Leggi la rassegna stampa - Progetto Melting Pot Europa

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Leggi la rassegna stampa - Progetto Melting Pot Europa
«Quattro euro l’ora: io assunto
dalla coop dei 530 profughi»
Il nostro cronista a Cona: davo anche medicine
CONA (VENEZIA) Percorriamo una stradina di ghiaia che taglia in due il vecchio cortile della base.
Dove una volta marciavano soldati ora ci fermiamo a raccogliere bicchieri di carta abbandonati la notte
precedente. Intorno, soltanto erba e container. «Questa la chiamano Sabha», mi dice Lassine indicando
l’area davanti a noi, dominata da un tendone bianco che ricorda le feste di paese con l’orchestrina e gli
alpini che servono birra e salsicce. La porta si spalanca e un odore di spezie e calzini sporchi anticipa
l’uscita di un ragazzo nigeriano che ci sorride a torso nudo e con ai piedi un paio di scarpe rotte. Nella
mano destra stringe spazzolino e dentifricio. La mia guida si infila nel tendone, che sarà lungo una
ventina di metri e largo otto. All’interno, in ogni centimetro utilizzabile a eccezione del corridoio
centrale, ci sono letti a castello, alcuni rivestiti di cartone per proteggersi dalla luce del giorno. Ovunque
si guardi, solo materassi, abiti e persone: dentro quell’unica stanza rivestita di plastica dormono cento
profughi. «Sono quelli che stavano a Eraclea. Li hanno mandati via da lì e ce li hanno portati» spiega.
Dentro l’area off limits Sono le 9.30 di un martedì che sa di primavera e Lassine, anche lui
originario dell’Africa, sta facendo fare il giro del campo al nuovo arrivato. Che sarei io: assunto nell’area
di accoglienza inaugurata la scorsa estate all’interno dell’ex base missilistica di Cona, paesino di 3mila
anime nel Veneziano. In un Veneto affollato di sindaci che non vogliono questi disperati, le prefetture
hanno cominciato a stiparli nelle caserme dismesse. Bagnoli, Padova, Treviso... A contendersi appalti
milionari sono cooperative che, da quando è scoppiata l’emergenza profughi, sono spuntate come
funghi. La più importante è Ecofficina, che ha sede a Battaglia Terme e che ora gestisce diverse aree
militari adibite all’accoglienza degli stranieri sbarcati sulle nostre coste. Nata nel 2011, il suo valore di
produzione è letteralmente esploso, passando dagli iniziali 114 mila euro a un milione e 145 mila (fonte:
Finanzaonline). A guidarne l’incredibile ascesa è Simone Borile, ex Dc poi molto legato a Forza Italia.
Un passato nei Cda di Configliachi, dell’Ater e del Parco Colli, poi come presidente del Consorzio
Padova Sud e direttore di Padova Tre srl (gestione rifiuti). Ma oggi è tutto preso dalla «sua creatura»
(anche se formalmente l’amministratrice è sua moglie Sara Felpati), che mette le mani in quell’inferno
umanitario con il quale nessun altro sembra voler avere a che fare. Nella sola Cona, da mesi vivono 530
migranti provenienti da decine di Paesi diversi, dall’Africa all’Asia, perfino dai Balcani. Ma questa è
un’area off limits. Nessun esterno può entrare, non si possono fare fotografie, niente telecamere. Si fa
eccezione solo per le visite «patinate» riservate a politici e giornalisti. Gli unici a superare quelle
cancellate verdi, sono gli stranieri (liberi di andare e venire) e gli operatori delle coop. L’«esperimento»
sta tutto qui: farmi assumere da Ecofficina e trascorrere tre giorni in uno dei più grandi campi per i
profughi d’Italia. E poi raccontare cosa accade al di là del filo spinato. La prima parte non è stata
difficile: cinque giorni dopo il colloquio sono dentro la base. L’assistente della cooperativa, al telefono,
illustra le condizioni: lavorerò sei giorni su sette, dalle 9 del mattino alle 7 di sera. Il pagamento sarà in
voucher: 200 euro alla settimana, che togliendo la pausa pranzo fanno 3 euro e 70 centesimi l’ora. Ma
presto, se tutto andrà bene, arriverà un vero contratto e allora lo stipendio supererà i mille euro al mese.
La struttura è divisa in tre aree che gli ospiti hanno ribattezzato con i nomi delle città della Libia che
tanti di loro hanno dovuto attraversare prima di sbarcare sulle coste italiane: Sabha, Gatron e Tripoli. A
Sabha, oltre al tendone, ci sono i container con i bagni e le docce, e un edificio di mattoni con altre
decine di migranti. A Tripoli sorge l’ufficio centrale, una tenda adibita a moschea, la mensa e,
naturalmente, le solite camerate piene zeppe di giacigli. Visitandole, oltre all’odore di marijuana si
scopre che è possibile infilare otto letti a castello in uno stanzino, venti se la sala è un po’ più grande,
quaranta se tra un letto e l’altro si lasciano pochi centimetri. A Gatron, invece, c’è più spazio: il maxitendone è stato montato da solo di recente e per ora ci dormono poche decine di ospiti.
La rabbia Già di primo mattino, davanti all’ufficio due ragazzi protestano perché vogliono le scarpe. Ai
profughi ne viene consegnato un unico paio, lo stesso che utilizzano anche per giocare a pallone con il
risultato che l’usura è rapida mentre la sostituzione è molto più complicata. Per questo quei due sono
arrabbiati: non hanno nient’altro che le ciabatte. E non sono gli unici. Quando scoppia una rissa,
innescata dal litigio tra un pakistano e un nigeriano, in pochi secondi decine di migranti accorrono nel
piazzale principale. Volano schiaffi e la zuffa può trasformarsi nel pretesto per un regolamento di conti
tra etnie diverse. Sono tutti eccitatissimi. Un maliano mi vede sbiancare e scoppia a ridere: «Wellcome
to Cona». Poi corre a fare il tifo lasciandomi incapace di capire come comportarmi. Per fortuna
intervengono gli altri operatori: ancora urla, spintoni, finché uno dei litiganti viene letteralmente
sollevato e trascinato in camera. Infine un ragazzino si convince a deporre la spranga di metallo lunga
40 centimetri raccattata chissà dove. E torna la calma. Mi diventa subito lampante quale sia il problema
più grande: uomini di Paesi, culture e religioni diverse, stipati come polli dentro stanze disadorne,
possono trasformare quel posto in una bomba a orologeria. E se finora la situazione non è precipitata, il
merito è proprio di chi lavora lì dentro. Eppure le forze in campo sono sproporzionate: durante il
giorno, per supportare 530 profughi ci sono tra gli otto e i dieci dipendenti della coop, quasi tutti
giovani. A loro si aggiungono altre figure specialistiche, come la psicologa o quell’insegnante di lingua
italiana che viene al lavoro con Coca Cola e cioccolatini per premiare gli studenti più disciplinati.
Nessun altro. La notte, invece, ci si affida a sorveglianti che vivono stabilmente all’interno del campo.
Uno di loro lo chiamano «King» e gira tronfio per la base, come fosse davvero un re: grandi occhiali da
sole, giacca a quadri, sempre con un paio di uomini al seguito. Un po’ Snoop Dogg, un po’ boss di
quartiere. I migranti gli si avvicinano e lui distribuisce ordini, consigli, favori.
Il cibo Intanto è passato mezzogiorno e nel tendone principale si sospendono le lezioni di lingua
mentre i profughi si dispongono su tre file. In un unico piatto di plastica gli operatori mettono circa due
etti di riso. Sopra al riso una mestolata di passata di pomodoro. Sopra al pomodoro, ci vanno lo
spezzatino e le patate lesse. Primo, secondo e contorno, tutto insieme in una piramide di cibo poco
invitante che cambierà ogni giorno, ad eccezione del riso. Consegno a ciascuno anche un frutto, un
pezzo di pane e un cucchiaio ma un ghanese mi ributta indietro la banana deciso ad attaccar briga: ne
pretende una più grande. Il siparietto si ripeterà diverse volte. «Fai attenzione - raccomanda una collega
- la distribuzione dei pasti è uno dei momenti più critici. La scorsa settimana è successo il finimondo, un
ragazzo ha scaraventato per aria le panche…». Dopo pranzo, ciascuno fa ciò che gli pare. Senza la
possibilità di trovare un lavoro all’esterno (è vietato finché la loro posizione non finisce al vaglio della
Commissione per i rifugiati), c’è chi torna a dormire e chi si arrabatta per far passare il tempo. Mubarak,
che sogna di fare lo stilista, si rimette a cucire tuniche colorate. Anthony mi racconta d’essere venuto in
Italia per fare il calciatore ma che se la cava bene con i motori e quindi potrebbe aprire un’officina
meccanica. Tutti, ma proprio tutti, vogliono andare a Milano. «Lì c’è il lavoro», ripetono. Intanto gli
africani organizzano una partita di calcio, i bengalesi giocano a cricket, i pakistani si sfidano a lippa, che
consiste nel sollevare il bersaglio con un bastone e poi colpirlo prima che tocchi terra. Un giovane ha la
gamba ingessata, gli occhi spenti. Al campo si dice che il gommone sul quale viaggiava sia andato a
fuoco durante la traversata e lui abbia visto morire i suoi amici. Osserva gli altri divertirsi. Poi solleva lo
sguardo e per un attimo anche lui è felice: sopra la sua testa vola altissimo l’aquilone che due senegalesi
hanno costruito utilizzando un sacco per i rifiuti e del nastro rosso. Mi chiedo se, almeno visti da lassù,
quegli uomini sembrino un po’ meno disperati. «Devi imparare a non farti domande - mi interrompe
una delle operatrici - sono tutte inutili: qui le risposte non ci sono». Ha ragione, ma ci vuole tempo per
capire che non valgono le stesse regole dell’esterno. Prendiamo un aspetto fondamentale come quello
della salute. Con un simile sovraffollamento il rischio di epidemie è concreto ma il medico visita una
volta alla settimana e ogni tanto c’è un infermiere. Quindi - ancora una volta - tocca agli operatori
intervenire. Nel container con su stampata una croce rossa, il viavai è continuo. A ricevere decine di
profughi doloranti siamo in due e nessuno di noi è un dottore e neppure un farmacista. I casi più gravi
vengono dirottati nell’ospedale cittadino ma per il resto ci si affida alla nostra (poca, almeno nel mio
caso) esperienza. Distribuiamo Buscopan, Ibrupofene, Maalox… tutti medicinali da banco. Arriva un
presunto caso di scabbia, si interviene anche su quello. L’anziano che soffre di depressione ci annuncia
che non prenderà le medicine contro la Tbc - regolarmente prescritte, come le altre soggette a ricetta
medica - e che non gli importa se così rischia di morire: lo convinciamo dicendogli che presto le cose
cambieranno e la commissione gli darà quell’agognata «patente» di rifugiato.
Il sesso Mercoledì in infermeria si presenta un 18enne che da diverse notti non riesce a dormire.
«Continuo a pensarci! Continuo a pensarci! », ripete prendendosi a pugni la testa. Gli chiedo cosa lo
tormenti e il suo amico scoppia a ridere. Ma lui è serissimo: mi implora di dargli un farmaco per
smettere di pensare al sesso. Quello della gestione della sessualità è un problema per le centinaia
giovani vigorosi che da mesi sono bloccati in quel limbo che è Cona. Mi raccontano che fino a qualche
settimana fa la struttura ospitava anche un gruppetto di nigeriane che, a quanto pare, si concedeva per
un po’ di denaro. Ma ora che se ne sono andate tutte (nell’elenco dei presenti ne risulta una soltanto,
che però non ho mai visto) diventa sempre più difficile frenare gli istinti. Quando gli rispondo che non
esiste una medicina in grado di arginare quel tipo di pensieri, il diciottenne e il suo amico ci rimangono
male ma poi – subito spalleggiati dagli altri pazienti in fila - chiedono di far almeno presente alla
direzione che è arrivato il momento di rifornire il campo di prostitute. «Bastano anche delle
massaggiatrici… », suggeriscono. Niente da fare.
Il denaro Sono stanco. Sarà la fatica, sarà per tutti i «pazienti» che mi hanno tossito addosso, la notte
sono stato assalito da fitte allo stomaco. Il terzo giorno è un giovedì e al campo c’è fermento perché si
attende l’arrivo di una delegazione di giornalisti. Tutto dev’essere tirato a lucido ma occorre anche
preparare altri letti a castello: con il bel tempo sono ripresi gli sbarchi. Mostro il campo a cinque ragazzi
della Guinea Bissau che mi raccontano di aver pagato mille dinari libici per raggiungere l’Italia su un
gommone e ora implorano di poter telefonare ai familiari che vivono in Portogallo. Lo potranno fare
soltanto più tardi, prima c’è un’altra emergenza di cui occuparsi: sei arabi appena arrivati si rifiutano di
scendere dal pullman. Il pomeriggio lo trascorro distribuendo i «pocket money», altro compito molto
delicato. Ciascun profugo ha diritto a 2 euro e mezzo al giorno, che però gli vengono consegnati ogni due
settimane. I migranti vengono quindi fatti entrare a piccoli gruppi in una stanza, per ritirare quella
«paghetta» da 37,5 euro che in genere spendono in un paio di giorni per comprare alcolici o qualche
vestito al mercato di Cona. Fuori si registrano momenti in cui la tensione sale alle stelle: gli stranieri
hanno fretta di mettere le mani sul denaro e noi rimaniamo barricati dentro mentre dalla porta
provengono colpi e grida. Ancora una volta andrà tutto bene. Su questa vecchia base missilistica cala il
sole, i profughi hanno finalmente qualche soldo in tasca ma nessuno di loro sembra più felice di prima.
Si avviano verso le camerate e a terra resta l’aquilone che due giorni prima avevo visto volare sopra i
container. Cona non mi è mai sembrata così sola. Me ne vado con pochissime certezze. Una su tutte: il
Veneto può fare di meglio che ammassare centinaia di persone dentro vecchie aree insalubri circondate
dal filo spinato. Ma di chi è la colpa? Del governo che non frena gli sbarchi, dei sindaci che rifiutano
l’accoglienza diffusa, delle coop che fanno affari milionari? Ciascuno ha una risposta diversa e fin
quando non si troverà una soluzione più dignitosa ciò che avviene dentro a questi recinti non è né bene
né male: le cose si fanno così semplicemente perché è l’unica soluzione possibile. Cona è un mondo che
non sa offrire alcuna alternativa.
PS: Verena, Bidhi, Martina e tutti gli altri operatori, ora sapete la verità. Forse sarete arrabbiati e delusi, dopo
che per tre giorni vi ho fatto credere di essere «come voi», uno disposto a spaccarsi la schiena per offrire una
giornata decente a quei disperati, strappare un sorriso a chi ha pianto tanto. Voglio dirvi che non c’era alcuna
volontà di colpire voi, o di mettere in discussione il lavoro che fate. L’incertezza, semmai, coinvolge chi ogni
giorno – per interessi politici o economici – impedisce al vostro impegno di produrre un cambiamento stabile
nella vita di chi arriva in Italia inseguendo un sogno di libertà. Vi lascio con un solo dubbio: davvero è giusto
smetterla di farsi domande?
04 aprile 2016
Andrea Priante
Il prefetto: «A Cona resteranno 540
profughi»
Nessun trasferimento a breve termine, Cuttaia annuncia un appalto
europeo per la gestione della struttura; "Purtoppo gli altri Comuni non
hanno fatto accoglienza"
CONA. A Cona resteranno 540 profughi. Infatti la Prefettura ha indetto un bando di
gara per gestire l’ospitalità dei migrantipresenti ora nella ex base militare. Si tratta di
una gara d’appalto a livello europeo perché il valore supera i 130 mila euro, L’appalto
scadrà il 31 dicembre. Nella gestione dei profughi assegnati alla nostra provincia (1788)
era l’appalto che mancava.
Infatti nella gara generale, bandita a fine dello scorso anno, per la struttura di Cona, era
stato calcolato un centinaio di posti, C’era la speranza, infatti, da parte del prefetto
Domenico Cuttaia, che i migranti in più rispetto a quel numero, sarebbero stati sistemati
nel resto dei comuni del Veneziano. «Noi siano per l’accoglienza diffusa. E abbiamo
sperato fino alla fine che tutti i comuni, o la stragrande maggioranza, del
Veneziano partecipassero all’accoglienza. Ma non è stato così. Quindi non è stato è
possibile alleggerire Cona, dove ora sono ospiti anche delle donne che a breve saranno
portate in una struttura della Caritas», spiega il prefetto Domenico Cuttaia,«se
all’ospitalità partecipassero anche i 25 Comuni che ora non hanno risposto, con una media
di venti migranti per comune, sarebbero sistemate tutte le persone destinate alla provincia
di Venezia. Cosa sono venti migranti per paese? Quale impatto possono avere?
Passerebbero inosservati. Comunque sia, nel bando per Cona, mettiamo una clausola con
cui spieghiamo che il bando potrà essere modificato secondo necessità. Questo perché se
riusciamo a spostare i profughi, anche in altri comuni, il valore diminuirà. E per dimostrare
che è nostra intenzione diminuire in maniera drastica il numero di ospiti di Cona».
Il prefetto ha precisato che non è stata la Prefettura a stabilire che nell’ex caserma
potevano essere ospitate 540 persone. «Non è certo la Prefettura a essere competente
nel decidere se ci sono i requisiti igienico sanitari per ospitare delle persone all’interno
delle strutture. Per legge questo spetta all’Asl, che il 1° aprile ha inviato la sua
relazione spiegando che la struttura può ospitare 540 persone. Chi dice che a
stabilirlo è stata la Prefettura d’accordo con qualche furbetto è in malafede. Stiamo
raggiungendo il limite di tolleranza e se continuano a insinuare cose non vere saranno
chiamati a rispondere di quello che sostengono davanti alla magistratura. Le nostre non
sono scelte politiche, ma risposte tecniche a direttive».
Intanto non sono stati sistemati i moduli della protezione civile che dovevano sostituire i
tendoni, piazzati all’interno della base per ospitare parte dei profughi. Infatti il sindaco di
Cona ha negato i permessi edili per posizionare i moduli. Molto probabilmente per timore
che i profughi restino a Cona definitivamente.
«Troppi profughi, Cona deve
chiudere»
Dura richiesta del sindacato Ugl di Polizia dopo la rivolta di mercoledì.
Intanto la prefettura ha spostato 10 ospitidi Diego Degan
CONA. «Chiudete la base di Cona». Il giorno dopo le “prove di rivolta” messe in atto da
alcune decine di profughi (per lo più francofoni e originari della Costa d’Avorio, precisa la
prefettura), è il sindacato di polizia Ugl a scendere in campo chiedendo
provvedimenti drastici per la risoluzione del problema. «È assurdo pensare che, in caso
di proteste», dice Mauro Armelao, vice segretario nazionale del sindacato, che ha
operato sul posto, l’altro giorno «il primo intervento sia delegato a due poliziotti della
volante proveniente da Chioggia e a due carabinieri del nucleo radiomobile».
Il campo ospita, infatti, quasi 600 migranti (il dato ufficiale, purtroppo, è sempre
approssimativo) la cui “forza d’urto” potenziale è enormemente superiore alle forze
dell’ordine inizialmente impiegabili in caso di emergenza. E nella quasi-rivolta di
mercoledì, per la prima volta, c’è stato un contatto fisico tra migranti e forze dell’ordine,
con i manifestanti che hanno cercato di prendere il “controllo” della base.
Armelao elogia la «professionalità» dei colleghi intervenuti, anche in occasione del
reportage “imposto” al fotografo del Corriere del Veneto, ma chiede che venga negato
l’asilo politico ai profughi protagonisti della vicenda e che venga ripristinata la vigilanza 24
ore su 24 che era stata affidata ai carabinieri e ai poliziotti del reparto mobile di Padova tra
luglio e settembre scorsi, quando nella base c’erano poco più di 100 persone.
Preoccupazione per la situazione contingente viene anche espressa dal Movimento
5 Stelle che, a firma della consigliere regionale chioggiotta Erika Baldin, ha presentato
una mozione che, prendendo spunto dall’eccessivo affollamento della base, impegna la
Regione «a far valere il proprio peso con il Governo centrale, per alleggerire il numero
spropositato dei profughi presenti nella base di Cona e per trovare soluzioni alternative per
i migranti. Ma anche a far valere la regola, proposta anche dal ministro dell’Interno e nei
protocolli d’intesa per l’accoglienza diffusa dei richiedenti asilo e rifugiati, dei due migranti
ogni mille abitanti». Un’affermazione, quest’ultima, che sembra una risposta indiretta al
sindaco di Cona, Alberto Panfilio, che aveva chiesto esplicitamente, proprio l’altro
ieri, di trasferire parte dei migranti da Cona a Cà Bianca, altra base militare (e, quindi,
nelle disponibilità immediate del Ministero) che, però, si trova nel territorio di Chioggia che
ha già raggiunto il limite di circa 90 migranti nelle strutture di accoglienza gestite dalla
Caritas.
E proprio giovedì, la Prefettura ha annunciato il trasferimento di altri 10 richiedenti
asilo da Conetta ad altra struttura, facendo notare che si aggiungono ai 14 già trasferiti
martedì e che è in preparazione un nuovo bando, per il 2016, per cercare di reperire «600
nuovi posti sul territorio dei comuni nei quali non sono attualmente ospitati migranti, o che
non hanno raggiunto presenze per almeno il 50% della quota spettante in base al criterio
demografico».
VENEZIA
Cona, i profughi «occupano» la base
Scontri con le forze dell’ordine
Coinvolto anche il fotoreporter del «Corriere del Veneto»
CONA (Venezia) Urla, picchetti e tensione. Un gruppo di profughi ha «occupato» mercoledì mattina
la strada, a Cona, davanti all’ex base militare che li ospita. Sono usciti dalla struttura martedì notte in
40 e hanno invaso la strada davanti all’ex base. Inoltre hanno bloccato gli accessi alla struttura di
accoglienza con panche e picchetti, di fatto «occupandola».
Protestano per il sovraffollamento della struttura e per le condizioni impossibili in cui vivono da mesi.
Settecento stipati in un luogo non adeguato, così dicono. Gli stranieri inizialmente sono usciti dalla
struttura bloccando la via (ma non il traffico stradale) di accesso al centro, poi, quando è giunto il
fotografo del Corriere del Veneto, alcuni dei manifestanti lo hanno «costretto» a entrare per
documentare il disagio, mentre altri - secondo fonti delle forze dell’ordine - avrebbero ostacolato
l’operazione. Sul posto sono giunti polizia e carabinieri che hanno fatto uscire il fotografo, nonostante la
reazione contraria di alcuni migranti. La situazione si è poi placata, mentre resta «barricata» la via di
accesso e il presidio delle forze di polizia.
11 maggio 2016 (modifica il 17 maggio 2016)
Profughi, indagati i vertici di Ecofficina
La perquisizione dei carabinieri, anche in Prefettura. I militari
cercano la documentazione relativa al bando Sprar di Due
Carrare, che risulta firmato il giorno dell’Epifania in prefettura
PADOVA Carabinieri in Prefettura a Padova, nella sede della cooperativa e in comune a Due Carrare:
tutto per capire se qualcuno ha contraffatto carte ufficiali di un bando di accoglienza profughi. Una
nuova tegola si abbatte sulla coop-pigliatutto Ecofficina di Battaglia Terme, già al centro di un’indagine
per truffa aggravata, violenze e maltrattamenti per fatti avvenuti a Montagnana nel dicembre del
2014. Dopo l’articolo del Corriere del Veneto, che aveva rilevato incongruenze nella documentazione
presentata per l’aggiudicazione di un bando, giovedì i carabinieri sono tornati negli uffici della sede
della Coop a Battaglia Terme per una nuova perquisizione, nel registro degli indagati sono stati iscritti
Simone Borile e, ancora una volta, Gaetano Battocchio (entrambi perquisiti anche a casa) per i reati di
truffa aggravata e falsità materiale.
Il sospetto della procura di Padova, che ha aperto un nuovo fascicolo, è che i due abbiano presentato
falsi documenti al comune di Due Carrare, dove la cooperativa si è aggiudicata («Temporaneamente»,
come tiene a sottolineare il sindaco Davide Moro) il bando Sprar 2016, ovvero la gestione del sistema di
protezione per i richiedenti asilo. L’attenzione degli inquirenti è puntata in particolare su una
convenzione tra Prefettura e cooperativa che porta la data del 6 gennaio 2014 nella quale si attesta,
come richiesto dal bando, che Ecofficina ha un’esperienza continuativa nell’accoglienza pari a due anni
e un giorno. Ma non è vero, perché Ecofficina comincia ad accogliere i primi profughi all’asilo di
Battaglia Terme l’8 maggio 2014. Tanto è vero che la convenzione con la prefettura, che risulta agli atti
di palazzo Santo Stefano, viene in realtà firmata il 14 maggio. I due documenti - quelli della primavera
del 2014 e quello del 6 gennaio - sono identici, a parte qualche strano segno sulle date, e riportano
anche lo stesso codice di identificazione gara, che però risulta essere stato emesso il 14 maggio, non a
inizio anno. Evidentemente una delle due carte è falsa. Ed è anche per questo che giovedì mattina i
carabinieri si sono presentati in Prefettura a Padova, dove si sono fatti consegnare dal Vicario, Pasquale
Aversa, la documentazione relativa a quegli affidamenti. All’incontro è seguita una riunione
blindatissima, che si è tenuta proprio in Prefettura.
Nelle stesse ore anche nel municipio di Due Carrare c’era movimento: i carabinieri si sono infatti fatti
ufficialmente consegnare le fotocopie degli atti relativi a quel bando di gara. Ma le carte sospette
presentate da Ecofficina non si esauriscono alla convenzione che viene misteriosamente fatta risalire
all’Epifania. Da giovedì è emerso un elemento in più: tre settimane fa, dopo che si era sparsa la voce che
le altre cooperative avevano fatto richiesta di accesso agli atti, proprio Ecofficina ha presentato al
Comune una integrazione al bando di gara, un nuovo documento che sembra essere stato emesso dalla
Prefettura e che dice, in sostanza, che l’affidamento è stato fatto sì il 14 maggio (e quindi non il 6
gennaio), ma che si deve ritenere valido retroattivamente a partire dall’8 gennaio. Il bando però è ormai
chiuso e, formalmente, questo atto non potrebbe essere acquisito dal comune di Due Carrare.
L’impressione è che sia una «pezza » per coprire il pasticcio precedente? Ora si pone seriamente il
problema della «tenuta» di Ecofficina che, attraverso Simone Borile (che mercoledì ha vissuto un grave
lutto per la perdita del padre avvenuta in seguito a una caduta dalla biciletta), si occupa della Prandina,
di Bagnoli Cona, e altre strutture di accoglienza nel Trevigiano e a Vicenza.
Giovedì i carabinieri hanno sequestrato e acquisito computer, file, corrispondenza, e schede:
l’analisi di questi nuovi documenti risponderà al quesito se la coop, coinvolta in due inchieste
giudiziarie, è ancora «presentabile » per lavorare con la pubblica amministrazione.
05 maggio 2016
Profughi, gara sospetta: Ecofficina
nella bufera a Padova
Due Carrare, nelle carte spunta una data sospetta. Carabinieri in
municipio. C’è un’inchiesta (5 maggio 2016)
PADOVA. Davide Moro, sindaco di Due Carrare, dice che «è soltanto per prudenza», che
«c'è una verifica in corso», che «è una questione delicata» e che «per fortuna c’è tempo».
Però da un mese sulla sua scrivania c’è una cartella con su scritto “bando sprar” ed è un
affare imbarazzante, non soltanto per il suo Comune. Il fatto è che lì dentro c’è qualcosa
che non torna. La gara per l’assegnazione di venti posti dello Sprar – il servizio di
protezione richiedenti asilo e rifugiati - bandita all'inizio di febbraio, si è conclusa con la
vittoria della cooperativa Ecofficina, che ha battuto sul punteggio l’unico concorrente, ossia
l’associazione temporanea di imprese composta da Coges e da Casa a Colori. Ma poi il
Comune è stato costretto a congelare l’assegnazione, cioè ad attribuire l’incarico a
Ecofficina in via temporanea, nell’attesa di verificare quella che tutti chiamano “anomalia”.
E che invece somiglia molto a una grave irregolarità, i cui effetti potrebbero avere
conseguenze enormi sull'intera organizzazione dell'accoglienza dei migranti nel
Padovano.
La convenzione depositata da Ecofficina in Prefettura: fa data da maggio 2014
Quello che è successo dopo la gara bandita dal Comune di Due Carrare è cronaca. Gli
sconfitti, come capita piuttosto frequentemente, hanno chiesto di vedere gli atti. E in questi
c’era una carta che ha attirato la loro attenzione. È una convenzione tra Ecofficina e la
Prefettura firmata il 6 gennaio del 2014 (e operativa dall’8), per l’ospitalità di venti donne
con bambini. Un documento fondamentale per la partecipazione di Ecofficina alla gara,
perché tra i requisiti per l’ammissione c’era il fatto che gli enti attuatori del servizio
dovessero “possedere una pluriennale e consecutiva esperienza nella presa in carico di
richiedenti/titolari di protezione internazionale, comprovata da attività e servizi in essere al
momento della presentazione della domanda di contributo”. Pluriennale e consecutiva:
ossia almeno 24 mesi e un giorno di attività al servizio dei profughi. Quindi, a guardare il
calendario, come minimo da gennaio-febbraio del 2014.
Un passo indietro. L’emergenza profughi in provincia di Padova ha una data di inizio
piuttosto precisa, almeno se si considera l’operazione Mare Nostrum. Il 17 febbraio 2014,
15 migranti vengono sorpresi dentro il container di un treno merci a San Martino di Lupari.
È il primo di un lungo elenco di episodi. Al tempo solo chi era coinvolto nella “Emergenza
Nord Africa” e i gestori di Sprar poteva vantare un’esperienza nel ramo-profughi. Non è tra
questi Ecofficina, il cui esordio si può individuare alla fine di marzo del 2014, quando il
braccio operativo “Terra di Mezzo” viene chiamato in causa da Confcooperative per far
fronte alla nuova emergenza.
Dunque, com’è possibile che a gennaio – nel giorno dell’Epifania – il presidente di
Ecofficina Gaetano Battocchio e la viceprefetto Francesca Iacontini sentano l’urgenza
di incontrarsi per firmare una convenzione per l’ospitalità di donne e bambini? È
esattamente questa la domanda che i responsabili di Coges e Casa a Colori si fanno di
fronte alla convenzione prodotta da Ecofficina per l’ammissione alla gara di Due Carrare.
Peraltro il dubbio si somma alle perplessità avute dagli operatori fin dall’inizio, ovvero da
quando le due cooperative avevano notato che il bando – contrariamente a ogni logica,
visto che il progetto era totalmente a carico del ministero dell'Interno – privilegiava,
nell’attribuzione dei punti, il ribasso economico sul prezzo iniziale (35 euro come soglia
minima) rispetto a percorsi formativi e di inserimento lavorativo e abitativo, che solitamente
caratterizzano gli Sprar. La domanda è stata girata al Comune di Due Carrare, e quindi al
sindaco Moro.
A lui gli operatori superati da Ecofficina hanno chiesto conto di quella carta, chiedendo una
verifica dell’autenticità. La richiesta è stata quindi girata alla Prefettura. E da qui, pare
dopo vari tentativi, è emersa l'anomalia. Ossia il fatto che quella convenzione, che porta il
codice identificativo Cig ZD20EFF8F7, sarebbe stata siglata non il 6 gennaio ma il 14
maggio, con decorrenza dell’operatività dall’8 maggio. Il che sarebbe confermato anche
dalla cronologia delle convenzioni, richiamata dal codice Cig. Ma se così fosse, Ecofficina
come minimo non avrebbe potuto partecipare alla gara di Due Carrare e vincerla.
E torniamo al sindaco Davide Moro, che sulla vicenda sceglie di essere più che prudente.
«Abbiamo fatto i controlli», ammette, «anche perché ci è stato chiesto da chi ha fatto
l’accesso agli atti. In questi casi io mi sento di essere ancora più attento ed è per questo
che ci stiamo mettendo tanto tempo. Il ministero, fra l’altro, non ha ancora aggiudicato gli
Sprar e quindi non abbiamo fretta. Non sappiamo neppure se saremo chiamati in causa
(ma per 10 mila posti da coprire a livello nazionale, le richieste non coprono la metà della
domanda, ndr). Facciamo tutte le verifiche, gli uffici ci stanno lavorando. La data della
convenzione di Ecofficina? Se mi chiedete un dato così preciso, mi viene da pensare che
abbiate già visto tutte le carte».
Le carte le hanno viste sicuramente i concorrenti sconfitti. O almeno una parte di loro.
«Abbiamo fatto l'accesso agli atti perché si fa così, ogni volta», glissaAngelo Benvegnù,
presidente di Coges. «Noi verifichiamo per capire cosa possiamo fare meglio nelle
prossime occasioni. In questo caso però non ho ancora avuto modo di vedere tutti gli atti».
Li ha visti invece, evidentemente,Maurizio Trabuio, presidente della Casa a Colori. «Per
fortuna si è fatto l’accesso agli atti», dice, «perché l'anomalia emersa è molto evidente».
Così evidente che ora anche la procura di Rovigo – già interessata alle attività di
Ecofficina per l'indagine a carico della coop, sospettata di truffa e maltrattamenti nella
gestione dell’accoglienza a Montagnana – ha aperto un nuovo fascicolo. Nei giorni scorsi i
carabinieri di Battaglia Terme sono andati in municipio a Due Carrare per acquisire dal
sindaco le carte relative al bando per lo Sprar e copia della documentazione presentata
dalle cooperative partecipanti.
Carte false per il business profughi,
Borile e Battocchio indagati
Data falsificata per partecipare all'appalto, perquisizioni dei
carabinieri alla sede di Ecofficina
PADOVA. Simone Borile e Gaetano Battocchio sono indagati dalla Procura di Padova per
truffa e falso in riferimento a un atto. È una convenzione tra Ecofficina e la Prefettura
firmata il 6 gennaio del 2014 (e operativa dall’8), per l’ospitalità di venti donne con
bambini.
Tra i requisiti per l’ammissione c’era il fatto che gli enti attuatori del servizio dovessero
“possedere una pluriennale e consecutiva esperienza nella presa in carico di
richiedenti/titolari di protezione internazionale, comprovata da attività e servizi in essere al
momento della presentazione della domanda di contributo”. Pluriennale e consecutiva:
ossia almeno 24 mesi e un giorno di attività al servizio dei profughi. Quindi, a guardare il
calendario, come minimo da gennaio-febbraio del 2014
L'anomalia sta nel fatto che quella convenzione sarebbe stata siglata non il 6 gennaio ma
il 14 maggio, con decorrenza dell’operatività dall’8 maggio. Ecofficina, come minimo, non
avrebbe potuto partecipare alla gara di Due Carrare e vincerla.
In mattinata i carabinieri del Nucleo investigativo si sono presentati alla sede di Ecofficina
a Battaglia, in municipio a Due Carrare e nelle abitazioni di Borile e Battocchio. Hanno
prelevato il materiale necessario per avviare l'indagine. L'ennesima tegola che piomba
sulla cooperativa pigliatutto
Denunce di maltrattamenti ai profughi,
i carabinieri nella sede di Ecofficina
La perquisizione ordinata dalla procura di Rovigo negli uffici di
Battaglia Terme. Il caso risale a una denuncia del 2014
PADOVA Profughi maltrattati: i carabinieri perquisiscono la sede della “regina” delle coop
dell’accoglienza Ecofficina Educational, indagati gli amministratori Sara Felpati, Gaetano Battocchio e
Sergio Enzini. Il caso nasce dagli articoli scritti dalCorriere del Veneto nel dicembre del 2014. Gli stranieri
ospiti, tutti maschi, si erano lamentati pesantemente contro il responsabile della struttura, Sergio
Enzini di Torre Annunziata. Lui, per non perdere i rapporti con la coop che gestiva l’accoglienza, tentò
di tenerli buoni come poteva, anche con le minacce. Il caso però fece scalpore, intervennero i carabinieri
e da quella prima denuncia nacque un’inchiesta della procura di Rovigo, competente per territorio. E
proprio i carabinieri, su delega del magistrato, hanno fatto una perquisizione nella sede e nelle
abitazioni delle persone coinvolte. I militari sono entrati nella sede Ecofficina educational di Battaglia
Terme, a casa anche dell’amministratore Gaetano Batocchio e Sara Felpati. I carabinieri sono andati a
caccia di documenti che comprovino il tipo di contratto che legava il napoletano alla coop. Gli esiti si
sapranno nei prossimi giorni.
04 aprile 2016
Profughi, Ecofficina: «Tutto regolare
la firma era in previsione degli arrivi»
Ma le carte siglate nel giorno dell’Epifania restano in procura
PADOVA Ci penseranno i carabinieri a svelare «il giallo della firma della Befana», ovvero i motivi per
cui il documento che ha consentito a Ecofficina di partecipare e aggiudicarsi il coordinamento del bando
Sprar (Servizio di protezione per richiedenti asilo) del comune di Due Carrare sia stato firmato in un
giorno di festa prima ancora che i profughi arrivassero sul territorio padovano. I documenti sono
depositati alla procura di Rovigo, ma intanto a tagliare la testa al toro ci pensa Ecofficina «E’ vero –
fanno sapere dalla coop – i primi profughi non sono arrivati a gennaio ma a maggio». A sentire i
responsabili di Ecofficina la convenzione sarebbe stata firmata prima perché a gennaio non si sapeva
ancora di preciso quando sarebbero arrivarti i primi stranieri, per cui la Prefettura e la coop avrebbero
deciso di giocare d’anticipo con il documento finito al centro della bufera.
Come noto, il punto è proprio questo: la convenzione tra la cooperativa e la prefettura risulta
firmata il 6 gennaio in pieno giorno di festa, mentre i profughi affidati a Ecofficina arrivano soltanto tra
l’8 e il 9 maggio all’asilo di Battaglia Terme. Resta il problema che la firma anticipata ha portato bene a
Ecofficina che ha potuto così presentarsi al bando del Comune di Due Carrare per la gestione dei
profughi forte di un’esperienza certificati di due anni (come richiedeva il bando stesso) e non di soli un
anno e 7 mesi come in realtà risulterebbe dal fatto che i profughi sono arrivati a maggio. In base alle
discrepanze che emergono in il sindaco di Due Carrare non sono ancora intervenuti. Di certo il
documento consegnato da Ecofficina a Due Carrare dovrà essere confrontato con quello depositato
nell’archivio della Prefettura.
Se dovesse esserci qualche discrepanza i documenti verranno spediti direttamente alla Procura.
Intanto il sindaco Moro ha già preso contatti con la Prefettura, che qualche giorno fa gli ha chiesto
alcuni dettagli della gara in questione. A volerci vedere chiaro comunque sono anche le cooperative
escluse dal bando cioé la veneziana Coges (che gestiste lo Sprar per Padova) e la padovana Città Solare:
«Acquisiamo sempre i documenti quando perdiamo una gara – dice il presidente Angelo Benvegnù –
ora abbiamo istituito un gruppo di lavoro per capire se qualcosa non torna». Intanto la cooperativa
Ecofficina, per tutelarsi anche dall’indagine per truffa e maltrattamenti aperta a Rovigo per fatti
avvenuti a Montagnana nel 2014, ha nominato come avvocato il penalista padovano Giorgio Gargiulo.
05 maggio 2016
Hub, prefetti a caccia di nuovi gestori
Piano per sostituire la coop indagata
Ecofficina, appalti a rischio. Interrogazione del gruppo Pd alla
Camera: c’era conflitto d’interessi di una dipendente che ha la
figlia che lavora nella coop?
PADOVA Le prefetture stanno cercando una via d’uscita per «liberarsi» di Ecofficina senza farsi troppo
male. E il «troppo male», per un ente pubblico, riguarda il pagamento delle penali. A un mese dall’avvio
degli scandali che riguardano la cooperativa di Battaglia (Padova), i cui vertici sono indagati per
maltrattamenti, (negligenza nella gestione di stranieri a Montagnana), falso (per aver presentato
documenti falsificati al bando di un comune padovano) e truffa aggravata, ora le prefetture stanno
chiedendo informalmente alle altre cooperative se (e, nel caso, come) sarebbero in grado di subentrare a
Ecofficina negli hub di Cona, Bagnoli e Prandina.
L’altro effetto della bufera giudiziaria è che quando una cooperativa si ritrova travolta dagli
scandali nessuno ne esce bene: non le prefetture, che non avrebbero attivato adeguati controlli, ma
nemmeno le altre cooperative, guardate con sospetto. E la ripercussione concreta è che i privati che
affidano i loro appartamenti alle coop si tirano indietro. Succede proprio a Due Carrare, dov’è scoppiato
il caso dei documenti falsi presentati da Ecofficina, e dove i privati che avevano messo a disposizione le
loro proprietà alle seconde classificate (l’Ati di Coges e Città Solare) si stanno tirando indietro. Quindi
mercoledì, quando le coop che hanno ricevuto l’appalto riaffidato dopo l’esclusione di Ecofficina per le
irregolarità, saranno ricevute dal sindaco Davide Moro, potranno dire solo una cosa: ci ritiriamo. E’
l’effetto domino che accade quando si creano dei sospetti sull’accoglienza, ed è proprio questo che le
prefetture cercavano di evitare in tutti i modi. Ora si tratta di capire come uscirne senza creare ulteriori
danni.
Il vice prefetto vicario di Venezia, Vito Cusumano, sta avendo dei colloqui informali con i vari
responsabili delle cooperative per cercare di capire come si potrebbe fare un passaggio di consegne negli
hub (quello di Cona è stato al centro di una sommossa qualche giorno fa). A Padova, martedì mattina, i
vertici della prefetture hanno incontrato i legali della coop Ecofficina, probabilmente per discutere del
contratto che vincola gli affidamenti. E’ chiaro che i vertici della coop sono indagati e non condannati in
via definitiva, e che la presunzione di innocenza rimane valida anche per loro. Ma gli avvisi di garanzia
potrebbero aver interrotto il fondamentale patto di fiducia che lega una pubblica amministrazione a un
fornitore, e in virtù di questo le clausole si possono ridiscutere. Resta solo da capire come comportarsi.
Nessuna coop da sola in Veneto è in grado di subentrare a Ecofficina; potrebbe essere invece auspicabile
una collaborazione tra tutte quelle che verranno coinvolte. Intanto sull’argomento il gruppo dei
parlamentari del Pd ha presentato un’interrogazione a risposta scritta al ministero dell’Interno, per
chiedere se la prefettura di Padova abbia controllato adeguatamente le procedure di bando Sprar di Due
Carrare e quelle degli altri comuni veneti, e se abbia verificato la possibilità di un conflitto di interessi di
una delle funzionarie della prefettura di Padova, la cui figlia è dipendente di Ecofficina.
17 maggio 2016
Scontri nel campo profughi di Cona
Protesta dei richiedenti asilo. Polizia e carabinieri sono intervenuti per
riportare fuori un fotografo. Manganellate nell'ex base. In arrivo la
Celere
CONA. Un fotografo “costretto” a entrare a vedere la situazione di degrado. Lui che non
veniva più fatto uscire e la polizia che è andata a riprenderselo a suon di manganellate. La
situazione sembra ormai essere degenerata nella tendopoli in cui è stata trasformata l'ex
microbase militare di Cona. Pensata per ospitare 20 persone ne ospita più di 500. A
questo si è tentato di ovviare con lo spostamento di alcune delle persone tenute all'interno.
Ieri un gruppo di profughi è stato portato via verso un'altra destinazione
In un "piccolo inferno" come Cona anche questo spostamento ha provocato una reazione.
Così mercoledì 11, di prima mattina, una trentina di profughi ha occupato la stradina che
costeggia la base.
Non è ancora chiaro se questi manifestanti volevano a loro volta essere spostati oppure se
vogliono che gli altri tornino a Cona. A Farne le spese il fotografo collaboratore di un
giornale locale. A un certo punto l’uomo è stato visto entrare all’interno dell’ex base
circondato da un gruppo di manifestanti. Un altro gruppo di profughi invece si era
dissociato dall’azione, dato che per entrare alla base ci vogliono speciali permessi. Una
volta dentro i manifestanti hanno portato il fotografo in vari ambienti della struttura,
pretendento che documentasse ogni aspetto del forte degrado in cui sono costretti a
vivere
Sono stati momenti di tensione. A questo punto un gruppo di agenti è entrato all’interno e è
andato a riprendersi il fotografo. Di fronte alle proteste dei profughi sono inziati gli scontri.
La polizia ha portato il fotografo fuori dal cancello intimandogli di allontanarsi. Ma
all’interno la protesta continua. Per questo stanno arrivando sul posto altri “celerini” del
raparto mobile di Padova
Cona, i profughi «occupano» la base
Scontri con le forze dell’ordine
Coinvolto anche il fotoreporter del «Corriere del Veneto»
CONA (Venezia) Urla, picchetti e tensione. Un gruppo di profughi ha «occupato» mercoledì mattina
la strada, a Cona, davanti all’ex base militare che li ospita. Sono usciti dalla struttura martedì notte in
40 e hanno invaso la strada davanti all’ex base. Inoltre hanno bloccato gli accessi alla struttura di
accoglienza con panche e picchetti, di fatto «occupandola»
Protestano per il sovraffollamento della struttura e per le condizioni impossibili in cui vivono da mesi.
Settecento stipati in un luogo non adeguato, così dicono. Gli stranieri inizialmente sono usciti dalla
struttura bloccando la via (ma non il traffico stradale) di accesso al centro, poi, quando è giunto il
fotografo del Corriere del Veneto, alcuni dei manifestanti lo hanno «costretto» a entrare per
documentare il disagio, mentre altri - secondo fonti delle forze dell’ordine - avrebbero ostacolato
l’operazione. Sul posto sono giunti polizia e carabinieri che hanno fatto uscire il fotografo, nonostante la
reazione contraria di alcuni migranti. La situazione si è poi placata, mentre resta «barricata» la via di
accesso e il presidio delle forze di polizia.
11 maggio 2016 (modifica il 17 maggio 2016)
Profughi, il prefetto convoca la coop
E il caso Cona approda in Parlamento
Ecofficina strigliata per le modalità di selezione del personal
VENEZIA Martedì, in seguito alla pubblicazione del reportage del Corriere del Veneto, la prefettura di
Venezia ha immediatamente convocato i vertici della coop Ecofficina di Battaglia Terme per quella che a detta di alcuni dei presenti - viene descritta come una «lavata di capo». Pare che al centro
dell’incontro ci fossero proprio le modalità con la quale avviene la selezione del personale che lavora
all’interno della struttura e che ha permesso al cronista del nostro giornale di accedere alla base. Una
relazione dovrà essere presentata nei prossimi giorni. Ecofficina è un «gigante bambino», nato nel 2011
per la gestione di un asilo e poi convertito all’assistenza dei migranti. Per raccontare il suo improvviso
successo, bastano i numeri. L’anno della sua creazione si è chiuso con un fatturato di 114.930 euro e un
utile di 3.727 euro. Nel frattempo il caso approda in Parlamento.
Leggi il resto dell’inchiesta nel giornale in edicola o acquistalo nello store digitale.
06 aprile 201
Cona (VE) - Rivolta nel centro profughi: "Viviamo come bestie"
Diego Degan, La Nuova Venezia, 27 gennaio 2016
Un centinaio di profughi è uscito dall’ex base di Conetta e chiede migliori condizioni igieniche. In 600 ammassati negli
spazi pensati per 20 persone
di Diego Degan
Protesta, dalla mattina di mercoledì 27 gennaio, dei profughi ospitati nella ex base militare di Conetta. Verso le nove
diverse decine di loro (almeno 100 persone) sono usciti in corteo dai recinti della base, urlando e strepitando. Ma, prima
che potessero percorrere completamente la stradina che, dalla base, porta sulla provinciale 86 Conetta - Rottanova,
sono stati bloccati dalle forze dell’ordine, polizia e carabinieri, e convinti a rientrare.
Poco dopo è arrivato sul posto il dirigente del commissariato, Antonio Demurtas, che ha parlato a lungo con gli stessi
profughi e i dirigenti della cooperativa, Ecofficina Educational, che gestisce l’accoglienza nella struttura. I migranti hanno
presentato una lunga serie di lamentele sulle loro condizioni di vita: freddo, soprattutto durante la notte, mancanza di
acqua calda per lavarsi, scarsità di docce e servizi igienici, cibo insufficiente e nessun cambio di vestiti disponibile,
carenza di medicinali e di assistenza medica.
(28 gennaio 2016)
Profughi a Cona: in troppi nella ex base di Conetta
(gennaio 2016)
Rimane al centro delle cronache riguardanti Cona e le aree circostanti la questione legata ai
profughi che continuano ad essere presenti in numero troppo alto presso l’ex base missilistica di
Conetta. Risalgono a fine dicembre gli scatti divulgati dagli stessi profughi che mostravano le
condizioni poco igieniche e sicuramente poco confortevoli nelle quali erano costretti a stare con letti
accatastati uno sull’altro e spazi davvero ristretti in particolar modo in seguito all’arrivo dei
profughi che precedentemente erano ospitati presso il Residence Le Mimose di Eraclea. Gli scatti
avevano lasciato poco all’immaginazione mostrando come, anche dal punto di vista dei migranti, la
situazione stia ormai andando fuori controllo e non si possa più considerare Cona come l’hub
principale del Veneziano ignorandone la reale capienza. Il nuovo bando per la gestione
dell’accoglienza, che si basa sulla reale possibilità di un’accoglienza diffusa dei profughi sul
territorio, infatti prevedrebbe solo 10 profughi per il Comune di Cona, un numero ben diverso da
quello reale che attualmente supera i 500.
Attualmente l’accoglienza viene seguita dalla cooperativa che si occupa della gestione del’ex base
ma senza dubbio le recenti festività natalizie hanno dato modo anche ai cittadini di Cona e dei paesi
circostanti di conoscere meglio queste persone attraverso delle celebrazioni eucaristiche che si sono
tenute in inglese appositamente per coinvolgere anche i profughi alle quali si sono legati anche dei
momenti di convivialità che hanno permesso di comprendere meglio le esigenze dei migranti e la
loro situazione, senza dubbio non facile, lontani dal loro paese e in molti casi dai loro affetti più
stretti. Il coinvolgimento della popolazione e dell’unità pastorale, sebbene rappresenti un grande
passo avanti verso una maggiore accoglienza e comprensione della situazione dei migranti, senza
dubbio non può risolvere questa problematica così complessa che ormai da mesi vede impegnate le
istituzioni, in particolare l’amministrazione di Cona, nel gestire al meglio l’accoglienza che sempre
più necessita di una revisione della distribuzione dei migranti in funzione delle potenzialità del
territorio.
Già lo scorso dicembre Mauro Armelao, vicepresidente nazionale del sindacato di polizia Ugl,
avvisava “L’ex base di Conetta è oramai stracolma di profughi. Non è una novità che all’interno vi
siano state delle problematiche di convivenza tra ospiti di diverse nazionalità, ma una cosa è certa, e
lo diciamo senza dubbio di smentita, per noi la base deve essere chiusa nel più breve tempo
possibile. E’ assurdo e pericoloso poter pensare che in caso di bisogno (risse, ecc) solamente due
operatori della volante proveniente da Chioggia e altri due della radiomobile dei carabinieri possano
intervenire all’interno dell’ex base per sedare magari una rissa tra immigrati, come accaduto poco
tempo fa, senza farsi male e senza rischiare la propria vita”.
Ecofficina esposta con le banche ora
rischia la revoca degli appalti
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Il Gazzettino (Padova)
10 May 2016
Luca Ingegneri
L’INCHIESTA Tutti gli appalti di Ecofficina al vaglio dei carabinieri
La coop ha ottenuto affidamenti per 2-3 milioni di euro ma le gare sono sotto inchiesta
Oscilla tra i due e i tre milioni di euro l’esposizione finanziaria di Ecofficina Educational, la
cooperativa di Battaglia Terme al centro di una nuova indagine - la seconda dopo quella
aperta dalla Procura di Rovigo legata alla gestione dell’emergenza profughi. La coop di
Simone Borile e del vicepresidente Gaetano Battocchio, entrambi indagati per truffa e falso
materiale, è riuscita ad ottenere importanti affidamenti grazie ai numerosi appalti
assegnati dalle Prefetture venete. Tra ex caserme, ex alberghi e case private gestisce la
bellezza di 1500 richiedenti asilo, da Bagnoli alla Prandina fino all’ex base di Cona. Un
affare milionario. A 34,90 euro al giorno di media si fa presto a fare i conti: un giro annuo
di 15 milioni di euro. Ecco perchè le banche non hanno battuto ciglio. Tre gli istituti che
avrebbero concesso cospicue aperture di credito alla cooperativa di Battaglia. Le Prefetture
sono però in ritardo con i pagamenti: ad Ecofficina non sono ancora state saldate le ultime
tre mensilità del 2015 e pure le liquidazioni di quest’anno procedono a rilento. L’indagine
dei carabinieri, coordinata dal pubblico ministero Federica Baccaglini, ha evidenziato al
momento una palese irregolarità nella gestione del bando Sprar, ovvero la gestione del
sistema di protezione per i richiedenti asilo nel comune di Due Carrare. Per aggiudicarsi
l’appalto Ecofficina avrebbe presentato documenti falsi. Non coincide la data di stipula
della convenzione tra Prefettura e coop. Ecofficina comincia ad accogliere i primi profughi
all’asilo di Battaglia Terme l’8 maggio 2014. Tanto che la convenzione, agli atti di Palazzo
Santo Stefano, viene effettivamente siglata il 14 maggio. Nei documenti ufficiali compare
però la data del 6 gennaio 2014: non un giorno a caso visto che, come richiesto dal bando,
Ecofficina deve dimostrare di possedere un’esperienza continuativa nell’accoglienza pari a
due anni e un giorno.
I due documenti sono identici, con lo stesso codice di identificazione della gara.
Evidentemente uno dei due è falso. Secondo gli investigatori la cooperativa di Battaglia
avrebbe goduto della complicità di un’impiegata della Prefettura,madre di una volontaria
di Ecofficina. La posizione della donna è tuttora al vaglio degli inquirenti. La falsificazione
delle date sarebbe servita ad Ecofficina per meglio accreditarsi in vista di ulteriori
incarichi. È per questa ragione che i carabinieri stanno passando al setaccio tutti gli appalti
assegnati alla creatura di Simone Borile. Qualora dovessero essere riscontrate anomalie
scatterebbe inevitabilmente la revoca degli incarichi come avverà con tutta probabilità per
il bando Sprar di Due Carrare, destinato alla Coges. In quel caso Ecofficina si ritroverebbe
indifficoltà con gli istituti di credito.
«Migranti a Cona, una scelta
obbligata»
Il prefetto: situazione non delle migliori, colpa delle scarsissime
risposte al bando d’accoglienza. Arrivano i prefabbricati
(8 aprile 2016)
CONA. Per ammissione dello stesso prefetto Domenico Cuttaia, «la situazione della
struttura di accoglienza di Conetta non è certamente delle migliori». Ma, precisa il
rappresentante del Governo, è anche «una scelta obbligata e causata dall’assoluta
mancanza di alternative praticabili», tenuto conto dell’esito a dir poco disastroso dell’ultimo
bando che risale a dicembre.
Dopo che nei giorni scorsi l’ex base militare è finita alla ribalta dei media e il sindaco aveva
bollato la situazione come «intollerabile», ieri il prefetto ha voluto chiarire le questioni
legate all’accoglienza dei migranti e in particolare al sito di Conetta, dove gli ospiti sono
liberi di entrare e uscire dalla struttura quando vogliono, con l’unico obbligo di rientrare per
le 22. Per chi sgarra, il rischio è di uscire dal programma di accoglienza. «La strategia
della Prefettura è sempre stata quella di pervenire all’uniforme distribuzione sul territorio
dei migranti per piccoli gruppi», chiarisce Cuttaia ricordando il principio dell’accoglienza
diffusa e sottolineando come negli ultimi mesi siano stati numerosi i tavoli tecnici a cui
sono stati invitati tutti i sindaci del Veneziano e i soggetti potenzialmente da coinvolgere
nell’accoglienza. «Nonostante gli sforzi compiuti e costantemente rinnovati, non è stato
possibile concretizzare l’obiettivo. Al momento, infatti, su 44 Comuni della Città
Metropolitana, sono dislocati migranti solo in 17, per un totale di 1.360 persone accolte»,
prosegue il prefetto.
Proprio per evitare l’altissima concentrazione di migranti nello stesso luogo, a dicembre la
Prefettura ha bandito una gara per quasi azzerare il centro di Cona, facendo sì che nella
località al confine con il Padovano restassero solo dieci persone. «Sono stati messi a gara
1.788 posti, ossia gli attuali 1.360 posti già occupati più una quota relativa agli arrivi
prevedibili nel 2016», illustra il prefetto, «Sono state presentate offerte solo per 559 posti,
ben al di sotto delle presenze attuali in quanto alcuni soggetti come cooperative, enti e
associazioni hanno manifestato l’intenzione di non proseguire il rapporto con lo Stato». La
conseguenza? «In queste condizioni riesce difficile poter “alleggerire” Cona in tempi
brevi», spiegano dalla Prefettura, «È allo studio un altro bando da destinare unicamente
all’individuazione di posti nei Comuni finora non interessati dalla presenza di migranti».
Quanto alle condizioni igienico-sanitarie all’interno della ex base, il prefetto dichiara che
«la situazione è comunque compatibile con la normativa, come attestato dai frequenti
controlli dell’Asl. Dopo il controllo del 22 marzo, l’organo sanitario ha comunicato che la
struttura è in grado di ospitare 542 persone». A breve, conferma la Prefettura, arriveranno i
prefabbricati per i profughi. Anche se l’iter appare al momento in salita. «La Prefettura non
può decidere da sola in un contesto che esige il rispetto di regole urbanistiche, con
competenze di altri organi. Per questo da tempo è stata richiesta l’intesa sulla conformità
urbanistica del progetto a Regione e Comune, chenon l’hanno concessa. Quindi è stata
attivata una conferenza di servizi, fissata per il 12 aprile», conclude il prefetto
sottolineando come sia auspicabile definire la questione in tempi rapidi e consentire così il
posizionamento dei prefabbricati.
Zanusso, gestione di Ecofficina a
rischio
Profughi. Il prefetto di Padova sospende la gara vinta dalla coop per
irregolarità nei documenti, Treviso: staremo a vedere
ODERZO. L’assegnazione del centro profughi della Zanusso alla padovana Ecofficina è a
rischio. La cooperativa finita sotto inchiesta a Padova per falso in atto pubblico e a Rovigo
per maltrattamenti potrebbe vedersi ritirare l’affidamento della gestione dell’ex caserma
opitergina. A determinare la situazione proprio gli sviluppi delle inchieste che la riguardano
e, in particolar modo, quelli relativi alla gestione dei centri di accoglienza profughi
padovani di Bagnoli e della Prandina, che Ecofficina si era aggiudicata presentando
documenti oggi sotto la lente degli inquirenti perché ritenuti non veritieri. Ieri a Padova la
prefettura ha deciso di congelare l’appalto a Ecofficina. Un atto formale importantissimo,
perché se fosse il preludio delle estromissione di Ecofficina non potrebbe non avere
ripercussioni sull’appalto trevigiano ottenuto dalla coop padovana in “affidamento diretto”
sulla base delle credenziali presentate e di quella fiducia che oggi a Padova pare incrinata.
A Treviso non sono ancora stati presi provvedimenti ufficiali ma si segue con attenzione
l’esito dell’indagine padovana. Una cosa è certa, «Ecofficina è osservata speciale, e i
rapporti con la prefettura padovana sono strettissimi». Se la prefettura di Padova
decidesse di estromettere Officine dalla gara riscontrando la mancata veridicità degli atti,
per Treviso sarebbe un fatto di cui sarebbe impossibile non tenere conto. Ieri, intanto, la
prefettura di Padova ha riaperto la gara per la gestione dell’ex caserma Prandina e della
base di Bagnoli, riammettendo le due cooperative romane escluse, cioè Senis Hospes e
Tre Fontane, legate al gruppo La Cascina. Un’azione «in autotutela», dopo i sospetti di
irregolarità che pesano su Ecofficina. E dopo l’ultima interrogazione presentata in
Parlamento dai deputati Pd che aveva chiesto chiarimenti sul bando. Il prefetto padovano
ha autorizzato lo stop al “lotto 2” della gara per l’accoglienza dei profughi: è il lotto che
riguarda proprio l’ospitalità di 500 profughi tra Prandina e Bagnoli. Annullata «in
autotutela» l’aggiudicazione a Ecofficina e ammesse le due cooperative romane, in un
primo momento escluse per motivi tecnici. Contestata un’irregolarità nei documenti
presentati da Ecofficina per il bando Sprar di Due Carrare: una dichiarazione che attestava
l’inizio dell’attività di accoglienza nel gennaio 2014, quando in realtà non c’era alcuna
emergenza profughi.