Novembre 2013 - CENTRO SALESIANO San Benedetto

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Novembre 2013 - CENTRO SALESIANO San Benedetto
L a R ivista del
Liceo Scientifico
San Benedetto
di Par m a
Numero 1 - Novembre 2013
Carissimi,
iniziare l’avventura di un GIORNALINO della SCUOLA, vuol dire avere nel cuore,
nella mente e nella penna quello che don Bosco, grande comunicatore e scrittore,
credeva e viveva davvero: il pensiero continuo per Gesù e per gli altri; il pensiero
per diffondere ottimismo e gioia; il pensiero di comunicare le attività educative e
ricreative; il pensiero di difendere da chiunque e a qualunque costo la fede
cattolica.
Don Bosco nelle azioni, nel pensiero e nello scrivere aveva sempre di mira il
pensiero per i suoi giovani che raggiungeva spesso con tante lettere o bigliettini
semplici: “Vicino o lontano, io penso sempre a voi”.
Che bello sarebbe se il nostro GIORNALINO nascesse e vivesse con l’intenzione di
don Bosco, come mezzo per tenerci uniti e comunicati, ma con lo STILE
SALESIANO.
In questo mezzo, informatico o cartaceo, mi piacerebbe che sempre più uscisse il
volto e i volti del nostro LICEO San Benedetto, ma anche il volto e il sorriso di don
BOSCO. Del resto noi oggi siamo qui perché c’è stato Lui; e domani dovremo
lasciare ancora Lui qui al San Benedetto, o meglio dovremo lasciare il nostro
volto dentro il suo!
“LONTANO
O VICINO,
IO PENSO
SEMPRE A VOI”
don BOSCO
Che il GIORNALINO, allora, sia per la redazione e da parte di chi lo legge uno
sguardo, una parola su quel don Bosco che vive al SAN BENEDETTO di PARMA.
Vi ho detto, carissimi, quale è il mio sogno su questo GIORNALINO.
Vi ringrazio, anzitutto, per questa bella iniziativa.
Vi esorto con entusiasmo a portarla avanti sempre.
Vi prometto che ne sarò attento lettore e sostenitore.
Aff.mo in don Bosco
Don Massimo MASSIRONI SdB
Direttore
Parole per gioco
La scelta del nome per il nostro giornalino non è
stata semplice: il titolo della testata, ossia il nome
del giornalino, deve fornire una prima indicazione
sull'idea che sta alla base della creazione di un
giornale, deve attirare l'attenzione, essere d'effetto,
originale, frutto di creatività - così dicono i manuali
di istruzione. Anche tra di noi si è pensato al titolo
della nostra “testata” (un nome tecnico che incute
timore, in verità), ma prima abbiamo deciso di
sbirciare in rete per cogliere qualche buono spunto
da quelli di altri istituti. E ne abbiamo trovati di
curiosi!
Sapete, per esempio, che il celebre liceo Parini di
Milano ha avuto più giornalini nella sua storia
gloriosa (quelli di Milano si stimano sempre un po'
più degli altri)? E sentite che nomi: La Zanzara,
testata storica, a indicare curiosità, financo
fastidiosa; Prometeo, mitologico, però è il titano
che aveva creato l'uomo plasmandolo dalla sabbia
e poi aveva dato ai nostri infreddoliti antenati il
fuoco per scaldarsi (troppo erudito, durò poco); Lo
sputo, ancora meno longevo, due soli numeri (vai
ad immaginare quello che si era inventato questo
titolo…), anche perché vicino all'austera effige
dell'abate Parini non stava proprio bene; Il
ditirambo, bella l'idea di un canto corale, quasi
ovvio per un liceo classico; e poi il Porro (quando
s'andava a funghi), e giù con La Tromba, Scrivi che
ti passa, L'analfabeta, Il pane e le rose (un
momento di pace conviviale?), per finire con Lo
Zabaione (alludevano forse anche a Il Zabaione
musicale, esilarante composizione di tal Adriano
Banchieri, musico bolognese del tardo
Rinascimento?!), nel cui logo, però, ricompare una
zanzara...
Più istituzionali sicuramente quelli del liceo
Pirandello di Gioia Sannitica, nel casertano: si sono
mossi da Noi & voi prot@gonisti, a La nostra
antologia, fino a Scrittori in erba. Forse mancavano
di slancio artistico?
Il liceo Melchiorre Delfico di Teramo, invece, ha
combinato impeto da battaglia e nome dell'istituto:
ne è uscito il De bello delfico, e se la loro è stata
anche una campagna culturale, la testata sembra
proprio azzeccata.
Ma abbiamo cercato anche qualche spunto dai licei
scientifici, che sembrano (ma sembrano soltanto)
tacere nel panorama nazionale: gli studenti del
liceo Castelnuovo di Firenze hanno chiamato il loro
giornalino DeGeneratione, che ovviamente dà adito
ad almeno due interpretazioni (che lasciamo
all'acume e alla cultura latina di chi legge). Gioco di
parole, parole in gioco. Versione on line
aggiornatissima, però.
Gli studenti del liceo scientifico Filippo Brunelleschi
(di Firenze? no) di Afragola, vicino Napoli
raccolgono le proprie idee nel Libero Pensiero, il cui
primo numero era per loro «un assaggio, un
esperimento, una transizione e un'attesa».
Prudente (quasi troppo), ma ben strutturato
(buona l'idea di unire tutti gli articoli con un titolo
che funzioni da matrice di fondo: «Il tempo de …»)
e di grandi aspettative: si propone infatti come
periodico mensile! (però è un istituto immenso, una
decina di sezioni).
«Fermi tutti» è il titolo di sicuro impatto del
giornalino del liceo E. Fermi di Policoro, vicino
Matera: e per chi non lo avesse notato, il cognome
del grande fisico è diventato il predicativo
dell'ordine perentorio della testata. O, per
concludere qui, L'Eco di Giulia, per il periodico del
liceo delle Scienze Umane “Giulia M. Colombini” dei
nostri vicini di Piacenza. Ancora giochi di parole,
parole in gioco, parole per gioco. Giornalino è
anche questo.
IL NOSTRO INVIA
TO IN RETE
Isabella Zanotti
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ALLE TR
DI LAURA BARALDI
Il 25 settembre scorso i ragazzi di IV e V si
sono recati alle trincee di Nagià Grom, per una
visita d'istruzione. Definirla una semplice gita è
probabilmente riduttivo: per quanto mi riguarda
si è trattato di un'esperienza toccante e ricca di
significato. Un passo dopo l'altro abbiamo
ripercorso i luoghi della memoria, dove i
battaglioni delle truppe austriache e italiane si
scontrarono durante la Prima Guerra Mondiale:
il terreno lascia conserva ancora le ferite delle
bombe, non è cosa da tutti i giorni.
Studiare la Storia sui libri è troppo facile, troppo
riduttivo. Quasi da codardi, oserei dire. Occorre
entrare nel vivo delle emozioni che le
testimonianze racchiudono e ci raccontano;
troppo spesso chi studia le considera
secondarie. Forse perché se studiassimo dal
punto di vista dei sentimenti e delle emozioni
saremmo più coinvolti, ci sentiremmo
certamente chiamati in causa e non solo
spettatori sterili di qualche evento accaduto
quasi cento anni fa. Questa esperienza mi ha
fatto capire cosa sia la guerra meglio di quanto
lo possano fare fotografie, articoli e libri.
La storia si potrà leggere, la si potrà studiare
confrontando i documenti o si potranno
ascoltare racconti dei testimoni, ma non si
potrà mai capire la drammaticità della guerra
se non recandosi sui luoghi dove è stata
combattuta. E anche così le ci si può avvicinare
solo con l'immaginazione. Mentre
percorrevamo i tranquilli sentieri nel bosco,
costruiti a mano nella terra e nella pietra, mi
immaginavo i soldati prostrati dalle intemperie
e, come se non bastasse, sotto una pioggia di
schegge e proiettili, durante l'attacco nemico.
Mi chiedevo come fosse stato
possibile che in luoghi così tranquilli,
ormai del tutto ricoperti dalla
vegetazione e dall'aspetto così
pacifico fossero state combattute
battaglie terribili che avevano mietuto
migliaia di vittime.
Come poteva la morte avere preso il
sopravvento in quel modo? Come era
possibile che le montagne, con la loro
grandezza, fossero state spettatrici di una
simile tragedia? Visitando gli alloggi dei
soldati, la cucina da campo o i luoghi di
vedetta si percepiva la terribile condizione
a cui erano sottoposti i soldati in guerra.
Diventava subito chiarissimo che tutto
quello che a noi sembra necessario per la
vita di ogni giorno, per un soldato che
viveva nelle trincee non fosse di più che un
accessorio.
Quello che ti tiene legato alla vita, quando
ci pensi, è la speranza più o meno forte che
l'uomo non sia fatto solo di questo, non
solo di odio. Ammetto di avere difficoltà ad
immedesimarmi, ma se solo ci provo
comprendo quanto possa essere stato
difficile sopravvivere,
scegliere la vita e
non la resa.
E ulteriore sconvolgimento arriva anche
dalla visita al Museo della Prima Guerra
Mondiale: nelle teche sono esposti divise
ed elmetti spesso segnati dalle bombe e
dalle ferite. Impressionante la scritta sulla
borsa della maschera antigas “Mettitela o
muori”: questo e altri particolari lasciano
sbigottiti.
La guida che ci accompagna è molto
chiara: ogni arma, ogni dettaglio ci
vengono presentati senza giri di parole. La
vita e la morte si riducevano a un attimo,
dipendevano da un colpo fortuna o dei
sfortuna, il destino sfuggiva dalle mani.
Durante la battaglia eri appeso a un filo
sottilissimo. Sono letteralmente rimasta
paralizzata capendo la facilità con cui si
moriva nelle trincee. Perché si è arrivato a
tanto? Come si faceva a non impazzire in
quei buchi infernali? E una volta sfuggiti alla
morte, finita la Grande Guerra, come si
poteva ricominciare? Come di poteva
ritrovare la fiducia negli altri, nella vita, nella
speranza e soprattutto nel futuro? A molte
di queste domande si può solo abbozzare
una risposta, ma il messaggio di fondo è
molto chiaro.
È importante tenere viva la memoria di
quegli anni affinché tutto ciò non si ripeta.
Viviamo anche oggi in un periodo di crisi e
la televisione ci presenta guerre e pagine
di cronaca nera. Ma certe cose non
dovrebbero ripetersi.
Mai più.
TRADIZIONI LOCALI
Al vén
DI LEONARDO FIGNA
Il vino e l'osteria sono sempre stati visti come occasione di divertimento e di
consolazione dopo le fatiche della giornata. L'euforia del vino si trasmette
anche nella fantasia popolare, con cui vengono definiti i bevitori e i vari modi
di bere. Sono presenti, però, anche inviti al senno e alla moderazione. E non
manca la luna.
Innanzitutto, prima di poter parlare di vino, si deve parlare di uva. Esistono
in merito antiche testimonianze scritte, come una pergamena datata 22
novembre 860 che riporta la vendita di un podere tra l'Enza e Porporano,
a documentare la presenza di viti e la produzione di vino nel parmense. A
tal proposito ancora ai giorni nostri sono particolarmente rinomate le zone
come la fascia collinare compresa tra Maiatico, S.Vitale Baganza e Torrechaira
per la Malvasia, così come per il Lambrusco San Secondo, Fontanellato e
dintorni.
Molto importati per la buona produzione di vino sono il clima, non troppo torrido,
il terreno, (si privilegia quello povero), come il terreno calcareo, e una buona
esposizione al sole per tutto il periodo di fruttificazione. La vita del vino comincia con la
potatura (podädùra) delle viti, da inverno inoltrato fino a fine febbraio, in cui si tolgono i rami
che hanno fruttificato l'anno precedente (si ricorda il detto: “Fammi povera che ti farò ricca”) e la legatura
dei tralci che porteranno frutto. Alla fine di marzo i boccioli della vite cominciano a germogliare e a maggio
si ha l'inizio della fruttificazione con la fioritura. Da qui si aspetta fino agli inizi di settembre, periodo in cui
ha inizio la vendemmia (vendémja), cioè il processo di raccolta dell'uva, una fase che da noi aveva i caratteri
di gioia familiare e di un'intima comune soddisfazione. Dopo di essa si procede allora con la pigiatura
(mostadùra): l'uva raccolta viene versata in immensi tini dove diverse persone schiacciavano con i piedi le
graspe per estrarre il prezioso succo. Si separa quindi il mosto (mòsst) dalle vinacce (vinàsi), composte dalle
“graspe” e dai semi. Dopo tale processo si procedeva a spremere le vinacce mediante l'uso di torchi
meccanici, per estrarre ogni goccia di mosto residuo. Il succo quindi veniva lasciato fermentare in tini chiusi
per circa otto-dieci giorni, per poi iniziare il processo di svinatura (zvinädùra), che consisteva nel travasarlo
in damigiane affinché potesse fermentare nei mesi invernali. Il vino così “matura” e, attraverso un piccolo
foro, ha la possibilità di purgarsi dalle impurità residue. Alla fine del suo processo di maturazione si inizia,
alla fine dell'inverno, l'imbottigliamento (imbotiljadùra). Esso deve avvenire durante l'ultimo quarto della
luna di marzo, allo scopo di avere allo stappo un vino frizzante, vivo e corposo.
Adesso il vino è pronto da stappare, per essere gustato in spensierata allegria.
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A F U i cucina / Cucina di scuola
Scuola d
Trionfo di anno scolastico con contorno di felicità
di Martina Aragosti e Margherita Gabba
Setacciate 250g di metodico studio, due gocce di pazienza, una tazza di ot timismo e quat tro cucchiai di buona volontà.
Mescolate un litro di at tenzione con un pizzico di fortuna e amalgamate il tut to con una buona dose di fede.
Aggiungete uno zaino pieno di libri, due manciate di speranza, qualche quaderno ordinato e un pacco di entusiasmo.
Impastate qualche noce di amicizia e due dadini di umiltà.
Met tete tut to in ammollo in una grande quantità di buon umore.
Condite il preparato con molto buon senso e lasciate cuocere a fuoco vivace.
A cot tura finita lasciate riposare e servite caldo.
Tempo di preparazione: un pomeriggio di studio
Difficoltà: media
Costo: tut ta l'energia che avete
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L'ANGOLO
di Davide Dodi
Ore 6.51: l'epopea del pendolare. Studenti e prof in treno
Ore 6.51: inizio dello strazio. Come è noto,
molte persone si servono dei mezzi pubblici
per raggiungere l'istituto scolastico, o il
luogo di lavoro, ma non tutti sanno che
questa è un'esperienza estenuante e
snervante.
6.51, il treno Salsomaggiore T.-Fidenza
chiude inesorabilmente le porte e parte
lasciando a piedi i pochi e soliti ritardatari,
che corrono disperatamente lungo i binari
all'inseguimento del treno, nella speranza
(vana) di un gesto di compassione del
conducente. I treni di Trenitalia non sono
solo in ritardo: sono spietati!
Per gli (ancora assonnati) passeggeri si
prospettano alcuni minuti di riposo, o per
alcuni di ripasso. Scesi dal mezzo, e dopo
aver attraversato l'intera piattaforma, si
giunge nella stazione fidentina dove tutti
cercano calore e riparo, e dove i più
fortunati trovano un posto a sedere, dal
valore uguale a quello dell'oro, data la loro
strenua presenza. Dopo 10 minuti di attesa
ci si accinge al binario tre e si prende il
treno per Ancona, con fermata a Parma. La
banchina in pochi secondi si affolla e tutti
cercano di avvicinarsi il più possibile al
binario per salire per primi: molti per far
questo oltrepassano la linea gialla e il
macchinista del treno che sta giungendo
suona la sirena assordando i presenti e
creando un trambusto generale. Non
appena il treno è fermo tutti si accalcano
alle porte, non permettendo alle persone
appena arrivate di scendere, aumentando
l'attesa. Il treno si riempie velocemente e
altrettanto velocemente i posti liberi
scompaiono come neve al sole, fino al
punto in cui si esauriscono e allora le
corsie si riempiono e la circolazione
diventa impossibile. Intanto il treno è
partito e gli impianti per la
regolazione della temperatura
funzionano come sempre: o
soffiano a palla, o non soffiano
affatto. È per i propri clienti
che Trenitalia crea nelle
proprie carrozze di
seconda classe le
condizioni climatiche
di ambienti esotici:
ambiente caldo
u m i d o
equatoriale a maggio, clima subpolare a
gennaio (con tanto di neve sui sedili), clima
monsonico umido ad marzo (con pioggia
scrosciante e acquitrino inclusi). E se
qualcuno non dovesse gradire, per lui
echeggia sempre, in stazione, la formula di
cortesia: «ci scusiamo per il disagio».
Capita non di rado che il convoglio, nella
tratta Fidenza-Parma, improvvisamente
rallenti la sua folle corsa nella campagna
nel ridicolo tentativo di recuperare il ritardo
cronico, arenandosi nella nebbia, o
arrestandosi per qualche minuto alla
stazione di un paesello fantasma, dal nome
poco ghibellino: Castelguelfo.
La tratta in treno finisce, ma il supplizio no:
arrivati nella stazione di Parma, i primi a
toccare il suolo sono coloro che per la
premura di scendere si sono alzati dai loro
posti ancora a Castelguelfo e si sono
appressati alle porte con congruo anticipo.
Raggiunta la banchina della stazione, la
folla di pendolari dà l'assalto all'unica scala
del sottopassaggio, impiegando
ingegnosamente strategie tipicamente
italiane (sorpassi tattici, accostamenti
furtivi, spintoni apparentemente
involontari). Risultato: un ingorgo, un
groviglio inestricabile di gente pigiata l'una
sull'altra che ondeggia terribilmente, contro
la cui corrente cerca invano di raggiungere
il treno la malcapitata signora che sale le
scale in senso opposto sotto il peso di una
valigia enorme. La massa di individui invade
il passaggio sotterraneo e deve compiere
un percorso obbligato, con inversioni a U e
curve a gomito (è la stazione di Parma
momentaneamente in fase di
ristrutturazione, «ci scusiamo per il
disagio»), per giungere finalmente fuori dal
suolo di Trenitalia.
L'odore dei freni bruciati, la puzza di letame
delle carrozze, i finestrini a sbalzo dai quali
è severamente vietato sporgersi anche
quando sono stati bloccati dai controllori, la
ruggine delle vecchie lamiere e lo sbuffo del
trenino a gasolio vi accompagneranno nel
vostro viaggio, ma tranquilli: Trenitalia non
mancherà di scusarsi per il disagio.
CRONICA L’inizio
di Nicolò Bertoli
Non è una semplice passeggiata,
nemmeno un rito o una tradizione.
È qualcosa di più, una chiamata che porta
un'intera scuola a svegliarsi all'alba e
percorrere gli svariati chilometri che
distanziano i cancelli del San Benedetto al
portone del Santuario della Beata Vergine
del Santo Rosario di Fontanellato. Un vero
e proprio viaggio, un cammino simbolico
carico di fede e speranze.
Ed è così da molto tempo: ogni anno,
nemmeno all'alba, un copioso gruppo di
ragazzi si prepara, cammina, ride e
scherza diventando sempre più
numeroso chilometro dopo chilometro
fino ad arrivare alla meta, alla
destinazione. Non è una silenziosa e
contrita marcia, ma un momento gioioso e
allegro dove oltre alla serietà della
preghiera ci si conosce, ci si parla, ci si
sente un'unica squadra. Camminando,
infatti, si scaldano i muscoli e gli animi,
così il cammino diventa anche un
momento per scherzare e gioire,
raccontarsi le avventure dell'estate
appena trascorsa e incontrare nuovi e
vecchi amici. Ma tra una risata e l'altra, la
vista del sole che sorge, stropicciandosi
gli occhi perché ancora intorpiditi,
riponendo nello zaino la felpa e bevendo
un sorso d'acqua si pensa, si riflette.
È proprio vero che camminare schiarisce
le idee e nonostante i sorrisi tutti ci
por tiamo dentro una serie di
preoccupazioni, paure e propositi per
l'anno scolastico che incombe. Chi guarda
la maturità con spavento, chi è un po'
spaesato nella nuova classe e chi vede lo
studio con preoccupazione, timoroso di
non raggiungere i propri obiettivi. Passo
dopo passo si pensa anche a questo, alla
fatica di ricominciare, abbandonate le
oziose giornate in spiaggia, a riprendere
in mano la trigonometria e i vocabolari.
Ed è anche per questo che
intraprendiamo questo percorso, per
sostenerci a vicenda, per supportarci
l'uno con l'altro e chiedere un aiuto, un
sostegno non solo a chi ha più esperienza
e anni di noi ma che bisogna cercare nella
fede. La vista del Santuario in lontananza
distrae ognuno dai propri pensieri e
l'arrivo è sempre una soddisfazione.
Anche quest'anno ce l'abbiamo fatta.
di un cammino
Con le gambe stanche e le palpebre
pesanti, ma con le orecchie tese
all'ascolto arriviamo, al clou di questo
percorso: la Celebrazione Eucaristica
presieduta dal neo direttore don
Massironi. È nelle sue parole che
dobbiamo cercare la risposta ai nostri
dubbi e alle nostre perplessità. ”Bisogna
af f rontare
quest'anno
con
determinazione, tenersi lontano dai
“serpenti”, le tentazioni, tutto ciò che
porta fuori strada e non è
compromettente solo per il nostro
rendimento, bensì per la nostra stessa
vita. Non abbiate paura a chiedere aiuto a
insegnanti e genitori. Ricordatevi che il
calore umano di un abbraccio è una
risorsa, dobbiamo supportarci tra noi
senza paure, altrimenti non possiamo
nemmeno sopravvivere. E questo
supporto dobbiamo trovarlo non solo tra
noi, ma anche nella fede”. Anche
quest'anno è andata (pensa qualcuno), è
finita la prima di una lunga serie di
esperienze, incontri e momenti che
portano le persone a crescere, a
maturare e a dividere i veri valori, come
l'amicizia, dalle cose effimere e superflue
con cui ogni giorno la società ci
bombarda. Dobbiamo renderci conto che
il vero cammino inizia ora. Un anno carico
di sorprese, esperienze e attività, da
affrontare con quella grinta che solo i
ragazzi di don Bosco sanno tirare fuori.
L'anno è iniziato.
L’intervista
di Martina Rossi
Per un buon aspirante giornalista la parola “impossibile” non esiste.
Non si lascerebbe mai sfuggire un'intervista a un grande personaggio.
E se il personaggio fosse storico, e per forza di cose, decisamente e
definitivamente irraggiungibile, essendo stata decapitata il 16
ottobre 1793, duecentoventi anni fa: cosa dovrebbe fare, l'aspirante
giornalista in questione? Arrendersi? Nemmeno per sogno: se non
sarà possibile intervistarla, sarà un'intervista impossibile, comunque
un'intervista.
In esclusiva per i nostri lettori l'intervista impossibile a Maria
Antonietta, figlia di Francesco I, imperatore del Sacro Romano
Impero e regina di Francia.
Maria Antonia Josepha Johanna von Habsburg Lothringen, conosciuta anche come Maria
Antonietta, mi riceve all'interno dei giardini di Versailles. I giardini della regina sono meravigliosi,
anche se in confronto a quelli del re non 0sono nulla. Indossa un abito azzurro con decori in pizzo
bianchi. Vista di persona è ancora più bella di come viene descritta, con gli occhi celesti e il viso
incorniciato da capelli così chiari da sembrare bianchi. Dopo essermi presentata e aver fatto una
reverenza le pongo la prima domanda.
Cosa pensa della famosa macchia di inchiostro fatta mentre firmava le nozze con Luigi
XVI?
Io non sono una persona superstiziosa, quindi non penso che una sciocca macchia possa
influenzare il governo che io e mio marito, con i nostri collaboratori, stiamo portando avanti.
C'è un fondo di verità in ciò che si dice sul conte svedese Hans
Axel Von Fersen?
Io e il conte siamo sempre stati buoni amici. Ci
siamo conosciuti a una festa in maschera
quando io ero ancora la Delfina di Francia. In
seguito è dovuto andare in Inghilterra per
sposarsi, ma è tornato in Francia dove attualmente
è a capo di un reggimento. Da quando ci siamo
conosciuti abbiamo coltivato una grande amicizia.
Non ho altro da dire in proposito.
Mi parli allora dei suoi famosi balli di corte.
I balli sono stati per me la salvezza, poiché grazie ad essi
ho conosciuto i componenti della nobiltà francese. Quando
sono arrivata in Francia non conoscevo nessuno e spesso ero
triste. I balli mi rallegravano e io adoro la musica.
Lo sa che con tutti i soldi che spende in balli, vestiti,
gioielli e parrucche sta portando la Francia la fallimento?
Molti fanno fatica a comprare il pane perché costa troppo.
Come faranno se non avranno nemmeno quello?
Che problema c'è? Se non hanno il pane che mangino le brioches!
Secondo lei passerà velocemente questo periodo di crisi?
Certo che passerà velocemente. La Francia è come un albero: io e mio marito siamo il tronco, i
rami sono il clero e le foglie il popolo. Come lei ben sa è difficile abbattere un albero, così è difficile
abbattere la Francia. Sono sicura che la crisi sia solo un brutto momento, che passerà.
Maria Antonietta non sembra comprendere la sofferenza del popolo
per questa crisi e non si rende conto che potrebbe fare molto di più per
la Francia. Molti ne parlano come di una donna frivola ed è molto
chiacchierata: vive una vita sfarzosa e ricca di eventi, ma il suo
sguardo ha qualcosa che fa pensare, qualcosa di triste e di sperduto.
Forse anche lei si è sentita derubata quando a soli 15 anni è venuta in
Francia lasciando la famiglia e i luoghi in cui era cresciuta per trovare
un ambiente nuovo, spesso, a quanto si dice, ostile.
Il pane e le brioches non le mancano.
Eppure nemmeno lei ha tutto…
L'oroscopo
didi Anna
Anna Guidetti
Guidetti ee Laura
Laura Figna
Figna
AR IET E (21 marzo-20 aprile)
Periodo tranquillo e scorrevole. Le verifiche non saranno difficili per il vostro intellet to rapido e scat tante.
Uscirete abbastanza bene dalle interrogazioni. Consiglio: carpe diem
VOT O: 7,5
T ORO (21 aprile-20 mag gio)
Periodo impegnativo. Vi verranno richiesti molti sforzi e fatiche importanti per raggiungere i vostri obbiet tivi.
Ne uscirete orgogliosi di voi stessi, consapevoli del prezzo delle vostre vit torie. Consiglio: trovate il tempo per una
doccia
VOT O:8
GEMELLI (21 Mag gio-21 Giugno)
Periodo complicato ricco di richieste, anche incalzanti. Controllate le parole, se non volete prendere delle note.
Consiglio: dov' è il vostro badge?
VOT O: 6,5
CA NCRO (22 Giugno-22 Luglio)
Periodo molto positivo: successi, trionfi e felicità. Fate maturare le vostre idee e trasformatele in realtà.
Consiglio: correggete gli insegnanti, potete permet tervelo. Inoltre, se lo meritano.
VOT O: 9
LEONE (23 Luglio- 23 Agosto)
Periodo scorrevole, ma non fateci l a' bitudine: studiate e impegnatevi lo stesso. Non fingete. Consiglio: ripassate,
ripassate, ripassate
VOT O: 7
VERGINE (24 Agosto- 22 Set tembre)
Periodo felice. Vi sentite studiosi, forti e padroni della situazione. Ot timismo. I più coraggiosi ne approfit tino
per cambiare. Per sempre. Consiglio: preparatevi per il Nobel
VOT O: 9
BILA NCIA (23 Set tembre- 22 O t tobre)
Tut to a gonfie vele! Puntate in alto, dovete. Consiglio: offritevi in tut te le materie
VOT O: 8
SCOR P IONE (23 O t tobre-22 Novembre)
Periodo cruciale: dovete recuperare una materia specifica. La vostra intelligenza vi aiuterà, tranquilli.
Consiglio: Studiate, se volete godervi il Natale.
VOT O: 5
SAGIT TAR IO (23 Novembre- 21 Dicembre)
Periodo complicato ricco di tensioni, arrabbiature, confusioni e litigi. Siate pazienti e più precisi nello studio.
Consiglio: contate fino a dieci prima di parlare. Aiutatevi con le dita, se serve.
VOT O: 5,5
CAP R ICOR NO (22 Dicembre- 20 Gennaio)
Periodo scoppiet tante. La vostra mente lucida come una Ferrari trionfa nello studio. Piovono risultati positivi.
Consiglio: esprimete un desiderio.
VOT O: 9
AQUAR IO (21 Gennaio- 19 febbraio)
Periodo dei peggiori. Perdete di vista il rapporto coi compagni di classe: vi sentite soli. Stanchissimi.
Consiglio: Non suicidatevi, siete troppo stanchi per farlo!
VOT O: 4
PESCI (20 Febbraio- 20 Marzo)
Periodo di recupero ma con qualche giornata complicata. Interrogazioni a sorpresa, ma saprete farvi fronte. Qualche
calo di concentrazione: at tenti agli errori di calcolo. Consiglio: non lamentatevi troppo
VOT O: 6
In ritiro a
La Verna
di Irene Abbati
6 novembre 2013, ore 17:30.
Con la testa appoggiata al finestrino del pullman guardo la terra scorrermi
accanto, veloce.
Il cielo è limpido, tinto dei colori tenui e caldi del tramonto. Le risate dei
ragazzi riempiono l'aria di pensieri liberi.
Osservo gli sguardi annoiati dei lavoratori stanchi, che guidano verso casa. Da
fuori questo è soltanto un comune pullman di ragazzi, di ritorno da una gita.
Questa volta, però, non è così. Non per noi.
La mia mente rievoca i momenti appena passati, che ora mi scorrono davanti
agli occhi come le immagini di un film.
Siamo appena arrivati a La Verna.
Scendiamo dal pullman e, trascinando le
valigie, percorriamo il breve tratto di
sentiero che ci separa dal luogo dove
alloggeremo. Il cielo è nuvoloso. L'aria
fredda trapassa i vestiti e ci punge la pelle.
Il benvenuto è gelido, ma la vita che
quaranta ragazzi sono capaci di portare è
la prima e più importante fonte di calore
che scopro. La seconda è un camino, nella
prima stanza della casa, che viene
immediatamente acceso dai più abili.
Mentre salgo verso le camerate, osservo
come la semplicità possa prendere forma
negli ambienti e negli arredi.
Penso a Francesco, a quando non veniva
ancora chiamato “Santo”, a quando era
solo un ragazzo. Lui, che parecchio tempo
prima di noi, era venuto lì, in un posto
senza case, persone, rumori, per stare in
silenzio e pregare.
Dopo pranzo, partecipiamo all'ora Nona e
un giovane frate ci accompagna con i
passi e le parole attraverso i luoghi
caratteristici di questa terra santa. Ci
racconta di Francesco, di quanto
veramente amasse Gesù e di quanto
desiderasse diventare come Lui. “È come
quando siamo innamorati”, spiega, e
amiamo e stimiamo e adoriamo così tanto
qualcuno da volergli somigliare. Il frate
prosegue, e racconta che Gesù aveva
capito a fondo questo amore e l'aveva
ricambiato a tal punto da rendere
“l'amante uguale all'amato”, uguale a Sé.
Lì, Francesco aveva ricevuto in dono i
SEGNI dell'Amore: le stigmate.
Poco dopo torniamo nella nostra casa e,
riscaldati dal fuoco ancora acceso,
ascoltiamo le parole di Don Elio Cesari,
responsabile della pastorale giovanile in
Emilia e Lombardia. Ci parla attraverso il
discorso di un altro Francesco: il nostro
Santo Padre. Usa le parole che il Papa
aveva rivolto, prima alle monache di
clausura e poi ai giovani radunati ad
Assisi. Sono parole semplici e dirette, che
fanno nascere nuove domande e che ci
aprono al confronto.
Alla sera, prima di un momento di gioco,
viene a farci visita Suor Monica, la
superiora delle Clarisse Missionarie, e ci
parla della sua vita, della pace del cuore,
rispondendo alle nostre domande con la
pazienza di una madre.
Il giorno successivo ci svegliamo col sole. Il
paesaggio è meraviglioso. Dappertutto la
terra è coperta di foglie secche, che
scricchiolano sotto i piedi e solo ogni tanto
si riesce ad intravedere il cielo limpido
attraverso il tetto di rami che ci sovrasta.
Don Elio ci fa ascoltare una canzone,
intitolata:“Gli spiriti del SOLE”. Sarà un
caso?
Ci viene lasciato spazio per il silenzio, che
è un tesoro prezioso in luoghi santi come
questi. Abbiamo la possibilità di
confessarci ed è bello vedere non pochi
ragazzi che attendono il loro turno a
fianco del confessionale, raccolti in
preghiera. Infine celebriamo la messa e,
senza volerlo, riscaldiamo le mura fredde
della chiesetta, con la nostra presenza e
con la nostra voce.
Siamo in autogestione per cui, dopo il
pranzo, ci resta ancora una cosa da fare:
le pulizie. Sembriamo tanti piccoli-grandi
spazzini. Tutti e 44, armati di scopa,
guanti e stracci, ci aggiriamo per la casa
ridendo, bagnandoci con gli stracci umidi,
ascoltando la musica e rovesciando
qualche secchio.
D'improvviso sento qualcuno chiamarmi
da dietro.
Ritorno alla realtà.
In pullman i nostri volti, leggermente
stanchi, sono segnati dai sorrisi e animati
da chiacchiere allegre. Nell'aria c'è un velo
di sana rassegnazione per il ritorno al
“domani scolastico”.
Ora, più che in ogni altro momento, mi
rendo conto che è vero: siamo qualcosa di
speciale.
Il sabato è un giorno metafisico.
Il sabato è un giorno metafisico.
Di mattina la città è deserta, come un quadro di De Chirico, assordante
nel suo silenzio di tanto in tanto interrotto dallo sfrecciare pesante di
un'auto che sembra perduta.
Di sabato la città è un paese di confine: l'aria ha il colore del vuoto, la
strada è tutta uguale, le case e i palazzi sono indifferenti, i viali sono
immensi, i platani sono immobili.
Il sabato mattina la stazione è deserta, gli altoparlanti
gracchiano gli annunci che nessuno ascolta e nessuno aspetta,
nessuno parte, nessuno corre.
Il treno arriva e le porte si aprono inutilmente, come inutilmente
si richiudono. I sedili delle carrozze sono muti, aspettano
qualcuno che non verrà. Il treno corre, leggero, ma nessuno ha
fretta: di sabato non c'è nessuno, il sabato è un giorno metafisico.
Di sabato il tempo non ha senso: le ore sono più corte, i minuti
sono più lunghi, le lancette girano, ma nessuno le guarda con
apprensione.
Il sabato è un'ombra lunga senza il sole.
È un cielo senza nubi, un cortile senza bimbi, una porta che
non si apre.
Il sabato è una musica che non si ascolta, è un colore senza
luce, uno specchio che non riflette.
Il sabato è stanco, il sabato è silenzio, il sabato è attesa, il
sabato è illusione, il sabato è noia.
Il sabato è una piazza inutilmente grande, le panchine
vuote, l'acqua ferma della fontana, lo sguardo perduto di un
passante.
L'unico passante.
Il sabato è un giorno metafisico.
Heautontimoroùmenos
“Sii il cambiamento
che vuoi vedere nel mondo”.
Gandhi
Adwa
Viaggio alla Missione Salesiana
in Etiopia
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