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 IL CINEMA ARGENTINO – DISPENSE 2013 a cura di Comitato per il Gemellaggio tra Altare e San Carlos Centro 2 Argentina da Enciclopedia del Cinema Treccani (2003) di Daniele Dottorini […] CINEMATOGRAFIA La nuova invenzione del cinema iniziò a diffondersi presto in A. grazie al flusso migratorio proveniente dall'Europa. I suoi primi pionieri furono infatti soprattutto immigrati che portarono dal vecchio continente le nuove tecnologie di riproduzione dell'immagine e crearono le basi per lo sviluppo della settima arte nel Paese. Il 18 luglio 1896 è considerata la data della prima proiezione pubblica a Buenos Aires di un film realizzato con l'apparecchio dei fratelli Lumière (anche se due anni prima c'era già stata una proiezione ‒ passata inosservata ‒ con il kinetoscopio di T.A. Edison). Macchine da presa e da proiezione furono importate dall'Europa (soprattutto dalla Francia) sin dal 1897, e la prima fase della cinematografia argentina (sino ai primi anni del Novecento) fu caratterizzata dalle sperimentazioni tecniche e dalla mancanza di un mercato stabile. A partire dal 1898 il medico chirurgo Alejandro Posadas diede nuovo impulso al cinema scientifico filmando le proprie operazioni, e il francese Eugène (Eugenio) Py, già autore del primo film realizzato in A., La bandera argentina (1898), sperimentò sin dal 1907 forme di sincronizzazione del suono attraverso una serie di film-­‐illustrazione di canzoni (soprattutto tanghi). Per alcuni anni la diffusione della nuova invenzione fu caratterizzata da proiezioni itineranti che giravano di paese in paese, ma ben presto Buenos Aires si riempì di sale cinematografiche (l'apertura della prima, il Salón Nacional, risale al 1900), e iniziarono le prime produzioni, a opera del belga Henry Lepage e, soprattutto, dell'austriaco Max Glücksmann, creatore di un circuito di noleggio e di distribuzione in A., Uruguay e Cile. Il primo film a soggetto è forse, ma non tutte le fonti coincidono, il corto El fusilamiento de Dorrego (1909, ma uscito l'anno successivo), una rievocazione di un fatto storico girato da due italiani, Mario Gallo e Attilio Lipizzi. Iniziarono anche le produzioni di lungometraggi: il primo fu Amalia (1914) di Enrique García Villoso, dal romanzo omonimo di J. Mármol. Quirino Cristiani realizzò inoltre quello che secondo molti (il film è andato distrutto) è il primo lungometraggio di animazione nel mondo, El apóstol (1917), opera satirica sull'allora presidente della Repubblica H. Yrigoyen. Il film era prodotto da Fernando Valle, un altro dei pionieri del cinema argentino, autore di una serie di notiziari con periodicità settimanale (Film revista Valle), usciti senza interruzione dal 1916 al 1931. Durante il periodo del muto furono girati circa duecento film, anche se la produzione e il consumo attraversarono fasi diverse. Mancava infatti una solida industria, e per quanto riguarda la distribuzione furono le società hollywoodiane a garantire un circuito in tutto il continente latinoamericano (fin dal 1920 aprirono filiali a Buenos Aires). Se si prescinde dai notiziari, la produzione locale rimase discontinua, legata spesso a esperienze artigianali. Non mancarono tuttavia registi di grande personalità che diedero inizio alle tendenze caratterizzanti il cinema argentino classico, come il melodramma popolare urbano, di cui uno dei massimi rappresentanti fu José Agustín Ferreyra. Sin dal suo lungometraggio d'esordio, El tango de la muerte (1917), ma anche nei film realizzati dopo l'avvento del sonoro, come Calles de Buenos Aires (1934) e Ayúdame a vivir (1936), Ferreyra mostrò una forte inclinazione verso una drammaturgia popolare, fatta di storie d'amore e di morte. Con il passare degli anni il cinema divenne in A. un fenomeno sociale sempre più importante; le sale aumentarono, e il pubblico, costituito per lo più dalla media e alta borghesia cittadina, iniziò ad affluire copioso. Nacquero anche le prime riviste, come "Imparcial Film" (1918), "Cine Universal" (1919), "La Novela del cine" (1922), "Bobby Film" (1924), "Astros y Estrellas" (1928). L'industria cinematografica cominciò però a strutturarsi solo dopo l'avvento del sonoro. È significativo, 3 infatti, che i due primi film sonori (realizzati con un sistema ottico, vale a dire con la colonna sonora stampata nella copia positiva che viene proiettata in sala), usciti a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro, furono anche i primi prodotti da due case di produzione destinate ad avere un ruolo fondamentale nella storia del cinema argentino. La Argentina Sono Film, fondata da Angel Mentasti, realizzò ¡Tango! (1933, uscito il 27 aprile) di Luis Moglia Barth; la Lumiton esordì con Los tres berretines (1933, uscito il 10 maggio) di Enrique Telémaco Susini (ma in realtà girato come opera collettiva da tutta l'équipe della Lumiton, di cui Susini era uno dei fondatori). Negli anni Trenta la produzione annuale si attestò su circa trenta film, molti dei quali esportati in tutto il continente latinoamericano, in modo particolare i melodrammi musicali interpretati da Libertad Lamarque e Tita Morello e i film comici con protagonista Luis Sandrini, attori che sarebbero poi divenuti i primi divi del cinema argentino. La produzione si concentrò su alcuni generi di successo, come il melodramma, il poliziesco e la commedia, nonché film musicali, il cui protagonista assoluto era il tango. Si trattava di opere destinate alla media borghesia, per lo più a carattere d'intrattenimento. Si distaccavano da questa tendenza i film di Mario Soffici, rigoroso realizzatore di drammi sociali come Prisioneros de la tierra (1939), di Leopoldo Torres Ríos (padre di un altro dei protagonisti del cinema argentino, Leopoldo Torre Nilsson) e, più tardi, di Hugo del Carril. Torres Ríos, che può essere considerato l'allievo di Ferreyra, sviluppò un cinema ‒ in film come La vuelta al nido (1938), Pelota de trapo (1948) e Aquello que amamos (1959) ‒ attento alle tematiche popolari e urbane, e caratterizzato da un gusto particolare per la costruzione degli ambienti e delle atmosfere. Del Carril, attore e cantante prima ancora che regista, sviluppò, prima con Historia del '900 (1949) e poi soprattutto con Las aguas bajan turbias (1952; I desperados della giungla verde), uno stile personale in cui il dramma sociale risulta immerso in un'atmosfera romantica. Con il passare degli anni la cinematografia argentina si sviluppò quindi variando temi e stili, ed elaborando una divisione in generi che si presentava in fondo come una versione nazionale di quella hollywoodiana.Fino alle soglie degli anni Quaranta l'A. fu al primo posto come Paese produttore di film in lingua spagnola per l'America Latina. Ma la solidità della sua industria subì un forte ridimensionamento quando, in seguito alla scelta della neutralità durante la Seconda guerra mondiale, nel 1942 gran parte dei finanziamenti al cinema provenienti dagli Stati Uniti cessò. In breve tempo la posizione di predominio passò al Messico (al quale andò la maggior parte dei fondi statunitensi). Tale situazione, unita al fatto che l'A. non aveva ancora una solida rete produttiva e distributiva (soprattutto se paragonata a quella del Messico), innescò una crisi che si prolungò anche nei decenni seguenti.Con il governo di J.D. Perón la situazione cambiò leggermente: furono approvate leggi protezionistiche al fine di sviluppare maggiormente la produzione cinematografica interna e limitare le importazioni. Dal 1944 l'intervento dello Stato si fece sempre più visibile, fino a trasformarsi da politica di incentivazione in forma di controllo e di censura. Dopo la caduta di Perón nel 1955, i nuovi governi democratici (in particolare quello di A. Frondizi, dal 1958 al 1962) ebbero un atteggiamento di apertura nei confronti del cinema e della sperimentazione di nuovi linguaggi espressivi. Nel 1957, per es., fu emanata una legge che garantiva finanziamenti per la produzione di film indipendenti; nel 1959 fu inaugurata la prima edizione del Festival di Mar del Plata. Questa situazione favorì una nuova generazione di registi che esordì tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Sessanta. Autonomi rispetto al sistema delle case di produzione, essi erano accomunati dalla ricerca di nuovi linguaggi per un cinema in grado di mettere in scena le contraddizioni e i conflitti della società argentina. Emerge fra tutti L. Torre Nilsson, figura di cineasta visionario, influenzato dal cinema statunitense ed europeo (e forse anche per questo tra i primi a essere conosciuto oltreoceano); egli creò immagini claustrofobiche ed evocative come in La casa del ángel (1957), Fin de fiesta (1960) e La mano en la trampa (1961), sulla decadenza della classe borghese. Fernando Ayala realizzò invece film politici come El jefe (1958) ed El candidato 4 (1959), in cui risulta evidente la padronanza di uno stile in grado di ricontestualizzare le forme espressive del cinema moderno europeo. Nel 1956 aveva inoltre fondato, con il produttore Héctor Olivera, la Aries Cinematográfica Argentina, casa di produzione destinata a una lunga vita. Anche il pubblico in quegli anni iniziò a rinnovarsi: si sviluppò una generazione di spettatori formatisi nei cineclub e sulle riviste, alla ricerca di nuove proposte e di nuove forme espressive. La quantità di film prodotti, inoltre, aumentò sensibilmente (il doppio circa rispetto al numero di film realizzati negli anni Trenta). Si andava diffondendo con grande rapidità un generale atteggiamento di studio e applicazione di modelli espressivi provenienti dal cinema colto europeo (o statunitense) a modelli narrativi ‒ soprattutto letterari ‒ latinoamericani; una forma di mimetismo culturale che influenzò parte del cinema di quegli anni e coinvolse, in misura diversa, registi come Manuel Antín con La cifra impar (1961), Simón Feldman con El negoción (1959), David José Kohon con Prisioneros de una noche (1960), José Martínez Suárez con El crack (1960) e Rodolfo Kuhn con Los jóvenes viejos (1961). Si tratta di film di denuncia sociale, in cui emerge la particolare situazione di un Paese colonizzato culturalmente e politicamente dagli Stati Uniti e alla ricerca del riscatto e dell'autonomia. La cifra stilistica dominante è quella di una rappresentazione ambigua del reale, di un continuo rovesciamento di ciò che è familiare e quotidiano; il cinema diviene così il luogo dove mettere in scena le contraddizioni di una nazione alla ricerca della propria identità. Parallelamente a questa tendenza, si sviluppò anche un cinema lirico-­‐politico, attento alla complessità della società argentina (la differenza tra città e campagna, l'influenza europea, il problema dei conflitti sociali della modernità), e, allo stesso tempo, sensibile alle difficoltà dell'esistenza di chi vive ai margini. Rappresentanti di questa linea furono registi come Lautaro Murúa ‒ già attore nei film di Torre Nilsson ‒ con Shunko (1960), affascinante esplorazione dei miti e dei riti delle comunità rurali e Leonardo Favio, con Crónica de un niño solo (1965), sulla difficile esistenza di un bambino fuggito dal riformatorio. Fernando Birri, regista formatosi al Centro sperimentale di cinematografia a Roma, realizzò, insieme agli allievi del suo Instituto de Cinematografía di Santa Fe, il corto documentario Tiré dié (1956-­‐
1958; Tirami un dieci) e il lungometraggio Los inundados (1961), in cui la tematizzazione dei problemi sociali dell'A. si coniuga con l'utilizzo di uno stile mediato in particolare dal Neorealismo italiano. Gli anni Sessanta, dunque, si aprirono con una decisa inversione di rotta: la consapevolezza che il cinema sarebbe dovuto diventare uno strumento di lotta politica, per la costruzione di un'identità nazionale, e di denuncia. Era quindi necessario trovare nuove modalità espressive e di costruzione dell'immagine, svincolate dai modelli statunitensi. In questi anni registi e sceneggiatori come Fernando Ezequiel (detto Pino) Solanas, Octavio Getino e Gerardo Vallejo fondarono un collettivo di cinema militante, il gruppo Cine Liberación, una sorta di laboratorio di produzione in cui il cinema era visto come strumento di documentazione sociale e di interpretazione storico-­‐politica dell'A. contemporanea. Alla fine degli anni Sessanta, Solanas e Getino realizzarono La hora de los hornos (1966-­‐1968; L'ora dei forni), dalla lunga lavorazione e della durata di oltre quattro ore: era un grande affresco della situazione del Paese, un esempio radicale di cinema militante, una presa di posizione politica contro la classe dirigente nazionale, colpevole della sudditanza rispetto al neocolonialismo occidentale. I due registi proponevano un cinema del conflitto, della contraddizione ‒ il cosiddetto tercer cine, terzo cinema ‒ punto di partenza irrinunciabile verso la costruzione di un'identità latinoamericana. Il film circolò clandestinamente fino al 1973, anno in cui terminò la dittatura militare del generale J.C. Onganía. Il gruppo Cine Liberación realizzò tra l'altro, per la regia di Vallejo, El camino hacia la muerte del viejo Reales (1971); sceneggiato da Solanas e Getino, il film narrava, a metà tra fiction e documentario, la storia di una famiglia nelle campagne argentine, tra sfruttamento e duro lavoro nelle piantagioni di canna da zucchero, tra modernità e tradizione. Oltre al cinema documentario di Solanas, Getino e Vallejo, si sviluppò in quegli anni anche un cinema 5 d'impegno (sulla scorta di quello europeo), attento però alla ricerca di modelli non necessariamente ricalcati su quelli del cinema occidentale. Con il ritorno del peronismo (dal maggio 1973 al luglio 1974), nella speranza di un cambiamento sociale, Solanas, Getino e altri cineasti collaborarono attivamente con il governo (La hora de los hornos uscì dalla clandestinità e fu fatto circolare pubblicamente con un nuovo montaggio; Getino divenne capo dell'ufficio censura). Torre Nilsson si orientò verso un cinema raffinato di trasposizioni letterarie o di ricostruzione storica, Murúa e Favio svilupparono il loro cinema poetico attento alla marginalità sociale: il primo con La Raulito (1974), il secondo con Juan Moreira (1973). Anche altri registi attivi fin dagli anni Sessanta si inserirono in questo nuovo clima di apertura, pur con qualche significativa differenza. Olivera e Ayala, per esempio, mostrarono una doppia tendenza: da una parte, l'interesse per opere dal contenuto politico, che non presentavano però particolari novità nel campo della forma, come La Patagonia rebelde (1974) di Olivera; dall'altra, un cinema di drammi borghesi, come Triangulo de cuatro (1974) di Ayala, o di puro intrattenimento e di recupero della cultura popolare, come Argentinísima (1972) e Argentinísima 2 (1973), entrambi codiretti da Ayala e Olivera.La situazione cambiò radicalmente con l'avvento della dittatura militare di J.R. Videla nel 1976; molti registi furono costretti a rifugiarsi all'estero per sfuggire alle persecuzioni, altri furono torturati e uccisi ‒ come Raymundo Gleyzer, autore di film politici come México, la revolución congelada (1970) e Los traidores (1974), ucciso nel 1976 ‒ seguendo la sorte delle migliaia di desaparecidos che costituisce una delle pagine più nere e drammatiche della storia argentina. Solanas si rifugiò a Parigi, Vallejo, Murúa e Kuhn a Madrid, Getino in Messico. La produzione calò drasticamente: nel 1976 e nel 1981 uscirono poco più di dieci film, e le sale furono invase da opere di provenienza soprattutto statunitense. I pochi film girati furono per lo più d'intrattenimento, totalmente avulsi dalla realtà del Paese, tranne qualche caso, come La isla (1979) di Alejandro Doria, allusivo alla situazione d'isolamento dell'A., e gli esordi del figlio di Torre Nilsson, Javier Torre, con Fiebre amarilla (1982), e del figlio dello scrittore E. Sábato, Mario, con El poder de las tinieblas (1979): film dalla forte carica simbolica che, pur nella diversità di temi e di stili, erano accomunati dalla presenza di un'atmosfera carica di morte e di decadenza.Con il ritorno della democrazia nel 1983, e l'elezione del presidente R. Alfonsín, nel Paese si diffuse un clima di entusiasmo e la cinematografia nazionale tornò (dal punto di vista produttivo) ai livelli di un tempo. Nel 1984 Antín fu nominato presidente dell'INC (Instituto Nacional de Cinematografía) e animò un nuovo collettivo di registi, Cine Argentino en Libertad y Democracia. Da questo gruppo emersero María Luisa Bemberg, cineasta autrice di melodrammi incentrati sulle problematiche femminili, con Camila (1984; Camilla ‒ Un amore proibito) e Miss Mary (1986), e Luis Puenzo, con La historia oficial (1985; La storia ufficiale), incentrato sulle adozioni dei figli dei desaparecidos, che ottenne la nomination al premio Oscar nel 1986. Gli eventi drammatici appena trascorsi furono al centro degli interessi dei registi vecchi e nuovi, ansiosi di mostrare ciò che per molto tempo era rimasto invisibile: Hombre mirando al sudeste (1986) di Eliseo Subiela, Tangos ‒ El exilio de Gardel (1985; Tangos, l'esilio di Gardel), realizzato da Solanas a Parigi, furono i modelli di un cinema di impegno civile, simbolico e politico, dove però l'urgenza di mostrare a volte portava a sottovalutare il problema di come mostrare, di come poter fare ancora cinema politico; si pensi a La noche de los lápices (1988; La notte delle matite spezzate) di Olivera.Fino alla fine degli anni Ottanta, il cinema argentino ottenne numerosi riconoscimenti internazionali e circolò in molti Paesi. Dal 1989 la situazione cambiò: l'inflazione sempre crescente impedì molte nuove produzioni (spesso legate ai finanziamenti statali e alle coproduzioni internazionali). Dopo la legge del 1995, però, che ha obbligato le televisioni a finanziare il cinema nazionale, si è affermata una nuova generazione di registi: Alejandro Agresti, Jorge Rocca, Pablo Trapero, Esteban Sapir, Bruno Stagnaro, Israél Adrián Caetano, Lucho Bender, Marco Bechis, che lavorava anche in Italia, Lucrecia Martel, Lisandro Alonso, Martín 6 Schwarzapel sono solo alcuni dei rappresentanti del cosiddetto nuevo cine argentino. Registi diversi tra loro, ma accomunati dall'esigenza di trovare nuovi linguaggi e nuove modalità produttive, per un cinema che esplori l'inquietudine profonda di un Paese contraddittorio. Nuove case di produzione indipendenti sono nate in questi anni, e nuove istituzioni, come la Universidad del cine, fondata a Buenos Aires nel 1996 da Antín, hanno garantito un effettivo ricambio generazionale (che dopo l'ultima dittatura militare era avvenuto solo in parte) e lo sviluppo di tendenze innovative. Da Pizza, birra y faso (1997) di Caetano e Stagnaro a Picado fino (1996) di Sapir, passando per Mundo Grúa (1999; Mondo gru) di Trapero e il film rivelazione La cienaga (2000) della Martel, il cinema moderno continua a essere riletto e interpretato dai registi argentini al fine di costruire nuovi percorsi e nuovi modelli. BIBLIOGRAFIA D. Di Núbila, Historia del cine argentino, 2 voll., Buenos Aires 1959, 1998² (solo 1° vol.). America Latina: lo schermo conteso, a cura di A. Aprà, Padova 1981 (in partic. E. Rossi, Vent'anni di cinema argentino, pp. 44-­‐57. J. Giannoni, L'ultimo tango del cinema argentino, pp. 159-­‐74; R. Kuhn, Nuove "concezioni" sulla cultura e il cinema in Argentina, pp. 175-­‐79). Historia del cine argentino, dirección de J.M. Couselo, Buenos Aires 1984, 1992². Argentine cinema, ed. T. Barnard, Toronto 1986. The garden of forking paths: Argentine cinema, ed. J. King, N. Torrents, London 1988. S. Feldman, La generación del '60, Buenos Aires 1990. O. Getino, Cine y dependencia: el cine en Argentina, Buenos Aires 1990. Cine argentino: la otra historia, a cura di S. Wolf, Buenos Aires 1994. O. Getino, Cine argentino. Entre lo posible y lo deseable, Buenos Aires 1998. H. Campodónico, El estado y el cine argentino, in "La mirada cautiva", 2000, 2, pp. 37-­‐48, 2000, 3, pp. 29-­‐49. Miradas: el cine argentino de los noventa, a cura di T. Toledo, Madrid 2000. SCARICABILE ALL’INDIRIZZO WEB: http://www.treccani.it/enciclopedia/argentina_(Enciclopedia-­‐del-­‐Cinema)/ 7 Storia del Cinema -­ America Latina dal sito web Cinema del Silenzio 1946 – 1970 Fino agli anni '60 il cinema dell'America Latina era stato ristretto alle pellicole di bassa qualità prodotte in Messico (con epiche rievocazioni della rivoluzione), in Argentina (storie di gauchos) e in Brasile. Negli anni '50 però si erano già avuti fenomeni artistici come i film di Buñuel in Messico e quelli di Cavalcanti in Brasile. Quest'area aveva lungamente patito l'instabilità politica e le frequenti restrizioni del diritto di espressione, che in pratica avevano lasciato crescere il cinema soltanto per iniziative personali. Nella piatta mediocrità delle dittature latino-­‐americane spiccano alcuni eventi importanti: la rivoluzione messicana del 1911, che fece del paese l'area più progressista dell'intero continente; Gatulio Vargas nel 1930 mise fuori legge tutti gli estremisti brasiliani e varò una serie di riforme; il demagogo Juan Peron nel 1946 conquistò il potere in Argentina, ma le sue riforme furono di scarsa efficacia. I paesi minori giunsero alla ribalta delle cronache soltanto quando le sinistre minacciarono seriamente di rovesciare la dittatura: la guerriglia di Fidel Castro fu la prima (nel 1959) ad averla vinta (e a scatenare anche la crisi di Cuba del 1962); i tupamaros dell'Uruguay vennero sterminati; il partito comunista cileno (guidato da Salvator Allende) giunse al potere democraticamente ma venne poi estromesso dal colpo di stato di Pinochet del 1973; i sandinisti presero il potere in Nicaragua dopo una decennale guerra civile ma persero la prima elezione democratica. Questi movimenti insurrezionali (sinceri o ipocriti che fossero) ebbero l'effetto di creare consapevolezza sociale nelle masse. In Brasile esercitò Nelson Pereira dos Santos che realizzò “Rio 40 gradi” (Rio 40 graus, 1955), e “Rio, zona nord” (Rio, zona norte, 1957). Fernando Birri – allievo del Centro sperimentale di cinematografia di Roma – fondò in Argentina la scuola del Film documentario di Santa Fé e vi girò con i suoi studenti il cortometraggio “Tire dié” (Gettami una moneta, 1958). Sia Birri che dos Santos sarebbero stati figure centrali nel cinema latino americano di sinistra degli anni Sessanta. Un cinema d’autore di stile europeo emerse più vistosamente in Argentina, dove Buenos Aires era un centro di cultura cosmopolita: figlio di un regista veterano, Leopoldo Torre Nilsson diresse alcuni lungometraggi, finché il suo “La casa dellangelo” (La casa del angel, 1957) venne acclamato al Festival di Cannes. In Messico il regista che riuscì a farsi notare con “La vergine indiana” (Maria Candelaria, 1943) e “Innamorata” (Enamorada, 1946) fu Emilio Fernandez. Tra gli altri cineasti di rilevo vanno ricordati Mathilde Landeta e Alejandro Galindo. Le platee di lingua non spagnola conobbero essenzialmente il cinema mesicano del dopoguerra attraverso Luis Buñuel, che si trasferì in Messico e diresse fra il 1946 e il 1965 venti film che rivitalizzarono la sua carriera. Il suo terzo film messicano “I figli della violenza” (Los Olvidados, 1950), vinse a Cannes nel 1951 e descrive i delinquenti giovanili di un quartiere povero a Mexico City. Dopo lo scandalo suscitato da “Viridiana”, girato in Spagna, Buñuel torno in Messico per due film prestigiosi, “L’angelo sterminatore” (El angel exterminador, 1962) e “Simon del deserto” (Simon del deserto, 1965): entrambi costituivano punte di modernismo che il regista non toccava dai tempi di “L’age d’or” (1930). 1961 – 1976 Nel 1963 il romanziere messicano Carlos Fuentes scriveva: "A sud del vostro confine, amici nordamericani, c'è un continente in fermento rivoluzionario, un continente che possiede una ricchezza immensa e che ciononostante vive in una miseria che voi non avete mai conosciuto e neppure potete immaginare". Erano questo fermento rivoluzionario e la sfida che esso lanciava all'Europa e agli Stati Uniti che molti registi latino-­‐americani cercarono di alimentare. Per quasi tutto il secolo l'America Latina era stata economicamente dipendente dal mercato 8 mondiale controllato dall'Occidente. Gli anni ‘60 videro una stagnazione del commercio in tutta l'America Latina, con il risultato di incoraggiare l'avvento di regimi militari dispotici che cercarono di attrarre investimenti dal Nord e di reprimere il dissenso politico. Gli Stati Uniti, inoltre, cercarono di soffocare l'attività della sinistra, che poteva compromettere i rapporti commerciali. Kennedy sponsorizzò gli esuli cubani che invasero la Baia dei Porci nel 1961, Johnson schiacciò una rivolta nella Repubblica Domenicana nel 1964 e la CIA cercò di sovvertire i regimi che non cooperavano, in particolare quello di Salvador Allende in Cile. Queste azioni intensificarono la sensazione che l’America Latina fosse un terreno di battaglia fra l'imperialismo economico e la rivoluzione di massa. A Cuba il cinema era sponsorizzato dal regime di Fidel Castro, ma altrove i registi politicamente impegnati si riunivano generalmente in piccoli gruppi di due o tre, e spesso lavoravano in collaborazione con movimenti politici o sindacati. Poteva succedere, come in Argentina e Cile, che un nuovo governo sostenesse o almeno tollerasse la loro attività, ma la rinascita di regimi di destra spinse i registi all'esilio. Più di altri registi terzomondisti, quelli latino-­‐americani erano ossessionati dal cinema hollywoodiano. I film statunitensi avevano dominato i mercati sudamericani dalla metà degli anni ‘10. Durante gli anni ‘30 e ‘40, la passione di Hollywood per le ambientazioni e le musiche sudamericane, sebbene presentasse immagini stereotipate, intensificò l'interesse del pubblico per i generi e le star americane. Il fascino da sogno dello studio system influenzò profondamente le culture di questi Paesi. I registi sudamericani politicizzati a volte assorbivano elementi del cinema hollywoodiano; a loro ben noto, ma si ispiravano anche a modelli stranieri di cinema socialmente impegnato. Come era accaduto negli anni ‘50, il neorealismo italiano ebbe un'influenza notevole, soprattutto nell'uso di attori non professionisti e di riprese in esterni. Anche il documentarismo del cinema diretto rappresentò una fonte importante, come lo era stato per il gruppo del Cinema Nôvo. In "Tarahumara, la vergine perduta" (Tarahumara, 1964), per esempio, il messicano Luis Alcoriza usa la macchina a mano come aveva fatto Guerra ne “I fucili". Per ragioni sia estetiche che economiche, la maggior parte dei registi latino-­‐americani girava in esterni con attori non professionisti, utilizzando un'attrezzatura leggera e doppiando i dialoghi. Nel montaggio generalmente ci si basava sul principio hollywoodiano della continuità. C'erano, tuttavia, alcuni esperimenti che si rifacevano al cinema muto sovietico, in particolare al "montaggio intellettuale" di Ejzenštejn. Per esempio, l'argentino "L'ora dei forni" (La hora de los hornos, di Fernando E. Solanas, 1968) si serve del montaggio per alternare l'immagine pubblicitaria di una bibita con la scena della macellazione di un toro. Anche il sonoro veniva utilizzato per sottolineare il senso di questo montaggio a tema. Nel film cubano "Memorie del sottosviluppo" (Memorias del subdesarollo, di Tomás Gutiérrez Alea, 1968), cinegiornali sulle vittime della tortura militare sono alternati a immagini di donne dell'alta società che applaudono, e la muta insensibilità dell'elite al governo è sottolineata dalla colonna sonora, che si riduce semplicemente al rumore delicato degli applausi femminili. Tutte queste tendenze stilistiche, insieme a elementi presi dalle nouvelles vagues europee, portarono i film latino-­‐americani a rendere meno marcati i confini fra documentario e fiction. La scelta di servirsi di attori non professionisti, l'immediatezza della camera a mano, l'uso di materiali tratti dai cinegiornali e l'attenzione prestata a tematiche d'attualità diede ai film il tono del reportage, anche quando l'azione era ambientata nel passato. Allo stesso tempo, il ricorso a un'estetica modernista -­‐ i flashback frammentari, la narrazione ellittica, l'attore che si rivolge alla macchina da presa -­‐ evitò la piattezza del realismo socialista sovietico. Spinti dal desiderio di esprimere le aspirazioni politiche del continente, i nuovi registi cercarono un contatto con il pubblico più immediato: a Cuba, fusero le forme sperimentali con l'intrattenimento; altrove, esplorarono i modi per coinvolgere lo spettatore comune nel processo di produzione o proiezione. Come le opere del Cinema Nôvo tropicale, alcuni film si rifacevano alle tradizioni folcloristiche, in particolare alla narrativa orale; altri vennero pensati per suscitare 9 discussioni dopo la proiezione. Per un certo periodo di tempo il cinema latino-­‐americano si ispirò al cinema sperimentale e politico del Cinema Nôvo e di altri movimenti, rivolgendosi però a un pubblico più vasto di quello conquistato dai registi brasiliani. I registi latino-­‐
americani assomigliavano a quelli della scuola del montaggio sovietico e ai neorealisti italiani anche per il forte desiderio di unire la teoria alla pratica. Alla fine degli anni ‘60 le discussioni critiche sul cinema politico diedero origine a saggi e manifesti, in particolare a quelli di Fernando E. Solanas e Octavio Getino, "Verso un terzo cinema" (1969), e di Julio Garda Espinosa "Per un cinema imperfetto" (1969). Nessuna linea teorica caratterizzò il cinema terzomondista, ma questi scritti, insieme a film di dirompente energia e forza, servirono a chiarire i problemi affrontati dai registi rivoluzionari di tutto il mondo. Argentina: 1961 – 1962 Durante gli anni ‘50 il documentarista argentino Fernando Birri aveva dato vita a un "cinema della scoperta", critico e realistico, che lo aveva fatto diventare, per i registi sudamericani, una figura a cui ispirarsi. L'Argentina aveva anche inaugurato un cinema d'arte con le opere di Leopoldo Torre Nilsson. Durante i primi anni ‘60, il Paese ebbe la sua debole Nueva Ola, di cui facevano parte registi che rappresentavano la classe media di Buenos Aires (un po' alla maniera di Chabrol e Malle). E alla fine degli anni ‘60, l'Argentina fu il teatro di uno dei movimenti più importanti del cinema militante. Dopo la caduta del presidente nazionalista Juan Perón, una serie di regimi cercarono di eliminare il consenso popolare di cui egli godeva. Nel 1966 un colpo di stato militare sospese l'assemblea legislativa, sciolse i partiti politici e soppresse il movimento dei lavoratori. La maggior parte dei cineasti commerciali realizzarono film approvati dal regime, basati sul folclore o su versioni ufficiali della Storia argentina. Nel frattempo, la sinistra, la classe media, i gruppi studenteschi e i peronisti si adoperavano per destituire il governo militare. Un cinema politico parallelo, per esempio, è quello di "Operazione massacro" (Operación masacre, di Jorge Cedrón, 1969), film in cui si rivelava il tentativo del governo di eliminare i maggiori esponenti del peronismo. I film politici più importanti vennero realizzati dal gruppo Cine Liberación: fondato dai peronisti di sinistra Fernando E. Solanas e Octavio Getino, svolse un ruolo fondamentale nella definizione del cinema politico in America Latina. Il film più importante di Solanas e Getino fu "L'ora dei forni". In quest'opera, della durata di quattro ore, la fusione di cinema diretto e scene girate in studio, accompagnata da una complessa colonna sonora, dà vita a un trattato cinematografico di una complessità simile a quella di Dziga Vertov e Chris Marker. Le tre parti del film dovevano provocare discussione e azione. "Neocolonialismo e violenza", la parte dedicata a Che Guevara, mostra un'Argentina sfruttata da Europa, Stati Uniti e dall'elite al governo; la seconda parte, "Un atto di liberazione", analizza il fallimento del peronismo; la terza parte, "Violenza e liberazione", è incentrata su interviste agli attivisti che discutono le prospettive di cambiamento. "L'ora dei forni" bombarda lo spettatore con un collage di immagini e suoni. Come nei film cubani e nel cinema sovietico di montaggio, le tecniche del cinema moderno sono utilizzate con un intento rivoluzionario. Gli opposti entrano in collisione: i fondatori del Paese con i golfisti della classe media contemporanea, un massacro di abitanti delle montagne con una moderna discoteca. Il "mito di una cultura universale" è parodiato attraverso un raccordo con il quale si passa da un quadro di pittura accademica a un uomo trascinato via dalla polizia. La colonna sonora intensifica il senso di questo montaggio. Quando si sente della musica pop mentre la macchina da presa effettua una carrellata sui musei, il film suggerisce la cooptazione degli intellettuali da parte dei mass media. Ma "L'ora dei forni" va oltre la pura complessità intrinseca, per raggiungere direttamente il suo pubblico. Il film venne fatto circolare fra gruppi di lavoratori e proiettato di nascosto in riunioni segrete. Sebbene Solanas e Getino aderissero alla linea peronista, volevano che il film fosse interrotto dalle discussioni fra gli spettatori. E a un certo punto il film si arresta: "Adesso dipende da voi tirare le 10 conclusioni, continuare il film. A voi la parola". Dall'esperienza delle riprese e delle proiezioni di "L'ora dei forni" nacquero altri manifesti di Cine Liberación che definivano il "terzo cinema". Per Solanas e Getino il "primo cinema" coincideva con quello hollywoodiano, che sopraffaceva lo spettatore attraverso lo spettacolo rendendolo un consumatore dell'ideologia borghese. Il "secondo cinema" era il cinema artistico d'autore che, promuovendo l'espressione individuale, rappresentava un passo avanti, soprattutto nelle opere del Cinema Nôvo, ma che ormai aveva fatto il suo tempo. Il "terzo cinema" usava il film come un'arma di liberazione, facendo di ogni partecipante un "guerrigliero". Il regista faceva parte di un collettivo: non solo un movimento di massa, piuttosto un gruppo produttivo che lavorava per conto degli oppressi. In linea con le innovazioni formali di "L'ora dei forni", Solanas e Getino reclamavano un "terzo cinema" che rompesse con gli eroi individuali e con la narrazione ortodossa. Nel frattempo le condizioni di ricezione dovevano essere trasformate, chiedendo ai registi di creare circuiti di distribuzione segreti fra i gruppi sovversivi. Quando la proiezione è clandestina, lo spettatore corre un rischio già nell'assistervi e questo lo rende un "compagno che partecipa", pronto a pensare e a prendere parte al dibattito. Solanas e Getino definirono "L'ora dei forni" "un'azione cinematografica"; essi chiedevano ai registi di considerare il cinema come una tattica concreta all'interno di una lotta più vasta. Durante gli anni ‘70 l'Argentina si stava disgregando; la repressione del governo era contrastata dalle insurrezioni e dal terrorismo. Solanas e Getino diedero il loro contributo girando due interviste-­‐
documentario con l'esiliato Perón. Altri registi continuarono a fare film peronisti ed emersero gruppi di estrema sinistra come Cine de Base. Nel 1973 le autorità militari non potevano più contenere le rivolte né sperare di risolvere i problemi economici della nazione: Perón fu rinominato presidente. I capi di Cine Liberación cominciarono a lavorare per il suo regime; Solanas venne messo a capo di un'associazione cinematografica indipendente, mentre Getino divenne il responsabile della commissione nazionale di censura: riammise tutti i film banditi, liberalizzò la censura e offrì finanziamenti ai gestori di sale e ai sindacati cinematografici. Venne redatta una nuova legge sul cinema che incrementava il supporto del governo all'industria. Cine de Base e il gruppo FAS rimasero invece clandestini, realizzando film di denuncia in cui il peronismo era accostato al fascismo. E Perón confermò subito i loro sospetti usando la mano pesante con la sinistra. Morto nel 1974, a succedergli fu la moglie Isabel, che però non riuscì a far diminuire l'inflazione né a contenere la guerriglia urbana fra la sinistra e la destra. Con il Paese nel caos, ogni riforma cinematografica venne dimenticata. I registi di Cine Liberación scapparono: Getino fuggì in Perù e Solanas a Parigi. Entrambi continuarono a lavorare in esilio. Nel 1976, i militari conquistarono il potere e lanciarono un attacco feroce all'opposizione. Negli anni a venire sparirono circa 20.000 persone, la maggior parte delle quali uccisa per mano degli squadroni della morte. La produzione cinematografica praticamente si interruppe. Lo studio Sono Film chiuse nel 1977 e Torre Nilsson morì in esilio l'anno dopo. Il cinema argentino risorse solo intorno alla prima metà degli anni ‘80, lasciandosi alle spalle l'ombra dei generali. 1973 – 1987 Durante gli anni ‘70, i governi militari presero il potere in molti Paesi del Sud e del Centro America: il Brasile, l'Uruguay, il Cile e l'Argentina caddero tutti sotto dittature militari. Dopo il 1978, in quasi tutti i Paesi dell'America Latina fu ristabilita la democrazia, ma i nuovi governi dovettero affrontare tassi di inflazione assai elevati, una diminuzione nella produzione e urgenti debiti con l'estero. Dal 1982 nessuno di questi grandi debitori è stato più in grado di ripagare nemmeno in parte il capitale ottenuto in prestito. Le sale dell'America Latina erano state dominate da Hollywood a partire dalla prima guerra mondiale. Il prodotto cinematografico di questi Paesi era cresciuto in maniera significativa nel decennio 1965-­‐1975, ma poiché gran parte dei governi di destra non impediva le importazioni dagli Stati Uniti, nel 11 decennio successivo la produzione è diminuita costantemente. In qualche caso, tuttavia, le industrie locali si sono rafforzate e alcuni registi hanno conquistato un posto nel circuito internazionale del cinema di qualità. Argentina Durante la dittatura militare in Argentina (1976-­‐1983), migliaia di cittadini furono arrestati e uccisi segretamente. Il regime privatizzò le industrie statali e abbassò le tariffe, aprendo il Paese ai film statunitensi e incoraggiando la produzione locale a basso costo. Quella che divenne famosa come la "sporca guerra" perseguitava gli artisti uccidendoli, mettendoli su liste nere o esiliandoli. La guerra per impadronirsi delle isole Falkland, colonie inglesi, contribuì a rovesciare il regime e portò all'elezione di un governo civile nel 1984. Con la democrazia, nonostante l'inflazione, emersero diversi film tra cui "La storia ufficiale" (La historia oficial, di Luis Puenzo, 1985) -­‐ vicenda di una donna che scopre che la madre della figlia adottiva è "scomparsa" per mano degli squadroni della morte -­‐, un dramma fortemente emotivo che ricorre a un intreccio tradizionale punteggiato da episodi simbolici. "La storia ufficiale" vinse l'Oscar per il miglior film straniero nel 1986. Presto si cominciò a parlare di "nuovo cinema argentino". María Luisa Bemberg esplorò i ruoli della donna nella società argentina in "Camilla" (Camila, 1984) e "Miss Mary" (Id., 1986). Una distribuzione internazionale ebbe anche "Tangos -­‐ L'esilio di Gardel" (Tangos -­‐ El exilio de Gardel, di Fernando E. Solanas, 1985), in cui alcuni esiliati argentini a Parigi mettono in scena una "tanguedia", una commedia-­‐tragedia presentata attraverso la danza. Il film, a tratti divertente, a tratti triste, celebra il ruolo del tango nella cultura argentina. Solanas, coautore del film attivista "L'ora dei forni", passa dalla realtà al fantastico secondo le convenzioni del cinema d'arte, avvolgendo i protagonisti in una nube allegra e misteriosa di fumo giallo. Iniziato in Francia durante la "sporca guerra", Tangos fu terminato in Argentina dove ebbe un grandissimo successo al botteghino. SCARICABILE ALL’INDIRIZZO WEB: http://www.cinemadelsilenzio.it/index.php?mod=history 12 Cinema argentino contemporaneo Tre registi Juan Josè Campanella, Carlos Sorin e Alejandro Agresti -­ Juan Josè Campanella (Buenos Aires, 1959), oltre ad essere uno dei più noti registi argentini contemporanei, è anche stato sovente sceneggiatore, produttore e attore dei suoi film. Tra le sue opere più note, oltre a "Il figlio della sposa", nominato agli Oscar 2001, vi è "Il segreto dei suoi occhi" (El secreto de sus ojos), vincitore dell'Oscar 2010 nella sezione Miglior film straniero. Oltre che al cinema, Campanella ha lavorato come regista per la televisione, dirigendo diversi episodi delle celebri serie tv "Law & Order" e "Dr.House", oltre a quella argentina "Vientos de agua". FILMOGRAFIA (estratto): Prioridad national (1979), Victoria 392 (1982), Bad boy story, Il ragazzo che gridava (1991), Una notte per caso (1997), El misto amor, la mista lluvia (1999), Il figlio della sposa (2001), Luna de Avellaneda (2004), Il segreto dei suoi occhi (2009). -­‐ Carlos Sorín (Buenos Aires, 1944), regista, documentarista e produttore molto noto nel suo paese, è salito agli onori della critica mondiale per il suo film del 2002 "Historias minimas". Come Juan Josè Campanella, ha lavorato anche per la televisione. FILMOGRAFIA (estratto): La era del ñandu (1986), La pelicula del rey (1986), Eversmile, New Jersey (1989), Fergus O'Connell, dentista in Patagonia (1989), Historias minimas (2002), Bombon el perro (2004), 18-­‐j (2004), El camino de San Diego (2006), La ventana (2009), Argentina del bicentenario, las voces y los silencios (2010), El gato desaparece (2011) Dias de pesca (2012). 13 -­‐ Alejandro Agresti (Buenos Aires, 1961), dopo aver vissuto la sua infanzia nella nativa Argentina, dove già adolescente si cimentò dietro la macchina da presa, spinto dalla sua passione per il cinema si trasferì presto in Europa, nei Paesi Bassi, dove ha lavorato a numerosi cortometraggi, primo dei quali a suscitare un discreto interesse fu, nel 1986, "El ombre que ano la razon", presentato anche al festival internazionale del cinema di Rotterdam. FILMOGRAFIA (estrato): El zoológico y el cementerio (1978), El hombre que gano la razón (1986), El amor es una mujer gorda (1987), Boda secreta (1989), City life (1990), Luba (1990), Figaro stories (1991), Everybody wants to help Ernest (1991), A lonely race (1992), Modern Crimes (1992), El acto en cuestion (1994), Buenos Aires Vice Versa (1996), Un dia para siempre (1997), La cruz (1997), L'ultimo cinema del mondo (1998), Una notte con Sabrina Love (2000), Valentin (2002), Tutto il bene del mondo (2004), La casa sul lago del tempo (2006), No somos animales (2012). FONTI: The Internet Movie Database: http://www.imdb.com Cinenational: http://www.cinenacional.com/ Wikipedia, enciclopedia libera: http://en.wikipedia.org 14 IL PROGRAMMA COMPLETO E’ SCARICABILE DAL SITO www.comune.altare.sv.it 15