione della Camera dei quorum previsto. Si mantiene invece un bicameralismo paritario laddove il Parlamento disciplini gli strumenti dell'autonomia regionale e della cooperazione tra i livelli di governo (funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, leggi di perequazione finanziaria, in materia di cooperazione interstatale, coordinamento ed intese tra Stato e Regioni per alcune materie rimesse alla competenza esclusiva dello Stato, principi fondamentali della legislazione elettorale regionale, istituzione di organi di giustizia amministrativa regionale, conferimento di funzioni amministrative ai Comuni ed alle Province, ridefinizione dei confini amministrativi delle Regioni e delle Province), ovvero quando legiferi in materia di garanzie (leggi che disciplinano l'esercizio dei diritti fondamentali, la composizione ed il funzionamento della Corte Costituzionale, e la materia penale) e per la disciplina del potere sostitutivo del governo (in tal caso, il "nuovo" art. 120, II co., prevede la necessità di un voto a maggioranza assoluta in entrambe le Camere). In caso di disaccordo tra le due Camere i rispettivi Presidenti possono chiedere la convocazione di una Commissione mista paritetica che lavora sulle disposizioni su cui manca l'intesa e presenta infine un testo su cui non sono più ammessi emendamenti. Il modello è quello della analoga Commissione di mediazione tedesca (art. 77 GG) prevista, però, sia per i casi in cui l'assenso del Bundesrat sia necessario, sia per quelli in cui questi abbia facoltà di opporre solamente un veto sospensivo. E' invece al Senato federale che viene attribuita facoltà di decidere definitivamente sulle leggi statali che fissano i principi fondamentali delle materie di competenza concorrente, con l'eccezione delle leggi di perequazione delle risorse finanziarie, di quelle che disciplinano l'autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, e della disciplina della concorrenza. Anche in questo caso, il veto della Camera dei Deputati non richiede che il Senato si esprima con una maggioranza qualificata nella seconda deliberazione. Poiché si tratta delle materie in cui più di ogni altra si esercita l'indirizzo politico del governo (basta pensare ai rapporti internazionali e con l'Unione europea, alla tutela e sicurezza del lavoro, istruzione, ricerca scientifica e tecnologica, tutela della salute, infrastrutture, energia, previdenza complementare ed integrativa, credito, etc.) si comprende come, anche nel quadro del rafforzamento dell'esecutivo perseguito dalla riforma, al governo venga concessa la possibilità di imporre il passaggio ad un procedimento di "codecisione" tra le due Camere per quei provvedimenti sui quali il "Primo ministro" abbia chiesto ed ottenuto la fiducia dalla Camera dei Deputati (per questa soluzione, v. già, S. CECCANTI, Guida ragionata di lettura della bozza di riforma costituzionale elaborata dai "saggi" della maggioranza, in www.unifi.it/progetti/forumcostituzionale). La scelta di attribuire al Senato una prevalenza nella legislazione sui principi fondamentali delle leggi dello stato, resta però quantomeno controversa. Si tratta di una scelta informata ad un sicuro "realismo", dato che l'esperienza repubblicana ha ampiamente dimostrato quanto fosse spiccata la tendenza ad una interpretazione estensiva del concetto di principi fondamentali, tale da lasciare alle regioni poco spazio per l'attuazione di un proprio indirizzo di politica legislativa (R. Bifulco, Solo l'elezione diretta del Senato federale assicura la rappresentanza degli interessi, in "Guida al diritto", 2004, n.6, p. 13). Da un punto di vista sistemico, però, convince anche chi si pone dei dubbi sulla migliore vocazione di un Senato delle regioni a fissare, attraverso i principi fondamentali, quelle ragioni di unitarietà della disciplina e di unità nelle scelte politiche fondamentali del Paese che pure in altri ordinamenti sono concepite fino a legittimare una deroga al criterio di ripartizione delle competenze (C. Fusaro, Prime valutazioni sul Disegno di legge costituzionale, cit.; T. Frosini, Luci ed ombre del progetto governativo di riforma costituzionale, in "Federalismi.it", n. 11/2003, p. 5). In secondo luogo, resta sicuramente problematica la scelta dissociare la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle materie rimesse alla competenza esclusiva delle regioni, dalla fissazione dei principi fondamentali delle materie di legislazione concorrente, assegnando agli uni ed agli altri ora alla decisione definitiva della Camera dei Deputati, ora a quella del Senato (v. L. Antonini, Brevi note sul progetto di una Seconda Camera territoriale: soluzioni di compromesso per evitare il "suicidio dei Senatori", in "Federalismi.it", 2003, p. 4; R. Tosi, Un Senato articolato sul territorio versus una Camera di rappresentanza regionale, cit.). Anche il limite dell'interesse nazionale, ora nuovamente opponibile alle scelte di politica normativa delle Regioni, viene formalmente reintrodotto (art. 38 del progetto) per essere invocabile dinanzi al solo Senato (con il problematico concorso del Presidente della Repubblica, cui spetta l'eventuale annullamento della delibera regionale). Ma se il Senato si configura come Camera delle Regioni, resta poi da verificare fino a che punto l'interesse nazionale corrisponda alla "somma" degli interessi delle Regioni, che è ciò su cui un Senato Federale potrà convenire, e che, invece, dovrebbe assolvere ad una più ampia funzione di sintesi dei valori dell'ordinamento (cfr. A. Barbera, Regioni e interesse nazionale, Milano, 1973). La scelta di lasciarne invariata la composizione, mentre la Comissione Affari costituzionali prevedeva la partecipazione dei Presidenti delle Giunte e dei Consigli regionali, lascia pensare, invece, che il Senato federale non sia concepito come una vera Camera delle Regioni, ma solo come una sede privilegiata di rappresentazione degli interessi regionali e nazionali (cfr. M. Manetti, Alcune riflessioni sul c.d. Senato federale, in www.associazionedeicostituzionalisti.it) Storicamente, il bicameralismo non è una scelta obbligata. Molte delle Costituzioni approvate dopo la Seconda guerra mondiale hanno optato per sistemi monocamerali ed il bicameralismo (quasi) perfetto si ritrova con maggiore frequenza negli ordinamenti che non presentano una forma di governo parlamentare (v. R. Bifulco, Il bilancino dell'orafo, cit., p. 211 e ss.) ed in cui non esiste, dunque, il "rischio di una dispersione dei rapporti politici parlamento-governo" (G. De Vergottini, Diritto costituzionale comparato, Padova, Cedam, 1999, p. 494). Tra i virtuosismi legati all'esistenza di una Seconda camera federale viene tradizionalmente annoverato, oltre all'arrichimento delle forme della rappresentanza (con la possibilità di dare migliore spazio a minoranze etniche o sociali particolarmente radicate in una parte del territorio), la funzione di camera di riflessione, o di "raffreddamento" rispetto alle decisioni assunte dalle maggioranze politiche, in grado cioè di consentire una maggiore ponderazione delle scelte compiute, una doppia istruttoria, e, di conseguenza, anche una migliore qualità della legislazione (M Volpi, in A. Morbidelli/L. Pegoraro/A. Reposo/M. Volpi, Diritto costituzionale italiano e comparato, Bologna, Monduzzi editore, 1995, p. 419) La stragrande maggioranza dei parlamenti bicamerali sono concepiti in maniera da attribuire maggior peso ad una delle due Camere, normalmente, quella di derivazione popolare diretta. Esistono, tuttavia, molte soluzioni intermedie tra il "temporeggiamento" e la codecisione. Anzitutto, la necessità di un quorum aggravato per superare il veto opposto dalla Seconda camera. In Germania, ad esempio, al Bundestag è richiesta una nuova deliberazione alla presenza di almeno la metà dei membri e con la stessa maggioranza con cui il Bundesrat ha respinto il testo. Il testo approvato, non richiede, invece, alcun aggravamento del quorum perché una Camera superi il veto opposto dall'altra. Per le deliberazioni del Senato, in particolare, è richiesta solo la presenza di due quinti dei suoi membri e dei Senatori di un terzo delle Regioni. Non si tratta, comunque, di un unicum. Esistono, inoltre, soluzioni per così dire, "miste": la Costituzione spagnola, ad esempio, consente di trasformare il veto sospensivo del Senato, che comporta una nuova deliberazione della Camera dei Deputati a maggioranza assoluta, in un veto meramente "ritardante" che, una volta trascorsi due mesi, è possibile superare anche con una maggioranza semplice (art. 90 Cost. spagnola). Nel sistema politico austriaco, basato su governi di coalizione, di fatto il potere di veto del Bundesrat si configura come meramente "ritardante", salvo che nell'ambito di un procedimento di legislazione costituzionale. Tale ritardo, però, in Austria ha una durata di ben otto settimane, al punto che l'opposizione del Bundesrat trova espressione non solamente nell'esercizio del potere di veto, ma anche facendo decorrere inutilmente il periodo previsto: ciò non impone al Nationalrat, e, dunque, alla maggioranza di governo, la mera ripetizione di una procedura di voto già espletata, ma un ritardo di due mesi nell'approvazione del provvedimento (B. Schick, Artikel 42, in K. Korinek/M. Holoubek, Österreichisches Bundesverfasssungsrecht. Kommentar, Wien/New York, Springer, 1999, § 21, p. 17) Anche laddove il Bundesrat non abbia facoltà di opporre un veto assoluto sulle delibere del Bundestag, la Legge Fondamentale tedesca prevede una procedura che può giungere a coprire undici settimane di tempo per le proposte del governo (ovvero, otto, nel caso si tratti di un provvedimento che il governo abbia "eccezionalmente designato, nel trasmetterlo al Bundesrat, come particolarmente urgente", o addirittura quattordici, se richiesto dal Bundesrat "per disegni di legge di particolare ampiezza", art. 76 GG), più il tempo impegnato dalla Commissione paritetica di conciliazione per tentare l'elaborazione di un testo condiviso da entrambe le Camere. Gli esempi di "ritardi" più gravosi di quelli previsti nel progetto approvato dal Senato possono seguitare. Basta ricordare i cento giorni previsti dalla Costituzione francese del 1946 dopo le modifiche apportate dalla legge costituzionale del 1954, un anno dalla prima deliberazione previsto dal Parliamentary Act inglese del 1949 per i public bills presentati dal governo (di solito) alla Camera dei Comuni, I quaranta giorni previsti dal "futuro"(?) art. 70 della nostra Costituzione, che sono venti per la conversione dei decreti legge, contribuiscono, dunque, a rafforzare l'impressione che si sia voluto configurare non un bicameralismo sul tipo di quello che caratterizza gli ordinamenti federali, quanto una sorta di "doppio monocameralismo" (C. Fusaro, Prime valutazioni sul Disegno di legge costituzionale concernente il senato federale della Repubblica, la composizione della Corte Costituzionale, la forma di governo e modificazione degli artt. 104, 117, 127 e 138 della Costituzione in web.unifi.it/progetti/forumcostituzionale; T. Frosini, Luci ed ombre del progetto di riforma costituzionale, in "Federalismi.it", n. 11/2003, p. 5), aggravato, inoltre, dalla dissociazione dei procedimenti previsti per la fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle materie rimesse alla competenza esclusiva delle Regioni, in cui è la Camera dei Deputati che decide in ultima istanza, da quelli relativi alla determinazione dei principi fondamentali delle materie di legislazione concorrente, in cui prevale il voto del Senato. Mentre era necessaria la creazione di un Senato delle Regioni che si configurasse sia come "luogo del dialogo delle Regioni con il centro (...), sia lo strumento di dialogo del centro con le Regioni" (B. Caravita di Toritto, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V. Stato Regioni e autonomie fra Repubblica e Unione europea, Torino, Giappichelli, 2002, p. 160-161), il progetto approvato sembra insistere su una ennesima ed eccentrica forma di "divisione del lavoro", questa volta tra le assemblee, troppo vicine per vocazione e troppo diseguali per funzioni e ruolo (M. Manetti, Alcune riflessioni sul c.d. Senato federale, in www.associazionedeicostituzionalisti/dibattiti).