025_028_donne_contro_3

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Giornalista e scrittrice, Salima Ghezzali ha raccontato mirabilmente la guerra civile che ha
insanguinato l’Algeria negli anni Novanta. Poco amata dal governo del suo Paese, in Europa
è stata a volte accusata di eccessiva indulgenza nei confronti del terrorismo. Un’accusa che
non regge a un’analisi serena dei fatti, come dimostrano i molti riconoscimenti internazionali che le sono stati conferiti
Salima, un’algerina
all’opposizione
DONNE CONTRO 3
di Anna Vanzan
donne di Algeria che hanno combattuto per
l’indipendenza del Paese, e in una numerosa famiglia che crede fermamente nell’educazione di entrambi i sessi. È subito attratta dall’attività politica e dalle associazioni:
attiva nel movimento degli studenti, si laurea in Lettere, e dopo un breve periodo di
lavoro come insegnante, dove è coinvolta
nel movimento sindacale, si dedica al giornalismo.
Entra a far parte della redazione del settimanale “La nation” di cui diventa direttrice nei primi anni Novanta. Impegnata
nella battaglia per i diritti delle donne,
fonda due associazioni femministe, una
transnazionale (“Donne per l’Europa e il
Maghreb”) e una più localmente orientata, la”Associazione per l’emancipazione
femminile”. Crea anche una rivista femminile “Nyssa” (“Donna”). Nel 1988, a
soli trent’anni, Salima Ghezzali riceve il
premio Olof Palme per la sua attività in
favore dei diritti civili.
Negli anni Novanta, all’apice della guerra
civile che insanguina l’Algeria per una
decina di anni, Salima Ghezzali raccoglie
appassionate cronache di guerra nel suo
giornale: i reportage dal 1993 al 1996 sono
ora pubblicati nel volume Il sogno algerino. Oltre che sostenitrice dei diritti della
donna Salima Ghezzali è convinta militante per i diritti umani e per la democra-
Corbis
alima Ghezzali nasce nei pressi di
S
Algeri nel 1958. Cresce in un’atmosfera di idealismo creata anche grazie alle
SALIMA, UN’ALGERINA ALL’OPPOSIZIONE
zia in Algeria.
A partire dal 1994 nei suoi articoli sostiene
l’esigenza di una soluzione pacifica e
democratica alla crisi algerina di cui sono
stati vittime 200.000 persone, senza contare i 15.000 prigionieri nei campi di detenzione nel deserto e i 400.000 fra intellettuali e professionisti costretti a lasciare il
Paese. Gli articoli di Salima Ghezzali
attraggono la scure del censore. La giornalista diventa così il bersaglio del fuoco
incrociato degli estremisti islamici, particolarmente feroci contro la stampa, e delle
stesse autorità algerine.
“La Nation” compila un dossier che prova
la complicità del governo in attacchi, assassini, sparizioni di persone ed esecuzioni
sommarie. Il dossier, in cui sono descritti i
campi di detenzione, viene pubblicato
anche in Francia. Così, mentre nel 1996 la
World press Review nomina Ghezzali
“Giornalista dell’anno” il governo algerino
chiude “La Nation”: in un’audizione sulla
libertà di stampa dinanzi alla sottocommissione per i diritti umani del Parlamento
europeo del 25 aprile 1996, Salima
Ghezzali rende testimonianza della paura e
delle coercizioni cui sono assoggetti i giornalisti in Algeria quando cercano modi e
mezzi per aggirare la censura e sfuggire
alla rabbia mortale dei loro avversari.
“Le Monde Diplomatique” pubblica un suo
articolo sulla situazione dei diritti dell’uomo in Algeria, articolo che viene accusato
di “destabilizzare il Paese” e fornisce il
pretesto alle autorità algerine per chiudere
“La Nation”, che sarà riaperto solo nel
2001. Nonostante queste evidenti difficoltà,
a metà degli anni Novanta Salima
Ghezzali è già una figura controversa: se il
governo algerino non ama essere accusato
di mezzi dittatoriali dalla penna della giovane giornalista, vi sono altresì figure politiche europee che l’accusano di eccessiva
condiscendenza nei confronti dei terroristi.
Quest’accusa è giustificata dal fatto che
Salima applaude all’iniziativa organizzata
alla Comunità di San Egidio nel gennaio
del 1995, quando al tavolo della pace siedono vari partiti politici algerini, tra cui il
Fronte Islamico di Salvezza. Le polemiche
sono tali che, quando Salima Ghezzali riceve nel 1997 il prestigioso premio Sacharov
per la libertà di pensiero, il deputato europeo Olivier Depuis, segretario del Partito
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Radicale, si alza in piedi per protesta contro
le “posizioni ambigue” della giornalista.
Salima Ghezzali dichiara che la scena politica algerina è dominata da una classe politica corrotta e antidemocratica, che trae
però legittimazione grazie alla lotte sostenute per l’indipendenza e contro il terrorismo. Una tesi che questa donna coraggiosa
ha ribadito durante il nostro incontro agli
inizi di maggio, quando è venuta in Italia
per una serie di conferenze, proprio alla
vigilia delle elezioni nel suo Paese.
“Lo spettro del terrorismo è agitato continuamente dai governanti algerini”, ha
osservato la Ghezzali, aggiungendo che “le
autorità usano quest’arma per tacitare ogni
forma di dissenso in nome della sicurezza
nazionale: un ottimo mezzo per imbavagliare chiunque osi mettere in discussione
l’operato della classe dirigente”. Così, in
uno spazio di discussione sempre più ridotto, i poteri forti gestiscono il Paese controllandolo con pratiche invisibili quali la censura sui mezzi di comunicazione, praticata
in modo sottile.
I giornalisti che osano mettere in discussione l’operato del governo sono infatti
tacciati di connivenza col terrorismo. Al
tempo stesso, le autorità usano i media a
proprio piacimento, per dare una buona
immagine di sé. Salima parla a bassa voce,
con aria quasi stanca, sorride in continuazione, ma lancia accuse durissime anche ai
suoi colleghi: “Gli intellettuali algerini
sono vittime degli stereotipi del governo
che abbrutisce la gente con una propaganda
quotidiana e la confusione è totale al punto
che nello stesso giornale si scrive tutto e il
contrario di tutto”.
Il 17 dicembre 1997, in occasione del ritiro
del premio Sacharov, Salima Ghezzali scrive: “Molte cose sono state dette su questa
guerra di troppo che dilania l'Algeria,
sugli assassinii di intellettuali e di stranieri, sugli attentati indiscriminati, le stragi
di civili inermi, le operazioni militari, le
torture, sull'intero arsenale dell'ignominia
che si esercita nella più completa impunità, quando si nasconde dietro la difesa
dello stato, e nel furore selvaggio, quando
contesta con la violenza questo stesso
stato. Ma nessun dramma di questa
importanza sfugge all'incomprensione, alle
manipolazioni, al furore di uomini e donne
impegnati in un conflitto sovradetermina-
Olycom
DONNE CONTRO 3
_Gli elettori algerini nel 2005 hanno approvato la Carta
per la pace e la riconciliazione nazionale per mettere la
parola fine ad anni di guerra civile che hanno causato oltre 200.000 vittime
to dalla questione del potere. [...]Di fronte
alla carneficina, di fronte al furore dei terrorismi e alla brutalità cinica degli Stati, la
‘coscienza infelice’ degli intellettuali suona
come una rinuncia e l'impotenza dei politici come una complicità che, alla fine, conduce alla squalifica degli uni e degli altri.
Cinque anni di guerra in Algeria hanno
provocato non solo decine di migliaia di
morti, violazione massiccia dei diritti dell'uomo e distruzioni di ricchezze, dal sabotaggio economico alla deforestazione, ma
anche una scandalosa regressione sociale.
Porre il problema dell’Algeria in termini di
scelta fra la dittatura militare anche se
ridicolmente vestita di panni democratici e
una teocrazia islamica, significa condannarsi a non vedere una società che è portatrice di precise rivendicazioni. In Algeria
28 milioni di donne, di uomini e di bambini ogni giorno vedono con terrore sorgere
la morte, ma con altrettanto terrore la
schiacciante maggioranza della popolazione si vede rifiutare il diritto alla decenza
più elementare. Non lontano dai grandi
viali della capitale, gli algerini vivono a
migliaia uomini, donne, ragazzi in tende
accampate su terreni malsani; altre
migliaia, da anni, hanno eletto a propria
abitazione quegli stessi container che sono
serviti al commercio di cui si arricchisce
l'oligarchia al potere e vi si stipano famiglie intere. Quando, per sottrarsi al terrore
che si diffonde nelle campagne, decine di
migliaia di algerini cercano di costruirsi
con poche lamiere un alloggio improvvisato intorno alle grandi città, i bulldozer
sono i primi ad arrivare. I responsabili dell’amministrazione, che dilapidano somme
colossali per rifare il trucco, per l’ennesima
volta, alle vie principali, scatenano operazioni di ‘debidonvillizzazione’ e cacciano
questi indesiderabili, sempre che i gruppi
terroristici, veri e propri squadroni della
morte, non provvedano puramente e semplicemente a eliminarli. Ciò che sta succedendo in Algeria è scandaloso. Altrettanto
scandaloso è il silenzio. Con il 70% della
popolazione che ha meno di trent’anni e
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SALIMA, UN’ALGERINA ALL’OPPOSIZIONE
nessuna possibilità di trovare un lavoro,
con centinaia di migliaia di lavoratori
licenziati nella fascia dei 30-50 anni quella
che ha per anni assicurato la stabilità di
interi settori della società con uno stipendio regolare, con la brutale pauperizzazione delle classi medie e l'esclusione massiccia di centinaia di migliaia di persone, la
violenza non ha alcuna possibilità di
diventare un fenomeno marginale. Il fallimento di questo sistema è totale: nelle fabbriche che chiudono, nelle università che
scioperano, nelle campagne che si svuotano. Coloro che credono in buona fede che il
problema algerino sia di natura ideologica
guardino gli indicatori economici e sociali,
per capire quanta disperazione nasconde il
chiasso sollevato da frazioni minoritarie
della società. L’inganno per mezzo dell’ideologia (laicità contro islamismo) raggiunge il culmine quando il duplice containment militare ed economico dei più
concorre a far risorgere proprio l’estremismo che si pretendeva di combattere. Le
questioni democratiche fondamentali come
i diritti delle donne, la libertà di stampa, la
libertà intellettuale e di espressione, i diritti politici e culturali non hanno alcuna
possibilità di uscire dai ghetti in cui vengono machiavellicamente mantenute se la
schiacciante maggioranza della popolazione le vive come appannaggio di una minoranza insensibile alla sua sorte. I regimi
dispotici coltivano questa vecchia tradizione di lasciar sopravvivere una ristretta
élite politica e intellettuale a mo’ di alibi
democratico, mantenendola allo stesso
tempo in un timore panico della folla, alla
quale non esitano a consegnarla episodicamente. In questa situazione, grande è la
tentazione di ‘non fare nulla’.
Eppure, sottrarsi all'impegno porterà a
una squalifica che avrà conseguenze molto
pesanti per l’intera regione. Proprio perché, nel ‘problema algerino’ ‘niente è semplice’, è necessario far prova di volontà e
anche di un certo ‘volontarismo’ politico.
La volontà politica di sostenere senza
ambiguità un popolo straziato le cui rivendicazioni riguardano fondamentalmente la
pace e la dignità, implica l’accettazione di
un rischio: di fronte a un regime che ha
bisogno della guerra per mantenersi al
potere; di fronte all'intreccio di ‘clan d’affari’ che, sulle due rive del Mediterraneo,
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accumulano i benefici di una spudorata
corruzione; di fronte a una specie di ‘intorpidimento’ che censura ogni sincera solidarietà umana non appena si parli di
islam. [..] La levata di scudi dei fautori
dell'urto delle civiltà e il silenzio di altri
saranno soltanto riusciti a provare che,
oggi come ieri, il coraggio e la libertà dello
spirito consistono prima di tutto nel saper
osare. Osare chiedere una commissione
d’inchiesta internazionale sui massacri,
affinché nessuno fra i vari belligeranti
abbia la possibilità di attribuirne agli altri
la responsabilità. Osare prendere una iniziativa politica a favore della pace e delle
libertà”.
Nel 1998 Salima Ghezzali riceve
dall’Università dell’Aquila la laurea honoris causa in Lettere. L’anno successivo esce
in Spagna un suo romanzo, Gli amanti di
Shehrazade, poi tradotto anche in Francia.
Mentre continua a essere premiata da istituzioni internazionali (fra cui il premio
Ilaria Alpi nel 2002) per la sua opera di
giornalista, Salima Ghezzali diventa consigliere politico di Hocine Aït-ahmad, presidente del partito socialista, all’opposizione
in Algeri, da lei ammirato anche per il suo
ritiro nel 1999, insieme ad altri candidati,
dalla corsa al titolo presidenziale algerino,
competizione giudicata una farsa.
L’attività giornalistica di Salima Ghezzali si
arricchisce con la sua collaborazione a
MED1, testata radiofonica che trasmette in
arabo e in francese, con sede a Tangeri e ad
Algeri cosicché si sposta spesso in Marocco,
arricchendo i suoi reportage di una visione
“pan-maghrebina”.