Mai più attacchi con l`acido: l`appello delle vittime al Consiglio per i

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Mai più attacchi con l`acido: l`appello delle vittime al Consiglio per i
DIVORZIO ALLA MAROCCHINA
Tasselli dell'universo femminile del Marocco. Un paese che viaggia ad alta velocita' tra
modernita' e tradizione.
Zakia ha trent’anni ed una bimba di otto mesi. Da due, è tornata a vivere da sua madre
perché ha divorziato dal marito. Negli ultimi tempi non ha fatto altro che sostenerlo
nell’apertura di una scuola privata, in cui lavorava anche lei, ma senza stipendio. Quando
si è cercata un altro lavoro, retribuito, lui ha chiesto il divorzio. Zakia non fa i salti di gioia,
ma dice che il divorzio le ha fatto aprire gli occhi: “Non volevo che mio marito fosse il mio
capo, dentro e fuori casa. Volevo essere indipendente, mentre invece lui mi voleva sempre
al suo servizio, e per di più senza pagarmi neanche!”. Questa giovane minuta dal velo
sempre colorato, che somiglia ad una vecchina dall’aria elegante, racconta la sua
relazione con piglio tenace ed un francese perfetto: “ha sempre contato su di me come se
fossi sua madre. Quando ho capito che era ora di finirla, lui mi ha lasciato. Ma è stato
meglio così, anche se è dura affrontare il divorzio, soprattutto quando “gli altri” parlano
male di te, considerandoti un’inutile, una rifiutata”. Per fortuna oggi Zakia svolge un lavoro
che le piace- è assistente presso un centro di ricerca- e ciò le permette di andare avanti in
maniera indipendente senza ascoltare i giudizi altrui. Sta pensando di fare un master in
Relazioni Mediterranee e spera di migrare in Canada un giorno.
Anche Najia, trent’anni e una voglia matta di viaggiare, ha un matrimonio alle spalle.
Coordina un’Ong marocchina che si occupa di diritti dell’infanzia e non sta ferma un
momento. Ha girato mezzo mondo per incontrare i suoi partners di lavoro ed ogni giorno
resta in ufficio fino a tardi perché non riesce a lasciare “le cose in sospeso”, mi dice
scuotendo la sua chioma riccia. Jeans e tacchi alti, guida come una matta per le strade di
Rabat con lo stereo che le fa sempre compagnia. E’ stata tra le prime marocchine a
chiedere il divorzio e ricorda quell’esperienza come dura, ma necessaria: ”Non è stato
semplice portare avanti la pratica, soprattutto perché all’inizio i giudici non sapevano come
applicare la nuova legge. Ho dovuto un po’ insistere, perché la prima cosa che hanno fatto
è stata quella di tentare una riconciliazione, ma non ho voluto. Amo la mia indipendenza e
non vi rinuncerei per nulla al mondo”.
Aicha, 24 anni ed una bellezza disarmante, porta un velo lungo fino ai piedi, ma la fascia
leopardata che le copre la frangetta tradisce il suo apparente senso del pudore.
C’incontriamo nella sala d’aspetto dell’Associazione contro la violenza sulle donne di
Casablanca (www.amvef.org). E’ qui per denunciare il marito che le vieta di uscire da sola,
di guardare la tv e di aprire persino le finestre: “non vuole che nessuno mi veda.
Nemmeno i vicini. Dice che non sta bene” . E’ ancora una bambina Aicha, eppure sembra
stanca da una vita. Mentre racconta la sua storia alle volontarie dell’Associazione, sua
madre -poco più di 40 anni- mi dice dell’ intenzione di Aicha di chiedere il divorzio: “Non
sappiamo come andrà, ma è ora che si rifaccia una vita”.
Tre esempi di donne. Tre tasselli dell’universo femminile del Marocco. Un universo
multicolore in un paese che viaggia ad altissima velocità tra la sempre più ambita
“modernità”, che passa anche per l’accoglimento di alcune rivendicazioni femministe e
femminili, e una moderata -quanto fondamentale per l’identità nazionale- “tradizione”,
imperniata sul pilastro di un patriarcato machista e conservatore. Un patriarcato molto
forte perché legittimato dall’uso dell’Islam ufficiale [Malikita]. Un patriarcato che nonostante
le recenti riforme messe in atto dalla Monarchia a favore delle donne [da ultimo quella del
Codice di Famiglia e sullo Statuto Personale che scoraggia il ripudio, abolisce
l’obbedienza al marito e legittima il divorzio femminile], considera ancora le divorziate –
soprattutto delle classi sociale più popolari- come “rifiutate” da mettere al margine. Il valore
del matrimonio si conserva centrale, nonostante l’impennata dei divorzi che dal 2004
[anno della riforma del Codice di Famiglia] testimoniano il costante aumento dell’esigenza
d’indipendenza femminile. Se il matrimonio è centrale perché nucleo della famiglia, questa
è a sua volta il pilastro della comunità dei cittadini-credenti [‘umma] e dunque della stabilità
sociale. In tale contesto, la percezione della donna, e troppo spesso anche del proprio séfemminile, è veicolata da famiglia e vicinato, produttori e riproduttori di un immaginario in
cui essa è innanzitutto madre, sposa, sorella, e poi (e quindi) se stessa. Un immaginario
da cinema in bianco e nero. Un cinema in bianco e nero, ma con poltrone high-tech, se si
considerano i passi da gigante che il Paese sta compiendo in tema di riforme soprattutto
economiche ed in campo teconolgico-industriale (dal potenziamento della rete
autostradale e dei trasporti urbani, con i tecnologici tram a impatto zero che l’anno
prossimo sfileranno tra le vie di Rabat e Casablanca, al costante sfruttamento dei fosfati
nel Sud, agli ininterrotti lavori d’estrazione d’oro nelle mine del Medio Atlante). Riforme che
ancora non rispecchiano, tuttavia, quel radicale cambiamento di mentalità auspicato dalle
femministe, laiche ed islamiche, che allo sviluppo economico intendono accompagnare
quello umano, dei diritti e libertà individuali.
Insomma, nel paese che in tutto in Nord Africa resiste meglio alla crisi finanziaria [a dire
degli operatori economici] e dove, in occasione della recente festa del trono del Re
Maometto VI [1999], alcuni media anche internazionali hanno parlato della “rivoluzione
morbida” in atto, forse male non farebbe ai policy makers di tutti gli schieramenti
concentrarsi un po’ di più su una “liberalizzazione” del tessuto sociale che sappia partire
dai diritti. E soprattutto dalle donne: cartina di tornasole del progresso, quello vero.
*Sara Borrillo e’ una ricercatrice italiana. Vive in Marocco da diversi anni.
Articolo pubblicato sul sito www.nena-news.com