Italia-Francia: gioco di specchi

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Italia-Francia: gioco di specchi
N on v i è d e s i d e r io pi ù n a t u r a l e d e l d e s i d e r io d i cono s c e nz a
Italia-Francia: gioco di specchi
L’anno 2011 é stato teatro di eventi importanti che spingono la Francia e l’Italia ad avere un ruolo di primo piano. Come nel caso del rilancio di una politica in direzione del Mediterraneo nel contesto delle Primavere arabe o anche per quanto riguarda la crisi economica e finanziaria europea. I nostri due paesi hanno dei reali interessi a cooperare in una prospettiva
bilaterale, europea e mondiale.
Oltre alla complementarietà delle loro economie, questo studio sottolinea i punti di convergenza tra l’Italia e la Francia e formula una serie di proposte
concrete per rinnovare i nostri sistemi democratici, favorire la crescita economica e rinforzare la coppia franco-italiana.
Institut Montaigne
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Italia-Francia:
gioco di specchi
Marc LAZAR
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ISSN 1771-6756
Febbraio 2012
S t u d i o F e b b r a io 2 0 1 2
Non vi è desiderio più naturale
del desiderio di conoscenza
L’AUTORE
Professore di Storia e di sociologia politica, Marc Lazar é Direttore del Dipartimento
di storia e Presidente del Consiglio scientifico di Sciences Po. Ha fondato e anima
il GREPIC (Groupe de Recherches et d’Études Pluridisciplinaires sur l’Italie
Contemporaine) al CERI (Centre d’Études et de Recherches Internationales),
Sciences Po-CNRS. E’ inoltre Presidente della School of Government della LUISSGuido Carli e professore associato nella stessa Università. E’ autore di numerosi libri
consacrati all’Italia, la maggior parte dei quali é stata tradotta in italiano.
Remerciements
L’Institut Montaigne e l’autore desiderano rivolgere i loro più sinceri ringraziamenti
per l’attenta rilettura del testo nonché per i preziosi scambi che si sono realizzati
intorno a questo studio:
Paolo Modugno, Chargé de mission “Europa del Sud” alla Direzione degli affari
internazionali e degli scambi di Sciences Po
Filippo Monteleone, Direttore generale delegato del gruppo Générale de Santé
Michele Salvati, Professore d’economia all’Università di Milano
Francesco Saraceno, Economista senior al Dipartimento innovazione e concorrenza,
OFCE
Sophie Segond, Avvocato, socio dello studio legale SEGOND – VITALE & ASSOCIES
Sofia Ventura, Professore associato di scienza politica all’Università di Bologna
Tommaso Vitale, Professore associato di sociologia a Sciences Po (CEE)
Italia – Francia : gioco di specchi
di Marc LAZAR
STUDIO - FEBBRAIO 2012
PREFAZIONE
Nella tempesta economico finanziaria che ha colpito in pieno tutti i paesi europei,
sono stati sufficienti pochi mesi affinché l’Italia berlusconiana affondi. L’economia
é riuscita a far cadere il Cavaliere che aveva in precedenza resistito ai numerosi
scandali succedutisi senza tregua.
Avendo realizzato con successo tra il primo e il 30 gennaio 2012, quattro
emissioni di obbligazioni, l’Italia ha iniziato, in due mesi, dalla nomina dell’ex
Commissario europeo Mario Monti a capo del governo nel novembre 2011, il suo
ritorno nell’arena europea. Ciò é attestato dal mini-vertice che ha riunito Nicolas
Sarkozy, Angela Merkel e Mario Monti all’indomani dell’entrata in carica del nuovo
Presidente del Consiglio italiano, il 24 novembre, e dai suoi incontri internazionali
del mese di febbraio. Il nuovo governo sembra aver ristabilito la fiducia necessaria
per rassicurare i mercati, i suoi partner europei e internazionali e soprattutto, la
popolazione italiana.
Se questo rinnovamento deve ancora essere confermato sul lungo termine, esso
indica chiaramente la strada verso un’uscita dalla crisi finanziaria. Si tratta, di
per sé, di una cosa positiva, ma rappresenta soprattutto il segnale che l’Europa
avrà i mezzi per lanciare altre iniziative, altri ambiziosi progetti. Dall’introduzione
dell’Euro, più di dodici anni fa, gli europei non hanno saputo ritrovare un nuovo
slancio, ridare del contenuto e una prospettiva al loro progetto. Ciò è dovuto,
forse, alla crisi, ma anche ad una mancanza di visione comune, a delle istituzioni
incapaci di prendere delle decisioni in modo sufficientemente rapido per adattarsi
ad un mondo in completa rivoluzione.
Se la competitività e la crescita sono i motori della costruzione europea sin dai
suoi inizi, occorre attribuire loro una prospettiva politica. Altre sfide devono essere
raccolte, non solo a livello dell’integrazione economica (R&D, sviluppo del nostro
tessuto di piccole e medie imprese, grandi progetti infrastrutturali, ecc.) ma anche
in termini di diplomazia, di difesa e di sicurezza, di formazione di scambi culturali,
in sintesi di un’Europa che deve essere maggiormente presente nel mondo.
Per condurre a buon fine le azioni necessarie in vista di questo rinnovamento del
progetto europeo, i diversi Stati devono accettare un aggiornamento istituzionale,
che dia più spazio ad un’Europa a geometria variabile, a delle forme originali di
cooperazioni rinforzate.
In questo contesto, l’Italia deve svolgere un ruolo fondamentale. Paese fondatore
dell’Unione Europea, essa sta dimostrando la sua capacità a intraprendere le
riforme strutturali necessarie per rilanciare l’economia, senza compromettere il
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vivere comune. In quest’opera, essa indica la via e prepara l’avvenire del nostro
continente.
A fianco della necessaria coppia franco-tedesca, la coppia franco-italiana è più
che mai indispensabile.
Jean-Paul Tran Thiet
Presidente del gruppo « Questioni europee »
dell’Institut Montaigne
SOMMARIO
Introduzione............................................................................................ 5
Parte I : Democrazia all’italiana................................................................. 7
Capitolo I : Una storia tormentata.........................................................9
Capitolo II : La crisi degli anni 90........................................................11
Capitolo III : Silvio Berlusconi e il conflitto d’interessi..............................13
Parte II : Il sismografo italiano ............................................................... 15
Capitolo I : L’emergenza della democrazia d’opinione.................................17
Capitolo II : Una democrazia italiana profondamente divisa........................21
Capitolo III : Una Francia italianizzata.....................................................25
Parte III : Stato e società in Italia di fronte alle sfide del futuro................... 29
Capitolo I : Stato e società civile in Italia..................................................31
Capitolo II : L’Italia di fronte a cinque grandi sfide.....................................35
Capitolo III : La Francia, un’anti-Italia ? ...................................................43
Conclusioni........................................................................................... 47
Proposte............................................................................................... 51
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INTRODUZIONE
Nel momento in cui ha appena finito di festeggiare, nel 2011, il centocinquantesimo
anniversario dell’Unità, l’Italia é spesso presentata sotto i più neri auspici. Prima
di tutto nel campo politico, dove viene comunemente spiegato come questo paese
conosca una crisi acuta e preoccupante del proprio regime democratico. Ne sarebbero
testimoni i tre successi elettorali, in una quindicina d’anni, di Silvio Berlusconi, il
propagarsi del populismo, il trionfo della telecrazia, i rischi d’autoritarismo o peggio,
secondo alcuni, la minaccia di un ritorno del fascismo. In secondo luogo dal punto
di vista economico e sociale, per cui l’Italia sarebbe in pericolo, con un PIL a +1,5%
nel 2010 dopo due anni in cui era stato negativo e un tasso medio di crescita dello
0,41% tra il 2001 e il 2010 contro l’1,36% nella zona euro, un calo della produzione
industriale del 25% tra il 2008 e il 2009 (con una leggera ripresa nel 2010 rispetto
al 2009), un forte aumento della disoccupazione (l’8,6% della popolazione attiva
nel 2010), un debito pubblico del 119% del PIL nel 2010, una perdita d’attrattiva
internazionale in tutti i settori, una società impaurita, tentata dal ripiegamento su
sé stessa e in preda a ondate xenofobe e razziste. L’Italia é diventata secondo il
parere di molti mass media e osservatori “il malato d’Europa”. Una formula che
colpisce ma che rimane troppo schematica commettendo l’errore di stigmatizzare un
paese che, al contrario, con i propri successi e con i propri problemi, rappresenta un
pilastro fondamentale dell’Europa. La prova, del resto, ne é stata data con l’arrivo al
potere di Mario Monti nel novembre scorso, il quale ha immediatamente rassicurato
l’insieme dei partner dell’Italia promulgando una terapia choc basata, in particolare,
sul prolungamento della durata dei versamenti per la pensione, sul congelamento
delle pensioni al di là dei 1.400 euro e su una serie d’aumenti di tasse e imposte. Gli
Italiani hanno così preso brutalmente coscienza della gravità della crisi che colpisce il
loro paese e manifestano, almeno per il momento, un grande senso di responsabilità.
Si tratta quindi di rifiutare ogni semplificazione adottando un altro approccio.
L’osservazione scrupolosa e distaccata di alcune delle sue realtà politiche attuali
costituisce naturalmente un imperativo per la comprensione dell’Italia. Essa permette
al contempo di riflettere, attraverso una sorta di gioco di specchi, sul divenire di tutti
gli altri paesi europei, a cominciare dalla Francia. In effetti, quali che siano state le
particolarità della sua traiettoria storica, ogni Stato-nazione europeo é oggi confrontato
a sfide simili alfine, ad esempio, di definire il proprio posto in Europa ed in un mondo
globalizzato, di uscire dalla crisi economica, di ripensare il proprio rapporto alla politica
o di ricostruire i legami sociali. I diversi modelli politici, di sviluppo e di strutturazione
della società sono rimessi in discussione. E’ il caso di quello italiano del secondo
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dopoguerra fondato fino agli ultimi anni su una base instabile: una giovane repubblica
costruita in un paese con una fragile tradizione democratica, uno Stato relativamente
debole dotato di una burocrazia per nulla efficace ma molto formalista e pignola, una
modernizzazione tradizionale che accoglieva elementi di novità senza abolire antichi
retaggi come, ad esempio, l’antico antagonismo tra il Nord e il Sud del paese o la
potenza della Chiesa cattolica, un’economia basata soprattutto sulle piccole imprese,
una società civile dinamica e, allo stesso tempo, sclerotizzata da forti corporativismi.
L’Italia vive intensamente l’esaurirsi del proprio modello. Tuttavia, piuttosto che
sottolinearne all’infinito le incontestabili singolarità, é più appropriato considerarla
come un paese che cristallizza i movimenti di fondo più generali che riguardano
anche la maggior parte dei paesi membri dell’Unione europea a causa della crescente
convergenza della politica, delle politiche pubbliche e delle società che operano
all’interno di questo spazio. In questa prospettiva, lungi dal costituire un’anomalia,
l’Italia diventa una sorta di sismografo delle mutazioni osservabili altrove, e prima
di tutto in Francia. In politica, poiché l’evoluzione a volte preoccupante delle nostre
democrazie é una delle poste in gioco fondamentali di questo inizio di un nuovo
millennio. Ma anche per ciò che riguarda il tema cruciale delle relazioni tra lo Stato e la
società civile. Da un lato perché quest’ultimo costituisce uno degli elementi principali
di distinzione tra l’Italia e la Francia sul lungo periodo: in generale, la difficoltà, o
talvolta l’impossibilità, dello Stato italiano tradizionalmente fragile di organizzare
una società nazionale e di essere in fase con le dinamiche sociali é diametralmente
opposta ai successi francesi in questo campo. Dall’altro canto, perché dopo decenni
di egemonia del paradigma liberale, la crisi prima finanziaria e poi economica ha
rilanciato il dibattito sulla realtà, il ruolo, le funzioni o anche l’eventuale ritorno
dello Stato per assicurare il rilancio dell’economia e ridare coerenza a delle società
destabilizzate da molteplici tensioni. E ciò, in particolare, nel momento in cui l’Italia
e la Francia, certamente a livelli diversi, hanno visto le proprie notazioni finanziarie
degradate dalle agenzie di rating.
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PARTE I
DEMOCRAZIA
A L L’ I TA L I A N A
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CAPITOLO I
UNA STORIA TORMENTATA
Considerare l’Italia come un rivelatore delle trasformazioni politiche in corso nelle
democrazie europee, non significa tuttavia occultarne le peculiarità. Tra queste, tre
elementi meritano di essere presi in considerazione. Si tratta, in primo luogo, di tener
conto della pesante eredità storica di questo paese, in secondo luogo, d’analizzare
la crisi del sistema politico degli anni 90, e di considerare, infine, la situazione
venutasi a creare con l’entrata in politica di Silvio Berlusconi nel 1994.
UNA TRADIZIONE DEMOCRATICA DEBOLE
L’Italia presenta una tradizione democratica fragile e recente. Il movimento
risorgimentale, nel XIX secolo, se da un lato ha sollevato l’entusiasmo dei suoi
promotori in particolare nelle città e in certi casi nel cuore di alcune campagne,
ha mobilitato alla fine soltanto una parte della popolazione composta all’epoca da
una massa rurale nella maggior parte dei casi analfabeta e che viveva in condizioni
molto difficili. Lo Stato, d’origine piemontese ed ispirato al modello francese, è potuto
sembrare come illegittimo ed estraneo a molti italiani, in particolare nel Sud, mentre
per molto tempo i cattolici non lo riconobbero in segno di protesta contro la laicità
militante e la caduta di Roma ed anche i socialisti lo contestarono in modo radicale.
La Monarchia costituzionale ha certamente introdotto una democrazia parlamentare
ma con una forte rottura tra l’élite e il popolo, e una cultura civica limitata, nella
quale gli interessi privati e famigliari hanno avuto la meglio sul bene comune. Le
pratiche clientelari e la corruzione erano diffuse fino in Parlamento dove si realizzava
il trasformismo, una politica che mirava ad associare in ogni modo l’opposizione alle
decisioni della maggioranza. La progressiva estensione del corpo elettorale durante
l’Italia liberale è stata interrotta dalla Prima Guerra mondiale e in seguito dalla
dittatura fascista durata quasi vent’anni. Il regime di tipo totalitario instaurato da
Benito Mussolini ha marcato profondamente la penisola e i suoi abitanti. Ha anche
contribuito a perpetuare una propensione al sistematico discredito dell’avversario,
spesso considerato come un irriducibile nemico, fenomeno che costituisce una
delle costanti della politica italiana. Questo porta all’instaurazione di un clima quasi
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perpetuo di guerra civile simulata, diventata effettiva negli anni del primo dopoguerra
e tra il 1943 e il 1945, compensata dai ricorrenti tentativi di mediazione tra i diversi
protagonisti alfine di evitare che gli scontri non degenerino.
DEBOLEZZE E PUNTI FORTI DELLA REPUBBLICA
Dopo che la maggioranza degli italiani scelse la Repubblica nel giugno del 1946,
ci sono voluti quasi diciotto mesi affinché essa venisse dotata di una Costituzione
democratica. La repubblica parlamentare e dei partiti riuscì ad imporsi in tutta la
penisola, mentre il Sud aveva optato in maniera massiccia per il mantenimento della
Casa dei Savoia. Diversi fattori vi hanno contribuito. Innanzi tutto, la ricostruzione
del paese, poi il “miracolo economico”, sinonimo di una crescita formidabile, di un
notevole miglioramento delle condizioni di vita e di un aumento del livello d’istruzione,
che ha cancellato il rovescio della medaglia costituito, ad esempio, dall’esodo rurale,
dall’intensificazione della produttività, dall’urbanizzazione mal controllata o ancora
dal degrado ambientale. In seguito, la costituzione di grandi partiti politici, come
la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista e il Partito Socialista, ha sostenuto
la Repubblica occupandone al contempo tutti gli spazi di potere disponibili e
radicandosi profondamente nella società. Infine le istituzioni stesse, attraverso ad
esempio la figura del Presidente della Repubblica, hanno penetrato quest’ultima
ad un punto tale da renderla atta a raccogliere la sfida terrorista degli anni 70-80
dell’estrema destra come dell’estrema sinistra manifestatasi con una tale intensità
che nessun altro paese democratico ha conosciuto. Tuttavia, nello stesso momento,
il potere dei partiti comincia a ridursi e la società italiana comincia ad esprimere un
malessere sempre più profondo nei confronti della politica. Divenuta più moderna
e più prospera, ma non per questo più virtuosa, volta le spalle alle istituzioni e ai
partiti, formulando nei loro confronti delle critiche sempre più severe. Le prime sono
denunciate per i loro molteplici disfunzionamenti e per le loro lentezze, i secondi per
la monopolizzazione della rappresentanza, la corruzione e il clientelismo.
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CAPITOLO II
LA CRISI DEGLI ANNI 90
LE ORIGINI DELLA CRISI
La crisi dei paesi comunisti provoca degli effetti diretti sulla vita della penisola.
In effetti, essa era organizzata intorno a due grandi assi ideologici, da un lato
l’antifascismo e dall’altro l’anticomunismo. Negli anni 80 il primo tendeva a ridurre la
sua importanza in quanto, da un lato, il ritorno a una dittatura sembrava poter essere
scartato e dall’altro, le giovani generazioni si mostravano meno ricettive all’eredità
antifascista che i più anziani cercavano di trasmettergli. L’anticomunismo ha avuto
un forte impatto in Italia, dove era presente il più potente dei partiti comunisti
occidentali, sistematicamente escluso dal potere al livello centrale dal 1947. Solo la
gravità del terrorismo degli anni settanta spiega come il PCI abbia potuto sostenere
in Parlamento dei governi diretti dalla Democrazia Cristiana. Il PCI incarnava la
grande forza dell’opposizione ma non poteva rappresentare un’alternativa credibile.
Lo vietavano i suoi legami con l’URSS, malgrado le critiche formulate nei suoi
riguardi a partire dagli anni 60, e ancora di più durante l’eurocomunismo degli
anni 70, critiche che tuttavia non spinsero mai il partito a rompere completamente
con Mosca. Questa situazione aveva contribuito a bloccare il funzionamento del
sistema politico, mantenendo ininterrottamente al potere la Democrazia Cristiana,
insieme ai suoi alleati tra cui il Partito Socialista Italiano, in particolare negli anni
80 all’epoca di Bettino Craxi. Una delle ragion d’essere della maggioranza era
precisamente la denuncia del comunismo. La caduta del muro di Berlino modifica la
situazione. Il Partito Comunista può accelerare i suoi cambiamenti e trasformarsi nel
1991, almeno per quanto riguarda la maggior parte dei propri membri, nel Partito
Democratico della Sinistra (PDS) che più tardi prenderà il nome di Democratici di
Sinistra (DS) e poi, nel 2007, di Partito Democratico (PD), con una certa ispirazione
americana. Gli elettori della Democrazia Cristiana, i quali benché critici e delusi da
quest’ultima, continuavano a votare per questo partito in quanto roccaforte contro il
comunismo, sono ora liberati da quest’obbligo. Simultaneamente, sopraggiunge un
altro elemento esplosivo.
A partire dal 1992, l’operazione “Mani pulite”, svela il sistema di finanziamento
illecito dei partiti politici e l’ampiezza della corruzione che essi hanno istituito in
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modo metodico. I magistrati milanesi ricorrono ai mass media per pubblicizzare le
inchieste giudiziarie nei confronti della classe politica e si servono dell’esasperazione
che, ormai da qualche tempo, cresceva nella società civile nei riguardi della classe
dirigente. In tutto, tra il 1992 e il 1993, sette Ministri saranno costretti a dare le
dimissioni così come tre Segretari di partito tra cui Bettino Craxi che andrà in esilio
in Tunisia nel 1994; due anni dopo, 338 Deputati e 100 Senatori nonché centinaia
di eletti locali, nella gran maggioranza dei casi democristiani e socialisti, ricevono
un avviso di garanzia. Quasi l’intera classe politica è destabilizzata e delegittimata,
ciò provoca, in un primo tempo, una sorta di giubilo generale da parte dell’opinione
pubblica la quale, in un secondo tempo, cambierà posizione rivolgendosi contro i
giudici accusati di essere eccessivi e troppo politicizzati.
UN TERREMOTO POLITICO
Tutto il sistema dei partiti è sconvolto. Le forze di governo scompaiono (è il caso
dei piccoli partiti come il Partito Repubblicano, il Partito Liberale e il Partito SocialDemocratico), crollano, si frazionano come la Democrazia Cristiana e il Partito
Socialista. I partiti d’opposizione cambiano come il Partito Comunista che abbandona
i retaggi del comunismo, o come il Movimento Sociale Italiano, che, sotto il nome
di Alleanza Nazionale, diventa non senza difficoltà e resistenze da parte di una
minoranza, prima post-fascista e, in seguito, abbandona questa tradizione. D’altro
canto, un partito come la Lega Nord, che nasce nel 1991 dalla fusione di diverse
leghe regionaliste, progredisce in quanto presenta un sapore di novità. Questa
ricerca della rigenerazione profitta anche, nel 1994, al nuovo partito lanciato da
Silvio Berlusconi, Forza Italia.
La crisi si è allora metamorfizzata in una transizione estenuante poiché non ancora
veramente conclusa. Essa è segnata, al di là del mantenimento della Costituzione
che ha comunque subito delle modifiche, da uno sconvolgimento dell’offerta
politica, dall’adozione di nuove leggi elettorali, dall’emergenza di una nuova classe
politica o ancora dall’evoluzione verso il federalismo. Tutto questo ha portato molti
osservatori italiani a parlare di Seconda o addirittura di Terza Repubblica italiana.
Delle trasformazioni di una tale portata non hanno equivalenti in nessun altro paese
europeo e rendono singolare il caso dell’Italia.
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CAPITOLO III
SILVIO BERLUSCONI E IL CONFLITTO D’INTERESSI
LE NOVITA’ POLITICHE
La politica italiana cambia rapidamente, in particolare a causa delle modifiche
del sistema elettorale realizzatesi nel 1995 e nel 2005. Ne risulta la gestazione
abbastanza rapida di un bipolarismo, con una coalizione di centro destra formata
da Forza Italia, da Alleanza Nazionale, dalla Lega Nord (eccetto nel 1996) e da
diverse piccole formazioni centriste, e una coalizione ancora più eterogenea del
centro sinistra che associa partiti di sinistra, delle formazioni della sinistra radicale
e diversi gruppi moderati. Il centro, fulcro della Prima Repubblica italiana, sparisce.
L’alternanza, realizzatasi ad ogni tornata elettorale, rappresenta una decisa rottura
con più di cinquant’anni segnati dalla presenza della Democrazia Cristiana al potere.
Il centro destra guidato da Silvio Berlusconi vince tre volte, nel 1994, nel 2001 e
nel 2008.
IL SOSPETTO PERMANENTE SU SILVIO BERLUSCONI
Berlusconi è uno degli uomini più ricchi d’ Italia e del mondo, la sua fortuna è stata
costruita con metodi che hanno interessato, e interessano ancora oggi, la giustizia.
E’ a capo di una formidabile holding con molteplici ramificazioni, è proprietario dei
tre canali televisivi privati più importanti, di diversi giornali e periodici, di una delle
principali agenzie pubblicitarie nonché della squadra di calcio del Milan. La scelta
di lanciarsi in politica apre quindi un conflitto d’interessi che ha fatto e continua
a far colare molto inchiostro sia in Italia che all’estero. Poiché, malgrado ciò che
possa dire o fare, in particolare quando dichiara di non occuparsi più dei suoi affari,
un sospetto permanente grava su di lui. Sia per quanto riguarda le motivazioni che
l’hanno spinto a scendere nell’arena politica che per le decisioni e gli arbitraggi
che effettua come Presidente del Consiglio. Lungi dal servire l’interesse generale, è
sospettato di difendere i propri interessi privati, o di agire in loro favore, o ancora di
cercare di proteggersi di fronte all’azione giudiziaria facendo adottare delle leggi ad
personam. Il suo potere televisivo è notevole tanto più che ogni volta che si trova
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al comando, piazza i suoi uomini alla RAI e mette quest’ultima sotto controllo, in
particolare per quanto riguarda il settore dell’informazione.
Il conflitto d’interessi tra l’imprenditore Silvio Berlusconi e le responsabilità politiche
di cui è investito è una delle particolarità italiane, per non dire l’anomalia per
eccellenza di questo paese. A quest’anomalia, peraltro, il centro sinistra, quando è
stato al potere nel 1996 e nel 2006, non é stato capace di porre rimedio attraverso
l’adozione di una legislazione appropriata.
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PARTE II
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PA R T E I I : I L S I S M O G R A F O I TA L I A N O
CAPITOLO I
L’EMEGENZA DELLA DEMOCRAZIA D’OPINIONE
In effetti, l’Italia non conosce una crisi della democrazia ma registra, con le sue
caratteristiche proprie, una grande intensità ed una capacità reattiva più pronunciata
che altrove, le mutazioni contraddittorie che colpiscono molte delle nostre
democrazie moderne. Queste ultime consistono nell’ascesa della democrazia del
leader, nello sviluppo dell’antipolitica, nei tentativi d’aggiornamento della democrazia
rappresentativa e in una gestazione incerta della democrazia partecipativa.
LA DEMOCRAZIA DEL PUBBLICO
E’ l’epoca della “democrazia del pubblico” (Bernard Manin) o anche dell’opinione.
Una democrazia segnata dal reflusso delle grandi ideologie, dal declino delle culture
e delle identità politiche tradizionali (senza che ciò significhi tuttavia la loro completa
scomparsa), delle appartenenze politiche o ancora dei clivage tradizionali. Gli
elettori si rivelano più volatili, talvolta perfino più strateghi, senza tuttavia che le loro
determinazioni sfuggano alle variabili di fondo messe in luce da molto tempo dalla
sociologia elettorale (esiste sempre, ad esempio, un legame tra la pratica regolare
della religione cattolica e il voto conservatore). I sondaggi esercitano un ruolo decisivo
perché, continuamente, operano una gerarchizzazione dei temi del dibattito pubblico,
dettano le priorità, valorizzano o fanno cadere i dirigenti dei partiti. I mass media,
specialmente la televisione e oramai i siti internet, eclissano le procedure classiche
dell’organizzazione dello spazio pubblico e delle relazioni tra i rappresentanti e i
rappresentati, e svolgono un ruolo molto importante nella formazione delle opinioni.
La politica si professionalizza sempre più, si presidenzializza (anche in quei paesi
in cui le istituzioni non sono di tipo presidenziale, come nel caso dell’Italia), si
personalizza e tende spesso a diventare spettacolo. L’emozione ha la meglio sulla
ragione. Gli uomini politici sono spinti a trovare, in situazioni d’emergenza, delle
soluzioni a questioni complesse, cosa che riduce quasi a zero il tempo più lento della
deliberazione politica che precede la decisione. I leader, più potenti ma anche molto
più fragili poiché sovraesposti, acquisiscono un potere determinante. La democrazia
del pubblico può scivolare in ogni momento nella più classica delle sindromi
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populiste. Ciò si manifesta attraverso la comunicazione che il leader stabilisce con il
popolo tentando di emanciparsi da ogni intermediario, l’esaltazione e l’invocazione
incessante del popolo, la valorizzazione del senso comune, il disprezzo delle élite,
la diffidenza nei confronti delle istituzioni rappresentative, o il loro aggiramento, con
sconfinamenti nella loro contestazione. L’Italia offre un terreno d’applicazione quasi
perfetto di queste teorie, in particolare dopo l’ingresso in politica di Silvio Berlusconi,
che ha trasformato, al contempo, il sistema bipartitico, la comunicazione politica e
il modo di fare politica.
LA DOMINAZIONE DI SILVIO BERLUSCONI
Il Cavaliere ha creato il suo partito di sana pianta, all’inizio, a partire dalla sua impresa,
prima che questo si costruisca sul serio, si solidifichi, inserendosi anche in alcuni
settori della società. Berlusconi si è dotato di un tale strumento totalmente a suo
servizio perché ne conosce bene l’utilità al fine di vincere le elezioni e per appoggiare
l’azione di governo. Ma si sforza di limitare l’autonomia del partito per evitare che
quest’ultimo possa far concorrenza alla sua persona. Si rivolge direttamente agli
elettori, fustiga le élite tradizionali, semplifica il linguaggio, cerca d’inventare formule
choc prese in prestito direttamente dal marketing di cui è un esperto fin dall’inizio
della sua attività imprenditoriale, tenta d’imporre le sue tematiche, fissa l’agenda
politica. Il controllo che esercita sulla televisione gli procura una grande audience,
sproporzionata ed inquietante. Berlusconi si forgia una doppia personalità. Da un lato,
quella dell’antipolitico, che si presenta come diverso rispetto ai leader tradizionali,
che é critico nei confronti delle istituzioni e che per agire, nell’azione politica si fida
innanzi tutto di sè stesso e poi degli uomini e delle donne da lui prescelti. Ne deriva un
comportamento sui generis in politica, le provocazioni, gli eccessi, le battute ambigue,
i giochi di parole volgari, la gestualità, il lavoro sul proprio corpo e sul proprio volto per
sfidare le usure del tempo poiché per lui la politica è innanzi tutto una questione di
seduzione. Quest’aspetto di Berlusconi ha qualche cosa a che fare con il populismo.
Dall’altro canto, questo stesso uomo si presenta come un responsabile politico di alto
livello, colui che ha aiutato i vecchi fascisti ad uscire dall’isolamento ripudiando quasi
del tutto le loro convinzioni e la fedeltà al passato, un capo di partito che ha tentato
negli ultimi tempi di unificare le destre in un’unica formazione politica, il Popolo della
Libertà (PDL), un capo di Stato importante, il più grande, secondo lui, di tutta la storia
del paese, che malgrado una certa tendenza alla megalomania, sarebbe rispettato e
farebbe rispettare l’Italia in tutto il mondo.
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PA R T E I I : I L S I S M O G R A F O I TA L I A N O
La forza di Berlusconi non si regge soltanto sugli innegabili talenti di comunicatore
e sul controllo di gran parte della televisione privata e pubblica. Essa deriva anche
da un lato, dalla capacità dimostrata nell’aver saputo approfittare del vuoto lasciato
dal crollo della Democrazia Cristiana, che gli ha permesso di occupare un vasto
spazio che va dai confini dell’estrema destra al centro, e dall’altro, nell’aver saputo
sfruttare gli errori dei suoi avversari di sinistra e la loro incapacità di proporre una
vera alternativa alla sua politica. Ha rinforzato il potere esecutivo moltiplicando i
Decreti Legge e i Decreti Delegati votati dalle Commissioni parlamentari. Si presenta
come il Presidente del Consiglio che governa per un’intera legislatura. Berlusconi ha
anche saputo inventare il berlusconismo, una forma d’egemonia culturale fondata
su un insieme di valori contraddittori presenti nell’opinione pubblica, che ha diffuso
in politica per meglio instillarli, di ritorno, nella società: liberalismo e protezionismo,
spirito europeista e sentimento nazionale, tradizione e modernità, conservatorismo
socio-culturale tale da permettere un avvicinamento alla Chiesa e costumi libertari,
culto del denaro e commiserazione per i più poveri, ecc. Questo dispositivo si rivolge
alle tre grandi componenti del blocco sociale che ha intorno a lui: una buona parte
dei piccoli imprenditori, dei commercianti, dei liberi professionisti, soprattutto nel
Nord della penisola, le persone impaurite e intimorite dalla modernità, l’Europa,
la mondializzazione, l’immigrazione, individui poco politicizzati e residenti
principalmente nel Sud del paese ed infine i cattolici praticanti.
PUNTI DI FORZA E LIMITI DI SILVIO BERLUSCONI
La democrazia del leader significa che quest’ultimo incarna la politica, l’assorbe
nella propria persona e la privatizza. Non soltanto perché Berlusconi, considerando
la politica come uno show, è stato il primo uomo politico a mettere in scena la sua
vita privata e quella della sua famiglia (salvo indignarsi delle rivelazioni dei mass
media su questo tema quando la sua vita privata si è rivelata ben più scabrosa
dell’immagine che ne aveva fornito). Ma anche perché, secondo lui, la sua autorità
non proviene tanto dalla funzione che occupa a titolo provvisorio grazie al suffragio
universale, quanto dalla sua persona. Così, col pretesto di rinforzare il potere
esecutivo e di poter governare il paese, due aspirazioni espresse da molto tempo
in Italia, vi è in lui la tentazione permanente di usare e di abusare del potere.
Denunciando senza sosta i complotti dei suoi avversari, i magistrati, i comunisti
e gran parte dei giornalisti, vuole controllare senza tregua tutti i mass media, non
soltanto i suoi ma anche quelli pubblici, e minaccia i magistrati di voler realizzare
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I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
una riforma radicale della giustizia per ridurre la loro autonomia. Ciò detto,
Berlusconi non è solo, onnipotente, e la sua ascesa non ha nulla d’irresistibile.
Al contrario, ha cominciato ad attraversare un’incontestabile fase di declino e di
perdita di popolarità come hanno attestato le flagranti sconfitte elettorali del 2011
(elezioni amministrative e referendum). E’ dovuto più che mai scendere a patti con
i suoi alleati, come la Lega Nord, o all’interno del partito, con coloro che pensano
alla sua successione (ha 74 anni). La crisi economica e finanziaria ha contribuito a
dissipare ciò che restava dello charme berlusconiano. L’egemonia dei valori da lui
instaurati si è sgretolata senza che nessun’ altra la sostituisse, il suo blocco sociale
si è disgregato, i delusi del berlusconismo sono diventati sempre più numerosi. La
manovra correttiva di bilancio adottata in luglio e che comportava quasi 80 miliardi
di euro di economie, ha suscitato un’immensa inquietudine. Sempre più contestato
da una coalizione di forze eterogenee (l’opposizione di centro e di centro-sinistra, i
sindacati, la Chiesa, la Confindustria, i mass media non controllati da lui) e messo al
bando dell’Europa da Parigi e Berlino, Berlusconi è stato abbandonato da una parte
dei suoi deputati e questo lo ha costretto a dare le dimissioni. L’accordo con la Lega
Nord si sta per rompere, mentre il suo stesso partito si divide in diverse sensibilità.
Con Mario Monti al governo, il quale può fare affidamento sul suo immenso credito
personale, è arrivato il momento dell’austerità, del rigore e dei sacrifici. L’opinione
pubblica sembra approvare, entro certi limiti, questa nuova fase ma se la prende
con la classe politica che difende i propri privilegi e ciò non fa che aumentare la
mancanza di fiducia nei suoi confronti.
L’emergenza della democrazia del pubblico ha avuto degli effetti su tutte le forze
politiche, comprese quelle del centro sinistra che incontrano anch’esse delle grandi
difficoltà ad adattarvisi. Ad essa s’accompagna l’emergere dell’antipolitica che
Berlusconi ha saputo costituire come risorsa politica a suo profitto.
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PA R T E I I : I L S I S M O G R A F O I TA L I A N O
CAPITOLO II
UNA DEMOCRAZIA ITALIANA PROFONDAMENTE
DIVISA
L’EMERGERE DELL’ANTIPOLITICA
Il termine antipolitica designa il rifiuto generalizzato della politica, la mancanza
di fiducia verso le istituzioni, la perdita di credibilità delle élite, la larga diffusione
del sospetto che queste ultime tramino di continuo dei complotti contro la gente
comune, la delegittimazione del sistema politico, il rifiuto per non dire il disprezzo
verso la classe politica, la “casta” come è stata definita da due giornalisti autori di
un libro, così intitolato, nel quale ne denunciano i privilegi e che è diventato un
incredibile best seller in Italia. Questi sentimenti hanno, in Italia, una lunga storia
ma si sono esacerbati negli ultimi anni. Essi si traducono nei sondaggi con la scarsa
fiducia che gli italiani accordano ai partiti ed alle istituzioni, ad eccezione di alcune
di esse come l’Arma dei Carabinieri o la Presidenza della Repubblica. E’ vero che i
titolari di questa funzione simboleggiano la moderazione, si situano deliberatamente
al di sopra dei partiti, cercano di esprimere l’interesse generale e intendono
raffigurare l’unità nazionale, fatto particolarmente apprezzato in un momento in cui
la Lega Nord minaccia una rottura tra Nord e Sud e gli italiani si chiedono più che
mai che cosa li tenga uniti. L’antipolitica si manifesta anche attraverso il continuo
aumento dell’astensionismo, quando invece l’Italia è sempre stata caratterizzata da
una partecipazione elettorale elevata (dell’87,3% alle elezioni legislative del 1992
e dell’80,5% nel 20081). Si manifesta altresì, in modo più aneddotico, attraverso
il successo del comico Beppe Grillo, una sorta di Coluche italiano dai talenti di
tribuno il cui blog è uno dei più consultati in Europa, che fustiga in piazze piene di
gente tutti i dirigenti politici e capitaneggia delle liste elettorali, che, a livello locale,
ottengono dei discreti risultati.
Ma l’Italia non si riassume con lo sviluppo della democrazia del pubblico e dei
sentimenti antipolitici.
1
urostat, « Participation aux élections parlementaires nationales et de l’UE », 2011 : http://epp.eurostat.ec.europa.eu/
E
tgm/refreshTableAction.do?tab=table&plugin=1&pcode=tsdgo310&language=fr
21
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
I TENTATIVI DI RINNOVAMENTO DELLA DEMOCRAZIA
LIBERALE E RAPPRESENTATIVA
Proprio sotto la spinta di queste due grandi sfide, la democrazia liberale e
rappresentativa cerca di rinnovarsi. Innanzi tutto attraverso la Presidenza della
Repubblica che dopo la crisi degli anni 90 e la transizione che ne è seguita ha
rinforzato il proprio ruolo ed esercitato i poteri conferitigli dalla Costituzione. I
Presidenti della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi e ora
Giorgio Napolitano, ricordano l’importanza della Costituzione, del Parlamento
e delle procedure deliberative e non esitano a rifiutare di apporre la loro firma a
determinate leggi, o ad influenzare l’attività di governo. Allo stesso modo, la Corte
Costituzionale esercita, più che mai, la pienezza delle sue funzioni e ha spesso
dichiarato incostituzionali delle leggi proposte dall’esecutivo.
Quanto al sistema dei partiti, anch’esso si è adattato. La nuova e complessa legge
elettorale del 2005, che si caratterizza, tra l’altro, per il ritorno al sistema proporzionale
con una soglia disbarramento e un premio di maggioranza per la ripartizione dei
seggi, ha contribuito ad un’evoluzione del bipolarismo verso una fragile quadriglia
bipolare: al PDL, affiancato dalla Lega Nord, si oppone il Partito Democratico
associato all’Italia dei Valori dell’ex giudice Antonio Di Pietro. Ma questo sistema
non ha retto e si sfalda e si frammenta sempre più. I partiti attraversano del resto un
incontestabile declino (fino all’inizio degli anni 90, essi contavano più di 4 milioni
d’iscritti mentre oggi ne riuniscono meno di 2 milioni) e la loro legittimità presso l’
opinione pubblica é debole. Tuttavia essi rimangono indispensabili per vincere le
elezioni, continuano ad influenzare il potere, sono delle potenti macchine dotate di
molteplici risorse, conservano delle capacità di mobilitazione nelle piazze (che non
esistono in Francia). Il centrosinistra ha inventato il sistema delle elezioni primarie,
prima di coalizione, nel 2005 per designare il leader che avrebbe dovuto sfidare
l’anno seguente Berlusconi (fu Romano Prodi ad essere scelto da più di 4 milioni e
mezzo d’elettori), e poi del solo Partito Democratico per designare il segretario del
partito (Walter Veltroni nel 2007 e Pierluigi Bersani nel 2009), con anche in questo
caso una forte mobilitazione dei simpatizzanti. La generalizzazione delle primarie
a tutti i livelli, che siano regionali o locali, costituisce una delle risposte dei partiti
a una crescente esigenza di partecipazione; con a volte delle brutte sorprese per
l’oligarchia dirigente quando i suoi candidati vengono battuti da degli outsider, come
è successo a Milano con Giuliano Pisapia che, in seguito, è diventato Sindaco.
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PA R T E I I : I L S I S M O G R A F O I TA L I A N O
LA GESTAZIONE INCERTA DI UNA DEMOCRAZIA
PARTECIPATIVA
In effetti, contrariamente a un luogo comune molto diffuso, l’Italia è ben lungi
dall’essere anestetizzata dalle televisioni di Silvio Berlusconi, o disgustata dalla
politica. Vi è un maggior astensionismo ma gli italiani continuano a recarsi alle urne in
proporzione più elevata che altrove, in modo particolare in Francia. Il successo delle
primarie dimostra, almeno per quanto riguarda il centro sinistra, un forte interesse
per la politica, una domanda di coinvolgimento nei procesi decisionali e un’esigenza
di controllo dei responsabili politici. Il sociologo Ilvo Diamanti ha dimostrato come
gli italiani partecipino ad un livello particolarmente elevato a tutte le altre forme
democratiche diverse da quella elettorale, ad esempio firmando delle petizioni,
partecipando alle manifestazioni e soprattutto aderendo alle associazioni. Del resto,
come dimostrato dalla sociologa Loredana Sciolla, i giovani, pur manifestando una
grande mancanza di fiducia verso le istituzioni e la classe politica, si rivelano molto
attivi. Specialmente su internet, moltiplicando siti, blog, che sfociano in contatti,
iniziative, meeting e grandi manifestazioni di piazza, come nel caso della grande
giornata di lotta organizzata il 15 febbraio 2011 da diversi gruppi di donne italiane
in difesa della loro dignità (che consideravano calpestata dai comportamenti di
Silvio Berlusconi) e contro le discriminazioni nei loro confronti.
Questa volontà di partecipazione è ambivalente. Da un lato, si legittima attraverso il
ricorso ad argomentazioni teoriche molto raffinate, insistendo sulla sua dimensione
universalista, che nascondono deliberatamente il vigore della sindrome NIMBY (Not
in my back yard), o la difesa intransigente d’interessi particolari. Dall’altro canto,
essa testimonia la ricerca di una cittadinanza attiva. L’Italia cosiddetta berlusconiana
sperimenta quindi, anch’essa, quella che alcuni teorici chiamano la democrazia
partecipativa. Il concetto è vago, azzardato e molto contestabile, in particolare in
quanto, erigendo ad esempio le pratiche di una parte limitata della popolazione
dotata di attributi socio-culturali piuttosto elevati, eclissa la necessità imperiosa
di risolvere, innanzi tutto, la questione della rappresentazione politica; presenta
tuttavia il merito di designare un processo ancora incerto che mira ad arricchire la
democrazia liberale e rappresentativa.
Nell’Italia di oggi, i reali e a volte classici problemi di disfunzionamanto della
democrazia sono stati accentuati dalla crisi degli anni 90 e poi dalla transizione:
difficoltà a governare e a riformare, groviglio quasi inestricabile delle istituzioni,
soprattutto dopo l’instaurazione del federalismo, dispersione dei poteri tra il potere
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I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
centrale e quello delle regioni, fragilità dello Stato, stigmatizzazione reciproca della
maggioranza e della minoranza, delegittimazione della classe dirigente, clientelismo
e corruzione (ben lontane dall’essere scomparse dopo l’operazione “Mani pulite”). Il
potere politico si riduce in favore di altri poteri, mediatico, giudiziario, finanziario e
religioso, la Chiesa cattolica sebbene indebolita, cerca di influenzare gli orientamenti
governativi e di canalizzare il dibattito pubblico. La democrazia italiana non è
minacciata da un ipotetico ed improbabile ritorno del fascismo, ma piuttosto dal suo
sfaldarsi. In effetti, essa è combattuta tra il trionfo della democrazia del pubblico,
il successo crescente dell’antipolitica, l’aggiornamento della democrazia liberale e
rappresentativa e la genesi di forme di democrazia partecipativa. Il risultato di tutto
ciò è l’emergere di una grande difficoltà a rifondare il senso del vivere comune.
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PA R T E I I : I L S I S M O G R A F O I TA L I A N O
CAPITOLO III
UNA FRANCIA ITALIANIZZATA
Comparare la Francia all’Italia per quanto riguarda la situazione della democrazia
può sembrare incongruo per non dire eretico.
LA FRANCIA NON È COMPLETAMENTE IMMUNE
DA CERTE DERIVE ITALIANE
Dalla Rivoluzione francese, la democrazia repubblicana ha una lunga storia e un
profondo radicamento in questo paese, a tal punto che alcuni storici e politologi hanno
potuto parlare, non senza suscitare controversie, di un “modello repubblicano” in
perfetta sincronia con la società. La Francia non ha vissuto vent’anni di fascismo e
il regime di Vichy, benché susciti ancora delle violente polemiche, non ha lasciato
un’eredità politica significativa sulla cultura politica francese. Le istituzioni della
Quinta Repubblica hanno di recente oltrepassato, senza troppi problemi, la soglia dei
cinquant’anni definiti recentemente come “splendidi” da eccellenti politologi italiani
strabiliati dalla loro stabilità e dal loro dinamismo soprattutto rispetto alla confusione
che regna nel loro paese. Malgrado le ambiguità e i difetti che sono stati spesso messi
in evidenza, le istituzioni della Quinta Repubblica si dimostrano, in effetti, solide
e sono generalmente accettate dai cittadini, malgrado alcune voci che perorano la
causa di una Sesta Repubblica. I cittadini si mostrano molto esigenti rispetto alla
politica, che rimane piuttosto rispettata: per questo, si aspettano un comportamento
esemplare da parte dei dirigenti politici. Lo Stato e l’amministrazione, malgrado i
clamorosi disfunzionamenti e le recenti trasformazioni legate alla mondializzazione,
all’europeizzazione ed al decentramento, svolgono ancora un ruolo molto importante,
rimangono piuttosto efficaci e strutturano ancora una larga parte dei comportamenti dei
Francesi malgrado i progressi dell’incivismo e l’esaurimento del modello repubblicano.
Lo Stato-nazione, malgrado perda pezzi un po’ da tutte le parti, continua a disporre di
un margine di manovra e riveste una notevole importanza.
Ciò non toglie che possano essere identificati diversi fenomeni che, senza essere
identici a quelli che riguardano l’Italia, possano essere comparabili. La moltiplicazione
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I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
degli episodi di corruzione di questi ultimi tempi, le modalità di finanziamento dei
partiti politici al limite della legalità o ancora l’esistenza di forme di conflitti d’interesse
non fanno sprofondare la Francia in una crisi equivalente a quella conosciuta
dall’Italia negli anni 90, ma rivelano una forma accertata di malessere. Ne sono
testimoni, ad esempio, l’aumento dell’astensionismo, la perdita di credibilità dei
partiti di governo, i successi registrati dal voto di protesta, la disaffezione rispetto
alla politica e ai partiti tradizionalmente molto più piccoli di quelli italiani, la debole
affidabilità di cui godono i mass media, il rifiuto verso i responsabili politici, la
diffidenza verso il resto della classe dirigente, aggravata dalla crisi finanziaria ed
economica attuale e l’acuirsi di un sentimento che si stia approfondendo un’enorme
frattura tra la popolazione e le élite, nella quale la prima stigmatizza l’arroganza,
l’arricchimento e lo stile di vita della seconda. Tutti i sondaggi fanno apparire lo
sviluppo di quei sentimenti che, oltralpe, vanno sotto il nome di antipolitica.
LA DEMOCRAZIA D’OPINIONE S’IMPONE
L’onnipotenza del leader si manifesta con tanto più vigore in quanto può beneficiare
della presidenzializzazione e della personalizzazione ad oltranza delle istituzioni. La
campagna presidenziale del 2007 e lo scontro al secondo turno tra Ségolène Royal
e Nicolas Sarkozy l’hanno illustrato molto bene.
Quest’ultimo presenta in modo evidente delle profonde differenze rispetto a Silvio
Berlusconi. Ha effettuato la totalità della sua carriera professionale in politica, è entrato
a far parte della famiglia gaullista nell’era Chirac e accorda una grande importanza ai
partiti politici. Ha operato nel quadro delle istituzioni della Quinta Repubblica che, da
un lato, danno al Presidente della Repubblica, un potere decisionale importante, ma
dall’altro lo limitano. E’ dal 2007 a capo di un paese che, per diverse ragioni storiche,
economiche e geo-strategiche, ha maggiori responsabilità rispetto all’Italia. Non si
trova, è chiaro, in una situazione di conflitto d’interessi.
Tuttavia, Nicolas Sarkozy, incarna la crescente importanza che rivestono i leader
nelle nostre democrazie. Ha curato la costruzione della propria leadership sia per
inclinazione personale sia come scelta strategica alfine di ridare gusto alla politica e
di reintrodurvi quel carisma che è, in un certo modo, fin dalle origini, il carburante
delle istituzioni della Quinta Repubblica. Ha tagliato i ponti con molte delle pratiche
dei suoi predecessori, attraverso lo stile, il linguaggio, le posture (mostrando, ad
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PA R T E I I : I L S I S M O G R A F O I TA L I A N O
esempio, la sua vita privata e la sua famiglia allargata), la gestualità e la volontà
d’intrattenere un legame diretto con l’opinione pubblica (ma è vero che, da qualche
mese, ha cambiato atteggiamento su tutti questi tratti). Ha contribuito ad unificare
le destre all’interno dell’UMP e dietro di sé e mette tutto il suo impegno a continuare
a consolidare questa impresa che incontra delle notevoli resistenze. Ha messo
sotto stretto controllo il partito, anche se non è riuscito ad impedire che alcune
discordanze venissero espresse in particolare nel gruppo parlamentare e da parte
di alcuni centristi desiderosi di affermare la propria autonomia: tuttavia l’avvicinarsi
della scadenza del 2012 ha contribuito a far sì che i ranghi si stringessero di nuovo
intorno al futuro candidato. Nicolas Sarkozy ha occupato, per un certo periodo, un
vasto spazio politico che va dai confini dell’estrema destra, verso la quale ha sempre
manifestato una grande intransigenza, al centro, e anche al di là, realizzando all’inizio
del suo quinquennio, un’operazione d’apertura verso alcune personalità di sinistra.
Benché sia molto pragmatico, accorda una grande importanza alle idee e soprattutto
ai valori, cercando di spingere la sinistra sulla difensiva. Nicolas Sarkozy associa
in questo modo dei referimenti antagonistici che gli permettono di rivolgersi a un
elettorato abbastanza composito ma si rivelano difficilmente conciliabili quando si
tratta di prendere delle decisioni politiche: ad esempio, liberalismo e colbertismo,
apertura al mondo e protezionismo, insistenza sulle questioni legate alla sicurezza e
all’ordine pubblico e difesa dei quartieri in difficoltà, fermezza contro l’immigrazione
clandestina e compassione sociale, difesa della diversità e promozione dell’identità
nazionale, tradizione e modernità, elogio della grandeur della Francia e filoeuropeismo, ridefinizione della laicità e intransigenza verso il settarismo religioso,
ecc. E’ tentato, anche lui, di concentrare tutti i poteri all’Eliseo, accentuando ancora
di più il rapporto tradizionale, al di fuori dei periodi di coabitazione, che esiste tra
il Presidente e il Primo Ministro a profitto del primo. Inoltre è sospettato di voler
controllare i mezzi di comunicazione pubblici (in particolare dopo aver modificato
la procedura di designazione dei direttori dei canali televisivi e radiofonici) e i
mass media privati, attraverso i legami che intrattiene con molti uomini d’affari.
I rapporti con il potere giudiziario, che, in Francia, sono per tradizione fonte di
tensioni con il potere politico, si sono particolarmente deteriorati dopo il suo accesso
all’Eliseo. Il quinquennio di Nicolas Sarkozy ha deluso una parte dei suoi elettori
venuti dall’estrema destra e dal centro, mentre la situazione economica, finanziaria
e sociale non cessa di deteriorarsi. Nicolas Sarkozy è oggetto di un forte rifiuto da
parte dell’opinione pubblica: nel momento in cui si appresta a concorrere per un
secondo mandato, nessun altro Presidente della Quinta Repubblica si è mai trovato
ad un livello di popolarità così basso a quattro mesi dal primo turno delle elezioni
presidenziali.
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I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
LE ESIGENZE DI UN’ALTRA FORMA DI DEMOCRAZIA
Allo stesso tempo, emergono altri fenomeni che tentano di controbilanciare
questo eccesso di personalizzazione e l’indifferenza crescente verso la politica. Ad
iniziativa del Presidente della Repubblica, è stata adottata, nel 2008, una revisione
costituzionale. Quest’ultima ha sensibilmente rinforzato i diritti del Parlamento e il suo
lavoro. Questa riforma ha instaurato, inoltre, la questione prioritaria di costituzionalità
permettendo ad un cittadino di sollevare la questione dell’incostituzionalità di
una legge, riforma che ha avuto un successo quasi immediato. I partiti politici
cercano di rinnovarsi. Così, il Partito Socialista ha organizzato delle primarie, che
hanno riscontrato un indiscusso successo, per la designazione del futuro candidato
alle elezioni presidenziali, ispirandosi in parte al modello americano ma anche
all’esperienza italiana del Partito Democratico.
Per altro, le esperienze, soprattutto locali, di democrazia partecipativa e deliberativa
si sviluppano, così come si moltiplicano i forum e gli incontri su tutti i temi politici
e sociali.
Così come in Italia, la democrazia in Francia è attraversata da profonde trasformazioni
dagli esiti incerti.
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PARTE III
S TAT O E S O C I E TA’ I N I TA L I A
DI FRONTE ALLE SFIDE
DEL FUTURO
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CAPITOLO I
STATO E SOCIETA CIVILE IN ITALIA
L’Italia ha conosciuto quattro evoluzioni fondamentali nelle relazioni tra lo Stato e la
società civile che evidenziano delle singolarità ma anche delle costanti, in particolare
perché, a lungo termine, la società civile manifesta indifferenza o ostilità verso lo
Stato senza smettere, tuttavia, di sollecitarlo o di cercare di strumentalizzarlo.
IL DIFFICILE INCONTRO TRA LO STATO E LA
NAZIONE
Nello Stato monarchico uscito dal Risorgimento, un’élite particolarmente ristretta,
proveniente dal Nord del paese, ha tentato di far fronte a delle sfide particolarmente
difficili: controllare l’insieme del territorio, soprattutto il Sud sottomesso al brigantaggio,
costruire la nazione italiana radicandola nella popolazione poiché, secondo la famosa
frase attribuita al piemontese liberale e moderato Massimo D’Azeglio (1799-1866)
“Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”, imporre una concezione
centralizzata dello Stato ispirata in gran parte dalla Francia e combattere il potere
della Chiesa praticando una forma piuttosto militante di laicità. Malgrado le enormi
difficoltà, questo Stato, all’inizio del XX secolo, è riuscito a forgiare un’amministrazione
per un certo tempo in simbiosi con alcune fasce delle popolazione, a modernizzare
il paese, ad allargare in modo considerevole ma insufficiente il livello d’istruzione
della popolazione inizialmente in gran parte analfabeta, a promulgare delle leggi a
carattere sociale, ad inventare una forma di democrazia benché limitate in termini
di partecipazione popolare, ad integrare le opposizioni (cattolici e socialisti), a creare
una certa adesione alla monarchia e ad instillare l’idea di nazione in una parte del
paese. Non senza sconfinamenti in un nazionalismo con pretese imperialiste. Lo
Stato si è dimostrato integratore senza tuttavia che la sua legittimità ottenesse un
consenso totale, soprattutto nel Mezzogiorno. In effetti, la questione meridionale non
è stata risolta e, al contrario, le differenze col Nord, industriale e capitalista, si sono
accentuate.
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I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
L’ESPERIEZA FASCISTA
Dal 1922 al 1943, il fascismo, regime prima autoritario poi totalitario, rappresenta
un prolungamento dello Stato liberale modificandone al contempo alcune delle sue
caratteristiche. Lo Stato-partito è concepito per essere forte e si organizza intorno
alla figura del Duce. Esso impone la propria autorità all’insieme della penisola,
reprime ogni tipo d’opposizione, inquadra in modo massiccio la popolazione,
promuove una modernizzazione ad oltranza, esacerba un nazionalismo aggressivo
ed esclusivo, a partire dal 1938, con le misure antisemite, cerca di modellare la
società ma anche gli Italiani fabbricando un “uomo nuovo”. Il partito, onnipotente
nella società, penetra anche nell’amministrazione fascistizzandola, sebbene
Mussolini non abbia osato abolire la Monarchia e sia sceso a compromessi con
la Chiesa siglando i Patti Lateranensi del 1929 che resteranno in vigore durante
la Repubblica. La guerra fa precipitare la caduta del fascismo. Il suo crollo a
partire dal 1943 rivela una certa artificialità del regime mussoliniano che ha
tuttavia lasciato delle tracce indelebili ed una pesante eredità per la Repubblica.
Quest’ultima instaura una cesura politica fondamentale. La democrazia si fonda
sull’antifascismo. Di conseguenza, garantisce ai cittadini le libertà e i diritti.
Moltiplica le diposizioni istituzionali al fine d’impedire un ritorno al passato,
vietando in particolare anche la minima affermazione di un potere esecutivo
forte e attribuendo, al contrario, un consistente potere al Parlamento. Adotta un
profilo molto discreto a proposito della nazione divenuta un argomento quasi
tabù a causa dell’utilizzo che ne era stato fatto dal fascismo. Ma queste rotture
non nascondono le molteplici continuità amministrative e umane (l’epurazione
fu relativamente debole) rinforzate dallo scoppiare della guerra fredda e dallo
sviluppo dell’anticomunismo.
LA PRIMA REPUBBLICA
La Repubblica ha ereditato un’amministrazione abbastanza efficace ma che fa
emergere rapidamente dei grandi difetti al punto tale da creare una forza d’inerzia che
ostacola l’azione dei politici. La tradizionale propensione alla sovrapposizione delle
leggi, dei regolamenti e delle norme crea una foresta inestricabile. Già innescata da
molto tempo, la meridionalizzazione del personale si rinforza in virtù del fatto che molti
giovani del Sud non possono esercitare altre professioni se non quelle legate ai poteri
pubblici. Il clientelismo e la corruzione si generalizzano. A partire dagli anni 50 i gruppi
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P A R T E I I I : S T A T O E S O C I E T A’ I N I T A L I A D I F R O N T E A L L E S F I D E D E L F U T U R O
d’interesse e soprattutto i partiti politici colonizzano lo Stato. Le compagini governative
vedono in questo un modo per lottare contro il pericolo comunista che dispone di una
potente macchina organizzativa finanziata in modo cospicuo dall’Unione Sovietica:
lo Stato fornisce delle risorse e dei posti di lavoro per i propri clienti. A partire dagli
anni 70, secondo una vecchia pratica italiana, la moderazione del Partito Comunista
Italiano viene ricompensata e confortata dalla sua associazione alla sistematica
spartizione tra i partiti politici dell’apparato statale e para-statale. Tanto più che lo
Stato, che in Italia ha accompagnato lo sviluppo economico senza averlo pilotato,
rimanendo comunque debole, estende il suo perimetro d’intervento, in particolare
grazie alla messa in opera di politiche sociali che mirano a rispondere ai vigorosi
movimenti sociali degli anni 60-70 e alle rivendicazioni dei potenti sindacati. Da un
lato la società beneficia di queste realizzazioni ma dall’altro fustiga le tante disfunzioni
statali che imputa in modo particolare agli effetti perversi della “partitocrazia”. Pertanto
gli italiani, dopo aver approfittato della protezione di quest’ultima per molti anni, ora
vogliono emanciparsene.
UNA PROPENSIONE ALLA DISGREGAZIONE
In effetti, a partire dagli anni 80, la società è pervasa da aspirazioni sempre più nette
verso l’autonomia. La modernizzazione dell’Italia accelera ancora una volta. Divenuta,
grazie al suo “miracolo economico” degli anni 50-60, una potenza industriale, essa
entra a far parte delle società post-industrializzate. Ne conseguono delle mutazioni
sociali importanti, in modo particolare lo sviluppo dell’individualismo. Quest’ultimo
non lacera del tutto la forza dei legami sociali e l’importanza della solidarietà della
famiglia ma si traduce spesso in un egoismo forsennato che annulla quel poco di
cultura civica esistente. La società tende a disgregarsi, la solidarietà nazionale a
sgretolarsi, l’esasperazione del Nord, nei confronti di un Sud impantanato nei suoi
problemi, non fa che aumentare. Lo Stato tende a non intervenire. Quest’attitudine
ha facilitato il dinamismo delle piccole imprese famigliari e un grande sviluppo
economico salutato dai liberali di tutto il mondo. Ma, allo stesso tempo ha anche
permesso l’espandersi della criminalità organizzata su intere zone della penisola.
I responsabili politici, fino all’inizio degli anni 90, garantiscono la pace sociale e
consolidano le loro basi elettorali grazie ad elargizioni che fanno crescere in modo
vertiginoso il debito pubblico, oppure chiudono un occhio sulla frode fiscale che
raggiunge dei livelli cospicui tra i liberi professionisti, i piccoli commercianti e gli
artigiani o anche i piccoli imprenditori.
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I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
A partire dagli anni 90, si manifesta una politica a fisarmonica secondo le alternanze
politiche. Il centro sinistra ha lanciato delle riforme importanti sulla modernizzazione
dell’amministrazione pubblica (quelle dei Ministri Sabino Cassese e Franco Bassanini
sono state studiate in tutta l’Europa occidentale) e dello Stato sociale ma tali riforme
sono rimaste, in parte, incompiute. Ha sanato le finanze pubbliche per permettere
all’Italia d’entrare nella zona euro e poter continuare a svolgere un ruolo importante
nel processo di costruzione europea di cui è stata una delle principali iniziatrici e che
è costitutivo della sua identità. Ha inoltre introdotto una certa flessibilità del mercato
del lavoro. Il centro destra ha più o meno mantenuto questi orientamenti, restando
tuttavia piuttosto incline a ricorrere a ricette neo-liberali (in particolare in materia
fiscale) e spianando la strada verso il federalismo fiscale al fine di soddisfare le
esigenze della Lega Nord. Lo scoppio della crisi economico-finanziaria ha condotto
il governo a praticare una politica di grande rigore, che induce a una forte riduzione
della spesa pubblica. Lo Stato sembra così perdere ancora un po’ più della sua
consistenza, eccetto in materia di ordine pubblico, di sicurezza e di lotta contro
l’immigrazione clandestina. Ma esso continua a svolgere la sua azione attraverso un
guazzabuglio di regole spesso incomprensibili e di una rara complessità, intralciando
lo sviluppo economico e la vita sociale.
Il sentimento che prevale è quello di una disorganizzazione piuttosto generalizzata
in un contesto di perdita di credibilità delle élite dirigenti. E’ vero che l’Italia non
è certo uno spazio omogeneo a causa del fatto che le grandi diversità regionali,
sebbene un po’ ridotte dalla modernizzazione, restano sempre molto forti, anche per
quanto riguarda i rapporti tra lo Stato e la società civile. Tuttavia ciò non toglie che è
l’intero paese che è chiamato a raccogliere le sfide fondamentali che, come sempre
in Italia, provengono da vecchi problemi non risolti e dal sorgere di questioni inedite.
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P A R T E I I I : S T A T O E S O C I E T A’ I N I T A L I A D I F R O N T E A L L E S F I D E D E L F U T U R O
CAPITOLO II
L’ITALIA DI FRONTE A CINQUE GRANDI SFIDE
FAVORIRE LA RIPRESA DELLA CRESCITA SU NUOVE
BASI
Come abbiamo già detto, l’economia italiana è in piena regressione e perde delle
importanti quote di mercato. I suoi problemi strutturali la penalizzano pesantemente.
La sua competitività è ridotta in quanto non può più ricorrere all’arma della
svalutazione competitiva così spesso utilizzata ai tempi della Lira, la produttività
del lavoro è stagnante, il deficit pubblico rimane elevato, (all’inizio del 2010, il
debito supera il 119% del PIL e il deficit ammontava al 4,6% del PIL), anche se
il tasso di risparmio reale, estremamente alto, limita i rischi, come abbiamo potuto
vedere durante gli attacchi speculativi del luglio 2011. I suoi rari grandi gruppi,
tranne alcuni come l’ENI, sono spesso in difficoltà, come ad esempio la Fiat che ha
tuttavia intrapreso una grande ristrutturazione. Le sue dinamiche piccole imprese,
fiore all’occhiello dell’economia, continuano ad esportare molto ma sono confrontate
alla concorrenza dei paesi emergenti, in particolare la Cina e l’India, alla quale
rispondono con un aumento della qualità dei loro prodotti. Se la debole presenza
dell’Italia nella finanza internazionale e il buon stato patrimoniale delle sue banche
le hanno permesso di attenuare gli effetti della crisi internazionale, ciò non toglie che
la finanziarizzazione limitata dell’economia costituisce un handicap.
L’Italia soffre delle carenze dei poteri pubblici che il settore privato non può colmare.
E’ stato di recente calcolato che nel 2009 ogni italiano ha pagato una media di 7.359
euro di tasse (contro 7.438 per i francesi) mentre lo Stato ha versato 8.028 euro
di contributi sociali (contro 10.776 euro in Francia). La complessità e l’inefficacia
della burocrazia costituiscono un freno per la creazione delle imprese (secondo i
rapporti dell’OCSE e della Banca Mondiale, la creazione di un’impresa in Italia è
venti volte più complicata che negli Stati Uniti e undici volte più che in Francia2).
Le infrastrutture per i trasporti sono spesso in uno stato deplorevole, soprattutto
nel Sud. La formazione, la pubblica istruzione e l’insegnamento superiore sono in
ritardo rispetto agli altri grandi paesi. Cosí, nel 2007 solo il 19% degli italiani tra
2
Ministère de l’Économie, des Finances et de l’Industrie, DATAR, CAS, AFII, Tableau de bord de l’attractivité de la France,
edizione 2011.
35
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
i 25 e i 34 anni ha raggiunto un livello d’istruzione universitaria, contro il 41% in
Francia. La Banca d’Italia stima che 2,2 milioni d’italiani con meno di 30 anni non
studiano né lavorano, questa cifra costituisce un record assoluto nell’UE. L’Italia
accumula un ritardo abissale in materia d’istruzione, d’insegnamento universitario e
di ricerca. Nel 2006, le spese totali destinate all’istruzione rappresentavano meno
del 5% del PIL contro il 6% in Francia e quelle per l’università meno dell’1% contro
l’1,9% della media dell’Unione Europea. Tra il 2008 e il 2010, la diminuzione delle
spese destinate all’università è dell’ammontare di un miliardo di euro. Nel 2008,
si contano 7,5 ricercatori su mille lavoratori in Francia contro i 3,5 in Italia. L’Italia
destina solo l’1,2% del PIL alla ricerca e allo sviluppo, in Francia viene stanziato
il doppio3. Nel 2008, le spese per la ricerca e lo sviluppo raggiungono appena i
19,3 miliardi di Dollari contro i 42 in Francia4. A livello mondiale, la parte dell’Italia
nelle famiglie con brevetto triadico ammonta ad appena l’1% contro il 5% della
Francia5. La green economy, inoltre, non rappresenta palesemente una priorità né
per il governo né per la Confindustria.
FORMARE LA CLASSE DIRIGENTE, RINNOVARE
LA POLITICA
La formazione e la selezione della classe dirigente, politica e amministrativa, è uno dei
grandi problemi storici dell’Italia. Tale problema si ripresenta con particolare intensità
in questo inizio di nuovo millennio, in seguito alla crisi del sistema politico italiano. In
effetti, in passato, in assenza di altre strutture, i partiti politici assicuravano la formazione
e la selezione delle classi dirigenti i cui membri avevano spesso dei diplomi universitari
ed erano anche degli accademici. Nel corso degli anni, non soltanto la scuola andava
in crisi ma i giochi clientelari e i favoritismi cominciavano a trionfare in politica, mentre
le grandi cosmogonie ideologiche crollavano insieme a tutti quei valori ad esse legati.
Per queste ragioni, il livello di preparazione dei dirigenti politici si è deteriorato. La crisi
degli anni 90 ha favorito l’emergenza di una nuova classe politica venuta a colmare
il vuoto. I nuovi effettivi erano formati dai più giovani o da figure di secondo piano
all’interno dei vecchi partiti, o anche da persone venute da altri settori d’attività, come
ad esempio i mass media o la magistratura, che, a causa della crisi, subivano una forte
politicizzazione o pensavano di poter ricoprire una funzione politica. La loro competenza
3
4
5
gence exécutive Éducation, Audiovisuel et Culture, Chiffres-clés de l’éducation en Europe, 2009.
A
Eurostat, Dépenses totales de R&D intra-muros par secteur d’exécution, 2009.
Ministère de l’Économie, des Finances et de l’Industrie, DATAR, CAS, AFII, op. cit.
36
P A R T E I I I : S T A T O E S O C I E T A’ I N I T A L I A D I F R O N T E A L L E S F I D E D E L F U T U R O
è talvolta reale ma la loro capacità d’anticipazione è ancora più limitata di quella della
classe politica tradizionale. Navigano a vista e si compiacciono, spesso, dei giochi
mediatici e politicanti. Quanto alle modalità del loro reclutamento, esse si dimostrano
soggette a controversia. I favoritismi, le relazioni, le raccomandazioni, l’anzianità
regnano e non solo in politica. Secondo alcuni calcoli economici effettuati dall’università
Luiss nel 2008 per il suo rapporto annuale sulla classe dirigente (intitolato “Generare
classe dirigente”) il costo della non meritocrazia con le sue conseguenze in termini
di disfunzionamenti dell’insegnamento scolastico e universitario è stimato tra il 3 e
il 7% del PIL italiano. Ciò suscita rancore, delusione, scoraggiamento e frustrazione
sociale. Oggi, i partiti che dominano la vita pubblica sono meno atti ad assicurare una
formazione politica, mentre il loro potere di promuovere i dirigenti è aumentato e in
più, l’alta amministrazione, come hanno dimostrato le ricerche di Sabino Cassese, ha
conosciuto un importante processo di politicizzazione a causa dell’instaurazione effettiva
di una sorta di spoilt system. Tuttavia, Il Popolo delle Libertà e il Partito Democratico, si
sono sforzati di aprire delle scuole o delle sessioni di formazione in seno ai loro partiti.
Ai loro margini, delle iniziative simili fioriscono anche grazie a delle personalità o a dei
think tanks legati a diversi leader decisi ad influenzare i riferimenti culturali o le decisioni
dei partiti a cui sono vicini. In altre realtà, delle associazioni o delle fondazioni lanciano
degli incontri di studio o dei seminari di formazione per i mestieri della politica.
Resta il fatto che la formazione e i processi di selezione della classe politica lascino
ancora a desiderare. La percezione delle élite politiche e amministrative da parte
dell’opinione pubblica non è buona, mentre quella dei dirigenti d’impresa è migliore.
La formazione deve fornire le competenze teoriche e pratiche aperte alla dimensione
internazionale per la scienza del government, rivolgendosi dunque a tutti coloro
che intendono esercitare un’attività amministrativa e politica, ma anche per la
governance, per tutti quelli che puntano a delle responsabilità nel settore privato;
tanto è vero che le decisioni implicano anche le grandi imprese, le associazioni,
le ONG, ecc. La Luiss-Guido Carli di Roma, che dipende dalla Confindustria, ha
appena aperto, in presenza del Presidente della Repubblica italiana, una School of
Government. La selezione deve basarsi su criteri chiari ed anche allargare il bacino
sociale di reclutamento particolarmente limitato in Italia, dove secondo un recente
rapporto comparativo dell’ OCSE6, le diseguaglianze socio-culturali sono molto forti
e la mobilità sociale è bloccata. Si tratta di rispondere così alla forte e generalizzata
aspirazione alla meritocrazia negli studi come nel lavoro, mentre gli italiani hanno
l’impressione che tali criteri non siano rispettati.
6
OCSE, Réformes économiques : objectif croissance, 2011, Parte II, capitolo 5 : « Une affaire de famille : la mobilité
sociale intergénérationnelle dans les pays de l’OCDE », 2011.
37
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
Risolvere la questione della formazione e della selezione della classe dirigente è
una necessità se non si vuole alimentare il populismo già molto diffuso in una
popolazione che, più che mai, tende a rivoltarsi contro una piccola élite oligarchica,
abituata ad auto-reclutarsi ed oramai incapace d’apportare dei vantaggi al resto
degli italiani che guarda con condiscendenza o peggio, con un certo disprezzo.
Ma dare una nuova legittimità alla classe politica presuppone anche di procedere a
delle grandi riforme, in particolare, un nuovo sistema elettorale che dia agli italiani
la possibilità di scegliere i propri rappresentanti e il proprio governo nel quadro di
un bipolarismo chiaro e netto, ridurre i costi della politica, anche attraverso una
riduzione del numero dei parlamentari, rendere più efficace il potere esecutivo,
assicurare la completa indipendenza dei mass media.
MODERNIZZARE E RIFORMARE LO STATO
E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Le due grandi riforme della pubblica amministrazione degli anni 90 che hanno,
in particolare, ridotto il numero dei ministeri, cambiato lo statuto dei funzionari,
instaurato una certa forma di flessibilità, incoraggiato il merito, favorito il management,
introdotto la valutazione delle competenze, hanno costituito una prima tappa ma
sono rimaste incomplete. Le gravi patologie rimangono, come l’accumulazione
delle leggi, la lentezza nell’applicazione delle decisioni, la sovrapposizione delle
competenze, accentuata oramai dal decentramento e dal federalismo, il persistente
disfunzionamento di molti servizi pubblici o anche, come abbiamo visto, la qualità
mediocre delle infrastrutture. Inoltre i tagli della spesa pubblica effettuati in maniera
indistinta, aggravano le condizioni di lavoro e l’inefficacia del servizio pubblico. Le
conseguenze di tali mancanze sono numerose. In materia d’attrattiva internazionale,
lo abbiamo detto. Ma anche perché esse permettono il preoccupante svilupparsi, in
intere zone della penisola ma anche oltre i suoi confini, della criminalità organizzata
che controlla una gran parte dell’economia detta sommersa stimata dall’ISTAT, tra
il 16,3% e il 17,5% del PIL nel 2008: mentre la Mafia siciliana ha subito duri
colpi, la Camorra a Napoli e dintorni e la ‘Ndrangheta calabrese sono ancora in forte
espansione. Allo stesso modo, malgrado alcuni innegabili successi, la lotta contro
la frode fiscale é ancora insufficiente: questo sport nazionale, in un paese dove
soltanto lo 0,95% dei contribuenti dichiara un reddito superiore ai 100.000 euro
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all’anno, è stimato a più di 100 miliardi di euro all’anno7, il doppio del costo della
corruzione…
L’urgenza del proseguimento e del completamento della riforma dello Stato e
della pubblica amministrazione é rinforzata dall’instaurazione del federalismo, in
particolare in campo fiscale, che potrebbe aggravare i rischi di disgregazione del
paese, e la necessaria riduzione del debito pubblico. Si tratta dunque di migliorare
la capacità di governo anche al livello dei territori che tendono a sfaldarsi.
ASSICURARE UNA RIPRESA DEMOGRAFICA
Uno dei grandi difetti delle élite italiane è legato alle sue grandi difficoltà ad anticipare
il futuro. Una prova supplementare di questo è amministrata dalla cecità sulle
questioni demografiche. Non vi è stata nella Repubblica, per reazione alla politica
natalista del fascismo che del resto non aveva impedito un primo calo delle nascite,
una politica pubblica in questo campo. Oggi, l’assenza di aiuti alle famiglie, la
mancanza di strutture pubbliche o private (compensata a malapena dal ruolo della
famiglia e della parrocchia), la rigidità del mercato del lavoro che penalizza molto le
donne e in modo particolare quelle diventate madri, le trasformazioni della famiglia,
l’aspirazione all’indipendenza delle donne fanno sì che il tasso di natalità sia uno
dei più bassi dell’Unione Europea e del mondo (nel 2010, 9,2 per mille, con un
tasso di mortalità del 9,7 per mille): una leggera ripresa è stata registrata in questi
ultimi anni grazie all’immigrazione (il numero delle nascite degli immigrati è pari
al 13,7% del totale delle nascite nel 2009 contro l’1,7% nel 1995). Le differenze
regionali sono, anche in questo caso importanti, e la natalità rimane globalmente
più elevata in Trentino Alto Adige e nel Sud rispetto al resto della penisola. I 60
milioni di italiani attuali costituiscono dunque una delle popolazioni più vecchie
d’Europa. I giovani con meno di 14 anni rappresentavano il 19% della popolazione
totale nel 1986 e il 14% coloro con più di 65 anni. Oggi queste percentuali sono
esattamente invertite. La fascia compresa tra i 15 e i 24 anni rappresenta il 10,2%
della popolazione totale italiana, la percentuale più bassa di tutta l’Europa. Più di
un abitante su cinque ha più di 65 anni e l’indice d’invecchiamento (rapporto tra il
numero di persone con più di 65 anni e quelle con meno di 15) con più del 141%
costituisce un record.
7
inistero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento delle finanze, « Analisi statistiche - Dichiarazioni 2010 - Anno
M
d’imposta 2009 ».
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I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
E’ vero che l’Italia ha un’elevata densità di popolazione (198 abitanti per km2) ma
ciò non toglie che il declino demografico rimane grave. Tre conseguenze meritano di
essere sottolineate. L’Italia rappresenta una vera gerontocrazia dalla quale i giovani,
particolarmente colpiti dalla disoccupazione (29,4% per i meno di 25 anni nel 2010),
si sentono totalmente esclusi, considerato che i posti di comando sono distribuiti
a persone più anziane (l’età media delle 5.500 persone considerate dal sociologo
Carlo Carboni come appartenenti alla classe dirigente era nel 2004 di 60,8 anni). Le
pensioni, malgrado le riforme intraprese, pesano ancora cospicuamente sulle spese
sociali e sanitarie. Il livello delle pensioni resta, in effetti, elevato. Il tasso di sostituzione
dei regimi pensionistici per un lavoratore a reddito medio nel 2009 è del 74,8%
(contro il 65,3% in Francia). Nel 2007 le spese per le pensioni rappresentano in Italia
il 14,6% del PIL contro il 13,3% in Francia e l’11,8% nell’UE. Più del 61% delle
prestazioni sociali italiane sono consacrate alle pensioni (contro il 44% in Francia).
Infine l’immigrazione massiccia ha toccato l’Italia, fino ad allora poco abituata ad
accogliere un tale flusso di stranieri. Nel 1991, l’immigrazione rappresentava lo
0,6% della popolazione, tasso che raggiunge nel 2009, secondo L’ISTAT, il 7,3%,
con quasi 5 milioni di persone (di cui senza dubbio più di 420.000 in situazione
irregolare) localizzate soprattutto nel Centro e nel Nord del paese (costituiscono circa
il 10% dei residenti nel Nord-Est) dove la domanda di manodopera resta elevata
poiché vi è un tasso di disoccupazione basso a differenza del Sud. Il fenomeno
dell’immigrazione realizzatosi in modo cospicuo e rapido ha provocato forti tensioni,
soprattutto nei confronti degli immigrati clandestini. Le innegabili reazioni xenofobe e
razziste, non devono tuttavia occultare i successi dell’integrazione nel momento in cui
essa è accompagnata dall’occupazione di un posto di lavoro.
Sorprende invece l’assenza di un dibattito pubblico sulle questioni demografichee
la debole presa di coscienza delle loro importanti conseguenze. I governi di centro
sinistra e di centro destra hanno sicuramente cominciato a prendere delle misure
d’incitazione alla natalità, ma queste sono insufficienti e non eviteranno all’Italia di
diventare un grande museo popolato da persone anziane se nulla di più netto sarà
intrapreso.
RIDEFINIRE LE RAGIONI DEL VIVERE COMUNE
E’ questo l’imperativo che, più ancora che in altri paesi, s’impone all’Italia. Ciò
rilancia la questione storica che è stata d’attualità nel 2011, della definizione della
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P A R T E I I I : S T A T O E S O C I E T A’ I N I T A L I A D I F R O N T E A L L E S F I D E D E L F U T U R O
società e della nazione. Su quali basi politiche e culturali, rispettose dell’autonomia
degli individui, rifondarle quando l’individualismo e le diversità, tutte portatrici di
molteplici identità, si esacerbano? Diversità territoriali in quanto gli antagonismi
tra Nord e Sud si perpetuano, il divario di ricchezza e di sviluppo aumenta, la
Lega Nord è il primo partito nel settentrione e nel momento in cui il federalismo
fiscale che sarà instaurato rischia di penalizzare gravemente il Sud del paese.
Diversità sociali, perché dietro l’apparente uguaglianza dei rapporti sociali, non
soltanto esiste una pesante gerarchia ma le disuguaglianze si approfondiscono più
che mai e la pauperizzazione si accentua, penalizzando soprattutto i più poveri.
Diversità generazionali, con sempre meno giovani sempre più esasperati al punto
che un clash of generations potrebbe scoppiare in futuro. Diversità di genere,
con una discriminazione nei confronti delle donne a tutti i livelli della società, sul
mercato del lavoro, e in particolare per i posti di comando (le 5.500 persone che
comporrebbero l’élite italiana sono all’88% di sesso maschile). Diversità etniche, in
un paese dove oramai l’immigrazione è una realtà tangibile e durevole che non potrà
essere circoscritta a delle mansioni subalterne. Diversità culturali, l’Italia cattolica
già intaccata dalla secolarizzazione ma rimasta sempre molto presente, e forse
ancora di più a causa delle difficoltà della politica, deve oramai tener conto della
presenza di nuove religioni, in particolare quella ortodossa, la seconda per numero
di praticanti, e l’islam. Diversità urbane, con una segregazione spaziale più marcata
che in passato anche se meno pronunciata che in Francia.
Queste incertezze minano l’Italia tanto più che la classe politica non brilla certo
per la sua capacità nel proporre risposte chiare e orientamenti capaci di unire gli
italiani e mobilitarli. A questo proposito, l’istruzione è chiamata a svolgere un ruolo
fondamentale.
41
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
CAPITOLO III
LA FRANCIA, UN’ANTI-ITALIA?
TUTTO, O QUASI TUTTO, SEMBRA OPPORRE LA
FRANCIA ALL’ITALIA
La storia plurisecolare della Francia, l’importanza della nazione, uno Stato forte spalleggiato
da un’amministrazione efficace che domina una società civile poco organizzata e inoltre
l’importanza della meritocrazia repubblicana, costituiscono delle differenze essenziali.
Del resto, la situazione della Francia è relativamente migliore di quella dell’Italia, tranne
alcuni settori, in particolare il commercio estero: un’economia con serie difficoltà ma
più efficiente grazie, in particolare, ai suoi grandi gruppi, un’importante attrattività
internazionale dovuta, tra le altre cose, alla qualità delle infrastrutture, l’efficacia dei
servizi pubblici, la qualità della manodopera e la sua alta produttività, una demografia
piuttosto vantaggiosa, una posizione geografica favorevole, un’apertura internazionale
di ampi strati della popolazione, delle politiche di riforma intraprese sin dall’inizio del
quinquennio dal Presidente della Repubblica il cui contenuto e modalità possono essere
discussi ma che dimostrano una capacità d’anticipazione, una volontà di proiettarsi nel
futuro e di mobilitare le forze vive del paese.
SI MANIFESTANO, TUTTAVIA, DELLE DIFFICOLTÀ
ANALOGHE
L’economia è in una situazione molto difficile, il deficit pubblico è elevato, il mercato del
lavoro resta rigido, la formazione, l’insegnamento superiore e la ricerca e sviluppo che
costituiscono le basi della società dell’avvenire sono, a parte qualche rara eccezione,
mal posizionati nella competizione internazionale. L’aumento della disoccupazione
è devastante, le classi medie sono alla deriva, per riprendere il titolo dell’opera del
sociologo Louis Chauvel, le disuguaglianze sociali si approfondiscono, la povertà
aumenta e con essa tutte le sue deleterie conseguenze (esclusione, emarginazione,
sofferenze di ogni tipo), la segregazione urbana con i suoi ghetti intorno alle grandi città,
e a volte al loro interno, provoca delle situazioni esplosive, le giovani generazioni hanno
l’impressione di essere sacrificate e di pagare il prezzo di un sistema di protezione sociale
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P A R T E I I I : S T A T O E S O C I E T A’ I N I T A L I A D I F R O N T E A L L E S F I D E D E L F U T U R O
concepito per i baby-boomers. La società è pervasa da grandi paure, in particolare in
tema di sicurezza, ma anche rispetto all’integrazione europea e alla globalizzazione.
S’interroga su quelli che sono i suoi fondamenti, la sua identità collettiva e le ragioni del
vivere insieme. Tanto più che questi pilastri sembrano erosi. Lo Stato che, come quello
italiano, ha privatizzato, si è decentralizzato e ha rinunciato a una parte della propria
sovranità a beneficio dell’Europa, non ha più gli stessi mezzi d’azione né lo stesso
prestigio: non può più, come faceva prima, orientare l’attività economica, promuovere la
modernizzazione dall’alto e strutturare l’intera società come faceva un tempo. Il modello
repubblicano sembra esaurirsi, così come attestano i problemi sollevati dall’integrazione
di una parte della popolazione di origine immigrata e la crisi profonda della scuola e di
tutto il sistema scolastico e universitario. La Nazione è rimessa in discussione a causa
dell’evoluzione del mondo e del rafforzamento delle identità comunitarie. I governi, quali
che siano, incontrano grosse difficoltà a riformare non soltanto perché la loro legittimità
è contestata, come abbiamo detto, ma perché le loro politiche pubbliche si scontrano
con dei potenti corporativismi.
Quelli che per molto tempo nel confronto con l’Italia sono
potuti sembrare dei vantaggi si rivelano talvolta degli
handicap
La potenza storica della Francia, celebrata ovunque per le sue innegabili virtù, ha
tuttavia instaurato un rapporto di dipendenza, alimentato da alcuni attori politici
che, soprattutto dopo lo scoppio della crisi economica e finanziaria, puntano tutto,
o quasi tutto, sul ritorno in auge della potenza pubblica senza interrogarsi troppo
sull’evoluzione che ha conosciuto quest’ultima tanto nella sua consistenza quanto
negli strumenti che è suscettibile di poter mobilitare. Per tali ragioni, in questo
momento, e come fu in passato durante altre crisi, i Francesi si aspettano molto dallo
Stato e gli sono più che mai devoti. Dal suo canto, l’Italia, confrontata a difficoltà ben
più pronunciate, dà prova di una grande reattività della società civile facendo ricorso
a dei metodi che, tuttavia, sollevano dei seri problemi politici ed etici. Le famiglie
assolvono un ruolo capitale di protezione e di solidarietà. I legami di parentela e di
vicinato sono riattivati. Il lavoro in nero e l’economia sommersa sono più che mai
sviluppati. Gli italiani fanno ricorso alla loro famosa capacità di cavarsela e all’arte
d’arrangiarsi. Doti, quest’ultime, che costituscono una sorta d’ammortizzatore
sociale capace di attenuare le conseguenze della crisi per le persone più fragili e
precarie, o che forniscono delle condizioni favorevoli all’espressione dell’inventività
italiana.
43
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
In Francia, il reclutamento endogamo dell’élite, che ha suscitato a lungo
l’ammirazione dell’Italia, appare oramai troppo marcato dalla centralità dello Stato,
troppo fondato su un sistema scolastico a due velocità che instaura una selezione
precoce e fortemente discriminante dal punto di vista sociale e culturale. Questo
modello è stato recentemente rimesso in discussione dalle iniziative intraprese da
alcune grandi istituzioni di formazione tra cui Sciences Po. La centralizzazione
giacobina, sicuramente attenuata dalla decentralizzazione, suscita delle critiche
sempre più vive da parte dei poteri locali e regionali e isola una Francia circondata
da grandi paesi federalisti, compresa l’Italia che ha fatto anch’essa questa scelta. Il
modello sociale francese, “la passione dell’uguaglianza” dei Francesi già individuata
da Tocqueville, la cultura politica giacobina e colbertista nutrono una viva reticenza
verso il mercato, la concorrenza e la mondializzazione, che non ritroviamo, oltralpe,
nelle stesse proporzioni. Lo spirito di superiorità francese è oggi contestato ed anche
chiaramente avversato in Europa come nel mondo, tanto più che la Francia vi
occupa oramai solamente un posto secondario.
44
CONCLUSIONI
45
C O N C LU S I O N I
La realtà italiana appare così ai francesi, allo stesso tempo, lontana e vicina. Lontana
per la storia, la politica, l’economia e l’organizzazione sociale. Vicina perché i problemi
posti e le sfide da affrontare sono simili sia dal punto di vista delle trasformazioni
che colpiscono le democrazie che nei rapporti da reinventare tra lo Stato e la società
civile al fine di uscire dalla crisi economica e di ridefinire le basi di società messe
in difficoltà dalla modernità. Ciò giustifica, il fatto di metter da parte i cliché e gli
stereotipi. Che si tratti di quelli degli italiani sulla Francia o di quelli dei francesi
sull’Italia. Quest’ultima suscita tradizionalmente tre insiemi di rappresentazioni
molto contrastate. Da un lato, è abbondantemente celebrata per la ricchezza del suo
patrimonio culturale, lo spessore della sua storia, la bellezza dei paesaggi, il fascino
degli abitanti, la sonorità della lingua. Dall’altro, è considerata come una vera potenza
economica i cui risultati (ottavo esportatore e settimo importatore mondiale di merci,
sesto esportatore e importatore mondiale di servizi, secondo partner economico e
commerciale della Francia, primo investitore straniero in Francia mentre quest’ultima
è il secondo investitore nella penisola) sembrano oramai talmente conosciuti da
diventare insignificanti. Infine, la politica italiana stupisce da molto tempo ed è
apparsa anche davvero incomprensibile nell’era Berlusconi, un uomo considerato il
più delle volte ridicolo o, al contrario, pericoloso. Così, l’Italia è ammirata, banalizzata
o stigmatizzata. Ora questi modi deformati di prenderla in considerazione impediscono
di comprendere la complessità di ciò che sta attualmente accadendo in questo paese.
Capire l’Italia, così come per gli italiani capire la Francia, diventa una necessità non
soltanto per sormontare le tensioni che sorgono in maniera ricorrente tra i due paesi,
come di recente a proposito della Libia, dell’immigrazione o ancora della penetrazione
delle imprese francesi nella penisola, ma anche per rinforzare i molti e potenti legami
che uniscono i due paesi e favorire delle iniziative comuni, ad esempio in direzione
del Mediterraneo e dell’Europa.
In particolare, in una congiuntura in cui entrambi i paesi vivono sotto lo spettro del
declino dei propri modelli politici e economici differenti ed anche antagonisti, uno con
uno Stato debole, l’altro con uno Stato forte. Cio’ avviene nel momento in cui, in entrambi
i casi, i governi e la classe politica chiedono, e per un lungo periodo, dei sacrifici a dei
cittadini che non credono più minimamente in loro, che esprimono diffidenza, o anche
un totale rifiuto. In questo senso, non vi è indubbiamente alcuna anomalia italiana
né eccezione francese, bensì una mutazione dei due paesi fondatori dell’Europa. Le
difficoltà e le trasformazioni che conoscono sono anche quelle dell’Europa. Così come
le soluzioni che decideranno di mettere in pratica riguarderanno tutta l’Unione.
47
PROPOSTE
49
PROPOSTE
Avvertenze
Non si tratta in alcun modo di formulare delle raccomandazioni ai nostri partner
italiani. Queste proposte riguardano, da un lato, due problematiche che si
pongono in termini comparabili in Francia e in Italia, e dall’altro, le relazioni
franco-italiane che, negli ultimi tempi, hanno avuto tendenza a deteriorarsi ma
che con l’arrivo di Mario Monti alla Presidenza del Consiglio sembrano essere
rilanciate.
SINTESI DELLE PROPOSTE
I. Sanare la democrazia
Proposta 1 : Mettere fine ai conflitti d’interessi
• reinserire nel dibattito pubblico le proposte formulate dalla Commissione Sauvé
e sulle quali ad oggi non é stata presa nessuna forma di decisione, tra queste la
definizione del conflitto d’interessi e i diversi gradi di gravità a cui può indurre;
• v ietare agli eletti a cariche pubbliche, come ai Ministri e ai Sottosegretari, di
continuare ad esercitare un’attività professionale privata suscettibile d’influenzare
o di sembrar influenzare le decisioni pubbliche.
Proposta 2 : Limitare il cumulo dei mandati e delle funzioni
Proposta 3 : Consacrare l’indipendenza dei mass media
51
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
II. F
avorire lo sviluppo di società competitive dotate di una
forte coesione sociale
Proposta 4: Investire nella formazione e nella conoscenza a tutti i livelli
Proposta 5: Diversificare il reclutamento delle élite
Proposta 6: Ripensare la politica familiare
III. R
ilanciare la cooperazione franco-italiana in una
prospettiva euro-mediterranea
Proposta 7: C
reare un Centro di ricerca e d’iniziative franco-italiane che
accolga anche un incubatore d’impresa
Proposta 8: Rinforzare i mezzi e l’azione dell’Università franco-italiana
Proposta 9: Incitare le università francesi e italiane a condurre una politica volontaristica d’accoglienza degli studenti del bacino del
Mediterraneo
Proposta 10: S
uscitare, ad iniziativa della coppia franco-italiana, una
politica europea nei riguardi del Mediterraneo, degna di
questo nome
52
PROPOSTE
PROPOSTE
I. Sanare la democrazia
Proposta 1 : Mettere fine ai conflitti d’interesse
In Italia, e più di recente in Francia, numerosi scandali hanno messo in luce diversi
casi di conflitti d’interesse, ponendo così una serie di domande sull’effettività delle
regole deontologiche che reggono la vita pubblica.
Nel suo rapporto Pour une nouvelle déontologie de la vie publique, la Commissione
presieduta da Jean-Marc Sauvé ha formulato, nel gennaio 2011, una serie di
proposte al fine d’inquadrare e di prevenire le situazioni di conflitto d’interesse nelle
quali possono trovarsi i membri del governo e gli attori pubblici8.
Il progetto di legge relativo alla deontologia e alla prevenzione dei conflitti d’interesse
nella vita pubblica presentato dal governo francese, nel luglio 2011, ha ripreso tre
proposte:
• l’introduzione di una dichiarazione d’interessi per le persone che occupano le
cariche più importanti;
• la formalizzazione, per l’insieme delle persone che partecipano all’azione pubblica, di
meccanismi d’astensione (déport), nel momento in cui la loro imparzialità potrebbe
essere messa in dubbio in occasione del trattamento di un dossier o dell’assunzione
di una decisione;
• la creazione di un’Autorità della deontologia della vita pubblica.
La proposta di definire i conflitti d’interesse è rimasta lettera morta così come
quella mirata a vietare il cumulo dei mandati.
La Francia ha una legislazione relativamente flessibile accompagnata da severe
sanzioni. La specificità dell’attuale sistema risiede dunque nel suo carattere
repressivo ma nella scarsissima applicazione delle sanzioni9 .
8
9
Sono stati esclusi dal perimetro della riflessione i parlamentari e gli altri eletti.
J ean-Marc Sauvé, « Il est nécessaire de définir le conflit d’intérêt par la loi », Intervista, Acteurs publics, 28 settembre 2011.
53
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
Il bisogno di emanare delle leggi in materia di conflitto d’interessi non è stato
fino ad ora avvertito tenuto conto di una “legislazione penale e di norme relative
all’ineleggibilità, alle incompatibilità, e alla trasparenza degli interessi finanziari”10
considerate come sufficienti.
In Italia i numerosi dibattiti sulla partecipazione alla vita pubblica dell’uomo più
ricco del paese hanno condotto alla promulgazione della legge n°215 del 2004
relativa ai conflitti d’interesse dei titolari di cariche di governo. La definizione
data caratterizza il conflitto d’interessi non come una situazione di pericolo ma
piuttosto come un “evento di danno”11: vi è “un conflitto d’interessi […] quando il
titolare di cariche di governo partecipa all’adozione di un atto – anche formulando
la proposta – o omette un atto dovuto trovandosi in situazione di incompatibilità”
o ne trae beneficio provocando “un danno per l’interesse pubblico12”. Il conflitto
d’interessi come qui viene definito proviene non dal conflitto d’interessi ma
piuttosto dal “comportamento di colui che, trovandosi in una situazione di conflitto
d’interessi, ne trae un vantaggio non dovuto (o viola una regola che prevede
l’incompatibilità)”. Inoltre, perché vi sia conflitto d’interessi, “non basta che il
funzionario tragga vantaggio dal proprio comportamento, ma è necessario che vi sia
un danno causato al pubblico interesse. Dunque, affinché un conflitto d’interessi
“all’italiana” si verifichi, sono necessari tre elementi: un conflitto d’interessi in
senso proprio; un beneficio per il membro del governo coinvolto; e un danno
causato al pubblico interesse13”. Poiché una decisione che favorisce un interesse
privato può essere giustificata dall’invocazione di un interesse pubblico che agisca
nella stessa direzione: “la disposizione centrale della legge è dunque inaccettabile
nella misura in cui è praticamente impossibile che essa si verifichi”14.
Oltre a questa legge che si applica ai soli membri del governo, la disposizione
relativa agli amministratori locali15 vieta l’adozione di provvedimenti nel momento
in cui vi sia conflitto d’interessi, avendo spesso la giurisprudenza “affermato un
obbligo d’astensione per tutti i funzionari che si trovino in una situazione di conflitto
d’interessi16”. Del resto, è stato introdotto un regime d’incompatibilità per i membri
del governo che vieta loro di esercitare un’attività professionale e imprenditoriale.
10
11
12
13
14
15
16
Bernardo Giorgio Mattarella, « Le régime juridique du conflit d’intérêts, éléments comparés », Revue française
d’administration publique, n° 135,
Ibid.
Ibid.
Ibid.
Ibid.
Art. 78, decreto-legge n° 267 del 2000.
Bernardo Giorgio Mattarella, op. cit.
54
PROPOSTE
Non esiste, dall’altra parte, un quadro normativo in materia di conflitto d’interessi
per i parlamentari.
L’efficacia di queste diverse disposizioni legislative è però ostacolata da delle
sanzioni troppo poco dissuasive e le cui condizioni di attivazione sono difficilmente
identificabili dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Proposta 1 : Mettere fine ai conflitti d’interesse
Reinserire nel dibattito pubblico le proposte formulate dalla
commissione Sauvé e sulle quali ad oggi non é stata presa nessuna
forma di decisione, tra queste la definizione del conflitto d’interessi
e i diversi gradi di gravità a cui può indurre.
Vietare agli eletti a cariche pubbliche, come ai Ministri e ai
Sottosegretari di continuare ad esercitare un’attività professionale
privata suscettibile d’influenzare o di sembrar influenzare le decisioni
pubbliche.
Proposta 2 : Limitare il cumulo dei mandati e delle funzioni
Molto poco praticato in Italia, il cumulo di un mandato di Deputato con un altro
mandato elettorale resta un’eccezione francese. In Francia, il cumulo dei mandati
non è riconosciuto come un conflitto d’interessi. Ricordiamo la reazione di François
Baroin, allora Ministro del Bilancio, dei Conti Pubblici, della Funzione pubblica e
della Riforma dello Stato e Portavoce del governo, in occasione della consegna del
rapporto della Commissione Sauvé al Presidente della Repubblica: “non facciamo
nostra l’idea del rapporto Sauvé di vietare il cumulo di un mandato locale e di una
funzione ministeriale. Non si tratta di un conflitto d’interessi ma del suo contrario:
la difesa dell’interesse generale a livello nazionale o locale”17.
Nel 2008, l’81% dei Senatori e l’85% dei Deputati francesi cumulavano la loro
funzione di parlamentare con un altro mandato elettorale contro meno del 20% in
Italia, o nel Regno Unito e in Germania18.
17
18
L e journal du dimanche, « Les classes moyennes ne paieront pas pour les plus riches », intervista di François Baroin,
5 marzo 2011.
Elaine Sciolino, « French Cabinet Position Not Enough? Then Try Mayor », The New York Times, 13 gennaio 2008.
55
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
In Francia, la legge del 5 aprile 200019 dispone che un Deputato o un Senatore
non possa cumulare il suo mandato con quello di Parlamentare europeo; “è
ugualmente incompatibile con l’esercizio di un mandato parlamentare l’esercizio
di più di un mandato locale tra i mandati di Consigliere regionale, Consigliere
all’Assemblea della Corsica, Consigliere di Parigi, Consigliere municipale di un
comune di almeno 3.500 abitanti (articolo L.O. 141)”20. La limitazione del cumulo
dei mandati non riguarda i Ministri.
In Italia, l’articolo 122 § 2 della Costituzione vieta l’esercizio simultaneo di un
mandato di Consigliere regionale e di un mandato di parlamentare. Ciò non
impedisce, di fatto, a qualche parlamentare di esercitare più mandati. Non vi è,
tuttavia, incompatibilità tra il mandato di membro del Parlamento europeo e la
funzione di parlamentare nazionale. Per quanto riguarda una funzione ministeriale,
solo il cumulo con il mandato di consigliere regionale è vietato.
Il cumulo dei mandati pesa fortemente sulla vita politica francese e in misura
minore su quella dell’Italia. Causa supplementare di indebolimento del Parlamento
francese, esso costituisce inoltre un ostacolo al rinnovamento della classe politica
così come al buon funzionamento della democrazia. In Francia, il cumulo dei
mandati rinforza l’assenteismo che imperversa nei due rami del Parlamento e
incita gli eletti a privilegiare le loro funzioni locali. Esso indebolisce dunque il
potere legislativo e nutre la disaffezione del cittadino per i lavori parlamentari.
Proposta 2: Limitare il cumulo dei mandati e delle funzioni
•P
orre fine, in Francia, al cumulo dei mandati di Deputato con ogni mandato
locale21:
– per i Deputati, rappresentanti della Nazione, sembra del tutto ragionevole
stabilire la regola “un eletto, un mandato” – ne consegue il divieto assoluto
di cumulare ogni mandato locale con un mandato di Deputato;
– per i Senatori, che rappresentano le collettività territoriali, è concepibile
mantenere un legame con la “realtà locale”. Possono quindi essere
19
20
21
a legge “organique” n° 2000-294 del 5 aprile 2000 relativa alle incompatibilità tra mandati elettorali e la legge
L
n° 2000- 295 del 5 aprile 2000 relativa alla limitazione del cumulo dei mandati elettorali e delle funzioni elettive e alle
loro condizioni d’esercizio.
Cfr., le principali regole sulla limitazione del cumulo dei mandati elettorali e delle funzioni elettive sul sito del Ministero
degli Interni (www.interieur.gouv.fr).
Michaël Cheylan, Philippe Manière, Député : un job à temps plein, Institut Montaigne, dicembre 2006.
56
PROPOSTE
autorizzati ad esercitare un mandato locale a condizione che quest’ultimo
non sia di governo22.
• In Francia, vietare, ai Ministri che devono consacrarsi esclusivamente al loro
incarico, il cumulo di una funzione ministeriale e di un mandato locale23.
•P
orre fine, in Francia e in Italia, al cumulo di più di tre mandati successivi ad
una stessa funzione elettiva (per tutti i mandati elettivi nazionali e locali)24.
• In Italia, vietare il cumulo del mandato parlamentare nazionale e europeo.
Proposta 3: Consacrare l’indipendenza dei mass media
In alcuni paesi considerati da tempo come dei bastioni della libertà di stampa, si
osserva sempre più il progressivo declino del pluralismo e la crescente concentrazione
dei media. Queste tendenze sollevano le questioni dell’indipendenza politica dei
mass media privati e della diffusione d’informazioni d’interesse pubblico. Nel Regno
Unito, lo scandalo delle intercettazioni telefoniche del News of the World ha rivelato
l’influenza di Rupert Murdoch, a capo di un impero mediatico internazionale, sulla
politica e sul sistema giudiziario britannico25. La situazione si è degradata anche in
Italia e in Francia dove i magnati della stampa frequentano da vicino la sfera politica
e dirigente.
Il caso dell’Italia è tuttavia particolare. Il duopolio RAI-Mediaset ha permesso a
Silvio Berlusconi di controllare quasi il 70% del settore audiovisivo in Italia, mentre,
contemporaneamente, gestisce anche la principale agenzia pubblicitaria italiana,
Publitalia, e la più grande casa editrice del paese, Mondadori. Nel 2004, l’Assemblea
parlamentare del Consiglio d’Europa adottava la risoluzione 1.387 intitolata:
“Monopolio dei mass media elettronici e possibilità d’abuso di potere in Italia”26
nella quale esprimeva la propria preoccupazione riguardo alla “concentrazione dei
22
23
24
25
26
Eric Keslassy, Quelle place pour les minorités visibles ? Retour sur les élections régionales de mars 2010, Institut
Montaigne, settembre 2010.
Une Ve République plus moderne, rapporto del Comité Balladur, p. 29. Proposta che non é stata accolta dalla legge
costituzionale del luglio 2008. Ricordiamo che la Constituzione del 1958 vieta il cumulo d’una funzione ministeriale e
di un mandato parlementare.
Ibid.
http://www.euractiv.fr/presse-europe-liberte-pluralisme-peril-article
http://assembly.coe.int/Documents/AdoptedText/ta04/FRES1387.htm
57
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
poteri politico, economico e mediatico nelle mani di una sola persona, il Presidente
del Consiglio Silvio Berlusconi (…). In quanto capo del governo, si trova altresì nella
posizione di esercitare un’influenza indiretta sul servizio pubblico di radiodiffusione
della RAI, che è il principale concorrente di Mediaset”. La RAI e Mediaset totalizzano
il 90% dell’audience televisiva. Questa risoluzione invitava l’Italia a prendere
un certo numero di misure mirate a ristabilire il pluralismo e l’indipendenza dei
mass media. L’ONG americana Freedom House27 ha del resto degradato l’Italia in
termini di libertà di stampa a “parzialmente libera”, denunciando, nel 2010, un
deterioramento della situazione dovuto ai “crescenti tentativi del governo d’interferire
sulla politica editoriale dei media pubblici, soprattutto per quanto riguarda la
copertura degli scandali legati al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi”28.
Numerosi altri rapporti, a cominciare da quelli dell’Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni (AGCOM) incaricata di vegliare al rispetto dei diritti fondamentali,
denunciano questa concentrazione politica e mediatica che ostacola l’indipendenza
e il pluralismo dei media.
L’indice democratico elaborato da The Economist ha, dal canto suo, fatto perdere,
tra il 2008 e il 2010, sette posizioni alla Francia, situandola al 31° posto (su 167
paesi), dietro l’Africa del Sud e l’Italia (29° posto), passando, come l’Italia, dal rango
di “democrazia completa” a quello di “democrazia incompleta”29. Anche l’Economist
Intelligence Unit ha considerato che la “pressione esercitata sui giornalisti e i
mass media elettronici aveva dato luogo a un declino della libertà di stampa30”,
constatazione condivisa da Reporters sans Frontières che ha retrogradato la Francia
al 43° posto della sua classifica mondiale.
D’altro canto, la legge organica del 5 marzo 2009 relativa alla nomina dei Presidenti
delle società France Télévisions, Radio France e della società incaricata della
programmazione audiovisiva esterna della Francia, precisa che i suddetti Presidenti
saranno nominati dal Presidente della Repubblica, su parere conforme del
Consiglio Superiore dell’Audiovisivo (CSA) e parere delle commissioni permanenti
degli affari culturali di ogni assemblea parlamentare. Il mandato del Presidente di
France Télévisions può essere revocato da un decreto motivato del Presidente della
27
28
29
30
L’ONG Freedom House classifica il grado di libertà di stampa degli Stati del mondo in tre categorie : « libera », «
parzialmente libera » e « non libera ».
http://www.euractiv.fr/presse-europe-liberte-pluralisme-peril-article
L’Economist Intelligence Unit, gruppo di ricerca appartenente al giornale The Economist, stabilisce ogni due anni un
indice democratico misurato con l’aiuto di 60 indicatori che classificano i paesi in quattro categorie : « democrazie
complete », « democrazie incomplete », « regimi ibridi », « regimi autoritari ».
Ibid.
58
PROPOSTE
Repubblica su parere conforme del CSA e su parere pubblico delle commissioni
competenti delle due assemblee che non dispongono di diritto di veto. Questa
legge ha suscitato una vivace polemica soprattutto per quanto riguarda la questione
dell’indipendenza dei media.
In Italia, dopo la legge Gasparri del 3 maggio 2004 sul settore audiovisivo, è
la Commissione Parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi che designa per tre anni, sette dei nove membri del Consiglio
d’amministrazione della RAI. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in quanto
principale azionista della RAI, ne designa due tra i quali dovrà essere scelto il
Presidente. Il Consiglio d’amministrazione elegge il Presidente della RAI, scelto tra i
due membri designati dal governo: tale nomina deve essere in seguito validata dai
due terzi dei membri della Commissione Parlamentare.
Proposta 3: Consacrare l’indipendenza dei mass media
In Francia e in Italia, un’autorità indipendente dovrebbe essere incaricata di
nominare e di revocare i dirigenti dei media pubblici, soprattutto alfine di
garantire la loro indipendenza.
La maggior parte delle raccomandazioni enunciate dall’Assemblea Parlamentare
del Consiglio d’Europa nella risoluzione 1387 all’attenzione del Parlamento
italiano sono ancora d’attualità. Citiamo:
•«
far sì che la legislazione ed altre misure regolamentari mettano termine
alla pratica di vecchia data di ingerenza politica nei media, considerando in
particolare la dichiarazione del Comitato dei Ministri [ del Consiglio d’Europa]
sulla libertà del dibattito politico nei media, adottata il 12 febbraio 2004;
• e mendare la legge Gasparri in conformità con i principi enunciati nella
Raccomandazione n° R (99) 1 del Comitato dei Ministri [del Consiglio
d’Europa] sulle misure atte a promuovere il pluralismo dei mezzi di
comunicazione, ed in particolare:
a. e vitando l’emergere di posizioni dominanti nei mercati pertinenti all’interno
del SIC;
59
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
b. includendo delle misure specifiche con lo scopo di porre fine al duopolio
esistente RAI-Mediaset;
c. includendo delle misure specifiche che assicurino che il passaggio al
digitale terrestre garantisca il pluralismo dei contenuti.
II. F
avorire lo sviluppo di società competitive dotate di una
forte coesione sociale
Proposta 4: Investire nella formazione e nella conoscenza a tutti i livelli
Gli studenti francesi e italiani di quindici anni hanno ottenuto dei risultati in lettura,
in matematica e in scienze inferiori alla media dell’OCSE, nell’ultima inchiesta
PISA 200931. 26° su 30 nell’indagine PISA del 2006, l’Italia conferma il suo
ritardo in quella del 2009: si situa al 23° posto su 34 paesi dell’OCSE e questo
malgrado i capitoli di spesa per l’istruzione (primaria e secondaria) siano elevati
e superiori alla media dei paesi dell’OCSE. Essa è tuttavia riuscita a migliorare i
propri risultati, in particolare in certe regioni del Sud dove il 35-40% degli studenti
si classificava nel gruppo degli allievi “con i peggiori risultati”, nella lettura contro
il 15-18% al Nord. Si tratta di cifre che restano edificanti quando si considera che
a 15 anni, il 40% al Sud e il 18% al Nord degli allievi di un’intera fascia d’età,
non sono in grado di applicare le conoscenze acquisite a scuola alla vita reale.
In Francia, la proporzione degli allievi con grandi difficoltà nella lettura (al di sotto
del livello 2 sulla scala PISA) è aumenta del 33% tra il 2000 e il 2009, passando
dal 15 al 20%. Inoltre se l’élite ha guadagnato 1 punto in dieci anni, lo scarto
tra gli allievi con risultati meno performanti e quelli con risultati più performanti
non ha mai smesso d’aumentare. Ora i paesi che hanno i migliori risultati nelle
indagini PISA sono quelli in cui vi è un basso insuccesso scolastico.
Quali sono le conseguenze di questi risultati mediocri per l’avvenire economico
e sociale dei nostri due paesi? Un paese in cui la performance della popolazione
nella padronanza linguistica, matematica e scientifica è più bassa sarà meno
competitivo.
31
ubblicata a fine 2010 ; Program for International Student Assessment, questo programma ha per scopo la misura delle
P
performances dei sistemi educativi dei paesi dell’OCSE.
60
PROPOSTE
Ricordiamo che la situazione degli allievi di 15 anni valutati da PISA è il riflesso
del livello acquisito nel corso degli anni precedenti della loro scolarità. Numerosi
studi americani32 hanno dimostrato l’importanza di sviluppare un certo numero
di competenze di parola e linguaggio fin dalla più giovane età per un miglior
successo della scolarità. Nel suo studio: “L’accès à l’enseignement préprimaire
permet-il d’améliorer les résultats scolaires?”, l’OCSE ritorna su ciò che rivelano i
risultati di PISA e insiste sul fatto che “i benefici dell’insegnamento prescolare sono
manifesti e quasi universali33”: esiste una forte correlazione tra la partecipazione
all’insegnamento prescolare e il livello di lettura all’età di 15 anni. L’Italia e la
Francia fanno parte del resto del plotone di testa dei paesi in cui la differenza dei
risultati associati alla scolarizzazione durante più di un anno nell’insegnamento
prescolare, dopo controllo dell’ambiente socio-economico, è la più elevata. L’OCSE
conclude: “allargare l’accesso all’insegnamento prescolare permette di migliorare
allo stesso tempo la prestazione globale e l’equità riducendo le disparità socioeconomiche tra allievi, a condizione che questo allargamento non sia fatto a
discapito della qualità dell’insegnamento”34.
Considerato che in Francia ogni anno il 20% degli allievi di una fascia d’età
esce dalla scuola elementare senza aver acquisito la padronanza delle basi della
lettura, della scrittura e del calcolo, l’impegno consacrato al periodo prescolare
ed elementare deve essere massiccio. Questa percentuale va messa in relazione
a quella del 22% di giovani disoccupati che conta la Francia. Nel 2007, la
Francia spendeva, per un allievo della scuola elementare, il 24% in meno
rispetto alla media dell’OCSE35. L’Italia invece si trova al di sopra della media
dell’ OCSE ma non riesce comunque a trasformare in modo efficace le risorse in
risultati. Il problema della scuola in Francia e in Italia non è quindi un problema
di mezzi quanto piuttosto un problema di allocazione e di ottimizzazione delle
risorse. In effetti, in Francia, il costo medio di un allievo della scuola elementare
è molto basso rispetto a quello di uno studente delle scuole superiori. Lo stesso
discorso vale per il costo del personale scolastico. Puntare sull’inizio della
scolarità e investire nella formazione degli insegnanti permetterebbe d’ottenere
dei grandi benefici. E’ certo che, se vi sono molti fattori che portano ad una
situazione di difficoltà scolastica degli allievi, il ruolo degli insegnanti rimane
cruciale in questo processo. Essi non solo dovrebbero disporre di un buon
32
33
34
35
Vedi in particolare il National Reading Panel e il programma Perry Preschool.
OCSE, L’accès à l’enseignement préprimaire permet-il d’améliorer les résultats scolaires ?, PISA à la loupe, febbraio 2011.
Ibid.
Depp, La dépense par élève ou étudiant en France et dans l’OCDE, Note, 15 ottobre 2011.
61
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
livello di conoscenze ma dovrebbero anche e soprattutto essere formati dal
punto di vista pedagogico. Tanto più che esiste un “effetto-maestro” che può
essere definito come “la componente di due dimensioni associate all’insegnante:
una dimensione personale (abilità nell’ esercitare il mestiere, motivazione,
impegno nella professione, personalità, ecc.) e una dimensione professionale
legata a dei savoirs-faire pedagogici (tecniche, pratiche e stili pedagogici)36”.
Proposta 4: Investire nella formazione e nella conoscenza a tutti i livelli
Puntare sulla qualità del corpo insegnante per far progredire la performance
del sistema educativo. Migliorare l’efficacia pedagogica all’interno delle
classi, investendo nella formazione degli insegnanti e valorizzando il loro
mestiere.
Il mestiere d’insegnante è un mestiere che s’impara. Ciò presuppone innanzi tutto
una conoscenza al contempo generale e specializzata. In seguito, così come un
medico dovrà esercitare diversi anni di pratica prima di poter padroneggiare i
gesti adeguati del mestiere, allo stesso modo gli insegnanti devono ricevere una
formazione all’altezza delle poste in gioco che consistono nella trasmissione delle
conoscenze, nella condivisione del piacere dello sforzo, nell’acquisizione delle
competenze di base da parte del maggior numero possibile dei nostri ragazzi, nel
loro inserimento sul mercato del lavoro e infine nel miglioramento a medio e lungo
termine delle prestazioni della Francia:
• innalzare il livello formativo generale e specializzato degli insegnanti prima del
loro reclutamento;
• instaurare delle formazioni in alternanza secondo la formula dell’apprentissage
(formazione per metà teorica e per metà pratica, ndt) per accedere al mestiere
d’insegnante;
• incentivare i rapporti tra i ricercatori in scienze dell’educazione e gli insegnanti, grazie a
delle formazioni, un accompagnamento e una piattaforma di scambi di buone pratiche
pedagogiche.
36
B. Suchaut (dir.), Éléments d’évaluation de l’école primaire française, Rapporto per il Haut Conseil de l’Éducation,
Institut de Recherche sur l’Education, IREDU-CNRS, febbraio 2007.
62
PROPOSTE
In Francia come in Italia, il mestiere d’insegnante è scarsamente valorizzato e la
remunerazione non è all’altezza delle responsabilità che esso implica. L’aumento
di stipendio nel corso di una carriera è del resto relativamente basso:
• r inforzare la comunicazione sul mestiere d’insegnante e mettere in atto un
dispositivo incitativo per i candidati a questa professione37;
•m
igliorare la politica salariale praticata all’inizio della carriera, al fine d’incitare
le persone più competenti e più performanti a diventare professori nelle scuole.
Infine, per quanto riguarda i mezzi allocati al sistema educativo, si deve considerare
una ridistribuzione degli stanziamenti che dia la priorità alla scuola elementare.
Proposta 5: Diversificare il reclutamento delle élite
In Francia e in Italia, delle indubbie discriminazioni gravano sull’accesso
all’insegnamento superiore e sulla rappresentanza politica delle persone
provenienti dalle minoranze: il genere, le origini sociali, le minoranze etniche. A
ciò si aggiunge in Italia la disparità territoriale tra il Nord e il Sud.
Le condizioni socio-economiche delle famiglie hanno un impatto molto più forte
in Francia che in Italia sul successo scolastico: esse spiegano il 16,7% della
variazione della performance degli allievi di 15 anni in Francia contro l’11,8% in
Italia38. Oggi, in Francia, il figlio di un insegnante ha una possibilità di arrivare
alla maturità 14 volte superiore a quella del figlio di un operaio. Così come i figli
dei quadri superiori costituiscono quasi la metà degli studenti nelle formazioni
più selettive, mentre i loro genitori rappresentano soltanto il 15% dei lavoratori39.
Se, dall’inizio degli anni 90, l’accesso agli studi superiori è aumentato per tutte le
categorie sociali, il sistema educativo francese rimane il primo riproduttore delle
disuguaglianze sociali in Francia: la percentuale dei figli di operai ed impiegati
che accedono all’università è circa dell’11%. Se in Francia la professione dei
genitori è l’indicatore di riferimento per recensire le disuguaglianze d’accesso agli
studi superiori, in Italia é il livello d’istruzione l’indicatore maggiormente preso
in considerazione. In dieci anni, il numero di studenti iscritti all’università che
37
38
39
Institut Montaigne, Vaincre l’échec à l’école primaire, Rapporto, aprile 2010.
PISA 2009.
Network europeo Inequality watch, « L’origine sociale des étudiants », 6 settembre 2011.
63
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
abbiano dei genitori che possiedono un diploma di licenzia media è passato dal
20% al 12% nel 2010. Peraltro, il 45% degli iscritti all’università non arriva alla
laurea. La presenza di un genitore laureato in famiglia non soltanto aumenta del
15% le probabilità d’iscrizione all’università rispetto a uno studente proveniente
da una famiglia in cui uno dei due genitori abbia un diploma di licenza media, ma
riduce anche considerevolmente l’eventualità d’abbandono degli studi40.
Oltre ad una riproduzione sociale endogama, La Francia e l’Italia soffrono di una
vera e propria sotto-rappresentazione nella sfera politica e in quella dirigenziale
della diversità della loro società.
Nello studio Quelle place pour les minorités visibles ? (2010) l’Insitut Montaigne
si è interessato all’impegno preso dalle principali formazioni politiche francesi di
aprire maggiormente le loro liste alle minoranze etniche. L’inerzia dei partiti per
quanto riguarda i giovani e le donne evidenzia un conservatorismo che penalizza
fortemente anche i candidati provenienti da minoranze etniche. Se vietare il cumulo
dei mandati non è una proposta che riguarda direttamente queste popolazioni,
aprire degli spazi nel nostro sistema politico è una condizione necessaria al loro
accesso a delle cariche politiche.
In Italia, la classe dirigente – gerontocratica e per la maggior parte formata da
persone di sesso maschile – ha delle grosse difficoltà a rinnovarsi. Nel suo libro
Elite e classi dirigenti in Italia, Carlo Carboni insiste sulla necessità di creare delle
alte scuole basate sul merito e l’emulazione che possano formare la futura élite
dirigente al senso della responsabilità e alla conduzione degli affari pubblici.
Deve essere intrapresa una vera riflessione sulla formazione dispensata agli
studenti universitari in Francia come in Italia. Si tratta di promuovere la
padronanza dei saperi, l’acquisizione delle competenze, la conoscenza del mondo
“reale”, l’apprendimento del senso di responsabilità, lo sviluppo dell’autonomia
e la realizzazione di lavori di gruppo, complemento indispensabile allo sforzo
individuale.
Nella classifica mondiale sulla presenza delle donne nei parlamenti nazionali
realizzata dall’Unione interparlamentare nel 201141, su 187 paesi, l’Italia si
piazza al 50° posto con il 21% alla Camera (e il 18% al Senato), mentre la
40
41
Andrea Rossi, « L’università ritorna un lusso per pochi », La Stampa, 8 febbraio 2010.
http://www.ipu.org/wmn-f/classif.htm
64
PROPOSTE
Francia occupa la 60o posizione con il 18% all’Assemblea Nazionale (e il 22%
al Senato).
Sui siti istituzionali italiani vi sono scarsissime informazioni riguardo alla questione
dell’accesso agli studi e all’università a seconda dell’origine sociale ed etnica per
riprendere una nozione molto diffusa in Italia (nei rapporti annuali del Ministero
della Pubblica Istruzione e della Ricerca, ad esempio, non è fatta alcuna menzione
dell’origine sociale).
La crisi economica del 2008 ha pesato molto sui giovani italiani: l’80% dei giovani
laureandi provenienti da famiglie a basso reddito lavora, spesso a tempo pieno,
durante gli studi42. Il calo del numero delle iscrizioni all’università osservato nel
corso di questi ultimi tre anni, concerne, in particolare, gli studenti proventi da
ceti modesti43.
Le disparità tra Nord e Sud dell’Italia nell’accesso al titolo di studio sono
considerevoli. Ad una disuguaglianza della performance si aggiunge una più forte
propensione all’abbandono degli studi. Nel 2008, il 20% dei giovani italiani aveva
abbandonato gli studi. Questo dato sale al 24% nel Sud dell’Italia44.
Proposta 5: Fare della diversità una chance per la democrazia
Allargare la base di reclutamento delle élite nei due paesi, in direzione delle
donne, delle categorie sociali più povere e delle minoranze definite “visibili”
in Francia e “etniche” in Italia. Ciò presuppone il finanziamento di borse di
studio pubbliche e private fondate su criteri d’eccellenza. In Italia, i luoghi
di formazione delle élite in una prospettiva meritocratica sono relativamente
scarsi e devono diventare una preoccupazione di primo ordine sia per lo Stato
che per le imprese.
Accordare il diritto di voto ai residenti extracomunitari alle elezioni
amministrative alfine di favorire la rappresentanza politica delle minoranze
etniche.
42
43
44
Andrea Rossi, op. cit.
Ibid.
Italia: livello di istruzione e conseguimento del titolo : http://www.disuguaglianzesociali.it/UserFiles/File/Scuola.pdf
65
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
Chiedere ai partiti politici di elaborare, ogni due anni, un rapporto pubblico
sulla posizione delle minoranze etniche e delle donne nei loro organigrammi.
Questo rapporto andrebbe consegnato, in Francia, al Défenseur des droits45 e,
in Italia, ai Presidenti del Senato e della Camera.
Proposta 6: Ripensare le politiche familiari
La questione demografica è vitale per la Francia come lo è per l’Italia. Domani
l’Europa avrà delle generazioni di giovani attivi meno numerose di un terzo rispetto
a quelle di oggi.
La Francia è sempre considerata come esemplare in materia di natalità (2,1 figli per
donna nel 2010); la politica familiare costituisce una delle rare eccezioni francesi
invidiate dai vicini europei. Se essa conserva una natalità unica in Europa, è
soprattutto grazie ad una delle eredità del periodo post 1945: una politica familiare
generosa e repubblicana, a vocazione universale – attraverso dei contributi alle
famiglie – e orizzontale – per via del sistema del quoziente familiare che permette di
ripartire gli oneri fiscali e di ridurre le disuguaglianze tra nuclei con o senza figli. La
Francia si situa al primo posto in Europa per l’ammontare delle spese in materia di
protezione sociale: esse rappresentano, nel 2008, il 31% del PIL, rispetto ad una
media comunitaria del 25,3%.
Tuttavia, la politica familiare e le sue prestazioni universali, considerate come delle
detrazioni fiscali da sopprimere, è oggi sempre più minacciata e rischia d’essere
dissolta nella politica sociale. Del resto, una donna su due vorrebbe un figlio in più
ma è costretta a rinunciarvi a causa delle difficoltà nel conciliare la vita familiare e
quella professionale46.
La politica familiare costituisce una posta in gioco centrale per quanto riguarda lo
sviluppo demografico, sociale ed economico della Francia, cio’ si verifica in modo
ancor più saliente in Italia.
45
46
Eric Keslassy, op. cit.
Michel Godet, Repenser la politique familiale, Contribution au débat, Institut Montaigne, ottobre 2011.
66
PROPOSTE
L’Italia si situa allo stesso livello dell’Inghilterra o del Giappone e si caratterizza
per un tasso di natalità molto basso (1,4 figli per donna nel 2010) accompagnato
da un tasso d’occupazione femminile altrettanto basso che raggiunge appena il
47% contro il 60% in Francia47. Se da un lato l’Italia tra i paesi con la più alta
copertura pensionistica – “il livello delle spese è di circa il 20% superiore alla
media europea ed esse rappresentano il 65% dell’intera spesa sociale”48 – dall’altro,
dispone di politiche familiari deboli. Queste ultime “in parte a causa dell’eredità del
fascismo, non sono state considerate come una priorità di una politica nazionale
condotta dallo Stato repubblicano”49. Così, secondo Marco Oberti, la dimensione
cosiddetta “familiarista” della società italiana comporta tre aspetti. Il primo proviene
dalla debolezza del sostegno delle politiche pubbliche agli individui e ciò implica
il ricorso alle solidarietà informali, come nel caso della cura dei bambini piccoli o
della gestione delle attività del post scuola. Il secondo aspetto rinvia alle specificità
del mercato del lavoro che conduce alla marginalizzazione dei giovani e delle
donne, rinforzando così la loro dipendenza economica dai legami familiari. Inoltre,
“l’assenza di strutture d’accoglienza e di cura per bambini piccoli non facilita la
partecipazione delle donne al mercato del lavoro”50: il debole tasso di fecondità è
una manifestazione di questa situazione. Il terzo elemento inserisce le solidarietà
familiari in un quadro più culturale: “nel 1996, il 73% dei giovani italiani fino
ai 30 anni viveva a casa dei loro genitori (…) anche quando aveva un impiego
stabile”51. La politica familiare è quasi inesistente in Italia mentre “la dipendenza
familiare tradizionale si scontra con le aspirazioni delle nuove generazioni di donne,
e ostacola la fecondità”52.
Così, se le Allocations familiales sono universaliste in Francia, gli Assegni al
Nucleo Familiare italiani sono versati secondo determinate condizioni di reddito
e dipendono dalla composizione del nucleo familiare: essi sono versati soltanto ai
lavoratori dipendenti, ai disoccupati beneficiari di sussidio e ai pensionati53. Per
quanto riguarda l’ammontare delle prestazioni di sostegno al reddito, “una famiglia
con due bambini, rispettivamente di 2 e 4 anni, con un reddito lordo annuale di 23.
47
48
49
50
51
52
53
apporto della Commissione contabile della Sécurité sociale, « Comparaison des politiques familiales, taux de fécondité
R
et emploi des femmes en Europe », settembre 2011.
Marco Oberti, « La protection sociale entre la famille, le marché et l’État providence », in Marc Lazar (dir.), L’Italie
contemporaine de 1945 à nos jours, Parigi, Fayard, 2009.
Ibid.
Ibid.
Ibid.
Ibid.
« Services à l’enfance en Italie et en France : ressources et contraintes entre égalité d’opportunité et liberté de choix »,
2006 : http://rt6-afs.org/IMG/pdf/Bordeaux_RT6_Sabatinelli.pdf
67
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
300 euro (circa 1,5 del salario minimo francese) riceve in Italia 111,55 euro al mese
(nel 2003). La stessa famiglia riceve in Francia 274,25 euro (Allocations familiales
+ Apje), ovvero più del doppio. Se i due figli hanno meno di tre anni, il totale versato
in Francia raggiunge i 435,91 euro mentre in Italia la cifra rimane invariata”54.
Un’altra differenza tra i due paesi in materia di costo dei servizi relativi alla custodia
dei bambini riguarda il grado di omogeneizzazione nazionale: “in Francia sia le spese
per gli asili nido pubblici che i contributi per la custodia individuale dei bambini
piccoli sono definiti a livello nazionale. Al contrario, in Italia, tale montante varia in
modo considerevole tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud, nonché da un
comune all’altro”55 e dipende quindi dalle loro disponibilità finanziarie.
L’offerta in questo campo è insufficiente in entrambi i paesi, per quanto la
Francia abbia un livello d’istituzionalizzazione dei tipi di servizi di custodia più
sviluppato che in Italia (la custodia effettuata dai genitori è accompagnata da
un compenso monetario, quella individuale può essere effettuata soltanto da
personale qualificato, gli asili nido sono dotati d’importanti sovvenzioni pubbliche).
Ricordiamo, però, che in Francia soltanto il 10% dei bambini ha accesso ad un
posto all’asilo nido. La famiglia – e in particolare il ricorso ai nonni – rimane
il tipo di custodia dei bambini piccoli più utilizzato in Italia, paese in cui il
sistema di custodia si fa carico del 40% in meno di bambini che in Francia56.
Proposta 6: Ripensare le politiche familiari
Sviluppare e diversificare i sistemi di custodia dei bambini permettendo
di conciliare la vita professionale con quella familiare, in modo particolare
semplificando notevolmente le procedure e gli obblighi amministrativi legati
alla creazione e al funzionamento degli asili nido comunali, di quelli gestiti dai
genitori, dalle associazioni e dalle imprese.
Instaurare, in Francia, un sussidio significativo fin dal primo figlio e mettere in
atto una vera politica familiare in Italia.
54
55
56
Ibid.
Ibid.
Rapporto della Commissione contabile della Sécurité sociale, op. cit.
68
PROPOSTE
III. R ilanciare la cooperazione franco-italiana in una
prospettiva euro-mediterranea
Proposta 7: Creare un Centro di ricerca e d’iniziative franco-italiane che accolga anche un incubatore d’impresa57 con una sede in Francia e una in Italia.
Finanziato con dei fondi pubblici e privati, questo Centro avrà come compito di
finanziare dei progetti di ricerca e dei dottorati di studenti italiani sulla Francia e
di studenti francesi sull’Italia in tutti i campi (economia, politica, società, storia,
ecc.). Servirà anche come organismo di consulenza per le politiche pubbliche e le
imprese. Gli incubatori permetteranno di rafforzare i legami tra ricerca fondamentale
e ricerca applicata, accogliendo in uno stesso luogo dei profili diversi – provenienti
in particolare da differenti discipline – e offrendo le risorse e i consigli necessari per
concretizzare e sviluppare dei progetti innovativi. In stretto contatto con il centro di
ricerca, l’incubatore incoraggerà i progetti imprenditoriali binazionali e avvierà un
avvicinamento della ricerca con il mondo delle imprese.
Il Centro stilerà un rapporto annuale sulle relazioni franco-italiane che sarà presentato al pubblico e ai media e potrà servire come materiale di riflessione per i vertici
intergovernativi annuali. Infine, organizzerà degli incontri e delle “Giornate francoitaliane” aperte ai media e al pubblico, in una prospettiva europea e mondiale su
delle tematiche d’attualità, ad esempio, il sistema bancario, le questioni migratorie
o quelle energetiche, l’avvenire industriale della Francia e dell’Italia, la ricerca e lo
sviluppo, le questioni agricole, ecc. Vi parteciperebbero i Ministri incaricati dei dossier o i loro collaboratori, i Commissari europei incaricati delle questioni discusse,
gli imprenditori interessati e i ricercatori, studenti, ecc.
Proposta 8: Rinforzare i mezzi e l’azione dell’Università franco-italiana58 con
dei fondi privati che permetteranno di aumentare il numero delle borse di studio per
gli studenti e gli aiuti alla mobilità dei professori e dei ricercatori favorendo l’eccellenza
accademica.
Proposta 9: Incitare le università francesi e italiane a condurre una politica volontaristica d’accoglienza degli studenti del bacino del Mediterraneo,
57
58
Gli incubatori d’impresa sono delle strutture d’accompagnamento di progetti di creazione d’imprese.
’Université franco-italienne / Università Italo Francese (UFI/UIF) é una istituzione creata sulla basedi un accordo
L
intergovernativo, firmato a Firenze il 6 ottobre 1998. L’UFI/UIF contribuisce a favorire l’integrazione dei sistemi europei di
formazione universitaria e di ricerca, adoperandosi, ad esempio, per un rafforzamento della cooperazione universitaria tra la
Francia e l’Italia, nel quadro della formazione professionale e della ricerca, o ancora per favorire il rilascio di doppi diplomi e
di diplomi congiunti, attraverso la realizzazione di percorsi di studio comuni. Vedi http://www.universita-italo-francese.org/
69
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
in particolare quelli provenienti dall’Egitto, dalla Libia e dai paesi del Maghreb
per facilitare la loro venuta in Francia e in Italia e assicurare loro una formazione
d’eccellenza scientifica, tecnica ma anche in scienze umanistiche e sociali. Questo
contributo alla formazione delle élite dirigenti di questi paesi dovrebbe incitare le imprese ad aiutare i migliori studenti selezionati attribuendo loro una borsa di studio.
Proposta 10: Suscitare, ad iniziativa della coppia franco-italiana, una politica
europea nei riguardi del Mediterraneo, degna di questo nome, in particolare
per lo sviluppo economico, l’energia, la formazione dei giovani, la cooperazione
culturale. Questa dimensione euro-mediterranea può incarnare il rinnovamento di
una politica franco-italiana facendosi questi due paesi i portatori di questo progetto
in Europa.
70
Comitato di Direzione
• Claude Bébéar Presidente
• Henri Lachmann Vice-presidente e tesoriere
• Nicolas Baverez Economista, avvocato
• Jacques Bentz Presidente, Tecnet Participations
•G
uy Carcassonne Professore di diritto pubblico, Université Paris Ouest Nanterre
La Défense
• Mireille Faugère Direttrice, AP-HP
• Christian Forestier Amministratore generale, Cnam
• Michel Godet Professore, Cnam
•F
rançoise Holder Presidente del Consiglio di sorveglianza, Paul et administrateur,
Groupe Holder
• Natalie Rastoin Direttrice generale, Ogilvy France
• Jean-Paul Tran Thiet Avvocato, White & Case
•A
rnaud Vaissié PDG, International SOS e Presidente della Chambre de commerce
française de Grande-Bretagne
• Philippe Wahl Presidente del direttorio, La Banque Postale
• Lionel Zinsou Presidente, PAI partners
Presidente d’Onore
• Bernard de La Rochefoucauld Fondatore, Institut La Boétie
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
Consiglio d’Orientamento
• Ezra Suleiman Presidente, Professore, Princeton University
• Henri Berestycki Matematico, EHESS e Università di Chicago
• Loraine Donnedieu de Vabres Avvocato, Jeantet Associés
• Jean-Paul Fitoussi Professore d’economia, Sciences Po e Presidente, OFCE
•M
arion Guillou Presidente, INRA e Presidente del Consiglio d’Amministrazione,
École polytechnique
• Pierre Godé Vice-presidente, Groupe LVMH
• Sophie Pedder Corrispondente a Parigi, The Economist
• Guillaume Pepy Presidente, SNCF
• Hélène Rey Professore d’economia, London Business School
• Laurent Bigorgne Direttore
72
PUBBLICAZIONI
• Pour des réseaux électriques intelligents (février 2012)
• Un CDI pour tous
Céline Gleize (novembre 2011)
• Repenser la politique familiale
Michel Godet (octobre 2011)
• Formation professionnelle : pour en finir avec les réformes inabouties
Pierre Cahuc, Marc Ferracci, André Zylberberg (octobre 2011)
• Banlieue de la République
Gilles Kepel avec la collaboration de Leyla Arslan, Sarah Zouheir
(septembre 2011)
• De la naissance à la croissance : comment développer nos PME (juin 2011)
• Reconstruire le dialogue social (juin 2011)
• Adapter la formation des ingénieurs à la mondialisation
Romain Bordier, Aloïs Kirchner et Jonathan Nussbaumer (février 2011)
• « Vous avez le droit de garder le silence… »
Comment réformer la garde à vue
Kami Haeri (décembre 2010)
• Gone for Good? Partis pour de bon ?
Les expatriés de l’enseignement supérieur français aux États-Unis
Ioanna Kohler (novembre 2010)
• 15 propositions pour l’emploi des jeunes et des seniors (septembre 2010)
• Afrique - France. Réinventer le co-développement (juin 2010)
• Vaincre l’échec à l’école primaire (avril 2010)
• Pour un Eurobond. Une stratégie coordonnée pour sortir de la crise
Frédéric Bonnevay (février 2010)
• Réforme des retraites : vers un big-bang ?
Jacques Bichot (mai 2009)
• Mesurer la qualité des soins
Denise Silber (février 2009)
• Ouvrir la politique à la diversité
Eric Keslassy (janvier 2009)
• Engager le citoyen dans la vie associative (novembre 2008)
• Comment rendre la prison (enfin) utile (septembre 2008)
• Infrastructures de transport : lesquelles bâtir, comment les choisir ?
(juillet 2008)
• HLM, parc privé
Deux pistes pour que tous aient un toit
Gunilla Björner (juin 2008)
73
I TA L I A – F R A N C I A : G I O C O D I S P E C C H I
•C
omment communiquer la réforme (mai 2008)
• Après le Japon, la France…
Faire du vieillissement un moteur de croissance
Romain Geiss (décembre 2007)
• Au nom de l’Islam…
Quel dialogue avec les minorités musulmanes en Europe ?
Antonella Caruso (septembre 2007)
• L’exemple inattendu des Vets
Comment ressusciter un système public de santé
Denise Silber (juin 2007)
• Vademecum 2007-2012
Moderniser la France (mai 2007)
• Après Erasmus, Amicus
Pour un service civique universel européen (avril 2007)
• Quelle politique de l’énergie pour l’Union européenne ? (mars 2007)
• Sortir de l’immobilité sociale à la française
Anna Stellinger (novembre 2006)
• Avoir des leaders dans la compétition universitaire mondiale (octobre 2006)
• Comment sauver la presse quotidienne d’information (août 2006)
• Pourquoi nos PME ne grandissent pas
Anne Dumas (juillet 2006)
• Mondialisation : réconcilier la France avec la compétitivité (juin 2006)
• TVA, CSG, IR, cotisations…
Comment financer la protection sociale
Jacques Bichot (mai 2006)
• Pauvreté, exclusion : ce que peut faire l’entreprise (février 2006)
• Ouvrir les grandes écoles à la diversité (janvier 2006)
• Immobilier de l’État : quoi vendre, pourquoi, comment (décembre 2005)
• 15 pistes (parmi d’autres…) pour moderniser la sphère publique
(novembre 2005)
• Ambition pour l’agriculture, libertés pour les agriculteurs (juillet 2005)
• Hôpital : le modèle invisible
Denise Silber (juin 2005)
• Un Contrôleur général pour les Finances publiques (février 2005)
74
PUBBLICAZIONI
•M
ondialisation et dépossession démocratique : le syndrome du gyroscope
Luc Ferry (décembre 2004)
• Cinq ans après Lisbonne : comment rendre l’Europe compétitive
(novembre 2004)
• Ni quotas, ni indifférence : l’entreprise et l’égalité positive
Laurent Blivet (octobre 2004)
• Pour la Justice (septembre 2004)
• Régulation : ce que Bruxelles doit « vraiment » faire (juin 2004)
• Couverture santé solidaire (mai 2004)
• Engagement individuel et bien public (avril 2004)
• Les oubliés de l’égalité des chances (janvier 2004 - Réédition septembre 2005)
• L’hôpital réinventé (janvier 2004)
• Vers un impôt européen ? (octobre 2003)
• Compétitivité et vieillissement (septembre 2003)
• De « la formation tout au long de la vie » à l’employabilité (septembre 2003)
• Mieux gouverner l’entreprise (mars 2003)
• L’Europe présence (tomes 1 & 2) (janvier 2003)
• 25 propositions pour développer les fondations en France (novembre 2002)
• Vers une assurance maladie universelle ? (octobre 2002)
• Comment améliorer le travail parlementaire (octobre 2002 – épuisé)
• L’articulation recherche-innovation (septembre 2002 – épuisé)
• Le modèle sportif français : mutation ou crise ? (juillet 2002 – épuisé)
• La sécurité extérieure de la France face aux nouveaux risques stratégiques
(mai 2002)
• L’Homme et le climat (mars 2002)
• Management public & tolérance zéro (novembre 2001)
• Enseignement supérieur : aborder la compétition mondiale à armes égales ?
(novembre 2001 – épuisé)
• Vers des établissements scolaires autonomes (novembre 2001 – épuisé)
Le pubblicazioni possono essere ottenute presso
la segreteria dell’Institut (tel. : 33 1 58 18 39 29)
e possono essere scaricate sul sito :
www.institutmontaigne.org
75
PRESENTAZIONE DELL’INSTITUT MONTAIGNE
L’Institut Montaigne é un laboratorio di idee - think tank – creato alla fine del
2000 da Claude Bébéar e diretto da Laurent Bigorgne. E’ indipendente dal punto
di vista politico e i suoi finanziamenti, esclusivamente privati, sono estremamente
diversificati, nessun contributo eccede il 2 % del suo bilancio annuale. In totale
indipendenza, riunisce degli imprenditori, dei funzionari pubblici, degli accademici
e dei rappresentanti della società civile provenienti da orizzonti e da esperienze
estremamente varie. Esso concentra i suoi interessi su tre assi di ricerca:
•C
oesione sociale
Mobilità sociale, integrazione delle minoranze, legittimità delle élite…
•M
odernizzazione dell’azione pubblica
Riforma dello Stato, istruzione, sistema sanitario…
•S
trategia economica e europea
Competitività, specializzazione industriale, regolazione...
Grazie ai suoi esperti associati e ai suoi gruppi di lavoro, l’Institut Montaigne elabora
delle proposte concrete di lungo termine sulle principali poste in gioco alle quali le
nostre società sono confrontate. Esso contribuisce in questo modo alle evoluzioni
della coscienza sociale. Le sue raccomandazioni sono il risultato di un metodo
d’analisi e di ricerca rigoroso e critico. Esse sono in seguito attivamente promosse
presso i responsabili pubblici. Attraverso le sue pubblicazioni e le sue conferenze,
l’Institut Montaigne intende svolgere pienamente il suo ruolo d’attore del dibattito
democratico.
L’Institut Montaigne si assicura della validità scientifica e della qualità editoriale dei
lavori che pubblica, ma le opinioni e i giudizi che vi sono formulati appartengono
esclusivamente ai loro autori. Essi non sono imputabili né all’Institut, né, a fortiori,
ai suoi organi direttivi.
77
GDF Suez
The Boston Consulting Group
Axa
Cremonini
Carrefour
Areva
Rallye – Casino
Allianz
Air France KLM
Servier Monde
Groupama
Bouygues
BNP Paribas
Development Institute International - Dii
BPCE
Bolloré
STMicroelectronics
SNCF Groupe
Redex
McKinsey & Company
Lazard Frères
Michel Tudel & Associés
EADS
Egon Zehnder International
Pierre & Vacances
LVMH – Moët-Hennessy – Louis Vuitton
Schneider Electric
Barclays Private Equity
Caisse des Dépôts
APC – Affaires Publiques Consultants
Groupe Dassault
Eurazeo
Linedata Services
RTE Réseau de Transport d’Electricité
HSBC France
Tecnet Participations
CNP Assurances
SFR
RATP
PricewaterhouseCoopers
Rothschild & Cie
Sodexo
VINCI
A D E R E N T I D E L L’ I N S T I T U T M O N TA I G N E
abertis
JeantetAssociés
The Royal Bank of Scotland France
BearingPoint
Veolia Environnement
Capgemini
GE Money Bank
Association Passerelle
International SOS
Ondra Partners
Sanofi-aventis
Voyageurs du monde
Vivendi
Média-Participations
KPMG S.A.
sia conseil
Assemblée des Chambres Françaises de Commerce et d’Industrie
Tilder
M6
Wendel Investissement
Total
Davis Polk & Wardwell
3i France
august & debouzy avocats
Mercer
WordAppeal
Ricol, Lasteyrie et Associés
IBM
ISRP
Mazars
PAI
Vallourec
Générale de Santé
La Banque Postale
Microsoft
Middlebury
France Télécom – Orange
Stallergenes
Allen & Overy
Suez environnement
Groupe Sorin
Cabinet Ngo Cohen Amir-Aslani
Google
A D E R E N T I D E L L’ I N S T I T U T M O N TA I G N E
Comitato di Direzione
Claude Bébéar Presidente
Henri Lachmann Vice-presidente e tesoriere
Nicolas Baverez Economista, avvocato
Jacques Bentz Presidente, Tecnet Participations
Guy Carcassonne Professore di diritto pubblico, Université Paris Ouest Nanterre La Défense
Mireille Faugère Direttrice, AP-HP
Christian Forestier Amministratore generale, Cnam
Michel Godet Professore, Cnam
Françoise Holder Presidente del Consiglio di sorveglianza, Paul
e amministratore, Groupe Holder
Natalie Rastoin Direttrice generale, Ogilvy France
Jean-Paul Tran Thiet Avvocato, White & Case
Arnaud Vaissié International SOS e Presidente della Chambre de commerce française de Grande-Bretagne
Philippe Wahl Presidente del direttorio, La Banque Postale
Lionel Zinsou Presidente, PAI partners
Presidente d’Onore
Foto di copertina © Antoine Antoniol / Getty Images / AFP
Bernard de La Rochefoucauld Fondatore, Institut La Boétie
Consiglio d’Orientamento
Presidente
Ezra Suleiman Professore, Princeton University
Henri Berestycki Matematico, EHESS e Università di Chicago
Loraine Donnedieu de Vabres Avvocato, Jeantet Associés
Jean-Paul Fitoussi Professore d’economia, Sciences Po e Presidente, OFCE
Marion Guillou Presidente, INRA e Presidente del Consiglio d’Amministrazione, École polytechnique
Pierre Godé Vice-presidente, Groupe LVMH
Sophie Pedder Corrispondente a Parigi, The Economist
Guillaume Pepy Presidente, SNCF
Hélène Rey Professore d’economia, London Business School
Laurent Bigorgne Direttore
N on v i è d e s i d e r io pi ù n a t u r a l e d e l d e s i d e r io d i cono s c e nz a
Italia-Francia: gioco di specchi
L’anno 2011 é stato teatro di eventi importanti che spingono la Francia e l’Italia ad avere un ruolo di primo piano. Come nel caso del rilancio di una politica in direzione del Mediterraneo nel contesto delle Primavere arabe o anche per quanto riguarda la crisi economica e finanziaria europea. I nostri due paesi hanno dei reali interessi a cooperare in una prospettiva
bilaterale, europea e mondiale.
Oltre alla complementarietà delle loro economie, questo studio sottolinea i punti di convergenza tra l’Italia e la Francia e formula una serie di proposte
concrete per rinnovare i nostri sistemi democratici, favorire la crescita economica e rinforzare la coppia franco-italiana.
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Italia-Francia:
gioco di specchi
Marc LAZAR
10 
ISSN 1771-6756
Febbraio 2012
S t u d i o F e b b r a io 2 0 1 2