Albania - Sardegna Solidale

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Albania - Sardegna Solidale
DIARIO DI VIAGGIO
di LUIGIA CAPPAI
Volontari MA-SI-SE
Partecipanti alla
Missione Arcobaleno
5° Gruppo
6° Gruppo
Deidda Angelo
Pisu Alfio
Bonomo Guido
Santocono Cinzia,
Medda Giuseppe
Boi Antonio
Figus Daniela
Marotto Battista
Pinna Marilena
Bernardi Luciano
Isoni Nicolò
Marcialis Antonio
Marcialis Giampiero
Ruggero Walter
Cirina Vincenzo
Melis Silvano
Pintus Pier Giorgio
Moi Michele
Aresu M. Battista
Mesina Piero
Lai Giuliana
Marzo 1999, veniamo allertati
Volontari MA-SI-SE
Partecipanti alla
Missione Arcobaleno
1° Gruppo
3° Gruppo
Bernardi Luciano
Isoni Nicolò
Cifani Franca
Ligas Sergio
Pizzi Marco
Congera Gianroberto
Deiana Giovanni
Leone Paolo
Medda Giuseppe
Boi Antonio
Cappai Luigia
Marcialis Giampiero
Cappai Luigia
Deiana Giovanni
Congera Gian Roberto
Medda Giuseppe
Putzu Sergio
Balfucci Massimiliano
Mazziotti Giovanni
Contu Francesca,
Desogus Francesca
Casu Costantino
Melis Federico
Burranca Redentina
2° Gruppo
4° Gruppo
Marcialis Antonio
Lecca Cesare
Corgiolu Marcello
Ruggiero Walter
Melis Caterina
Desogus Francesca
Dessì Mauro
Mereu Sebastiano
Bernardi Luciano
Cifani Franca
Isoni Nicolò
Ruggiero Walter
Melis Caterina
Cordeddu Graziella
Fodde Gabriella
Basile Gianmario
Cao Paola
Deiana Rita Elena
per la missione umanitaria in soccorso del Popolo Kossovaro
denominata Missione Arcobaleno.
Inizialmente si doveva fare campo e ricevere i profughi a Bari. Ci si prepara alla partenza con la
colonna mobile del Gruppo Sardegna. Qualche giorno prima della partenza veniamo informati
che i profughi dovranno essere accuditi in Albania. Era la prima volta che i volontari di venivavenivano inviati fuori dal Territorio Italiano.
Il 1° aprile ci ritroviamo al porto di Bari per essere imbarcati per Durazzo. Ci vengono consegnate delle pettorine gialle con la scritta protezione Civile ben evidenziata.
Sulla nave dove veniamo imbarcati con i mezzi al seguito, il Responsabile della missione ci convoca nella sala interna per darci informazioni comportamentali durante tutta la permanenza:
tenere addosso sempre la pettorina gialla, scrivere nella targhetta interna i nostri dati personali
per poter essere individuati, siamo coperti da assicurazione come in campo di guerra, all’uscita
dal porto i mezzi devono muoversi in colonna stretta in modo da impedire qualsiasi tipo di intrusione tra di essi, dobbiamo tener presente sempre la situazione di rischio cui si può andare
incontro. Ci guardammo gli uni con gli altri senza proferire parola, guardammo fuori dall’oblò,
la terraferma era ormai lontana, non si poteva tornare indietro..........
A Durazzo veniamo alloggiati nella struttura dell’ospedale pediatrico costruito
dai Lions ancora in fase di ultimazione.
La mattina successiva in stretta colonna
ci ritroviamo su un campo deserto.
Dobbiamo
allestire
il
campo
d’accoglienza in tempi rapidissimi, poco meno di una settimana e arriveranno i profughi. L’adrenalina alle stelle,
le pettorine gialle si muovono in un
campo fatto di fango, scaricano i sacchi
delle tende, freneticamente montano
una tenda dietro l’altra, mentre
l’ingegnere cerca di disegnare una parvenza di villaggio, fatto non di mattoni ma di tende di colore blu, le mitiche tende ministeriali. In
pochi giorni, dimenticando la sete, la fame, la stanchezza comincia a sorgere il villaggio, i profughi sono in viaggio.
Arrivano a tarda notte, in condizioni
indescrivibili, col solo bagaglio della tragedia e della desolazione. Tanti vecchi,
bambini, e donne. Che strano pochissimi giovani, mancano gli adulti. Capiremmo più in là i motivi. Non vogliono
essere separati, rimanere uniti anche in
una sola tenda, stare stretti e scomodi,
ma insieme, c’è tanta paura nei loro occhi. Assegnata la tenda tentiamo di rifocillarli, solo una tazza di thè caldo, preparato dalla Croce rossa, non possono
ingoiare altro, il loro stomaco non riceve niente da giorni, rischiano di star male. Alla luce del
giorno vediamo i loro volti, cerchiamo un contatto, far sentire loro che siamo amici, dar loro un
minimo di sollievo, farli sentire al riparo e lontano dalla tragedia che ha trucidato le loro famiglie.
Giorno dopo giorno il campo deserto
dell’arrivo, ha un nome, è sorto Campo
Italia nella località di Kavaje. Il villaggio si
anima, comincia a spuntare qualche sorriso
sui volti sofferenti, prendono fiducia, si sentono protetti e cominciano a raccontare, a
raccontare le atrocità che nessuno poteva
pensare ai nostri giorni di sentire.
Comincia un altro impegno, cercare di ricostruire i nuclei famigliari, registrarli, non
possiamo far altro che prendere per buono ciò che dichiarano, sono stati privati anche della loro identità.
Siamo fortunati, molti di loro, in particolare i bambini, parlano italiano, l’hanno imparato seguendo le trasmissioni in italiano con la parabola, e cominciano a raccontare............... cerchiamo di farli giocare, il potere del pallone!!! che bello vederli correre spensierati ed esultare!!!!!.
Diamo loro dei quaderni, e disegnano, ce li consegnano senza parole, e rimaniamo senza parole.
Un attimo dopo stringono
le nostre mani, cercano un
abbraccio, sento ancora la
loro voce che grida gioiosa:
Ciao Italiana, Ciao Rossa!!!!!!. Dove sono questi
bambini, oggi giovani e adulti, spero tanto possano
aver lenito la sofferenza vissuta e sicuramente mai dimenticata.
A fine aprile dopo un brevissimo rientro a casa, riparto per un altro turno.
Non vedo l’ora di rivedere
campo Italia, come si è evoluto, i suoi abitanti, rivedere i bambini ed i vecchietti. Rimango ben impressionata, apparentemente stanno tutti bene, stanno riprendendosi un pò la loro vita, cercare di guardare speranzosi
al nuovo giorno.
In veste di capo gruppo assieme a Pietro dell’Associazione Sub Sinnai, ci rechiamo a Tirana,
presso il palazzo dove è allestita l’Unità di Crisi. Chiediamo la nuova destinazione.
Ci chiedono di recarci in un campo in fase di allestimento, gestito dal Comune di Milano, necessitano di aiuto, sono indietro con la costruzione del campo. Ci scortano i forestali, dopo ore e
ore di viaggio arriviamo a destinazione. Lezcte, ai confini col Montenegro. Il campo è ancora
tutto da fare, i profughi sono già in viaggio, bisogna fare in fretta. Ogni 20 minuti nasce una tenda, a tempo di record in tre giorni il campo è pronto. Anche lì si vive l’emozione dell’arrivo. A
notte fonda, hanno paura di viaggiare di giorno per non essere intercettati e attaccati.
Da quel momento non solo siamo diventati grandi amici, ma mi procurava cassette intere di viveri da portare via. Ebbene abbiamo “rubato”, orgogliosi e felici di aver rubato!!!!!!!!!!! Prima di
rientrare nelle nostre case, abbiamo lasciato il compito ad altri volontari in campo. Grazie ad un
piccolo gruppo di volontari il campo invisibile è diventato visibile e reale.
Al vigile del fuoco che mi guarda male quando gli chiedo i prodotti migliori e il caffè Lavazza,
gli chiedo se vuol venire a bere un buon caffè nella nostra tenda ( ci eravamo portati una macchinetta con le cialde dall’Italia, che una volta finite le svuotavamo per riempirle di caffè e riutilizzarle). E’ la sua mezza giornata di riposo in campo, accetta l’invito e dopo il caffè lo invitiamo a
fare un giro per il paese. Lo portiamo con noi e lo rendiamo partecipe dell’operazione Sommergibile.
Sta per finire il nostro turno, il capo campo Sig. Luciano Tenaglia, ci chiede se un gruppo di
noi può trattenersi. Breve riflessione, rimaniamo in una decina.
Una mattina mentre mi appresto a rifornirci di viveri, qualcuno mi si avvicina, mi confida che
fuori dal nostro bellissimo campo, c’è ne uno sconosciuto, perfettamente invisibile, nessuno sa
della loro esistenza, non hanno niente.
Con la scusa di acquistare la bombola per cucinare, mi faccio
accompagnare al campo invisibile.
Bisogna fare molta attenzione, ci sono posti di blocco da tutte
le parti, poliziotti incappucciati, i kalassnicov in spalla, dobbiamo fare in modo di non suscitare sospetti.
Arriviamo nei pressi di un vecchio granaio, un cortile immenso, sembra disabitato. A piedi percorriamo lo spiazzo che ci
separa da una parvenza d’ingresso……………uno stanzone enorme illuminato dalla luce del giorno, e una distesa infinita
di brande, materassi, tutti attaccati tra loro, da sembrare un
enorme unico letto, quattro file di enormi letti, dove sono adagiati tantissimi bimbi, neonati che piangono, qualcuno dorme, qualcun altro cerca di correre tra una fila e l’altra di letti.
Ad occhio e croce sono qualche centinaio…………
Chiediamo alle donne di cosa hanno bisogno, domanda cretina, si vede lontano un miglio che possiedono solo l’aria per
respirare………….
Torno al campo sconvolta, possibile che nessuno abbia notato queste persone????
Come sono arrivate, quando, e come sopravvivono??????
Non vedo l’ora che arrivi la mattina, andare al container dei viveri per poter prelevare quanto è
possibile e di più. Meno male dispongo del ducato , convinco il vigile del fuoco di turno alla
consegna dei viveri a consegnarmi alimenti per almeno 50 persone, ironicamente gli chiedo il
caffè Lavazza, mi guarda strano…………..
Ormai conosciamo bene gli addetti alla sbarra e in compagnia di Roberto ci rechiamo al campo
invisibile e fare le consegne. Tanta paura perché i poliziotti incappucciati potrebbero fermarci,
perquisire e requisire il nostro piccolo tesoro.
Siamo fortunati, torniamo al campo delle Regioni, in silenzio, ci accompagnano gli abbracci e i
sorrisi degli invisibili. Una piccola riflessione….. alla richiesta del capo campo di poterci trattenere a dare una mano, non eravamo tanto convinti di essere tanto utili, c’erano tantissimi volontari
in campo………….. Ora ci rendiamo conto che la nostra presenza non serviva per montare ancora tende, ultimare il campo, accudire i profughi già ospiti, il cielo ci aveva riservato questa grande
emozione.
Dare sollievo a questo gruppo di bimbi, donne e ancora tanti vecchietti, avevano bisogno delle nostre mani
tese che portavano pasta, zucchero, caffè, latte, frutta e
tanto sapone, quanto più si poteva. Abbiamo vuotato i
nostri zaini per riuscire a dare un cambio di vestiario,
poca cosa, una goccia d’acqua nel deserto, ma pur
sempre acqua che aiuta a sopravvivere. Tra di noi lo
abbiamo chiamato Operazione Sommergibile Rosa in
ricordo di un vecchio film.
Sopra: Campo di Valona
Sotto: Immagine dal Film “Operazione Sottoveste”
Altre facce terrorizzate, altre storie di tragedie inumane. Ancora solo tanti bambini, donne e vecchi.
Andiamo tra le tende, consegniamo il vestiario che
ci siamo portati da casa, le scarpette ai bambini,
colori e quaderni.
Un’emozione infinita, cammino fra le tende, incontro sempre una nonnina, la incrocio in ogni angolo, mi si avvicina, mi accarezza, mi sussurra qualche parola, gli occhi pieni di lacrime. Non capisco,
non riesco a comunicare, non posso fare altro che
ricambiare le carezze con un sorriso.
Cerco qualcuno che possa tradurre le parole che
mi sussurra, tutto ciò mi crea un pò di disagio.
Mi dicono che la nonnina è una delle tante mamme alla quale hanno ucciso la figlia, io le somiglio tanto........ Avrei preferito continuare a non capire, ricevere le sue carezze e risponderle con
un sorriso....., cambio strada tra le tende,...................evito di incontrarla,......................... una figlia che non c’è più, mi sento oggetto di un’illusione che fa solamente male,............ma perchè
mi sento tanto vigliacca?
Nuova destinazione, finito il campo Milano, ci chiedono
di andare a Valona.
Incredibile, un campo diverso da tutti gli altri, costruito
sulla pista dismessa dell’aeroporto. Sembra di stare in
mezzo a piccoli paesi in miniatura!!!!.
Sono presenti tutte o quasi le Regioni d’Italia, manca ancora la nostra Sardegna e la Sicilia.
E’ un campo sperimentale, ogni Regione deve allestire
un piccolo campo e dare assistenza e accoglienza a 360
gradi, a 500 profughi.
Quasi tutte le regioni già presenti in campo, hanno allestito il loro piccolo paese, i futuri abitanti, man mano che arrivano, vengono rifocillati, vestiti, curati, e occupano “l’appartamento” loro
assegnato. Si vedono solo bambini, donne e ragazzi, non vi sono tra gli ospiti persone adulte.
Nel campo delle regioni, ci si muove bene, rispetto agli altri campi è un’altra realtà, sembra quasi di stare in campeggio............in alcune regioni c’è persino il parrucchiere!!!!!!!.
Strano, all’imbrunire, c’è un andirivieni di persone che avvicinandosi alla sbarra ( una corda legata a due pali ) sorvegliata a turno dai poliziotti albanesi, cercano i parenti e famigliari, nella
speranza di ritrovarli in qualche campo......... La nostra tenda è posizionata a ridosso della sbarra, e notiamo che le persone che vengono in campo a cercare i famigliari, sono praticamente
sempre le stesse facce. Ne parliamo con i carabinieri presenti in campo............ da lì a qualche giorno capiamo.
Con la motivazione di ricongiungere i famigliari, guarda
caso sempre ragazze molto giovani, con l’aiuto di tutti
noi volontari, accipicchia ne aiutiamo parecchi!!!!!!!. Un
pugno allo stomaco, questi parenti non sono altro che
sconosciuti che vanno alla ricerca di belle ragazze per
poterle consegnare con l’illusione del Paradiso Italia,
agli scafisti………….
Missione Arcobaleno 1999