- Sportello Lilith
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IL DRAGO E L’UCCELLO BIANCO: APPUNTI DI STORIA DELLE DONNE IN U.R.S.S. Vera Graziamaria Guida SPI\55 1. Premesse doverose. 1.1 Storia delle donne e genere nella storia: brevi spunti. Gli studi storici di genere si sono fondati sin dall’inizio su due premesse metodologiche: la prima è la diffidenza su ciò che gli uomini hanno scritto delle donne; la seconda è la constatazione che esista un modo specifico di raccontare la storia, come storia politico militare che immediatamente esclude le donne. All’inizio degli anni Settanta nasce perciò una storiografia di donne sulle donne che si interroga su come esse hanno vissuto, su quali sono state le loro occupazioni e i loro ruoli, sul rapporto con le istituzioni e la cultura. Questo tipo di impostazione è stata una premessa indispensabile agli sviluppi successivi, perché è servita a portare alla luce fenomeni che la storiografia tradizionale aveva ignorato o marginalizzato. Alcune studiose hanno spinto la critica oltre la questione della scarsa visibilità, rimettendo in discussione la periodizzazione consueta. Per le donne non c’è Rinascimento, scrive (per esempio) Joan Kelly in Women, History and Theory, pubblicato nel 1984 presso l’Università di Chicago. Bonnie S. Anderson e Judith Zinnser (Le donne in Europa, New York 1988, tradotto da Laterza 1992) hanno rimesso in discussione la PROSPETTIVA DI GENERE periodizzazione tradizionale e hanno inteso la prima di tutto come sostituzione della categoria di tempo, maschile, con quella di spazio, femminile. Le categorie di luogo e di funzione renderebbero più comprensibile la lettura della vicenda delle donne, caratterizzata da anche logiche differenti al suo interno. Dall’adozione delle due categorie risulterebbero anche i tempi specifici e diversi secondo i gruppi sociali e le culture. Le contadine, per esempio, sarebbero più simili tra loro e più simili a se stesse nel tempo, mentre logiche più dinamiche caratterizzerebbero le “donne dei salotti”, le “donne della città” o le “donne della classe operaia”. Gli studi di genere hanno poi conosciuto uno sviluppo, evolvendo verso l’analisi dei rapporti tra gli uomini e le donne e hanno considerato il genere non più “storia delle donne” ma griglia di lettura con cui accostarsi alla storia comune di entrambi. Altre storiche hanno cercato di individuare in una vicenda storica, in cui troppo spesso la donna appare oggetto, il sottilissimo filo rosso della soggettività delle donne. Malgrado la loro natura di oggetto della storia (chi non è artefice della storia, ne subisce le conseguenze) e la costrizione alla passività e alla subalternità, le donne hanno elaborato STRATEGIE DI SOPRAVVIVENZA, si sono infilate nelle brecce aperte dai conflitti tra uomini, hanno utilizzato le loro contraddizioni e la loro ambivalenza per ritagliarsi spazi in cui far vivere la loro esigenza di partecipazione e libertà. Ma la novità autentica degli studi di genere non è quella di aver rivolto l’attenzione alla storia delle donne, cioè alla descrizione, sia pure con diversi criteri interpretativi, ma una più difficile ricerca. Si tratta della ricerca sugli spazi che si sono aperti alle donne nelle strutture patriarcali, sui processi identitari che hanno accompagnato la loro umanizzazione e sulle strategie di sopravvivenza da loro elaborate. In breve la ricerca e costruzione della<<soggettività femminile>>. L’ipotesi sul genere si accompagna alla convinzione che le diverse “storie delle donne” sono state indispensabili per fare emergere il sommerso e guardarlo con pregiudizi positivi, capaci di controbilanciare la misoginia dei resoconti pure numerosi sulla vita e sul ruolo delle donne. Ma anche a un’altra convinzione, cioè che è necessaria una storia universale con la griglia di lettura del genere che renda conto nello stesso tempo delle donne e degli uomini, dei loro conflitti e della contraddittorietà dei loro rapporti.1 1.2 Femminismo liberale, Patriarcato e lotta di classe: visioni contrapposte. Preliminare alla trattazione del caso sovietico e della sua peculiare costruzione della questione femminile, è necessario offrire alcuni elementi sul dibattito femminista che ha caratterizzato l’ Ottocento e il Novecento. Seppur solamente accennato, ritengo opportuno riportare alcuni dei concetti salienti di tale dibattito al fine di poter effettuare una comparazione tra i diversi paesi europei ed all’interno di questi, tra le diverse correnti di pensiero femministe che hanno orientato anche la ricerca storica. Categorizzando tali differenze, potremmo distinguere tre posizioni principali: quella liberale, quella radicale e quella socialista. • Il femminismo liberale è una forma individualistica, basata sulla convinzione che l’ eguaglianza tra uomo e donna sia demandabile solamente alle riforme istituzionali, 1 Appunti di studio per una ricerca sulla storia delle donne, relativa alla redazione di nuovi volumi dei Quaderni Viola. poiché alle radici della subordinazione vi è l’esclusione dai diritti civili. La parità, quindi, può essere raggiunta senza alcuna alterazione delle strutture della società. Storicamente viene definito come << prima ondata>> e si afferma negli ultimi decenni dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Tali riflessioni nascono negli Stati Uniti dal movimento suffragista e si diffondono nei paesi dell’Europa Occidentale. • L’analisi socialista, invece, parte dal testo di Engels del 1884 <<L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato>> 2. Secondo questa analisi la 2 Quest'opera rappresenta la sintesi di studi che Engels e lo stesso Marx condussero sulle prime epoche della storia umana e sugli ordinamenti primitivi a partire dall'analisi di Ancient society scritto nel 1877 dall'avvocato e studioso di etnologia americano Lewis Henry Morgan. Engels riprende lo schema "evoluzionista" tracciato da Morgan sulle epoche fondamentali dello sviluppo umano basate sul progresso della produzione dei mezzi di sussistenza: lo Stato selvaggio (approssimativamente paleolitico), periodo della caccia e della raccolta nel quale non esisteva la proprietà privata, né eccedenze di beni; la Barbarie (neolitico), epoca dell'agricoltura nella quale si produce un'eccedenza di prodotti che permette a una parte della popolazione di dedicarsi all'addomesticamento e all'allevamento, alla tessitura, alla fabbricazione di arnesi e di ceramiche; la Civiltà caratterizzata dallo sviluppo della metallurgia, l'invenzione della scrittura, i primi insediamenti urbani e, nel periodo superiore, la formazione delle classi economiche e la nascita degli stati con i relativi apparati. Engels dimostrò i mutamenti economici e sociali avvenuti nel corso di questo lungo periodo ed individuò, nel passaggio dalla Barbarie alla Civiltà, i meccanismi sociali che furono alla base dell'appropriazione delle ricchezze e del relativo sfruttamento di classe con l'avvento della proprietà privata e, parallelamente, dell'oppressione della donna nella famiglia monogamica. Rispetto all'origine dell'istituzione famigliare, le forme più antiche citate da Engels (Stato selvaggio e primo stadio della Barbarie) riguardano la "famiglia di gruppo" e la "famiglia di coppia" che man mano evolvono verso la famiglia patriarcale monogamica. In queste forme più antiche è riconosciuta la discendenza per via materna e i rapporti ereditari sono matriarcali (madre, figli, fratelli). comunità ad amministrazione di tipo "comunista" il ruolo della donna è centrale: essa è rispettata come madre, domina la casa, vive una condizione di libertà e svolge un ruolo determinante nell'elezione e destituzione dei capi e nelle decisioni assembleari. Il passaggio dalla "famiglia di gruppo" alla "famiglia di coppia" vede un restringimento degli accoppiamenti in direzione della monogamia, determinato originariamente dalle stesse donne (Bachofen) a causa dell'aumento della popolazione, della perdita di spontaneità nei rapporti sessuali, della dissoluzione del "comunismo" antico. Nell'ambito della comunità la coppia passa dalle semplici relazioni sessuali, alla coabitazione presso i parenti materni della donna, l'uomo viene man mano riconosciuto come marito della donna e poi padre dei suoi figli. Engels individua la selezione naturale come forza motrice di queste sempre "più vaste esclusioni dalla comunanza coniugale". Nuove spinte sociali entrarono poi in azione per far emergere una nuova forma familiare: la famiglia patriarcale. Nel Vecchio Mondo l'addomesticamento e l'allevamento crearono ricchezza in eccedenza che dapprima apparteneva alla gens, ma in seguito prese piede la proprietà privata. L'aumento delle ricchezze rafforzò la posizione dell'uomo nella famiglia fino a rovesciare in favore dei suoi figli, l'ordine di successione che prima era matrilineare. La posizione della donna risulta così degradata ed essa assume esclusivamente il ruolo legato alla procreazione. La nuova forma di famiglia fu caratterizzata dalla patria potestas e dalla schiavitù: occorreva infatti nuova forza lavoro che badasse alle proprietà. Motivazioni legate alla nascita della proprietà privata e alla necessità di garantire la trasmissione dei beni paterni ai figli, fecero acquisire definitivamente l'istituto della monogamia, ma, si badi bene, solo per la donna. Il vincolo coniugale poteva essere sciolto soltanto dall'uomo che poteva ripudiare la moglie, le donne erano ridotte a proprietà e completamente subordinate al loro signore. questione femminile è subordinata all’oppressione di classe; perciò, venuta meno la proprietà privata cadranno la struttura monogamica della famiglia e la subordinazione femminile. • Il femminismo radicale. Secondo questo pensiero alle radici della subordinazione della donna non c’è lo sfruttamento economico o l’esclusione dai diritti civili, ma la subordinazione sessuale e riproduttiva, cioè la traduzione della differenza sessuale e riproduttiva in differenza sociale e culturale che impone alle donne un ruolo subordinato: dal sesso-ruolo biologico, al genere-ruolo sociale e culturale. La proposta del femminismo radicale è di rompere la servitù sessuale delle donne con strumenti diversi che vanno dall’incremento dell’uso dei mezzi di contraccezione, alla legalizzazione dell’aborto assistito, al rifiuto dell’eterosessualità come forma unica di rapporto sessuale normale, non deviante. Fatta salva la legittimità di ogni rivendicazione volta a ripristinare una situazione di giustizia là dove sia venuta meno, bisogna osservare che il pensiero femminista, con l’atteggiamento di antagonismo e la logica competitiva nei confronti dell’uomo che lo caratterizza, non può essere spiegato come semplice ricerca di giustizia nei rapporti tra i sessi. 1.3 Femminismo transnazionale e <<ritorno all’Europa>>. Provare a tracciare una storia delle donne in Europa orientale presenta notevoli difficoltà. Ciò è dovuto non tanto all’assenza di studi riguardanti le condizioni di vita delle donne dell’Europa dell’Est, che esistono e presentano caratteri di eccezionale rigorosità; piuttosto, al silenzio pressoché totale nei luoghi istituzionalizzati (e mi riferisco ai dipartimenti di studi sulle donne). I dipartimenti di studi di genere in America del Nord e in Europa sono orientati verso studi transnazionali e rivolti essenzialmente alle problematiche dei paesi excolonie, <<bypassando>> completamente le problematiche presentate dalle realtà post-sovietiche. Interessante è il j’accuse di Denise Roman3, in un articolo tradotto in italiano sulla rivista Samizdat: 3 Denise Roman, nativa di Bucarest e ricercatrice presso il Center for the Study of Women dell’UCLA (University of California, Los Angeles), si occupa prevalentemente di studi delle donne (femminismo transnazionale, teoria femminista), critica postcoloniale e post-strutturalista, studi culturali (identità politica, cultura popolare) e di genere (teoria queer, differenza sessuale), cui ha dedicato una decina di articoli e saggi […]`E giunto il momento che le femministe riconquistino il femminismo transnazionale rendendolo più inclusivo e, di conseguenza, indirizzandolo non solo verso le problematiche del mondo postcoloniale, ma anche verso quelle dell’Europa dell’est, dell’Europa intesa come Unione europea e dell’Europa multiculturale? In altre parole, includendo i problemi di un’Europa che si estende dall’oceano Atlantico ai monti Urali? In caso contrario, di quale femminismo transnazionale stiamo parlando?4 In sintesi, il femminismo transnazionale, erede degli studi post-coloniali, basando le sue categorie sulla decostruzione dell’eurocentrismo e dei suoi sistemi di pensiero opera una vera e propria rimozione di quella area di Europa che, per ragioni storiche e geografiche non ha preso parte alla storia del colonialismo, dell’imperialismo e della schiavitù. Ad oggi, grazie all’allargamento ad est dell’ Unione Europea, non sussistono barriere spaziali all’unificazione del continente europeo e, tuttavia, permane l’atteggiamento, tipicamente eurocentrico di considerare i cittadini ad est del blocco come << europei minori >>, nonostante il fatto che l’ entrata di questi nuovi paesi sposti sensibilmente l’asse di riferimento geopolitico. È quindi, fondamentale che il vivace dibattito postcomunista nei paesi dell’Est sul << ritorno all’ Europa >> non si impantani in un mero ritorno all’eurocentrismo. Ciò potrà avvenire solo se sussisteranno due condizioni: la prima è imputabile direttamente agli studi nati nell’Europa orientale che dovranno orientarsi alla ricerca di una nuova definizione di Europa, più inclusiva e multiculturale e l’altra imputabile agli studi di genere transculturali, che dovranno essere pronti a modificare il tiro, intraprendendo un dialogo con le donne dell’ Europa dell’est ed impegnandosi a non diffondere più una politica collettiva della << colpa europea >> da ovest ad est. pubblicati in svariate riviste e antologie dell’America del nord, della Francia e della Romania. Da diversi anni è membro attivo dell’AWSS (Association of Women in Slavic Studies). Attualmente insegna alla University of California dove si occupa soprattutto degli studi sulle donne dell’Europa dell’est. 4 D. Roman, “Missing in Action. On Eastern European Women and Transnational Feminism”, UCLA Center for the Study of Women’s Newsletter, November 2006. 2. L’alba di un nuovo giorno. Nessuno Stato, nessuna legislazione democratica hanno fatto per la donna la metà di ciò che ha fatto il potere sovietico durante i suoi primi anni di esistenza5 (Lenin) Tra il 1917 e il 1944 l’URSS è un grande laboratorio di sperimentazione sociale; i mutamenti nella condizione delle donne ne sono l’emblema. È opportuno al fine di comprendere i cambiamenti operati dalla rivoluzione del 1917, presentare, seppur brevemente la situazione pre-rivoluzionaria. L’impero zarista è un’autocrazia dove la servitù della gleba è abolita solo nel 1861 e dove le prime elezioni vengono organizzate nel 1906. L’opposizione al regime conservatore conosce una rapida radicalizzazione e l’intera questione femminile si inserisce da subito in un contesto più ampio di richiesta di diritti. Tra il 1905 e il 1908, infatti, il movimento femminista si mobilita, inutilmente, per il diritto al voto delle donne. Del resto, l’organizzazione sociale in Russia, ad inizio novecento, è essenzialmente rurale, con l’ 80% di persone che appartengono alla classe contadina, con un esile strato colto ed occidentalizzato ed una classe borghese in fase embrionale. Quando nel 1914 scoppia la prima guerra mondiale, dieci milioni di uomini vengono mobilitati e le donne prendono il loro posto nelle fabbriche e soprattutto, nei campi, tanto da occupare il 72% dell’intera forza lavoro. Nel 1916, la guerra, impopolare, s’impantana. Già un anno prima erano scoppiate sommosse e scioperi a causa della condizione di estrema povertà in cui versava la gran parte della popolazione. E la stessa rivoluzione del 1917 vede protagoniste le donne. Infatti, il 23 febbraio 1917, giorno della donna, accompagnate dalla richiesta <<pace e pane>> novantamila donne unite improvvisano lo sciopero, laddove i socialisti non erano riusciti a compattarsi. Un grande giorno. Il primo giorno della rivoluzione è la giornata della donna, il giorno dell’Internazionale delle lavoratrici. Onore alla donna!6 5 A. Pierre, Les femmes en Union Soviètique, Paris 1960, p.15 Cit. La Pravda in L. Cirillo, I Quaderni Viola n.5 Lettera alle Romane: Sussidiario per una scuola dell’obbligo di femminismo, 2001, Ed. Il Dito e la Luna, p.45. 6 All’indomani dello sciopero, gli uomini si organizzano e il 2 marzo costringono lo zar ad abdicare. Già nel luglio del 1917 le donne ottengono i primi successi, diventando, con largo anticipo su molti dei paesi dell’Europa occidentale, elettrici. La mobilitazione per quanto inattesa è legata a cambiamenti dell’esistenza femminile: la prima guerra mondiale che aveva moltiplicato il numero di donne lavoratrici aveva lasciato sull’immaginario collettivo un segno più imponente di quanto non avessero fatto le dichiarazioni di parità pronunciate sino a quel momento. La guerra civile, che vedrà le forze bolsceviche vincenti, registra, sin dagli albori, una sostanziale fusione delle richieste delle donne nel movimento rivoluzionario. Tanto che nel dicembre del 1917 le pratiche per il divorzio vengono facilitate a tal punto, che basta esprimere un tacito assenso dinnanzi al tribunale per sciogliere il vincolo matrimoniale. Contemporaneamente viene cancellato il matrimonio religioso ed equiparati i figli legittimi ed illegittimi. Nel 1918 viene emanato il nuovo codice di famiglia, che recepisce i due decreti e sopprime la nozione di colpa e la potestà maritale. Vengono creati piani per rendere collettivi i lavori domestici e per costruire una vasta rete di servizi sociali. Tutto passerà per lo Zags (ufficio di stato civile). Nel 1920 viene depenalizzato l’aborto e con l’emanazione del nuovo codice di famiglia, nel 1926, vengono equiparate le coppie di fatto al matrimonio civile e le procedure di divorzio vengono ulteriormente snellite, tanto da richiedere un semplice atto unilaterale per renderlo effettivo: il divorzio cartolina. Il nuovo codice di famiglia è uno strumento di affrancazione per le donne ed allo stesso tempo mostra tutta la sua aggressività nel tentativo di smantellare una società (fortemente contadina) che è ancora connotata da elementi di estremo conservatorismo. Tutte le riforme, rispondono all’esigenza di distruggere lo zarismo per costruire il socialismo. Non desta quindi stupore l’attacco diretto alla famiglia borghesemente concepita, ovvero quale luogo che perpetua lo sfruttamento della donna e finalizzata alla (ri)produzione. Ne consegue che, abbattuta la struttura economica capitalistica, verrà meno ipso facto qualsiasi <<questione femminile>>. Per accelerare il processo di integrazione femminile, nel 1919 viene creato lo Zenotdel (sezione femminile del Comitato centrale). Lo Z. consiglia e regolamenta i conflitti professionali e domestici, promuove leggi e si associa a campagne di alfabetizzazione, lotta contro la prostituzione e vigila sull’applicazione delle quote a favore delle donne nelle assunzioni e nei soviet. Tuttavia, esso è molto di più: una vera e propria scuola di cittadinanza per la quale passano circa dieci milioni di donne che seguono corsi di formazione e collaborano con i soviet o i tribunali prima di tornare ai loro lavori. Nel 1930 viene però accusato di deviazionismo femminista e soppresso. Ogni lotta puramente femminista è borghese e di ostacolo alla rivoluzione. 3. Il drago e l’uccello bianco: la rivoluzione tradita. 3.1 La situazione economico-sociale nell’U.R.S.S. all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre. Nel 1921 la situazione economica è drammatica. Quando anche i marinai del Kronstadt insorgono, Lenin fa adottare al X congresso del partito la NEP (Nuova Politica Economica). Vengono reintrodotti il piccolo commercio e l’artigianato, anche se rimangono nazionalizzati i settori di base: industrie pesanti, trasporti, commercio estero, educazione, sanità e la stampa. Ricompare il salario differenziato secondo le competenze ed il tipo di lavoro svolto e il rifornimento alimentare delle città migliora, pur restando precario e poco variato. La giustapposizione di due settori economici ineguali – piccolo commercio privato e tutto il resto nazionalizzato – traduce bene la dualità del potere: da una lato rispondere ai bisogni (e i desideri) della società, dall’altro realizzare il socialismo. Le donne, una volta di più, risentono del clima politico tormentato. Infatti, a causa della loro sottoqualificazione e della smobilitazione degli uomini, nel 1928, rappresentavano solamente il 24% degli operai e degli impiegati , contro il 40% del 1914. Anche la loro partecipazione politica è scarsa e se nelle città votano il 42,9% delle donne, nelle campagne le percentuali cadono drasticamente a raggiungere il 28%. Solamente nel 1934 si raggiungerà l’89% nelle città e l’80% nelle aree urbane. Invece, sempre nel 1926, le donne delegate dei soviet cittadini raggiungono il 18,2% contro il 9,9% dei soviet rurali. La NEP, già vista come un tradimento da molti, non riesce comunque a stabilizzare la situazione economica tanto che i disoccupati passano da 700.000 nel 1924 a 2 milioni nel 1927. Per dinamizzare l’industria il potere sopprime il settore privato e lancia il I Piano quinquennale che prevede un’industrializzazione portata avanti a ritmi sostenuti, una serie ininterrotta di buoni raccolti ed un commercio estero stabile. Viene ristabilito il razionamento e di fronte all’opposizione dei contadini viene intensificata la repressione. La normalizzazione dura sino al 1935, mentre l’inflazione galoppante si assesterà solo nel 1945. Ad ogni modo, l’U.R.S.S. uscirà dal regime di autarchia solamente nel 1960. 3.2 Libertà e disordine. Conseguenza diretta del disordine politico e della grave situazione economica in cui versa l’U.R.S.S. all’indomani della rivoluzione d’ottobre sono gli enormi fenomeni migratori che portano milioni di persone dalle campagne alla città. I <<nomadi>> vivono ai margini della legalità. Contestualmente, infatti, nidi di infanzia, pensionati, mense vengono ridotti in nome del risanamento economico. L’ideologia ha la meglio su qualsiasi priorità: per desiderio di rompere con i codici borghesi ed ostentare atteggiamenti plebei, la brutalità diventa virtù. Prostituzione e malattie veneree fanno la loro ricomparsa. L’atteggiamento del potere rispetto a questi fenomeni rimane ambiguo ed oscilla tra il considerare queste donne vittime ed elementi antisociali da rieducare. Del resto, le conquiste delle donne sovietiche sono state immediate ed amplissime (soprattutto comparandole alla situazione dei diritti delle donne nei paesi europei e negli Stati Uniti). Ciò che resta da realizzare è l’apprendistato dei diritti e la realizzazione concreta di un nuovo modo di vita. L’instabilità maritale e il rifiuto massiccio dei figli sono due tratti costitutivi del tempo. Gli aborti aumentano in modo vertiginoso così come gli infanticidi. La stessa procedura di divorzio semplificata all’inverosimile (divorzio cartolina) pensata per <<emancipare>> le donne da relazioni opprimenti è in realtà un’arma a doppio taglio; così come l’equiparazione dei matrimoni di fatto a quelli istituzionalizzati, pensati per tutelare le stesse da relazioni effimere e per costringere l’uomo a provvedere alle necessità delle loro compagne e di eventuali figli, dà adito agli atteggiamenti più cinici. Si fa ricadere sull’uomo la responsabilità del mantenimento economico della famiglia. Tuttavia, la legge è lacunosa e la giurisprudenza incerta. Non viene indicato l’ammontare degli assegni familiari, la cui determinazione viene demandata ai tribunali a seconda dei singoli casi. Spesso l’ammontare viene stabilito ad un terzo del salario mensile: ma come sopravvivere prelevando 10 rubli da un salario mensile di 40, soprattutto, quando, bisognava mantenere già la famiglia legittima? Di conseguenza, nella stragrande maggioranza dei casi le sentenze rimangono senza effetto, mentre aumentano i casi di uxoricidi. Esplicativo dei costumi nell’era della NEP è il film di Abram Room << Tre in un sottosuolo>> che ripropone il triangolo amoroso marito-moglie-amante costretti a condividere lo stesso tetto. Lo stesso Codice del 1926 solleva resistenze e origina storture ed atteggiamenti perversi. La composizione sociale è ancora fortemente contadina e, nonostante le campagne educative, l’informazione stenta a decollare. Mossi da voci incontrollabili, i contadini credono che il codice instauri la comunanza obbligatoria delle donne. Contemporaneamente, il Codice del 1922 ha rafforzato l’organizzazione comunitaria del villaggio, il mir, conservando la proprietà familiare indivisa, il dvor. Il divorzio di un membro del dvor e il pagamento dell’assegno alimentare provocano la spartizione del dvor, difficile da realizzarsi e fatale per la produttività. Di conseguenza, i contadini ripiegano sui loro valori mostrando resistenze verso qualsiasi tipo di novità. La stessa iconografia della donna di questi anni è ambigua: essa rappresenta contemporaneamente l’avanguardia e la retroguardia della rivoluzione. Talvolta rappresentata come operaia d’assalto col fazzoletto rosso, altre come la contadina retrograda con il fazzoletto bianco sugli occhi. Ragazza disinibita e libera del Komsomol 7 e segretaria frivola e civetta. La dissolutezza delle città e il conservatorismo delle campagne preoccupa e mina la stabilità sociale dell’Unione Sovietica. Ed è così, che già nel 1926 appare chiaro che la famiglia sopravviverà. In nome del risanamento dell’economia vengono sacrificati i servizi e la cura dei figli e della casa torna sulle spalle delle donne. Ed infine con la soppressione dello Zenodtel nel 1930, la questione femminile viene considerata risolta. 3.3 La rivoluzione tradita: quando le donne persero la libertà. Il repentino cambio di direzione rispetto ai rapporti tra i generi ed ai diritti fondamentali acquisiti quasi automaticamente ha varie motivazioni. Nel 1936 l’aborto fu proibito per la prima gravidanza e nel 1944 fu proibito del tutto. Stalin scrive sul giornale <<Trud>>8: 7 8 Gioventù comunista. Cit. in Duby G. e Perrot M., Storia delle donne. Il Novecento, Ed. Laterza, 2001. L’aborto che distrugge la vita è inammissibile nel nostro paese. La donna sovietica ha gli stessi diritti dell’uomo, ciò però non la esime dal grande e nobile dovere datole dalla natura: la donna è madre, dà la vita. È curioso notare quanto la maternità venga esaltata con le stesse dinamiche dei paesi europei dove fascismo e nazismo sono al potere. Viene infatti creato il titolo di <<Madre eroica>>, con più di dieci figli e l’ordine della <<Gloria Materna>> (da sette a nove figli). Contestualmente torna in vigore la vecchia legge zarista che puniva l’omosessualità con otto anni di carcere. I comportamenti libertini che avevano caratterizzato l’era rivoluzionaria sono cancellati con un colpo di spugna, senza che fosse necessario alcun colpo di stato. Una nuova comunità di gente era nata: il popolo Sovietico, gente senza sesso o carne, posseduta dall’unica idea di costruire il comunismo.9 Le pratiche per il divorzio furono rese più complicate e svanì anche l’equiparazione tra matrimonio e coppie di fatto. La virata controrivoluzionaria fu additata dalle forze conservatrici degli altri paesi europei come la lezione lampante per quanti credevano che fosse possibile sovvertire lo status quo. Le cause del repentino cambio di rotta sono molteplici ed ampiamente dibattute dalla storiografia. Sicuramente un ruolo importante, come già specificato nei paragrafi precedenti lo ebbero la composizione sociale dell’ U.R.S.S., fatto per la maggioranza di contadini refrattari ad ogni innovazione. La guerra e le carestie avevano creato un problema di denatalità che minava profondamente le mire espansive dell’ “impero” sovietico. Tuttavia, queste ragioni spiegano solo la dinamica degli eventi, ma non spiegano le spiegazioni soggettive, tanto più che non è possibile rintracciare alcun nesso tra le difficoltà dell’U.R.S.S. post-rivoluzionario e la criminalizzazione dell’omosessualità o l’eliminazione dell’educazione mista. Interessante, seppur parziale, è la spiegazione che fornisce Lidia Cirillo. Tale riflessione punta sulla costruzione e successiva decostruzione della soggettività politica femminile. Ad un certo punto della storia, la soggettività politica nata con la Rivoluzione d’Ottobre cessa d’esistere e viene sostituita da un’ altra, completamente diversa, che però si nutre degli stessi simboli e dello stesso linguaggio. 9 Cit. in Shirin R., Pilkington H., Phizacklea A., Women in the face of change, Routledge, 1992, p. 197. Il primo soggetto è una combinazione di intellettuali aspiranti all’universalizzazione della razionalità ed un proletariato strutturato e capace di autorganizzarsi. Alla fine degli anni trenta questo soggetto è sparito. Innanzitutto, non esiste più quella classe operaia che aveva fatto la rivoluzione: distrutta dalla crisi economica e dalla guerra civile che aveva portato nuovamente la Russia ad un’economia di sussistenza. Inoltre, due terzi del gruppo dirigente leninista era stato cancellato dalla repressione interna al partito. La nuova classe dirigente non ha conosciuto la clandestinità e l’esilio, spesso si è avvicinata al partito perché esso rappresenta l’unico canale di ascesa nella società russa e si fa carriera con il conformismo, la fedeltà e le conoscenze giuste. Con una classe dirigente incompetente, i soviet sono tutt’altro che le forme proprie dell’autorganizzazione operaia. Il gruppo dirigente leninista, malcomprendendo le dinamiche sociali che si sarebbero sviluppate dalla statizzazione dell’economia, contribuì esso stesso a creare le condizioni favorevoli per l’affermazione del secondo soggetto con una repressione e con delle misure antidemocratiche, che si spiegano ma non giustificano con i rischi gravissimi di un naufragio della giovane Unione Sovietica. 4. Che fare? 4.1 La Guerra Fredda ed il Disgelo. Durante la seconda guerra mondiale, come accennato nei paragrafi precedenti, le donne danno il cambio agli uomini, ritornando con forza sulla scena economica e sociale dell’ U.R.S.S. . Tuttavia, come già successo nel precedente periodo post conflitto, avviene una prepotente smobilitazione che fa retrocedere le donne anche dal palcoscenico della politica10. La Guerra Fredda e la lenta ricostruzione del paese distrutto dalla guerra avvengono in un clima di rinnovato terrore. L’U.R.S.S. si isola e con un decreto del 1947 viene vietato qualsiasi matrimonio con stranieri. Nel marzo del 1953, la morte di Stalin interrompe il nuovo ciclo di violenza. Con il disgelo degli anni cinquanta il potere si rimette all’ascolto della società e nel 1955 viene nuovamente autorizzato l’aborto senza alcuna restrizione. Nel 1965, invece, 10 Nel 1950, le donne non occupano più del 47% delle mansioni. Le donne direttrici di kolchoz e di sovchoz occupano rispettivamente il 2,6% nel 1940; il 14,2% nel 1943; il 2% nel 1962 e l’1,5% nel 1975. viene approvata una legge che semplifica il divorzio riducendone i costi. Nel 1968, il nuovo codice di famiglia specifica che il divorzio è possibile presso lo Zags laddove non vi sia prole. Il Disgelo cancella dunque il periodo del terrore staliniano, tentando una sintesi del passato e ponendosi in medio tra gli eccessi libertari del codice del 1926 e il rigorismo di quello del 1936. 4.2 Perestroika e crescita dei movimenti femministi. Valentina Kostantinova in un saggio pubblicato nel volume <<Women in the face of change>> analizza la situazione dei movimenti sociali all’indomani della perestroika. Individua i diversi fattori che contribuiscono all’emergere di nuove strutture indipendenti rispetto ai partiti come la perdita di credibilità dell’ideologia comunista e dei suoi apparati; l’alienazione dei cittadini nei confronti di uno Stato che ha umiliato ogni manifestazione della società civile; la possibilità di far rientrare nel dibattito argomenti taciuti. Questa analisi però non trova piena corrispondenza se esaminiamo i movimenti di donne. L’interesse per le lotte delle donne rimane basso nella società post-sovietica. Secondo la K. permane nella società un modo totalitarista di pensare ed un sistema di valori patriarcale supportato dai valori ortodossi che permeano l’intera società. Inoltre, la seconda ondata femminista (femminismo radicale), diffusasi in Europa occidentale e negli U.S.A. aveva subito la condanna netta dal mondo accademico sovietico, che l’aveva sbrigativamente etichettata come <<borghese>> durante gli anni di Breznev. Ad ogni modo, è possibile rappresentare il panorama delle diverse realtà di donne e distinguerli in istituzionali e movimentiste. Nel 1986 vengono ricostituiti i Consigli delle donne con statuti altamente ideologici e ricalcanti il linguaggio burocratico. Tali consigli si diffondono in tutte le regioni dell’<<impero>> sovietico. I Consigli si pongono tra i loro obiettivi quello di promuovere l’apporto delle donne alla causa comunista e di unire tutte le donne sovietiche. Nella metà degli anni ottanta vi sono 240.000 Consigli imposti dall’alto e in maniera non democratica (scelti cioè per coptazione dalla dirigenza delle imprese, dei sindacati o dei partiti). Per quanto riguarda la rappresentanza delle donne a livello istituzionale, viene creato il Comitato sugli Affari femminili, sulla Famiglia e sulle Politiche democratiche, costituito da 69 membri (39 uomini e 30 donne). Le politiche portate avanti sono concentrate più sull’esecuzione dei programmi statali di sviluppo che sui concreti bisogni delle donne come l’incapacità per molte donne di avere accesso alle risorse alimentari o al miglioramento delle condizioni lavorative o ancora di sostegno per le madri lavoratrici. Ad ogni modo crescono le realtà di donne e la richiesta di democrazia. Uno degli slogan, infatti, è <<una democrazia senza donne non è una democrazia>>. Per quanto riguarda i movimenti femministi, negli anni ottanta si contavano non più di tre gruppi a Mosca e a San Pietroburgo, composti perlopiù da scienziate sociali, ricercatrici e giornaliste. Alcune di loro, nel 1980 sono costrette all’ esilio per via della pubblicazione di un feroce almanacco titolato <<Le donne in Russia>>. Ciò che accomuna i diversi movimenti presenti in U.R.S.S. in questo periodo è la mancanza di una riflessione teorica propria, che non sia mutuata dal femminismo occidentale europeo e statunitense e che elabori in qualche modo gli oltre settant’anni di potere sovietico. 4.3 Sfera privata e sfera pubblica: ipotesi di un bilancio. Provare a tracciare un bilancio di più di settanta anni di potere sovietico non è del tutto semplice e mal si presta a facili generalizzazioni. Proverò a fornire alcuni spunti di riflessione. Rispetto alle donne europee ed americane la donna sovietica appare più attiva. Abituata a ragionare in termini di eguaglianza, partecipa alla vita economica del paese e si sente utile alla società. Del tutto assente sino alla caduta del blocco sono immagini degradanti della sua figura (la pornografia è infatti un fenomeno recentissimo). Sebbene ottime le premesse, le condizioni materiali di vita rendono vane molte di queste conquiste. La vita quotidiana è resa pesante dalla mancanza di supporti sociali e tecnologici (mi riferisco agli elettrodomestici, che tanto hanno fatto per la liberazione del tempo delle donne occidentali). Tutto ciò rende le relazioni tra i generi poveri e frustranti. Inoltre, senza pianificazione familiare e contraccezione accessibile, l’aborto diventa la normalità. Più articolata è la situazione pubblica. Se consideriamo il lavoro e l’educazione come oggetto dell’analisi la donna sovietica ci appare come donna emancipata. Nel 1989 il 92% di donne attive studiano o lavorano a confronto con il dato del secolo precedente dove l’86,3% era analfabeta. Le campagne di alfabetizzazione lanciate nel 1920, ribaltano in meno di sessanta anni questa situazione. Le donne costituiscono all’indomani del crollo del blocco, il 50,6% sul totale dei lavoratori a dispetto del 38,9% del 1940. Esse sono sovrarappresentate in alcune branche come ad esempio, quella dei medici, insegnanti ed addetti alle vendite. Vi è una concentrazione femminile nei settori mal pagati o nei mestieri non qualificati che possono quindi essere abbandonati senza alcun danno per la gravidanza. Le donne eseguono ma non dirigono. Scarsa è infatti la percentuale di occupate nei posti direttivi. Così come deprimente è la presenza in politica in posti dirigenziali. Le donne ci sono ma rimangono alla base della piramide. Tra il 1924 e il 1939 troviamo solamente quattro donne nel Comitato Centrale. Analogamente il Soviet supremo, dove la percentuale delle donne passa dal 33%nel 1984 al 18,5% dopo le elezioni di marzo 1989, non ha alcun potere effettivo. Il potere è tutto concentrato nel Politbjuro e nella Segreteria. Solo una donna entra a far parte del P. nel 1956 per tre anni e per vederne ancora un’altra bisognerà aspettare il 1988. Quanto al Governo, dopo la presenza della Kollontaj nel 1918, solamente dopo quasi trenta anni una donna accederà ad un ministero. Ed anche successivamente al 1954 le donne accederanno ai ministeri <<tradizionali>>: Cultura, Sanità ed Educazione. Si può dire avverato quanto temuto dalla Kollontaj, ovvero che, in assenza di una totale ridefinizione dei ruoli, l’emancipazione economica è un’illusione, poiché propone un modello maschile senza abolire il fardello femminile. A fronte di diritti <<calati>> ideologicamente dall’alto la società risponde a singhiozzi. Nel 1980, quando alcune femministe di Leningrado pubblicano due violenti almanacchi antimaschili, vengono costrette all’esilio. Questo è il primo “vagito” di un neonato movimento femminista che non reclama diritti da conquistare. Esso si basa sul rifiuto totale degli uomini in quanto origine di tutti i mali delle donne e sulla richiesta di un diverso approccio relazionale tra i sessi, fatto di stabilità, rispetto e amore. Il periodo della stagnazione brezneviana, caratterizzato da corruzione cavalcante accelera la decomposizione della società. Del resto, la stessa perestrojka e glasnost che tante speranze avevano sollevato hanno obliato completamente la questione femminile. La Russia ha compiuto una rivoluzione e si ritrova mutatis mutandis, al punto di partenza: la questione femminile, che ossessionava i rivoluzionari del secolo scorso, è più che mai attuale.11 BIOGRAFIA. 1. Cirillo Lidia, Quaderni Viola, Lettera alle Romane: Sussidiario per una scuola dell’obbligo femminista, Ed. Il Dito e la Luna, Milano, 2001. 2. Duby Georges e Pierrot Micelle, Storia delle donne: il Novecento, Ed. Laterza, Bari, 2001 (Terza Edizione). 3. Browning Genia K., Women & Politics in the U.R.S.S., Ed. St. Martin’s Press, New York, 1987. 4. Alpern Engel Barbara e Posadskaya-Vanderbeck Anastasia, A revolution of their own: Voices of women in Soviet History, Westview Press, Boulder, 1998. 5. Rai Shirin, Pilkington Hilary e PhizackleaAnnie, Women in the face of change, Ed. Routledge, New York, 1992. SITOGRAFIA: www.marxists.org 11 Cit. in Duby G. e Perrot M., Storia delle donne. Il Novecento, Ed. Laterza, 2001, p. 297.