n . 87 delle pubblicazioni dei Dalmati di Trieste

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n . 87 delle pubblicazioni dei Dalmati di Trieste
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N° 5 Anno II - luglio 2015
Taxe Perçue in Italy
N° 87 Anno XIX delle pubblicazioni
dei Dalmati di Trieste
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LA CROAZIA INVECE SNOBBA IL “SUPERMARKET DELLE MULTINAZIONALI”
LA DALMAZIA ALL’EXPO C’È
E NON SOLO QUELLA MONTENEGRINA
Il Presidente dell’Expo, la dalmata Diana Bracco e l’ideatore dell’Albero della Vita Marco
Balich, discendente da famiglia di Spalato, marcano la nostra presenza a Milano
QUALE SEDE DEL RADUNO 2015?
A CHI IL PREMIO TOMMASEO?
Il Commissario straordinario Guido Cace, incaricato di
raccogliere a Roma le adesioni di quanti vogliono essere
finalmente soci del Libero Comune di Zara in Esilio – Dalmati
italiani nel Mondo, non ci pensa neppure ad imporre una
sua scelta della città che ospiterà il Raduno nel settembreottobre 2015 e non intende neppure suggerire alcun nome,
o nomi, delle personalità che saranno insignite del Premio
Tommaseo. Tutte le proposte sono aperte. Vi invitiamo a
compilare il questionario “62° Raduno dei Dalmati 2015 e
19° Premio Tommaseo” sul sito www.survio.com/survey/d/
A3V6J9B9I4N2T5Y6H. Il tempo c’è, ma non troppo.
Infine, cosa non da poco, bisognerà trovare al Raduno
(e non ora!) una personalità del nostro mondo capace di
prendere in mano la situazione e garantire la continuità
ideale della nostra Associazione che nessuno vuole vada
dispersa.
Referendum: I DALMATI DECIDONO
DEL LORO DESTINO
Servizio a pag. 3
Sul Monte San Michele, i Dalmati di Trieste hanno
commemorato la M.d.O.V.M. Francesco Rismondo,
Bersagliere di Spalato davanti al Cippo lo che ricorda, nel
centenario del Sacrificio.
Servizio a pag. 8
il dalmata 87-luglio 2015.indd 1
Ha suscitato interesse e sollecitato l’orgoglio dalmata di
tutte le diverse componenti
nazionali della nostra terra
il fatto che la dalmata Diana
Bracco, presidente della più
importante casa farmaceutica
italiana fondata dal nonno
Elio e continuata dal padre
Fulvio, lussignani doc, sia
stata scelta quale Presidente
dell’Expo. Inoltre, l’Albero
della Vita, simbolo dell’Esposizione universale 2015, è
stato creato e realizzato da un
artista dalmata, l’imprenditore
e produttore Marco Balich
che ha rilasciato una bella ed
esauriente intervista a Panorama, settimanale illustrato di
Fiume degli italiani d’Istria,
Fiume e Dalmazia, nella quale
testualmente afferma: “La
famiglia di mio padre ha origini spalatine, ma si è trasferita a Venezia già a metà ’800.
Erano mercanti orafi. Non ho
più parenti in Dalmazia, ma so
che ci sono ancora dei Balich a
Cattaro. Nella mia famiglia ci
sentiamo cittadini del mondo,
ma le radici sono importanti”.
Marco Balich ha oltre 20 anni
di esperienza nel mondo e la
sua firma è apposta su progetti a livello mondiale: dalle
Olimpiadi invernali di Salt
Lake City del 2002, a quelle
di Torino del 2006, dai Giochi
del Mediterraneo del 2009,
alle prossime Olimpiadi di Rio
2016, dalle ultime tre edizioni
del Carnevale di Venezia, alla
Cerimonia della Coppa UEFA
del 2012, per finire con la chiusura delle Olimpiadi invernali
di Sochi in Russia...
L’assenza della Croazia all’Expo ha meravigliato solo
coloro che ignorano l’orientamento della maggior parte dei
croati. I quali ritengono che
l’opinione pubblica mondiale
sia stata informata solo sulle
ragioni che militano a favore
dell’Expo, mentre quelle critiche sarebbero state sommerse
da “curiosi” scontri avvenuti
a Milano dove le ragioni del
“no” sono state oscurate da
modesti gruppetti di Black
Block “con al polso il Rolex”.
Daria Garbin
Continua a pag. 2
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pag. 2
luglio 2015
IL DALMATA LIBERO
I 12 MATURANDI DEL LICEO LEONARDO DA VINCI DI SPALATO A VERONA
TORNA IL DIOCLEZIANO RIVISTA EDITA DALLA NOSTRA COMUNITÀ LOCALE
RISCOSSA DEGLI GLI ITALIANI DI SPALATO
CHE SI SENTONO ABBANDONATI DALLA PATRIA
Per compensare l’inaudito vuoto lasciato dalla chiusura del Consolato italiano di Spalato la
Ci e il Crcd-S si sono impegnati per riempirlo, insieme alla Console onoraria Medić
Segue da pag. 1
I MATURANDI DEL NOSTRO LICEO DI SPALATO ALL’ARENA DI VERONA
DALMATI
ALL’EXPO
Non sappiamo se le tesi critiche dell’Expo proposte dai
sostenitori del “no” fossero le
solite tesi negazioniste di ogni
novità, oppure se si trattasse di
cose più serie che hanno fatto
breccia, ad esempio, in Croazia. Il fatto che il Governo croato abbia deciso di disertare la
manifestazione e risparmiare
un milione e settecento mila
euro, che non avrebbero prodotto alcun ritorno, alimenta
le dicerie secondo le quali solo
i paesi dominati da forti presenze multinazionali operanti
nel settore alimentare avrebbero ottenuto un ritorno utile
alle loro economie. Questa
la tesi dominante in Croazia,
e segnatamente in Dalmazia,
dove pare che le multinazionali non operino ancora e le
piccole aziende agricole tentino di mantenere le proprie
caratteristiche facendo un formidabile fuoco di sbarramento
contro l’invadenza mondialista. Difficile dire se queste
tesi siano corrette e se i piccoli
produttori riusciranno a salvaguardare la specialità e la biodiversità dei cibi dalmati. Non
la pensa così il Montenegro
che si è ritagliato infatti una
fetta di notorietà internazionale all’interno del cluster del
Bio-Mediterraneo, esponendo
soprattutto produzioni di agricoltori, maricoltori, pescatori
e dell’allevamento animale
del piccolo tratto di terra che
ha fatto parte del Regno di
Dalmazia, come le Bocche di
Cattaro, i territori intorno alla
città murata di Budua, fino
all’antica città romana di Antivari.
D.G.
il dalmata 87-luglio 2015.indd 2
Tutti promossi all’esame di matura gli allievi del Liceo linguistico-informatico “Leonardo da
Vinci” di Spalato. Con le felicitazioni pervenute da ogni parte alla Direttrice della Scuola e
Segretaria del Centro Ricerche Culturali Dalmate di Spalato ing. Marina Galasso ed alla Presidente del Centro per la Dalmazia dott. Ivana Galasso alle quali sono pervenute anche le congratulazioni del Presidente generale del Crcd-S de’Vidovich che ha sottolineato l’ottima conoscenza da parte di tutti gli allievi della lingua italiana che consentirà loro di instaurare rapporti
di lavoro con le Società italiane operanti in Dalmazia e con gli Istituti culturali della Penisola.
È uscito nell’aprile scorso Il Diocleziano, periodico
della Comunità degli Italiani di Spalato, scritto
tradizionalmente in due lingue e che ha raggiunto ben
20 pagine. Era da tempo che il periodico spalatino era
assente e ciò forse anche perché vi erano stati a Spalato
dissidi nella dirigenza che aveva messo in crisi un
po’ tutte le nostre istituzioni locali. Il giornale reca le
firme di alcuni giovani recentemente venuti dall’Italia
che sono stati opportunamente contattati dalla nostra
Comunità, guidata da Giovanna Asara Svalina con
l’ausilio di Antonella Tudor e di Mladen Čulić Dalbello,
che rappresenta gli italiani nella Contea spalatina.
Auguriamo agli spalatini di operare in concordia certi
dell’appoggio de Il Dalmata libero.
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IL DALMATA LIBERO
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pag. 3
REFERENDUM ADRIATICO
I DALMATI SANNO BENE QUELLO CHE VOGLIONO
FINORA HANNO RISPOSTO 517 PERSONE
La lettera della Fondazione R.T. a Porta a Porta, ripresa su Il Giornale da Biloslavo, appoggiata
dagli on. Gasparri e Giovanardi, da Ballarin alla Camera e da tutta la Rete Internet
L’idea di un Referendum per sapere come la pensassero i Dalmati
è stata a lungo osteggiata con due argomentazioni risultate prive
di fondamento:
a)
i Dalmati sarebbero prevalentemente vecchi ed avrebbero quindi una scarsa dimestichezza con il computer;
b)
quelli che potevano inviare per posta la scheda compilata sarebbero stati pochi perché siamo noti per la nostra pigrizia.
Non è andata così: il numero di coloro che hanno risposto finora al
Referendum direttamente via Internet sono più di 300, cioè più di
quanti erano i presenti all’ultimo Raduno di Jesolo, mentre più di
altri 200 hanno inviato le loro schede regolarmente votate e spesso
accompagnate da richieste di chiarimenti.
1) Quale futuro vuoi per
te e per la cultura italiana
nell’Adriatico orientale?
Continuare
512
99,0%
Chiudere tutto
3
0,6%
2
0,4%
Non so
2) M.d.O.V.M. a Zara:
Sollecitare la cerimonia di consegna al Gonfalone dell’Amministrazione italiana del
Comune di Zara della Medaglia d’Oro al Valor Militare,
concessa con Decreto del 21
settembre 2001 dal Presidente
della Repubblica Ciampi.
Sì
512
99%
No
0
0%
5
1%
Non so
3) Restituzione dei beni
espropriati o equo indennizzo
Riprendere l’azione per ottenere la restituzione, dove
possibile, delle case e terreni
espropriati da Tito o pagamento agli eredi di un equo e
definitivo indennizzo.
Sì
511
98,8%
No
1
0,2%
Non so
5
1%0
4) L’Italia può introitare i
90 milioni di dollari dell’Accordo di Osimo?
Rendere nota l’opposizione
degli esuli all’introito di 90
milioni di dollari previsti
dall’Accordo di Osimo, al
fine di non ostacolare le azioni
giudiziarie in corso e quelle
future intentate dagli esuli
contro le Repubbliche di Croazia e di Slovenia, per ottenere
la restituzione delle case e dei
terreni espropriati da Tito.
Sì
349
67,5%
No
134
25,9%
34
6,6%
Non so
5) Eventuale ripartizione dei
fondi
Qualora il Governo italiano
dovesse introitare ugualmente
i fondi dell’Accordo di Osimo
e relativi interessi, come
dovrebbero essere ripartiti?
Tra gli esuli
337
65,2%
Tra Stato
ed Associazioni
Non so
158
30,6%
22
4,3%
6) Chi sono e come spendono
2 milioni e 300 mila euro
all’anno?
Rendere pubblici i finanziamenti erogati dallo Stato italiano alle Associazioni degli
Esuli (circa 2 milioni e 300
mila euro all’anno!), le somme
stanziate per i singoli progetti
ed i risultati ottenuti negli
ultimi quattro anni.
Ci è stato richiesto anche uno spazio per consentire di avanzare
proposte, considerazioni e consigli cosa che abbiamo fatto con
effetto immediato, aggiungendo un nuovo punto 11) e di dividere
il punto 4) in due 4a e 4b perché effettivamente dava luogo ad
equivoci. Anche la formulazione del punto 9) che ha sollevato
dubbi tra quanti volevano lasciare il voto ai “rimasti” anche nelle
elezioni amministrative del Friuli Venezia Giulia, è stato semplificato insieme agli altri punti per eliminare ogni dubbio. Su proposta
del presidente della FederEsuli Antonio Ballarin il voto del Referendum sarà collegato con un link al suo sito e a quelli delle altre
associazioni che ce lo chiederanno, per consentire anche ad altri
esuli ad esprimere le loro scelte.
Il Comitato organizzatore
Sì
509
98,5%
No
1
0,2%
Non so
7
1,4%
7) Tombe, testimonianze storiche – riapertura Consolato
di Spalato.
Conservazione delle tombe e
delle iscrizioni in lingua italiana nei cimiteri adriatici,
testimonianze storiche della
presenza italiana nelle terre
cedute, attualmente curate
dall’opera volontaristica. Riapertura del Consolato di Spalato, sede della Capitale della
nascente Regione Dalmazia.
Sì
487
94,2%
No
1
0,2%
Non so
29
5,6%
8) Sollecitare l’intervento
della Corte dei Conti
Restituzione delle proprietà
dei beni immobili acquisiti in
Istria, Fiume e Dalmazia con
i fondi dello Stato italiano e
curiosamente intestati a due
associazioni private dei “rimasti”, regolate dal diritto privato
croato e sloveno.
Sì
348
67,3%
No
7
1,4%
162
31,3%
Non so
9) No al voto dei “rimasti”
nelle amministrative del
Friuli Venezia Giulia
Porre fine al voto da parte
dei “rimasti” che mai hanno
risieduto nella Regione e nei
Comuni del Friuli Venezia
Giulia, ma che possono incredibilmente partecipare alle
elezioni amministrative regionali e comunali di numerose
città quali Trieste, Gorizia,
Muggia, Duino Aurisina ed
altre.
Sì
258
49,9%
No
164
31,7%
Non so
95
18,4%
10) Sprechi d’oltre confine
Richiesta di modifica dei versamenti effettuati dallo Stato
italiano per la conservazione
dei beni immobili intestati a
due associazioni private dei
“rimasti“ e per la funzionalità
delle Comunità degli Italiani
d’Istria, Fiume e Dalmazia
affinché non vengano più erogati alle due associazioni di
“rimasti”, attraverso l’Università popolare di Trieste (sintesi)
Sì
275
53,2%
No
154
29,8%
Non so
86
16,6%
11) Proposte, considerazioni
e consigli.
(Nel nuovo modulo)
Non è stata posta alcuna domanda diretta sulla Fondazione del Mercimonio perché nessuna associazione ha reso noto lo Statuto
depositato a nome di tutti gli esuli al Ministero degli Esteri e delle Finanze, senza che nessuno sappia niente! Le risposte date
però, ai punti 3), 4) e 5) sono risposte chiare e inequivocabili: NO alla Fondazione del Mercimonio.
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pag. 4
IL DALMATA LIBERO
SERBIA E MONTENEGRO INTRAPPOLARONO L'ESERCITO IMPERIALE INETTO
IL REGIO ESERCITO E LA MARINA ITALIANA
BATTERONO L’AUSTRIA IN TERRA, CIELO E MARE
La flotta imperiale rintanata nei porti dalmati. A Caporetto necessarie le truppe tedesche
ritirate dal fronte russo. Il Regno del Montenegro vinse la guerra e perse l’indipendenza
La propaganda austro-ungarica esaltò il fortunoso scontro
navale con la flotta italiana verificatosi a Lissa nel 1866 come
fosse una grande vittoria e diffuse in tutto l’Impero, a titolo
di scherno, il motto “le navi di
legno, comandate da teste di
ferro vinsero le navi di ferro
comandate da teste di legno”,
immortalato in una colonna
copiata da quella di Caio Duilio
di due millenni prima.
Era propaganda e nient’altro e
gli austriaci si cullarono nell’illusione che le loro antiquate
navi di legno, ereditate allora
da Venezia potessero contrastare le più moderne ed efficienti navi di ferro del Regno
d’Italia solo perché una sortita
fortuita, basata sull’elemento
sorpresa, aveva consegnato
loro quella che d’Annunzio
chiamò “la gloriuzza di Lissa”.
Costruirono anche navi in ferro,
ma erano tecnologicamente al
di sotto di quelle dell’Italietta
nata da pochi decenni. E se
ne resero ben conto dopo la
dichiarazione di guerra che il
Re Vittorio Emanuele III firmò
sulla linea del fronte, a due
passi da Udine, quando stava
organizzando e galvanizzando
con la sua presenza l’Esercito
italiano che sarebbe entrato
in guerra il giorno dopo. Nei
precedenti dieci mesi di guerra
dichiarata dall’Austria-Ungheria alla Serbia con il coinvolgimento di Russia, Inghilterra
e Francia, l’Esercito austroungarico aveva perduto già il
60% dei propri ufficiali, prima
che gli ingessati generali dello
Stato maggiore imperiale si
rendessero conto che non potevano mandare in prima linea gli
ufficiali con le giacche bianche
e le onorificenze sul petto perché venivano regolarmente fatti
fuori dai cecchini avversari
russi, francesi, serbi o montenegrini che fossero. Ma il fatto
che dimostra l’inefficienza e la
mancanza di operatività bellica
il dalmata 87-luglio 2015.indd 4
dell’Esercito austro-ungarico
risiede nel fatto, poco noto,
della campagna contro la Serbia ed il piccolo Montenegro.
Un’armata di cento mila soldati
austro-ungarici attraversò il
Danubio e la Drava, passando
comodamente sui ponti che lo
Stato maggiore serbo aveva
lasciato intatti per poi farli
saltare subito dopo. Cinquanta
mila sono i soldati austro-ungarici uccisi dai serbi che li avevano intrappolati nel loro territorio ed altri cinquanta mila si
arresero e saranno trasportati
poi dalla flotta italiana, come
prigionieri, prima in Puglia poi
nell’isola dell’Asinara e, infine
– secondo gli accordi tra gli
alleati – in Francia. Per vincere
l’Esercito serbo e quello montenegrino fu necessario l’intervento del ben più efficiente
Esercito del Kaiser tedesco e
dell’Imperatore bulgaro. Solo
questi eserciti costrinsero i serbi
ed i montenegrini a ritirarsi a
Vallona, per essere salvati dalla
Marina italiana (vedi il libro
“Per l’esercito serbo: una storia
dimenticata”, edito da Pubblicazioni della difesa nel 2014
a cura di di Mila Mihajlović).
Dopo la guerra la Jugoslavia
ricorderà solo l’intervento di
alcune navi francesi ed inglesi
e dimenticherà i numerosi trasporti di truppe effettuate dalle
navi italiane, scortate dalle navi
da guerra italiane che registrarono in quell’operazione
caotica e difficile alcune significative perdite per il siluramento da parte di sommergibili
austro-ungarici.
S’infrangeva così di fronte alla
realtà la pretesa superiorità
dell’Esercito austro-ungarico
che definiva il nostro Stato
maggiore Tanzen Offizieren,
mentre risultava che gli ufficiali da ballo erano gli eleganti
comandanti austriaci, privi di
capacità strategica e di intelligenza tattica. I primi aerei
italiani dominarono il cielo e
la flotta delle “teste di ferro”
non uscì mai in quattro anni
di guerra dai porti dalmati e di
quello di Pola. Le perdite subite
dalla Marina imperiale sono
dovute alle geniali e coraggiose sortite di un manipolo
dei marinai italiani che violarono le difese portuali austriache, minarono sotto il naso dei
gendarmi le navi e le corazzate
asburgiche per affondarle nonostante fossero ferme ed inattive
durante tutta la guerra. Anche
sullo sfondamento del fronte
italiano a Caporetto, perfino i
libri di storia italiani risultano
reticenti. Raramente si fa presente che lo sfondamento delle
nostre linee non avvenne da
parte degli austriaci, bensì dalle
truppe tedesche che erano state
ritirate dal fronte russo dopo la
deposizione dello Zar, la rivoluzione sovietica e la pace stipulata a Brest-Litovsk da parte
del capo dell’Armata rossa
Leone Trockij.
Il fatto che Vittorio Emanuele
III si imponesse di persona sullo
Stato maggiore dell’Esercito italiane e sui comandanti francesi
ed inglesi presenti con truppe di
modesta entità sul nostro fronte e
decidesse che la difesa si dovesse
fare sul Piave e non sul Po,
come tutti volevano, non viene
sufficientemente capita. Se le
armate austro-tedesche avessero
raggiunto il Po, occupando gran
parte della Val Padana, Venezia e
forse anche Milano, l’esito finale
della guerra avrebbe potuto essere
molto diverso. Con i rifornimenti
alimentari provenienti dalla fertile Val Padana l’Esercito tedesco
avrebbe avuto nuovi generi alimentari ed il crollo del novembre
1919 forse non ci sarebbe stato.
È noto, infatti, che tedeschi ed
austro-ungarici si arresero non
davanti alla supremazia bellica
degli Alleati, ma per la fame che
attanagliava le popolazioni ed
i soldati al fronte. Ritorneremo
ancora su quest’argomento per
sottolineare l’apporto dell’Italia
alla vittoria e l’indecoroso tradimento di Francia ed Inghilterra
che porterà alla Vittoria mutilata
che d’Annunzio contestò con la
Reggenza del Carnaro fino al
Natale di Sangue di Fiume e di
Zara, armando il Battaglione
Sebenico ed il Battaglione Carnaro di stanza a Zara per tentare
disperatamente di far rispettare in
Dalmazia i Patti di Londra. Vero
è che gli Stati Uniti d’America,
che nella guerra ’14-’18 diedero
un contributo di sangue di modeste proporzioni, ma che fornirono i fronti occidentali di viveri,
imposero all’Italia di abbandonare la seconda zona della Dalmazia, secondo una logica che
non abbiamo mai compreso.
Qualcuno disse che gli yankees
consideravano gli slavi come
fossero i Conquistatori del West
e le antiche popolazioni e civiltà
illirico-romane e venete come un
residuato paragonabile a quello
della civiltà dei Pellirossa. È un
argomento che dovremmo prima
o poi affrontare, anche se fosse
necessario dire cose spiacevoli
nei confronti degli Stati Uniti,
ben sapendo che l’Italia continua
a far parte, a settant’anni dalla
fine della guerra, dell’area d’influenza Usa. Anche per falsare le
indagini storiche?
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IL DALMATA LIBERO
luglio 2015
pag. 5
NELL’AULA GREMITA DI STUDENTI ED ESPONENTI DEGLI ESULI DI MILANO
LEZIONE ALL’UNIVERSITÀ CATTOLICA
SULLA REALE STORIA DELLA DALMAZIA
La flotta imperiale rintanata nei porti dalmati. A Caporetto necessarie le truppe tedesche
ritirate dal fronte russo. Il Regno del Montenegro vinse la guerra e perse l’indipendenza
Presieduta dal prof. Massimo
de Leonardis e presentata da
Gianantonio Godeas, che l’ha
organizzata, si è tenuta un’interessante lezione sulla storia
della Dalmazia, presso l’Università cattolica di Milano
nell’ambito della rivoluzione
culturale da anni perseguita
dalla
Fondazione
Rustia
Traine di Trieste che ha raggiunto i vertici più significativi nelle lezioni e nei dibattiti
presso le Università italiane ed
i più importanti centri di studio storici della Penisola.
L’on. Renzo de’Vidovich ha
esaminato i temi più delicati della storia della Dalmazia totalmente ignorati dalla
grande stampa e dalla pubblicistica italiana, ma che cominciano a far breccia nelle aule
universitarie e nei centri culturali più elevati. Gli studiosi seri
non intendono più sopportare
censure e limitazioni. Sulla
distruzione di Zara l’oratore
ha fatto riferimento al libro di
Oddone Talpo e Sergio Brcic
…Vennero dal cielo…. nel
quale da tempo è documentata
la sottile opera di disinformazione posta in essere da Tito
per ottenere la distruzione di
Zara senza sporcarsi direttamente le mani. Oggi tutti
riconoscono che Zara era una
città priva di ogni interesse
strategico e militare. Significa-
Il prof. Massimo de Leonardis, l’on. Renzo de’Vidovich e l’organizzatore dell’evento
Gianantonio Godeas
tiva la poesia del poeta croato
Vladimir Nazor che chiedeva
di rovesciare in mare le pietre
romane della Zara italiana per
far nascere una Zadar croata.
De’Vidovich ha fatto presente
agli studenti che la tesi jugoslava secondo la quale Zara
fu sottoposta ad uno dei tanti
bombardamenti terroristici,
aggettivo non più politically
correct. Erano definiti allora
terroristici i bombardamenti
degli anglo americani, mentre
oggi il terrorismo ha finalmente riassunto una caratteristica negativa e deve essere
associato solo al Califfato islamico. Le tesi jugoslave non
sono più accettate da grane
parte degli studiosi seri, anche
perché sono ormai documentate le pressioni esercitate
da Tito per colpire l’ultimo
baluardo di resistenza italiana
in Dalmazia, distruggendo
l’85% della sua struttura urbanistica romano-veneta, al fine
di sradicare la popolazione italiana che abitava da secoli la
Iadera romana.
Anche la tesi imposta da Tito,
secondo la quale i fascisti, non
meglio identificati, sarebbero
i responsabili dell’enorme
numero di vittime della guerra
civile jugoslava, è oggi considerata senza senso, come
è dimostrato dal fatto che al
momento dello sfascio della
Federativa Socialista Jugoslava e della nuova guerra
civile degli anni ’90, le atrocità e gli stermini fatti dalle
varie etnie che facevano parte
della Jugoslavia sono stati
In prima fila i rappresentanti degli esuli di Milano: Tito Sidari, Vice Sindaco del Libero
Comune di Pola in Esilio, Piero Tarticchio, esponente degli Istriani, Luciano Rubessa
presidente del Centro mondiale per la cultura Giuliano Dalmata, la zaratina Marlena Tolja e
Alessandra Sommaruga. Un saluto particolarmente caloroso è stato inviato da de’Vidovich al
vecchio amico Dario Fertilio, già Direttore della pagina culturale del “Corriere della Sera”che
continua la grande tradizione giornalistica dalmata di Enzo Bettiza, Arturo Colautti, Gaetano
Feoli, Enrico Matcovich,…
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enormi e non possono essere
certo addebitate ai fascisti italiani, né a quelli dell’ex Jugoslavia. È noto, infatti, che a
guerra finita i partigiani comunisti jugoslavi di Tito sterminarono tutte le truppe avversarie che si erano arrese e per
essere più tranquilli, infierirono sulle popolazioni da cui
gli anticomunisti trassero le
loro forze. Le foibe riservate
agli italiani sono un piccolo
esempio. È noto, infatti, che
se si sommano i numeri dei
soldati effettivi dell’Esercito
dello Stato autonomo di Croazia (che avrebbe dovuto avere
come Re Tomislav II, cioè il
Principe Aimone Savoia duca
d’Aosta) a quelli degli Ustascia, le forze filo Asse erano
ben più numerose ed organizzate dei partigiani comunisti
di Tito ed altrettanto risulta in
Slovenia, dove la Bela Garda
fascista e l’Esercito filo cattolico del gen. Rupnik erano
altrettanto agguerriti e numerosi, per non parlare delle SS
bosniache, con la mezza luna
islamica e delle altre forze
armate delle altre regioni del
Regno di Jugoslavia. I titini
sterminarono tutti, anche i cetM.D.
Continua in fondo a pag. 7
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luglio 2015
pag. 6
IL DALMATA LIBERO
LA MASSONERIA UCCISE L’UOMO MODERNO CONTRARIO AL CENTRALISMO
FRANCESCO FERDINANDO VOLEVA GARANTIRE
LIBERTÀ E RISPETTO DEI POPOLI DELL’IMPERO
Dalla contro-reggia del Belvedere prese contatto con molte famiglie aristocratiche dei suoi
regni in vista della scomparsa del vecchio Imperatore che non capiva i nuovi tempi
Il Regno d’Italia si trovava in
una situazione delicata e gestita
con grande abilità e senso
diplomatico perché era stretto
dal dilemma di mantenere l’alleanza con gli Imperi centrali e
la necessità di salvaguardare le
popolazioni italiane che, dopo
l’acquisizione della Lombardia
e del Veneto all’Italia, costituivano una presenza scomoda
all’interno dell’Impero.
Le Contee di Trento, Gorizia e
Trieste, il Margraviato d’Istria
ed il Regno di Dalmazia erano
abitate da un numero d’italiani sufficiente a costruire una
seria alternativa culturale al
progetto di germanizzazione
di tutte le popolazioni dell’Impero che già aveva avuto nel
1867 un ridimensionamento
dall'Ausgleich ottenuto dal
Regno d’Ungheria che pretese e
ottenne che l’Impero d’Austria
diventasse
austro-ungarico,
con un riconoscimento della
parità tra le popolazioni germaniche dell’Austria e quelle
dell’Ungheria. La cosa aveva
fortemente scontentato tutti gli
altri popoli che costituivano
l’Impero anche perché dopo
che Napoleone impose nel 1806
che fosse cancellata la denominazione del Sacro Romano
Impero si optò per Impero della
Casa d’Austria e non dell'Austria, intesa come regione geografica, come avvenne invece
quando l’Impero si chiamò
austro-ungarico. Sopravviveva
ancora in Vaticano la tesi di
Vincenzo Gioberti morto nel
1852 che proponeva una federazione d’Italia presieduta dal
Papa che l’Impero cattolico
degli Asburgo guardava con
l’interesse.
Mentre i vari popoli slavi venivano classificati secondo la
scuola hegeliana come “popoli
senza storia”, per cui non chiedevano neppure la costituzione
di un’Università imperiale per
il mondo slavo che pur aveva
la maggioranza dei sudditi, gli
italiani continuavano a pre-
il dalmata 87-luglio 2015.indd 6
tendere un’Università italiana
nell’Impero rinfacciando agli
austriaci il fatto che le Università di Vienna e quella di Praga
erano state fondate dalla cultura
italiana del grande Irnerio, che
in precedenza aveva fondato
le Università di Bologna e di
Padova.
Pochi ricordano che nel primo
scorcio del Novecento Francesco Giuseppe concesse la costituzione dell’Università italiana
nell’Impero, ma il Governo di
Vienna la collocò a Innsbruck,
uno dei centri più nazionalisti dell’Austria, per cui fu data
alle fiamme lo stesso giorno
dell’inaugurazione.
Avere una propria università era
un dato importante e Francesco
Ferdinando se ne rendeva conto
e dal Palazzo del Belvedere di
Vienna, dove aveva costituito una contro-regia in attesa
di subentrare al vecchio zio,
sondava le famiglie più importante dei regni e dei territori
che costituivano l’Impero per
essere preparato ai grandi cambiamenti che aveva in mente.
Nel Regno d’Italia le angherie
contro gli italiani che l’AustriaUngheria continuava a porre in
atto da decenni, soprattutto in
Dalmazia ed in misura minore
negli altri territori abitati dagli
italiani, venivano considerati,
quindi come un fatto destinato a
chiudersi nel giro di pochi anni
e la massoneria internazionale
rappresentata dal Regno unito
di Gran Bretagna, dei SachsenCoburgo-Gotha (che cambiarono il nome in Windsor durante
la Prima guerra mondiale perché sembrò inopportuno avere
un Re tedesco mentre l’Inghilterra combatteva contro
la Germania e l’Austria, già
allora considerati cattivissimi),
insieme alla massoneria francese temevano fortemente che il
giovane Imperatore riprendesse
il titolo di Sacro Romano Imperatore, gettasse le basi di una
futura Unione europea appoggiata dalla Chiesa e che avrebbe
potuto fare l’unità dell’Italia, se
non proprio nel nesso dell’Impero asburgico ma nell’ambito
di una grande confederazione
che era fortemente voluta dalla
Chiesa, che avrebbe potuto
coinvolgere anche Casa Savoia
che pur aveva già acquisito una
sua totale autonomia nella Triplice Alleanza.
Per quanto riguarda il Regno di
Dalmazia, più di una famiglia
fu segretamente compulsata e
ritengo opportuno pubblicare a
lato una notiziola apparsa su Il
Piccolo del 15 novembre 1913
inerente la vertenza giudiziaria
che era stata intentata sul feudo
di Capocesto e Rogosnizza per
dare le dimensioni finanziarie
della causa.
Il Corriere della Sera di
Milano rese note le preoccupazioni dell’i.r. Ministero delle
Finanze: se l’erario austroungarico avesse perduto la
Trieste, 15 novembre 1913
Dinanzi al Tribunale provinciale di Zara
pende attualmente un’interessante causa
civile incoata dalla famiglia Vidovic
contro l’i.r. erario. Questo processo in
cui si tratta di molti milioni si fonda sulla
seguente fattispecie: gli antenati della
famiglia Vidovic acquistarono nell’anno
1694 dalla Repubblica di Venezia a pubblico incanto il dominio utile del feudo
di tutti i beni di Capocesto e Rogosnizza
per il prezzo di 10.530 ducati e 15 grossi
e furono “investiti in perpetuo” di questi beni per sé e discendenti maschi con
decreti del Doge. Anche dopo il 1815,
dunque all’epoca in cui alla dominazione veneziana subentrò l’austriaca nei
diritti ed obblighi del signore infeudante,
fu riconfermata l’investitura a questa
famiglia e nei rispettivi documenti si fa
espressamente rilevare che in fatto di
feudi in Dalmazia le leggi venete sono
ancora vigenti.
causa, avrebbe dovuto imporre
una nuova tassa per pagare i
danni alla famiglia espropriata.
Nulla di strano dunque, se
l’Erede al Trono contattasse la
famiglia che aveva avuto anche
un deputato autonomista filoitaliano alla Dieta del Regno di
Dalmazia.
Di qui la necessità di uccidere
Francesco Ferdinando da parte
della Mano nera di Gavrilo
Princip,
un’organizzazione
massonica protetta dal Regno
di Serbia e direttamente ispirata
dalla Gran loggia di Londra e
dalla Loggia di Parigi.
Il Regno d’Italia che puntava
sul nuovo Imperatore purtroppo
mai salito al Trono, si trovò il 28
giugno 1914 con una linea politica senza prospettive, perché
con l’inizio delle ostilità con la
Serbia si fecero sempre più evidenti i gruppi nazionalisti filo
germanici e quindi si ridussero
al minimo le speranze di ottenere un riconoscimento della
cultura nazionale italiana per le
nostre popolazioni nell’Impero.
Pacta sunt servanda, sic stantibus rebus. I patti si debbono
rispettare qualora le condizioni
che li hanno ispirati siano idenContinua a pag. 7
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IL DALMATA LIBERO
luglio 2015
pag. 7
FRANCESCO FERDINANDO RITENUTO PERICOLOSO PERCHÉ FEDERALISTA
IL RITORNO AL SACRO ROMANO IMPERO
BASE DI UN’UNIONE EUROPEA CRISTIANA
L’uccisione dell’Erede al Trono imperiale cambiò la storia e ci regalò l’Europa di mercanti
e banchieri e succubi dell’insopportabile plutocrazia mondialista che ancora ci soffoca
Segue da pag. 6
tiche. Ebbene, l’eccidio di Sarajevo ha profondamente modificato il quadro, e le prospettive
dell’Impero e soprattutto ha
fortemente compromesso ogni
possibilità di difesa degli italiani che ne facevano parte.
Non abbiamo trovato studiosi
italiani che abbiano approfondito questo tema, né studiosi
austriaci e tedeschi che abbiano
esaminato i documenti, che
pure ci devono essere nella
contro-regia del Belvedere di
Vienna, per cui si parla con
assoluta leggerezza dell’Italia
che ha cambiato alleanze per
ragioni incomprensibili solo per
chi non vuole cercarle. Recen-
FRANCESCO GIUSEPPE CONTRO GLI ITALIANI
Francesco Giuseppe si convertì pienamente all’idea della generale
infedeltà dell’elemento italiano e italofono verso la dinastia asburgica:
in sede di Consiglio dei Ministri, il 12 novembre 1866, egli
diede l’ordine tassativo di “opporsi in modo risolutivo all’influsso
dell’elemento italiano ancora presente in alcuni Kronländer e di mirare
alla germanizzazione o slavizzazione, a seconda delle circostanze, delle
zone in questione con tutte le energie e senza alcun riguardo”
Da: “L’agonia della Dalmazia italiana sotto Francesco Giuseppe” di
Marco Vigna che riprende L. Monzali in “Italiani di Dalmazia” - 2011.
temente, forse anche grazie ai
nostri sforzi, che poco possono
incedere sulla storiografia italiana ed europea, si è parlato dei
Patti di Londra e della Vittoria
mutilata che ha consegnato alla
Jugoslavia territori della Dalmazia che ci erano stati promessi da Inghilterra e Francia,
le quali realmente tradirono
quei Patti. Pubblichiamo inoltre
anche un Verbale del Governo
di Vienna che dimostra come
l’Impero avesse tradito se
stesso e la sua plurinazionalità,
imponendo ad italiani e slavi
una germanizzazione che Francesco Ferdinando non voleva.
Ma ciò che qui vogliamo sottolineare è il programma di Francesco Ferdinando che avrebbe
potuto rivoluzionare la storia di
un’Europa, ancor’oggi umiliata
e soggetta alle cupole massoniche e finanziarie della plutocrazia che non consente tuttora un
veritiero esame delle situazioni
storiche di cent’anni fa.
Dir
IL DALMATA
LIBERO
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Trieste n. 1276 del 9/06/2014
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Elisabetta de’Dominis, Daria Garbin,
Maria Sole de’Vidovich, Enea de’Vidovich, Marino Maracich, Enrico Focardi,
Simone Bais, Alberto Rutter, Gianna
Duda Marinelli e Marcello Gabrielli
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Daria Garbin
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Maria Sole de’Vidovich
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ex L. 191/2009
L’UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE ESEMPIO DI LIBERTÀ
RIPARTE IL CONFRONTO NELLE UNIVERSITÀ ITALIANE
Non se ne può più del “pensiero unico”, dell’interpretazione della storia senza contradditorio, del dominio incontrastato dei mass media anche nella cultura a livello universitario
Segue da pag. 5
nizi, che pure combattevano
contro i tedeschi, soprattutto
dopo che gli italiani avevano
abbandonato il teatro di guerra
balcanico dopo l’8 settembre
1943, cioè ben prima che iniziassero le grandi mattanze
interne. La strategia propagandistica di Tito chiamò tutti i
suoi avversari fascisti, compresi
gli alleati cattolici, ma anche i
cetnizi di Draga Mihajlović filo
inglesi per costruire poi un falso
storico con l’equazione “fascisti
= italiani”, addossando all’Italia
responsabilità che non ci sfioravano se non in parte minimale
e secondaria. Entrando poi
nel merito della snazionalizzazione degli italiani di Dalmazia, iniziata nella seconda
metà dell’800 dall’Impero
il dalmata 87-luglio 2015.indd 7
Uno scorcio dell’aula con gli studenti che assistono con attenzione e partecipazione alla lezione
austro-ungarico, de’Vidovich
ha ricordato che Napoleone
Bonaparte notoriamente poco
amico degli italiani, incluse
però l’intera Dalmazia da Cattaro a Veglia nel suo Regno
d’Italia con capitale Milano,
proprio perché ritenne che il
28% della popolazione fosse
veneto-italiana che costituiva
l’80% della classe dirigente,
mentre il restante 20% era ripartito tra croati, serbi, morlacchi e
montenegrini. Infine, ha destato
una certa meraviglia tra gli
studenti ed i presenti un fatto
che viene occultato da oltre 70
anni: il Regno di Jugoslavia
firmò il 25 marzo 1941 il Patto
del Belvedere in cui entrava a
far parte dell’Asse. Quando le
truppe tedesche attraversarono
la slovena Maribor e Zagabria
dirette verso la Grecia furono
accolte con fiori, applausi, simpatia e slogan contro i serbi,
ritenuti oppressori, e contro il
colpo di stato effettuato dal gen.
serbo Simović, notoriamente
amico degli inglesi. Insomma,
la favola dell’invasione italiana
della Jugoslavia che giustificherebbe le foibe deve essere
rivista nell’ambito di una guerra
civile che scatenò le diverse
popolazioni in lotta conto i serbi
che avevano avuto “in dono” la
Croazia, la Bosnia Erzegovina,
la Slovenia, la Dalmazia, il
Montenegro e la Macedonia per
aver scatenato la Prima Guerra
Mondiale su mandato della
massoneria inglese e francese e
della plutocrazia finanziaria che
ancor oggi domina l’Europa ed
il mondo.
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IL DALMATA LIBERO
ONORE AI COMBATTENTI DALMATI IRREDENTI NEL R. ESERCITO ITALIANO
NEL CENTENARIO DEL 24 MAGGIO 1915 - 2015
OMAGGIO A FRANCESCO RISMONDO SUL SAN MICHELE
Le spalatine Daria Garbin e Nerina Carbonini depongono fiori sul Cippo del primo dalmata
caduto sul Carso, privo del simbolo della Dalmazia, che sarà ripristinato a cura della FRT
Segue dalla 1° pag.
Il 24 maggio stava per passare inosservato se la Federazione Grigioverde, che riunisce tutte le Associazioni d’arma di Trieste, non avesse
voluto rompere il forzato silenzio e
non avesse indetto sul piazzale delle
Milizie di San Giusto una significativa cerimonia con una nutrita
presenza dei Dalmati. Nel pomeriggio una significativa cerimonia si è
svolta sul Monte San Michele, dove
una delegazione dei Dalmati già
presente a San Giusto con l'aggiunti
di Nerina Carbonin, Giuglio Catalano, Alberto Rutter e Antonella
Tommaseo ha portato un omaggio
floreale a Francesco Rismondo,
il bersagliere spalatino che è uno
dei primi Caduti degli irredenti di
Dalmazia, che hanno disertato la
leva austro-ungarica e sono corsi
ad arruolarsi nel Regio Esercito italiano. Dal Cippo sono state estirpate
le tre teste di leopardo in bronzo,
forse da vandali, ma più probabilmente da piccoli ladri che rivendono
oggetti di bronzo nei mercatini a
poco prezzo. La Fondazione Rustia
Traine di Trieste si è impegnata a
ripristinare il Monumento com’era
all’origine.
SOLO TRIESTE RICORDA L’ENTRATA DELL’ITALIA NELLA I° GUERRA
MONDIALE PER REDIMERE, TRENTO, TRIESTE, ISTRIA, FIUME E DALMAZIA
La Delegazione di Trieste con i manti della Nobiltà, del Patriziato
e dei dirigenti di Dalmazia ha chiuso lo schieramento dei labari
e delle rappresentanze d’arma sul Piazzale di San Giusto nella
manifestazione indetta dalla Grigioverde per ricordare il Centenario di 24 maggio che le autorità ed il resto d’Italia hanno bel-
lamente dimenticato. Nella foto Renzo de’Vidovich, Fulvio Del
Toso, Fulvio Farneti, Daria Garbin, Vittorio Cattarini, Claudio
Dopuggi, Licia Giadrossi con il labaro di Lussino, Marina Di Brai,
Sergio ed Anna degli Ivanissevich, Giuseppe de’Draganich de’Varanzio, Gianna Duda ed Enrico Focardi con la nostra bandiera.
OTTAVIO MISSONI, ULTIMO SINDACO DI ZARA REGOLARMENTE ELETTO:
“LE FOIBE IN DALMAZIA SI CHIAMANO MARE ADRIATICO”
Sul Molo Audace di Trieste il comm.te Giulio Staffieri,
Presidente della Grigioverde, ha lanciato in mare una
Corona d’Alloro in ricordo di quanti furono uccisi,
soprattutto in Dalmazia, dai titini, gettandoli in mare.
Ha presenziato alla Cerimonia una Delegazione dei
Dalmati di Trieste con il Labaro della Dalmazia. In foto
Mario Sardos Albertini, Renzo de’Vidovich, Vittorio
Cattarini, Alberto Rutter, l’alfiere Enrico Focardi, Sergio degli Ivanissevich e Marcella Buias Casolin. È stato
nell’occasione rilevato che Ottavio Missoni ricordava
costantemente che per brevità era necessario parlare di
foibe titine, ma che in realtà in Dalmazia, dove le foibe
sono rare, l’eccidio avvenne gettando in mare gli italiani, ma anche fucilandoli.
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A Redipuglia nella Messa del Papa per i Caduti
al posto d’onore solo i principi di Savoia-Aosta
Nuovi cavalieri di San Marco ordinati a Venezia
il 25 aprile: per la prima volta un residente a Pola
Alla messa che Papa Bergoglio ha celebrato ai piedi dei gradoni
del Sacrario di Redipuglia non sono state invitate le solite autorità
e perfino i medaglieri delle associazioni d’arma e degli esuli sono
stati collocati sulla strada fuori dall’Area sacra. È stata notata,
invece, la presenza nel posto d’onore in prima fila dei principi di
Savoia, Duchi d’Aosta: Aimone che porta il nome del nonno designato da Vittorio Emanuele III, Re d’Italia ed Albania ed Imperatore d’Etiopia, Abissinia, Eritrea, Somalia, Libia e Dodecaneso,
a diventare Re di Croazia con il nome di Tomislav II. Accanto il
padre, Duca Amedeo d’Aosta, che l’ultimo Re d’Italia Umberto II
indicò per atti concludenti quale erede al trono d’Italia. A fianco
la moglie principessa Silvia Paternò di Spedalotto.
Il 25 aprile, festa di San Marco, si è svolta nella Chiesa dei frati
di San Francesco della Vigna di Venezia, alla presenza di un centinaio di Cavalieri di San Marco la nomina dei nuovi 42 adepti
all’Ordine che svolge attività di beneficenza e sorregge in particolare le popolazioni che subiscono ogni giorno guerre e devastazioni. Nella foto il Presidente e Doge dei Cavalieri di San Marco
Giuseppe Vianello alla presenza di Sua Altezza Imperiale il Gran
Duca d'Austria Carlo d’Asburgo, capo dell’Ordine di San Giorgio, il neo cavaliere Gianni Signorelli, imprenditore edile di Pola,
da sempre residente nella sua città natale, presentato dal padrino
il cavaliere di San Marco Renzo de’Vidovich durante la cerimonia
di investitura.
MICHELLE OBAMA VESTE MISSONI
Il Presidente della Repubblica Mattarella che lo scorso anno aveva insignito Rosita Missoni del titolo di Cavaliere del Lavoro,
come Ottavio aveva sempre chiesto, sostenendo che la sua sposa era la reale lavoratrice della Missoni, le ha consegnato anche il
prestigioso premio Leonardo. Al centro Luca Missoni, Francesco Maccapani Missoni e Angela Missoni. A lato Michelle Obama
in un vestito tipico della produzione della maison dalmata, in una delle sue apparizioni in Italia.
FRITTO DI PESCE
AL PETROLIO
In tre numeri del giornale
abbiamo
pubblicato
con
grande evidenza ed anche in
prima pagina notizie precise
e documentate sulla progettata trivellazione di 29 pozzi
nell’Adriatico orientale e sui
pericoli che ciò comporta
il dalmata 87-luglio 2015.indd 9
in materia di abbassamento
della costa, maremoti, terremoti e possibili versamenti
di idrocarburi in mare. Anche
il nostro piccolo giornale,
inviato però a tutte le regioni
e stati dell’Adriatico, ha dato
il suo contributo alla salvezza
del nostro mare, perché –
nonostante ciò sia avvenuto
con mesi di ritardo – tutte le
regioni italiane, montenegrine
ed albanesi si sono associate
al grido di allarme lanciato dal
popolo e dalle autorità locali
dalmate.
Una voce stonata è apparsa
su Il Dalmata incatenato a
Padova che ha ripreso una tesi
non propriamente indipendente e disinteressata, rappresentata da uno dei progettisti e
futuri trivellatori della Dalmazia, il quale ha spiegato come
le trivellazioni vadano bene e
l’errore umano che porterebbe
alla fine dei pesci, della flora
e del turismo dell’Adriatico,
in caso di uno spandimento
anche modesto, non poteva
esistere. Il tutto smentito qualche giorno dopo da un incidente che ha rovinato un tratto
notevole di coste della Cali-
fornia, affacciate sull'oceano,
che ha un ricambio di acque
notevolissimo, a differenza
del Mare Adriatico che ha un
modestissimo ricambio delle
proprie acque attraverso lo
stretto di Otranto. Simpatico
il pezzo nel quale si descrive
il fondale di una piattaforma
di estrazioni in mare come un
vivaio di pesciolini in un mare
particolarmente pulito. Consigliamo di pescarli e di friggerli in petrolio fresco di estrazione, per mantenere intatti la
fragranza ed il salubre sapore
del greggio.
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pag. 10
IL DALMATA LIBERO
SULLA DALMAZIA POCO, SU FIUME NIENTE
SULLA NOSTRA STORIA E CULTURA IL VUOTO
Avrebbe dovuto essere il fiore
all’occhiello della cultura,
dell’arte, delle lettere e del
modo di vivere delle genti
adriatiche, perché tutte queste
cose messe insieme sono concentrate nella parola Civiltà che
fu proposta da de’Vidovich e
accettata quale nome dall’Irci,
perché supportata dal grande
letterato zaratino Aldo Duro,
direttore dell’Enciclopedia italiana, che spiegò come la parola
cultura comprendesse solo una
parte del concetto di civiltà.
Non si riuscì ad aprire il Museo
nei tre anni della gestione del
Presidente Lucio Delcaro, già
magnifico rettore dell’Università di Trieste per le difficoltà
frapposte da alcuni funzionari
comunali alla stipula della
Convenzione tra il Comune,
proprietario dello stabile e l’Irci
che ricevette somme veramente
importanti per ristrutturare
l’edificio. Ancor’oggi, la Convenzione tra Comune e Irci
non c’è ed, anzi, il Comune
ha perduto la qualifica di socio
dell’Irci, per cui anche l’aggettivo civico non si capisce più
a cosa faccia riferimento. Con
un colpo di mano della funzionaria comunale dei musei di
Trieste Masau Dan e di Raoul
Pupo, ex segretario moroteo
della Dc di Trieste ai tempi di
Osimo, che non rappresenta
più l’Università nell’assemblea
dell’Istituto, si è improvvisamente deciso di fare un’apertura provvisoria del Museo
“per coronare un sogno” dice
la Presidente uscente Chiara
Vigini. Sogno trasformarlo in
un incubo, dicono gli esuli che
non si riconoscono nel Museo.
Compresi naturalmente gli
istriani che non hanno trovato
nulla della loro civiltà romana
simboleggiata dall’Arena di
Pola, assente, della cultura
veneziana, rappresentata dai
liberi Statuti delle più importanti città istriane, ma anche
delle città e delle isole dalmate.
In una lettera pervenutaci da
[email protected] si leggono alcune affermazioni che
riportiamo testualmente: “Nella
parte protostorica d’Istria,
Fiume e Dalmazia, si ignora il
ruolo svolto dagli Illiri (questo
nome non compare proprio!),
come se Veneti, Histri, Liburni,
Giapidi, Delmati, ecc. non si
fossero fusi con i romani, al
punto di aver creato una civiltà
originale ed un’unica stirpe
che diede un gran numero di
Imperatori, tra i quali ricorderò
solo Diocleziano e creò le basi
per la fusione delle nostre terre
con Venezia. Si fa un fugace
accenno alle Province illiriche di Napoleone, scambiando
un’organizzazione
militare
francese con una serie di realtà
statuali ed ignorando l’esistenza del Regno d’Italia con
capitale Milano che includeva
l’intera Dalmazia da Veglia a
Cattaro. Mi aspettavo di ritrovare il Proclama di Ragusa del
maresciallo di Francia Dumas
che così inizia: “Dalmati,
l’Imperatore Napoleone, Re
d’Italia, vostro Re, vi rende
alla Vostra Patria”. E che dire
sull’assenza di ogni accenno
ai due papi di queste terre, San
Caio e Giovanni IV, forse perché dalmati, ai Santi che rappresentano la nostra spiritualità, agli Imperatori romani che
Per ragioni di spazio siamo stati costretti a rinviare al
prossimo numero:
- la pagina degli scomparsi,
- la pagina dei contributi a Il Dalmata libero
- le Lettere al Direttore ed alcune Vespe
il dalmata 87-luglio 2015.indd 10
rappresentano il potere civile
quale espressione delle nostre
popolazioni. Nello spazio dedicato alla scuola, di una povertà
sconcertante e privo di ogni
accenno alla battaglia per la
sopravvivenza delle scuole italiane, chiuse in Dalmazia, pressate a Fiume, in Istria ed a Trieste, per non parlare del divieto
di creare un’Università italiana
nell’Impero. Mi fermo qui, per
ragioni di spazio, e per auspicare che all’imminente riunione dell’Assemblea generale
dell’Irci venga eletto un nuovo
presidente e vengano sostituiti
con personalità culturali del
nostro mondo gli “impiegati
comunali” che hanno fornito un
risultato così deprimente.”
Non abbiamo spazio sufficiente
per riferire, anche sommaria-
mente, il coro di feroci critiche
sorte dal mondo degli esuli
che si domandano per quale
ragione si sia frettolosamente
effettuata un’apertura provvisoria del Museo che la nuova
dirigenza dell’Irci sarà chiamata a cancellare nominando
un conservatore che a furor del
popolo viene indicato in Piero
Delbello che per quindici anni
è stato l’anima dell’Irci ed ha
portato in porto iniziative culturali di grande rilievo e largamente condivise.
Un piccolo siparietto amaro:
l’attuale dirigenza dalmatofoba
dell’Irci è stata eletta anche con
il voto dei nostri amati massoni
di Padova, contro il candidato
dalmata prof. Giorgio Baroni.
La delega era stata data prima
a Codarin e poi al suo amico
Dario Locchi.
Continua a pag. 11
Bufera sul Museo dell'Irci
Fiume si sente snobbata
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IL DALMATA LIBERO
luglio 2015
pag. 11
IL VOLUME DEGLI ATTI DEL SEMINARIO SARÀ PUBBLICATO A BREVE
CONVEGNO SU 400 SCRITTORI DALMATI
Eccezionale presenza a Trieste di 110 docenti universitari italiani e di tre continenti
ripropone la centralità della letteratura dalmata nella cultura italiana europea
Il 27 e 28 febbraio scorsi si è
svolto all’Irci il Convegno organizzato dal prof. Giorgio Baroni,
docente emerito dell’Università cattolica di Sacro Cuore di
Milano e della prof. Cristina
Benussi, docente ordinario
dell’Università di Trieste, sul
tema “Letteratura dalmata italiana”. Il Convegno si è potuto
svolgere grazie alla pubblicazione di ben 400 nomi di scrittori
dalmati italiani presenti nel libro
Dalmazia nazione della Fondazione Rustia Traine. Nel saluto
dei Dalmati, de’Vidovich si è
detto commosso e riconoscente
ad un così grande numero di
docenti di alto profilo professionale presenti a Trieste al Seminario, ricordando che la Dalmazia non ha dato solo Imperatori
romani e combattenti, scienziati
di fama internazionale come
Ruggiero Boscovich, Fausto
Tavolo della Presidenza del Seminario. In foto da sinistra:
Renzo de’Vidovich, Chiara Vigini, Fabiana Martini, Giorgio
Baroni e Cristina Benussi
de’Veranzio, papi come San
Caio e Giovanni IV, santi come
San Girolamo e architetti e pittori come Giorgio Orsini detto il
Dalmatico, e i fratelli Laurana,
collezionisti come il Cippico che
lasciò alla Biblioteca del Senato
d’Italia l’unico stralcio esistente
della Cena di Trimalcione e
l’originale dei sei libri di copertina di cuoio finemente istoriata
di Giovanni Lucio sulla Storia
della Dalmazia e della Croazia,
della prima grammatica italiana
pubblicata da Giovan Francesco
Fortunio pubblicata ben prima
di quella del cardinale Bembo,
ma anche un gran numero di
letterati che hanno lasciato una
documentazione di prim’ordine su fatti storici e modi di
vivere di molte città dalmate
in diverse epoche, per cui ci si
attende da questo Seminario un
apporto importante non solo per
i Dalmati, ma per tutta la cultura
occidentale. Di qui la necessità della pubblicazione degli
Atti del Seminario che auspica
essere stampati a breve termine.
Dopo il saluto augurale del Vice
Sindaco di Trieste Fabiana Martini e del Presidente dell’Irci
Chiara Vigini ci sono stati i due
brevi ma incisivi interventi dei
due organizzatori dell’evento, i
professori Baroni e Benussi.
UN ALTRO FALSO DEI MASSONI DI PADOVA SULLA VIA A SERRENTINO
A de’Vidovich Renzo
Di passaggio per Jesolo sono
stata oggetto di forti ironie da
parte di alcuni amici che avevano letto Il Dalmata massonico di Padova che sosteneva
che c’era una via a Jesolo intitolata a Vincenzo Serrentino
e che ti accusava di falso. La
via a Jesolo non c’è e su questo non ci piove. Mi domando
come qualcuno possa accusare altri di falso, inventando
di sana pianta delle benemerenze che non ha e che tutti
facilmente possono constatare
essere fasulle.
Arianna Roccaforte,
profilo Facebook
Sono rimasto anch’io sorpreso
che qualcuno scrivesse cose
non vere che i lettori possono
facilmente appurare telefonando, come ho fatto io, al
Comune di Jesolo, tel. 0421
359111.
Mi ha risposto l’incaricato
dell’Urbanistica-censimento
delle strade che mi ha precisato
che non solo non c’era una via
intestata al povero Serrentino,
ma che non ci sarà neppure in
futuro. Infatti, la vecchia proposta di delibera è stata annullata
l’anno scorso e la via prescelta
il dalmata 87-luglio 2015.indd 11
26 aprile 2015
NIENTE STRADA ALL’EX PREFETTO
L’ANPI INFIAMMA IL 25 APRILE
L’associazione partigiani contesta la dedicazione di una via al
funzionario statale fucilato dai patrioti titini
per Serrentino avrà un’altra
intitolazione. Chiunque può
fare una telefonata e constatare
come i falsari di Padova siano
facilmente sbugiardati. Sopra
il titolo di un articolo apparso
sul Gazzettino che non lasciava
dubbi, pubblicato tre mesi fa,
cioè ben prima che uscisse il
giornale di Padova con insulti
senza senso che ricadono sugli
autori del falso.
Trieste, 1° maggio 2015
Le bandiere della Federativa Jugoslava, della
Slovenia Jugoslava ed il Tricolore con la stella
rossa dell’ex Unione italiana di Fiume e dell’Istria
associata alla Lega dei comunisti jugoslavi, presente
anche con la propria bandiera
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luglio 2015
pag. 12
IL DALMATA LIBERO
DIFFERENZE TRA LIBERO MOVIMENTO E ASSOCIAZIONE ORGANIZZATA
RIME RIFIUTÒ MILLE LIRE DI ANDREOTTI
PER EVITARE CONDIZIONAMENTI, CONTABILITÀ...
Nel 2003 il nostro Comune si trasformò da libero Movimento in Associazione riconosciuta
ed ottenne finanziamenti pubblici. Ma evitò bilanci, elezioni corrette, controlli e legalità
Quando
Nerino
Rime
Rismondo e la Maria Perissi
fondarono con Tamino e gli
altri profughi di Ancona il
Libero Comune di Zara in
Esilio scelsero la struttura di
un libero movimento, privo di
burocrazia, di riconoscimento
giuridico, di bilanci esterni,
ecc.. Il giornale Il Zara non
poteva, dunque, essere di
proprietà del Libero Comune
che non esisteva e non voleva
esistere come entità giuridica
ed era intestato a Rime, che
non voleva alcun contributo
se non quello volontario e
libero dei cittadini di Zara, per
restare fuori da ogni vincolo
e da ogni controllo esterno.
Il movimento dalmatico fu
il modello per i Comuni di
Pola e di Fiume ed ebbe un
grande successo. Nacque in
contrapposizione con l’Associazione Nazionale Venezia
Giulia e Dalmazia che, invece,
riceveva un costante finanziamento pubblico che consentiva ai politici governativi di
controllare l’associazione ed il
giornale La Difesa Adriatica,
così come il Cln di Trieste,
poi chiamato Associazione
delle Comunità istriane ed il
suo giornale la Voce Giuliana,
erano entrambi sovvenzionati
dalla politica. L’Anvgd era
sotto le sgrinfie dei fanfaniani
attraverso il presidente nazionale on. Paolo Barbi, il presidente di Trieste, on. Giacomo
Bologna ed un parlamentare
di Brescia di cui lo zaratino
Bepi Cepich era il segretario,
mentre il Cln d’Istria a Trieste era dominato dal moroteo
on. Corrado Belci prima e poi
l’on. Sergio Coloni.
Noi dalmati eravamo liberi,
il nostro giornale viveva del
contributo dei cittadini, le
nostre esili strutture si permettevano di contestare il
il dalmata 87-luglio 2015.indd 12
Nerino Rime Rismondo e la moglie Maria Perissi dedicarono
43 anni della loro vita per pubblicare Il Zara senza condizionamenti politici e senza finanziamenti pubblici. Organizzarono con passione i Raduni dei Dalmati a nome del nostro
Libero Comune che era allora un Movimento ideale e non
un’Associazione finanziata da Regione Veneto e Stato.
Governo e le associazioni
partigiane, perché eravamo
veramente liberi e rappresentavamo realmente ciò che pensavano i nostri cittadini. Un
giorno arrivò ad Ancona un
assegno di mille lire, contributo personale dell’on. Giulio
Andreotti. El Rime e la Maria
Perissi non ci pensarono due
volte e, con una lettera di caloroso ringraziamento, rispedirono al mittente il contributo,
lasciando a bocca aperta il
grande politico democristiano
che non aveva alcuna intenzione di condizionare il Libero
Comune, ma semplicemente
aveva voluto fare un gesto di
solidarietà verso la cognata,
una zaratina, che aveva sposato il gen. Andreotti, fratello
del “divo” Giulio e che in ogni
pranzo di famiglia ricordava
con passione la storia della
nostra Zara.
Il Dalmata rifondato a Trieste da de’Vidovich quando il
Comune era ancora un Movimento aveva la stessa struttura
de Il Zara, ma qualcuno pensò
bene di imbrogliare le carte e
di scipparlo.
Poi il 17 febbraio 2003 il
gruppetto
padovano
dei
Luxardo-Varisco e confratelli
massoni volle che il libero
movimento assumesse una
struttura legalizzata per poter
incassare i contributi della
Regione Veneto, dello Stato
e di altri enti pubblici. Fu
fatto un nuovo Statuto con
atto notarile e la sede ufficiale del Comune passò dalla
casa del Rime di Ancona alla
fabbrica dei Luxardo a Torreglia. Ma, la cosa non fu molto
diffusa. Fu detto che tutto
era stato regolarizzato, ma in
realtà tutto era rimasto come
prima, salvo i finanziamenti
pubblici. La nuova struttura
prevista dallo Statuto e dal
Regolamento del 2003, cioè di
dodici anni fa, prevedeva però
espressamente che - contrariamente a quando eravamo un
movimento ideale - il nostro
Libero Comune avesse degli
iscritti, che dovevano pagare
una tantum una piccola quota
di adesione, che l’Assemblea generale degli iscritti ed
il Consiglio comunale eleggessero il Sindaco e dodici
membri della Giunta, che
fosse approvato annualmente
un Bilancio, preventivamente
approvato dal Collegio dei
Revisori dei Conti (Sindaci) e
che ci fosse un Consiglio dei
Probiviri ai quali rivolgersi in
caso di controversie interne, e
così via. Tutto questo non si è
mai fatto. Per dodici anni, si
è spedito a casaccio un po’ di
schede elettorali con una lista
di circa 150 candidati che non
solo non erano iscritti a nessuna associazione, ma manco
sapevano di essere candidati.
Si eleggevano 60 consiglierei,
di cui circa la metà non sapeva
neppure di essere eletti e non
venivano mai alle sedute del
Consiglio. I Bilanci venivano
letti oralmente e mai presentati
per iscritto. Quando si chiedeva una copia del Bilancio ti
rispondevano “te lo manderò a
casa perché non abbiamo qui
copie sufficienti”, ma nessuno
ha mai visto un Bilancio per
iscritto che avrebbe dovuto
essere approvato dal Collegio
dei Revisori dei Conti (Sindaci) che non fu eletto mai
per dodici anni. Solo dopo la
denuncia de Il Dalmata edito
a Trieste si elesse a Padova lo
scorso anno insieme al Collegio dei Sindaci insieme al
Collegio dei Probiviri. Anche
i Probiviri non erano mai stati
eletti in dodici anni!
Continua a pag. 15
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IL DALMATA LIBERO
luglio 2015
LA NOSTRA CONTINUITÀ
È nato il 15 maggio a Mendrisio Augusto Alessandro,
figlio del noto pilota sportivo
Eugenio Amos e della bellissima Margherita Missoni. Lo
annunciano felici il fratellino
Otto e la nonna Rosita.
SABOTATORI
DEL RADUNO
Non appena abbiamo reso
noto il sondaggio per individuare la città dove celebrare
il 62° Raduno dei Dalmati, i
quattro massoni di Padova,
ridotti alla disperazione,
hanno sparso notizie fasulle
sulla scelta della data e della
città, al solo fine di creare confusione e sabotare il sondaggio
e, quel che è più grave, compromettere la buona riuscita
del Raduno che avrà luogo,
come sempre, ai primi di ottobre e nella città da voi scelta.
PER RITARDARE
ANCORA
LA MEDAGLIA
D’ORO A ZARA
Apprendiamo sempre da Il
Dalmata incatenato a Padova
che Franco Luxardo, usurpando il titolo del Sindaco del
Libero Comune di Zara in Esilio da cui è stato destituito dai
Probiviri in data 23 febbraio
2015 ha inviato il 5 marzo al
Presidente della Repubblica
una lettera analoga a quella
di de’Vidovich per la concessione della Medaglia d’oro a
Zara con i soli dodici anni di
il dalmata 87-luglio 2015.indd 13
pag. 13
LESINA E VENEZIA SPOSALIZIO COL MAR
Vivamente atteso, è nato a
Trieste lo scorso 2 luglio Matteo, figlio di Enea de’Vidovich
che lo mostra con orgoglio e di
Erica Derman. Felici i fratellini
Luca e Chiara, il nonno, nostro
Direttore e la famiglia tutta.
Nelle foto a fianco i
momenti salienti della festa
dell’Assunta durante la
quale Venezia celebra lo
sposalizio con il mare.
In alto il Bucintoro scortato dalle barche della
Serenissima, in basso il
dono a Lesina, custode per
il 2015 della tradizione
veneta, della bandiera di
San Marco ricevuta dalla
Presidente della Comunità
italiana dell’isola Alessandra Tudor e dal Sindaco di
Hvar Rino Budrović.
ritardo e una settimana dopo
della richiesta di de’Vidovich.
Perché questo improvviso
risveglio da un sonno ultra
decennale? Perché sono trapelate notizie dal Quirinale
che avrebbe tenuto conto della
richiesta di de’Vidovich, della
pubblicità data a questa lettera
da Porta a Porta, la maggior
rubrica italiana di approfondimento politico, degli articoli
apparsi su Il Giornale, Libero,
Il Piccolo e altri giornali italiani, compresi quelli editi
in Croazia. La decisione dei
Probiviri non consente più ai
massoni di Padova di utilizzare titoli e quattrini dell’organizzazione che faticosamente
si sta ricostruendo. Non sarà
certo una loggetta padovana a
confondere un Presidente della
Repubblica, notoriamente cattolico, serio e osservante.
IL CONTE DE' POLO ASSOLTO IN TOTO
Alla fine della presentazione a Trieste del Museo fotografico interattivo Alinari, il nostro Direttore ha portato al Presidente Claudio de’Polo, conte di Curzola, le congratulazioni dei Dalmati per
essere stato assolto con formula piena da ogni dubbio sulla più
che corretta gestione del Museo.
MOSTRA DI UN NOTO PITTORE A ROMA
Successo di Adam Maruši, addetto culturale della CI di Zara
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luglio 2015
pag. 14
Dalla prima pagina dell’ultimo numero de Il Dalmata
incatenato a Padova, viene fatto
un elenco di nostri importanti
personaggi che hanno agito
correttamente secondo lo Statuto del Rime, fatto ad Ancona
oltre mezzo secolo fa e che tutti
i Sindaci fino a Ottavio Missoni
hanno sempre scrupolosamente
seguito. Fingono di non ricordare che proprio Luxardo fece
annullare quello Statuto e lo
sostituì con quello pubblicato
con atto notarile del 2003, per
poter incassare soldi pubblici
ma che non ha mai posto in
essere. Apprendiamo la notizia
che il giornale è di proprietà del
Libero Comune di Zara. Ma si
omette di dire che l’ex Sindaco
Luxardo è stato destituito, che
l’ex Giunta comunale
è stata sciolta insieme
all’ignaro Consiglio comunale,
per le note ragioni - che ad
ogni buon fine - riassumiamo
nell’articoletto “Non ci posso
credere”. Insomma, manca la
parte principale della notizia e
cioè che il giornale deve passare al neo Commissario Guido
Cace in attesa che restauri la
legalità
dell’Associazione.
Analoga considerazione vale
per il conto corrente definito
“vero”, come se quello de Il
Dalmata libero fosse fittizio.
Anche il conto corrente gestito
dai massoni padovani va girato
al Commissario di Roma
Cace, in attesa dell’imminente
restaurazione della legalità
che deve passare a quanti si
NON CI POSSO CREDERE!
EPPURE È ACCADUTO
Tutti credevamo che i nostri dirigenti di Padova, in doppio petto
asburgico e con la proverbiale
correttezza veneta fossero inappuntabili. Anzi dubitare della
loro perfezione sembrava una
bestemmia e le volte che qualcuno di noi chiedeva, in punta
di piedi, una qualche banale e
marginale spiegazione, suonava
come una offesa: “Ma che? Non
ti fidi?” “No, per l’amor di Dio
non oso dubitare…!”. Poi, vennero le ultime elezioni, i cui
risultati si sono visti al Raduno
di San Marino e le operazioni
manuali ed organizzative sono
state fatte a Trieste da persona
che ama ancora definirsi nel proprio profilo Internet impropriamente “l’impiegata della Fondazione Rustia Traine”. Si scoprì
così che non esisteva neppure
un elenco degli aventi diritto al
voto, per il semplice fatto che
in dodici anni non si era trovato
il tempo per chiedere ai nostri
concittadini di sottoscrivere una
domanda di iscrizione alla nostra
organizzazione che dal 2003 è
stata trasformata da movimento
ideale in associazione riconosciuta. A chi l’impiegata di Trieste abbia mandato le schede per
il dalmata 87-luglio 2015.indd 14
votare al Consiglio comunale,
è un mistero. L’impiegata sceglieva a caso tra i quattro-cinque
mila indirizzi de Il Dalmata.
Chi erano i candidati? Erano
nominati, senza chiedere nulla
agli interessati, che spesso
apprendevano
dall’edizione
triestina de Il Dalmata di voler
essere consiglieri comunali. Una
buona parte di essi se la prendeva con il giornale per essere
stati messi a loro insaputa in una
lista. Ciò è dimostrato dal fatto
che dei sessanta eletti, circa la
metà non ha mai partecipato ad
una sola seduta del Consiglio
comunale taroccato. Neppure,
davanti a questi numeri nessuno
ha dubitato della serietà dei confratelli massoni di Padova, di cui
non si conosceva l’adesione alla
Loggia di Torreglia e neppure
la loro affiliazione ad un’obbedienza massonica. Solo recentemente i poveri dalmati abbindolati e presi per i fondelli hanno
saputo che le schede inviate a
capocchia non erano siglate e
timbrate dagli scrutatori. E ciò
non perché non ce ne fosse bisogno, ma per consentire, qualora il
Gran Maestro avesse temuto che
i votanti fossero troppo pochi,
IL DALMATA LIBERO
sono regolarmente iscritti e si
iscriveranno all’Associazione.
Ma la parte più simpatica è
riservata a quel nostro concittadino che ha iniziato il suo
discorso a Jesolo dicendo “non
ricordo dal naso alla bocca”.
Improvvisamente si è ricordato di una scheda indirizzata
a Trieste, dove non risulta mai
pervenuta, che vorrebbe creare un po’ di confusione. Un
piccolo dettaglio: il modulo
sarebbe stato emesso nel 2011
da un ufficio anagrafe di Trieste, mai esistito. Nell’articolo
dedicato al Rime ed alla Maria
Perissi è ben precisata la differenza che esiste tra un appunto
su una scheda anonima e non
firmata e la Domanda d’iscrizione all’Associazione, sottoscritta con firma autentica,
unitamente al versamento della
quota d’iscrizione. Oltre a non
ricordare dal naso alla bocca,
l’ex smemorato non distingue
tra un’annotazione anonima
ed una domanda d’iscrizione
regolarmente firmata.
Infine apprendiamo che Franco
Luxardo, dimenticando di
essere stato destituito da Sindaco, ha consegnato alla chetichella a due benemeriti signori
della Regione Veneto due
patacche, facendole passare
per una specie di Premio Tommaseo che viene solennemente
consegnato, come ogni anno,
ai nostri Raduni con l’approvazione del Consiglio comunale. Il pataccaro mette tutti
noi in difficoltà, perché i due
ignari esponenti della Regione
Veneto sono davvero meritevoli di essere premiati dai Dalmati, nelle forme tradizionali e
con l’approvazione del Consiglio comunale legittimo nella
solennità dei Raduni e non
con una consegna sottobanco
di due medaglie reperite tra i
fondi di magazzino.
oppure i voti preferenziali dei
massoni di Padova fossero stati
insufficienti, si poteva stampare
a piacere qualche centinaio di
copie delle schede e spedirle
al ignaro notaio in aggiunta a
quelle spedite a capocchia.
Il Consiglio comunale così
taroccato avrebbe eletto dodici
assessori, secondo lo Statuto,
ma i menefreghisti di Padova
decisero di eleggere quattordici.
Tanto chi avrebbe osato contare
gli assessori, anche se erano due
di più di quelli previsti dallo Statuto, tenuto non proprio segreto,
ma sicuramente distribuito solo
a pochi e riservati Confratelli di
Loggia?
Insomma, a Padova non hanno
fatto una sola cosa corretta
e secondo lo Statuto, il tutto
coperto da una segretezza del
tutto ingiustificata, se non per
coprire le violazioni che sarebbero saltate agli occhi di tutti.
Di qui la scelta obbligata
dei Probiviri di restaurare in
fretta la legalità, a cominciare
dall’elenco dei soci pubblicato
in questo numero del giornale,
perché deve essere noto a tutti.
Tutti potranno così vedere anche
chi vuole la regolarizzazione
dell’Associazione e quanti,
invece, vorrebbero continuare
ad occultare la verità purtroppo
scomoda e disarmante, dare
per scontato cose che poi sono
risultate inesistenti. L’epoca di
noi Dalmati creduloni presi per
i fondelli è finita. Da oggi in poi
tutto è reso pubblico, trasparente
e controllabile da tutti. Chi ci
sta, ci sta. Chi crede che Padre
Eterno abbia dato ad una loggia
massonica il diritto di parlare
a nome di tutti i dalmati senza
consultarli è destinato ad essere
sbertucciato ed additato alla
pubblica gogna.
Nessuno poteva credere che
tutto fosse falso, taroccato ed
imbrogliato. Il Referendum
sulle tesi da portare al Governo
continuerà ad essere pubblico e
non sarà deciso, come nel caso
della Fondazione del Mercimonio di cui tutt’ora Luxardo
pretende di tener segreta la
proposta avanzata al Governo
per conto di tutti noi. Proponiamo ai dalmati di perdonare
anche le cose imperdonabili ed
aspettiamo che anche quelli di
Padova mandino la loro regolare iscrizione all’Associazione
e partecipino, come gli altri,
a legalizzare il nostro Libero
Comune, ad eleggere gli organi
statutari regolarmente ed a continuare un cammino vecchio di
tanti decenni, dimenticando che
è stato interrotto per ben dodici
anni da furbate accuratamente
occultate.
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IL DALMATA LIBERO
luglio 2015
pag. 15
ECCO PERCHÉ ABBIAMO REMORE A DENUNCIARE “GLI AMICI” DI PADOVA
USARE ALLEGRAMENTE FONDI PUBBLICI
SIGNIFICA COMMETTERE UN GRAVE REATO
Quando fondammo Il Dalmata nel 1997 il Libero Comune era un Movimento ideale. Ma i
massoni di Padova cambiarono le carte in tavola. Denunciarli aprirebbe il vaso di Pandora
Segue da pag. 12
Insomma, si era fatta una struttura nuova per incassare danaro
pubblico, per consentire a qualcuno di sedersi al Quirinale per
assistere alla celebrazione del
Giorno del Ricordo, per rappresentare presso il Governo
le istanze degli esuli dalmati
senza che questi ne sapessero
niente, compreso il caso clamoroso di sostituire le Associazioni
degli esuli con una Fondazione
che avrebbe dovuto avere 63
milioni di euro destinati al rimborso degli esuli dall’accordo di
Osimo. Quando ci accorgemmo
di questa truffa, perché fu incaricata la persona che si qualificava
impropriamente quale impiegata
dei Dalmati di Trieste di preparare le elezioni rimanemmo letteralmente a bocca aperta e per
non sfasciare tutto, rivelando una
situazione a dir poco pirandelliana chiedemmo di legalizzare le
elezioni cominciando dall’elenco
dei soci iscritti. La risposta dei
quattro massoni di Padova che
erano abituati a decidere su tutto
nella loro Loggia, fu tracotante e
arrogante: tolsero con un sotterfugio Il Dalmata, trasformandolo
in quel povero bollettino della
Loggia, perché non si voleva
consentire al direttore di scrivere
un articolo nel quale denunciava
la sottrazione degli immobili
comperati dallo Stato italiano,
ma intestati a due associazioni di
“rimasti”.
Poi si arrivò ad una Giunta di
sprovveduti che sciolsero la
Delegazione di Trieste, prevista
dallo Statuto e quindi non modificabile dal Sindaco o dalla Giunta
ed ad una campagna nella quale
si sono ben guardati dal citare
mai lo Statuto ed il Regolamento
del 2003, come se non esistessero. Partirono insulti verso chi
dissentiva e non accettava che
una loggetta massonica facesse il
bello e il brutto tempo. A questo
punto i Probiviri eletti a Padova
hanno preso in mano la situazione e, per evitare che la Procura della Repubblica di Padova
aprisse un fascicolo verso coloro
che introitavano quattrini dello
Stato e della Regione Veneto,
fingendo di aver un’organizzazione democratica mai costituita.
I Probiviri hanno provveduto a
nominare un Commissario straordinario “non triestino” che raccogliesse finalmente, le iscrizioni
dei soci all’Associazione, per
poi indire l’assemblea generale,
eleggere un Consiglio comunale
vero e, finalmente, eleggere in
maniera regolare e corretta il Presidente dei Dalmati nel Mondo,
il Sindaco di Zara in Esilio, il
Consiglio e la Giunta comunali,
i Revisori dei Conti ed i nuovi
Probiviri, cose vanno fatte e
che non si possono non fare se
si vuole che continui ad esistere
un’Associazione così come prevista dallo Statuto.
Ci sembra poco intelligente e
suicida continuare a scrivere su
Il Dalmata incatenato a Padova
che coloro che si danno da fare
per restaurare la legalità siano
contro l’esistenza del Libero
Comune, associazione che mai
finora è stata costituita, perché
mai è stato fatto un solo iscritto
dal 2003.
Faremo di tutto perché le cose
si risolvano legalmente e con
l’approvazione di tutti, ma se
qualcuno continuasse ad insultare e boicottare chi lavora, usare
soldi pubblici senza bilancio e
rappresentare un Comune che
non ha diritto di rappresentare
presso Stato, Regioni e Governo,
saremo costretti, nostro malgrado, a presentare quell’esposto
alla Procura di Repubblica che
abbiamo con non poche difficoltà
evitato di fare.
E che nessuno si azzardi a dire
che non abbiamo subito di tutto
e di più per evitare di denunciare personaggi che si muovono
illegalmente e che sono un po’
troppo saccenti.
I 4 MASSONI DI PADOVA VOLEVANO SCIOGLIERE
LE MOLTE MIGLIAIA DI DALMATI DI TRIESTE
Pubblichiamo due foto emblematiche dei due più massici raduni dalmati mai svolti. Ambedue sono quelli di Trieste del 1993 e del
2009. La Loggia di Padova, secondo un rituale massonico che non riguarda i dalmati quasi tutti cattolici, più o meno osservanti, non
ha portato il Labaro del Libero Comune a Trieste per simboleggiare il fatto che il massiccio Raduno triestino non esisteva per loro.
Il Labaro è anche mancato al funerale del nostro Sindaco onorario Ottavio Missoni che, alla luce degli imbrogli negli ultimi dodici
anni, risulta essere l’ultimo sindaco regolare di Zara in Esilio. Quando a nome della famiglia Missoni sono stati invitati due assessori presenti al funerale a sedere nei banchi riservati alle autorità (Salghetti Drioli e Guido Battara, per non fare i nomi), costoro
hanno declinato l’invito perché erano a titolo personale e non in rappresentanza del Libero Comune. Abbiamo omesso queste notizie
nell’edizione de Il Dalmata di Trieste dedicata al grande Ottavio perché ci sembravano fuori dal mondo, ma dopo che i massoni di
Padova hanno deciso di sciogliere la Delegazione di Trieste, l’unica organizzazione del nostro Libero Comune esistente nel mondo
ed hanno sabotato la presenza di Staffan de’Mistura al Concerto dato in suo onore al Teatro Verdi di Trieste ed alle altre piccole e
grandi cattiverie che abbiamo fatto finta di non vedere per non guastare il sangue nostro e dei nostri lettori, ci siamo decisi a raccontare le cose come stanno, perché si sappia quanti rospi abbiamo buttato giù prima di stufarci e decidere di rispondere colpo su colpo.
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luglio 2015
pag. 16
IL DALMATA LIBERO
TUTTI SONO STANCHI DI POLEMICHE E DELUSI PER RAGGIRI E GIOCHETTI
ARRIVATI PRIMI, CON ZARA E LA DALMAZIA NEL CUORE
PER LEGALIZZARE E CONTINUARE LA NOSTRA ASSOCIAZIONE
Si deve voltar pagina, senza cercare responsabilità, anche se il ritardo è durato ben dodici
anni. La nostra gente vuole difendere la storia e la testimonianza dalmatica dell’Esilio
Non se l’aspettava nessuno,
ma prima ancora che arrivasse a destinazione, talvolta
con ritardo di quasi un mese,
la scheda allegata al nostro
giornale per aderire all’Associazione, hanno cominciato a
piovere le adesioni, perché le
schede sono state scaricate da
Internet, rapidamente compilate, firmate e inviate con il
contributo previsto dallo Statuto per renderle ufficiali. La
prima scheda pervenuta a Roma
è stata quella del prof. Giorgio
Baroni che tutti ben conoscono
e le cui attività troviamo anche
in questo numero a pag. ___ che
ha allegato 20 € in francobolli.
Subito dopo è stata la volta di
Fulvio Depolo, originario di
Curzola di cui tutti ricordano
la battaglia sostenuta nel Consiglio comunale di Trieste contro l’accordo di Osimo e che
si destreggia molto bene con
il computer avendo ricoperto
incarichi confederali di prim’ordine nel Sindacato bancario
della Cisnail-Ugl, il quale ha
allegato 50 €. Poi è stata la volta
di Roberto Oberti di Valnera,
la cui famiglia è negli annali
storici della Dalmazia perché
un loro avo fu mandato dall’Austria in funzione anti-italiana
ma i suoi figli e discendenti
sposarono la causa degli italiani
di Dalmazia cambiando anche
il nome che originariamente
era Hebert von Schwartzvald.
Da uomo che fa parte dell’alta
società odierna ha creduto bene
di modificare le norme che avevamo indicato per la spedizione
della quota di adesione e ci ha
inviato 50 € sul c/c della Fondazione e del nostro giornale con
l’invito di girarlo al Commissario straordinario Guido Cace.
Un metodo di pagamento della
quota che aggiungiamo a quelli
già previsti.
L’ing. Enrico Tommaseo di
Milano, discendente del grande
Niccolò e noto ricercatore di
il dalmata 87-luglio 2015.indd 16
Proposta della nuova tessera d’iscrizione che tanto piacerebbe
al Rime e alla Maria Perissi
pozzi petroliferi, è arrivato tra i
primi ed ha inviato la somma di
€ ___. Sono giunti, quindi, sempre per posta, perché è necessario avere la firma autografa, le
adesioni di Mario Matessich
che ha inviato il suo contributo
da Bergamo di 30 €, mentre Diadora Matessich da Novara con
un contributo di 20 €. Da Conegliano sono giunte due adesioni
significative: quella della Presidente della Croce Rossa italiana
del Veneto che si distinse per
aver portato tonnellate di viveri
a Zara quando la città era assediata nella guerra che negli anni
’90 ha postato allo sfascio della
Jugoslavia Edda Cattich e di
suo figlio, anche lui dirigente
della Cri, Simeone Cattich
Dell’Antonia. Il primo triestino
che ha mandato la sua adesione
prima ancora che il giornale
fosse spedito, credendo di conquistare la tessera n. 1, Renzo
de’Vidovich, € 25 è arrivato
invece appena al 17° posto, battuto anche dalla figlia Maria
Sole, imprenditrice del settore
informatico, € 15, dal figlio
Enea commercialista che ben
conosce l’uso del computer, €
15, e dalla spalatina Daria Garbin, che segue la parte non solo
informatica del giornale, € 15.
È arrivata, quindi, l’adesione
di Elisabetta de Dominis di
Gorizia, € 10, Anna Scrivanich
– Tasmania, Australia, $ Aus
30, € 20 e di Gianfranco Giorgolo, Roma, € 10, con l’adesione anche della moglie Con-
suelo. Segnaliamo l’adesione
di Palmira Steffé, ved. Dassovich, Trieste, moglie dello
storico Mario Dassovich che
per molti anni ha collaborato
pubblicando una trentina di libri
sulle vicende della Dalmazia
e, in particolare, del Quarnero.
Significativa anche l’adesione
di Mario Cramer di Milano,
Presidente del Movimento
Istria, Fiume, Dalmazia ed uno
dei più attivi dirigenti lombardi,
unitamente al prof. Corrado
Camizzi di Parma, una delle
nostre bandiere nel centro Italia.
Segnaliamo anche l’adesione di
Simeone de’ Michieli Vitturi,
Fino Mornasco (CO), appartenente alla nobiltà di Castel
Vitturi dove l’ultimo conte è
stato ucciso dai titini durante
la guerra civile: il suo bellissimo castello è tuttora visitabile nella cittadina attualmente
denominata Kaštel Lukšić.
Importante anche l’adesione
dell’avv. Paolo Sardos Albertini, Trieste, Presidente della
Lega Nazionale ed esponente di
primo piano dei Dalmati e degli
Italiani della città. Da segnalare anche l’adesione di Giuseppe Di Bartolo, Milano, € 50,
Marina Mezzasalma, Roma,
€ 30 e di due zaratini italiani
residenti a Zara, Josip Škibola
e Sonja Jeličić in Scovie, che
hanno diritto all’iscrizione ai
sensi del nostro Statuto che lo
prevede espressamente.
Ma con l’ultima infornata
venuta da Roma, ci siamo resi
conto che non potevamo indicare per ogni iscritto le sue
caratteristiche, ancorché tutti
se lo meritassero. Avremmo
dovuto riempire troppe pagine.
Perciò saltiamo anche la quota
d’iscrizione, che pure c’è e che
sarà resa pubblica con l’elenco
degli iscritti, aventi diritto al
voto, nel prossimo Raduno.
Ed ecco una parte degli altri
iscritti: Giovanni Rustia,
Rimini; Giuseppe Livraghi,
Sant’Angelo Lodigiano; prof.
Antonio Monaco, Stoccarda;
Giuseppe Gherdovich, Brescia; Marusca Matessich,
Legnano; Maria Bruna Grassini Marsan, Legnano; Giovanna Battara, Trieste; prof.
Antonio Cettineo, Falconara
Marittima (AN); Gianpaolo
Losi, Piacenza; Gianna Maburzio, Colegno (TO); Eugenio Vagnini, Pesaro; Giulio
Indennimeo, Treviso; Carmen
Costa, Loano (AO); Mario
Ballarin, Mirano; Edda Zuzzi,
Lucca; Stelvio Stolfa, Trieste;
Umberto dagli Alberi, Parma;
Maria Grazia Bottura, Morbegno di Sondrio; Mario Maino,
Rovereto; Edda Marsano, Vercelli; Aldo Reati, Pisa; Rita
de’Vidovich, Trieste; Mario
Marcuzzi, Turate (CO); Libero
Mario Carnevale, Rodi Garganico; Diletta Giorgolo, Roma;
Allegra Giorgolo, Roma; Vladimiro de’Vidovich, Fossò
(VE); Annamaria Pacinotti,
Firenze, Claudio Dopuggi,
Trieste, Giorgio De Cerce,
Novara, Alberto Rutter, Trieste; Franco Tavanti, Roma;
Mario Marasco, Roma; Ludovico Baldeschi Paleani, Jesi;
Francesca Baldeschi Paleani,
Jesi; Francesco Scrivanich,
Portovenere (SP); Francesco
Possenti Castelli, Jesi; Paola
Pieralisi, Jesi e Ada Zohar di
Kasternegg, Parigi.
Continua nel prossimo numero
l’elenco dei nominativi già pervenuti e di quelli che arriveranno.
17/07/15 11:53