Ttip: il trattato di libero scambio tra USA e Europa. Quali
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Ttip: il trattato di libero scambio tra USA e Europa. Quali
Ttip: il trattato di libero scambio tra USA e Europa. Quali conseguenze per i cittadini e per l’economia? Annamaria Simonazzi Professore ordinario di Economia politica, Università di Roma “La Sapienza” Il TTIP: costo o opportunità?1 Stati Uniti e Unione Europea sono attualmente impegnati nella negoziazione di due importanti trattati di commercio. Il congresso americano ha votato in giugno la concessione al presidente Obama della “corsia veloce” per negoziare il trattato di libero scambio fra gli Stati Uniti e 11 paesi del Pacifico (Trans-Pacific Partnership, TPP). Dopo una prima battuta d’arresto, in luglio il Parlamento di Strasburgo ha votato la risoluzione contenente le indicazioni da dare alla Commissione Europea sul trattato di libero scambio fra Europa e Stati Uniti (TTIP, ovvero Transatlantic Trade and Investment Partnership). Si tratta di trattati che coinvolgono le due più grandi economie occidentali e che coprono il 40% del PIL mondiale il primo (TPP), il 50% il secondo (TTIP). Oltre a questi, l’UE ha negoziato un trattato con il Canada (CETA, Comprehensive Economic Trade Agreement), in attesa di ratifica finale, mentre è in corso di negoziazione il TiSA (Trade in Services Agreement), che coinvolge 50 paesi, fra cui l’UE. Questi trattati hanno sollevato proteste e aperta ostilità in una larga parte dell’opinione pubblica dalle due parti dell’Atlantico. Principale obiettivo di questo intervento è di offrire una valutazione dei benefici economici e dei costi sociali del TTIP, in particolare: 1. Analizzare i possibili effetti diretti e indiretti sulla crescita e sulla distribuzione (prezzi, salari, occupazione) e sulla qualità della crescita: questo riguarda soprattutto gli aspetti di regolazione dei mercati dei beni e dei servizi e i possibili vincoli posti dal trattato alle politiche nazionali. 2. Riflettere sulle possibili norme di salvaguardia, in materia di lavoro, salute, ambiente, che debbano essere inserite nel trattato per ridurre i possibili rischi sociali. 1 Una versione di questo intervento è pubblicata nel n. 2 (2015) di Economia & Lavoro. Quali effetti? Gli studi2 che hanno cercato di stimare gli effetti sul tasso di crescita del prodotto sono giunti alla conclusione di un impatto tutto sommato assai modesto (da 0.32 a 1.31 % del PIL nell’UE nell’arco di 10 anni). Come ha scritto il ministro svedese per gli affari europei, Birgitta Ohlsson, una politica volta a garantire una maggiore eguaglianza di genere nel mercato del lavoro porterebbe a un aumento del PIL europeo 24 volte maggiore delle stime più prudenti sui vantaggi economici del TTIP (12 per cento contro lo 0,5%). E questo, senza violare principi democratici, norme ambientali, o protezione del consumatore (Dagens Nyheter, 23 gennaio 2014). Le ragioni di questo scarso impatto sono evidenti: le tariffe nel commercio USA-UE sono in media ormai molto basse, e poco o nulla si ricava dalla loro eliminazione. Circa l’80 % degli effetti economici dipende infatti dalla riduzione o armonizzazione delle barriere non tariffarie (NTMs), cioè regolamenti, procedure amministrative, standards. Ma qui sorgono i problemi, sia per quanto riguarda la stima degli effetti diretti sull’interscambio e quelli indiretti sul prodotto e sull’occupazione, sia per quanto riguarda la loro effettiva riducibilità, tenuto conto che standard e regolamenti hanno un impatto sul benessere sociale (ad esempio standard sanitari o ambientali in settori sensibili come alimentari e bevande, farmaci, chimica, cosmetici). Le stime più ottimistiche prevedono infatti una riduzione delle barriere non tariffarie nell’ordine del 25-30%, ritenuta da molti perfino troppo elevata tenuto conto che il trattato può agire solo sulle barriere non tariffarie dovute a interventi di policy (per esempio, le diverse procedure di omologazione di un’automobile), che incidono secondo uno studio per il 3% dei costi totali, e non anche sulle assai più rilevanti barriere rappresentate dalla lingua, dalle preferenze culturali, dalle tradizioni, che inciderebbero per il 30%. I modelli di stima. I principali studi empirici adottano una metodologia basata su modelli di equilibrio generale computazionale. Si tratta di modelli costruiti sulla base di larghi database, che cercano di descrivere il comportamento dell’economia, e in cui viene poi introdotto lo “shock” rappresentato dalla riduzione delle barriere. I risultati dipendono non solo dalla qualità dei dati, ma soprattutto dalle ipotesi sul funzionamento dell’economia. Fra queste, l’ipotesi di piena occupazione dei fattori produttivi e il principio di “market clearing”, ottenuto attraverso la variazione dei prezzi sono particolarmente rilevanti. Si assume infatti che l’introduzione del TTIP favorisca una maggiore concorrenza che causa, a sua volta, una riduzione dei costi e dei prezzi e induce l’uscita delle imprese meno efficienti. Si liberano così risorse che vengono automaticamente assorbite dalle imprese a maggiore produttività. Tutti questi studi assumono infatti che, nel nuovo Ecorys (2009), CEPR (2013), CEPII (2013), Bertelsmann/ifo (2013). Si veda Raza et al. (2014) e Celi (2015) per una valutazione critica dei diversi studi. 2 punto di equilibrio, l’occupazione rimanga costante, o aumenti. Questo risultato è insito nel modello stesso: i modelli di EGC sono infatti modelli di pieno impiego3. La flessibilità dei prezzi assicura l’equilibrio di tutti i mercati, incluso quello del lavoro. I lavoratori dei settori in concorrenza con le importazioni che perdono lavoro a causa del TTIP trovano lavoro nei settori in espansione, con costi trascurabili in termini di minori salari, minori entrate fiscali e maggiori spese pubbliche per formazione e riqualificazione. La realtà è ovviamente differente. A fronte dei vantaggi rappresentati dalla creazione del commercio ci sono i costi di aggiustamento: i lavoratori licenziati dai settori perdenti devono essere riassorbiti nei settori vincenti. E’ ovvio che la stima dei costi è assai diversa se si usano modelli che ipotizzano la tendenza automatica al pieno impiego (che sono appunto quelli usati nella quasi totalità di questi studi), o se invece ci si concentra sugli effetti “nella fase di aggiustamento”: ci potrebbero essere allora effetti negativi duraturi sull’occupazione e sulla disoccupazione (per esempio i lavoratori anziani licenziati saranno difficilmente reimpiegabili) cui si aggiungono maggiori spese (per riqualificazione, sussidi di disoccupazione) e minori entrate (imposte sul reddito e contributi sociali) pubbliche, cui va aggiunto il minor gettito tariffario. L’aggiustamento sarà tanto più difficile, e i costi per l’erario tanto maggiori, in tempi di crisi e di disoccupazione elevata4. Usando un modello alternativo - il Global Policy Model delle Nazioni Unite - che incorpora ipotesi diverse e più realistiche sui meccanismi di aggiustamento, sulle dinamiche dell’occupazione e sul commercio mondiale, Capaldo (2015) stima che il TTIP, attuato in un contesto di austerità e bassa crescita, porterà a una riduzione del PIL, dei redditi e dell’occupazione, a un aumento dell’instabilità finanziaria e a un’ulteriore riduzione della quota dei salari sul reddito. Aspetti distributivi L’argomento tradizionale a favore del libero scambio è che, favorendo un aumento della concorrenza, porta a una riallocazione efficiente delle risorse che aumenta il benessere collettivo. Viene tuttavia trascurato il fatto che questo processo crea vincitori e vinti: fra lavoratori con diverse qualificazioni, istruzione, specializzazione settoriale, fra lavoratori e imprese, fra imprese, fra settori e fra paesi. Le imprese più piccole saranno altrettanto capaci delle grandi imprese multinazionali di cogliere i vantaggi offerti dal commercio internazionale? E saranno in grado di Fa eccezione il modello gravitazionale elaborato dalla fondazione Bertelsmann (2013), in cui è considerato un modello di mercato del lavoro neo-keynesiano. 4 Si stima che le sole spese per sussidi di disoccupazione potrebbero ammontare tra 0,5-1,4 miliardi di euro l’anno per i 10 anni successivi all’implementazione del TTIP, per un costo totale di 5-14 miliardi per i soli ammortizzatori sociali sul mercato del lavoro, cui vanno aggiunti i costi per le politiche attive, riqualificazione, formazione per l’acquisizione di nuove skills. 3 sostenere la maggiore concorrenza, tenuto conto che sempre più questa si basa su qualità, innovazione, brevetti, capacità di penetrazione dei mercati anche con investimenti diretti. Quali settori saranno vincenti e quali perdenti? Per esempio, la Commissione europea calcola che le esportazioni agricole europee verso gli Usa aumenteranno entro il 2025 del 60%, contro un aumento delle esportazioni Usa verso l’Europa del 120% che potrebbero mettere fuori mercato migliaia di piccole e medie imprese che hanno come unico mercato di riferimento quello europeo e interno. Inoltre gli effetti diretti dell’apertura al commercio si ripercuoteranno sull’intera industria attraverso le catene del valore che legano ciascuna impresa leader alla rete di fornitori. La riduzione degli ostacoli al commercio e agli investimenti influenzerà la struttura dei vantaggi di localizzazione: ne potrebbero risultare variazioni nella catena di sub-fornitura, con spiazzamento di vecchi fornitori e effetti negativi per le PMI posizionate nella catena del valore in una specifica collocazione geografica-nazionale5. Nel valutare i possibili effetti occorre distinguere l’impatto aggregato, cioè sull’Unione Europea nel complesso, dall’impatto sui singoli paesi, nel nostro caso, sull’Italia. I due effetti possono essere assai diversi. Chi si avvantaggia e chi perde all’interno della UE? Gli studi della Bertelsman (2014) e del CEPII (2013) mostrano che, in generale, i paesi dell’Europa meridionale (inclusa la Francia) e centro-orientale avrebbero minori vantaggi rispetto a Germania, Inghilterra e nord Europa. In generale, dunque, i paesi competitivamente più forti trarrebbero i maggiori vantaggi: la distribuzione diseguale dei benefici potrebbe acuire i conflitti fra i paesi membri. Le differenze sono ancora più accentuate quando si considerino gli effetti per settori, che lascia però inalterata la divisione fra vincitori e perdenti6. Infine, l’aumento del commercio USA-UE avverrebbe in parte a scapito del commercio intra-UE, (che, secondo uno studio, si ridurrebbe del 30%), nella misura in cui parte delle esportazioni fra i paesi europei vengano sostituite da importazioni a più buon mercato dagli USA7. Lo stesso avverrebbe per l’interscambio fra Europa e paesi terzi, in particolare i paesi in via di sviluppo, che tenderebbe a ridursi. Aumento della concorrenza? Negli studi citati gli effetti del trattato si trasmettono all’economia attraverso i prezzi. Come si è detto sopra, l’ipotesi di base è che la riduzione delle barriere non tariffarie aumenti la concorrenza, inducendo una riduzione dei prezzi interni, dovuta sia alla 5 I paesi dell’Europa meridionale hanno già sperimentato gli effetti di “trade diversion” conseguenti all’apertura a est dell’Unione Europea. 6 Germania, Inghilterra e paesi nordici si avvantaggerebbero per la maggiore specializzazione rispettivamente nella manifattura e nei servizi. 7 Bertelsman (2013, p. 14) stima una riduzione del 30 per cento dell’interscambio bilaterale fra Germania e Italia nello scenario di liberalizzazione completa. più efficiente allocazione delle risorse, sia alla riduzione degli extra-profitti delle imprese, traducendosi così in maggiore produzione e più elevati salari reali. Questa ipotesi è tuttavia tutt’altro che scontata ed è assai dubbio che l’esito (e anche la finalità) di questi trattati sia una maggiore concorrenza di prezzo per tutti i settori. Prendiamo il caso del TPP. Le priorità americane riguardano soprattutto l’imposizione di regole più severe sulla protezione della proprietà intellettuale (copertura e durata dei brevetti per settori quali farmaceutico, cultura e spettacoli, internet e nuove tecnologie). Nel caso del settore farmaceutico, per esempio, le imprese premono per limitare la regolamentazione governativa sul prezzo dei farmaci. Ora infatti i governi dei paesi aderenti all’accordo possono intervenire in vario modo - direttamente bloccando i prezzi per legge, decidendo l’inclusione nei prontuari di farmaci generici o negando i rimborsi ai pazienti nel caso di farmaci eccessivamente costosi – così da incentivare le imprese farmaceutiche a ridurre il prezzo verso il livello ‘approvato’ dal governo (Stiglitz 2015b). E’ possibile che, ove prevalesse l’orientamento generale della sezione “proprietà intellettuale” del TPP, la “regolamentazione” di molti settori, che tanto sta a cuore alle imprese multinazionali americane ed europee, possa tradursi non in una maggiore concorrenza, ma nell’imposizione di “cartelli”, i cui effetti travalicherebbero i Paesi aderenti ai trattati. Il TTIP include anche l'arbitrato internazionale Stato-investitore (il cosiddetto Isds, Investor- State Dispute Settlement), un meccanismo che consente agli investitori di citare in giudizio i Governi presso corti arbitrali internazionali. Sebbene meccanismi simili siano stati inclusi in molti accordi commerciali del passato, inclusi quelli negoziati dalla UE, l'Isds è aspramente osteggiato perché accusato di dare troppo potere alle multinazionali contro i Governi. Il tema è diventato molto sensibile in Germania dopo che il gruppo svedese Vattenfall ha citato in giudizio il governo tedesco davanti all'Icsid (il Centro internazionale per la regolazione delle controversie relative agli investimenti) contro la sua decisione di abbandonare l'energia nucleare8. I costi sociali della “armonizzazione della regolamentazione” La possibile interferenza delle norme del trattato con le politiche nazionali rappresenta il punto più delicato e controverso. La voce “barriere non tariffarie” include infatti una vasta gamma di standards, regolamentazioni, leggi che coprono aspetti sensibili delle 8 La Commissione Europea ha annunciato il 29 febbraio 2016 di aver raggiunto un accordo con il governo canadese sulla modifica della clausola di protezione degli investimenti, per evitare il rischio di bocciatura nel voto di ratifica dell’accordo (CETA) da parte del parlamento europeo. La clausola è ora allineata alla proposta contenuta nel TTIP come riformulata nel novembre 2015. “The new deal does not feature any longer ad-hoc arbitration, but a permanent, institutionalised dispute settlement tribunal where members will be appointed in advance and that would abide by a very strict code of conduct.” (Vincenti 2016). Ringrazio Paolo Turrini per avermi segnalato questa variazione. politiche pubbliche, quali la salvaguardia della salute, la protezione del consumatore, regolamentazioni sociali ed ambientali. Tutti gli studi considerati assumono che ogni riduzione delle “barriere non tariffarie” porti a un miglioramento del benessere sociale. In realtà la maggior parte di questi ‘ostacoli’ rispondono a obiettivi di benessere sociale: correggono fallimenti del mercato o salvaguardano le preferenze collettive della società, per esempio regole di tutela di consumatori, lavoratori, ambiente e salute (Stiglitz 2015a). L’eliminazione di queste salvaguardie risulterebbe dunque in una riduzione del benessere sociale, nella misura in cui questi obiettivi sociali non venissero più assicurati da altre politiche. Questo rischio viene in parte riconosciuto nel trattato, che pone l’enfasi su “mutuo riconoscimento” piuttosto che su “armonizzazione”. Il mutuo riconoscimento potrebbe risultare in diversi livelli o standard in concorrenza fra loro. Se i costi sono diversi, non è possibile escludere che il minor livello di regolamentazione spiazzi l’altro (una specie di legge di Gresham applicata alla regolazione), che aprirebbe la possibilità di una corsa al ribasso nella regolamentazione, qualcosa di simile a quanto è successo nel caso della regolamentazione finanziaria negli anni precedenti la crisi, o alle condizioni lavorative nel mercato del lavoro. Particolarmente viva la preoccupazione che la firma di un trattato internazionale possa determinare vincoli alle politiche nazionali. Per esempio nel caso in cui politiche industriali o macroeconomiche che si rendessero necessarie per garantire la trasformazione della struttura produttiva, e dunque sostenere la crescita e l’occupazione, entrassero in conflitto con le norme del trattato. Sebbene dunque le norme del trattato possano non mettere a rischio i livelli correnti degli standard, potrebbero tuttavia impedirne o vincolarne il cambiamento. Equilibri sistemici Gli obiettivi di questi accordi commerciali vanno oltre i vantaggi economici tra i paesi contraenti. C’è in gioco il problema di salvaguardare l’influenza USA in aree in rapida crescita, sottraendole alla crescente influenza della Cina. Proteggere cioè gli interessi dei lavoratori e delle imprese americane dalla concorrenza strategica della Cina, che vuole “stabilire le regole” nella regione9. Attivando questo nuovo bilateralismo atlantico del commercio, l’occidente potrebbe diventare il promotore delle nuove regole del commercio mondiale: diventare standard-setters, prima di essere costretti a diventare standard-takers, in un ordine economico mondiale che vede sempre più presenti i paesi emergenti. 9 Si veda la recente istituzione da parte della Cina dell’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), un’istituzione per il finanziamento multilaterale allo sviluppo a cui hanno aderito diversi paesi alleati degli Stati Uniti (The Economist, March 28, 2015, p. 55). A fronte dei benefici diretti, in termini di crescita del PIL e dell’occupazione, e indiretti, stanno tuttavia preoccupazioni crescenti (non solo nel pubblico, ma anche nel congresso americano e nel parlamento europeo) per la possibilità che l’armonizzazione della regolamentazione porti al “minimo comun denominatore”, cioè all’allineamento sul livello minore di regolamentazione, con rilevanti costi sociali. L’approvazione del trattato potrebbe richiedere dunque che vengano stralciati i punti più sensibili che riflettono le preferenze culturali delle due società. E’ tuttavia possibile anche una via più ambiziosa, che miri a coinvolgere le imprese in un programma di lungo termine capace di trasformare la regolamentazione da costo a opportunità, guidando l’innovazione nella direzione dell’interesse pubblico: investimenti per il controllo ambientale, tecniche di risparmio energetico, prodotti e macchinari più sicuri. Fare cioè della regolamentazione un motore per la crescita. Riferimenti BERTELSMANN-IFO (2013), “Transatlantic trade and investment partnership (TTIP): Who benefits from a free trade deal? Part 1: Macroeconomic Effects”, (Felbermayr, G.J., Heid, B. and Lehwald, S.). G. Celi (2015) Should we trust the giant “EUSA”? A reflection on Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) and its impact on European economy, Economia & Lavoro, n. 3 (di prossima pubblicazione). CEPII (2013), “Transatlantic trade: Whither partnership, which economic consequences?”, Policy Brief, 1, September, (Fontagné, L., Gourdon, J. and Jean, S.). CEPR (2013), “Reducing Transatlantic Barriers to Trade and Investment – An Economic Assessment”, Study for the European Commission, Final Project Report, March, (Francois, J., Manchin, M., Norberg, H., Pindyuk, O. and Tomberger, P.). ECORYS (2009), “Non-tariff measures in EU-US trade and investment – An economic analysis”, Study for the European Commission, Directorate General for Trade, December, (Berden, K., Francois, J., Thelle, M., Wymenga, P., Tamminen, S.). RAZA, W., GRUMILLER, J., TAYLOR, L., TRÖSTER, B. and VON ARNIM, R. (2014), “Assessing the Claimed Benefits of the Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP)”, Final Report, OFSE, Vienna, 31 March. Stiglitz, J. (2015a) Don’t trade away our http://www.nytimes.com/2015/01/31/opinion/dont-trade-away-ourhealth.html?ref=topicsObstacles or regulations? health, Stiglitz, J. (2015b), Dal TPP al TTIP, il libero commercio nuoce al mercato, Sbilanciamoci 17/04/2015 http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/Dal-Ttp-alTtip-il-libero-commercio-nuoce-al-mercato-29418. Vincenti, D. (2016), EU, Canada change ISDS clause, get closer to ‘gold-plated trade deal’| EurActiv.com. https://www.euractiv.com/section/trade-society/news/eucanada-change-isds-clause-get-closer-to-gold-plated-trade-deal/ http://trade.ec.europa.eu/doclib/press/index.cfm?id=1477