Nuovi rapporti tra banche e assicurazioni: problematiche di vigilanza
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Nuovi rapporti tra banche e assicurazioni: problematiche di vigilanza
BANCASSURANCE: LA SOLUZIONE DEI RAPPORTI TRA BANCHE E ASSICURAZIONI NELLA “PROPOSTA” DI DIRETTIVA COMUNITARIA 24 APRILE 2001. di Veronica Malfatti Sommario: 1. I nuovi assetti dei rapporti tra banche ed imprese di assicurazione. 2. Problematiche di natura prudenziale. 3. La soluzione prospettata in sede comunitaria. 4. Conclusioni. 1. I nuovi assetti dei rapporti tra banche ed imprese di assicurazione Nell’ultimo decennio si è assistito ad un fenomeno di incremento e di stabilizzazione dei rapporti tra banche e imprese di assicurazione, nonché ad una crescente intersezione delle aree di attività dei due comparti finanziari: tale fenomeno ha preso il nome di “bancassurance”. Da una situazione per lungo tempo stabile, dominata dal posizionamento forte di banche e di assicurazioni e da livelli elevati di chiusura del sistema all’interno dei confini del paese, talmente consolidata che il comparto veniva spesso definito in letteratura con l’appellativo “foresta pietrificata”, si sta approdando ad un riassetto degli equilibri tra il mondo bancario e il mondo assicurativo, caratterizzato da condizioni di accentuata concorrenzialità(1). Il citato neologismo francese di bancassurance, per noi bancassicurazione, nasce per identificare quella crescente tendenza alla distribuzione di prodotti assicurativi tramite sportello bancario, che fino ad oggi ha rappresentato senz’altro la forma di integrazione più evidente tra mondo bancario e mondo assicurativo. Integrazione fuor di dubbio motivata, da un lato, dall’esigenza di offrire alla clientela un servizio quanto più ampio di servizi e prodotti, e dall’altro, e soprattutto, dai reciproci vantaggi che, in termini di costi, derivano alle banche e alle compagnie assicurative da un’azione congiunta sul mercato(2). In Francia le aziende di credito forniscono servizi assicurativi dalla seconda metà degli anni Ottanta con ottimi risultati. In Italia, nonostante le (1) Un fenomeno questo che va ad inserirsi nell’ambito di quel processo di innovazione e di spinte competitive di cui nell’ultimo decennio è stato teatro tutto il settore finanziario. Per brevità si ricordano: la progressiva integrazione dei Paesi appartenenti all’Unione Europea; la deregulation legislativa; il continuo evolversi della tecnologia che ha reso possibile sia il dissolversi delle barriere esistenti tra i diversi intermediari, che la riduzione dei costi di produzione, contribuendo così alla nascita di prodotti finanziari nuovi appartenenti a diversi campi di attività; ecc. ecc.. (2) E’ chiaro che il ricorso alla rete di sportelli di cui in genere è dotata una banca, al fine di distribuire anche prodotti assicurativi, consente, nel caso di prodotti complementari (ad esempio un prestito auto e una riassicurazione auto; o un mutuo ipotecario e una assicurazione sulla casa), sia di ripartire alcuni oneri su una pluralità di servizi, sia di realizzare economie di gestione delle informazioni, dato che il costo di riutilizzo delle informazioni già elaborate e analizzate per un certo servizio è di certo inferiore a quello di acquisizione. Non ultimo l’impiego delle capacità manageriali, nella bancassicurazione, può essere ripartito su più attività produttive. 1 non poche resistenze opposte da una cospicua parte degli assicuratori, che intravedevano più una minaccia che un’opportunità di sviluppo di un nuovo canale, e da alcuni esponenti bancari, che non ritenevano che il canale bancario potesse diventare redditizio come in Francia, l’attività di bancassicurazione ha iniziato ad inanellare i primi rilevanti successi dal 1992-1993. Oggi, a dieci anni dal suo lancio, essa costituisce ormai un’importante realtà nel panorama finanziario italiano, e va ad inserirsi in un settore, quello dell’intermediazione finanziaria, in profonda trasformazione. In breve tempo, però, dai semplici “accordi commerciali” relativi ai prodotti e alle modalità di distribuzione, si è passati ad accordi più vincolanti e legami più stretti: tra il mondo bancario e quello assicurativo hanno cominciato a verificarsi importanti sinergie nel settore degli assetti proprietari, sotto il duplice profilo sia dei rapporti partecipativi di minoranza o di controllo (ovviamente in entrambi i sensi), sia della formazione di conglomerati finanziari bancari-assicurativi(3). Questi possono essere definiti come un gruppo di imprese, vigilate e non, che esercitano attività finanziarie e, in particolare, almeno due delle seguenti attività: bancaria, assicurativa e di intermediazione in valori mobiliari, nonché attività strumentali a queste, tutte gestite e organizzate in modo coordinato all’interno del conglomerato. Possono essere incluse nel conglomerato anche imprese di riassicurazione, di leasing, di factoring o capogruppo non finanziarie, imprese dunque per le quali non è prevista alcuna forma di vigilanza. Se gli elementi principe che ci consentono di configurare un gruppo possono individuarsi nella esistenza di una capo-gruppo che possa esercitare un controllo sia diretto che indiretto sulle altre unità, e nella possibilità ad essa attribuita di effettuare realmente un controllo, al fine di impartire una direzione unitaria all’aggregazione(4); nel conglomerato finanziario è ravvisabile un’ulteriore caratteristica, assente nei gruppi di tipo omogeneo: l’alto grado di complementarietà tra i servizi offerti dai diversi operatori dell’organizzazione. Ed è proprio l’elemento della complementarietà che sottostà agli obiettivi degli intermediari finanziari che intraprendono la strada della conglomerazione. Lo sviluppo dei conglomerati finanziari ha conosciuto, nei più importanti centri d’Europa, un’accellerazione senza precedenti agli inizi degli anni Ottanta, quando si assiste alla creazione di numerosi complessi che hanno sviluppato intensi rapporti collaborativi nel settore finanziario. In Italia la nascita del fenomeno registra invece un certo ritardo, si avvia circa un decennio dopo, per l’influenza di un complesso e restrittivo quadro normativo del settore finanziario che, fino a qualche tempo fa, irrigidiva il mercato italiano in tre compartimenti separati: bancario, assicurativo e finanziario. Sarà solo il processo di ristrutturazione e revisione normativa degli anni Novanta, indotto dal recepimento di importanti direttive di (3) Il passaggio può sinteticamente ricollegarsi a tutte quelle caratteristiche “formali” degli “accordi commerciali” -la scadenza, l’eventuale ricontrattazione di talune clausole, ecc.che producono effetti negativi e non consentono di sfruttare appieno tutte le sinergie, come è invece insito nell’unione della bancassicurazione. Alla luce di ciò le imprese “finanziarie” hanno avviato un processo di aggregazione che ha portato alla realtà operativa dei conglomerati finanziari. (4) A. PETTI, “L’evoluzione dei modelli organizzativi: i conglomerati finanziari”, Mondo Bancario, 4-1999, p.35. 2 matrice comunitaria (73/183/CEE sulla libertà di insediamento; 77/780/CEE sull’accesso all’esercizio dell’attività bancaria in ogni stato membro; 83/350/CEE sull’home country control; ecc.) e conclusosi con l’entrata in vigore del T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.lgs. n.385/93) che, consentendo l’ingresso di fattori di integrazione (maggiore competitività, accresciuta domanda di prodotti finanziari innovativi, minori vincoli operativi), determinerà anche nel nostro Paese lo sviluppo di nuove forme di collaborazione fra i diversi settori del mercato finanziario. Ad oggi comunque da noi il processo di formazione di conglomerati finanziari, almeno nel settore assicurativo, risulta essere ancora ad uno stadio iniziale, uno sviluppo più consistente del fenomeno della conglomerazione si registra semmai nel settore bancario(5). 2. Problematiche di natura prudenziale Queste nuove realtà economiche denominate conglomerati finanziari, operando sotto il segno della trasversalità, ossia incrociando settori e modelli di impresa, schemi negoziali e prodotti tradizionalmente assegnati a comparti di operatività diversi e distinti, pongono problematiche di vigilanza molto complesse. Teniamo presente che le linee di fondo del tradizionale regime di rapporti fra i due sistemi di controllo prudenziale, quello sul settore bancario (Banca d’Italia) e quello sul settore assicurativo (Isvap), sono state fino ad oggi nitide e incardinate su due regole fondamentali: la rigida ripartizione dei rispettivi ambiti nonché l’esclusività, ciascuno nel proprio ambito, di tali sistemi; con la conseguente reciproca autonomia. Sono regole che hanno fatto sì che ciascuno degli ordinamenti di settore abbia proceduto e si sia evoluto lungo proprie linee, ma, è evidente, sono anche regole destinate inevitabilmente ad entrare in crisi nel momento in cui tra imprese bancarie ed assicurative si aprono e si moltiplicano aree di contatto e di integrazione. In relazione a queste aree, infatti, finiscono per crearsi sia zone di sovrapposizione o perfino di interferenza di controlli sia, per converso, zone vuote. Ad esempio, in materia di acquisto di partecipazioni di controllo in banche da parte di imprese di assicurazione, si è autorevolmente osservato(6) come ci si trovi in presenza di due corpi normativi che disciplinano in parallelo, ma in modo autonomo, una medesima fattispecie. Ciascuno dei due ordinamenti infatti prevede una apposita autorizzazione da parte delle rispettive autorità di vigilanza: la sovrapposizione di controlli qui produce un meccanismo di doppia autorizzazione di certo problematico e difficile da giustificare sul piano giuridico. A contrario, proprio con riferimento ai conglomerati bancarioassicurativi, si avverte una zona vuota. L’impresa assicurativa infatti non rientra nella composizione del gruppo bancario di cui al T.U.L.B. (artt.5964). In tale nozione sono ricomprese solo le società bancarie, quelle (5) Solo per citare qualche dato, secondo quanto risulta da un’indagine compiuta dall’Isvap, di concerto con la Banca d’Italia, per censire i conglomerati finanziari italiani (ovvero aventi casa madre in Italia), al giugno 2000 il numero dei conglomerati di origine assicurativa risultava di cinque contro i diciassette di origine bancaria. (6) M.CLARICH, “Il problema del coordinamento tra autorità di vigilanza”, in F. CESARINI., R.VARALDO “Banche e assicurazioni. Rapporti e prospettive di sviluppo in Italia”, 1992, p.41. 3 finanziarie e quelle strumentali legate tra loro da un rapporto di controllo (artt.59 e 60 T.U.), dove per finanziarie si intendono quelle che esercitano in via esclusiva o prevalente l’assunzione di partecipazioni o l’esercizio di una delle attività ammesse al mutuo riconoscimento, restandone perciò esclusa l’impresa assicurativa che, del resto, non risulterebbe sottoponibile alla vigilanza regolamentare della Banca d’Italia essendo già soggetta alla vigilanza di un’altra autorità (Isvap). Anche la normativa prudenziale di derivazione comunitaria, vista nell’ottica dei conglomerati finanziari, risulta carente. Eppure non mancano direttive, pur introdotte in tempi recenti, atte a rafforzare la vigilanza su imprese “finanziarie” appartenenti ad un gruppo e che hanno senza dubbio dotato le Autorità degli Stati membri di strumenti di controllo più efficaci: si pensi alla 98/78/CE in materia di vigilanza supplementare sulle imprese di assicurazione appartenenti ad un gruppo(7), alla 2000/12/CE relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi nonchè alla, più datata, 93/6/CEE sull’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento; ma il dato comune a tutte è che anch’esse continuano ad avere una portata circoscritta ai soli gruppi di istituti finanziari “omogenei”, i gruppi eterogenei, costituiti da imprese appartenenti a settori diversi, ne vengono coperti solo in parte. Ciò stante, dunque, il quadro normativo attualmente in vigore in materia di vigilanza sugli istituti finanziari, visto nell’ottica delle strutture conglomerali, rimane incompleto, incardinato su controlli strutturalmente e funzionalmente non omogenei fra loro, riguardando ciascuno aspetti diversi, che, nei confronti dei gruppi intersettoriali, di cui fanno parte banche, imprese di assicurazione e società di investimento, delineano un sistema di vigilanza incoerente e lacunoso, ostacolato dall’intrecciarsi e dal sovrapporsi in modo disorganico delle competenze delle varie autorità. Anche nel caso in cui ogni singola entità del gruppo sia soggetta a supervisione, e abbiamo visto che ciò non sempre accade, ove ognuna delle autorità preposte si limiti al controllo del proprio settore, nessun supervisore sarà in grado di avere una visione completa dei rischi che il conglomerato può incontrare nel suo insieme. E questa carenza si percepisce con maggiore evidenza ove si rifletta sul fatto, di per sé ovvio, che con il conglomerato, ai rischi tipici delle singole società facenti parte di un gruppo, vengono ad aggiungersene altri, peculiari di questa nuova realtà economica, indotti dalla possibilità di incroci patrimoniali di incerta gestibilità e di certo non fronteggiabili con un controllo che si limiti alle singole componenti del complesso. Si pensi al c.d. rischio di contagio ovvero al rischio che le perdite relative a un’area di attività possano ridurre il capitale disponibile per le altre parti del gruppo o anche, e soprattutto, che la debolezza di una parte del gruppo possa (7)Questa direttiva, recepita con LG 21 dicembre 1999, n.526, ha introdotto l’obbligo del consolidamento per le imprese di assicurazione appartenenti ad un gruppo, prescrivendo una vigilanza aggiuntiva, di secondo livello, che integra e non sostituisce quella sulla singola impresa. In tal modo l’Autorità di controllo potrà valutare la situazione finanziaria delle imprese assicurative appartenenti ad un gruppo sulla base della “solvibilità corretta”, cioè della solvibilità depurata dalle distorsioni e dalle duplicazioni nel conteggio dei fondi propri dovute alla presenza di strutture partecipative e alle operazioni infragruppo . La stessa direttiva prevede altresì il rafforzamento della collaborazione fra Autorità di controllo, nazionali ed internazionali, per agevolare l’esercizio delle rispettive funzioni ed istituire un sistema di scambio di informazioni utili a prevenire e contrastare situazioni di crisi. 4 incrinare la fiducia del mercato nella solidità delle altre componenti e, al limite, provocare la crisi dell’intero gruppo. O al rischio del doppio computo del capitale (double gearing o double leverage) ovvero a quella tecnica attraverso la quale lo stesso ammontare di capitale è utilizzato più volte per coprire rischi diversi in parti diverse del gruppo. L’attività del gruppo aumenta, senza un corrispondente incremento della copertura patrimoniale: il risultato è quello di una diluizione del patrimonio complessivo del gruppo. Si pensi inoltre al rischio di arbitraggio prudenziale, in virtù del quale le attività vengono spostate, all’interno del conglomerato, nelle società dove i requisiti patrimoniali sono inferiori e i controlli di vigilanza meno stringenti o inesistenti. Soprattutto quando il conglomerato finanziario è composto da imprese i cui obblighi patrimoniali sono differenti, le possibilità del doppio computo del patrimonio o dell’arbitraggio prudenziale aumentano notevolmente, senza dimenticare infine che, come già evidenziato, potendosi trovare all’interno del conglomerato anche intermediari non vigilati, questi potranno essere utilizzati, dagli altri componenti del complesso, proprio per creare situazioni di scarsa trasparenza che pongano seri limiti all’azione di vigilanza. Dunque, di fronte a questi soggetti più complessi perché intersettoriali quali i conglomerati finanziari, si mostra con evidenza l’inidoneità dell’organizzazione, delle procedure e degli strumenti tradizionali di vigilanza prudenziale a raggiungere gli obiettivi di controllo cui essa è istituzionalmente preposta, tanto più che le strutture conglomerali spesso operano su scala multinazionale, essendo formate da entità appartenenti ad ordinamenti diversi, e quindi soggette ad autorità e sistemi di vigilanza diversi. In conclusione, l’attuale contesto dei mercati finanziari che vede, da un lato, la presenza di operatori globali operanti su scala mondiale e dall’altro una pluralità di autorità preposte a vigilare ciascuna su un singolo componente del conglomerato, impone inevitabilmente un superamento dei rigidi limiti settoriali dei controlli nonché l’esigenza di ripensare un sistema di vigilanza caratterizzato da forme più stringenti di armonizzazione regolamentare e di integrazione organizzativa fra le differenti autorità di controllo, sia a livello dei singoli settori nell’ambito di uno stesso ordinamento sia fra ordinamenti diversi, tutto ciò al fine di preservare l’uniformità delle condizioni di concorrenza e la stabilità dell’intero sistema finanziario a protezione degli investitori. 3. La soluzione prospettata in sede comunitaria Gli urgenti problemi fin qui esposti sono stati ampiamente dibattuti in varie sedi internazionali. In particolare le autorità di vigilanza sui tre settori coinvolti dall’integrazione dei maggiori mercati internazionali, Iosco; Comitato di Basilea e International Association of Insurance Supervisors, interessate al raggiungimento di un adeguato quadro prudenziale per i conglomerati, hanno costituito, al fine specifico di coordinare le loro iniziative, il Joint Forum on Financial Conglomerates, un gruppo di lavoro composto da esperti di vigilanza del comparto bancario, assicurativo e delle società di investimento. Esso, oltre ad approfondire le problematiche connesse alla valutazione dei requisiti patrimoniali a livello di consolidamento e dei requisiti di onorabilità e professionalità degli azionisti 5 di riferimento e degli esponenti aziendali delle conglomerate, si è occupato in particolare proprio della cooperazione a fini di vigilanza sui conglomerati attivi a livelli internazionale, elaborando in proposito tutta una serie di raccomandazioni. Sulla base di tali raccomandazioni, e in esecuzione delle stesse, la Commissione Europea, in data 24 aprile 2001, ha presentato al Parlamento Europeo e al Consiglio (seguendo la procedura di codecisione prevista dall’art.251, ex189B, Trattato CE) una proposta di direttiva, attualmente ancora all’esame degli organi comunitari, in materia di vigilanza supplementare sugli enti creditizi, imprese di assicurazione e imprese di investimento appartenenti ad un conglomerato finanziario, dichiaratamente preordinata alla fissazione di norme prudenziali, in materia di vigilanza sui conglomerati, comuni a tutta l’Europa. E’ doveroso premettere che essa costituisce una delle tappe fondamentali per il completamento del mercato unico dei servizi finanziari, alla cui realizzazione si sta fortemente impegnando il Consiglio Europeo di Lisbona. Il mercato unico finanziario sarà indiscutibilmente un fattore chiave di promozione della competitività dell’economia europea in quanto consentirà di ridurre i costi del capitale per le imprese, grandi e piccole apportando anche importanti benefici ai consumatori, perché un mercato integrato, adeguatamente regolato e improntato a criteri di sana e prudente gestione, è anche un mercato maggiormente tutelato contro la crisi degli istituti finanziari. Per la realizzazione di questo ambizioso progetto, programmata per il 2005, la Commissione Europea ha elaborato il c.d. Piano d’Azione per i Servizi Finanziari (PASF) che, tra i vari interventi ivi contemplati, prevedeva appunto come misura prioritaria anche la presentazione agli inizi del 2001 della proposta che ci accingiamo ad esaminare. Essa parte dalla constatazione che il ritmo accellerato delle concentrazioni nel settore e l’intensificarsi dei legami tra i mercati finanziari hanno portato alla creazione di gruppi intersettoriali, denominati appunto conglomerati finanziari, di certo in grado di offrire servizi e prodotti in vari settori, ma che qualora incontrassero, o come loro gli operatori che ne fanno parte, difficoltà finanziarie, potrebbero produrre gravi effetti destabilizzanti sull’intero sistema finanziario. In virtù di ciò, data l’inesistenza ad oggi di forme di vigilanza su tali strutture che con le loro operazioni combinate possono addirittura originare nuovi rischi oltre che accentuare quelli esistenti, la Commissione esprime l’esigenza di introdurre una specifica disciplina prudenziale nei loro confronti. La questione fondamentale, si legge nella relazione illustrativa, è impedire che l’esistenza di strutture conglomerali intersettoriali metta a repentaglio la capacità delle varie autorità di vigilanza settoriale di garantire l’adeguatezza patrimoniale degli enti sottoposti al loro controllo. Nei confronti di questi gruppi finanziari, che operano a cavallo dei tradizionali confini tra settori, è necessario che i requisiti patrimoniali richiesti siano adeguati e proporzionati in modo da rispecchiare con esattezza i rischi a cui banche, imprese di assicurazione e intermediari mobiliari appartenenti ad un conglomerato possano essere esposti. A questo scopo quindi, oltre a rimuovere là dove si manifestino quelle incongruenze tra normative settoriali che possano offrire scappatoie e possibilità di arbitraggio tra ordinamenti, saranno indispensabili soprattutto misure volte ad impedire che 6 gli stessi fondi patrimoniali servano a coprire dal rischio due o più entità appartenenti ad uno stesso conglomerato finanziario (doppio computo di capitale) o che un’impresa madre emetta obbligazioni per capitalizzare le sue imprese figlie (effetto leva). Inoltre, la vigilanza supplementare sui conglomerati finanziari, per essere efficace, dovrebbe applicarsi a tutte le attività finanziarie individuate nella legislazione finanziaria settoriale e a tutte le imprese che esercitino principalmente tali attività; solo così infatti le autorità competenti potranno essere in grado di valutare a livello di gruppo la situazione finanziaria di tutti gli operatori appartenenti ad un conglomerato. Venendo ad un esame più dettagliato dei principali articoli della proposta, vediamo che a norma dell’art.1 essa ha come destinatari gli enti creditizi, le imprese di assicurazione e le imprese di investimento (c.d. imprese regolamentate) aventi la loro sede principale nella UE che, appartenendo ad un conglomerato finanziario, necessitano in tal guisa di una vigilanza supplementare, di cui la direttiva stessa fissa portata e modalità. Disciplinando materie mai sottoposte a regolamentazione, la Commissione si è preoccupata di introdurre e definire i principali concetti su cui la proposta si fonda. Tra le definizioni contenute nell’art.2, la più importante per noi è appunto quella di conglomerato finanziario inteso come “gruppo che soddisfi le seguenti condizioni: a) le sue attività consistano principalmente nella fornitura di servizi finanziari nel settore finanziario; b) comprenda almeno un’impresa regolamentata ovvero un ente creditizio autorizzato a norma dell’art. 4 della direttiva 2000/12/CE; un’impresa di assicurazione autorizzata a norma dell’art.6 della direttiva 73/239/CEE o dell’art.6 della direttiva 79/267/CEE; un’impresa di investimento autorizzata a norma dell’art.3, paragrafo I della direttiva 93/22/CEE; c) comprenda almeno un’impresa di assicurazione o riassicurazione o almeno un’altra impresa operante in un diverso settore finanziario; d) le cui attività intersettoriali nel settore finanziario siano significative.” Si tratta di una definizione fondamentale che ci consente di delimitare con chiarezza il campo di applicazione della direttiva: quest’ultima, alla luce di quanto appena visto, troverà dunque applicazione solo in presenza di un gruppo misto, prevalentemente finanziario con attività finanziaria eterogenea. Essa invece non opererà né per gruppi finanziari operanti in settori omogenei, né nei confronti di gruppi che pur eterogenei cioè misti, svolgano attività sia finanziaria che non finanziaria; questi tipi di gruppi, quindi, continueranno ad essere regolati da quelle direttive settoriali di cui si è parlato nel corso delle trattazione. Il testo in esame, al successivo art.3, introduce anche due soglie proprio per distinguere sia tra gruppi finanziari e gruppi non finanziari, sia tra gruppi omogenei e gruppi misti o conglomerali. Una concetto altrettanto importante ai fini della delimitazione dell’ambito di operatività della direttiva stessa è quella di società di partecipazione mista, definita come “un’impresa madre, diversa da un’impresa regolamentata, che con le sue imprese figlie, di cui almeno una sia impresa regolamentata con sede principale nella Comunità, e con altre 7 imprese costituisca un conglomerato finanziario.” Naturalmente in presenza di una società di questo tipo, o parimenti di un’impresa regolamentata ma di un Paese Terzo o di un’impresa non regolamentata che comunque facciano parte di un conglomerato finanziario così come definito in precedenza, la vigilanza supplementare a livello di conglomerato si estende anche nei confronti di quegli operatori finanziari che singolarmente non sarebbero assoggettabili a controllo. A questo proposito, però, evidentemente per dovere di completezza e per scongiurare ogni rischio morale, la direttiva in esame ha voluto precisare che tale estensione non implica affatto che queste imprese possano considerarsi assoggettate a vigilanza individuale (art.4). Dopo una serie di norme di carattere quantitativo e qualitativo riguardanti l’adeguatezza patrimoniale, le operazioni intragruppo e la concentrazione dei rischi, nonché i requisiti di onorabilità e competenza dei dirigenti delle imprese regolamentate appartenenti ad un conglomerato finanziario, la direttiva affronta il tema delle misure intese ad agevolare la vigilanza supplementare sui conglomerati finanziari (artt.7-13). Si è più volte messo in luce come l’integrazione intersettoriale evidenzi con chiarezza l’esigenza di introdurre meccanismi di coordinamento tra le autorità competenti. A tale proposito, dopo aver sottolineato che la cooperazione tra le autorità di vigilanza interessate e lo scambio di informazioni sono elementi imprescindibili di un’efficace azione di vigilanza (senza un adeguato flusso di informazioni tra le imprese appartenenti ad un conglomerato finanziario e le autorità di vigilanza e tra le autorità stesse infatti nessuna misura di vigilanza proposta potrebbe funzionare efficacemente), la direttiva riconosce l’urgenza di accrescere la collaborazione tra le autorità incaricate di vigilare su enti creditizi, imprese di assicurazione e imprese di investimento facenti parte di uno stesso conglomerato, compresa l’elaborazione di accordi ad hoc tra tali autorità. A questo scopo, a norma dell’art.11, è imposto agli Stati membri l’obbligo di rimuovere ogni ostacolo di natura giuridica che nel loro ordinamento possa impedire lo scambio di informazioni tra le imprese appartenenti ad un conglomerato, nonché di disporre che le autorità competenti preposte all’esercizio della vigilanza supplementare in ciascuno Stato possano accedere a tutte le informazioni pertinenti per l’esercizio del controllo cui sono preposte, interpellando direttamente o indirettamente le imprese del conglomerato. Quanto alla cooperazione e allo scambio di informazioni tra le autorità competenti alla vigilanza sulle imprese appartenenti ad un conglomerato, chiamate dalla direttiva a cooperare strettamente, è previsto che esse, fatte salve le rispettive responsabilità così come definite dalle norme settoriali, e a prescindere dal fatto che abbiano o meno sede nello stesso Stato membro, dovranno reciprocamente fornirsi tutte le informazioni essenziali e pertinenti all’esercizio dei rispettivi compiti di vigilanza. L’art.9 poi indica nel dettaglio quali sono gli elementi con riferimento ai quali necessariamente non può mancare la raccolta e lo scambio di informazioni. Tra essi: l’accertamento della struttura del gruppo e l’individuazione delle imprese appartenenti al conglomerato, nonché delle autorità competenti alla vigilanza sulle imprese regolamentate del gruppo; le politiche strategiche del conglomerato, comprese acquisizioni e ristrutturazioni importanti; la situazione finanziaria; gli azionisti e i dirigenti; l’organizzazione; i sistemi di gestione del rischio e di controllo interno. 8 Una delle disposizioni più importanti e innovative del corpus normativo che stiamo analizzando è certamente rappresentata dall’art.7 relativo alla determinazione, per ogni conglomerato finanziario, di un’autorità competente cui spetti il compito di coordinatore. Partendo dalla considerazione che i conglomerati finanziari forniscono servizi transettoriali e in molti casi transfrontalieri, la direttiva ritiene necessario in linea di principio che per ogni singolo conglomerato venga designata, tra le diverse autorità di vigilanza coinvolte, un’autorità di coordinamento, il c.d. coordinatore, che oltre ad agevolare la cooperazione tra le varie autorità interessate, avrà il compito anche di chiarirne il rispettivo ruolo. Evidenti i vantaggi che possono derivare dalla designazione di un’autorità di questo tipo, in particolare: evitare lacune nella vigilanza prudenziale sul gruppo, accrescendone la stabilità finanziaria; evitare duplicazioni della stessa attività di vigilanza, onerosa e costosa sia per le autorità che per le imprese che vi sono sottoposte; semplificare le procedure e l’attività agevolando la collaborazione tra supervisori. Per individuare l’autorità più idonea a fungere da coordinatore, il criterio introdotto come preferenziale è quello di rimettere la decisione alle stesse autorità competenti degli Stati membri interessati dal conglomerato, chiamate a scegliere di comune accordo. In mancanza di un accordo immediato però, lo stesso art.7 fissa tutta una serie di criteri di ausilio nei quali si fa distinzione a seconda che a capo del conglomerato vi sia o meno un’impresa regolamentata. Ove ciò si verifichi, il compito di coordinatore spetta all’autorità competente che ha autorizzato la predetta impresa regolamentata ai sensi delle pertinenti norme settoriali; in caso contrario la direttiva prevede due sottocriteri: a) qualora l’impresa madre di un’impresa regolamentata sia una società di partecipazione finanziaria mista, il compito di coordinatore è esercitato dall’autorità competente che ha autorizzato la predetta impresa ai sensi delle norme di settore; b) qualora vi siano più imprese regolamentate che hanno come impresa madre la stessa società di partecipazione finanziaria mista, il compito di coordinatore spetta all’autorità che ha autorizzato quella tra le società regolamentate che ha sede nello stesso Stato membro in cui ha sede la società di partecipazione mista. In quest’ultimo caso è ulteriormente precisato che se nello Stato membro in cui ha sede la società di partecipazione finanziaria mista sono state autorizzate più imprese regolamentate operanti in settori finanziari diversi, il compito di coordinamento sarà esercitato dall’autorità competente preposta a vigilare sull’impresa regolamentata operante nel settore finanziario più importante. Niente vieta inoltre, ove si presentassero casi più complessi, che il ruolo di coordinatore sia rivestito da più di un’autorità competente (così ad esempio, rimanendo nella stessa fattispecie di cui sopra, qualora il conglomerato nel suo complesso operi principalmente in un settore finanziario diverso da quello in cui opera la predetta impresa regolamentata autorizzata, il ruolo di coordinatore potrà essere congiuntamente rivestito dall’autorità che ha autorizzato l’impresa regolamentata avente sede nello stesso Stato membro in cui ha sede la società di partecipazione finanziaria mista e da 9 quella che ha concesso l’autorizzazione all’impresa regolamentata che presenti il maggior totale dello stato patrimoniale nel più importante settore finanziario). Per quanto attiene ai compiti di vigilanza supplementare che spettano al coordinatore, essi sono passati in rassegna al successivo art.8 che prevede quello di coordinare la raccolta e la diffusione di informazioni pertinenti o essenziali nonché di pianificare e coordinare le attività di vigilanza, e ciò sia nel quadro del normale esercizio delle proprie funzioni sia nelle situazioni di emergenza; quello di valutare la situazione finanziaria, verificare e controllare l’osservanza delle disposizioni in materia di adeguatezza patrimoniale, concentrazione dei rischi, operazioni intragruppo, ed infine quello di valutare la struttura, l’organizzazione e i sistemi di controllo interno del conglomerato. Fatta salva la possibilità di delegare specifiche competenze e responsabilità in materia di vigilanza, ai sensi della normativa comunitaria la presenza del coordinatore con compiti specifici in materia di vigilanza supplementare sui conglomerati finanziari lascia impregiudicati comunque i compiti e le responsabilità attribuite alle autorità competenti dalle normative settoriali. In buona sostanza il coordinatore non sarà una nuova autorità svolgente attività diretta, ma una figura chiamata a facilitare l’armonizzazione dei principi comuni senza limitare la capacità dei singoli, senza alcun spostamento di responsabilità e senza alcun pregiudizio per l’applicazione delle regole settoriali, nel pieno riconoscimento dunque delle differenze tra settori. Un simile ruolo, in sintesi, verrà ricoperto dall’autorità che avrà maggior peso nel conglomerato. Altri articoli infine trattano delle verifiche in loco delle informazioni comunicate alle autorità competenti e dell’organizzazione della cooperazione con le autorità di Paesi terzi. 4. Conclusioni Dall’esame della direttiva si evince chiaramente come essa non stabilisca che norme minime: si limiti cioè al minimo richiesto per il raggiungimento degli obiettivi e non vada al di là di quanto necessario al proprio scopo, lasciando quindi gli Stati membri liberi di introdurre norme più severe, in conformità dei principi di sussidiarietà e proporzionalità sanciti all’art. 56 del Trattato CE. Al contempo però essa si è resa evidentemente necessaria in quanto gli obiettivi delle misure proposte, vale a dire l’elaborazione di norme di vigilanza supplementare su enti creditizi, imprese di assicurazione e imprese di investimento appartenenti ad un conglomerato finanziario, non potrebbero essere sufficientemente realizzati dai singoli Stati membri ma, a motivo delle dimensioni e degli effetti dell’azione in questione, possono essere perseguiti compiutamente solo a livello comunitario. Al fine di tradurre su scala nazionale i principi fin qui esaminati, sembra imminente nel nostro Paese un accordo di collaborazione, in materia di vigilanza sui gruppi bancario-assicurativi, tra Banca d’Italia e Isvap. Un sicuro passo avanti, ma sia chiaro che la direttiva in esame, una volta recepita, non verrà ad interessare soltanto queste due autorità, ma anche la Consob, per le imprese di investimento, la Covip per i fondi 10 pensione, nonchè l’Antitrust. Si ricordi infatti che solo per il settore bancario l’autorità di controllo ivi preposta, la Banca d’Italia, si trova investita al contempo di poteri di vigilanza e di normazione secondaria nonché di funzioni di garante della concorrenza e della stabilità del sistema bancario. Un’eccezione, quella bancaria, che del resto è spesso guardata dagli studiosi come un’anomalia del nostro ordinamento: il potenziale conflitto insito nel rapporto tra stabilità e concorrenza ha reso necessaria l’istituzione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, di un’autorità dunque separata a tutela del secondo dei due valori, preposta a vigilare su tutte le imprese, incluse quelle di assicurazione e di investimento in valori mobiliari; così non è per le banche ma ciò non significa che non dovrebbe esserlo. Ciò stante, certo è che la stretta cooperazione richiesta dalla direttiva, venendo a coinvolgere come appena visto molte Authorities, sarà prevedibilmente fonte di non poche difficoltà: si pensi alle differenze culturali, ai differenti approcci nonché ai differenti punti di partenza delle summenzionate autorità. Storicamente Banca d’Italia, Isvap, Consob e Antitrust sono autorità di controllo che non si trovano poste sullo stesso piano, e ciò sia per quanto riguarda i poteri sia per quanto attiene al loro livello di autonomia ed indipendenza. E’ difficile dire se per queste autorità così diverse, in presenza di gruppi intersettoriali, sarà possibile operare in un’ottica di piena cooperazione e apertura le una vero le altre, al contempo però evitando confusioni di ruoli e limitandosi ciascuna ai propri compiti. Proprio in virtù della prevedibili difficoltà cui si è fatto cenno molti Paesi europei ed extracomunitari hanno avviato o stanno avviando un processo di revisione dell’architettura e dell’organizzazione dei controlli da cui emerge una forte spinta verso l’integrazione della vigilanza e l’unificazione delle strutture organizzative. Prendendo le mosse da questi esempi, anche nel nostro Paese è in corso un ricco dibattito tra studiosi, regolatori ed operatori, divisi tra chi si schiera a favore di un più stretto coordinamento tra le varie Authorities e chi invece propone addirittura la via della concentrazione delle commissioni di controllo, auspicando processi di unificazione tra Isvap, Consob e Covip se non addirittura di unione tra Isvap e Banca d’Italia. Discussioni a parte, di sicuro le iniziative dei Paesi europei dovranno rapportarsi e coordinarsi con le scelte compiute a livello comunitario che, come abbiamo visto, allo stato sembrano fermarsi a battere la strada della maggiore cooperazione e collaborazione tra i supervisori, senza spingersi verso rivoluzionari processi di centralizzazione, ma è certo che l’avvento della moneta unica costituirà un fattore di enorme propulsione verso un assetto dei controlli che, per quanto forti possano essere le resistenze nazionali, non potrà non tener conto della sempre più intensa omogeneità dei mercati. In chiusura non resta che evidenziare come in ogni caso, sia che esse siano chiamate a una più stretta cooperazione sia che si vedano coinvolte in processi di unificazione strutturale, la sfida che attende le autorità di controllo è di certo formidabile ma, del resto, è anche una via obbligata se esse non vogliono abdicare dal mandato di salvaguardare la stabilità degli intermediari e del sistema finanziario nel suo complesso. Gennaio 2002 11