AA diventa adulta - Aiuto Alcolisti Anonimi
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AA diventa adulta - Aiuto Alcolisti Anonimi
22° capitolo A.A. diventa adulta A Bill non mancava il senso pratico, anche se il denaro non costituì mai una motivazione per il suo lavoro in A.A. In una lettera del 1952, delineò così i suoi progetti per l’immediato futuro: “Mi sto mettendo ancora a scrivere seriamente. Un libriccino verrà pubblicato in autunno e sarà seguito da una breve storia di A.A. Poi penso di scrivere un libro che spazi dall’applicazione dei Dodici Passi fino all’intero problema della vita in tutti i suoi aspetti: il problema di una sobrietà felice. Dopo dì che, arriverà un manuale sui servizi di A.A. Sto cominciando a mettere su carta tutta la nostra esperienza degli ultimi dodici anni. “Se porterò a termine il progetto con successo, questo mi darà una rendita sostanziosa, superiore probabilmente alle mie necessità. Questo significa che con una parte dei miei guadagni potrò pagare i miei antichi creditori. (1) Questo darebbe, penso, il miglior esempio possibile agli altri membri di A.A.”. Porse Bill scriveva m questi termini semplicemente perché il suo corrispondente voleva donargli una generosa somma di denaro (“Ab” A., un ricco cittadino dell’Oklahoma, voleva dargli 60.000 dollari). La lettera indica inoltre che non solo Bill era un idealista in ciò che concerneva il lavoro di tutta una vita, ma che pensava anche in termini pratici. Con la struttura del Servizio a posto, le Tradizioni accettate e ormai facenti parte della struttura di A.A., Bill ora respirava meglio e si sentiva libero di rivolgere la sua attenzione a progetti che era stato costretto a tenere in sospeso. Per prima cosa, c’era da scrivere “Dodici Passi e Dodici Tradizioni”. Da un po’ di tempo aveva progettato di scrivere un volume di saggi, uno per ogni Passo e uno per ogni Tradizione. Questi saggi avrebbero ampliato, spiegato e chiarito il significato e la messa in pratica di ciascun principio. “Dodici Passi e Dodici Tradizioni” è un piccolo volume come dimensioni, ma è grande per profondità e contenuti. Mentre il Grande Libro, scritto nel 1938, irradiava la felicità e la gratitudine di Bill per aver finalmente trovato il modo di restare sobrio, “Dodici e Dodici” riflette un umore completamente diverso. Nel 1951 e nel 1952, quando Bill scrisse il secondo libro, soffriva quasi costantemente di depressione e si trovava costretto ad affrontare i demoni spirituali ed emotivi che rimangono “intrappolati” nella psiche dell’alcolista quando l’alta marea dell’alcolismo attivo si ritira. Il “Dodici e Dodici” fornisce un rimedio assai utile e profondamente spirituale per esorcizzare questi demoni. Durante i suoi quindici anni di sobrietà, Bill aveva avuto ampia opportunità di conoscere nel profondo alcuni tratti e atteggiamenti improduttivi e spesso negativi, che fanno abitualmente parte della malattia dell’alcolismo e che si presentano anche nella vita da sobri. Ormai sapeva bene che, oltre all’alcol, gli alcolisti hanno molti altri problemi ai quali devono trovare rimedio, se vogliono vivere tranquillamente. Il fatto che Bill sia stato capace di scrivere proprio i Passi stessi mentre affrontava una “sbornia secca”, costituisce un’ulteriore testimonianza del suo genio. I Passi riguardano infatti precisamente i problemi comuni a tanti alcolisti, dopo che hanno smesso di bere. Ora Bill si disponeva a scrivere i saggi che spiegavano i Dodici Passi. Ma non apportò alcuna correzione alla formulazione dei Passi stessi, lasciandoli esattamente come li aveva scritti anni prima. Il “Dodici e Dodici” espone esplicitamente alcuni argomenti che non erano stati trattati nei Grande Libro. Per quanto riguarda Dio, per esempio, mentre il Grande Libro dice: “Quando ci siamo avvicinati, Egli si è rivelato a noi” il “Dodici e Dodici” parla dei periodi in cui “la mano di Dio sembrava pesante o persino ingiusta”. E continua così: “Tutti noi, senza eccezione, attraversiamo periodi in cui riusciamo a pregare solo con un grandissimo sforzo di volontà. Di tanto in tanto ci spingiamo persino più in là e, quando ci assale un tremendo sentimento di ribellione, ci rifiutiamo persino di pregare. Quando accadono queste cose non dovremmo prendercela troppo con noi stessi, ma dovremmo semplicemente riprendere a pregare non appena ci è possibile, agendo cioè per il nostro stesso bene”. Queste affermazioni sono straordinarie per un uomo che una volta ebbe un’esperienza spirituale simile al “vento che soffia in cima a una montagna”. Ma Bill e altri alcolisti avevano imparato che la vita sobria non apporta necessariamente l’immunità immediata dai sensi di rifiuto e di colpa, dal dolore, dalla rabbia o dalla gelosia. Nel nuovo libro, Bill discusse di questi problemi senza promettere veloci o facili soluzioni. Nei “Dodici e Dodici” Bill batté tanto frequentemente sul tasto di problemi e questioni negative, che si sentì apparentemente obbligato ad aggiungere una spiegazione o delle scuse, quasi a conclusione del suo saggio sul Dodicesimo Passo: “Può sembrare che A.A. sia fatta soprattutto di problemi tormentosi e di metodi per tenere alla larga i guai. In certa misura questo e vero. Abbiamo parlato di problemi, perché siamo persone con problemi che hanno trovato una via di risalita e di uscita dalla loro condizione e desiderano condividerla con tutti coloro che possano usarla. Perché è solo accettando e risolvendo i nostri problemi, che possiamo cominciare ad agire nel modo giusto con noi stessi, con il mondo intorno a noi e con Colui che è a capo di tutti noi”. Bill cominciò a scrivere subito dopo la Prima Conferenza dei Servizi Generali. I saggi sulle Tradizioni uscirono per primi, grazie al fatto che gran parte del lavoro sulle Tradizioni era già stato svolto per la pubblicazione su “Grapevine” sotto il nome di “Dodici Punti per Assicurare il Nostro Futuro”. Dopo che li ebbe finiti e corretti, cominciò a lavorare ai saggi sui Passi. Bill sapeva bene quello che stava per intraprendere. Un conto era stato scrivere la formulazione dei Passi, cosa non certo facile ma, dopo tutto, riconducibile a una formulazione di suggerimenti. Era ben altra e più difficile faccenda quella di ampliarli e interpretarli per tutte le persone che soffrono di alcolismo, ognuna alle prese con una realtà diversa. In una lettera a Padre Dowling, scritta il 17 luglio 1952, descrisse così i problemi che si trovava ad affrontare: “Il problema dei Passi è stato quello di ampliarli e approfondirli, sia per i nuovi arrivati sia per i ‘vecchi’. Ma i punti di vista sono così tanti che è difficile trattarli in maniera appropriata. Dobbiamo trattare con atei, agnostici, credenti, depressi, paranoici, sacerdoti, psichiatri e tutti gli altri. Ampliare la soglia in modo che entrarvi appaia giusto e ragionevole, e al tempo stesso evitare distrazioni, fraintendimenti e pregiudizi da parte dei possibili lettori, sembra francamente molto più che un normale impegno”. Bill scrisse il “Dodici e Dodici” con lo stesso sistema di procedimento con cui aveva scritto il Grande Libro, ed in seguito “Alcolisti Anonimi diventa Adulta” e la seconda edizione del Grande Libro. Questi tre libri, realizzati tutti negli anni Cinquanta, lo occuparono in rapida successione: il “Dodici e Dodici” fu pubblicato nel 1953, la seconda edizione del Grande Libro nel 1955 e “A.A. diventa Adulta” nel 1957. Scriveva una sezione alla volta, mandandola poi ad amici e editori per avere la loro opinione. Poi, rivedeva il materiale originario tenendo conto dei suggerimenti che gli erano stati dati. Bill ricevette l’aiuto fidato di alcuni A.A. per portare a termine i tre progetti: Betty L. lavorò sul “Dodici e Dodici”; Tom P. sul “Dodici e Dodici” e su “A.A. diventa Adulta”, e Ed B. sulla seconda edizione del Grande Libro. Jack Alexander, giornalista del “Saturday Evening Post”, fu uno degli amici a cui Bill mandò il materiale. Alexander commentò così i saggi sulle Dodici Tradizioni: “Il solo grave difetto (a mio modo di vedere), è che hai trattato troppo concisamente la vecchia ‘Washingtonian Society’; la maggior parte della gente non ne ha mai sentito parlare. (2) “Non dovresti assolutamente preoccuparti per il tuo stile letterario. Sei qualificato più di chiunque altro a parlare il linguaggio di A.A., e io fai magnificamente. Se professionalizzassi il tuo stile, il succo dei messaggio si perderebbe (3) e il libro sarebbe di lettura veloce, simile alla robaccia cromata che i ragazzi con i collettoni della Madison Avenue producono in incredibile quantità e, proprio come quella robaccia, sarebbe ben poco convincente”. Ecco la risposta di Bill ad Alexander: “Oltre alla mia naturale tendenza a procrastinare, ho avuto seri dubbi sul riprendere a scrivere. Gli eventi degli ultimi anni mi hanno tanto abbattuto, che non sono riuscito a produrre più nulla che ne valesse davvero la pena, e così il tuo commento e le tue parole davvero gentili, amico mio, sono state un vero sollievo per me. “Proprio ora sto scrivendo una serie di saggi sui Dodici Passi, che sono comunque leggermente diversi per intensità e tono del discorso. Forse il motivo è che il lavoro sulle Tradizioni riguardava i rapporti oggettivi, mentre quello sui Passi è chiaramente di natura soggettiva”. Jack Alexander scrisse, a proposito del materiale che Bill gli mandò sei mesi dopo: “Il testo dei Dodici Passi è affascinante. Il solo problema dei tuo stile è di natura meccanica: tendi troppo spesso a mettere in risalto frasi e punti dei discorso con l’aiuto di lineette. Ho provato a toglierne alcune, ma poi ci ho rinunciato. Penso che qualcuno dovrebbe rivedere quello che hai scritto, controllando quante lineette possano essere cambiate in semplici virgole e rendendo così la lettura più scorrevole. “Lo stesso revisore potrebbe eliminare molti dei tuoi punti esclamativi, sottraendo così un altro artificio “meccanico” che, agli occhi dei lettori, avrebbe lo stesso impatto che hanno le grida di ‘Al lupo! Al lupo!’, cioè quello di diminuire l’efficacia del discorso a ogni loro ripetizione. “Il testo è altrimenti splendido, dotato di personalità e convinzione. L’ho letto d’un fiato, cosa che non posso dire neppure per ‘Il vecchio e il mare’ di Hemingway”. “Dodici Passi e Dodici Tradizioni” fu pubblicato per la prima volta in due edizioni, una per la distribuzione ai gruppi A.A. e una seconda, che costava cinquanta centesimi in più (2,75 dollari, invece di 2,25), destinata alla vendita nelle librerie e distribuita dalla Harper e Brothers (secondo un accordo con il vecchio amico di A.A., Eugene Exman). A.A. fece un contratto con Harper che permetteva all’Associazione di mantenere il pieno controllo e i diritti d’autore per le due edizioni. Il libro ebbe un successo immediato. In una lettera del 5 ottobre 1953, Bill scrisse: “All’inizio non ero sicuro che qualcuno potesse esserne interessato, a parte gli ‘anziani’, che avevano iniziato a imbattersi in problemi della vita diversi da quello dell’alcol. Ma evidentemente il libro viene utilizzato con successo anche dai nuovi arrivati. Ne abbiamo spedite più di 25.000 copie fino a oggi, e questa è una cifra che parla da sola”. Le continue richieste a Bill da parte dei membri dell’Associazione si andavano placando. Il Quartier Generale funzionava tranquillamente e la Conferenza era sistemata, almeno per il periodo di prova di cinque anni. Bill fu in grado di realizzare moltissime cose in questo periodo. Due anni dopo la pubblicazione del “Dodici e Dodici”, venne pubblicata la seconda edizione del Grande Libro. Ora del 1955, la prima edizione era già stata stampata sedici volte e molte delle storie personali erano poco attuali. A questo punto l’Associazione aveva l’esperienza e il numero di membri sufficienti a includere un maggior numero di storie scritte da donne, da persone che avevano toccato il fondo assoluto e da membri giovani. Per la seconda edizione Bill fece di tutto per includere una storia personale che mancava in modo vistoso nella prima edizione: quella di Bill D., l’“Alcolista Anonimo Numero Tre” (“l’uomo sul letto”) che non aveva mai presentato la sua storia per la prima edizione. Come disse lo stesso Bill D., a quel tempo non era interessato al progetto del libro. Bill D. era uno di quei conservatori che Bill Wilson considerava essenziali per l’Associazione; era uno di quei membri che non si sarebbero lanciati in nuove avventure e che avrebbero sempre protetto l’Associazione dai progetti azzardati, nuovi e qualche volta dannosi escogitati dagli altri membri. Bill D. non condivideva la visione dei futuro di A.A. che aveva Bill Wilson. Non aveva appoggiato l’idea di una Conferenza per i Servizi Generali, anche se si adoperò coscienziosamente, quando i membri della sua zona lo elessero come loro primo delegato. Nei 1952, quando la salute di Bill D. stava deperendo, Bill Wilson lo persuase a registrare la sua storia. Pubblicata nel 1955, in tempo per la Convenzione di Saint Louis, la seconda edizione fu realizzata in modo da mostrare la più ampia tipologia di membri. Fu chiesto a molti di scrivere o registrare la loro storia personale, in modo che potesse essere eventualmente inclusa nella nuova edizione. Le storie, in seguito, furono donate agli archivi. Bill si era assunto la responsabilità di procurare le storie e andava alle riunioni di questo o quel gruppo con il preciso scopo di registrare l’esperienza di bevitore e di recupero di questo o quell’anziano. Poi le storie furono esaminate a fondo. Oltre all’assistenza editoriale di Ed B., Bill si avvalse dell’aiuto di Nell Wing, la sua segretaria non alcolista; ma, come era accaduto per i due libri precedenti, gran parte del lavoro fu svolto dallo stesso Bill. Il testo originale dei primi 11 capitoli, trattando dei princìpi che i primi membri avevano seguito per raggiungere la sobrietà, non fu cambiato nella nuova edizione. Sei storie, oltre a quelle di Bill e dei dottor Bob, furono mantenute dalla prima edizione; furono incluse 30 nuove storie e fu stabilita la divisione in tre parti della sezione dedicata alle storie, divisione presente a tutt’oggi. La stampa della nuova edizione era stata ben programmata: fu infatti alla Seconda Convenzione Internazionale che Bill “sancì” la maturità di A.A.. Nei corso degli anni, Bill aveva utilizzato molteplici esempi e analogie per illustrare la natura del suo rapporto con l’Associazione, ed era ben consapevole che la maturità, per un ragazzo, comporta un cambiamento di ruolo anche per i genitori. Di solito illustrava questo concetto con una semplice parabola, chiamata “Il Caso della Cuoca nei pasticci”: “Supponiamo che un ragazzo di 17 anni metta nei pasticci la cuoca di famiglia. Suo padre ha l’evidente responsabilità di aiutarlo a sistemare la faccenda, anche se la colpa è del ragazzo. Il padre ha il dovere di aiutarlo, perché il ragazzo è minorenne. “Ma supponiamo che il ragazzo abbia già 21 anni e metta la cuoca nei guai. Il padre dovrebbe aiutarlo? Io penso di no. Il padre può dire al figlio, e con ragione: ‘Questa è responsabilità tua e dovrai preoccupartene da solo”’. Con queste parabole, e con il suo stesso comportamento, Bill aveva messo in chiaro il fatto che A.A. doveva assumersi la completa responsabilità dei propri affari. Ora del 1955, anno che sanciva il termine dei cinque anni di prova della Conferenza dei Servizi Generali, Bill era sicuro che i membri della Conferenza avrebbero potuto farsi carico di tutte le questioni riguardanti l’Associazione. Con il consiglio e il consenso di quelli che gli erano intorno, Bill decise di fare della Seconda Convenzione Internazionale l’occasione per annunciare l”’Età Adulta” di A.A. Sembra che Bill, per la prima volta, non abbia incontrato alcuna opposizione al suo progetto di lasciare che A.A. procedesse da sola. La Convenzione si tenne a Saint Louis, altra città situata in posizione centrale. Saint Louis aveva per Bill l’ulteriore vantaggio di essere la città dove risiedeva Padre Dowling, suo sponsor spirituale. Anche altre persone, che erano importanti per Bill, si trovavano alla Convenzione: Ebby era presente in qualità di ospite speciale; la dotto-ressa Emily era giunta da San Diego; i non appartenenti ad A.A., invitati a parlare in quell’occasione, comprendevano non solo Padre Ed, ma il dottor Sam Shoemaker, il dottor Harry Tiebout, Leonard Harrison, Bernard Smith, il dottor W.W. Bauer dell’AMA., lo psichiatra O. Arnold Kilpatrick, il criminologo Austin MacCorimck (tra i due periodi in cui non fu fiduciario), Henry Mielcarek, esperto di personale di enti corporativi, e il dottor Jack Norris. Alla Convenzione di Saint Louis, Bill dedicò gran parte del tempo a dare pieno riconoscimento ai non appartenenti ad A.A. che avevano aiutato l’Associazione nei suoi primi anni di vita. Inoltre si diede da fare per completare, prima dei raduno della Convenzione, un importante scritto destinato all’insieme dei membri dell’Associazione. Intitolato “Perché Alcolisti Anonimi è anonima”, fu pubblicato nei numero di gennaio di “Grapevine” e riflette il pensiero più profondo e maturo di Bill sull’argomento dell’anonimato, in senso letterale e spirituale, e sul significato dell’anonimato come cuore e anima di tutto il meglio di A.A. La Convenzione di Saint Louis durò dai venerdì mattina del giorno i luglio fino al tardo pomeriggio della domenica. I titoli di alcune delle riunioni del fine settimana danno alcune indicazioni di quanto al largo A.A. avesse ormai gettato le sue reti (il numero dei membri era salito a 131.619): “Aiutare gli alcolisti giovani”, “A.A. e l’industria”, “Il collegamento fra gruppo e Quartier generale dei Servizi”, “I figli degli alcolisti”, “Problemi dei circoli A.A.”, “Raggiungere l’alcolista nelle Istituzioni”, “A .A. e la professione medica”, “Problemi degli uffici centrali e di intergruppo”, “Il denaro e la sua posizione in A. A.”, “Come formare un gruppo A.A”. Inoltre, si svolgevano riunioni di A.A. e riunioni dei Gruppi dei familiari di AlAnon (non è nello scopo di questo libro esporre dettagliatamente l’evoluzione di Al-Anon, ma è opportuno osservare che il primo ufficio di servizio di Al-Anon era stato aperto quattro anni prima). Bill tenne tre importanti discorsi. Il primo, il venerdì sera, fu “Come abbiamo imparato a recuperarci”. Il secondo, il sabato sera, fu “Come abbiamo imparato a stare insieme”; il terzo fu “Come abbiamo imparato a servire”. Il pomeriggio di domenica, dalle quattro in poi, era stato riservato per la riunione finale della Conferenza. Fu questa l’occasione in cui Bill affidò l’amministrazione di A.A. alla Conferenza dei Servizi Generali, lasciando la guida ufficiale dell’Associazione e riconoscendola responsabile dei propri affari. In seguito riassunse il fatto in questo modo: “Chiaramente da lì innanzi il mio lavoro sarebbe stato quello di lasciar fare agli altri e a Dio. Alcolisti Anonimi era finalmente al sicuro, anche da me”. A Saint Louis Bill era molto stanco, e si capisce: in quei giorni era stato praticamente ovunque. Ma dopo il 1955, la depressione che l’aveva afflitto per tanto tempo se ne andò e lui riacquistò tutto il suo ottimismo. Due anni dopo, A.A. pubblicò il “diario” che Bill tenne degli• “atti” della Convenzione di Saint Louis. Bill si era dato un gran da fare perché la Convenzione fosse documentata e voleva assicurarsi che nessuno fraintendesse quello che era accaduto a Saint Louis. “Alcolisti Anonimi diventa Adulta” è un capolavoro sotto molti aspetti. Ingannevolmente semplice, nel suo stile tipo “giornale di bordo”, esso è in realtà una storia completa dell’Associazione e della sua collocazione nella società, con intere sezioni dedicate al modo in cui A.A. era vista dalla società nel suo insieme, dagli industriali, dai dottori, dai ministri del culto e dai fiduciari che vivevano in stretto contatto con l’Associazione. Pubblicato nel 1957, è il penultimo libro di Bill. Il suo ultimo libro, pubblicato nei 1967, è “Lo stile di vita di A.A. “,il cui titolo fu cambiato nel 1975 in “Come la vede Bill”. Esso consiste interamente in citazioni tratte da altri scritti di Bill, proposto e edito (con l’approvazione di Bill, parola per parola) da Janet J. Bill rivide alcune parti di proprio pugno, esercitando il diritto dello scrittore di affinare il suo lavoro. La salute di Bill ora era relativamente stabile, ma lo stesso non si poteva dire della sua famiglia e degli amici più cari. Durante i primi anni Cinquanta, Bill mandava a suo padre 100 dollari al mese. Anche le sue sorelle e un nipote della Costa occidentale contribuivano. Bill si adoperava costantemente perché gli anziani Wilson fossero curati al meglio e cercava di trovare una soluzione ai loro numerosi problemi. C’era una fitta corrispondenza fra la Columbia Britannica e New York. A un certo punto aveva esaminato la possibilità che Gilman e Christine tornassero nel Vermont per passai-vi i loro ultimi anni di vita, ma, dato che il trasloco sarebbe costato tutta la loro piccola pensione, il progetto fu abbandonato. Nell’impegno di prendersi cura del padre e della matrigna “a distanza”, Bill ricevette grande assistenza sia dal punto di vista pratico sia psicologico dagli A.A. del Canada. Nei 1953 gli anziani Wilson andarono in visita a Bedford Hills, ma ormai l’arteriosclerosi aveva danneggiato la parola e la memoria di Gilman. Quando tornarono a Marblehead, il vecchio doveva essere continuamente sorvegliato per evitare che “girovagasse per i boschi e si perdesse”. Con l’aiuto dei membri di A.A. di Vancouver, lui e Christine furono trasferiti in un pensionato locale, diretto da un’infermiera in pensione. Poi Gilman fu nuovamente trasferito, questa volta in una casa di cura. Anche a Bedford Hills ci furono guai. Il 24 gennaio 1954 (data significativa per Bill e Lois) Lois, che non era mai stata ammalata, ebbe un attacco di cuore. Il 23 gennaio aveva spaiato la neve dal lungo viale. Il giorno seguente, che era il loro 380 anniversario di matrimonio, era andata in città per incontrarsi con Bill, che si trovava già lì; avevano dei progetti per festeggiare. Un biglietto che Bill aveva scritto a Lois il giorno prima, diceva: “Di fronte a qualsiasi pericolo, sappiamo di essere al sicuro l’uno nelle braccia dell’altro, perché siamo nelle braccia di Dio”. Gli appunti sul diario di Lois riportano quello che accadde quel giorno: “Mentre facevo la spesa avevo un brutto dolore al petto, che mi è durato per circa mezz’ora. Dopo un leggero pranzo sono andata a vedere il film ‘Il deserto che vive’ al Teatro Sutton. Ho sentito di nuovo il dolore, anche lungo il braccio sinistro, e poi molto forte lungo il braccio destro. Sono rimasta seduta fino alla fine del film, pensando che il dolore se ne andasse, ma continuava. Ho preso un taxi fino all’Hotel Bedford, dove c’era un messaggio che pensavo fosse per me, al banco del portiere. Ho telefonato in parecchi posti cercando di trovare Bill; mi sentivo sempre più debole. Ho telefonato dall’atrio. Alla fine, dall’ufficio di A.A., mi hanno detto che Bill era all’albergo. Ho chiamato Leonard, che è arrivato dopo circa mezz’ora e ha chiamato subito il dottor Regnikoff dell’ospedale di New York, oltre a un’ambulanza. Più o meno quando è arrivato Leonard, il dolore era passato. Quando è arrivata l’ambulanza non mi hanno neppure lasciato andare in bagno, ma mi hanno portato, in barella, in una camera privata dell’ospedale di New York. Così tutti gli appuntamenti successivi sono stati annullati”. Lois era convinta che la salute fosse un “problema di carattere morale” e disse di sentirsi vagamente colpevole di essersi ammalata. Risultò essere una paziente modello, sorprendendo tutti (anche sé stessa). Le fu detto di non far nulla per un anno e lei obbedì scrupolosamente, nonostante il periodo di inconsueta inattività che dovette affrontare. Da una lettera di Bill a Padre Dowling, del 3 marzo di quell’anno: “Il bollettino medico su Lois è sempre molto buono. E a casa da circa dieci giorni ed è evidente che si è trattato di un attacco leggero. Guadagna le forze di ora in ora e ha un atteggiamento mentale estremamente positivo riguardo all’intera faccenda; dimostra inoltre ogni intenzione di sottoporsi alle limitazioni che le saranno imposte per i mesi a venire e, in qualche misura, per sempre. Sono contento di lei oltre misura. “Non vedo l’ora di poter fare per lei quello che una volta lei ha fatto per me. Quando stavo male, lei era sempre al mio capezzale per aiutarmi a superare i momenti di crisi. Ora è il suo turno. Lois è stata più della maggior parte delle altre donne, una ‘vedova bianca’ a causa di A.A. Possa Dio perdonarmi per la parte che ho in tutto questo e mi lasci pareggiare i conti”. 1114 febbraio, esattamente tre settimane dopo, Gilman Wilson morì. I membri di A.A. di Vancouver aiutarono Bill a organizzare il servizio funebre dei padre. Le ceneri furono portate a East Dorset, per la sepoltura nei piccolo cimitero dei paese, accanto ai suoi parenti Wilson. Christine sarebbe stata a sua volta sepolta accanto a lui, pur non essendo mai vissuta nel Vermont (mori l’anno seguente, il 6 gennaio 1955). Fu compito di Bill informare sua madre, la donna che tanto tempo prima era stata la moglie di suo padre. Il necrologio di Gilman, che dipingeva la vita piena di colore di un vigoroso individualista, apparve nel “Kootenian” di Kasio, nella Columbia Britannica, giovedì 25 febbraio 1954: “G.B. Wilson, 84 anni: Gilman Barrows Wilson nacque a East Dorset, nei Vermont. Ereditò giovanissimo le vaste cave di marmo di suo padre e ne prese la direzione poco dopo il diploma all’Albany College di New York. Queste cave erano state aperte per la prima volta da suo nonno ed erano le prime a essere avviate in America. Il primo grosso incarico dei Signor Wilson fu quello di fornire il marmo per il monumento ai soldati e ai marinai caduti in guerra, che si trova ancora nella Riverside Drive di New York. In questo periodo realizzò anche i gradini e le scale di marmo che ornano ancora oggi, a centinaia, le case di lusso di New York e Philadelphia. “Fu attirato da alcuni amici nell’edilizia, al tempo delle gare di appalto per la costruzione della metropolitana di Boston. Portò a termine alla perfezione quel trionfo dell’ingegneria che, in seguito, gli fruttò la sovrintendenza dei tunnel di Lackawanna e altri progetti. La sua abilità nel trattare queste operazioni gli richiamò l’attenzione della Compagnia ‘Patch Manifacturing’, che riconobbe in lui un uomo dal promettente futuro. E lui, che aveva ancora nel cuore l’idea del marmo, acconsentì subito a fare un giro degli Stati e delle Province, diventando un conoscitore delle strutture e delle zone di provenienza di molti tipi di marmi e travertino, compresi quelli italiani. Fu durante uno di questi giri esplorativi che arrivò a Kootenay Vailey per trovare pietre commerciabili, e le trovò in un luogo chiamato LeBianc. Una ditta di Montreal sviluppò l’industria nella zona e, più avanti, la vendette al Signor Wilson, che la ribattezzò ‘Marblehead’. Durante quegli anni, in questa località fu estratto molto marmo, che fu utilizzato per la costruzione di svariati edifici, tra i quali spiccano il ‘Great West Life’ di Winnipeg e un teatro di Edmonton. “Agli inizi dell’amministrazione Roosevelt, fu chiamato in Florida per costruire gli archi per la Superstrada sul mare fino a Key West. Il materiale doveva essere asportato dalla locale roccia corallina e il lavoro doveva essere eseguito da veterani che, per avere un’indennità, si erano accampati sul prato della Casa Bianca. I primi 600 veterani erano stati mandati a Matecumbe Key e altri dovevano seguire, non appena si fossero trovati gli alloggi. Ma le cose non andarono così: si scatenò un uragano caraibico e, prima che un treno li potesse raggiungere, più di 450 uomini furono spazzati in mare e annegarono. Per quanto il signor Wilson fosse dotato di un cuore intrepido e di una forza prorompente, questo era più di quanto potesse accettare dalla forza degli elementi. Se ne tornò così alla sua vecchia casa sulle tranquille colline di Marblehead, in semipensionamento. Aveva già venduto la fabbrica e le cave a una ditta di Edmonton. “Quando gli fu chiesto come potesse sopportare la solitudine del Lardeau dopo una carriera tanto attiva, la sua risposta fu: ‘Non ha importanza dove si vive, ma come si vive’. Quando gli fu chiesto quale fosse stata la sua più grande impresa, rispose: ‘Credo sia il fatto che non sono debitore a nessuno di nulla, se non della buona volontà’. Numerosi sono i monumenti e le splendide strutture che stanno oggi a testimonianza della sua opera. Le grandi colonne bianche del Lincoln Memorial, a Washington D.C., sono forse le più note. “Era un uomo di tranquilla dignità, che incoraggiava sempre bonariamente i suoi uomini, che dava una mano ai deboli ed era generoso con i bisognosi. Ripiegò la sua tenda come un arabo e, altrettanto silenziosamente, se ne andò all’alba del 14 febbraio a Vancouver”. Due anni dopo, Bill ebbe un’altra grossa perdita, che io afflisse particolarmente: nei 1956 mori il suo buon amico Mark Whalon. Da una lettera che scrisse a un amico comune, poco dopo essere tornato dal funerale di Mark: “Ero tornato solo da una settimana da un viaggio sulla Costa Occidentale ed ero in uno stato di prostrazione fisica quasi completa. Avevo lasciato ordine in ufficio che non mi recapitassero messaggi per nessun motivo. Eravamo nei rifugio in campagna, vicino a Brewster. Avevo l’urgenza di chiamare in ufficio e così ho telefonato da una casa colonica. Nell mi ha detto che Mark era morto e che tu volevi contattarmi. La cosa mi ha colpito tanto duramente che ho avuto un attacco isterico e ho sentito che non ce l’avrei fatta ad affrontarla. E il giorno dopo mi sentivo esattamente nello stesso modo”. In quel periodo, BilI ricevette una lettera da Caryl Chessman. Il famigerato Chessman era un assassino che era stato condannato e che aveva trascorso 12 anni nei braccio della morte a San Quintino. Questo lungo periodo di tempo in attesa dell’esecuzione era dovuto soprattutto alla sua strabiliante capacità di ottenere rinvii. Il suo caso divenne noto a livello nazionale dopo la pubblicazione della sua autobiografia, “Cella 2455, braccio della morte”. Jack Alexander aveva proposto a Chessman di scrivere a Bill, sentendo che c’era “una stretta somiglianza tra la psicologia criminale e la mente dell’alcolista. Entrambi sono preda di manie di grandezza, pieni di risentimento, sono provocatori e detestano l’autorità; entrambi si autodistruggono inconsciamente, cercando di distruggere gli altri”. Alexander si chiedeva se i criminali potessero “recuperarsi” anch’essi, attraverso una resa simile a quella attuata dagli A.A. Chessman scrisse a Bill: “Mi sono reso conto di non essere stato altro che un pazzo, cinicamente intelligente, aggressivamente distruttivo e a volte violento”. Aveva deciso che, oltre a dispiacersene, poteva fare qualcosa di più per la sua situazione: “Potevo raccontare la mia storia e perorare non la mia causa personale, ma la causa della società intera e di quelli che vengono, inutilmente, a mio giudizio, bollati come criminali e condannati”. Riferendosi al suo libro, che stava per essere pubblicato, disse: “Sono molto speranzoso sull’utilità del suo contributo a uno dei problemi sociali più sconvolgenti”. Bill fu chiaramente commosso dalla lettera di Chessman, sapendo che la sua esecuzione era fissata per il giorno 14 maggio. Nella sua risposta, in data 31 marzo, lodava Chessman per aver sostenuto il concetto che “nessuna sventura personale è tanto schiacciante da non poterne trarre qualcosa di grande e di giusto”. Poi Bill continuava: “Penso che la società cominci solo ora a capire il fatto che le sue nevrosi la stanno lacerando. La società considera ancora le persone come te e come me, mostri pericolosi o malvagi che debbano essere puniti o probabilmente distrutti. Si pensa che questo approccio, del tutto naturale, renderà il mondo un luogo più sicuro per le persone rispettabili ed equilibrate. “Perciò, sarebbe meglio che alcolisti, criminali e persone del genere, i cui sintomi sono violenti e minacciosi, fossero separati come una classe distinta. La società non può ancora identificarsi del tutto con noi. “La società, che almeno in superficie si comporta meglio di noi, non capisce di essere ormai malata quasi quanto noi. Non riesce a pensare di essere distruttivamente nevrotica, né riesce a vederci semplicemente come i prodotti finali, grotteschi e pericolosi, dei suoi stessi difetti”. Poche settimane più tardi, Bill continuava nello stesso modo: “Sono sicuro che la mia identificazione con te i complessi di inferiorità infantili, la nascita di mm senso ribellione, l’impulso implacabile ad acquisire notorietà e potere è abbastanza completa. E questo nonostante il fatto che il mio modo di perseguire quell’obbiettivo assunse, a prescindere dall’alcol, una strada apparentemente più rispettabile. Ma non ho assolutamente alcun dubbio che la deformazione di base sia la stessa. “Come a te, anche a me sembrava di vivere in un mondo insensato e ostile, un mondo dal quale però, con la forza, la furbizia e soprattutto una buona dose di fortuna, si potevano cogliere soddisfazioni e ricompense passeggere. L’amore assillante per la gloria e per noi stessi era irresistibile; non tenevamo in alcun conto le conseguenze e non tolleravamo alcuna opposizione. E persino nei periodi transitori di successo e di estasi, c’era sempre quella domanda tormentosa e senza speranza: ‘Che cosa significa tutto questo, in fin dei conti?”’. Tre giorni prima della sua prevista esecuzione, Chessman scrisse a Bill: “Non posso ringraziarti abbastanza per la tua lettera del 3 maggio, che mi ha aiutato a esaminare il problema cruciale che tu hai enunciato in maniera tanto appropriata: ‘Che cosa significa tutto questo?’. Sinceramente non conosco ancora la risposta, eppure sento di essere un po’ più vicino a una soluzione personale. In ogni caso, ora sono abbastanza preparato a morire e non mi turba o sconvolge quello che venerdì mattina dovrò affrontare. “Mi unisco a te nel credere che sicuramente dev’esserci uno scopo in questo breve periodo di vita che abbiamo. Attribuisco solo alla mia cecità intellettuale o spirituale il fatto di non essere riuscito a capii-lo nella sua totalità, ma di averlo intravisto solo di sfuggita; quelle apparizioni fugaci confermano tuttavia la mia fiducia che dietro la realtà ci sia una verità più grande”. Il 13 maggio, Chessman ricevette un’inattesa sospensione dell’esecuzione. Solo il 2 maggio 1960, sei anni dopo, egli fu giustiziato. La corrispondenza di Chessman con Bill fu comunque troncata: ai carcerati di San Quintino era permesso io scambio di corrispondenza solo con i parenti e gli amici di lunga data e la regola era stata momentaneamente ignorata, a causa dell’imminente esecuzione di Chessman. Fu rispedita indietro persino una copia del “Dodici e Dodici”, che era stata mandata al carcerato. Il direttore di San Quintino rifiutò una richiesta di considerazione particolare e così ebbe fine la corrispondenza di Bill con Caryl Chessman. Chessman non fu la sola celebrità fuori dall’ordinario che incrociò il proprio percorso, per breve tempo, con quello di Bill. Altri furono attratti dalla grandezza della sua personalità, dalla sua capacità di comprendere persone molto diverse tra loro e dalla sua generosità che gli permetteva di identificarsi con loro. - - __________________________ Note al 22° capitolo 1. Bill incorse in grossi debiti personali durante i suoi anni di bevitore. Gran parte di questi debiti era stati direttamente annullati, perdonati, pagati, oppure erano caduti in proscrizione, ma Bill non li aveva dimenticati. C’è una corrispondenza che indica come, nel corso degli anni, Bill abbia continuato a saldare quei vecchi debiti. 2. La Washingtonian Society era un’organizzazione che fiori dal 1840, ma falli rapidamente a causa di alcuni dei suoi metodi. Scrisse Bill: “All’inizio, la Società era composta interamente da alcolisti che cercavano di aiutarsi l’un l’altro. I primi membri avevano previsto che si sarebbero dovuti dedicare a questo solo scopo... Se fossero stati lasciati a loro stessi e vi si fossero dedicati interamente, avrebbero potuto trovare una risposta... L’abolizione dello schiavismo, per esempio, era allora un burrascoso argomento politico. Ben presto gli oratori della Whashingtonian presero parte alla disputa pubblicamente e violentemente.., perdendo completamente efficacia nell’assistenza agli alcolisti”. Bill vedeva la Quinta e la Decima Tradizione come salvaguardia contro il destino della Washingtonian. 3. Herb. M., A.A. e direttore generale del G.S.O., diceva sempre che l’amore di Bill per il “linguaggio altisonante” gli era di gran vantaggio. “Era il linguaggio di due generazioni prima. Il motivo di questo fatto potrebbe risiedere nella grande varietà di livelli culturali presenti in A.A. Penso che sia molto importante, perché rende i suoi discorsi estremamente solenni eppure del tutto comprensibili”. 4. “Perché Alcolisti Anonimi è anonima” è ancora disponibile nell’opuscolo “Come si svilupparono le Tradizioni di A.A.” e in “Alcolisti Anonimi diventa adulta”.