Novembre 2013 - CENTRO SALESIANO San Benedetto
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Novembre 2013 - CENTRO SALESIANO San Benedetto
L a R ivista del Liceo Scientifico San Benedetto di Par m a Numero 1 - Novembre 2013 Carissimi, iniziare l’avventura di un GIORNALINO della SCUOLA, vuol dire avere nel cuore, nella mente e nella penna quello che don Bosco, grande comunicatore e scrittore, credeva e viveva davvero: il pensiero continuo per Gesù e per gli altri; il pensiero per diffondere ottimismo e gioia; il pensiero di comunicare le attività educative e ricreative; il pensiero di difendere da chiunque e a qualunque costo la fede cattolica. Don Bosco nelle azioni, nel pensiero e nello scrivere aveva sempre di mira il pensiero per i suoi giovani che raggiungeva spesso con tante lettere o bigliettini semplici: “Vicino o lontano, io penso sempre a voi”. Che bello sarebbe se il nostro GIORNALINO nascesse e vivesse con l’intenzione di don Bosco, come mezzo per tenerci uniti e comunicati, ma con lo STILE SALESIANO. In questo mezzo, informatico o cartaceo, mi piacerebbe che sempre più uscisse il volto e i volti del nostro LICEO San Benedetto, ma anche il volto e il sorriso di don BOSCO. Del resto noi oggi siamo qui perché c’è stato Lui; e domani dovremo lasciare ancora Lui qui al San Benedetto, o meglio dovremo lasciare il nostro volto dentro il suo! “LONTANO O VICINO, IO PENSO SEMPRE A VOI” don BOSCO Che il GIORNALINO, allora, sia per la redazione e da parte di chi lo legge uno sguardo, una parola su quel don Bosco che vive al SAN BENEDETTO di PARMA. Vi ho detto, carissimi, quale è il mio sogno su questo GIORNALINO. Vi ringrazio, anzitutto, per questa bella iniziativa. Vi esorto con entusiasmo a portarla avanti sempre. Vi prometto che ne sarò attento lettore e sostenitore. Aff.mo in don Bosco Don Massimo MASSIRONI SdB Direttore Parole per gioco La scelta del nome per il nostro giornalino non è stata semplice: il titolo della testata, ossia il nome del giornalino, deve fornire una prima indicazione sull'idea che sta alla base della creazione di un giornale, deve attirare l'attenzione, essere d'effetto, originale, frutto di creatività - così dicono i manuali di istruzione. Anche tra di noi si è pensato al titolo della nostra “testata” (un nome tecnico che incute timore, in verità), ma prima abbiamo deciso di sbirciare in rete per cogliere qualche buono spunto da quelli di altri istituti. E ne abbiamo trovati di curiosi! Sapete, per esempio, che il celebre liceo Parini di Milano ha avuto più giornalini nella sua storia gloriosa (quelli di Milano si stimano sempre un po' più degli altri)? E sentite che nomi: La Zanzara, testata storica, a indicare curiosità, financo fastidiosa; Prometeo, mitologico, però è il titano che aveva creato l'uomo plasmandolo dalla sabbia e poi aveva dato ai nostri infreddoliti antenati il fuoco per scaldarsi (troppo erudito, durò poco); Lo sputo, ancora meno longevo, due soli numeri (vai ad immaginare quello che si era inventato questo titolo…), anche perché vicino all'austera effige dell'abate Parini non stava proprio bene; Il ditirambo, bella l'idea di un canto corale, quasi ovvio per un liceo classico; e poi il Porro (quando s'andava a funghi), e giù con La Tromba, Scrivi che ti passa, L'analfabeta, Il pane e le rose (un momento di pace conviviale?), per finire con Lo Zabaione (alludevano forse anche a Il Zabaione musicale, esilarante composizione di tal Adriano Banchieri, musico bolognese del tardo Rinascimento?!), nel cui logo, però, ricompare una zanzara... Più istituzionali sicuramente quelli del liceo Pirandello di Gioia Sannitica, nel casertano: si sono mossi da Noi & voi prot@gonisti, a La nostra antologia, fino a Scrittori in erba. Forse mancavano di slancio artistico? Il liceo Melchiorre Delfico di Teramo, invece, ha combinato impeto da battaglia e nome dell'istituto: ne è uscito il De bello delfico, e se la loro è stata anche una campagna culturale, la testata sembra proprio azzeccata. Ma abbiamo cercato anche qualche spunto dai licei scientifici, che sembrano (ma sembrano soltanto) tacere nel panorama nazionale: gli studenti del liceo Castelnuovo di Firenze hanno chiamato il loro giornalino DeGeneratione, che ovviamente dà adito ad almeno due interpretazioni (che lasciamo all'acume e alla cultura latina di chi legge). Gioco di parole, parole in gioco. Versione on line aggiornatissima, però. Gli studenti del liceo scientifico Filippo Brunelleschi (di Firenze? no) di Afragola, vicino Napoli raccolgono le proprie idee nel Libero Pensiero, il cui primo numero era per loro «un assaggio, un esperimento, una transizione e un'attesa». Prudente (quasi troppo), ma ben strutturato (buona l'idea di unire tutti gli articoli con un titolo che funzioni da matrice di fondo: «Il tempo de …») e di grandi aspettative: si propone infatti come periodico mensile! (però è un istituto immenso, una decina di sezioni). «Fermi tutti» è il titolo di sicuro impatto del giornalino del liceo E. Fermi di Policoro, vicino Matera: e per chi non lo avesse notato, il cognome del grande fisico è diventato il predicativo dell'ordine perentorio della testata. O, per concludere qui, L'Eco di Giulia, per il periodico del liceo delle Scienze Umane “Giulia M. Colombini” dei nostri vicini di Piacenza. Ancora giochi di parole, parole in gioco, parole per gioco. Giornalino è anche questo. IL NOSTRO INVIA TO IN RETE Isabella Zanotti M O R G À I G A N I D E E C N I ALLE TR DI LAURA BARALDI Il 25 settembre scorso i ragazzi di IV e V si sono recati alle trincee di Nagià Grom, per una visita d'istruzione. Definirla una semplice gita è probabilmente riduttivo: per quanto mi riguarda si è trattato di un'esperienza toccante e ricca di significato. Un passo dopo l'altro abbiamo ripercorso i luoghi della memoria, dove i battaglioni delle truppe austriache e italiane si scontrarono durante la Prima Guerra Mondiale: il terreno lascia conserva ancora le ferite delle bombe, non è cosa da tutti i giorni. Studiare la Storia sui libri è troppo facile, troppo riduttivo. Quasi da codardi, oserei dire. Occorre entrare nel vivo delle emozioni che le testimonianze racchiudono e ci raccontano; troppo spesso chi studia le considera secondarie. Forse perché se studiassimo dal punto di vista dei sentimenti e delle emozioni saremmo più coinvolti, ci sentiremmo certamente chiamati in causa e non solo spettatori sterili di qualche evento accaduto quasi cento anni fa. Questa esperienza mi ha fatto capire cosa sia la guerra meglio di quanto lo possano fare fotografie, articoli e libri. La storia si potrà leggere, la si potrà studiare confrontando i documenti o si potranno ascoltare racconti dei testimoni, ma non si potrà mai capire la drammaticità della guerra se non recandosi sui luoghi dove è stata combattuta. E anche così le ci si può avvicinare solo con l'immaginazione. Mentre percorrevamo i tranquilli sentieri nel bosco, costruiti a mano nella terra e nella pietra, mi immaginavo i soldati prostrati dalle intemperie e, come se non bastasse, sotto una pioggia di schegge e proiettili, durante l'attacco nemico. Mi chiedevo come fosse stato possibile che in luoghi così tranquilli, ormai del tutto ricoperti dalla vegetazione e dall'aspetto così pacifico fossero state combattute battaglie terribili che avevano mietuto migliaia di vittime. Come poteva la morte avere preso il sopravvento in quel modo? Come era possibile che le montagne, con la loro grandezza, fossero state spettatrici di una simile tragedia? Visitando gli alloggi dei soldati, la cucina da campo o i luoghi di vedetta si percepiva la terribile condizione a cui erano sottoposti i soldati in guerra. Diventava subito chiarissimo che tutto quello che a noi sembra necessario per la vita di ogni giorno, per un soldato che viveva nelle trincee non fosse di più che un accessorio. Quello che ti tiene legato alla vita, quando ci pensi, è la speranza più o meno forte che l'uomo non sia fatto solo di questo, non solo di odio. Ammetto di avere difficoltà ad immedesimarmi, ma se solo ci provo comprendo quanto possa essere stato difficile sopravvivere, scegliere la vita e non la resa. E ulteriore sconvolgimento arriva anche dalla visita al Museo della Prima Guerra Mondiale: nelle teche sono esposti divise ed elmetti spesso segnati dalle bombe e dalle ferite. Impressionante la scritta sulla borsa della maschera antigas “Mettitela o muori”: questo e altri particolari lasciano sbigottiti. La guida che ci accompagna è molto chiara: ogni arma, ogni dettaglio ci vengono presentati senza giri di parole. La vita e la morte si riducevano a un attimo, dipendevano da un colpo fortuna o dei sfortuna, il destino sfuggiva dalle mani. Durante la battaglia eri appeso a un filo sottilissimo. Sono letteralmente rimasta paralizzata capendo la facilità con cui si moriva nelle trincee. Perché si è arrivato a tanto? Come si faceva a non impazzire in quei buchi infernali? E una volta sfuggiti alla morte, finita la Grande Guerra, come si poteva ricominciare? Come di poteva ritrovare la fiducia negli altri, nella vita, nella speranza e soprattutto nel futuro? A molte di queste domande si può solo abbozzare una risposta, ma il messaggio di fondo è molto chiaro. È importante tenere viva la memoria di quegli anni affinché tutto ciò non si ripeta. Viviamo anche oggi in un periodo di crisi e la televisione ci presenta guerre e pagine di cronaca nera. Ma certe cose non dovrebbero ripetersi. Mai più. TRADIZIONI LOCALI Al vén DI LEONARDO FIGNA Il vino e l'osteria sono sempre stati visti come occasione di divertimento e di consolazione dopo le fatiche della giornata. L'euforia del vino si trasmette anche nella fantasia popolare, con cui vengono definiti i bevitori e i vari modi di bere. Sono presenti, però, anche inviti al senno e alla moderazione. E non manca la luna. Innanzitutto, prima di poter parlare di vino, si deve parlare di uva. Esistono in merito antiche testimonianze scritte, come una pergamena datata 22 novembre 860 che riporta la vendita di un podere tra l'Enza e Porporano, a documentare la presenza di viti e la produzione di vino nel parmense. A tal proposito ancora ai giorni nostri sono particolarmente rinomate le zone come la fascia collinare compresa tra Maiatico, S.Vitale Baganza e Torrechaira per la Malvasia, così come per il Lambrusco San Secondo, Fontanellato e dintorni. Molto importati per la buona produzione di vino sono il clima, non troppo torrido, il terreno, (si privilegia quello povero), come il terreno calcareo, e una buona esposizione al sole per tutto il periodo di fruttificazione. La vita del vino comincia con la potatura (podädùra) delle viti, da inverno inoltrato fino a fine febbraio, in cui si tolgono i rami che hanno fruttificato l'anno precedente (si ricorda il detto: “Fammi povera che ti farò ricca”) e la legatura dei tralci che porteranno frutto. Alla fine di marzo i boccioli della vite cominciano a germogliare e a maggio si ha l'inizio della fruttificazione con la fioritura. Da qui si aspetta fino agli inizi di settembre, periodo in cui ha inizio la vendemmia (vendémja), cioè il processo di raccolta dell'uva, una fase che da noi aveva i caratteri di gioia familiare e di un'intima comune soddisfazione. Dopo di essa si procede allora con la pigiatura (mostadùra): l'uva raccolta viene versata in immensi tini dove diverse persone schiacciavano con i piedi le graspe per estrarre il prezioso succo. Si separa quindi il mosto (mòsst) dalle vinacce (vinàsi), composte dalle “graspe” e dai semi. Dopo tale processo si procedeva a spremere le vinacce mediante l'uso di torchi meccanici, per estrarre ogni goccia di mosto residuo. Il succo quindi veniva lasciato fermentare in tini chiusi per circa otto-dieci giorni, per poi iniziare il processo di svinatura (zvinädùra), che consisteva nel travasarlo in damigiane affinché potesse fermentare nei mesi invernali. Il vino così “matura” e, attraverso un piccolo foro, ha la possibilità di purgarsi dalle impurità residue. Alla fine del suo processo di maturazione si inizia, alla fine dell'inverno, l'imbottigliamento (imbotiljadùra). Esso deve avvenire durante l'ultimo quarto della luna di marzo, allo scopo di avere allo stappo un vino frizzante, vivo e corposo. Adesso il vino è pronto da stappare, per essere gustato in spensierata allegria. ! O V I V O C O A F U i cucina / Cucina di scuola Scuola d Trionfo di anno scolastico con contorno di felicità di Martina Aragosti e Margherita Gabba Setacciate 250g di metodico studio, due gocce di pazienza, una tazza di ot timismo e quat tro cucchiai di buona volontà. Mescolate un litro di at tenzione con un pizzico di fortuna e amalgamate il tut to con una buona dose di fede. Aggiungete uno zaino pieno di libri, due manciate di speranza, qualche quaderno ordinato e un pacco di entusiasmo. Impastate qualche noce di amicizia e due dadini di umiltà. Met tete tut to in ammollo in una grande quantità di buon umore. Condite il preparato con molto buon senso e lasciate cuocere a fuoco vivace. A cot tura finita lasciate riposare e servite caldo. Tempo di preparazione: un pomeriggio di studio Difficoltà: media Costo: tut ta l'energia che avete D L O A V O C R A M I D L'ANGOLO di Davide Dodi Ore 6.51: l'epopea del pendolare. Studenti e prof in treno Ore 6.51: inizio dello strazio. Come è noto, molte persone si servono dei mezzi pubblici per raggiungere l'istituto scolastico, o il luogo di lavoro, ma non tutti sanno che questa è un'esperienza estenuante e snervante. 6.51, il treno Salsomaggiore T.-Fidenza chiude inesorabilmente le porte e parte lasciando a piedi i pochi e soliti ritardatari, che corrono disperatamente lungo i binari all'inseguimento del treno, nella speranza (vana) di un gesto di compassione del conducente. I treni di Trenitalia non sono solo in ritardo: sono spietati! Per gli (ancora assonnati) passeggeri si prospettano alcuni minuti di riposo, o per alcuni di ripasso. Scesi dal mezzo, e dopo aver attraversato l'intera piattaforma, si giunge nella stazione fidentina dove tutti cercano calore e riparo, e dove i più fortunati trovano un posto a sedere, dal valore uguale a quello dell'oro, data la loro strenua presenza. Dopo 10 minuti di attesa ci si accinge al binario tre e si prende il treno per Ancona, con fermata a Parma. La banchina in pochi secondi si affolla e tutti cercano di avvicinarsi il più possibile al binario per salire per primi: molti per far questo oltrepassano la linea gialla e il macchinista del treno che sta giungendo suona la sirena assordando i presenti e creando un trambusto generale. Non appena il treno è fermo tutti si accalcano alle porte, non permettendo alle persone appena arrivate di scendere, aumentando l'attesa. Il treno si riempie velocemente e altrettanto velocemente i posti liberi scompaiono come neve al sole, fino al punto in cui si esauriscono e allora le corsie si riempiono e la circolazione diventa impossibile. Intanto il treno è partito e gli impianti per la regolazione della temperatura funzionano come sempre: o soffiano a palla, o non soffiano affatto. È per i propri clienti che Trenitalia crea nelle proprie carrozze di seconda classe le condizioni climatiche di ambienti esotici: ambiente caldo u m i d o equatoriale a maggio, clima subpolare a gennaio (con tanto di neve sui sedili), clima monsonico umido ad marzo (con pioggia scrosciante e acquitrino inclusi). E se qualcuno non dovesse gradire, per lui echeggia sempre, in stazione, la formula di cortesia: «ci scusiamo per il disagio». Capita non di rado che il convoglio, nella tratta Fidenza-Parma, improvvisamente rallenti la sua folle corsa nella campagna nel ridicolo tentativo di recuperare il ritardo cronico, arenandosi nella nebbia, o arrestandosi per qualche minuto alla stazione di un paesello fantasma, dal nome poco ghibellino: Castelguelfo. La tratta in treno finisce, ma il supplizio no: arrivati nella stazione di Parma, i primi a toccare il suolo sono coloro che per la premura di scendere si sono alzati dai loro posti ancora a Castelguelfo e si sono appressati alle porte con congruo anticipo. Raggiunta la banchina della stazione, la folla di pendolari dà l'assalto all'unica scala del sottopassaggio, impiegando ingegnosamente strategie tipicamente italiane (sorpassi tattici, accostamenti furtivi, spintoni apparentemente involontari). Risultato: un ingorgo, un groviglio inestricabile di gente pigiata l'una sull'altra che ondeggia terribilmente, contro la cui corrente cerca invano di raggiungere il treno la malcapitata signora che sale le scale in senso opposto sotto il peso di una valigia enorme. La massa di individui invade il passaggio sotterraneo e deve compiere un percorso obbligato, con inversioni a U e curve a gomito (è la stazione di Parma momentaneamente in fase di ristrutturazione, «ci scusiamo per il disagio»), per giungere finalmente fuori dal suolo di Trenitalia. L'odore dei freni bruciati, la puzza di letame delle carrozze, i finestrini a sbalzo dai quali è severamente vietato sporgersi anche quando sono stati bloccati dai controllori, la ruggine delle vecchie lamiere e lo sbuffo del trenino a gasolio vi accompagneranno nel vostro viaggio, ma tranquilli: Trenitalia non mancherà di scusarsi per il disagio. CRONICA L’inizio di Nicolò Bertoli Non è una semplice passeggiata, nemmeno un rito o una tradizione. È qualcosa di più, una chiamata che porta un'intera scuola a svegliarsi all'alba e percorrere gli svariati chilometri che distanziano i cancelli del San Benedetto al portone del Santuario della Beata Vergine del Santo Rosario di Fontanellato. Un vero e proprio viaggio, un cammino simbolico carico di fede e speranze. Ed è così da molto tempo: ogni anno, nemmeno all'alba, un copioso gruppo di ragazzi si prepara, cammina, ride e scherza diventando sempre più numeroso chilometro dopo chilometro fino ad arrivare alla meta, alla destinazione. Non è una silenziosa e contrita marcia, ma un momento gioioso e allegro dove oltre alla serietà della preghiera ci si conosce, ci si parla, ci si sente un'unica squadra. Camminando, infatti, si scaldano i muscoli e gli animi, così il cammino diventa anche un momento per scherzare e gioire, raccontarsi le avventure dell'estate appena trascorsa e incontrare nuovi e vecchi amici. Ma tra una risata e l'altra, la vista del sole che sorge, stropicciandosi gli occhi perché ancora intorpiditi, riponendo nello zaino la felpa e bevendo un sorso d'acqua si pensa, si riflette. È proprio vero che camminare schiarisce le idee e nonostante i sorrisi tutti ci por tiamo dentro una serie di preoccupazioni, paure e propositi per l'anno scolastico che incombe. Chi guarda la maturità con spavento, chi è un po' spaesato nella nuova classe e chi vede lo studio con preoccupazione, timoroso di non raggiungere i propri obiettivi. Passo dopo passo si pensa anche a questo, alla fatica di ricominciare, abbandonate le oziose giornate in spiaggia, a riprendere in mano la trigonometria e i vocabolari. Ed è anche per questo che intraprendiamo questo percorso, per sostenerci a vicenda, per supportarci l'uno con l'altro e chiedere un aiuto, un sostegno non solo a chi ha più esperienza e anni di noi ma che bisogna cercare nella fede. La vista del Santuario in lontananza distrae ognuno dai propri pensieri e l'arrivo è sempre una soddisfazione. Anche quest'anno ce l'abbiamo fatta. di un cammino Con le gambe stanche e le palpebre pesanti, ma con le orecchie tese all'ascolto arriviamo, al clou di questo percorso: la Celebrazione Eucaristica presieduta dal neo direttore don Massironi. È nelle sue parole che dobbiamo cercare la risposta ai nostri dubbi e alle nostre perplessità. ”Bisogna af f rontare quest'anno con determinazione, tenersi lontano dai “serpenti”, le tentazioni, tutto ciò che porta fuori strada e non è compromettente solo per il nostro rendimento, bensì per la nostra stessa vita. Non abbiate paura a chiedere aiuto a insegnanti e genitori. Ricordatevi che il calore umano di un abbraccio è una risorsa, dobbiamo supportarci tra noi senza paure, altrimenti non possiamo nemmeno sopravvivere. E questo supporto dobbiamo trovarlo non solo tra noi, ma anche nella fede”. Anche quest'anno è andata (pensa qualcuno), è finita la prima di una lunga serie di esperienze, incontri e momenti che portano le persone a crescere, a maturare e a dividere i veri valori, come l'amicizia, dalle cose effimere e superflue con cui ogni giorno la società ci bombarda. Dobbiamo renderci conto che il vero cammino inizia ora. Un anno carico di sorprese, esperienze e attività, da affrontare con quella grinta che solo i ragazzi di don Bosco sanno tirare fuori. L'anno è iniziato. L’intervista di Martina Rossi Per un buon aspirante giornalista la parola “impossibile” non esiste. Non si lascerebbe mai sfuggire un'intervista a un grande personaggio. E se il personaggio fosse storico, e per forza di cose, decisamente e definitivamente irraggiungibile, essendo stata decapitata il 16 ottobre 1793, duecentoventi anni fa: cosa dovrebbe fare, l'aspirante giornalista in questione? Arrendersi? Nemmeno per sogno: se non sarà possibile intervistarla, sarà un'intervista impossibile, comunque un'intervista. In esclusiva per i nostri lettori l'intervista impossibile a Maria Antonietta, figlia di Francesco I, imperatore del Sacro Romano Impero e regina di Francia. Maria Antonia Josepha Johanna von Habsburg Lothringen, conosciuta anche come Maria Antonietta, mi riceve all'interno dei giardini di Versailles. I giardini della regina sono meravigliosi, anche se in confronto a quelli del re non 0sono nulla. Indossa un abito azzurro con decori in pizzo bianchi. Vista di persona è ancora più bella di come viene descritta, con gli occhi celesti e il viso incorniciato da capelli così chiari da sembrare bianchi. Dopo essermi presentata e aver fatto una reverenza le pongo la prima domanda. Cosa pensa della famosa macchia di inchiostro fatta mentre firmava le nozze con Luigi XVI? Io non sono una persona superstiziosa, quindi non penso che una sciocca macchia possa influenzare il governo che io e mio marito, con i nostri collaboratori, stiamo portando avanti. C'è un fondo di verità in ciò che si dice sul conte svedese Hans Axel Von Fersen? Io e il conte siamo sempre stati buoni amici. Ci siamo conosciuti a una festa in maschera quando io ero ancora la Delfina di Francia. In seguito è dovuto andare in Inghilterra per sposarsi, ma è tornato in Francia dove attualmente è a capo di un reggimento. Da quando ci siamo conosciuti abbiamo coltivato una grande amicizia. Non ho altro da dire in proposito. Mi parli allora dei suoi famosi balli di corte. I balli sono stati per me la salvezza, poiché grazie ad essi ho conosciuto i componenti della nobiltà francese. Quando sono arrivata in Francia non conoscevo nessuno e spesso ero triste. I balli mi rallegravano e io adoro la musica. Lo sa che con tutti i soldi che spende in balli, vestiti, gioielli e parrucche sta portando la Francia la fallimento? Molti fanno fatica a comprare il pane perché costa troppo. Come faranno se non avranno nemmeno quello? Che problema c'è? Se non hanno il pane che mangino le brioches! Secondo lei passerà velocemente questo periodo di crisi? Certo che passerà velocemente. La Francia è come un albero: io e mio marito siamo il tronco, i rami sono il clero e le foglie il popolo. Come lei ben sa è difficile abbattere un albero, così è difficile abbattere la Francia. Sono sicura che la crisi sia solo un brutto momento, che passerà. Maria Antonietta non sembra comprendere la sofferenza del popolo per questa crisi e non si rende conto che potrebbe fare molto di più per la Francia. Molti ne parlano come di una donna frivola ed è molto chiacchierata: vive una vita sfarzosa e ricca di eventi, ma il suo sguardo ha qualcosa che fa pensare, qualcosa di triste e di sperduto. Forse anche lei si è sentita derubata quando a soli 15 anni è venuta in Francia lasciando la famiglia e i luoghi in cui era cresciuta per trovare un ambiente nuovo, spesso, a quanto si dice, ostile. Il pane e le brioches non le mancano. Eppure nemmeno lei ha tutto… L'oroscopo didi Anna Anna Guidetti Guidetti ee Laura Laura Figna Figna AR IET E (21 marzo-20 aprile) Periodo tranquillo e scorrevole. Le verifiche non saranno difficili per il vostro intellet to rapido e scat tante. Uscirete abbastanza bene dalle interrogazioni. Consiglio: carpe diem VOT O: 7,5 T ORO (21 aprile-20 mag gio) Periodo impegnativo. Vi verranno richiesti molti sforzi e fatiche importanti per raggiungere i vostri obbiet tivi. Ne uscirete orgogliosi di voi stessi, consapevoli del prezzo delle vostre vit torie. Consiglio: trovate il tempo per una doccia VOT O:8 GEMELLI (21 Mag gio-21 Giugno) Periodo complicato ricco di richieste, anche incalzanti. Controllate le parole, se non volete prendere delle note. Consiglio: dov' è il vostro badge? VOT O: 6,5 CA NCRO (22 Giugno-22 Luglio) Periodo molto positivo: successi, trionfi e felicità. Fate maturare le vostre idee e trasformatele in realtà. Consiglio: correggete gli insegnanti, potete permet tervelo. Inoltre, se lo meritano. VOT O: 9 LEONE (23 Luglio- 23 Agosto) Periodo scorrevole, ma non fateci l a' bitudine: studiate e impegnatevi lo stesso. Non fingete. Consiglio: ripassate, ripassate, ripassate VOT O: 7 VERGINE (24 Agosto- 22 Set tembre) Periodo felice. Vi sentite studiosi, forti e padroni della situazione. Ot timismo. I più coraggiosi ne approfit tino per cambiare. Per sempre. Consiglio: preparatevi per il Nobel VOT O: 9 BILA NCIA (23 Set tembre- 22 O t tobre) Tut to a gonfie vele! Puntate in alto, dovete. Consiglio: offritevi in tut te le materie VOT O: 8 SCOR P IONE (23 O t tobre-22 Novembre) Periodo cruciale: dovete recuperare una materia specifica. La vostra intelligenza vi aiuterà, tranquilli. Consiglio: Studiate, se volete godervi il Natale. VOT O: 5 SAGIT TAR IO (23 Novembre- 21 Dicembre) Periodo complicato ricco di tensioni, arrabbiature, confusioni e litigi. Siate pazienti e più precisi nello studio. Consiglio: contate fino a dieci prima di parlare. Aiutatevi con le dita, se serve. VOT O: 5,5 CAP R ICOR NO (22 Dicembre- 20 Gennaio) Periodo scoppiet tante. La vostra mente lucida come una Ferrari trionfa nello studio. Piovono risultati positivi. Consiglio: esprimete un desiderio. VOT O: 9 AQUAR IO (21 Gennaio- 19 febbraio) Periodo dei peggiori. Perdete di vista il rapporto coi compagni di classe: vi sentite soli. Stanchissimi. Consiglio: Non suicidatevi, siete troppo stanchi per farlo! VOT O: 4 PESCI (20 Febbraio- 20 Marzo) Periodo di recupero ma con qualche giornata complicata. Interrogazioni a sorpresa, ma saprete farvi fronte. Qualche calo di concentrazione: at tenti agli errori di calcolo. Consiglio: non lamentatevi troppo VOT O: 6 In ritiro a La Verna di Irene Abbati 6 novembre 2013, ore 17:30. Con la testa appoggiata al finestrino del pullman guardo la terra scorrermi accanto, veloce. Il cielo è limpido, tinto dei colori tenui e caldi del tramonto. Le risate dei ragazzi riempiono l'aria di pensieri liberi. Osservo gli sguardi annoiati dei lavoratori stanchi, che guidano verso casa. Da fuori questo è soltanto un comune pullman di ragazzi, di ritorno da una gita. Questa volta, però, non è così. Non per noi. La mia mente rievoca i momenti appena passati, che ora mi scorrono davanti agli occhi come le immagini di un film. Siamo appena arrivati a La Verna. Scendiamo dal pullman e, trascinando le valigie, percorriamo il breve tratto di sentiero che ci separa dal luogo dove alloggeremo. Il cielo è nuvoloso. L'aria fredda trapassa i vestiti e ci punge la pelle. Il benvenuto è gelido, ma la vita che quaranta ragazzi sono capaci di portare è la prima e più importante fonte di calore che scopro. La seconda è un camino, nella prima stanza della casa, che viene immediatamente acceso dai più abili. Mentre salgo verso le camerate, osservo come la semplicità possa prendere forma negli ambienti e negli arredi. Penso a Francesco, a quando non veniva ancora chiamato “Santo”, a quando era solo un ragazzo. Lui, che parecchio tempo prima di noi, era venuto lì, in un posto senza case, persone, rumori, per stare in silenzio e pregare. Dopo pranzo, partecipiamo all'ora Nona e un giovane frate ci accompagna con i passi e le parole attraverso i luoghi caratteristici di questa terra santa. Ci racconta di Francesco, di quanto veramente amasse Gesù e di quanto desiderasse diventare come Lui. “È come quando siamo innamorati”, spiega, e amiamo e stimiamo e adoriamo così tanto qualcuno da volergli somigliare. Il frate prosegue, e racconta che Gesù aveva capito a fondo questo amore e l'aveva ricambiato a tal punto da rendere “l'amante uguale all'amato”, uguale a Sé. Lì, Francesco aveva ricevuto in dono i SEGNI dell'Amore: le stigmate. Poco dopo torniamo nella nostra casa e, riscaldati dal fuoco ancora acceso, ascoltiamo le parole di Don Elio Cesari, responsabile della pastorale giovanile in Emilia e Lombardia. Ci parla attraverso il discorso di un altro Francesco: il nostro Santo Padre. Usa le parole che il Papa aveva rivolto, prima alle monache di clausura e poi ai giovani radunati ad Assisi. Sono parole semplici e dirette, che fanno nascere nuove domande e che ci aprono al confronto. Alla sera, prima di un momento di gioco, viene a farci visita Suor Monica, la superiora delle Clarisse Missionarie, e ci parla della sua vita, della pace del cuore, rispondendo alle nostre domande con la pazienza di una madre. Il giorno successivo ci svegliamo col sole. Il paesaggio è meraviglioso. Dappertutto la terra è coperta di foglie secche, che scricchiolano sotto i piedi e solo ogni tanto si riesce ad intravedere il cielo limpido attraverso il tetto di rami che ci sovrasta. Don Elio ci fa ascoltare una canzone, intitolata:“Gli spiriti del SOLE”. Sarà un caso? Ci viene lasciato spazio per il silenzio, che è un tesoro prezioso in luoghi santi come questi. Abbiamo la possibilità di confessarci ed è bello vedere non pochi ragazzi che attendono il loro turno a fianco del confessionale, raccolti in preghiera. Infine celebriamo la messa e, senza volerlo, riscaldiamo le mura fredde della chiesetta, con la nostra presenza e con la nostra voce. Siamo in autogestione per cui, dopo il pranzo, ci resta ancora una cosa da fare: le pulizie. Sembriamo tanti piccoli-grandi spazzini. Tutti e 44, armati di scopa, guanti e stracci, ci aggiriamo per la casa ridendo, bagnandoci con gli stracci umidi, ascoltando la musica e rovesciando qualche secchio. D'improvviso sento qualcuno chiamarmi da dietro. Ritorno alla realtà. In pullman i nostri volti, leggermente stanchi, sono segnati dai sorrisi e animati da chiacchiere allegre. Nell'aria c'è un velo di sana rassegnazione per il ritorno al “domani scolastico”. Ora, più che in ogni altro momento, mi rendo conto che è vero: siamo qualcosa di speciale. Il sabato è un giorno metafisico. Il sabato è un giorno metafisico. Di mattina la città è deserta, come un quadro di De Chirico, assordante nel suo silenzio di tanto in tanto interrotto dallo sfrecciare pesante di un'auto che sembra perduta. Di sabato la città è un paese di confine: l'aria ha il colore del vuoto, la strada è tutta uguale, le case e i palazzi sono indifferenti, i viali sono immensi, i platani sono immobili. Il sabato mattina la stazione è deserta, gli altoparlanti gracchiano gli annunci che nessuno ascolta e nessuno aspetta, nessuno parte, nessuno corre. Il treno arriva e le porte si aprono inutilmente, come inutilmente si richiudono. I sedili delle carrozze sono muti, aspettano qualcuno che non verrà. Il treno corre, leggero, ma nessuno ha fretta: di sabato non c'è nessuno, il sabato è un giorno metafisico. Di sabato il tempo non ha senso: le ore sono più corte, i minuti sono più lunghi, le lancette girano, ma nessuno le guarda con apprensione. Il sabato è un'ombra lunga senza il sole. È un cielo senza nubi, un cortile senza bimbi, una porta che non si apre. Il sabato è una musica che non si ascolta, è un colore senza luce, uno specchio che non riflette. Il sabato è stanco, il sabato è silenzio, il sabato è attesa, il sabato è illusione, il sabato è noia. Il sabato è una piazza inutilmente grande, le panchine vuote, l'acqua ferma della fontana, lo sguardo perduto di un passante. L'unico passante. Il sabato è un giorno metafisico. Heautontimoroùmenos “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Gandhi Adwa Viaggio alla Missione Salesiana in Etiopia OPERA SCOLASTICA SALESIANA “SAN BENEDETTO” P.le S. Benedetto, 5 - 43121 – PARMA telefono 0521381411 fax: 0521206085 [email protected] www.salesianiparma.it