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Nato in Francia nel 1944, Georges Pludermacher ha iniziato gli studi pianistici all'età di tre anni e mezzo. Ammesso undicenne al Conservatorio Nazionale Superiore di Musica di Parigi, vi ha poi concluso gli studi sotto la guida di Jacques Février Geneviève Joy e Henriette Puig-Roget. L'attività concertistica lo ha portato ad essere ospite regolare dei principali festival e a collaborare con grandi orchestre quali la Chicago Symphony Orchestra, L'Orchestre National de France, la Royal Philarmonic Orchestra fra le altre, oltreché con ensemble strumentali e vocali e con 1 più noti artisti contemporanei. Vincitore del Concorso "Viana da M o t t a " di Lisbona nel 1968 e del Concorso "Géza A n d a " nel 1979, dedica una notevole parte della sua attività all'esecuzione di opere contemporanee; ha inoltre eseguito in prima mondiale composizioni di Xenakis e Boucourechliev L u d w i g van B e e t h o v e n (1770-1827) Sonata in do maggiore op. 53 (Aurora). Allegro con brio Introduzione. Adagio molto Rondò. Allegretto moderato Prestissimo. Sonata in do minore op. I l i Maestoso - Allegro con brio appassionato Arietta. Adagio molto, semplice e cantabile Trentatré Variazioni in do maggiore sopra un Walzer di Diabelli op. 120. L u d w i g van Beethoven Sonata in do maggiore op. 53 (Aurora) Scritta quasi contemporaneamente alla Sinfonia Eroica la Sonata per pianoforte op. 53 (Aurora) si pone, insieme alla sorella op. 57, in una posizione privilegiata nell'ambito della produzione pianistica beethoveniana: compendio di una intensa stagione creativa che aveva visto nascere nel giro di una decina d'anni ben ventidue sonate per pianoforte, essa suggella una predilezione accordata allo strumento destinata a diminuire negli anni successivi dato lo smisurato ampliarsi degli interessi artistici dell'autore. Il respiro compositivo dell'Eroica, con la quale Beethoven aveva affermato il proprio dominio in ambito sinfonico sperimentando la prima immensa espansione della forma classica, influenza le due Sonate successive, imponendo una riconsiderazione della forma complessiva: il nuovo orientamento punta sull'organizzazione in due movimenti di pari importanza collegati da un intermezzo lento, un perfetto equilibrio che nell' " A u r o r a " il compositore ottiene sostituendo un primitivo Andante di vecchio stampo con quella pagina straordinaria che è VIntroduzione prima del Rondò conclusivo. Di tutti i titoli non originali associati alle opere di Beethoven quello dato ali 'op. 53 è forse tra i più azzeccati, e non solo per i momenti " a u r o r a l i " (identificabili nel passaggio da una sonorità sorda e addensata all'improvviso folgorare di un motivo luminoso) presenti, ad esempio, all'inizio e subito prima della ripresa del primo movimento (come suggerisce Casella) e nel librarsi della pura melodia del Rondò dopo le ventidue battute di Introduzione. Il richiamo ai valori cromatico-luminosi che il termine " A u r o r a " porta con sé individua immediatamente quello che della Sonata è il campo di più audaci ricerche ed esiti avventurosi: la dimensione timbrica che, grazie ad un sapiente uso della pedalizzazione e all'abile sfruttamento dei registri pianistici, si fa portatrice di autonomi valori musicali. Nel primo movimento della Sonata i due temi principali emergono per un loro precipuo e differenziato colore: quello del primo motivo prodotto dalla predominanza nell'armonia dell'accordo di settima di dominante e quello del secondo dato dallo svilupparsi delle terzine verso il registro acuto in una dimensione di rarefatta luminosità. Vorrei far notare, tra parentesi, la straordinaria economia tematica che caratterizza l'intero movimento il cui tessuto sonoro risulta determinato dalla presenza di alcuni elementi basilari (accordo di settima di dominante, ritmo pulsante del primo tema, frammenti di scala dell'estensione di una quinta) mirabilmente sviluppati e trasformati. L'ultimo tempo, dopo l'audace peregrinazione nei registri gravi del pianoforte compiuta neh'Introduzione, si configura come prodigiosa esaltazione timbrica (grazie anche all'uso del pedale di risonanza) del tema principale; ripresentato in alternanza ad episodi virtuosistici, esso viene infine condotto ad una vera e propria apoteosi dove la melodia si libra nelle zone più acute raggiungendo, grazie anche all'accelerazione temporale del Prestissimo, una cristallina e incontaminata purezza. Sonata in do minore op. i l i Costituita da due soli ampi movimenti a cui Beethoven " n o n ebbe il tempo" di aggiungere un terzo (tale fu la sarcastica risposta del maestro all'ingenua obiezione di Schindler), la Sonata per pianoforte op. Ili è considerata un'opera emblematica del cosiddetto "terzo stile" del compositore. Lo è infatti soprattutto per l'Arietta con variazioni che ne costituisce il secondo movimento, esempio sublime del principio basilare che informa gli ultimi lavori di Beethoven, di quella tecnica radicale della variazione capace di coinvolgere tutti i parametri musicali e ad insinuarsi, oltreché negli spazi riservati, in qualsiasi altra forma, condizionandone la struttura e gli esiti. Lo è anche per la disarmante semplicità del tema sempre dell'Arietta (ma si tratta di una semplicità conquistata oltre i travagli e le complicazioni linguistiche), proposto secondo la consueta simmetria strofica ed elementare armonizzazione: presentato nella dolce lentezza di un Adagio, il tema subisce nelle variazioni una sorta di accelerazione ritmica, secondo un infittirsi di note dai valori sempre più brevi, che sfocia nella pulsazione quasi indifferenziata (anche perché in pianissimo) delle terzine di biscrome della quarta variazione. L'esito della graduale diminuzione ritmica _ procedimento per se stesso tipico della forma variazione _ diventa così, inaspettatamente, la dissoluzione dell'articolazione (il troppo veloce porta all'indistinto), fine alla totale immobilità del lungo trillo cadenzale posto prima della ripresa del tema. Nel momento di maggior tensione, Beethoven, con estrema sapienza, sospende il fluire temporale del brano e introduce una pausa meditativa, prima di concludere con una mirabile sintesi in cui il tema originale, l'accompagnamento più veloce (terzine di biscrome) e l'elemento di immobilità (il trillo, con la sua mancanza di forza direzionale) appariranno insieme in una rappacificata conciliazione. Anche il primo movimento in forma-sonata, che pur recupera uno degli elementi più tipici del primo Beethoven (la contrapposizione tematica), mostra segni di forte novità soprattutto nel disegno grandiosamente unitario che lo sorregge: la preponderante prevaricazione del primo tema, che conferisce all'Allegro un carattere monotematico malgrado la presenza di una seconda idea profondamente contrastante, non è la sola ragione di tanto serrata coerenza discorsiva; la quale deriva dall'aver posto, fin dall'introduzione, il materiale su cui si sarebbe basato l'intero movimento. Come è stato fatto notare, è dalla successione dei tre accordi delle prime tre frasi della Sonata che deriva sia il profilo melodico del tema principale quanto l'organizzazione dello sviluppo: la grandiosa architettura dell'Allegro ha le sue fondamenta in uno scheletro armonico elementare (la successione di tre accordi di settima diminuita con relative risoluzioni) e la potenza drammatica che da tale materiale musicale si sprigiona risiede nel carattere profondamente meditativo dell'ultima arte beethoveniana. Trentatré Variazioni in do maggiore sopra un Walzer di Diabelli op. 120 Le considerazioni fatte a proposito dell'Arietta trovano un'ulteriore e radicale affermazione nell'ultima serie di variazioni beethoveniane, le Variazioni Diabelli, scritte nel pieno travaglio creativo per gli ultimi capolavori e in un periodo in cui la1 variazione stava divenendo una componente essenziale del linguaggio del compositore. La semplicità del tema è in tal caso ancor più disarmante; ma è proprio attraverso, e non malgrado, la banalità e la fragilità del materiale a disposizione che Beethoven raggiunge una delle vette artistiche della sua produzione. Nelle Variazioni Diabelli si manifesta, in tutta la sua forza, la capacità esplorativa della musica beethoveniana nell'investigazione del linguaggio tonale classico nei suoi elementi basilari più semplici. Il valzer viene ridotto alle sue componenti essenziali, lo schema metrico, l'ossatura armonica, e su questa impalcatura quasi neutrale vengono costruite trentatré immagini musicali autonome sia pur collegate tra loro da precise simmetrie, da ' rigorose corrispondenze morfologiche. Ne nasce un edificio regolato da una coerenza costruttiva, da un'assoluta perfezione1] geometrica (paragonabile, in questo aspetto, solo agli ultimi capolavori bachiani) il cui principio compositivo non ha più nulla a che fare con il tradizionale concetto di variazione: d e l tema originale non viene isolato un elemento, il basso, per costruirci sopra una serie di episodi ma vengono analizzati tutti gli aspetti al fine di ottenerne una rappresentazione sintetica ma complessiva; quest'ultima funziona da puro graticcio di sostegno per una continua invenzione e trasmutazione di materiale musicale coordinato così da un principio unificatore. Nella successione delle Variazioni si rinviene una evidente volontà di organizzazione in gruppi, con riferimento ai movimenti di sonata, e un omaggio allo schema settecentesco della forma variazione in cui il penultimo episodio lento e abbellito era seguito d a un finale virtuosistico. Nelle Variazioni Diabelli la tradizionale penultima variazione è diventata una serie di tre variazioni, tutte in do minore, che rappresentano il momento di massima intensità espressiva prima della fuga a due voci (di ispirazione haendeliana) e del " T e m p o di Minuetto" conclusivo che è quanto di più delicato, grazioso e insieme ricco e complesso che una danza possa contenere. Laura Cosso leggere di musica Per una lettura introduttiva su Beethoven raccomandiamo l'agile lavoro (1) di Kerman e Tyson (fa parte di una collana che ripropone — tradotte, aggiornate, corredate di elenchi delle opere — le voci del prestigioso dizionario "New Grove "); mentre, per un approccio che ne collochi la figura nell'ambiente storico e culturale dell'epoca, c'è il volume realizzato da Giorgio Pestelli, per la Storia della musica della EDT (2). Per un 'informazione più completa si può consultare la monografia di Giovanni Carli Ballola (3), tradizionalmente impostata e di agevole lettura, mentre il libro di Maynard Solomon (4), più complesso, si avvale — nel quadro di una rigorosa metodologia critica — di un originale approccio psicanalitico. La figura dell'ultimo Beethoven e meticolosamente delineata nel lavoro di Martin Cooper (5). Per quanto riguarda, poi, gli aspetti tecnici della musica di Beethoven c'è il libro di Charles Rosen sullo stile classico (6); lo stesso Rosen ha più recentemente realizzato uno studio particolare sulla forma-sonata che non può evidentemente prescindere da continui riferimenti all'opera di Beethoven (7); anche quest'ultima è un'opera fondamentale ma raccomandabile soprattutto a chi possieda un certo livello di preparazione tecnica: per il continuo ricorso ad esempi musicali è necessario che chi l'affronta sia almeno in grado di leggere la musica. Enrico M. Ferrando (1) J. KERMAN - A. TYSON, Beethoven, Ricordi-Giunti, Firenze 1986. (2) G. PESTELLI, L'età di Mozart e di Beethoven, EDT, Torino, 1979. (3) G. CARLI BALLOLA, Beethoven. La vita e la musica, Rusconi, Milano 1985. (4) M. SOLOMON, Beethoven, la vita, l'opera, il romanzo familiare, Marsilio, Venezia, 1986. (5) M. COOPER, Beethoven, l'ultimo decennio 1817-1827, ERI, Tori no 1979. (6) C. ROSEN, Lo stile classico, Haydn, Mozart, Beethoven, Feltrine! li, Milano 1979. (7) C. ROSEN, Le forme-sonata, Feltrinelli, Milano 1986. La maggior parte dei testi indicati può essere consultata presso la Civica Biblioteca Musicale «Andrea Della Corte» - Villa Tesoriera - corso Francia, 192. Nell'intento di dare un contributo alla salvaguardia dell'ambiente, i programmi di sala di Settembre Musica vengono stampati su carta riciclata.