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Il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP)
31
October 2014
Author:
Elena D’Alvano
Language:
Italian
Keywords:
TTIP
Transatlantic Trade and
Investment Partnership
USA-UE negotiations
ISSN: 2281-8553
©
Istituto di Alti Studi in Geopolitica e
Scienze Ausiliarie
ABSTRACT
In an Europe that now feels more than ever the need to change
and open to the world not only from the point of view of values
and friendship, but also of trade, the Italy’s EU semester duty
presidency should represent «the opportunity to take a big step
forward in making a Europe more globalized». The Italian prime
minister himself, Matteo Renzi, in his ambitious agenda included
as a crucial point the Italian commitment to accelerate the
negotiations between the US and the EU for the implementation
of the Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP).
Proved the enormous relevance of the theme and in occasion of
the recent conclusion of the sixth round of negotiations (29
September – 3 October 2014) this report provides a critical
analysis of this agreement, which aims to create the largest free
trade area in the world. For reasons of completeness and
geopolitical overview, it was consider worthwhile to begin with
an analysis of the sociopolitical, historical and economic causes,
which have motivated the United States and Europe to bring their
relationship to a higher level by the lunch of the negotiation for
the fulfillment of this Treaty. Preceded by several information
about the parties involved in the negotiations, in order to clarify
and be as objective as possible about the numbers of the Treaty,
main points of view expressed by the major Research Centers and
European think-tanks and not are provided, both in favor and
against the TTIP. The author then focused on its contents, trying
to cover all the subjects negotiate by the Treaty and the potential
effects it will have on their respective fields: labor law and social
policy, agribusiness and sustainable development, Public
Procurement and Intellectual Property, financial services and the
Investor-State Dispute Settlement.
ELENA D’ALVANO
International Science and Diplomacy, University of Siena.
Master in Economic Security, Geopolitics and Intelligence (SIOI).
[email protected]
1. Un focus sul TTIP
A partire dal luglio 2013, a Washington, tra
Stati Uniti e Unione Europea si sono
ufficialmente aperte le trattative sul
Transatlantic
Trade
and
Investment
Partnership (TTIP). Il TTIP, conosciuto anche
come TAFTA (Transatlantic Free Trade
Area), è un accordo economico di libero
scambio e degli investimenti, che attraverso la
rimozione delle barriere commerciali in una
vasta
gamma
di
settori
economici
faciliterebbe l’acquisto e la vendita di beni e
servizi tra Europa e Stati Uniti, creerebbe
posti di lavoro e procederebbe ad una più
profonda interconnessione tra le due
economie più importanti1.
Progettato come risposta alla crisi
economico-finanziaria
che
stiamo
attraversando, trova le sue radici nel
novembre del 2011, quando in occasione della
riunione al vertice UE – USA, i leader delle
due parti istituirono un gruppo di lavoro di
alto livello sulla crescita e l’occupazione
(High Level Working Group on Jobs and
Growth), guidato dal rappresentante del
Commercio statunitense Ron Kirk e il
Commissario UE al commercio Karel De
Gucht. Al gruppo fu affidata “l’individuazione
di nuovi modi per rafforzare le relazioni
economiche e sviluppare il suo pieno
potenziale”, ivi compresa la valutazione e
l’eliminazione delle barriere commerciali
bilaterali esistenti2.
Terminati i lavori, nel giugno 2012, nel
Rapporto finale il gruppo di esperti
raccomandava a entrambe le parti che fossero
ufficialmente avviati i negoziati per la
conclusione di un accordo globale3.
1
http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/aboutttip/index_en.htm (Commissione Europea, 30 maggio
2014).
2
EU-US Summit: Fact sheet on High-Level Working
Group on Jobs and Growth, MEMO/11/843,
Washington,
28
November
2011;
http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2011/november/tr
adoc_148387.pdf.
3
Già da questo Rapporto finale possiamo ricavare le
linee guida al contenuto del TTIP tra i quali:
“l’eliminazione, la riduzione o la prevenzione di inutili
barriere non tariffarie al commercio in tutte le
categorie”, “eliminazione o riduzione delle barriere
convenzionali agli scambi di merci, come tariffe”,
Il TTIP è attualmente ancora in fase di
negoziazione riservata tra un pugno di esperti
della Commissione UE e il Ministero del
Commercio USA. Entrambi, sostenendo che
al fine di garantire l’esito positivo dei
negoziati commerciali un certo grado di
riservatezza fosse necessario, sono riusciti a
mantenere strategicamente in disparte il TTIP
dall’attenzione mediatica.
La massima discrezione mantenuta sin dal
principio ha permesso di conservare una
particolare riservatezza non solo sui
protagonisti effettivi della sua elaborazione,
ma di mantenere segreto il testo sia al
Parlamento Europeo che al Congresso
statunitense. Tuttavia, grazie all’accelerazione
che le trattative hanno subito negli ultimi
mesi, qualche informazione relativa ai suoi
protagonisti e al suo contenuto è riuscita a
trapelare.
1.1 Il contesto geostrategico del TTIP
La crisi economico-finanziaria ha avuto un
ruolo fondamentale nel modificare il quadro
geopolitico internazionale costringendo le
vecchie egemonie storiche, come Europa e
Stati Uniti, a mettersi in discussione con i
nuovi rapporti di forza a livello
internazionale.
Al fenomeno della crisi, si è poi aggiunto
anche quello globalizzazione, che con una
nuova ridistribuzione della ricchezza, ha
contribuito a provocare l’ascesa di nuovi
paesi e a spostare il baricentro economico del
mondo: se la Gran Bretagna era l’economia
dominante nel XIX secolo e gli Stati Uniti nel
XX, già a partire da quest’anno, la Cina
sembrerebbe aver sottratto agli USA il
primato di maggiore economia al mondo e
insieme ai BRICS si prepara a detenere il
“l’eliminazione, la riduzione o la prevenzione di
ostacoli agli scambi di merci, servizi e investimenti”, e
la “maggiore compatibilità delle normative e degli
standard”, Interim Report to Leaders from the CoChairs, EU-U.S. High Level Working Group on Jobs
and
Growth,
19
June
2012,
http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2012/june/tradoc_
149557.pdf.
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3
trono di potenza globale4.
L’andamento delle relazioni economiche
internazionali ha aperto la strada alle nuove
potenze emergenti del sud del mondo, quali
Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa che
continuano a crescere e a sviluppare un
proprio mercato interno sottratto all’influenza
statunitense, come nel caso del MERCOSUR
in America Latina5. La costruzione di queste
nuove aree commerciali dove la mano d’opera
è a basso costo, ha avuto un enorme attrattiva
per le maggiori imprese multinazionali. Se
inizialmente avevano stabilito i loro impianti
di produzione nei BRICS unicamente per
soddisfare i mercati occidentali, attualmente
sono impegnati ad appagare il fabbisogno
crescente della classe media dei mercati
asiatici e sudamericani, che nell’arco di un
decennio hanno visto ampliare il proprio
potere di acquisto.
Tra i BRICS, la Cina è il principale
sfidante al ruolo di egemone globale, e se
pure il passaggio del testimone sembra ormai
irreversibile, gli USA non sono certo ancora
pronti a cedere in questa competizione. Prima
della crisi finanziaria gli Stati Uniti erano il
principale partner commerciale di 127 paesi
nel mondo, oggi Pechino lo è diventata per
124 Stati, mentre Washington solo di 70 paesi.
Entro un periodo di circa dieci anni, Pechino
potrebbe fare della sua moneta, lo Yuan,
l’altra grande valuta del commercio
internazionale. Proprio in virtù di “contenere”
la Cina, preservando cosi il ruolo del dollaro
quale moneta principale degli scambi
internazionali, Washington si è decisa sia a
rafforzare il primato commerciale con
l’Europa,
creando
ampissime
zone
egemonizzate di “libero scambio”, che a
consolidare il proprio primato militare e
politico. Tramite l’instaurazione in Europa di
un capitalismo sul modello americano gli
USA si
assicurerebbero
il
primato
commerciale, e di conseguenza anche il
primato monetario. Una strategia questa,
sicuramente in contrapposizione e non certo
in collaborazione/cooperazione con il mondo
degli emergenti6.
Sul Pacifico, mentre l’occidente estende le
sanzioni economiche contro la Russia, la
partnership strategica tra Mosca e Pechino si
va prepotentemente affermando come
epicentro degli equilibri mediorientali ed
asiatici. Le motivazioni di fondo vanno bel
oltre Kiev, visto che la cooperazione
economica tra i due paesi vale già 90 miliardi
di dollari. Inoltre, dopo l’incontro a Shangai
tra Putin e Xi Jinping durante il CICA
(Conference on Interaction and Confidence
Building Measures in Asia, 20 maggio 2014)
le controparti si sono impegnate ad
incrementare il commercio bilaterale a 100
miliardi di dollari entro il 2015 e 200 miliardi
di dollari entro il 20207.
Il riavvicinamento diplomatico è stato
quindi favorito dalla crisi ucraina, che ha
visto contrapporsi Occidente e Russia, ma è
solo l’ultimo atto di un processo cominciato
almeno nel 2013 quando, nell’allora ottobre, i
due paesi raggiunsero un accordo da 85
miliardi di dollari che prevedeva la fornitura
da parte della russa Rosneft di 100 milioni di
tonnellate di petrolio alla Cina nei successivi
dieci anni. Il tassello fondamentale del
riavvicinamento tra i due paesi risale però al
21 maggio 2014, con la firma dell’accordo sul
gas tra la russa Gazprom e la cinese CNCP
per una fornitura trentennale di 38 miliardi di
metri cubi l’anno di gas, a partire dal 2018.
Per un valore di 400 miliardi di dollari in
trent’anni, questo contratto cambierà gli
scenari geopolitici mondiali dell’energia
comportando vantaggi per entrambe le parti
coinvolte: da una parte Mosca può dimostrare
4
6
N.B., La Cina prima economia al mondo. Il sorpasso
sugli USA già nel 2014, “La Stampa”, 30 aprile 2014.
5
Il Mercato Comune del Sud (MERCOSUR) è
composto da Argentina, Brasile, Paraguay (sospeso nel
2012), Uruguay e Venezuela. Sono inoltre Stati
associati: Bolivia, Cile, Perù, Colombia ed Ecuador,
http://www.mercosur.int/.
www.istituto-geopolitica.eu
Bruzzone M. G., TTIP o Ravitie? Un’alternativa di
sviluppo per un EU più autonoma dagli USA, “La
Stampa”, 2 agosto 2014.
7
Xuequan Mu, China, Russia pledge wide-ranging
coperation,
“Xinhuanet”,
20
may
2014,
http://news.xinhuanet.com/english/china/201405/20/c_126525817.htm.
www.geopolitica-rivista.org
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4
all’occidente, compresi gli Stati Uniti, che
esiste un mercato alternativo all’Europa.
Dall’altra
Pechino
ha
complicato
ulteriormente il Pivot to Asia di Obama,
nonché ridotto la dipendenza della Cina dal
carbone statunitense. Questa relazione
bilaterale, definita anche come “asse di
comodo”8, sta avendo i sui effetti sul mercato
finanziario provocando un aumento, di cinque
volte a partire dall’inizio dell’anno, del
volume delle vendite alla Borsa interbancaria
valutaria di Mosca realizzate con pagamenti
in Yuan9. Se il volume del commercio russocinese raggiungerà i livelli fissati durante il
CICA (200 miliardi di dollari) sarebbe
insensato usare il dollaro invece che le valute
nazionali negli scambi. Risultano quindi
giustificate le preoccupazioni degli Stati Uniti
di perdere il signoraggio monetario sul resto
del mondo.
Agli occhi delle due potenze asiatiche, “la
politica
arrogante
di
Washington”10,
dall’allargamento
della
NATO
al
rafforzamento del sistema di alleanze in Asia,
dagli interventi militari in Siria e in Iraq
contro le postazioni dell’ISIS, fino ai giudizi
su vicende di politica interna di paesi terzi
come nel caso dell’annessione della Crimea
da parte di Mosca, sono manifestazione di una
volontà di contenimento di Cina e Russia. E
poiché queste ultime non sono oggi in grado
di controbilanciare autonomamente gli
atteggiamenti egemonici americani, hanno
interesse a mettere a fuoco il proprio comune
8
Bobo L., Axis of Convenience: Moscow, Beijing, and
the New Geopolitics, “Hardcover”, October, 2008.
9
In cifre assolute in agosto le vendite con pagamenti in
yuan-rubli alla Borsa di Mosca sono ammontate ad
oltre 800 milioni di dollari, il che supera di nove volte
la cifra del periodo analogo dell’anno scorso.
Mamičev A., Il rublo e lo yuan emarginano il dollaro,
“La voce della Russia”, 29 settembre 2014,
http://italian.ruvr.ru/2014_09_29/Il-rublo-e-lo-yuanemarginano-il-dollaro-7156/.
10
«Washington ha apertamente dichiarato il suo diritto
di usare la forza unilateralmente ovunque nel mondo
per difendere i suoi interessi». Parole pronunciate dal
Ministro degli Esteri Russo Sergei Lavrov, parlando
all’Assemblea generale dell’ONU. Attacchi all’Isis,
Russia contro Usa «Attacchi unilaterali per interessi»,
“Corriere della Sera”, 27 settembre 2014.
www.istituto-geopolitica.eu
sentire strategico, rispetto alle pur non
infrequenti diversità di vedute.
Nello scacchiere globale l’Unione Europea
è la più grande economia del mondo, e i suoi
cinquecento milioni di abitanti dispongono di
un reddito medio annuo pro capite di circa
25.000 euro. Ciò significa che l’UE è il più
grande mercato del mondo e il più importante
importatore di manufatti e servizi. Nonostante
ciò, man mano che la crisi ha dispiegato i suoi
effetti si sono evidenziati i limiti della
costruzione europea, causati non solo
dall’assenza di crescita economica ma anche
di una solida governance a livello europeo. Di
fronte all’assalto finanziario contro l’euro si è
ridotta la solidarietà tra i vari Stati, e ciascun
paese, concentrato sulle politiche di austerity,
ha puntato alla propria salvezza. Queste spinte
divergenti hanno provocato una profonda
polarizzazione sociale in Europa e hanno
indotto un processo di ristrutturazione
industriale in cui si è rafforzata la posizione
della Germania e degli altri paesi del nord,
mentre si è indebolita la posizione produttiva
dell’Europa meridionale. Anche sotto il
profilo intergovernativo l’Unione Europea
attuale è stata portatrice di visioni
geopolitiche diverse e – a volte –
contrapposte, ne è stato un esempio il non
intervento in Siria e il recente test ucraino.
Non stupisce quindi l’osservazione che
“l’Europa non è mai stata considerata una
realtà geopolitica ben definita”11, non solo per
quanto riguarda la difficile delimitazione dei
suoi confini a est e a sud, ma anche per la
definizione di una sua visione del futuro e del
suo ruolo come blocco unito e compatto nel
mondo. Stretto nella morsa dai nuovi
candidati alla leadership globale, con il
partner europeo intrappolato nelle politiche
basate sull’austerità e le pesanti difficoltà
incontrate nella sfera militare, l’impero
statunitense ha dovuto quindi elaborare una
nuova ambiziosa strategia per la riconquista
di una nuova egemonia globale diffusa. In
questo tentativo di ricomposizione regionale il
11
Jean C., Geopolitica del ventunesimo secolo,
Laterza, Bari, 2004, p. 77.
www.geopolitica-rivista.org
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5
TTIP, e il suo gemello asiatico il TransPacific
Partnership
(TPP),
rientrano
perfettamente nella strategia USA di blindare
ampie aree di libero scambio ai prodotti e alla
moneta di Pechino tramite nuovi e più
profondi accordi bilaterali e regionali con
l’Europa e il Pacifico; e ridare slancio ai
propri interessi nei grandi mercati oceanici
smantellando le residue barriere commerciali,
giuridiche, politiche in vigore in Europa. Sia
per Washington che per Bruxelles la firma
rappresenterebbe un decisivo passo avanti per
controbilanciare l’irresistibile ascesa della
Cina, e portarla ad allinearsi agli standard
occidentali. Il fatto che gli Stati Uniti stiano
negoziando un vasto accordo di libero
scambio con un gran numero di paesi delle
Americhe e dell’Asia-Pacifico (TPP), da cui
la Cina è però esclusa, sembra confermare che
uno degli obiettivi del TTIP sia quello di
contrastare la capacita produttiva di Pechino.
Il blocco economico transatlantico, che
rappresenta da solo quasi il 50% del PIL
mondiale, secondo le aspettative atlantiche
costituirebbe un polo d’attrazione irresistibile
anche per le altre economie del pianeta, che
sarebbero incentivate ad adeguarsi alle regole
fissate dal TTIP.
Al di là delle necessità geopolitiche il
significato profondo del TTIP (e del TPP) è
che al fine di consolidare la leadership
globale USA – UE, si consegneranno le sorti
del pianeta alle grandi multinazionali, non più
relegate ad un ruolo di influenza e pressione
esterna sulle istituzioni politiche, bensì sedute
a pieno titolo e in posizione privilegiata nei
tavoli di negoziazione12.
1.2 Chi porta avanti i negoziati?
Per quanto riguarda le consultazioni
ufficiali, la conduzione del negoziato si è
svolta in maniera diversa su ciascuna delle
due sponde dell’Atlantico. La delegazione
USA ha schierato più di 600 consulenti
delegati dalle multinazionali, i quali
dispongono dell’accesso ai documenti
12
Bersani M., TTIP: l’utopia delle multinazionali, “Il
granello di sabbia”, Attac Italia, n. 10, febbraio 2014.
www.istituto-geopolitica.eu
preparatori e ne possono così condizionare la
stesura finale. Per l’UE invece il negoziato
sarebbe condotto da un ristretto gruppo di
lavoro (Advisory Group) composto da 14
persone, tra cui nessun italiano, e presieduto
da Ignacio Garcia Bercero, capo negoziatore
per conto della CE. I suoi membri sono
esperti nei settori degli interessi del
consumatore, del diritto del lavoro, di quello
ambientale, dell’imprenditoria, manifattura,
agricoltura e di quello dei servizi. Il compito
del gruppo è di tipo consultativo e ha lo scopo
di fornire consulenze di alto livello nelle aree
di competenza e di esaminare le specifiche
che potranno presentarsi nel corso dei
negoziati13.
L’ultimo round negoziale, il quinto
tenutosi ad Arlington in Virginia (19 – 23
maggio), si è svolto sotto la guida di Ignacio
Garcia Bercero per l’UE, e del Capo
negoziatore statunitense Dan Mullaney. In
base a quanto riportato dal Memorandum
della Commissione Europea, al fine di
consolidare il loro “continuo impegno a
sentire la più vasta gamma di interessi
possibili, durante i colloqui si sono svolti
incontri con organizzazioni non governative,
associazioni di consumatori, sindacati,
organizzazioni professionali, imprese e altre
organizzazioni della società civile per
aggiornarli sullo stato dei negoziati e
ascoltare le loro opinioni sulle trattative”14.
Passando alle negoziazioni ufficiose
invece, alcune ricostruzioni del Corporate
Europe Observatory (CEO) affermano che
fino ad aprile 2013 si sono tenuti 130 incontri
nella direzione del Commercio UE sul tema,
di cui almeno 119 erano con imprese
o lobbisti, e solo il restante con i sindacati e i
13
Transatlantic Trade and Investment Partnership
Stakeholder
Advisory
Group
(E02988),
http://ec.europa.eu/transparency/regexpert/index.cfm?d
o=groupDetail.groupDetailPDF&groupID=2988.
14
Memorandum, EU-US trade talks – 5th round to
start
in
the
US
on
19
May,
http://trade.ec.europa.eu/doclib/press/index.cfm?id=10
61.
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6
gruppi di consumatori15. Scorrendo la lista
non è difficile individuare tra i promotori di
questa iniziativa le grandi multinazionali, che
da decenni esercitano una fortissima influenza
sugli organismi regolatori del mercato
europeo16. Tra i principali ospiti troviamo la
Business Coalition for Transatlantic Trade
(BCTT)17, il principale gruppo finanziario
statunitense che opera per indirizzare le
trattative del TTIP, la European Automobile
Manufacturers’ Association (ACEA, ogni 9
incontri), la Business Europe e la Digital
Europe. Si aggiungono poi la European
Services Forum, la Transatlantic Business
Council (precedentemente conosciuta come
Transatlantic Business Dialogue, TABD) e la
Fertilizer Europe che riunisce le più grandi
industrie di fertilizzanti chimici in Europa. La
Commissione ha incontrato anche esponenti
di case automobilistiche come la Ford, Nigel
Wicks, British Banker Associations, European
Aeronautic Defence and Space Company.
Nella Commissione le lobby hanno
condizionato
ogni
settore,
compresi
l’industria delle armi, delle banche, della
tecnologia medica, alimentare, farmaceutica e
chimica. Anche per le questioni sul
cambiamento climatico e sulle emissioni di
CO2 i gruppi con cui pianificare le strategie
sono stati la Industry Association for
15
Corporate Europe Observatory (CEO), European
Commission preparing for EU-US trade talks: 119
meetings with industry lobbyists, 4 September 2013,
http://corporateeurope.org/trade/2013/09/europeancommission-preparing-eu-us-trade-talks-119-meetingsindustry-lobbyists.
16
List of meeting stakeholders (1 January 2012 – 19
April
2013),
http://www.asktheeu.org/en/request/473/response/2049
/attach/4/List%20of%20meetings%20with%20stakehol
ders.pdf.
17
Nel consiglio direttivo dell’associazione sono
direttamente presenti aziende come Amway, Chrysler,
Citi, Dow Chemical, FedEx, Ford, General Electrics,
IBM, Intel, Johnson & Johnson, JP Morgan Chase,
Lilly, MetLife e UPS, alla quale si affiancano numerose
associazioni che coprono ogni ambito di ciascuno dei
tre settori economici. È sufficiente una rapida occhiata
alla sezione “resources” del sito web per capire il pieno
sostegno
della
BCTT
al
TTIP.
http://www.transatlantictrade.org/faqs/.
www.istituto-geopolitica.eu
Chemical (VCI) o quella del ferro Eurofer, o
del cemento Cembureau. Ciò significa che,
non solo oltre il 93% delle riunioni della
Commissione durante i preparativi dei
negoziati si sono svolte con i grandi portatori
di interessi, ma è anche evidente che, oltre
alle riunioni di dialogo con la società civile
riportati sul sito web della DG Trade, esiste
un mondo parallelo composto da un gran
numero di incontri intimi con i grandi lobbisti
aziendali, che si è svolto a porte chiuse e che
non sono stati comunicati online. Queste
considerazioni aprono la strada ad un’altra:
tali incontri si sono svolti prima dell’apertura
ufficiale dei negoziati e ciò potrebbe
implicare che in parte le consultazioni con la
società civile siano state delle mere sessioni
informative.
1.3 Il trattato dei “grandi” numeri: gli
studi dei think tank
Da molti definito come “la NATO del
commercio” il TTIP mirerebbe a creare la più
consistente area di libero scambio mai tentata
sul pianeta che raccoglierebbe in un’unica via
il 40% del commercio globale e circa il 60%
del prodotto interno lordo mondiale.
Secondo le rosee previsioni di Karel De
Grucht «[…] per l’Europa gli effetti positivi
dell’accordo potrebbero aggirarsi tra lo 0,5 e
l’1% del PIL, il che significa centinaia di
migliaia di posti di lavoro […]»18. Si
parlerebbe di raggiungere per il 2027, 119
miliardi di euro l’anno di PIL per l’Europa,
130 miliardi di dollari per gli Stati Uniti e di
due milioni di posti di lavoro, cioè 545 euro
in più l’anno per ogni famiglia di quattro
persone in Europa, e 901 dollari negli Stati
Uniti19. A detta dei sostenitori del TTIP, si
18
De Gucht, K. A European Perspective on
Transatlantic Free Trade, intervento 13/178, European
Conference – Harvard Kennedy School, 2 Marzo 2013.
http://europa.eu/rapid/press-release_SPEECH-13178_en.htm.
19
La fonte è una “ricerca indipendente” citata più volte
e commissionata dalla stessa Commissione Europea:
Francois F., Reducing Transatlantic Barriers to Trade
and Investment - An Economic Assessment, “Centre for
Economic Policy Research” (Cepr), London, March
2013, p. 7.
www.geopolitica-rivista.org
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7
tratterebbe di una svolta che consentirebbe
non solo all’Europa e agli USA di lasciarsi la
crisi alle spalle attraverso un aumento della
crescita,
dell’occupazione
e
delle
esportazioni, ma creerebbe a livello globale
una nuova apertura economica derivante dall’
“armonizzazione” della burocrazia e dei
controlli.
Giungono alle stesse conclusioni della
Commissione Europea anche i quattro
maggiori studi “ufficiali” che hanno finora
predisposto i toni del dibattito pubblico in
Europa: quello del Cepr, quello dell’Ecorys20,
quello del Cepii21 e quello di Bertelsmann
Stiftung22, i quali suggeriscono che l’accordo
porterebbe numerosi benefici all’UE. A
giudicare positivamente il trattato vi è anche
uno studio commissionato a Prometeia dal
Ministero dello Sviluppo Economico italiano,
il quale se pur a favore dell’accordo,
sottolinea che i benefici delle liberalizzazioni
si manifesterebbero dopo tre anni dall’entrata
in vigore dello stesso, in una misura compresa
tra lo zero e lo 0,5% di PIL nello scenario più
ottimistico. Queste stime, proiettate al 2027,
vengono tuttavia ridimensionate dalla stessa
Commissione Europea, che parla invece per
l’Europa di un tasso di crescita più realistico
del PIL dello 0,1%23, e dato che si otterrebbe,
nella migliore delle ipotesi in un arco di dieci
anni, molti economisti lo hanno già liquidato
come “insignificante”24.
20
Plaisier N., Mulder A., Vermeulen J., Berden K.,
Study on “EU-US High Level Working Group”,
“Ecorys”, Rotterdam, 22 october 2012; Fontagné L.,
Gourdon J. & Jean S., Transatlantic Trade: Whither
Partnership, Which Economic Consequences?
21
CEPII (Centre d’Etudes Prospectives et Informations
Internationales), Paris, September, n.1, 2013.
22
Felbermayr G., Transatlantic Trade and Investment
Partnership (TTIP). Who benefits from a free trade
deal?, “Bertelsmann Stiftung”, Gütersloh, 2013.
23
European Commision, Commission Staff Working
Document – Impact Assessment Report on the future of
EU-US Trade Realtions, Strasbourg, 12 march 2013, p.
32,
http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2013/march/trado
c_150759.pdf.
24
Clive G., What’s really driving the EU-US trade
deal?,
8
July
2013,
www.istituto-geopolitica.eu
Eppure, l’impatto socio-economico e
ambientale connesso a tali vantaggi
economici insignificanti potrebbe essere
catastrofico. Sulla base di tali risultati, a
sollevare un’obbiezione metodologica vi è
l’Unità di Valutazione d’impatto del
Parlamento Europeo, il quale ha criticato la
metodologia degli studi della Commissione
sostenendo che: «l’Impact Assessment
contiene una notevole quantità di dati,
specialmente – se non esclusivamente – sui
benefici dell’area di libero scambio, ma questi
non sono accompagnati da un’informazione
qualitativamente sufficiente, che consente al
lettore di capire come tali risultati sono stati
ottenuti, e non contiene neppure un’adeguata
valutazione
dei
rischi
o
degli
inconvenienti»25.
Dello stesso parere è l’analisi recente sul
TTIP realizzata nel marzo 2014 dall’Öfse, uno
dei più autorevoli centri di ricerca
austriaci. Secondo il paper viennese tutti gli
studi pro-TTIP presentano gravi omissioni ed
errori metodologici che enfatizzano i presunti
benefici dell’accordo, ignorandone invece
i rischi: ne è un esempio la possibilità che,
durante il periodo di transizione a causa della
riorganizzazione dei mercati del lavoro
nazionali, potrebbe esserci un aumento
significativo della disoccupazione anche a
lungo termine26.
Quindi, al di là di quanto riportato sulle
pagine
informative
del
sito
della
Commissione Europea e dagli studi per lo più
da essa commissionati, che si limitano a
http://www.opendemocracy.net/ourkingdom/clivegeorge/whats-really-driving-eu-us-trade-deal.
25
European Parliament Impact Assessment Unit
(2013). Initial appraisal of a European commission
Impact Assessment. European Commission proposal to
authorise the opening of negotiations on a
Transatlantic Trade and Investment Partnership
between the European Union and United States of
America,
April
2013,
p.
8
http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/note/joi
n/2013/507504/IPOL-JOIN_NT(2013)507504_EN.pdf.
26
Raza W., Assess: TTIP: Assessing the Claimed
Benefits of the Transatlantic Trade and Investment
Partnership (TTIP), “OFSE –Austrian Fondation for
Development Reserch”, Vienna, 31 march 2014, p. 4.
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8
quantificare gli effetti diretti e nessuno degli
effetti collaterali, il vero volto del TTIP
sembrerebbe essere molto più di un semplice
trattato commerciale di libero scambio. Dietro
le promesse di maggiori scambi commerciali
e di posti di lavoro esso tenderà a concentrare
un sempre maggiore potere economico nelle
mani di una ristretta élite atlantica composta
dalle più potenti multinazionali economiche e
finanziarie, sovvertirà le normative di tutela
sociale e ambientale e trasferirà i diritti legali
dai cittadini alle imprese. Ad essere
sacrificati, in nome del cambiamento, saranno
quindi quelle conquiste legislative frutto di
battaglie in difesa dei diritti sociali, lavorativi,
sanitari ed ambientali nonché lo stesso
concetto di democrazia.
La posta in gioco va ben al di là delle
tariffe e dei dazi doganali tra USA e UE, che
tra l’altro sono già abbastanza basse (tra il 3%
e il 4%), ma il TTIP andrebbe ad eliminare
quelle normative sociali e ambientali vigenti
in Europa che tutelano i consumatori, i
lavoratori e l’ambiente, e che oggi
costituiscono un ostacolo ai grandi gruppi.
Nel mirino del TTIP rientrerebbero quindi,
anche le “barriere non tariffarie” (BNT) che
consentono di mantenere standard di
sicurezza e di qualità in grado di garantire la
tutela del cittadino europeo27. Rimuoverle,
significherebbe eliminare quei divieti di
importazione e quelle tasse specifiche che
rendono difficili gli scambi economici, ma
aprire le porte a prodotti non sicuri come la
“carne agli ormoni”, gli OGM, la presenza di
sostanze tossiche nei giocattoli e ai residui di
pesticidi nel cibo.
2. Il mega trattato “strutturale”
2.1 Le riforme del lavoro e le politiche
sociali fanno spazio agli investimenti
Nella lista delle “barriere non tariffarie”
identificate come ostacolo ai flussi degli
scambi commerciali transatlantici, rientra
27
Di Sisto M., In arrivo il TTIP, la NATO del
commercio, “Sbilanciamo l’Europa”, n.1, 24 maggio
2014, www.sbilanciamoci.info.
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anche la legislazione europea sul lavoro28. Lo
stesso diritto del lavoro può subire un
peggioramento dall’armonizzazione di norme
e regolamenti tra Europa e USA. Gli Stati
Uniti, hanno ratificato soltanto 14 delle 190
Convenzioni
dell’Organizzazione
Internazionale del Lavoro (OIL), registrando
un livello di promozione di questi diritti tra i
più bassi del mondo e hanno ratificato
soltanto due delle otto convenzioni
fondamentali che si occupano di lavoro
forzato,
lavoro
minorile,
libertà di
associazione e discriminazione. Non hanno
ratificato, per di più, la convenzione 87
fondamentale per assicurare la libertà
sindacale e la protezione del diritto sindacale,
e la 98 sul diritto di organizzazione e di
negoziazione collettiva. Questo rende il loro
costo del lavoro più basso e il comportamento
delle imprese nazionali più disinvolto e
competitivo, in termini economici, anche se
più irresponsabile. Potrebbe non essere
remota la possibilità che il TTIP può servire
allo scopo di riformare il diritto del lavoro
europeo in linea con quello USA, e per avere
un’idea di quanto questa prospettiva sia
concreta è sufficiente citare le dichiarazioni
ufficiali della Commissione Europea che
afferma: «[…] la legislazione del lavoro in
Europa deve evolversi per scongiurare il
rischio di una diminuzione degli investimenti
americani sul suolo europeo e che questi
vengano deviati verso altre parti del
mondo[…]»29. Alla luce di queste tendenze
potrebbero affacciarsi sulle sponde europee
dell’Atlantico normative analoghe al Rights to
Works, che ribattezzato dalle organizzazioni
sindacali statunitensi come l’Anti-Unions Act,
ha sistematicamente ridotto la libertà
28
Ecorys (2012). ANNEXES – Non-tariff measures in
EU-US trade and investment – An economic analysis.
Final Report, The Netherlands, 11 December 2009, p.
45.
29
European Commission (2013). Impact Assessment
Report on the future of EU-US trade relations. SWD
(2013), Strasbourg, 12 March 2013, p. 52,
http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2013/march/trado
c_150759.pdf.
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9
d’associazione per i lavoratori30. Una
normativa di questo tipo verrebbe ad
alimentare una concorrenza sempre più acuta
ed al ribasso fra i lavoratori dei loro diritti e
delle loro retribuzioni. In questo contesto poi,
non si può non tener conto dei costi di
adeguamento. La stessa Commissione
Europea nel suo Impact Assessment Report
prevede che vi saranno «rilevanti e prolungati
costi di adeguamento» e che, come risultato
degli scambi commerciali con gli USA, vi
sarà «uno shock iniziale che porterà alla
ristrutturazione dei settori interessati»31. In
altri termini, anche se la mano d’opera fosse
libera di spostarsi dove la domanda è in
crescita, ci saranno altri settori che
espelleranno lavoratori il cui reimpiego nei
settori in espansione non è automatico,
soprattutto a causa di possibili incompatibilità
tra le qualifiche e le necessità di
riqualificazione32. Intere regioni dell’UE
potrebbero correre il rischio di assumersi
l’onere dei costi sociali del progetto
transatlantico, con il risultato di aggravare il
divario tra i paesi ricchi e quelli poveri
dell’Europa.
Un previsione del possibile impatto del
TTIP sulla ricchezza e l’occupazione può
essere ricavata dall’esperienza del NAFTA
(North-American Free Trade Agreement). Il
NAFTA è la versione nordamericana del
TTIP, infatti esso ha creato nel 1994 un’area
di libero scambio tra Canada, Stati Uniti e
Messico. Al momento del suo lancio il
Presidente Clinton promise come risultato
dell’incremento del commercio tra Canada e
Messico la creazione di un milione di posti di
lavoro, ma a vent’anni dalla sua entrata in
vigore se pur da un lato l’interscambio
commerciale soprattutto – nella fase iniziale –
è cresciuto, dall’altro rimangono molte
perplessità nei confronti della dimensione
sociale. Il NAFTA infatti, mancando la tutela
della libertà di associazione e di
contrattazione
collettiva,
ha
generato
un’attrazione dei flussi di investimenti nelle
zone a basso costo del lavoro come il
Messico. La presenza di un paese privo di
livelli minimi di protezione sociale ha creato
quindi una competizione al ribasso che ha
provocato un trasferimento di impeghi e di
produzione dalle zone avanzate Stati Uniti –
Canada, a zone meno protette e caratterizzate
da costi minori come il Messico. Tale
fenomeno di concorrenza sleale, se da un lato
ha avvantaggiato economicamente il Messico,
dall’altro ha visto la scomparsa delle attività
economiche tradizionali. Non solo, per non
scoraggiare i flussi degli investimenti
stranieri, il Messico ha peggiorato i sui
standard di tutela del lavoro con condizioni
prossime alla schiavitù. Stati Uniti e Canada
invece, non potendo abbassare i propri
standard di lavoro per poter arrestare
l’occupazione, hanno visto le proprie
fabbriche chiudere e delocalizzarsi in Messico
con i conseguenti tagli salariali, incremento
della disoccupazione e stagnazione dei redditi.
In particolar modo per il Canada, la
concorrenza con gli Stati Uniti ha eroso gli
investimenti sociali nella spesa pubblica per
l’istruzione, l’assistenza sanitaria, indennità di
disoccupazione e una vasta gamma di altri
servizi pubblici33. Secondo l’Economic Policy
Institut, tra il 1993 e il 2002 il NAFTA ha
comportato un aumento delle esportazioni che
hanno creato 794.194 posti di lavoro, ma ha
spostato la produzione che ne avrebbe
sostenuto 1.673.454. Pertanto, a causa del
NAFTA l’effetto combinato delle variazioni
delle importazioni e delle esportazioni ha
provocato negli Stati Uniti una perdita netta di
circa 1 milione di unità (979.280 posti). In
seguito alla diminuzione delle tariffe tra USA
e UE, non solo si perderanno posti di lavoro
per la ristrutturazione di interi settori
produttivi, ma riformando la legislazione sul
lavoro il TTIP potrebbe abrogare i diritti dei
30
33
Greenhouse S., Strained States turning to laws to
curb labor unions, “The New York Times”, 3 January
2011.
31
European Commission, SWD (2013), op. cit., p. 37.
32
Ibid., p. 57.
www.istituto-geopolitica.eu
Scott R. E., The high price of “free” trade. NAFTA’s
failure has cost the United States jobs across the
nation, “Economic Policy Institute” (EPI), 17
November
2003,
http://www.epi.org/publication/briefingpapers_bp147/.
www.geopolitica-rivista.org
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10
lavoratori ad un salario dignitoso e al diritto
all’auto-organizzazione34.
2.2 L’agroalimentare e lo sviluppo
“sostenibile”
Sul piano dell’agroalimentare, il TTIP
metterà in discussione il “Principio di
Precauzione”, cardine europeo della politica
ambientale e della politica a tutela del
consumatore, su cui è stato costruito il
REACH, il sistema normativo europeo per la
chimica e le sue rigide norme per la sicurezza
alimentare e sulle etichettature35. Il “Principio
di Precauzione”, introdotto in Europa nel
periodo successivo agli effetti devastanti della
“mucca pazza” negli anni ‘90, stabilisce che
al fine di ridurre o eliminare i rischi,
attraverso un’attività decisionale preventiva,
ogni prodotto potenzialmente pericoloso sul
mercato debba superare una serie di controlli
che ne garantiscano la sicurezza e che, in ogni
caso, il prodotto debba sempre riportare
nell’etichettatura la provenienza36. In altri
termini, se nell’Europa vige “l’onere della
prova” che il prodotto sia sicuro e sano, negli
Stati Uniti invece si applica il “principio
basato sul rischio”, il quale applica la
normativa solo su ciò che è stato già definito
come nocivo sulla base di successive prove
scientifiche.
Partendo dagli OGM, il principale
interesse delle imprese agricole statunitensi è
quello di accelerare il procedimento di
verifica e di approvazione dei prodotti
biotech. Secondo il Rappresentante per il
Commercio USA, aspettano di essere
sottoposti alla procedura di verifica europea
34
Scott R. E., NAFTA-related job losses have piled up
since
1993,
“EPI”,
16
December
2003.
http://www.epi.org/publication/webfeatures_snapshots
_archive_12102003/.
35
Regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento
Europeo e del Consiglio, concernente la registrazione,
la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle
sostanze chimiche (REACH), 18 dicembre 2006;
36
http://europa.eu/legislation_summaries/consumers/cons
umer_safety/l32042_it.htm.
www.istituto-geopolitica.eu
più di 70 OGM37 statunitensi «il che
effettivamente blocca significativi volumi di
esportazione verso l’Europa»38. Stando così le
cose, è inevitabile che le associazioni
industriali spingano affinché siano inclusi nei
negoziati commerciali la garanzia che le
approvazioni europee siano soggette a
scadenza, e basate solo su criteri scientifici e
non sul principio di precauzione. Negli USA,
il TTIP permetterebbe ai giganti biotech come
Monsanto, e Dow Chemical di arginare le
crescenti proteste dei consumatori americani
che ostacolano l’approvazione di nuovi OGM
in USA. Nel 2012 la Biotechnology Industry
Organization (BIO), che comprende le tre
industrie sopracitate, ha speso 40 milioni di
dollari per sconfiggere una normativa
sull’etichettatura
proposta
solo
in
California, ma iniziative simili sono in corso
oggi in più di 20 Stati. Il TTIP offre quindi
all’industria biotech la possibilità di entrare
non solo in Europa ma anche di contrastare la
diffusione delle iniziative promosse dai
consumatori39.
Anche in tema di regolamenti ambientali,
attraverso la “armonizzazione di” e il
“reciproco riconoscimento tra” le norme
ambientali USA e UE, molti requisiti di
sostenibilità diverrebbero inefficaci. La
conseguenza immediata di un Trattato così
amico delle imprese sarebbe l’ineffettività di
gran parte delle normative europee sulla
37
Un piccolo e non certo esaustivo catalogo dei cibi
vietati nell’Unione Europea, ma permessi negli USA
comprende: carne di animali cui è stata somministrata
la ractopamina (steroide che accelera l’incremento di
peso), bibite contenenti oli vegetali brominati, polli
nutriti con mangime addizionato all’arsenico, pane
contenente bromato di potassio, cancerogeno, per
sbiancare la farina, latte di animali cui è stato
somministrato l’ormone artificiale della crescita bovina
chiamato
rBGH.
http://articles.mercola.com/sites/articles/archive/2013/0
7/10/banned-foods.aspx.
38
US Trade, US to press on GMO approvals,
renewable fuel access in EU FTA talks, 22 March
2013.
39
Gillam C., U.S. GMO food labeling drive has biotech
industry biting back, “Reuters”, 25 April 2013,
http://uk.reuters.com/article/2013/04/25/us-USA-gmolabeling-idUSBRE93O18S20130425.
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11
sostenibilità ambientale fra le quali, ad
esempio, quelle relative alla produzione di
energia. La direttiva europea sulle energie
rinnovabili (RED), ad esempio, impone che le
materie prime organiche attraverso cui si
alimentano le centrali a biomassa del Vecchio
Continente
rispettino
alcuni
requisiti
ambientali minimi di emissione di gas a
effetto serra e altri criteri di base di
sostenibilità. Sebbene non particolarmente
restrittivi, suddetti requisiti negano la
possibilità che il bio-etanolo prodotto negli
Stati Uniti tramite sementi geneticamente
modificate (mais e soia) entri nei cicli
produttivi delle centrali a biomassa europee40.
Per questo motivo l’etanolo si è dimostrato
fino ad ora meno concorrenziale sul mercato
europeo. Il TTIP, che considererebbe l’etanolo
non distillato con emissioni prossime allo
zero, consentirebbe invece un rapido
aggiramento del problema garantendo campo
libero alle multinazionali USA dell’agribusinness. Non sorprendono quindi le
dichiarazioni di Richard Wilkins, VicePresidente
dell’American
Soybean
Association (ASA), il quale afferma che «il
settore americano della soia ha lavorato con
l’ufficio del Rappresentante per il commercio
degli Stati Uniti d’America e con il
Dipartimento dell’agricoltura per avviare
negoziati con la UE per un accordo bilaterale
che preveda che un produttore che può
documentare la conformità con le leggi per la
conservazione vigenti negli Stati Uniti
verrebbe automaticamente certificato come
conforme ai requisiti di sostenibilità richiesti
dalla direttiva RED»41. L’apertura del mercato
agroalimentare europeo agli Stati Uniti non è
solo una questione di sicurezza alimentare,
ma anche occupazionale, soprattutto per le
piccole e medie imprese europee. Le imprese
agricole USA si sono progressivamente
concentrate
in
grandi
complessi
agroalimentari, mentre quella europee sono
prevalentemente piccole o medie, e non
esportano,
di
conseguenza
non
beneficerebbero di eventuali nuovi spazi
commerciali in USA. Oltre ad essere più
piccole, le imprese europee sono gravate
anche da norme più stringenti riguardanti sia
l’impatto sull’ambiente, che in riferimento
di
alle
condizioni
igienico-sanitarie
allevamento del bestiame. La preoccupazione
degli agricoltori europei è che, nonostante i
consumatori europei richiedano alti standard
alimentari (prodotti senza pesticidi o a
chilometri zero ed/o allevamenti ecologici),
scelgano poi di comprare i prodotti americani
a basso costo42. Pertanto, la concorrenza con
gli agricoltori americani e le loro grandi
multinazionali
potrebbe
portare
ad
un’accelerazione
nella
concentrazione
dell’agricoltura nella mani dei grandi gruppi
agroalimentari e una diminuzione dei
lavoratori agricoli attivi e, di conseguenza,
l’aumento della disoccupazione. Senza
contare che se il TTIP andasse in porto
verrebbero inoltre vanificati i progetti di
riformare l’agricoltura europea su basi più
sostenibili sul piano economico, sociale e
ambientale basati sull’eco-sostenibilità e sugli
aiuti ai nuovi agricoltori43.
Fra i rischi ambientali riconducibili al
TTIP vi è la questione relativa all’estrazione e
lo sfruttamento del gas di scisto o
“fracking”44. Il fracking, sebbene abbia bassi
42
40
Sui dazi UE anti-dumping sull’etanolo USA e una
visione di insieme dei criteri di sostenibilità introdotti
dal RED si veda la posizione dei membri del Partito
Verde al Parlamento Europeo http://www.greensefa.eu/biofuels-2088.html.
41
Dichiarazione di Richard Wilkins, Vice-Presidente
della American Soybean Association davanti alla High
Level Forum EU-USA sulla regolamentazione della
cooperazione, 10 aprile 2013, per il testo integrale si
veda:
http://soygrowers.com/wpcontent/uploads/2013/05/tst-041013-wilkins-ttip.pdf.
www.istituto-geopolitica.eu
Politi J., Chaffin J., US-EU talks: Cuts both way.
Agriculture is a big hurdle in the world’s largest freetrade agreement, “Financial Times”, 17 April 2013.
43
Le politiche dell’Unione Europea - Agricoltura. Un
partenariato tra l’Europa e gli agricoltori,
Commissione europea, Direzione generale della
Comunicazione,
Bruxelles,
febbraio
2013.
http://europa.eu/pol/pdf/flipbook/it/agriculture_it.pdf.
44
Questo tipo di shale gas, gas naturale – in prevalenza
metano – è contenuto in rocce scistose, argille, rocce
porose e viene estratto con la fratturazione idraulica.
L’operazione prevede l’iniezione in giacimento di un
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12
costi di estrazione, è sotto accusa in molti
Stati per rischi di danni ambientali e
inquinamento delle falde acquifere. Tra le
conseguenze sanitarie e ambientali vi è la
fuoriuscita di gas metano nell’ambiente (con
possibilità di pericolose esplosioni) e il
ritorno in superficie dell’acqua, usata per
l’estrazione del gas, contenente elementi
radioattivi e alte concentrazioni saline. Un
recente resoconto intitolato No al Fracking:
come l’accordo commerciale UE-USA rischia
di espandere il fracking, evidenzia come lo
shale gas è praticamente il solo settore in
crescita nella produzione energetica in USA,
passando dal 2% nel 2000 al 40% al 2012.
L’estrazione del gas di scisto è ormai una
realtà diffusa: sono ben 31 gli Stati americani
che impiegano o stanno per impiegare il
fracking per un totale di 500.000 pozzi attivi
in tutto il paese. In pochi anni lo sviluppo di
queste risorse non convenzionali ha spinto gli
Stati Uniti verso l’agognato obiettivo
d’indipendenza energetica e ha fatto scendere
i prezzi del gas ai minimi storici. Data la
differenza di prezzo tra USA (3 dollari per 28
metri cubi) e Europa (tra gli 11 e i 13 dollari
per 28 metri cubi) è chiaro che i produttori
americani non vedono l’ora di poter esportare
le abbondanti riserve di gas scisto in Europa.
Washington sa che trasportare shale gas non è
un miraggio, e l’alternativa suggerita
all’Europa è quella di emanciparsi dal gas
russo cominciando ad acquistare gli
idrocarburi fratturati in America. Stati come il
Giappone, la Corea del Sud e la Gran
Bretagna ne sono grandi acquirenti, con
milioni di tonnellate importate ogni anno45.
Grazie al processo di liquefazione è possibile
infatti stoccare grandi quantità di metano
(ridotto di circa 600 volte del volume
standard) via nave a costi e in spazi molto
ridotti, ancora più convenienti di quelli del
fluido ad alta pressione il quale crea una via di fuga per
il gas verso il pozzo.
45
No Fracking way: how the EU-US trade agreement
risk expanding fracking, published by ATTAC, The
Blue Planet Project, Corporate Europe Observatory,
Friends of the Earth Europe, Powershift, Sierra Club
and the Transnational Institute, March 2014.
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gas compresso. Per contro, in Europa, sparare
enormi getti d’acqua mista a sabbia e sostanze
chimiche, a oltre 1.600 metri di profondità,
sugli Appennini o nell’arco alpino per estrarre
metano e petrolio o, come in Germania e
Polonia,
carbone,
significherebbe
compromettere l’equilibrio idrogeologico del
pianeta, con il rischio di inquinare le falde
acquifere e provocare frane e terremoti. Ed è
per questo motivo che i siti di prospezione
sperimentale non sono più di dodici. Il
mercato europeo, insomma, è sostanzioso, ma
non a portata di mano. Le attuali normative
europee impongono limiti che sino ad oggi
hanno salvaguardato il sottosuolo d’Europa
dalle tonnellate di agenti chimici che
verrebbero immessi durante le operazioni di
estrazione e che implicherebbero una alto
costo ambientale. Una repentina approvazione
del
TTIP
porterebbe
invece
ad
un’eliminazione dei divieti e delle moratorie
che precedono la verifica dei rischi connessi
alla tecnologia estrattiva. Nell’attesa che la
politica europea spiani il terreno, Polonia,
Francia e Danimarca, identificate come le
regioni con le più ricche riserve di shale gas,
sarebbero state già oggetto di sopralluoghi da
parte delle big company americane del settore
energetico come Exxon e Halliburton, le quali
potrebbero efficacemente sfruttare i vantaggi
competitivi di una tecnologia che ormai
perfezionano in patria da più di dieci anni46.
2.3 I servizi pubblici aperti alla
concorrenza internazionale
L’apertura al mercato riguarderebbe anche
gli appalti pubblici, compresi la difesa e i
pubblici servizi come acqua, energia, trasporti
e sanità. Al fine di ottenere il più alto livello
di liberalizzazione e protezione degli
investimenti, una delle principali richieste
delle grandi imprese è stata quella di inserire
nel TTIP l’apertura dei contratti governativi
alla concorrenza estera. Tale apertura implica
l’eliminazione di ogni eventuale condizione
46
Ciolli B., Gas USA: l’illusione del fracking antiRussia, “Lettera 43 –quotidiano online indipendente2,
24 marzo 2014.
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13
discriminatoria, che a livello nazionale
favorisce il contraente locale, ma che per le
imprese che investono a livello transatlantico
rappresentano una forma di protezionismo
discriminatoria. In tal senso, verrebbero
considerati come illegittimi quei programmi
nazionali come i finanziamenti pubblici,
miranti a favorire i contraenti locali invece
che stranieri, adottati allo scopo di sostenere
la ripresa delle economie locali colpite
dall’attuale crisi finanziaria. Indubbiamente i
mercati degli appalti pubblici contengono
notevoli opportunità commerciali, e sia quelli
federali e sub-federali degli Stati Uniti che
dell’Unione Europea sono di grandi
dimensioni, pari a migliaia di miliardi di
dollari ogni anno47. Si tratta infatti di un
settore in costante espansione che nonostante
la crisi economica ha visto un aumento delle
commesse pubbliche del PIL pari al 20% in
Europa. In controparte però, data la crescente
globalizzazione delle catene di valore e la
pressione concorrenziale esercitata dalle
economie emergenti, questo settore ha visto
crescere le misure protezionistiche adottate in
molti paesi, inclusi in particolare gli Stati
Uniti. Mentre l’UE riconosce pienamente il
valore del commercio bilaterale senza
restrizioni, negli USA solo il 32% del mercato
appare aperto alla concorrenza delle imprese
straniere. Inoltre, le probabilità di concessioni
in settori chiave come quello della difesa,
dell’aeronautica e delle infrastrutture sono
assai modeste. Per fini di politica industriale,
gli Stati Uniti applicano ad esempio la
clausola che impone l’acquisto di acciaio
americano, e recentemente hanno avviato
un’incisiva campagna denominata Buy
American, tesa ad incentivare l’utilizzo di
prodotti e materie prime nazionali48. Per tale
47
Prucurement, Business Coalition for Transatlantic
Trade,
BCTT,
http://www.transatlantictrade.org/issues/procurement/.
48
Rasmussen H. F., Pedersen J.P., Perspectives: “Buy
America” and the Future of TTIP, “The European
Institute”,
Washington
DC,
July
2013,
http://www.europeaninstitute.org/EA-July2013/perspectives-buy-america-and-the-future-ofttip.html.
www.istituto-geopolitica.eu
motivo è soprattutto l’Unione Europea a
spingere affinché la questione degli appalti
pubblici siano una priorità all’interno dei
negoziati del TTIP. Secondo un position
paper della Business Europe49 l’apertura alla
concorrenza straniera nel settore pubblico, se
correttamente gestita, migliorerebbe la qualità
dei servizi, garantirebbe una maggiore scelta
per i cittadini, e potenzierebbe il controllo
della spesa pubblica, con un aumento delle
esportazioni del 18%. Ma non è tutto oro ciò
che luccica. Qualora il TTIP includesse gli
appalti pubblici, un’autorità che volesse
adottare modelli economici alternativi a quelli
del libero mercato internazionale rischierebbe
di incorrere in vertenze giudiziarie
costosissime, senza la possibilità di ottenere
risultati positivi dalle sue politiche per le
comunità locali e per l’ambiente50. Ad
esempio, si vedrà ridotta la capacità delle
pubbliche autorità locali di controllare il
49
Public Procurement in the Transatlantic Trade and
Investment Partnership (TTIP), “Business Europe”, 11
december
2013,
http://www.businesseurope.eu/content/default.asp?Pag
eID=568&DocID=32446.
50
Nel 2009 la provincia canadese dell’Ontario adottò il
provvedimento “feed in tariff”. Al fine di compensare i
maggiori costi di produzione e aumentare la quota di
energia pulita nel mercato locale il provvedimento
prevedeva il pagamento, a prezzi al di sopra dei tassi di
mercato, dell’elettricità ricavata da fonti rinnovabili
locali. Per ottenere gli incentivi statali previsti i
generatori eolici e di energia elettrica solare dovevano
utilizzare una percentuale compresa tra il 50% e il 60%
di materiale di origine in Ontario. Sia l’UE che il
Giappone, ritenendo tale programma lesivo della libera
e leale concorrenza, lo hanno impugnato di fronte
all’Organizzazione mondiale del Commercio (OMC) al
fine di assicurare il rispetto delle leggi dell’OMC. Nel
dicembre del 2012 il Panel di Conciliazione dell’OMC
ha concluso che il programma canadese fosse
discriminatorio contro le importazioni e incompatibile
con le norme dell’OMC stesso. Dopo un successivo
appello alla sentenza da parte del Canada, l’OMC il 6
maggio 2013, ha respinto il ricorso confermando che le
disposizioni del trade in tariff fossero discriminatorie e
erano in violazione del libero commercio
internazionale. European Commission, Ontario’s
Energy programme: EU welcomes WTO ruling in
support of clean energy, Brussels, 6 May 2013
http://trade.ec.europa.eu/doclib/press/index.cfm?id=89
5.
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14
numero e la dimensione dei fornitori di servizi
stranieri all’interno dei sistemi sanitari
nazionali
ed
europei.
Le
grandi
multinazionali, che sicuramente avranno un
vantaggio competitivo durante le gare di
appalto rispetto alle concorrenti di dimensioni
inferiori (istituzioni pubbliche di beneficienza
e imprese sociali), spingerebbero fuori
quest’ultime sia dalla concorrenza e dal
mercato del lavoro. Con il TTIP le autorità
pubbliche, nel rispetto delle nuove norme
commerciali internazionali dovranno garantire
l’accesso ai finanziamenti pubblici nazionali
anche alle imprese internazionali, con il
risultato che i contribuenti finanzierebbero
l’acquisto da parte delle stesse del loro
sistema sanitario nazionale51. Quindi, se pur il
TTIP in questo campo si propone di snellire
gli appalti internazionali bisogna però
considerare che entrambe le economie
avrebbero parecchio da perdere da questi
accordi: noi europei potremmo veder
danneggiati l’agricoltura, le manifatture, i
servizi pubblici e il lavoro, mentre gli
americani potrebbero percepire effetti negativi
nei settori agroalimentari, metalmeccanico ed
energetico; gli unici che avranno vantaggi
assicurati sono le stesse grandi imprese che lo
hanno ideato e promosso.
2.4 La proprietà intellettuale: food, ecommerce e settore farmaceutico
Altro tema particolarmente spinoso che si è
inserito nei negoziati del TTIP è quello
relativo alla proprietà intellettuale.
Sia l’UE e che gli USA sono membri
dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà
Intellettuale (WIPO) e sono firmatari
dell’Accordo Multilaterale sulla Proprietà
51
In Canada dopo l’entrata in vigore del NAFTA le
Autorità Pubbliche che avevano tentato di proteggere il
loro servizio sanitario nazionale hanno dovuto far
fronte ad una causa legale multimilionaria intentata da
un’impresa sanitaria privata statunitense per essere
risarcita del mancato profitto. Kaucher L., The
upcoming EU-US and EU-Canada trade deals have
serious implications for the NHS, 15 may 2013,
http://www.opendemocracy.net/ournhs/lindakaucher/upcoming-eu-us-and-eu-canada-trade-dealshave-serious-implications-for-nhs.
www.istituto-geopolitica.eu
Intellettuale in ambito OMC (TRIPs).
L’accordo, dovrebbe permettere di estendere
l’armonizzazione al trattamento dei dati, dei
segreti e delle informazioni confidenziali
industriali, fondamentali per alcuni settori.
Altresì prioritari gli aspetti legati al
riconoscimento
delle
“Indicazioni
Geografiche” e le problematiche connesse al
fenomeno
dell’Italian
sounding52,
particolarmente grave per il settore
agroalimentare. Quanto questo aspetto sia
ritenuto cruciale nei negoziati emerge dalle
dichiarazioni della Business Europe, il quale
afferma che
«i diritti di proprietà intellettuale sono una
parte fondamentale sia del commercio globale
che nel campo degli investimenti. Tuttavia, si
è assistito ad una crescente tendenza in varie
sedi multinazionali e nei mercati emergenti ad
indebolire il quadro generale della proprietà
intellettuale. In questo contesto diventa
urgente una più stretta cooperazione
transatlantica e una leadership nel campo dei
diritti di proprietà intellettuale, e qualsiasi
futuro accordo tra Stati Uniti e Unione
Europea dovrebbe contribuire a rafforzare la
salvaguardia al sistema dei diritti di proprietà
intellettuale a livello mondiale e promuoverne
l’effettiva applicazione anche ai paesi terzi»53.
Se pur si conosce molto poco del testo del
TTIP, dopo la settimana negoziale di marzo
52
Ovvero l’utilizzo di denominazioni geografiche,
immagini e marchi che evocano l’Italia per
promozionare e commercializzare prodotti affatto
riconducibili al nostro Paese. A livello mondiale, il giro
d’affari annuo dell’Italian Sounding è stimato in circa
54 miliardi di euro l’anno (147 milioni di euro al
giorno), comunque oltre il doppio dell’attuale valore
delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari
(23 miliardi di euro). Ministero dello Sviluppo
Economico,
Direzione
Generale
lotta
alla
contraffazione; http://www.uibm.gov.it/index.php/laproprieta-industriale/utilita-pi/servizi-propind/contrasto-all-italian-sounding.
53
Business Europe and US chamber of Commerce joint
submission to the European Commission’s public
consultation
on
TTIP,
http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2012/july/tradoc_
149720.pdf.
www.geopolitica-rivista.org
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15
2014, sono state sottratte alla regola della
segretezza due paginette molto interessanti
che parlano proprio di proprietà intellettuale,
comprese le indicazioni geografiche. Il
documento affronta otto tipi di proprietà
intellettuale: brevetti, diritti d’autore, design, i
dati farmaceutici nei test regolamentari, le
varietà vegetali, i marchi, il segreto
commerciale, le indicazioni geografiche (IG),
nonché i negoziati in materia di
implementazione
di migliori
pratiche
volontarie di cooperazione in paesi terzi, e i
negoziati multilaterali sui diritti di proprietà
intellettuale. Tra gli elementi più interessanti
vi è la resistenza degli Stati Uniti sui dati dei
test farmaceutici, che riguarda probabilmente
le proposte dell’UE per una maggiore
trasparenza di tali dati, e che invece è assente
negli USA54. I fautori dell’inserimento di
normative più rigide nel campo della
proprietà intellettuale all’interno del TTIP,
sostengono che esse siano necessarie per
proteggere le imprese dalla “pirateria” e la
loro protezione è fondamentale per
promuovere la ricerca e lo sviluppo,
l’innovazione, il lavoro, la prosperità e la
crescita delle economie negli Stati Uniti e
nell’UE. Vi è però ragione di credere che
l’inserimento di un settore IP (Intellectual
Property) nel TTIP ha ben poco a che fare con
il bene dell’economia e di un interesse
pubblico più avanzato. Il TTIP potrebbe
concretamente rappresentare il tentativo di
reintrodurre l’Anti Counterfeiting Trade
Agreement (ACTA), il precedente accordo in
materia di proprietà intellettuale tra Europa e
Stati Uniti, che fu nettamente respinto dal
Parlamento Europeo nel 2012 anche grazie ad
una massiccia opposizione popolare55. Alle
54
Ress M., Leaked EU analysis of TTIP – IPR
negotiations, “Knowledge Ecology International”, 28
March 2014, http://keionline.org/node/1984.
55
A spingere i parlamentari europei ad esprimersi
negativamente contro l’ACTA furono sia il pericolo di
limitare in modo rilevante il libero accesso alla
conoscenza diffusa sulla rete, ma soprattutto la
prospettiva di dare un potere enorme nella gestione dei
dati personali alle multinazionali di Internet. Come è
poi risultato palese attraverso le rivelazioni del caso
Datagate, un tale livello di libertà d’azione per le
www.istituto-geopolitica.eu
accuse presentate da varie organizzazione
(come la La Quadrature du Net una delle più
attive nella mobilitazione che portò alla
bocciatura dell’ACTA) la Commissione
Europea risponde sostenendo che le questioni
relative alla proprietà intellettuale saranno
solo una piccola parte all’interno del TTIP e
non le stesse dell’ACTA, affermando inoltre
che la Commissione stessa non ha nessuna
intenzione di intraprendere azioni che possano
andare in contrasto con la posizione del
Parlamento Europeo56.
In caso di una normalizzazione delle
norme sulla proprietà intellettuale tra le due
sponde dell’Atlantico sarebbe sicuramente
l’Europa a cedere il passo agli USA. Infatti
mentre le imprese americane possono usare i
dati personali dei loro clienti senza particolari
restrizioni, gli Europei sono protetti da un
minimo di diritti digitali contro le violazioni
della riservatezza. Come spiega l’European
Service Forum, la principale lobby europea
dell’industria dei servizi: «più della metà del
commercio dei servizi nell’UE, e una buona
porzione dei beni in commercio dipende dalla
trasformazione transfrontaliera di dati via
internet», comprese le informazioni sui
compratori e le loro preferenze57. Andando
incontro agli interessi delle multinazionali
agli Europei toccherebbe vedere le loro
informazioni personali liberamente scambiate
con le industrie americane a scapito del loro
diritto alla riservatezza.
Il rafforzamento dei diritti di proprietà
intellettuale potrebbe anche erodere il diritto
dei pazienti europei a cure sanitarie
economicamente sostenibili e, a tal proposito,
il settore farmaceutico è un’altra di quelle
grandi imprese del web, consente alle stesse di
trasformarsi in gendarmi internazionali privi di
qualunque tipo di controllo democratico.
56
How much does the TTIP have in common with
ACTA?,
European
Commission,
July
2013
file:///C:/Users/Elena/Desktop/Master%20SEGI/tesina/
TTIP%20e%20ACTA.pdf.
57
ESF Contribution to Public Consultation on EU-US
High Level Working Group on Jobs and Growth,
“European Service Forum”, 23 April 2012, p. 5,
http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2012/july/tradoc_
149673.pdf.
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16
lobby interessate a portare avanti i negoziati
del TTIP. Nella sua ambiziosa lista dei
desideri rientrano punti come l’estensione dei
termini di validità dei brevetti, l’imposizione
dei limiti sui prezzi e sulle politiche di
rimborso, la limitazione della trasparenza
sugli studi e i risultati clinici e un maggiore
coinvolgimento delle imprese nei processi di
policy making grazie all’introduzione di un
meccanismo di risoluzione delle controversie.
Partendo dalla proprietà intellettuale, benché i
sistemi previsti in USA e in Europa già
concedano ai produttori di farmaci una rigida
protezione, il TTIP potrebbe estendere
ulteriormente l’ambito e la durata dei brevetti
anche oltre i vent’anni. Un provvedimento del
genere
influirebbe
direttamente
sulla
possibilità dei pazienti di accedere ai farmaci,
in quanto, limitando sensibilmente l’ingresso
sul mercato dei medicinali equivalenti, si
ridurrebbe la concorrenza per prodotti meno
cari e più efficaci che offrono un maggiore
beneficio alla società58. Nel 2000 per esempio
trattamenti anti-retrovirali di base per l’AIDS
costavano fino a 15.000 dollari a persona
all’anno, mentre grazie alla disponibilità dei
farmaci equivalenti il costo è sceso a 150
dollari. Secondo Public Citizen per continuare
la “rivoluzione delle cure” si ha bisogno della
concorrenza e dell’accesso non solo ai
brevetti scaduti ma anche alle medicine
coperte da brevetti e sulle quali le
multinazionali
applicano
prezzi
da
monopolio59. Nel caso in cui il TTIP
comprendesse un capitolo sulla proprietà
intellettuale, le compagnie farmaceutiche si
troverebbero in una situazione tale da
condizionare legalmente le politiche sanitarie
dei governi, come è accaduto in Canada dopo
58
Berlin Forum on Global Politics Internet & Society
Collaboratory Future Challenges.org, The Transatlantic
Colossum – Global contributions to the broaden the
debate on the EU-US trade agreement, Berlin,
December 2013, p. 74.
59
Indonesia Licenses Patents for Seven HIV &
Hepatitis B Medicines, “Public Citizen”, 18 June 2014,
http://www.citizen.org/PC-statement-on-compulsorylicensing-in-Indonesia.
www.istituto-geopolitica.eu
l’applicazione del NAFTA60. Anche sul tema
delle politiche dei prezzi e di rimborso dei
farmaci si andrebbe ad incidere su quegli
strumenti che consentono agli USA e all’UE
la flessibilità e gli strumenti necessari per
limitare la spesa nella sanità pubblica, e
proteggere allo stesso tempo la salute
pubblica. Se adottato, questo provvedimento
consentirebbe alle aziende farmaceutiche di
aumentare i loro profitti sui farmaci
commercializzati in un dato paese, ma
potrebbe ad esempio danneggiare le recenti
politiche statunitensi, le quali hanno previsto
un calo dei prezzi dei medicinali di fronte alla
necessità di tagliare la spesa pubblica in tempi
di austerità61. Altro punto particolarmente
delicato riguarda la pubblicazione degli studi
clinici. Più della metà spesso non sono mai
completamente pubblicati con la conseguenza
che le conoscenze scientifiche sulla loro
non
sicurezza
ed
efficacia risultano
disponibili.
Attualmente
sia
la
regolamentazione
europea
sulle
sperimentazioni
cliniche
che
l’EMA
(European Medicines Agency) hanno chiesto
una maggiore trasparenza relativamente
all’approvazione, alla condotta e alla
pubblicazione dei risultati scientifici, e in
60
Ely Lilly, una multinazionale farmaceutica americana
nel novembre 2012 ai sensi del NAFTA ha avviato un
procedimento formale contro le direttive canadesi sulla
concessione dei brevetti. L’accusa riguarda la
violazione della clausola di tutela degli investitori
stranieri in base al quale mediante la perdita dei
brevetti, l’azienda correrebbe il rischio di veder
danneggiati i propri profitti futuri attesi e, in base a
quanto previsto dagli accordi del NAFTA, è legittimata
a chiedere il risarcimento ai contribuenti. Con una
richiesta di risarcimento di 500 milioni di dollari, la
causa di Ely Lilly rappresenta il primo tentativo di una
multinazionale di spingere verso una maggiore
copertura brevettuale monopolistica che aumenterà il
costo delle medicine a carico dei consumatori e dei
contribuenti. Stastna K., Eli Lilly files $500M NAFTA
suit against Canada over drug patents, “CBC News”,
13 September 2013.
61
Obama Administration Takes Aim at TPP Countries'
Public Interest Policies in New Report, “Public
Citizen”,
5
April
2013,
http://citizen.typepad.com/eyesontrade/2013/04/obama
-administration-takes-aim-at-public-interest-policiesof-tpp-countries-in-new-report.html.
www.geopolitica-rivista.org
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17
particolar modo l’EMA (dopo lo scandalo
Tamiflu) ha annunciato che cambierà la sua
politica pubblicando studi clinici dettagliati
all’atto della domanda di approvazione alla
Tuttavia
sia
commercializzazione62.
l’European federation of pharmaceutical
industries and associations (EFPIA), che la
Pharmaceutical Research and Manufacturers
of America (PhARMA) non sono d’accordo, e
stanno combattendo la politica dell’EMA
cercando di far rientrare sotto la definizione di
“commercial confidentiality” i dati relativi
agli studi clinici63. Tale approccio,
perfettamente in linea con le disposizioni del
TTIP, ostacolerebbe tutti gli sforzi compiuti
dall’EMA e dal Parlamento Europeo in merito
alla richiesta di una maggiore trasparenza. In
pratica, ciò che accadrà sarà che ogni
informazione che viene considerata come
“sfavorevole” alla vendita di un farmaco
(mancanza di efficacia, eventuali danni)
potrebbe essere considerata confidenziale in
quanto la pubblicazione potrebbe comportare
uno svantaggio commerciale.
2.5 I servizi finanziari escono dal TTIP
Un settore nel quale l’accordo potrebbe
subire un radicale ridimensionamento è quello
dei
mercati
finanziari.
La
difficile
convergenza dipende anche dalle diverse
strutture del settore dei servizi finanziari.
L’UE sembra orientarsi sempre di più verso
una separazione netta tra banche commerciali
e banche d’investimento, mentre gli Stati
Uniti sembrano limitarsi a rimedi più
tradizionali come il rafforzamento dei
requisiti di liquidità e capitale delle banche al
fine di evitare un eccessivo sbilanciamento tra
capitale di rischio e di debito. Un accordo
manca proprio sui tre punti presentati
62
Daina C., Farmaci e studi clinici: lo scandalo
Tamiflu e il silenzio della Roche, “Il Fatto Quotidiano”,
12 aprile 2014.
63
PhARMA Wants EU Put On US’s Priority Watch
List’ For Plans To Disclose Basic Safety Info About
Drugs,
“Tech
Dirt”,
12
February
2014;
https://www.techdirt.com/articles/20140210/06230626
164/phrma-wants-european-union-put-priority-watchlist-2014-special-301-report.shtml.
www.istituto-geopolitica.eu
inizialmente dall’European Service Forum e
dalla Coalition of Service Industries. Nel
primo punto, al fine di impedire normative
finanziarie rigide le due imprese di servizi
finanziarie hanno richiesto una “disciplina
regolamentare” che in termini concreti
comporterebbe una limitazione al numero,
alla pervasività ed allo spettro della
regolamentazione finanziaria nei due blocchi
atlantici, favorendo così il flusso di operazioni
finanziarie verso l’Atlantico. Nel secondo
punto rientra la clausola relativa alla
“trasparenza normativa” che consisterebbe nel
far circolare tra le varie imprese finanziarie le
bozze dei regolamenti in modo tale che
possano esprimere i loro “pareri” ed esercitare
in questo modo in maniera legale il lobbying.
In terzo luogo, hanno richiesto l’inclusione
nel TTIP di una “lista negativa” contenente
una serie di servizi e prodotti a cui la
disciplina di liberalizzazione prevista
dall’accordo
transatlantico
non
si
applicherebbe. Tale lista, tuttavia, lascerebbe
intendere che qualunque nuovo prodotto o
strumento finanziario diverso rispetto a quelli
presenti nella suddetta lista, e nato dopo
l’approvazione del trattato, rientrerebbe
nell’ambito di applicazione del TTIP e
potrebbe quindi beneficiare della “disciplina”
che il Trattato vorrebbe imporre agli Stati ed
alle autorità di regolamentazione e
vigilanza64. In quest’ambito dopo il round
negoziale di maggio 2014, è sorta una forte
divergenza tra le due sponde dell’Atlantico
tanto che, con ogni probabilità, il settore
finanziario potrebbe essere escluso dai
successivi tavoli negoziali. Con grande
irritazione della UE, così come gran parte del
settore finanziario negli Stati Uniti e in
Europa, l'amministrazione del Presidente
Barack
Obama
vuole
asportare
la
regolamentazione dei servizi finanziari dal
trattato. Washington sostiene che una
disposizione sui servizi finanziari potrebbe
64
Regulatory Cooperation Component in the services
sectors. To an EU-US Economic Agreement. European
Service Forum & Coalition of Service Industries, 12
November 2012.
www.geopolitica-rivista.org
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18
minare le normative statunitensi introdotte
dopo la crisi del 2008 e che qualsiasi
cooperazione transatlantica in materia
finanziaria dovrebbe essere trattata in un
forum separato65. La proposta di Washington
è
uno
spazio
finanziario
comune
transatlantico, ma allo stesso tempo si
rifiutano di adottare una regolamentazione
comune della finanza, così come di abolire le
sistematiche discriminazioni fatte dalle piazze
finanziarie americane contro i servizi
finanziari europei. In altri termini, sì ad uno
“spazio comune” ma no alle regole comuni,
lasciando così in piedi le discriminazioni
commerciali. Dall’altro lato, una fonte UE
vicina ai negoziati sul TTIP, riportata
dall’ANSA, sostiene che il nodo è l’aspetto
della regolamentazione finanziaria europea,
che “preoccupa” gli americani. «In ogni
negoziato commerciale ci sono aspetti che, a
causa di particolari sensibilità politiche, sono
molto difficili da risolvere», e questa “al
momento” è una di quelle. La fonte, non
mostrandosi particolarmente ottimista su
eventuali passi in avanti nel corso del round
di negoziati ha poi ammesso che «se la
questione non si potrà risolvere, la terremo
fuori dal TTIP»66.
Dopo i negoziati di maggio, nel tentativo
di aumentare la pressione sugli Stati Uniti, la
Commissione Europea ha stabilito che, fino a
quando essi non si impegneranno nella
cooperazione
normativa
in
materia
finanziaria, l’UE non negozierà sui servizi
finanziari nell’accordo di libero scambio. Tale
posizione rigida è emersa anche da una
“bozza di offerta” trapelata grazie alla
European Federation of Pubblic Services,
secondo la quale tra le proposte dell’UE
rientrano settori che vanno dall’architettura
all’agricoltura, dai servizi sanitari al turismo
ma «non rientrano espressamente nessuna
disposizione relativa ai servizi finanziari fino
a che gli Stati Uniti non cambieranno idea
sulla regolamentazione finanziaria»67. Ad
oggi, non sembra possibile un accordo a breve
termine sui servizi finanziari. Il Congresso
federale è ancora diviso, con una parte di
entrambi i rami a favore di un’inclusione dei
servizi finanziari all’interno del capitolo
negoziale del TTIP e un’altra, invece,
convinta che la materia non debba essere
trattata nel TTIP, ma in sede di G20.
2.6 L’utopia delle multinazionali e i
tribunali speciali
Ultimo punto da affrontare, ma
sicuramente il più importante è l’inclusione
nel TTIP del Investor-State Dispute
Settlement (ISDS) ossia la risoluzione delle
dispute tra investitore e Stato. Le ISDS
trovano le loro origini nel diritto
internazionale consuetudinario, quando uno
Stato rivendicava la protezione diplomatica
contro un pregiudizio causato dallo Stato
ospitante. La motivazione per l’inclusione
delle clausole di risoluzione delle dispute
investitore-Stato è di offrire una certa
protezione contro l’espropriazione degli
investimenti esteri (capitali, aziende…) da
parte di governi poco democratici. Nel TTIP,
tale sistema prevede l’introduzione di un
meccanismo di risoluzione delle controversie
tra investitori e governi, sulla base di quelli
che vengono definiti come alti livelli di
liberalizzazione e più elevati standard di
protezione68. Ma il diavolo si nasconde nei
67
65
Donnan S., EU threatens to cut financial services
from trade deal, “Financial Times”, 13 june 2014,
http://www.ft.com/intl/cms/s/0/924b9f80-f31a-11e3a3f800144feabdc0.html?siteedition=intl#axzz34iz0vjao.
66
N.B., UE – USA: fonti, servizi finanziari difficile
siano in accordo, “ANSA.it”, 14 maggio 2014;
https://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2
014/05/14/ue-USA-fonti-servizi-finanziari-difficilesiano-in-accordo_851949f6-3071-4df8-85c0394b9e345b23.html.
www.istituto-geopolitica.eu
For the attention of the trade policy committee,
European Commission, 26 may 2014, p. 2,
https://data.awp.is/filtrala/2014/06/13/4.html.
68
Art. 15 «The aim of negotiations on investment will
be to negotiate investment liberalization and protection
provisions, including investor to State dispute
settlement, on the basis of the highest levels of
liberalization and highest standards of protection that
both Parties have negotiated to date». European
Commission, Recommendation for a Council decision
authorizing the opening of negotiations on a
comprehensive trade and investment agreement, called
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19
dettagli, perché questo sistema consentirebbe
alle multinazionali statunitensi che investono
in Europa di aggirare ogni corte nazionale o
europea, e citare direttamente in giudizio i
governi europei difronte a questi nuovi
tribunali privati internazionali ogniqualvolta
ritengano che le leggi nazionali costituiscano
una minaccia ai “profitti futuri attesi”
(expected future profits). Le imprese europee
che investono negli USA avrebbero lo stesso
privilegio. Questo Tribunale Speciale,
extraterritoriale, si dice con sede presso la
Banca Mondiale, dovrebbe assumere il
modello di un collegio arbitrale privato,
composto da tre arbitri scelti generalmente tra
“principi del foro”, le cui sentenze non
saranno appellabili essendo sovraordinate alle
stesse Costituzioni nazionali. Un’istituzione
dello stesso tipo è presente nel NAFTA69, i
suoi arbitri possono avvalersi di ogni tipo di
strumenti e risorse, comprese lucrosissime
consulenze, test, perizie e le loro decisioni
sono definitive e non possono essere
impugnate. Una gestione della giustizia che
non emette sentenze ma multe, sanzioni e
risarcimenti.
Quindi, se inizialmente le ISDS nacquero
con l’intento di limitare il protezionismo degli
Stati nazionali, nel corso degli anni le
multinazionali hanno compreso che avrebbero
potuto sfruttare questo meccanismo per
saltare le procedure giudiziarie di un paese, ed
hanno così iniziato azioni contro i governi in
una vasta gamma di materie. Questo
the Transatlantic Trade and Investment Partnership,
between the European Union and the United States of
America, COM (2013) 136 final, Strasbourg, 12 march
2013, p. 8.
69
Il NAFTA prevede, al capitolo 11, un sistema di
composizione delle controversie relative agli
investimenti che assicura la parità di trattamento tra gli
investitori delle parti dell’accordo in base al principio
di reciprocità nazionale e un giusto processo dinanzi ad
un tribunale imparziale. Se un investitore NAFTA
ritiene che un governo ha violato i suoi obblighi di
investimento ai sensi del capitolo 11, tale investitore
può ricorre ad un arbitro internazionale, secondo le
regole delle Nazioni Unite, senza nemmeno essere
costretti ad esaurire prima i ricorsi interni. North
American Free Trade Agreement, p. 265.
www.istituto-geopolitica.eu
fenomeno ha comportato un aumento
esponenziale delle cause, dalle 50 intentate tra
il 1950 e il 2000 si è passati a 514 clausole
legali note entro la fine del 2012. Il 24%,
ossia 123 sono state depositate dagli USA,
subito dopo si collocano i Paesi Bassi con 50
cause, il Regno Unito (30) e la Germania
(27). Nel complesso, i Paesi dell’Unione
Europea ne hanno depositate il 40% di tutti i
casi noti70.
Secondo un rapporto dell’UNCTAD con
gli accordi per regolamentare le dispute tra
Stati e aziende, ovvero gli accordi come quelli
previsti dal NAFTA o nel TTIP, gli investitori
stranieri hanno intentato cause contro un largo
ventaglio di misure governative, chiedendo la
modifica di regolamenti interni riguardanti il
gas, il nucleare, la commercializzazione
dell’oro e i cambi, le revoca di licenze ed
autorizzazioni (nel settore minerario, delle
telecomunicazioni e del turismo), il ritiro di
sovvenzioni (per esempio nel settore
dell’energia solare) e per espropri71.
Volendo citare un paio di esempi, nel 2010
la Philip Morris ha avviato un contenzioso
internazionale contro l’Uruguay, e nel 2012
anche contro l’Australia per le leggi antifumo. La contestazione riguardava le scritte di
avvertimento sui pacchetti di sigarette che
impedivano di visualizzare in modo efficace i
propri marchi provocando una consistente
perdita di quote di mercato e una lesione della
loro “proprietà intellettuale” costituita dal
design dei pacchetti di sigarette72. La Lone
Pine, impresa californiana dell’energia ha
chiesto al Tribunale speciale del NAFTA di
70
A transatlantic Corporate bill of rights – investor
privileges in EU-US trade deal threaten public interest
and democracy, “Corporate Europe Observatory”
(CEO), June 2013, p. 2.
71
Recent developments in investor-state dispute
settlement, UNCTAD United Nations conference on
trade and development, n. 1, May 2013(ISDS), p. 3.
72
Porterfield M. & Byrnes C., Philip Morris v.
Uruguay: will investor-State arbitration send
restrictions on tobacco marketing up in smoke?,
“Investment Treaty News”, 2
July 2011,
http://www.iisd.org/itn/2011/07/12/philip-morris-vuruguay-will-investor-state-arbitration-sendrestrictions-on-tobacco-marketing-up-in-smoke/.
www.geopolitica-rivista.org
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20
condannare lo Stato del Canada ad un
risarcimento di 191 milioni di dollari per aver
imposto una moratoria sul fracking.
Addirittura 3,7 miliardi di euro per mancati
profitti sono stati chiesti dalla svedese
Vattenfall alla Germania che ha abbandonato
la produzione di energia nucleare dopo il
disastro di Fukushima73. L’Argentina, durante
la sua crisi finanziaria, per aver congelato le
bollette di acqua ed elettricità e aver
privatizzato i settori (così come raccomando
dal FMI), è stata portata in giudizio dalle
multinazionali che gestivano in precedenza
tali servizi. Avendo ridotto i loro profitti
impedendogli di rincarare le tariffe, nel 2008
è stata condannata a pagare risarcimenti per
un ammontare pari ad 1,5 miliardi di dollari.
Anche la Chevron, il gigante USA
dell’energia, nel 2011 si trovò impegnata in
una controversa legale contro l’Ecuador per
evitare il pagamento di 18 miliardi di dollari
per
ripulire
la
foresta
pluviale
dall’inquinamento
provocato
dalle
perforazioni petrolifere, ma grazie alle
clausole sulla protezione degli investimenti la
multa è stata ridotta a 10 miliardi di dollari74.
Al di là degli obblighi di risarcimento per
gli Stati si configura un altro grosso
problema. Nonostante le ISDS siano
pressoché sconosciute all’opinione pubblica,
la ricaduta sulle legislazioni nazionali è
notevole. Con l’espansione del sistema
investitore – Stato le aziende si elevano al
livello di un’intera nazione e possono
dialogare alla pari con governi, possono
ottenere la revisione di legittime decisioni di
un tribunale nazionale per mezzo di arbitrati
privati; invocando l’aspettativa di un legittimo
profitto le multinazionali possono impedire
l’attuazione di normative per la protezione
della salute pubblica o dell’ambiente
73
Rosolen M., TTIP: segreto, ovvero il contrario di
pubblico, “Il granello di sabbia”, Attac Italia, n. 10,
febbraio 2014.
74
N.B., Chevron Texaco, ridotta a 10 miliardi di
dollari la multa per inquinamento dell’Amazzonia in
“La
Repubblica”,
15
novembre
2013,
http://www.repubblica.it/ambiente/2013/11/15/news/te
xaco-71076591/.
www.istituto-geopolitica.eu
semplicemente perché ridurrebbero i profitti
aziendali attesi. La sola minaccia di cause
legali per milioni di euro, intentate da studi
legali con centinaia di avvocati per conto
delle multinazionali, può mettere sul chi va là
i governi e indurli ad attenuare o addirittura a
rinunciare a emanare leggi a tutela del lavoro,
salute e ambiente. Se le decisioni politiche a
livello locale, regionale e nazionale corrono
questi rischi di strangolamento economico,
ben più disarticolanti di una sentenza civile o
penale, è a rischio la stessa democrazia75.
Conclusioni
Dopo aver fornito le informazioni basilari
sui soggetti coinvolti nella stesura del trattato,
il contesto geostrategico che ha portato
all’elaborazione e, pur non essendo
disponibile una bozza di testo, aver cercato di
chiarire i suoi principali contenuti, possiamo
trarre alcune conclusioni.
Il TTIP viene definito la “NATO del
commercio” in quanto non vi è dubbio che
storicamente lo sviluppo dell’Unione Europea
e dell’egemonia del capitalismo USA siano
strettamente connesse. Non si può negare che
il processo di unificazione europea è stato
originariamente dipendente dai legami
economici che gli USA avevano stabilito nel
corso della Seconda Guerra Mondiale, prima,
e consolidato poi con il Piano Marshall e la
NATO, e che hanno rappresentato un
fondamentale strumento d’integrazione delle
economie del Nord Atlantico. Il TTIP è in
perfetta continuità con questa storia; la
recente politica USA di ribilanciamento
nell’Atlantico e nel Pacifico e il tanto
nominato “pivot to Asia” sono in linea con la
storia post Guerra Fredda dell’UE e degli
USA che cercavano mercati comuni per
rafforzare le alleanze, arricchire il partenariato
transatlantico
e
contribuire
al
loro
coordinamento geostrategico. Sotto il TTIP, il
coordinamento economico USA-UE non solo
fornirà opportunità di crescita, ma tenterà di
tenere a bada quei paesi (Cina, Brasile, India e
Russia), che fino a qualche anno fa erano
75
Roselen M., op. cit..
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21
rimasti ai margini della struttura trilaterale
post-bellica impregnata su USA, Europa
occidentale e Giappone, ma che invece oggi
minacciano l’asse Nord-Atlantico.
Il TTIP è quindi prima di tutto concepito
nel quadro di una politica di potenza
economica che ben poco ha a che vedere con
la liberalizzazione dei flussi commerciali e
degli investimenti a livello mondiale, e ancor
meno con quella crescita del lavoro e
dell’occupazione che pure viene indicata dai
fautori del TTIP come benefico effetto della
sua introduzione. Ma sarà determinante per
l’UE e gli Stati Uniti a stabilizzare le loro
posizioni dominanti nei flussi commerciali
internazionali e a guadagnare una più forte
moneta di scambio quando si troveranno a
trattare con le economie emergenti.
Gli Stati Uniti approfittando di un
momento di debolezza oggettiva del Vecchio
Continente, da un lato mirano a saldarsi
definitivamente all’Europa, dall’altro sono
decisi a concentrarsi sul Pacifico dove è in
cantiere un altro trattato di libero scambio (il
TPP) con le principali potenze economiche
filo-americane e sino-scettiche. Per gli USA
quindi, il TTIP rientra in una strategia di
ampio respiro, rappresentata dalla necessità di
legare alla propria economia il massimo
numero di aree geopolitiche e commerciali
possibili, tenendo così fermo il blocco eurooccidentale in un momento in cui ci sono forti
frizioni con la Russia.
Per l’Unione Europea il TTIP va visto non
come un accordo bilaterale tra Stati ma come
un accordo negoziato tra uno Stato forte, gli
USA, e le deboli istituzioni europee, in quanto
debole è sia la loro legittimazione
democratica che il consenso di cui godono. Il
TTIP, per il suo contenuto, può essere quindi
interpretato come una sorta di dichiarazione di
resa di un continente che attraverso la sua
politica monetarista di austerità, ha deciso già
da tempo di rinunciare al suo carattere di stato
sociale frutto del compromesso tra capitale e
lavoro,
per
consegnarsi
alle
leggi
dell’impresa. Ma agli Europei va bene così.
L’unica cosa che possono fare per frenare il
loro declino, è legarsi il più strettamente
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possibile agli USA. Per quel che riguarda il
volume di scambi commerciali per l’Europa,
come sostenuto in precedenza dall’Öfse si
riconosce che è prevedibile un aumento delle
esportazioni dell’UE nel suo complesso, ma
non bisogna dimenticare che a beneficiare di
questo incremento saranno soprattutto i grandi
gruppi industriali, a scapito delle PMI che
invece costituisco la maggior parte delle realtà
aziendali, non solo europee ma soprattutto
italiane. Soltanto attraverso un mega trattato
strutturale le élite europee intravedono la
possibilità di riuscire a superare l’attuale
difficolta nell’imporre, Stato per Stato, le
politiche di austerity e di smantellamento
dello stato sociale, che sono state indotte dalla
crisi del debito pubblico. Per quanto riguarda
l’effetto che avrebbe questo accordo sul
commercio tra paesi UE, se, soprattutto nello
scenario della liberalizzazione complessiva,
aumenterebbero i flussi commerciali tra
singoli paesi dell’UE e Stati Uniti, al tempo
stesso diminuirebbe in modo sostanziale il
commercio intra-UE, dal momento che molte
imprese
dei
singoli
paesi
membri
troverebbero molto conveniente fare affari
negli USA e con imprese d’oltreoceano, una
volta venuti meno quegli ostacoli attualmente
in essere.
Dato che l’Unione Europea e gli USA
contano circa la metà del PIL globale, e per
un terzo gli scambi commerciali del mondo, è
chiaro che la più vasta area di libero scambio
del pianeta avrà conseguenze importanti ben
oltre l’Atlantico. L’UE e gli USA stanno
cercando di utilizzare questi accordi sia per
imporre lo stesso livello di liberalizzazione
degli scambi transatlantici al resto del mondo,
che per cercare di superare lo stallo politico in
seno all’OMC. Infatti, mentre i paesi
industrializzati spingono per una radicale
liberalizzazione, i “Paesi in via di sviluppo”,
ad esempio i BRICS, chiedono riforme e
risarcimenti per i passati accordi considerati
sleali.
Questi interessi divergenti si sono
dimostrati inconciliabili in un sistema
multilaterale e hanno spinto le vecchie
egemonie a cercare vie traverse per bloccare
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l’ascesa delle economie emergenti. Ne
consegue che, non è difficile capire che anche
se il TTIP promette effetti economici positivi
per tutti, racchiude al suo interno un
potenziale esplosivo in grado di aumentare il
divario tra l’Occidente e le potenze emergenti.
Sul piano economico il TTIP potrebbe
influenzare negativamente i vecchi partner
commerciali degli Stati Uniti e dell’Unione
Europa, sia per quanto riguarda i membri del
NAFTA (Canada e Messico) o i paesi
candidati all’ingresso nell’Unione, che per
quanto concerne Paesi come Cile e Australia,
i quali, secondo uno studio della Fondazione
Bertelsmann potrebbero subire un calo della
crescita tra lo 0,5 e il 2,5 per cento. Sul piano
politico anziché spianare la strada a successivi
accordi multilaterali potrebbe ulteriormente
frammentare e stratificare il sistema
internazionale. Secondo uno studio di
Kupchan
Charles
della
Transatlantic
accademy76, il TTIP ha il potenziale per poter
stimolare una reazione dei paesi emergenti. Il
mantenimento
di
un
nuovo
ordine
internazionale basato su nuove regole nei
prossimi anni dipenderà dalla capacità delle
democrazie atlantiche di lavorare con le
potenze emergenti, ma il TTIP creerà
integrazione esclusivamente all’interno della
comunità atlantica. Più alti sono gli standard
fissati dagli occidentali e meno probabilità ci
saranno che gli Stati emergenti decidano di
giocare secondo le nuove regole del
commercio globale. La recente crisi
economica ha dimostrato che la cooperazione
economica internazionale e l’integrazione
sono diventate un imperativo per affrontare le
sfide globali e l’esclusione dei BRICS non
può certo giovare al nuovo ordine
internazionale.
Coinvolgendo sia Stati Uniti e UE, il TTIP
avrà forti ripercussioni sia sulla Cina che sulla
Russia. Secondo alcuni analisti il TTIP
(insieme alla Trans Pacific Partnership), è
visto come un tentativo per isolarle. La
possibilità di un consolidamento del blocco
occidentale tramite il TTIP e la riforma della
NATO preoccupano infatti sia la Cina che la
Russia. Entrambe cercano d’impedirlo,
alternando lusinghe, promesse d’investimenti
e minacce. Ma la logica della Realpolitik,
utilizzata dalle grandi e vecchie potenze non
s’incontra con le potenze emergenti, che non
hanno concordato le regole di un nuovo
ordine. Dato che le istituzioni multilaterali
hanno perso la loro efficacia, un accordo fra
loro è impossibile. Tale asse di comodo sinorusso quindi, se pur piuttosto durevole, non è
in grado di lanciare una sfida diretta contro gli
USA, poiché appare troppo pericolosa.
Tanto la Russia quanto, soprattutto, la Cina
restano
fortemente
dipendenti
dalla
cooperazione con Washington. Non soltanto
le relazioni sino-americane superano di gran
lunga quelle russo-americane in termini di
interscambio commerciale, ma solamente
mantenendo relazioni costruttive con gli Stati
Uniti la Cina può sperare di incidere sulle
questioni dell’agenda globale – dai
cambiamenti
climatici
al
terrorismo
internazionale – che toccano da vicino i suoi
interessi. Pechino è infatti vitalmente
interessata a un contesto internazionale stabile
nel quale possa continuare a perseguire la
propria agenda di sviluppo77. Ne
consegue
che il TTIP in realtà, potrebbe essere l’inizio
per un maggiore coinvolgimento di Pechino e
di Mosca in negoziati quantomeno trilaterali: i
dialoghi, informali ma già avviati da diversi
anni, dalla Cina rispettivamente con l’UE e
gli USA costituiscono un punto di partenza
importante su cui costruire accordi di portata
più ampia in un’ottica di medio periodo.
Nel complesso si può sostenere che il TTIP
ha un’agenda decisamente ambiziosa e vasta e
se dovesse essere realizzata al massimo del
suo potenziale ci sarebbero sia benefici che
svantaggi economici per entrambe le parti.
Data la sua vastità, al di là delle stime
riportate dai vari studi è molto difficile
76
77
Kupchan C., The geopolitical implication of the
transatlantic trade and investment Partnership,
“Tranatlantic Academy”, June 2014, p. 6.
www.istituto-geopolitica.eu
Istituto Affari internazionali (IAI), Orizzonte Cina,
Renzi in Cina, dilemmi strategici di Pechino, giugno
2014, p. 4.
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23
calcolare ex ante l’impatto di tale accordo ed
effettuare una sua valutazione completa. Da
un lato è possibile intravedere grandi
opportunità sia per i produttori in termini di
sbocchi sul mercato, che per i consumatori
che accederanno a beni meno costosi. In
contropartita il TTIP, potrebbe liberare le
imprese da ogni vincolo, sia esso una norma
tariffaria o socio-ambientale, o attribuire loro
il potere da un lato di citare in giudizio
qualsiasi autorità governativa che interferisca
con i loro affari, dall’altro lato di chiedere
risarcimenti ai contribuenti per eventuali
profitti mancati in conseguenza delle
normative di cui sopra.
Lunedì 29 settembre presso la sede di
Assolombarda a Milano si è tenuto un
convegno sullo stato di avanzamento della
partnership transatlantica e sull’importanza
del TTIP. Sono in pochi a credere che si possa
raggiungere una prima intesa nel 2015. Il
timore e che, con le elezioni statunitensi di
medio termine alle porte, a novembre Obama
possa perdere la maggioranza al Senato,
incrinando una volontà d’accordo molto
chiara a parole ma non sempre convincente
nei fatti. Secondo le parole del vice-ministro
per lo Sviluppo economico italiano, Carlo
Calenda il rischio è quello di arrivare senza
punti fermi al 2016, e se alle prossime
elezioni presidenziali Washington cambiasse
indirizzo tutto potrebbe sfumare.
A rendere ancora più torbide le acque in
cui naviga il TTIP vi è la vicenda di Cecilia
Malmström, candidata svedese alla carica di
Commissario Europeo al commercio. Nello
stesso giorno in cui si sono aperti i negoziati
sul TTIP a Chevy Chase, nel Parlamento
Europeo si svolgevano le audizioni sulle
nomine per i posti di Commissario Europeo.
Secondo quanto riportato dal giornale tedesco
“Neues Deutschland”, durante le audizioni
sulle nomine, alla domanda sul problema
dell’accordo TTIP, presentata anticipatamente
per iscritto, la Malmström avrebbe espresso
con forza la propria contrarietà alla proposta
di “tutela degli investitori”. Seguendo la linea
del Presidente della Commissione Europea,
Jean-Claude Juncker aveva annunciato
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l’«inammissibilità di qualsiasi tipo di accordo
che limiti i poteri dei giudici degli Stati
membri dell'Unione Europea», nonché la
soppressione
della
disposizione
nell’imminente accordo. Tuttavia, prima
dell’udienza al Parlamento Europeo tale
passaggio è stato eliminato e sostituito con
una posizione molto più morbida e fiduciosa
sulla «possibilità di trovare un sistema» che
tenga conto di «tutte le posizioni» attraverso
un eventuale consiglio pubblico per
monitorarne la trasparenza.
In conclusione, all’indomani della fine del
settimo round negoziale, terminato il 3
ottobre, il corrispondente di “Euronews” da
Washington, Stefan Grobe ha affermato che:
«I due negoziatori hanno anche affrontato
il tema controverso della trasparenza, ma non
hanno convinto. I negoziati si sono svolti in
segreto, solo una minima quantità di
informazioni è stata fornita ai media e
nessuno ha precisato quanti round negoziali
dovremo attenderci prima della firma
dell’accordo».
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