Untitled - Barz and Hippo
Transcript
Untitled - Barz and Hippo
scheda tecnica durata: 142 MINUTI nazionalità: USA, GRAN BRETAGNA anno: 2010 regia: CHRISTOPHER NOLAN sceneggiatura: CHRISTOPHER NOLAN fotografia: WALLY PFISTER scenografia: GUY DYAS costumi: JEFFREY KURLAND montaggio: LEE SMITH musica: HANS ZIMMER produzione: CHRISTOPHER NOLAN, KANJIRO SAKURA, YOSHIKUNI TAKI, EMMA THOMAS distribuzione: WARNER BROS ITALIA attori: LEONARDO DICAPRIO (COBB), KEN WATANABE (SAITO), JOSEPH GORDON-LEVITT (ARTHUR), MARION COTILLARD (MAL), ELLEN PAGE (ARIADNE), FISCHER), TOM HARDY TOM (EAMES), CILLIAN MURPHY BERENGER (BROWNING), MICHAEL (ROBERT CAINE (IL PROFESSORE), LUCAS HAAS (NASH), DILEEP RAO (YUSUF), PETE POSTLETHWAITE (MAURICE FISCHER) la parola ai protagonisti Leonardo Godano intervista Christopher Nolan "Inception" arriva finalmente in Italia (600 copie) dopo aver avuto un successo planetario (ad oggi 753 milioni di dollari). Temevate fosse un blockbuster complicato, quasi troppo audace per il grande pubblico? Come le sembrano i risultati? E' vero, il risultato è andato oltre le nostre aspettative. Il film poteva essere anche mal interpretato essendo concepito come un puzzle, su più livelli, avevamo paura che il pubblico potesse trovarlo ostico. Ma dopo tutto, quello che volevamo realizzare era un'esperienza divertente, un viaggio nella mente dell'uomo per il grande pubblico e così è stato. Il film, nelle sue componenti action, ricorda molti film noti. Quali sono le sue fonti di ispirazione? Ho cominciato a scrivere Inception circa dieci anni fa, quando le tematiche che il film esplora erano ancora più aliene di quanto già non appaiano ora, ma in quel momento in cui tutti si chiedevano cosa è reale io volevo invertire questa domanda per capire cosa è virtuale. E così ho creato i diversi livelli di sogno e la struttura architettonica dello script risultava meno complessa. In quegli anni studiavo Ridley Scott (Blade Runner) e Stanley Kubrick (2001: Odissea nello spazio). Poi ho studiato i film che in quel periodo cominciavano a esplorare il mondo virtuale come Matrix, Dark City e Il tredicesimo piano. I Wachowski, per convincere i dirigenti Warner Bros. a produrre “Matrix”, hanno realizzato un dettagliatissimo storyboard, quasi un fumetto intero. Lei come li ha convinti? No, io non realizzo storyboard. Il Cavaliere Oscuro mi ha dato la grande possibilità di realizzare quello che volevo, così ho solo presentato agli studios la sceneggiatura! E' solo un'impressione o è possibile vedere nella composizione e nel lavoro del team di Dom Cobb (Leonardo Di Caprio) una somiglianza ad una troupe cinematografica? Quando ho scritto la sceneggiatura ho prestato molta attenzione al team di Cobb, alla sua composizione e al suo lavoro. Doveva essere il più vicino possibile alla realtà , ma solo rivedendolo a posteriori ci siamo accorti che, in effetti, il parallelismo è corretto, seppure all'inizio non fosse voluto. Io sono Leo mentre l'architetto è lo scenografo. L'universo che ha creato con “Inception” è potenzialmente infinito e sarebbe un peccato non sfruttarlo ulteriormente. C'è nella sua mente l'eventualità di un prequel o uno spin-off? E' vero, il mondo di “Inception” è sconfinato, e volevo dare proprio quest'impressione al pubblico, volevo che una volta uscito dalla sala rimanesse affascinato e incantato da questo mondo. Al momento stiamo pensando, tra le varie cose, alla realizzazione di un videogioco, che è sicuramente il progetto più fattibile al momento. Carola Proto intervista Leonardo DiCaprio Qual è il fascino di Don Cobb, un personaggio che all'esistenza reale alterna una serie di vite immaginarie? Oltre al personaggio di Cobb, mi affascinava l'idea di lavorare insieme a Christoper per provare a fare un film che non fosse solamente una grande produzione hollywoodiana, ma anche un'opera molto cerebrale, provocatoria, complessa e soprattutto capace di sollevare interrogativi esistenziali. Sono elementi che al giorno d'oggi è quasi impossibile trovare al cinema. Continui a leggere sempre la stessa storia, che ti sembra di aver sentito raccontare almeno un milione di volte. Inception, al contrario, mi è sembrato un film originale al 100%, non avevo mai visto nulla del genere. Credo sia qualcosa di unico, rivoluzionario. Chris è un genio. C'era qualcosa che la preoccupava inizialmente? Quali erano le difficoltà da affrontare? Più che di difficoltà, si trattava di una vera e propria missione che Chris ed io dovevamo portare a termine, e che consisteva nel creare per il mio personaggio uno sviluppo emotivo coerente con il suo progressivo inoltrarsi nel mondo dei sogni. Mentre si addentra nei vari livelli onirici, Cobb deve anche venire a patti con se stesso, ed è come una lunga psicoanalisi. Credo che Inception sia una psicoterapia di 2 ore e mezzo nella quale un uomo deve affrontare i suoi incubi e le cose che maggiormente lo preoccupano nella vita reale. In questo senso, un personaggio di un sogno poteva diventare il terapista di Cobb, un altro personaggio uno dei suoi demoni e i suoi aiutanti addirittura dei preziosi collaboratori nel processo psicoanalitico. E che mi dice dei demoni di Leonardo Di Caprio? E' riuscito a venire a patti con loro dopo questo film? Non so quanti demoni mi diano la caccia al momento, di certo li affronto facendo film. Credo che la cosa più interessante del mio lavoro di attore sia che sul set riesco a sfogare una buona parte delle mie emozioni. Sono un ragazzo molto fortunato, in questo senso. Nello stesso tempo, credo sia fondamentale mantenere un certo equilibrio interiore mentre ci si prepara a un film. E' una condizione necessaria. Al di là di tutto, è stato veramente stimolante esplorare, attraverso Cobb, i meandri della mente umana. L'esperienza l'ha portata ad essere più sicuro delle sue possibilità e più esigente con se stesso, oppure ha aumentato il suo senso di responsabilità nei confronti di un pubblico che sempre più la ama e la apprezza? Sono esattamente sulla stessa lunghezza d'onda di quando avevo 15 anni. A quell'epoca, mi sono detto: “Adoro il cinema, è la migliore forma d'arte che ci sia perché mi permette di stare seduto 2 ore al buio immerso in una realtà che mi fa dimenticare qualsiasi altra cosa … “. Mi sono detto: “Voglio che diventi il mio lavoro, voglio provare a fare qualcosa di simile a queste persone che considero degli eroi”. Questo mi ha spinto a tentare di lavorare con i migliori registi in circolazione, a cercare dei personaggi interessanti e a dare il meglio sul set. E' sempre stato il mio obiettivo principale. Le cose non sono mai cambiate. La lunghezza d'onda è sempre la stessa. Christopher Nolan Christopher Nolan nasce a Londra il 30 luglio 1970 e inizia a girare corti a sette anni, con la Super 8 del padre. Studia letteratura inglese al University College di Londra e, ancora studente, nel 1989 riesce a far proiettare il suo primo corto sul canale americano PBS: il surrealista Tarantella, girato in Super 8. Dopo aver partecipato al Cambridge Film Festival con Larceny (1996), realizza Doodlebug (1997). Grazie alla moglie Emma Thomas, che produce, nel 1998 Nolan riesce a esordire nel lungometraggio. Following: è un noir in bianco e nero, erede della tradizione britannica degli anni '50. La storia si basa su flashback e flashforward, definendo fin dall'esordio il carattere essenziale del Nolan autore, cioè le sperimentazioni temporali, e racconta di uno scrittore in crisi creativa che pedina sconosciuti nella speranza di avere nuove ispirazioni. In qualche modo, la costruzione di attese fondata su quei salti temporali finisce per far comprendere già dall'inizio dove intende arrivare la storia. Ma qualcosa d'innovativo s'intravede già, al punto che Following vince la Tigre d'oro al festival di Rotterdam nel 1999, e viene proiettato all'Hong Kong Film Festival dello stesso anno. Il suo progetto successivo è Memento (2000): l'idea fondamentale del film è quella di raccontare una storia semplice al contrario, partendo cioè dalla fine. L'inconsueta struttura narrativa è sufficiente a rendere il film un evento. Tratto da un racconto del fratello Jonathan il film è un successo planetario, con tanto di candidatura agli Oscar per la migliore sceneggiatura. Vista l'originalità di Memento, la Warner Bros si interessa a Nolan e gli affida la regia di Insomnia (2002), remake di un film norvegese del '97, con cast spettacolare: Al Pacino, Robin Williams e Hilary Swank. Nolan si cimenta con un thriller basato sull'atmosfera, la luce perenne dell'Alaska, e sul confronto-scontro tra poliziotto e killer. Nolan regala climi rarefatti, come in un dormiveglia, con pochi spari che riecheggiano in grandi lande desolate. L'abilità a dirigere grandi attori e a dilatare il tempo accrescendo la suspence non passa inosservata e la Warner Bros crede in lui, cercandolo come regista del nuovo Batman, quello che dovrebbe risollevare la serie dopo i fiaschi dei fumettistici film di Joel Schumacher. Per Batman Begins si ricostruisce una Gotham City quasi realistica con effetti speciali alla vecchia maniera: l'intenzione è di ridare a Batman uno stile noir, non fumettistico né barocco. Il cast, ancora una volta, è stellare: Michael Caine, Gary Oldman, Morgan Freeman e Liam Neeson. Ma la vera scoperta è Christian Bale, pienamente calato nella parte tormentata e mai così umana per un supereroe, di Batman. Bale diverrà una sorta di attore feticcio per Nolan, che lo rivuole per il seguente The Prestige (2006). Il suo Batman è più oscuro e inquieto che mai e il doverne raccontare la nascita permette inoltre a Nolan di cimentarsi nei suoi amati flashback, riuscendo a evitare la linearità persino in un film d'azione. E se proprio nelle scene d'azione forse Nolan non dà il meglio di sé, arenandosi in sequenze confusionarie, Batman Begins lo decreta maestro nel thriller introspettivo. Senza la magia pop di Tim Burton, ma con un'atmosfera cupa e noir, risolleva la serie dalla crisi. E la Warner, soddisfatta, lo vuole per la regia del quinto episodio, The Dark Knight (2008), dove ricompare la figura di Joker. Ma prima di tornare sull'ombra del pipistrello, Nolan ci regala una delle più piacevoli sorprese del 2006: The Prestige. Per la sceneggiatura torna alla collaborazione col fratello Jonathan, e costruisce un vero gioco di prestigio in tre atti: con la promessa, la svolta e il prestigio. Nolan capisce subito come la magia non stia nel trucco in sé ma nel costringere lo spettatore a focalizzare l'attenzione su qualcosa di irrilevante, in modo da trascurare il punto esatto in cui si nasconde il tranello. La consacrazione come regista maturo ed affidabile arriva per Nolan nel 2010, con il thriller Inception, prodotto dalla Warner Bros e costato qualcosa come 200 milioni di dollari. La sceneggiatura, su cui lo stesso Nolan ha lavorato per quasi 12 anni, si articola su più livelli e rivela la straordinaria capacità del regista inglese di giocare con le sovrapposizioni ed i flashback. Nolan confeziona un prodotto di ottima fattura che in molti cominciano a considerare non solo come il suo miglior lavoro ma anche come un degno pretendente al prossimo Premio Oscar. Filmografia (1989) Tarantella (corto) (2002) Insomnia (1996) Larceny (corto) (2005) Batman Begins (1997) Doodlebug(corto) (2006) The Prestige (1998) Following (2008) Il cavaliere oscuro (2000) Memento (2010) Insomnia Leonardo DiCaprio Nato l’11 novembre 1974, Leonardo DiCaprio cresce, dopo il divorzio dei genitori, accanto a sua nonna in quartiere di Los Angeles conosciuto per l'alto tasso di traffico di stupefacenti. A soli 5 anni prende parte allo show televisivo Romper Room, ma viene velocemente allontanato per la sua maleducazione. A 10 anni, ha già un agente che gli procura delle scritture per alcuni spot commerciali e per pellicole educative del programma televisivo Mickey's Safety Club. I suoi primi ruoli sono soprattutto legati al piccolo schermo: nel 1990, entra nella serie tv Fra nonni e nipoti, poi recita in The New Lassie (1990). Partecipa a Santa Barbara (1990), passando da regista a regista per un numero imprecisato di episodi. Da qui scaturisce la sua cattiva fama di attore indisponente. Il debutto cinematografico avviene invece nel 1991, con il film horror Critters 3. Non è un debutto eccellente, infatti torna immediatamente al piccolo schermo con Pappa e ciccia (1991), ma la sua popolarità comincia a gonfiarsi solo grazie a Genitori in blue jeans (1991-1992). Purtroppo le pellicole cui prende parte si rivelano flop clamorosi. Interpreta il ruolo del giovane ritardato Arnie ne Buon compleanno, Mr. Grape (1993), meritandosi fra l'altro una nomination all'Oscar e al Golden Globe come miglior attore non protagonista, poi si trasforma nell'anomalo adolescente, solitario e ipersensibile di Voglia di ricominciare (1993) con Robert De Niro, che gli insegnerà il Metodo dell'Actor's Studios. Rifiuta il ruolo di Robin in Batman Forever (1995) e prende invece il posto di River Phoenix in Poeti dall'inferno (1995). Recita nel pessimo western Pronti a morire (1995) e torna poi assieme a De Niro, ma anche a Meryl Streep, nel melodramma La stanza di Marvin (1996). Si respira aria di rinascita con Romeo + Giulietta di William Shakespeare (1996) per il cui ruolo di Romeo “pop” vincerà l'Orso d'Argento come miglior attore. Considerato per il ruolo di James Dean in un film basato sulla sua vita, si vede offrire anche il ruolo di Dirk Diggler in Boogie Nights – L'altra Hollywood (1997), ma rifiuterà per il ruolo di Jack in Titanic (1997) di James Cameron. Un successo di dimensioni planetarie che con i suoi incassi al botteghino è balzato al primo posto nella classifica dei film più di successo nella storia del cinema: DiCaprio diventa l'idolo di tutti i teen-agers e nasce la DiCaprio mania! Undici Oscar, nessuno per DiCaprio: viene candidato ai Golden Globe, ma vince solo il premio più vicino al pubblico, l'MTV Movie Award come miglior attore protagonista. Si mette poi al servizio di Woody Allen nel sottovalutato Celebrity (1998), dove fa addirittura il verso a se stesso e al suo mito di attore scalcinato e scavezzacollo, passando poi al più ordinario La maschera di ferro (1998) e uscendone come un Razzie Award per la peggiore coppia del grande schermo (interpretava i due nobili gemelli del romanzo di Dumas). Stesso premio che ritirerà anche per The Beach (2000) nella categoria peggior attore. Dopo i guai dovuti ad una rissa (e i ruoli persi per questo), con la sua buona condotta guadagna il ruolo da protagonista nel film di Steven Spielberg Prova a prendermi (2001), con una nuova candidatura ai Golden Globe. Rifiutato il ruolo di Peter Parker in Spiderman (2002), stringe un importante sodalizio artistico con Martin Scorsese che lo impone accanto a Cameron Diaz e Daniel Day-Lewis in Gangs of New York (2002). Scorsese lo rivorrà anche nel biografico film sul produttore cinematografico Howard Hughes The Aviator (2004), costringendolo a rifiutare il ruolo che andò a Michael Pitt in The Dreamers (2003) di Bernardo Bertolucci, ma premiandolo con una nomination all'Oscar e ai BAFTA come miglior attore protagonista, senza contare il Golden Globe e l'MTV Movie Award nella stessa categoria. Il regista italo-americano, nel pieno di una sua folgorazione artistica per l'attore, lo vuole in The Departed – Il bene e il male (2006), con tanto di nuova nomination ai BAFTA, e in Shutter Island (2009). Una nuova candidatura all'Oscar lo attende in Blood Diamond (2006) e verrà acclamato in Inception (2010). Ambientalista, dedica gran parte del suo denaro e del suo tempo libero ai viaggi in Sud America, dove si impegna per l'ecologia, realizzando documentari e promuovendo attraverso il proprio sito internet ufficiale la salvaguardia di piante e animali in via di estinzione. Filmografia (1990) Fra nonni e nipoti (serie tv) (1995) Ritorno dal nulla (1990) The New Lassie (serie tv) (1995) Pronti a morire (1990) Santa Barbara (soap opera) (1995) Poeti dall’inferno (1991) Pappa e ciccia (serie tv) (1996) La stanza di Marvin (1991-92) Genitori in blue jeans (serie tv) (1996) Romeo + Giulietta di William Shakespeare (1992) Critters 3 (1997) Titanic (1993) Buon compleanno, Mr. Grape (1998) Celebrity (1993) Voglia di ricominciare (1998) La maschera di ferro (2000) The Beach (2007) The 11th Hour (documentario) (2001) Prova a prendermi (2008) Nessuna verità (2002) Gangs of New York (2008) Revolutionary Road (2004) The Aviator (2009) Shutter Island (2006) The Departed – Il bene e il male (2010) Hubble 3D (documentario) (2006) Blood Diamond – Diamanti di sangue (2010) Inception Recensioni Lietta Tornabuoni - La Stampa Leonardo DiCaprio nel sogno del sogno d'un sogno: il triplice livello onirico, insieme con altre meraviglie, fa di Inception di Christopher Nolan un film ammirevole, assai contemporaneo, sospeso tra irrealtà e realtà, enigma e paradosso, specchio di tanti nostri smarrimenti e inquietudini. Il titolo Inception vuol dire origine, inizio: ma può anche essere inteso come immissione, innesto. DiCaprio bravissimo, uno specialista che sa introdursi nei sogni altrui per rubare i segreti del subconscio, viene incaricato da una multinazionale asiatica di fare il contrario, ossia di impiantare un pensiero fisso nel cervello di una vittima. Il pensiero è la volontà di mandare in fallimento l'azienda che la giovane vittima ha appena ereditato, così che l'analoga impresa asiatica possa trarne vantaggio. Già questa trama consente riflessioni sulla capacità di determinare il pensiero altrui, sulla impressionabilità mentale, sul cinismo di certi comportamenti industriali e della competizione. Ma la trama risulta persino sciocca al confronto con la sua fantastica rappresentazione: gusto del dedalo, intrecciarsi dei sogni, disordine psicologico legato all'amnesia. E lo spirito d'avventura con cui tutto ciò viene vissuto, insieme con il rimorso del protagonista che non sa perdonarsi di avere già sperimentato la Inception sulla moglie amatissima portandola alla morte, insieme con l'autoassenza ipnotica, con la somiglianza tra i sonni e sogni dell'esperimento e quelli del cinema. Il sentimento essenziale di questo film molto bello e affascinante è l'incapacità di distinguere il falso dal reale: non è una astrazione ma una concreta analisi della condizione prevalente. Il film stesso è per quanto è possibile il più simile al sogno; se lo spettatore non capisce qualcosa, pazienza, non è importante. Vi si uniscono non trucchi né effetti ma autentiche meraviglie di regìa: due parti della città che si fondono lentamente una nell'altra, specchi giganteschi che riflettono in mezzo alla strada, paradossi, squilibri, labirinti di passioni, l'emozione e lo sgomento del vuoto. Paola Casella - Europa Benvenuti nei sogni degli altri, che sono molto simili ai nostri, per lo meno quanto a logica balzana e ad architetture surreali. Un gruppo di filibustieri, capitanati da Leo DiCaprio, si infiltra nei sogni altrui e vi recita da comprimario, pilotando gli eventi e carpendo i segreti del sognatore. Una storia a metà fra il fantascientifico e lo psicanalitico, con effetti speciali meravigliosi e una capacità straordinaria di ricreare l'universo onirico inaspettatamente comune a tutti noi. Il film stesso è un «sogno di gruppo» a cui siamo tutti invitati a partecipare: chi non accetta il patto col regista si addormenta, chi invece si abbandona a questa esperienza polisensoriale resta inchiodato alla sedia e apre la bocca a ciambella, come un bambino al luna park. La trama viaggia su vari livelli narrativi e interpretativi, e ha dato adito ad infinite interpretazioni e a discussioni su internet. Un blog per tutti: quello del critico Owen Gleiberman della rivista americana Entertainment Weekly, a quota 1054 commenti, dal titolo: «Sono io l'unico che non ci ha capito un cavolo?». Dario Zonta - L'Unità Impossibili istruzioni critiche per comprendere Inception (premesso che è assolutamente inutile descriverne la trama). Primo approccio: razionalista! È possibile affermare che Inception sia un film noioso? Forse è eccessivo, affermarlo, eppure è una sensazione che affiora sincera lungo le due ore e mezza del film. È possibile dire che Inception sia un film troppo complicato? Beh, qui, siamo già sul campo delle possibilità concrete, anche se il labirinto onirico di mille piani sovrapposti è la materia di cui è fatto questo film. È possibile affermare che Inception sia un film d'azione guarnito di ambiziosi artifici intellettualistici? Oddio, ora si esagera, anche se allo scoccare della seconda ora, pure lo spettatore più attento e concentrato stacca l'ingaggio cerebrale e si gode le scene d'azione alla 007, senza più chiedersi che fine ha fatto Borges. È possibile dirsi delusi quando ci si accorge che le più spettacolari scene di avvitamento logico-visivo di Inception siano racchiuse nel trailer e che il resto del film è il tentativo inane di spiegare le ragioni di quell'avvitamento? Legittimo! Insomma, il film americano più atteso della stagione, diretto dal regista più sorprendente e redditizio degli ultimi anni (il Nolan di Memento e del notevole Il cavaliere oscuro), pone una serie infinita di domande senza soluzioni, e forse per questo ha raccolto il successo di mille nazioni. Secondo approccio: evoluzionista! Forse Inception è un film per i posteri che si spera intellettualmente più dotati di noi e in grado di saltare da un modo ad un altro, da un mondo ad un altro con la stessa agilità con cui si richiama un diverso interfaccia sul computer. Ma a tutt'oggi – come tutti gli studi scientifici e statistici dimostrano – la concentrazione media dello spettatore cinematografico medio è molto bassa, tant'è che gli esperti di sceneggiatura dei film americani di cassetta, grazie all'evidenze dei grafici, disegnano ogni tot un picco di emozione. Ora, per i meriti d'incasso dei suoi precedenti film, Nolan è riuscito a ottenere carta bianca dalla Warner (e questa molto coraggiosamente – gli va dato atto – gliela concessa, vincendo la scommessa) per realizzare un film personale, concettuale e complesso ad alto budget, fregandosene dei grafici dei supervisor, dei picchi emozionali e della chiarezza lineare del racconto. E così ha concepito un film diviso in due parti: la prima parte (un'ora circa) che spiega cosa avverrà nella seconda parte (la restante ora e mezza), anche se la difficoltà è tale che la prima lezione non serve alla seconda dimostrazione… quindi tempo perso. Terzo approccio: onirico! Non provate in nessun modo a contenere i mille piani di Inception. Ma fatelo subito, senza perdere tempo! Lasciatevi andare, come se stesse, appunto, sognando. Non c'è rigore e spiegazione, ma accadimenti successivi e sconnessi, circolari e involuti. Delle immagini davvero sorprendenti affioreranno dal vostro inconscio spettatoriale e duetteranno alla pari con le immagini spettacolari di quell'inconscio cinematografico. Ora siete alla pari: sogno contro sogno, visione contro visione, immaginario contro immaginario. E così aderirete senza saperlo al mandato stesso del film che immagina un mondo in cui hacker della mente condividono i sogni delle loro vittime per estrarre o installare idee e pensieri profondi (questo fa Dom Cobb, alias Di Caprio). E come nei sogni, concentratevi sui particolari, perdendo la visione d'insieme. Non c'è un insieme, un tutto. La visione complessiva è un tremendo gioco di specchi,come percorrere le scale di Escher e perdersi all'infinito nel suo affascinante paradosso logico, come cadere nel buco di Alice ricostruendo ogni secondo della caduta. Lasciatevi cadere, appunto come Alice, e forse alla fine, cara fine, troverete il senso ultimo del cinema spettacolare americano: vivere un'esperienza per interposta visione. Troppo complicato? Allora restate a casa... quarto e ultimo approccio. Roberto Silvestri - Il Manifesto Centoquarantotto minuti a osservare gente che dorme e sogna. Poco eccitante? Niente affatto. Rapimenti, combattimenti a ripetizione, inseguimenti mozzafiato sulle Alpi e nei suq, sgretolamenti digitali di metropoli oceaniche, suicidi traumatici, torture e storture anche di paesaggi urbani, visi di bimbi da contemplare e fughe dal labirinto e dalla morte che ricordano Teseo, Orfeo... Siamo a metà tra i miti greci e i James Bond, in una epopea anti global. Solo un collettivo di creativi può fermarne la micidiale distruttività... L'azione è tesa e incalzante, la tensione cresce, come in un thriller giocoso di fantascienza dal climax straordinario. E il match etico è efficace. Quei sogni «lucidi» dentro cui il film ci introduce, e i sogni nei sogni, e i sogni nei sogni dei sogni, con le loro interpretazioni «live», freudianamente sconnesse, con i tempi sfalsati, gli spazi che si animano e si piegano e precipitano o «perdono ossigeno» più che in un 3D, e le interferenze preconscie che pullulano, creano una originalissima e paranoica suspense eischeriana (quando il labirinto sembra proprio indecifrabile e indomabile), che è poi quella di ogni videogiocatore alla playstation, in un viaggio spazio-temporale complesso che, come i sogni, implica inammissibili desideri, segreti, paure, errori, giochetti scherzosi, specchi fallaci, ossessioni... Già. Non stiamo entrando nella versione a 35 fotogrammi al secondo di Sleep di Andy Warhol (5 ore e 21 minuti a 16 fotogrammi...). Questi «dormienti» infatti sono connessi l'un con l'altro da cavi, da droghe e da quelle matrici misteriose ma efficaci che catapultano nel virtuale estremo del migliore cinema tecnologico (da Blade runner a A.I., da Matrix a Avatar) ma sono anche l'interfaccia spettacolare e alientante degli esperimenti biopolitici che tendono a controllare e deviare, spingendo sul subconscio, le idee, i comportamenti, la volontà e la ragione degli individui. Per esempio come fa Berlusconi a ipnotizzare il suo popolo? E gli operai di Melfi perché controfirmano il proprio autosfruttamente intensivo? Forse perché l'alternativa sembra «il niente»? Leonardo DiCaprio, il Mr. Cobb del film, con ancora impressa sul viso la malinconia spettrale di Shutter Island, scopre un sentiero praticabile in questo niente, ed è un po' il vendicatore dell'anonima «clandestini nomadi del mondo». Portabandiera del lavoratore autonomo postcognitivo, inventa un settore operativo di mercato emergente, quello onirico. Su commissione di un magnate giapponese aggredito da un super magnate forma così la sua squadra: l'aiuto fedele (una sorta di Robin, il suo avatar), un matematico dell'inganno, una architetta dell'impossibile, un chimico psichedelicamente strapotente. Deve creare la simulazione di «un mondo a parte» inverosimile plausibile, innestandovi, con destrezza, i sogni di Robert Fischer jr., giovane rampollo del vorace Moloch che sta per divorare l'unica azienda (appunto quella giapponese) che gli resiste, e fargli cambiare idea, modificargli il set mentali. Un elettroshock delicato. È il solito procedimento della «fabbrica dei sogni»: e Inception è l'analogon di un set cinematografico seducente, con scenografo, produttore e regista all'opera, per creare il magico effetto realtà. Ed è anche la metafora dell'attore, e di come riesca, con la tecnica dell'imitazione o della immedesimazione, o facendo un mix delle due, memoria sensitiva e memoria inconscia, a rendere «spesso» il suo personaggio e a creare un «campo di tensione» irresistibile sullo schermo come in platea (Leo DiCaprio qui è particolarmente magnetico). Devono aver proceduto in questo modo per capovolgere, non dico la testa di Fini, ma certo quella di Obama, a giudicare dal discorso dell'altro ieri all'Onu sui gravi problemi del millennio (fame, sottosviluppo, mortalità infantile, soprattutto in Africa). Obama ha detto: dobbiamo invertire la logica dello sviluppo capitalistico: aiutare i paesi sottosviluppatio in maniera differente, rigorosa e efficace, perché costruire la loro ricchezza vorrò dire edificare anche la nostra ricchezza. Sottinteso: prima il vostro sottosviluppo era la nostra ricchezza. Solo parole? Sogni? Utopie? Comunque sono altre parole, altri sogni e fa bene il cineasta britannico Christopher Nolan finora più gelido, criptico e filosoficamente concentrato (in Memento, i due Batman e Insomnia) a ampliare con più leggerezza il campo della nostra immaginazione, lavorando sulle relazioni tra film e sogni (il cinema, Freud e Tesla sono, infatti, coetanei). Valerio Caprara - Il Mattino Inserire il seme dell'originalità d'autore nella superficie di un blockbuster è un'operazione temeraria: il rischio, ovviamente, è quello d'insabbiarsi sia nell'una che nell'altra direzione. Nel caso del regista e sceneggiatore Christopher Nolan, specialista in puzzle visionari («Memento», «Insomnia», «Il cavaliere oscuro»), questo tipo di sfida è il sale del mestiere: tanto è vero che il giudizio sull'attesissimo «Inception» può prendere diverse sfumature, ma finisce sempre per tornare al clou della questione. Si tratta, in effetti, di un film concepito e realizzato a strati o meglio a cerchi concentrici, inseguendo le capricciose e ingannevoli volute dei sogni sulle cadenze dell'azione pura: come dire il gusto alla «Blade Runner», «Strange Days» o «Matrix» connesso con piglio disinvolto ai moduli vintage di James Bond. Il quarantenne londinese tenta in questo modo d'aggirare la pigrizia del nuovo spettatore e inoculare la prediletta prospettiva labirintica in uno show cosmopolita e fragoroso. C'è poco da dire sullo spunto narrativo che non sarà eclatante, ma almeno tiene coesa sulle due ore e quaranta di durata la dimensione tecno-avveniristica. Il tormentato ed esiliato Cobb, interpretato dall'ottimo DiCaprio, è il migliore nell'arte di rubare segreti dal subconscio delle vittime, preferibilmente potenti industriali. Un brutto giorno, però, il luciferino Mr. Sato (Ken Watanabe) resiste all'incursione allestita nel suo sonno e incastra l'antieroe: se Cobb vorrà rientrare negli States e rivedere i figli, dovrà prodursi nell'impresa inversa e cioè entrare nei sogni di un giovane ereditiero e instillargli l'autolesionistico proposito di smantellare la multinazionale del padre morituro. La missione si fa dura, la squadretta degli «architetti del sogno» si rimette all'opera e, anche se il ricorso agli effetti speciali risulta meno smodato del previsto, l'esplorazione dei diversi livelli onirici, con tanto di città e monumenti che si piegano o si dilatano, si sfrangia di continuo sino a saziare o confondere lo spettatore; il quale - difetto ben più vistoso - non troverà mai conforto in un briciolo d'autentica emozione. La crescente impossibilità, tragicamente postmoderna, di separare l'apparenza dalla realtà è un tema che potrebbe destabilizzare tutti ed è in questo senso deludente che il film si limiti a oscillare tra un facile riferimento mitologico (il filo d'Arianna) e un vezzo autoreferenziale (l'origine illusionistica del cinema). L'astrattezza e la rarefazione dello stile non escluderebbero affatto, come dimostrano i succitati cult-movies, le rifiniture sulle psicologie e l'umanità dei personaggi: nel caso di «Inception», invece, il metodo si fa contenuto e il conseguente supershow rischia d'assomigliare all'arte concettuale che conquista i mercati senza trascinarsi dietro uno solo dei fruitori. Natalia Aspesi - La Repubblica Più stordisce la visione di Parigi che si ripiega su se stessa, con le macchine che corronoa tetto in giù, più si naviga in un vecchio minaccioso corridoio rovesciato, assieme a corpi in assenza di gravità, più si sgretolano i rocciosi grattacieli abbandonati che fanno da gigantesca barriera sul mare, più i tromboni della colonna sonora assordano e paralizzano, più, affascinati e frastornati, non si capisce nulla. Non solo gli spettatori, anche, nel film, in cui la studentessina di architettura Ariadne dall' aria sapiente Ellen Page (noiosina rispetto a Juno) chiede incerta: in che inconscio siamo? (Chi non è già tramortito, ride). Inception, autore Christopher Nolan, costato 170 milioni di dollari, incasso record in Usa, 570 milioni in un mese, fa rimbombare insieme fantascienza, Freud, Leonardo DiCaprio, action movie, scontri epici di automobili, sensi di colpa, incubi, Parigi, Londra, Los Angeles, Mombasa, sonniferi, vertigini, scontri tra guardie e ladri con smitragliate interminabili e Marion Cotillard (Oscar per La vie en rose, la canzone nella colonna sonora di Inception) trasformata da gobbina Edith Piaf in meravigliosa funebre fatalona alla Ava Gardner sempre in sottoveste nera. Per 2 ore e 25 minuti, il che giustifica lo smarrimento del pubblico che alla fine esce inciampando e con la testa gonfia: insomma, ne valeva la pena! Trama, forse: Cobb non è un ladro qualunque: a parte che è un Leonardo DiCaprio con baffetti biondi e una lacrima sul viso, il suo lavoro è addormentarsi, entrare nei sogni della sua preda e approfittare della sua distrazione onirica per rubargli quel che gli serve, idee, pensieri, segreti, progetti. Il magnate Saito, il più affascinante dei giapponesi, Ken Watanabe, gli chiede di ribaltare il suo lavoro, anziché sottrarre, inserire un' idea nella testa del figlio del magnate rivale moribondo, affinché divida l' immenso patrimonio evitando il pericolo che tutto il potere energetico si concentri in una sola mano. In un altro film lo scontro tra i due lestofanti gentiluomini sarebbe avvenuto con meno casino freudiano, sia pure con intervento di gangster, ma qui ci si mettono in sei per costruire sogni che diventeranno quelli della loro vittima e in cui anche loro entreranno. Persino gli sforzi di chi è arrivato a offrire un "manuale per l' uso" di Inception non bastano a rendere il film comprensibile: siamo nella realtà oppure nel sogno,o nel sogno in cui si sogna di sognare, al primo, al secondo, o nel profondo livello del subconscio? Il continuo chiacchiericcio allucinatorio non risolve il problema, che è comunque del tutto ininfluente: basta lasciarsi andare alle immagini e non sarà certo il primo film (anche di Nolan, tipo Il cavaliere oscuro) che seduce proprio perché senza capo né coda. Comunque c' è un ascensore sferragliante in cui capita per sbaglio anche l' architettina Ariadne, che va su e giù nel subconscio di Cobb, fermandosi su spiagge, camere d' albergo, luoghi sinistri, in cui entra sempre questa bella signora in nero armata di coltello o revolver, cattivissima. Gatta ci cova, nella malinconia del bel boss, chi sarà quella tipa amatissima che non vuole farlo uscire dal sogno, chi saranno quei piccini sfuggenti e irreali che lo ossessionano? Compare a un certo momento, si direbbe nel mondo reale, Michael Caine, che come attore resiste al tempo stoicamente e che nel film prima respinge poi accoglie e perdona Cobb per qualche tremendezza fatta in passato: padre, suocero, mah! Tripudio finale che si consiglia di affrontare con tappi alle orecchie: in pieno ron ron (dei personaggi, gli spettatori son desti per eccesso di baccano), s' intrecciano in totale frenesia tre livelli di subconscio molto pasticcioni, in cui gli stessi personaggi, sempre pestando o sparando a misteriosi nemici, si trovano contemporaneamente su un picco innevato, addormentati nella stanza di un albergo, dentro un pulmino che sta precipitando lentissimamente in un fiume. Si salveranno tutti, ci salveremo in pochi? Inspiegabile: va bene che sono gangster, ma è possibile che nei loro sogni non ci siano che bombardamenti, inseguimenti, incendi, crolli, conflitti a fuoco, e l' unica signora che compare, bella e dolente, vuol solo far fuori il suo innamorato prima che si svegli? Davide Turrini - Liberazione Di che materia sono fatti i sogni? A vedere Inception sembra che l'unica materia esplorabile sia quella "grigia" del regista e sceneggiatore Christopher Nolan. Dentro ai sogni, nell'ansa onirica del subconscio, dentro la quale lavora quotidianamente il detective Cobb (Leonardo Di Caprio), ha accesso soltanto l'immaginazione creativa del regista inglese. E respingente Inception lo è fin da subito, con quel suo nucleo originario di senso e di logica che Nolan si tiene stretto come fosse un oracolino deduttivo del nuovo millennio. Inception propone in ascissa ed ordinata la frenesia del correre e la forza centrifuga, al ralenti, con cui scoppiano decine di bancarelle, palazzine ed automobili nel film. In un oggi convenzionale, lievemente ondulato in qualche architettura di sfondo, Cobb e la sua squadra di usurpatori di sogni si attrezzano per una nuova missione: non più prelevare i segreti nascosti nel subconscio, ma impiantare direttamente in quell'area un'idea precisa. Committente, un ricco industriale giapponese (Ken Watanabe); vittima il giovane rampollo del casato altrettanto industriale Fisher (Cillian Murphy). A Cobb, all' "architetto", al "chimico" e agli altri ristrettissimi membri del pool, toccherà infilarsi nei cerchi concentrici del sogno nel sogno nel sogno, fino ad instillare nella vittima l'idea che dovrà dividere in più parti l'eredità dell'imminente defunto patriarca aziendale. Inutile dire che ogni dimensione del sogno (sono tre) prevede i suoi onnipresenti rocamboleschi rischi action-movie: inseguimenti, sparatorie, risse, botti. Quando poi inizia a mancare la gravità, che àncora a terra i protagonisti, si comincia a percepire la mancanza di un fondo, di un limite, di un confine tra vita e morte, cascame diretto di un'etica e di un'epoca cinematografica ipertecnologizzata non tanto nella tecnica (questo è il 3D che di base non fa male a nessuno), quanto nella filosofia di una poetica (Matrix in questo ne ha indegnamente inaugurato il filone). Se con il trittico Following, Memento e The Prestige, Nolan ci aveva abituato a un avvincente cinema cerebrale che ci obbligava a rimettere insieme, visivamente, i pezzi della storia, con Inception salta direttamente allo spezzettamento di senso e logica rispetto a ciò che i personaggi compiono in scena (chi fa cosa? fin dove? creperà? che vuol dire quello che dicono?). Lo svelamento dell'arcano per lo spettatore non è quindi più un problema di disattenzione visiva (non ho percepito con gli occhi un frame rivelatore), ma di significato concettuale (ho perso con le orecchie un qualche collegamento verbale chiarificatore). Coadiuvato in questo dal classico personaggio, l'architetto (Ellen Page), che interpella di continuo Cobb con domande esplicative sul senso delle cose che accadono in scena, Inception alla quarta, quinta, spiegazione stanca la mente e annebbia mortalmente la vista. Fatevelo raccontare, tanto di inventiva nel creare un nuovo immaginario visivo Nolan ce ne ha messa pochissima. 2001, Blade Runner, ma anche Matrix, rimangono esempi lontanissimi. Fabio Ferzetti - Il Messaggero Le ambizioni di Inception, capitolo due. Quando un film arriva preceduto da una fama tanto ingombrante, è difficile considerarlo solo sotto il profilo diciamo estetico come abbiamo fatto un paio di giorni fa. Dunque torniamo su Nolan e le sue ragioni, anche perché malgrado i costi mostruosi (160 milioni di dollari) Inception non è solo un'enorme macchina spettacolare ma a suo modo il film di un autore. Che porta un tema "alto" per eccellenza sul terreno fragoroso del cinema d'azione, pagando un pedaggio (pesante) ai codici e al linguaggio del genere. Di cosa parliamo quando parliamo di sogni? Se ne discute da millenni e i contributi più incisivi non li hanno dati neurologi e psicanalisti, ma artisti di ogni epoca e orizzonte. Ultimo arrivato, il cinema lavora da sempre sulla stoffa dei sogni. Non c'è elemento del suo linguaggio che non sia stato piegato, distorto, dilatato o compresso in chiave onirica. Di tutto questo però Inception fa piazza pulita, o quasi, per imporre due idee suggestive che poi sfrutta a metà. Uno: il sogno non è più un limite inviolabile, sospeso fra allucinazione individuale e traccia del sacro, ma materia porosa e influenzabile dall'esterno. Due: i sogni si possono condividere, dunque manipolare, addirittura da dentro. Come fanno appunto Cobb (Di Caprio) e il suo team di corsari dell'inconscio che penetrano nei sogni di personaggi ricchi e potenti per carpire segreti e magari "piantare" idee da far germogliare a comando. Non è forse ciò che accade in un videogame, o per altri versi nei giochi di ruolo? Se il cinema classico era fatto per far vivere a tutti lo stesso sogno, oggi il videogame dà a tutti un sogno artificiale permettendo in cambio a ogni giocatore di modificarlo come può o come sa. In questo senso Inception è un film del tutto contemporaneo. Non ci sono più spettatori, siamo tutti giocatori, il sogno è entrato nell'era della sua riproducibilità tecnica e il regista racconta l'assalto all'ultima frontiera. Anche qui però non mancano i precedenti. Su tutti il bellissimo eXistenZ di Cronenberg, che quanto a cortocircuiti reale/virtuale, sogno/realtà, era ben più sottile e inquietante. Nolan invece, stabilito che in sogno tutto è possibile e tutto sembra vero, si limita a moltiplicare e imbrogliare le piste. Concentrando la meraviglia in trovate di sicuro effetto come Parigi che si aggroviglia in topografie impossibili o quella barriera di edifici che crolla in riva al mare. Intanto i personaggi corrono, lottano, sparano, come in ogni film d'azione, magari volteggiando senza gravità o "saltando" da un livello onirico all'altro. Mentre il ricordo della moglie defunta del protagonista, che circola come una minaccia in quei sogni così controllati, dovrebbe introdurre una nota struggente alla Orfeo e Euridice in un film che invece resta ostinatamente privo di pathos.