fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194

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fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194
VERSIONE PROVVISORIA
“ … fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194”
(ART. 14, 1 co., Legge 19 febbraio 2004, n. 40)
Appunti su un inciso alquanto controverso
Franca Meola
SOMMARIO: § 1. Premessa. § 2. La portata dell’inciso de quo nell’interpretazione offerta da una discussa pronuncia del
Tribunale di Catania § 3. Sull’infondatezza della paventata ipotesi di un’abrogazione della L. n. 194 del 1978 da parte della
L. 40 del 2004 a fronte della sua qualificazione come legge “a contento costituzionalmente vincolato”: considerazioni a
latere di una diversa ed altrettanto opinabile soluzione ermeneutica. § 4. La portata delle legge 40/2004 come legge
“costituzionalmente vincolato” e la sua incidenza nella definizione della problematica in esame. § 5. Considerazioni
conclusive.
1. Scorrendo le più recenti pronunce1 sulla vexata quaestio dell’ammissibilità della diagnosi preimpianto a favore di coppie sterili, portatrici di malattie genetiche con alto indice di trasmissione della
malattia al feto, è facile scorgere le molte difficoltà in cui la giurisprudenza è incorsa nel tentativo di
spiegare la clausola di salvezza apposta dal legislatore a chiusura della disposizione che perentoriamente
vieta la crioconservazione e la soppressione di embrioni (art. 14, 1 co., L. 40/2004).
Al divieto in questione, infatti, si accompagna l’espressa previsione della perdurante vigenza ed
applicabilità di quanto previsto dalla legge 194/1978 in tema di interruzione volontaria della gravidanza.
Tuttavia, proprio tale rimando, a dispetto dell’apparente chiarezza dell’intentio legislatoris, rende la
lettura del testo legislativo sulla procreazione medicalmente assistita, e più in generale il problema del
raccordo fra questo e la legge che nel nostro Paese definisce le modalità di accesso all’interruzione
volontaria della gravidanza tutt’altro che lineare nella sua definizione.
Nella sua portata letterale, infatti, il diverso dettato normativo cui l’art. 14, 1 co. L. 40/2004
rimanda sembrerebbe consentire, in presenza di determinati presupposti, e specificamente in caso di
anomalie o malformazioni del feto (artt. 4 e 6 L. 194/78), il ricorso alle stesse pratiche che, in incipit, la
disposizione in esame, al contrario, immediatamente vieta.
Nell’opinabile coesistenza all’interno di una stesso dettato di due norme di segno chiaramente
opposto (l’una, infatti, vieta la crioconservazione e la soppressione dell’embrione malformato,
obbligando la donna a riceverne l’impianto in utero, laddove, l’altra, invece, ammette l’aborto del feto in
cui siano state riscontrate anomalie), può certo riduttivamente, e non senza qualche amarezza,
rintracciarsi il limite proprio della tecnica legislativa, difficilmente in grado di raggiungere uno stato di
perfezione2, o anche il segno di una certa “schizofrenia ordinamentale”, frutto di mero opportunismo
politico3.
Tribunale di Catania, ordinanza del 03.05.2004, in Giustizia civile, 2004, 2447 ss., Tribunale di Cagliari, ordinanza
del 16.07.2005, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2006, 613 ss.; Tribunale di Cagliari, sentenza del 24.09.2007, in
www.filodiritto.it
2 Così, P. MAROZZO DELLA ROCCA, Procreazione medicalmente assistita e beta-talassemia, in Il diritto di famiglia e delle
persone, 2005. Ma, sui più usuali vizi della tecnica legislativa, cfr. N. LIPARI, La legge sulla procreazione assistita e tecnica legislativa, in
Rassegna parlamentare, 2005, per il quale “il più vistoso, consiste nel dettare una disciplina senza alcun tentativo di
coordinamento con l’integrità del sistema, anzi nella evidente consapevolezza (sarebbe peggio dire: nella colpevole
ignoranza) di determinare frizioni o conflitti con istituti altrimenti operanti o con categorie giuridiche consolidate. Certo un
legislatore non può, in linea di principio, lasciarsi condizionare da modelli culturali ricevuti, ancorché sostenuti da una solida
tradizione, posto che può essere proprio il suo intervento idoneo a modificare quei modelli. Quel che si chiede è che vi sia
consapevolezza degli effetti riflessi della disciplina che si intende dettate e che non si perda mai di vista la tendenziale
aspirazione ad un quadro sistematico coerente”.
3 Sul punto, cfr. P. MAROZZO DELLA ROCCA, ult. op., cit.. Ed ancora, ritiene che quella espressa dall’inciso de quo
sia “una norma illogica, risultato di un compresso sbagliato, perché frutto non del bilanciamento tra valori, né della ricerca di
un punto di convergenza realistico e ragionevole tra le visioni etiche e culturali, ma piuttosto mera giustapposizione di
norme contraddittori tra loro, perché espressione di visione opposte: un frutto avvelenato del <<bipolarismo etico>>” G.
TONINI, Procreazione medicalmente assistita: una mediazione alta, contro il bipolarismo etico.
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1
Tuttavia, ad un’analisi che non si limiti a valutazioni di questo genere ma cerchi di ricondurre la
discussione sul piano dei contenuti, alla ricerca del nucleo di senso dell’articolato normativo in esame,
risulterà anzitutto evidente la necessità di calare le valutazioni in tema in una riflessione di più largo
respiro, in grado di abbracciare i due testi legislativi nella loro portata complessiva. Sotto tale profilo,
infatti, pare indubbio che un corretto approccio alla specifica questione di diritto da cui lo scritto
prende le mosse, rimandi, più in generale, al problema del modo in cui, alla luce dei contenuti delle leggi
in esame, il diritto oggigiorno si rapporti alle questioni di inizio vita, e, quindi, al modo in cui lo stesso
operi un delicato ma pur necessario balancing test tra i molti ed importanti valori che vengono in rilievo
in tali ipotesi.
2. “Le norme”, ammoniva già molti anni fa un esimio costituzionalista, “si estraniano dai fatti
puntuali e dai movimenti soggettivi onde scaturiscono, per integrarsi tra loro in una superiore unità; la
<<volontà della legge>> è volontà obiettiva ( … ), il significato della quale si determina in funzione del
tutto, vale a dire dell’intero ordinamento giuridico di cui le norme entrano a far parte”4.
Nel confutare l’applicabilità della regola ermeneutica espressa dall’adagio in claris non fit interpretatio
nell’interpretazione ed applicazione degli atti normativi e delle disposizioni in essi contenute, nelle sue
celeberrime lezioni di diritto costituzionale Crisafulli, evidenziava così, senza alcuna esitazione, come la
conoscenza giuridica non possa esaurirsi nell’acritica e statica riconduzione dell’ipotesi di fatto alla
previgente fattispecie astratta. Al contrario, realizzandosi all’interno di un sistema in cui nessuna norma
giuridica gode di un’autonomia logica e funzionale rispetto al contesto in cui é calata, la ricerca del
senso della regola da applicare al caso di specie, e più in generale l’acquisizione del sapere giuridico, si
palesava, nella riflessione dell’esimio giurista, come conseguenza di un’attenta, quanto necessaria,
interpretazione delle disposizioni contenute negli atti normativi. Un’interpretazione, peraltro, finalizzata
non già a carpire la specificità dell’intentio legislatoris che ha presieduto alla positivizzazione di una data
disposizione, bensì a spiegare la portata effettiva che la singola norma assume in rapporto a tutte le altre
norme che, nel loro insieme, formano l’ordinamento giuridico5.
Rispolverato, oggi, a distanza di tempo l’insegnamento crisafulliano riassume, in maniera sintetica
ed altrettanto efficace, un risultato ormai pacificamente acquisito nell’interpretazione dell’art. 12 delle
disposizioni preliminari al codice civile sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, le quali, acquisita
consapevolezza in ordine alla necessità propria di ogni singola norma giuridica di essere interpretata,
hanno, da ultimo, definitivamente chiarito la preminenza che, nell’interpretazione della norma, nel
senso sopra chiarito, assumono i criteri definiti obiettivo-teleologici, i quali, allo scopo, impongono di
tener conto dei principi dell’ordinamento giuridico e in particolare di quelli di rango costituzionale6.
E proprio tale insegnamento rappresenta la premessa metodologica fondamentale all’analisi
finalizzata a definire l’esatta portata dell’inciso contenuto nell’art. 14, comma 1, legge 40/04.
È alla stregua di esso, infatti, che deve anzitutto saggiarsi la fondatezza e la stessa proponibilità di
quella peculiare soluzione ermeneutica volta ad ancorare la ratio dell’inciso de quo alla scelta legislativa di
garantire comunque la possibilità di abortire anche a coloro che si sottopongono ad un programma di
fecondazione in vitro, in questo senso evitando che la volontarietà dell’accesso alle tecniche di
procreazione medicalmente assistita possa in certa misura considerarsi ostativa al successivo ricorso
all’interruzione volontaria della gravidanza.
Si tratta, come è noto, di una soluzione già prospettata dalla giurisprudenza di merito, ed in
particolare dal Tribunale di Catania nell’ordinanza7 con cui, nel maggio del 2004, si pronuncia sul
4
1993, 14.
V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale – II,
I
L’ordinamento costituzionale italiano (Le fonti normative), Padova,
5 A proposito del superamento dell’adagio in claris non fit interpretatio nella costruzione “di un sistema giuridico
adeguato ai valori fondamentali di rilevanza costituzionale”, cfr. P. STANZIONE, G. SCIANCALEPORE (a cura di), Procreazione
assistita. Commento alla l. 19 febbraio 2004 n. 40, Milano, 2004.
6 Sul punto, cfr. R. Villani, Dal parlamento alle aule di giustizia: le nuove disposizioni in materia di procreazione medicalmente
assistita al banco di prova del caso concreto, in La Nuova giurisprudenza civile commentata, 2004.
7 Si tratta dell’ordinanza del 03.05.2004, cit. Per una lettura critica dei contenuti del provvedimento de quo si rimanda
alle considerazioni svolte da E. GIACOBBE, Tre “banalità” e una verità: brevi osservazioni su una prima applicazione della legge sulla
procreazione medicalmente assistita, in Giustizia civile, 2004, 2459 ss.; E. PALMERINI, La legge sulla procreazione assistita al primo vaglio
2
ricorso proposto, ex art. 700 c.p.c., da una coppia di coniugi, entrambi sterili e portatori sani del gene
della beta-talassemia, i quali, preoccupati di trasmettere il relativo gene al futuro nascituro, chiedono, in
via d’urgenza, che venga riconosciuto loro il diritto di procedere immediatamente all’impianto degli
embrioni creati che non avessero presentato all’esito della diagnosi pre-impianto patologie genetiche,
disponendo al contrario la crioconservazione dei residui embrioni risultati malati, in attesa della
definizione del giudizio di merito e dell’eventuale giudizio di legittimità costituzionale.
In effetti, il caso di cui, nell’occasione, il Tribunale di Catania è chiamato ad occuparsi sollecita il
giudicante a pronunciarsi su un duplice ordine di questioni8.
La prima, di natura interpretativa, attiene alla definizione dell’esatta portata delle disposizioni
legislative conferenti in tema, e sprona il giudice a accertare se, alla luce della nuova disciplina, sia
ammissibile la diagnosi pre-impianto, e il conseguenziale riconoscimento, a favore della donna, della
possibilità di ricevere l’impianto in utero dei soli embrioni sani, con crioconservazione degli altri.
La seconda, invece, concerne la necessità, per il caso di risposta negativa alla prima, di verificare
la non contraddittorietà della previsione legislativa in questione al diritto alla salute e
all’autodeterminazione della donna, con conseguente affermazione, in caso di dubbio, della ricorrenza
dei presupposti utili all’instaurazione di un giudizio di legittimità costituzionale.
Nessuna di tali questioni, tuttavia, riceve una definizione positiva da parte del giudice, il quale,
anzi, nel pronunciarsi, energicamente sottolinea che, nel contesto della L. 40/04 la crioconservazione
degli embrioni, così come la loro eventuale successiva soppressione, non solo è vietata (art. 14, 1° co.),
ma è anche sanzionata penalmente (art. 14, 6° co.), potendo essere ammessa solo in casi eccezionali
(ossia solo nell’ipotesi di grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della
donna), in cui, comunque, l’impianto deve essere realizzato “non appena possibile” (art. 14, 3°co.).
Conseguentemente, la crioconservazione degli embrioni affetti da talune patologie non può mai
costituire oggetto di alcun ordine promanante dal potere giudiziario.
Né tale conclusione, chiarisce il Tribunale, può essere messa in discussione in forza della
dichiarata, ma non provata illogicità del dettato legislativo in tema che, secondo i ricorrenti, manca di
considerare le problematiche relative alle patologie genetiche.
Nel prendere posizione sul punto, il giudice catanese precisa, infatti, che le norme in discussione
“non sono frutto di una disattenzione o di una sottovalutazione dei problemi da parte del legislatore,
ma di sue precise scelte”; piuttosto la mancata inclusione, nel testo normativo, di particolari prescrizioni
al riguardo ha una sua precisa ratio. E tale ratio deve essere ravvisata nella chiara volontà del legislatore
di permettere, in tal modo, la perfetta equiparazione della procreazione assistita alla procreazione
naturale, in cui è esclusa la possibilità di selezionare i nascituri in sani e malati. E si tratta di una scelta
considerata perfettamente coerente con i molti valori che il legislatore ha inteso tutelare con la legge in
questione.
giurisprudenziale, in Famiglia e diritto, 2004, 372 ss.; nonché, ivi, da G. FERRANDO, Procreazione medicalmente assistita e malattie
genetiche: i coniugi possono rifiutare l’impianto di embrioni ammalati?, 380 ss.; e da M. DOGLIOTTI, Una prima pronuncia sulla procreazione
assistita: tutte infondate le questioni di legittimità costituzionale?, 384 ss. Per ulteriori commenti, cfr. R. VILLANI, Dal parlamento alle
aule di giustizia: le nuove disposizioni in materia di procreazione medicalmente assistita al banco di prova del caso concreto, in La Nuova
giurisprudenza civile commentata, 2004, 429.; C. CAGGIA Procreazione assistita, realizzazione esistenziale dei soggetti e funzione del diritto
(brevi riflessioni su alcuni problemi di costituzionalità della L. 19 febbraio 2004, n. 40), in Giurisprudenza italiana, 2004, 2088 ss.; A.
ACIERNO, Essere genitori responsabili non è un diritto, in Questione giustizia, 2004, 983 ss.; T.E. FROSINI, In materia di fecondazione
assistita il giudice deve sollevare la questione di costituzionalità, in Giustizia amministrativa, 2004, 391 ss., nonché dello stesso Autore,
Stupisce il mancato ricorso alla Consulta, in Guida al diritto, 2004, 56 ss; G. CASABURI, In tema di procreazione medica assistita, in Il Foro
italiano, 2004, 3497 ss.; P. MAROZZO DELLA ROCCA, Procreazione medicalmente assistita e beta-talassemia, in Il diritto di famiglia e
delle persone, 2005, 97 ss.; e, infine, L. D’AVACK, L’ordinanza di Catania: una decisione motivata attraverso una lettura testuale della l. n.
40 del 2004, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2005, 550 ss.; M. D’AMICO, Ma riuscirà una legge incostituzionale ad arrivare davanti
al suo giudice (quello delle leggi, appunto … ), in http://web.unife.it/progetti/forumcostituzionale/index.html; A. DI MARTINO,
Procreazione assistita: il Tribunale di Catania non sollecita l’intervento della Corte costituzionale, in
www.associazionedeicostituzionalisti.it/cronache/giurisprudenza_costituzionale/procreazione_assistita/index.html.
In
senso favorevole, M. Olivetti, Decisione coerente, ma gli interessi vanno bilanciati, in Guida al diritto, 2004, 58 ss.
8 In questo senso, cfr. G. FERRANDO, Procreazione medicalmente assistita e malattie genetiche: i coniugi possono rifiutare
l’impianto di embrioni ammalati?, cit., 380.
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Sicché, in questa prospettiva, la possibilità avanzata dai ricorrenti al giudice di accogliere
direttamente il ricorso, in forza dell’inviolabilità e incomprimibilità del diritto alla salute della donna,
“dal quale non può che conseguire il diritto all’impianto esclusivamente di embrioni sani”9, trova
nell’intentio legislatoris, fatta palese dal giudicante, un ostacolo invincibile. In forza, infatti, della chiara
volontà espressa dal regolatore pubblico di escludere qualsiasi tipo di selezione degli embrioni, con
sacrificio di quelli affetti da patologie accertabili prima dell’impianto, l’opzione interpretativa proposta
dai ricorrenti viene considerata assolutamente priva di pregio.
Si tratta di argomentazioni certamente opinabili. O meglio, di valutazioni già da sole in grado di
alimentare fondate critiche in ordine alla correttezza giuridica del complessivo impianto decisorio della
pronuncia del giudice catanese per lo stacco che in esse si esprime tra gli esiti cui conducono e quelli
cui, invece, il giudicante sarebbe giunto in forza della puntuale applicazione delle regole ermeneutiche
cui l’interprete deve (o dovrebbe) rigorosamente attenersi.
Ma, nella definizione che il giudice adito offre della vicenda giudiziaria sottoposta alla sua
cognizione, la domanda proposta dai ricorrenti palesa la sua infondatezza anche nell’ipotesi in cui si
accogliesse il diverso suggerimento, pur sempre offerto da questi, di far emergere la contraddittorietà e
la incostituzionalità delle nuove disposizioni rispetto al sistema di tutela del diritto alla salute e ai
principi regolatori della procreazione e della genitorialità responsabile.
Sotto tale profilo, il discorso investe le ragioni addotte dal giudice catanese al fine di respingere
l’accusa di manifesta illogicità mossa dai ricorrenti nei riguardi dell’art. 14, comma 1, L. 40/40, laddove
esso rimanda alla legge 194/78.
Nella sua formulazione letterale, infatti, giusto quanto lamentato dai coniugi, la disposizione in
questione da un lato sembrerebbe vietare la crioconservazione e la soppressione degli embrioni, anche
nei casi in cui si scoprissero delle malformazioni; dall’altro, invece, lasciando fermo quanto previsto
dalla legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, sembrerebbe consentire, nelle stesse ipotesi, la
possibilità di abortire. E ciò sempreché, avvertono i ricorrenti, non si intenda “leggere il richiamo di cui
all’art. 14 nel senso che, in presenza dei presupposti richiesti dalla Legge 194/78, questa troverebbe
applicazione estensiva anche nei casi, esclusivi della fecondazione in vitro, di embrioni portatori di gravi
malformazioni”. In questo modo, infatti, si eviterebbe alla donna, che pur ha manifestato una volontà
contraria all’impianto, di dover subire, a discapito della propria salute, un primo intervento finalizzato al
trasferimento dell’embrione in vitro ed un successivo, invece, di carattere abortivo. Soprattutto,
aderendo ad una simile interpretazione della norma, si “armonizzerebbe l’art. 14 con il dettato
costituzionale, rendendola rispondente al generale criterio della ragionevolezza”.
E ciò sotto un duplice profilo.
Anzitutto, infatti, agli occhi dei ricorrenti, sarebbe assolutamente irragionevole, laddove ricorrano
tutti i presupposti fissati dalla L. 194/78, costringere di fatto la donna al ricorso all’interruzione
volontaria della gravidanza quando il feto è in uno stato avanzato e non in una fase embrionale.
D’altro canto, sarebbe del tutto illogico nel momento in cui tutti i presupposti fissati dalla legge ai
fini del ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza siano conosciuti in un momento anteriore
all’impianto, e vi sia una volontà della donna contraria all’impianto, mettere a repentaglio la sua salute
obbligandola al trasferimento e al successivo aborto.
In sostanza, ciò di cui l’autorità giudiziaria adita è chiamata in questa parte a valutare
l’ammissibilità è un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione de qua, atta a rendere
la scelta legislativa conforme al quadro normativo preesistente, e in particolare al criterio della
ragionevolezza.
Ma, nel respingere questa, il giudicante avverte come le questioni così poste si fondino su un
errore di diritto e su due equivoci logici.
In particolare, sotto il primo profilo, il Tribunale di Catania sottolinea fermamente come la legge
194/78 non autorizzi un uso dell’aborto come strumento selettivo dei feti, in relazione al loro stato di
salute. Piuttosto, l’aborto terapeutico di cui il testo legislativo in questione definisce i necessari
presupposti può e deve definirsi tale solo con riferimento alla salute della madre. E questa, avverte il
giudice, non può dirsi messa in discussione dal solo fatto che durante la gravidanza si scopri che il feto
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Così, A. ACIERNO, Essere genitori responsabili non è un diritto, cit., 986.
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è malato. Giusto, infatti, quanto prescritto dalla legge de qua, la presenza di malformazioni nel concepito
rappresenta semplicemente una delle possibili cause dell’unico vero presupposto dell’aborto che è “un
serio pericolo per la salute fisica e psichica” della madre. Conseguentemente, sentenzia il giudice
catanese, l’affermazione dell’esistenza di un diritto della donna ad abortire i figli malati in quanto tali é
priva di ogni serio fondamento giuridico, così come giuridicamente scorretta è la considerazione di un
tale diritto come preesistente alla gravidanza: il “diritto all’aborto” esiste, ma solo nei termini in cui la
legge lo prevede e lo disciplina, e in tal senso è un diritto che sorge solo dopo l’instaurarsi della
gravidanza.
Non occorre insistere più di tanto sulla fragilità di tale passaggio, quasi lapalissiana.
Basti semplicemente osservare che, pur nella sua perentorietà, la considerazione da ultimo svolta
viene immediatamente contraddetta dallo stesso giudice che, nei casi in cui si faccia ricorso alla
procreazione medicalmente assistita, ammette la possibilità di applicare le disposizioni della legge
194/78 con riferimento agli embrioni anziché ai feti. Ciò che, inevitabilmente, comporta il
riconoscimento di un diritto all’aborto anteriore alla gravidanza, ma successivo alla fecondazione degli
ovuli. Va da sé, allora, che la precisazione fatta, in quanto non armonizzata con il quadro normativo
delineato poco prima, finisce col rendere il ragionamento giudiziale affetto da quegli stessi vizi di
illogicità rimproverati alle ragioni dei ricorrenti. Né può dirsi che tali vizi vengano infine sanati dal
giudice; questi, infatti, nulla dice al fine di chiarire l’affermazione fatta, limitandosi piuttosto a
sottolineare che la richiesta dei ricorrenti, spingendosi oltre, miri addirittura al riconoscimento del
diritto all’aborto anteriormente alla stessa fecondazione degli ovuli.
Ma, al fine di dimostrare la caducità dell’impianto decisorio dell’ordinanza in esame, alle
considerazioni appena svolte potrebbero affiancarsi non poche osservazioni critiche in merito alla
correttezza della lettura che il Tribunale di Catania offre del dettato legislativo in tema di interruzione
volontaria della gravidanza, specificamente in ordine ai presupposti necessari per il ricorso a tale pratica.
Sotto tale profilo, in effetti, è inopinabile che il decisum del giudice catanese enunci tutta una serie
di principi “assolutamente condivisibili, anzi quasi ovvi”10.
Tale deve ritenersi, ad esempio, l’espresso riconoscimento del “serio pericolo per la salute fisica
o psichica della donna” quale specifico presupposto, tra gli altri, utile a legittimare, di per sé, la richiesta
di accesso all’interruzione della gravidanza, nonché l'altrettanto esplicita qualificazione delle eventuali
anomalie o malformazioni del concepito, non già quale causa di per sé legittimante il ricorso all’aborto,
ma, più semplicemente, quale una delle possibili ragioni che possono ingenerare quel “serio pericolo
per la salute fisica o psichica della donna”, prodomico al ricorso all’intervento in questione11.
Tuttavia, a fronte della correttezza di tale rilievo, non può non notarsi come il giudicante
dimentichi del tutto che la ricorrenza dei presupposti legislativamente fissati allo scopo di consentire
l’interruzione volontaria della gravidanza sono liberamente valutabili dalla gestante12.
Conseguentemente, laddove, nello stendere l’ordinanza in commento, il giudice, elusa tale
banale verità, aprioristicamente afferma che, nel caso di specie, le anomalie del concepimento non
comportano nessuna lesione alla salute fisica o psichica della madre, in tal modo finendo per sostituirsi
a questa, ovvero per compiere “<<lui>> per <<lei>> tale personalissima valutazione”13, la decisione dallo
10 In tal senso, R. VILLANI, Dal Parlamento alle aule di giustizia: le nuove disposizioni in materia di procreazione medicalmente
assistita, cit., 433.
11 Così, R. VILLANI, ibidem. Peraltro, per il giurista altrettanto inopinabile è l’assunto secondo cui non è possibile
aprioristicamente sostenere che ogni gravidanza nella quale il feto sia affetto da una malattia debba essere causa di una
malattia della madre. Ed ancora, è certamente indiscutibile che l’aborto può e deve essere definito terapeutico con
riferimento alla salute della madre e non a quella del figlio, e che non può essere ravvisata alcuna terapeuticità per il feto
nella sua soppressione. Soprattutto, è indubbio che la L. 194/78 non autorizza un uso eugenetico dell’aborto.
12 Al riguardo, cfr. M. DOGLIOTTI, Una prima pronuncia sulla procreazione assistita: tutte infondate le questioni di legittimità
costituzionale?, cit., 385. Analogamente, P. MAROZZO DELLA ROCCA, Procreazione medicalmente assistita e beta-talassemia, cit., 100.
13 Sul punto, cfr. G. BALDINI, La legge sulla procreazione medicalmente assistita: profili problematici, prime esperienze applicative
e prospettive, cit., 312. Analogamente, R. VILLANI, ult. op., cit., 434, il quale, sottolineando che ogni scelta in merito alla
prosecuzione della gravidanza a seguito delle sofferenze causate dalla presa di coscienza della presenza di malformazioni a
danno del frutto del concepimento è di pertinenza della sola donna, avverte che trattasi di una scelta assolutamente
insindacabile da parte di qualsiasi magistrato.
5
stesso resa può dirsi, ancora una volta e sotto diverso profilo, affetta da limiti giuridici tali che ne
rendono, a ragione, difficilmente apprezzabile in positivo la portata complessiva.
E, ad avallare tale giudizio si potrebbero richiamare taluni assunti formali assolutamente
insostenibili presenti nelle motivazioni in diritto che sorreggono la decisione del Tribunale, e, tra questi,
l’affermazione giudiziale dell’assoluta infondatezza della pretesa che, secondo la pronuncia in
commento, i ricorrenti avanzano in merito al riconoscimento di un diritto all’aborto prima che gli
embrioni vengano ad esistenza. Al riguardo, infatti, e contrariamente a quanto sostenuto dal giudicante,
non sembra seriamente contestabile il fatto che i coniugi “non tengono tanto all’affermazione di un
loro <<diritto>> astratto all’aborto, ma molto più semplicemente a poter accedere ad una diagnosi
prenatale, non impiantando gli embrioni malati”14. Soprattutto, una volta emendata la valutazione
giudiziale sul punto, ed ammesso che “la salute psichica della madre possa essere intesa […] come
qualsiasi alterazione che la madre stessa ritenga possa essere prodotta al proprio equilibrio psichico”,
risulta difficile negare l’irragionevolezza di qualsiasi approccio al tema volto a ritenere che “tale stato
non abbia alcuna rilevanza prima dell’impianto degli embrioni in utero”15.
Ma, la scarsa tenuta delle argomentazioni proposte sul punto dal giudicante si manifesta
pienamente specie laddove, respinta l’idea che il richiamo fatto dall’art. 14, comma 1, alla legge 194/78
sia frutto di un equivoco e/o di una contraddizione, egli spiega l’inciso contenuto nella disposizione in
questione con la necessità di ribadire la possibilità di ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza
anche in casi di accesso alle tecniche di riproduzione medicalmente assistita.
Qui, l’attenzione dell’interprete, che cerca di sconfessare, non senza qualche difficoltà, le
preoccupazioni dei ricorrenti circa la contraddittorietà del dettato normativo, si sofferma, in particolare,
sui divieti che la L. n. 40 del 2004 oppone, a chi abbia prestato il consenso al ricorso alle tecniche di
procreazione medicalmente assistita, quanto all’esercizio dell’azione di disconoscimento di paternità ex
art. 235 c.c., o all’impugnazione di cui all’art. 263 c.c., nonché alla possibilità per la madre di avvalersi
della facoltà di non venire nominata nell’atto di nascita ex art. 30, comma 1°, d.P.R. 03.11.2000 n. 39616.
E, nello spiegare la ratio di tali divieti, il giudicante avverte come “diversamente da quanto
accade per la procreazione per così dire naturale, la procreazione medicalmente assistita è sempre e
certamente una procreazione consapevole ed è, quindi, logico che chi vi ricorre ne assuma tutte le
conseguenti responsabilità”.
Conseguentemente, secondo il Tribunale che così sentenzia, applicando questa logica, sul
medesimo presupposto della volontarietà dell’iniziativa assunta, ed in mancanza di una diversa
indicazione quale quella derivante dall’inciso in commento, si sarebbe potuto ritenere che chi
volontariamente e consapevolmente si sia procurato una gravidanza attraverso il ricorso alle nuove
tecniche di procreazione assistita non possa poi interromperla facendo ricorso all’aborto17.
Per una valutazione più attenta di tale profilo, cfr. M. DOGLIOTTI, ult. op., cit., 385.
Quelle ricordate sono considerazioni che, svolte da M. OLIVETTI, Decisione coerente, ma gli interessi vanno bilanciati,
cit., 58 ss., risultano ancor più significative ove si consideri che il giurista si è da sempre mostrato favorevole nei riguardi della
L. 40/04 ed ha altresì apprezzato la decisione del Tribunale di Catania.
16 Cfr. art. 9, L. n. 40 del 04, alla cui stregua: “1. Qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita
di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’art. 4, comma 3, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da
atti concludenti non può esercitare l’azione d disconoscimento della paternità nei casi previsti dell’articolo 235, primo
comma, numeri 1) e 2), del codice civile, né l’impugnazione di cui all’articolo 263 dello stesso codice. 2. La madre del nato a
seguito dell’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita non può dichiarare la volontà di non essere
nominata, ai sensi dell’articolo 30, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre
2000, n. 396. 3. In caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il
donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti
alcun diritto né essere titolare di obblighi”.
17 Tale impostazione è condivisa da A. DI MARTINO, Procreazione assistita: il tribunale di Catania non sollecita l’intervento
della Corte costituzionale, la quale ritiene che “in mancanza del richiamo, si potrebbe postulare l’immanenza alla l. n. 40/2004
del principio secondo cui la procreazione assistita, in quanto consapevolmente voluta, esclude l’applicazione di istituti
disciplinati con riferimento alla procreazione naturale”, spiegando che “tale principio sarebbe desumibile dall’art. 9 l. n. 40
del 2004, che … vieta sia l’esercizio dell’azione di paternità, sia l’anonimato della madre naturale in caso di fecondazione
eterologa … “. Analogamente F. GAZZONI, Osservazioni non solo giuridiche sulla tutela del concepito e sulla fecondazione artificiale, in Il
diritto di famiglia e della persone, 2005, secondo cui lo scopo della riserva di cui all’art. 14, comma 1, è quello di “eliminare il
dubbio che sia possibile ricorrere all’aborto quando la gravidanza sia stata ricercata e voluta artificialmente …”.
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Nell’interpretazione offertane da giudice catanese, quindi, “il richiamo alla legge 194/78 – (…)
non già illogico e contraddittorio, ma coerente e sommamente opportuno - dà certezza del fatto che il
ricorso alle pratiche della legge 194/78 sarà possibile anche nei casi di gravidanza ottenuta mediante il
ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita, ma ovviamente, solo in presenza delle gravi (e
proprio in relazione alla loro eccezionale gravità, che rende irrilevante il consenso prestato
preventivamente alla gravidanza) circostanze di cui all’art. 4 della legge 194/78 medesima”.
Ma, ad un’analisi attenta, quella paventata dal giudice come naturale conseguenza dei divieti in
commento si palesa, in realtà, come una preoccupazione priva di ogni pregio: la norma di cui all’art. 9
della L. n. 40 del 2004, che tutti questi divieti prevede e ricomprende in sé, si limita, infatti, a
disciplinare lo status del figlio “eventualmente” nato in conseguenza del ricorso alle tecniche di
procreazione medicalmente assistita, non diversamente da ciò che fanno le norme del codice civile in
materia di filiazione legittima o naturale.
Sostenere che, se non si fosse richiamata la L. n. 194 del 1978, l’art. 9 avrebbe “imposto” il
parto equivale ad affermare, per fare un paragone, che gli artt. 231 ss. c.c. (che dettano le regole per la
filiazione legittima) non richiamando la L. n. 194 “impongano” la nascita del figlio concepito in
costanza di matrimonio. Il che francamente non può non apparire assurdo.
La verità, più semplicemente, è che gli artt. 231 ss. c.c., 250 ss. c.c. e 9 della L. n. 40 del 2004
(dettati, rispettivamente, per la filiazione legittima, quella naturale e per quella conseguente al ricorso
alle tecniche di fecondazione assistita) si limitano a fissare lo status del nato, senza, invece, “imporre”
alcuna nascita18.
3. Il caso di cui il Tribunale di Catania è stato chiamato ad occuparsi ha peraltro costituito per
molta parte della dottrina un’occasione utile per riproporre, con riferimento alla problematica de qua,
delle letture del dato normativo in esame che mal celano profonde preoccupazioni in merito alla più
ampia questione della tenuta del quadro giuridico complessivo in tema di procreazione cosciente e
responsabile, quale risultante dal combinato disposto dalle leggi che, rispettivamente, disciplinano il
ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza (L. n. 194 del 1978), e l’accesso alle tecniche di
procreazione medicalmente assistita (L. n. 40 del 2004).
Certamente motivata da preoccupazioni di questo genere può, ad esempio, dirsi quella peculiare
chiave di lettura dell’inciso in questione che, nel contesto della nuova disciplina, intesa a tutelare i diritti
del concepito, al pari di “tutti gli altri soggetti coinvolti” (art. 1, L. 40 del 2004), e, conseguentemente,
ad evitare che gli embrioni, una volta formati, possano essere distrutti (art. 14, L. 40 del 2004),
considera il riferimento alla legge dell’interruzione volontaria della gravidanza assolutamente
“opportuno”, in quanto in grado di scongiurare il rischio di un possibile scardinamento di quest’ultima
ad opera dei principi e delle regole contenute nella nuova legge19.
In effetti, a fronte della tendenza, chiaramente espressa dall’organo legislativo verso
l’equiparazione del concepito agli altri soggetti coinvolti nella vicenda procreativa, le perplessità che la
dottrina fin da subito manifesta in ordine alla bontà del dettato normativo si appuntano, oltre che sulla
correttezza della scelta semantica del legislatore rispetto a quel profilo essenziale di qualunque processo
di qualificazione giuridica, che è la soggettività20, sui possibili e profondi rimaneggiamenti a cui la
prospettata equiparazione espone la legge che, nel nostro Paese, disciplina le modalità e i limiti di
accesso alle pratiche interruttive della gravidanza.
Qui, il discorso investe il diverso livello di tutela che, nel confronto, la legge 40 sembra realizzare
a vantaggio del concepito. Un livello considerato indiscutibilmente “inedito” e comunque “più avanzato
R. VILLANI, Dal Parlamento alle aule di giustizia: le nuove disposizioni in materia di procreazione medicalmente assistita, cit.,
In tal senso, cfr. G. FERRANDO, Procreazione medicalmente assistita e malattie genetiche: i coniugi possono rifiutare l’impianto
di embrioni ammalati?, cit.
20 Assolutamente critico nei riguardi delle scelte legislative cristallizzatesi nel dettato dell’art. 1 della L. n. 40 del
2004, é N. LIPARI, ult. op., cit,, secondo cui: “il generico riferimento al “concepito” come soggetto coinvolto non può …
indurre né a revocare la previsione normativa di cui all’art. 1 c.c. né a costituire una necessaria qualificazione unificante del
soggetto”.
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rispetto a quella ricavabile dalla legge sull’aborto”21, tale da spingere taluno a considerare l’embrione
“<<persona con diritti assoluti>> in provetta e <<persona con diritti di prima facie>> nell’utero materno;
sacro ed inviolabile allo stadio di ovulo fecondato e privo dell’ambiente materno che gli è indispensabile
per venire al mondo; e, di contro, sottomesso al principio di autodeterminazione della donna, una volta
raggiunto lo stadio fetale”22.
Ma, ad alimentare le preoccupazioni dei sostenitori della L. n. 194 del 1978 rispetto ad un sua
possibile incisione ad opera della L. n. 40 del 2004 è anche la consapevolezza della sostanziale diversità
di approccio che il legislatore ha nei riguardi della vicenda procreativa complessivamente intesa, quale
sembra possa cogliersi dal tenore generale dei due testi normativi in commento. Senza affatto
sconfessare la pregnanza delle problematiche di tipo squisitamente giuridico che, in forza della lettura
combinata delle leggi de quibus, l’interprete è chiamato a risolvere, con ciò l’asse della riflessione volta a
definire i rapporti tra tali leggi viene di fatto spostato sul piano alquanto diverso ma altrettanto rilevante
della coerenza delle successive scelte normative in tema di maternità e procreazione.
Ed è proprio su questo piano che assume rilievo un dato, solo all’apparenza confinato
nell’irrilevante giuridico, ma che pure offre, in questa prospettiva, spunti di riflessione assai interessanti.
Si tratta dello specifico retroterra socio-culturale, e del relativo contesto tecnico-scientifico, frutto delle
più recenti acquisizioni della ricerca realizzata in questi campi, su cui attecchisce il testo della 194/78;
un retroterra caratterizzato dall’improvvisa, larga diffusione delle tecniche contraccettive, il cui impiego
getta le basi di un’importante conquista: grazie, infatti, alla possibilità che esse offrono al singolo di
usare o meno le proprie capacità riproduttive, tali tecniche indiscutibilmente aprono al tema del “figlio
voluto” che, già qui, “assume la sua straordinaria rilevanza”23.
Quella che, insomma, si realizza nel periodo immediatamente precedente alla legalizzazione
dell’aborto e che anzitutto ne facilita l’accettazione sociale è una rivoluzione propriamente culturale,
oltre che inopinabilmente tecnica, che, grazie anzitutto all’impiego dei metodi contraccettivi, spinge ad
un profondo ripensamento del significato proprio della nascita di un figlio, che oramai s’atteggia come
una possibilità di scelta oggi offerta laddove un tempo regnavano il caso e la necessità24.
Indiscutibilmente, tali considerazioni sembrano prima facie estranee a valutazioni propriamente
giuridiche circa i controversi rapporti tra i principi espressi dalla L. 194 del 1978 e le disposizioni
contenute della L. n. 40 del 2004.
Intanto, però, è indubbio che, sebbene già garantite dal ricorso alle tecniche contraccettive, la
possibilità di riappropriarsi del proprio corpo, nonché la libertà di autodeterminarsi rispetto a scelte che,
naturalmente, lo coinvolgono, sono state poi fortemente accentuate proprio dal ricorso,
legislativamente disciplinato, all’interruzione volontaria della gravidanza, la cui legalizzazione ha finito
col riproporre, sia pure nella sua connotazione negativa, il tema della procreazione quale scelta.
Soprattutto, per quanto qui rileva, è inopinabile la distanza che, per profilo in esame, separa la più
risalente legge sull’interruzione volontaria della gravidanza da quella che oggi disciplina il ricorso alle
tecniche di procreazione medicalmente assistita. La molteplicità e diversità dei limiti e dei divieti che
quest’ultima oppone alla richiesta di esercizio della libertà di procreare sembra, infatti, non solo
manifestare solo “la rivincita contro lo spirito della l. n. 194”, ma altresì tradire “una esplicita avversione
nei confronti della procreazione assistita in sé, sia pure nei limiti angusti in cui la riconosce, anzi proprio
per l’angustia di tali limiti”25.
Alla luce di ciò allora pare evidente che le considerazioni precedentemente svolte, lungi dall’essere
assolutamente irrilevanti nel contesto della più ampia analisi che si va svolgendo in tema, rivestono in
questa una funzione niente affatto marginale. Tali considerazioni, infatti, accennando ad un processo
volto con decisione ad affermare la preminenza che la volontà del singolo assume nella costruzione di
un rapporto parentale, entrano nella valutazione dell’impatto delle nuove norme in tema di
Cfr. P. CAVANA, Appunti sulla legge n. 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita, in www.portaledibioetica.it
Così, L. D'AVACK, La legge sulla procreazione medicalmente assistita: un’occasione mancata per bilanciare valori ed interessi
contrapposti in uno stato laico, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2004.
23 Cfr. S. RODOTÀ, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, 150.
24 Così S. RODOTÀ, ult. op., cit., 144.
25 In tal senso, E. CESQUI, R. SANLORENZO, Prime note sulla legge in tema di procreazione medicalmente assistita, in questione
giustizia, 2004.
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procreazione sul previgente sistema giuridico in materia di aborto, e in tal senso spronano ad
interrogarsi, per il profilo indicato, sulla contiguità dei testi normativi in esame.
Allo scopo l’analisi si apre alla definizione di tutta una serie di specifiche questioni che,
investendo per lo più la reciproca compatibilità tra le diverse disposizioni presenti all’interno dei due
distinti atti normativi, finiscono, da ultimo, per permettere una puntuale valutazione della loro portata
complessiva.
Ma, trascurando per il momento questo tipo di valutazioni, sembra immediatamente opportuno
avvertire che se le preoccupazioni manifestate dalla dottrina in commento circa un possibile
stravolgimento della legge sull’interruzione volontaria della gravidanza da parte dei principi espressi
dalla più recente normativa in materia di fecondazione assistita dovessero propriamente interpretarsi nel
senso di adombrare il rischio di una possibile abrogazione della legislazione più risalente da parte di
quella più recente, si tratterebbe di preoccupazioni assolutamente non apprezzabili sotto il profilo
giuridico, in quanto inopinabilmente infondate.
La legge 194 del 1978, infatti, è una legge “a contenuto costituzionalmente vincolato”26.
Una legge, cioè, da annoverare tra quelle disposizioni “il cui nucleo normativo”, come insegna la
Corte costituzionale a far data già dalla celeberrima sentenza 16 del 197827, “non possa venire alterato o
privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa
(o di atre leggi costituzionali)”.
In questo senso, allora, si tratta di un atto normativo i cui contenuti realizzano, al loro interno,
quell’unico bilanciamento tra i diversi valori ed interessi coinvolti nella vicenda che vanno a disciplinare
che può dirsi conforme a Costituzione.
Consegue da ciò, quindi, che tale legge, per definizione, non è in nessun senso nella disponibilità
del legislatore, che non può semplicemente abrogarla, pena la determinazione di uno spazio vuoto di
diritto, assolutamente incostituzionale.
Si tratta, peraltro, di una conseguenza la cui portata viene meglio precisata dagli stessi giudici
costituzionali nella successiva pronuncia n. 35 del 199728, in cui, esprimendosi proprio sull’ammissibilità
dei quesiti referendari aventi ad oggetto la richiesta di abrogazione di talune norme della legge
sull’interruzione volontaria della gravidanza, la Corte sottolinea che quanto è precluso al legislatore –
ossia la possibilità di toccare quelle disposizioni che prevedono una tutela per la vita del concepito
quando non siano presenti esigenze di salute o di vita della madre, nonché quelle disposizioni che
attengono alla protezione della donna gestante – non può essere consentito al corpo elettorale tramite
referendum.
È indubbio che tale considerazione sia assolutamente emendabile nella parte in cui, assimilando
pienamente tra loro il legislatore parlamentare e quello referendario, oppone all’esercizio della funzione
legislativa gli stessi limiti cui è subordinato lo svolgimento della consultazione referendaria. È ben
chiaro, infatti, che il Parlamento, potrebbe, volendo, procedere all’abrogazione di un intera legge,
oppure intervenire su un dato bilanciamento di valori e ridefinirlo, fermo restando, comunque, in
quest’ipotesi, la possibilità che il giudice costituzionale, opportunamente adito dall’autorità giudiziaria,
dichiari l’illegittimità di quanto stabilito dal legislatore. Al contrario, in caso di ricorso all’istituto
referendario,
è inopinabile che un controllo effettuato ex ante dalla Corte costituzionale
sull’ammissibilità di un quesito referendario, anche alla luce del limite delle “leggi costituzionalmente
necessarie”, potrebbe impedire lo stesso svolgimento del referendum29.
L’inclusione della L. n. 194 del 1978 tra le leggi “ a contenuto costituzionalmente vincolato” è operata dalla Corte
costituzionale già con la sentenza n. 35 del 1997, in Giurisprudenza costituzionale, 1997.
27 Corte costituzionale, sentenza n. 16 del 1978, in Giurisprudenza costituzionale, 1978, 79 ss. Per un commento di tale
pronuncia si rimanda, ivi, agli scritti di V. CRISAFULLI, In tema di limiti al referendum, 151 ss.; S. BARTOLE, Conferme e novità nella
giurisprudenza costituzionale in materia di referendum, 167 ss.; F. MODUGNO, <<Trasfigurazione>> del <<referendum>>
<<irrigidimento>> dei Patti Lateranensi?, 181 ss.
28 Corte costituzionale, sentenza n. 35 del 1987, in Giurisprudenza costituzionale, 1987, 281 ss., ed ivi i commenti di C.
CASINI, Verso il riconoscimento della soggettività giuridica del concepito?, e di M. OLIVETTI, La Corte e l’aborto fra conferme e spunti
innovativi
29 Al riguardo, cfr. G. MONACO, I referendum per l’abrogazione della legge sulla procreazione medicalmente assistita di fronte al
limite delle “leggi costituzionalmente necessarie”, in Giurisprudenza costituzionale, 2005.
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Ma, al di là di tale precisazione, la giurisprudenza della Corte è certo significativa degli importanti
limiti di disponibilità, da parte di qualunque legislatore, degli ambiti materiali disciplinati con norme che
concretino principi o disposti costituzionali nell’unico modo consentito.
Basterebbe, insomma, il riferimento alla categoria delle “leggi a contenuto costituzionalmente
vincolato”, tra cui si annovera, per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, anche la legge che
regola il ricorso alle pratiche interruttive della gravidanza, per dimostrare come le preoccupazioni
espresse dalla dottrina in commento in merito ad una possibile e opinabile abrogazione di tali norme
per effetto della diversa normativa sulla fecondazione assistita, e di qui la peculiare interpretazione del
disposto in esame da essa proposta, siano giuridicamente inaccettabili.
Tuttavia, tali conclusioni potrebbero ben ripetersi anche in esito ad un diverso percorso d’analisi,
questa volta incentrato sulla diversa rilevanza e la più marcata tutela che la legge 40 del 2004
sembrerebbe apprestare all’embrione a fronte di quella riservata al feto dalla legge 194 del 197830.
Sotto questo profilo basti evidenziare come, anche alla luce delle più recenti posizioni assunte
dalla giurisprudenza di merito riguardo alla vexata quaestio dell’ammissibilità della diagnosi preimpianto31, la possibilità offerta alla donna di rinunciare all’impianto dell’embrione, senza alcuna
conseguenza di tipo coercitivo, finisca per “ridimensionare, nonostante la contestuale (e
contraddittoria) presenza nello stesso testo normativo di disposizioni di segno opposto, l’opinione di
chi è convinto assertore dell’intangibilità dell’embrione”32.
D’altro canto, forti perplessità in ordine alla stessa proponibilità di una lettura del testo legislativo
che spinga verso un’assimilazione del concepito agli altri soggetti coinvolti nella vicenda procreativa,
oltre che sulla bontà delle conseguenze connesse ad una possibile precoce
soggettivizzazione/personificazione dell’embrione33 sono state evidenziate anche dai giudici
costituzionali che, nella sentenza n. 48 del 200534, hanno sottolineato il “contenuto meramente
enunciativo” del primo comma dell’art. 1 della L. n. 40 del 2004, alla luce della necessità di ricavare la
tutela di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito, “dal complesso delle altre disposizioni della
legge”.
30
In argomento, cfr. M. MANETTI, La questione dell’embrione nel quadro dei principi costituzionali, in Notizie di politeia,
2005.
Tribunale di Cagliari, sentenza del 24.09.2007, cit.
Così, L. CHIEFFI, La diagnosi genetica nelle pratiche di fecondazione assistita: alla ricerca del giusto punto di equilibrio tra le
ragioni all’impianto dell’embrione e quelle della donna ad avviare una maternità cosciente e responsabile, in Giurisprudenza costituzionale, 2006.
33 Difendono strenuamente la sacralità della vita, intesa come un continuum dal momento del concepimento A.
BALDASSARRE, Le biotecnologie e il diritto costituzionale, in M. Volpi (a cura), Le biotecnologie: certezze e interrogativi, Bologna, 2001,
25 e L. VIOLINI, Tra scienza e diritto: riflessioni sulla fecondazione medicalmente assistita, in Procreazione assistita: problemi e prospettive,
Atti del Convegno di Roma del 31 gennaio 2005, a cura dell’ISLE, Fasano (BR), 2005, 474. Analogamente per C. CASINI, Essere
umano o cosa? Problema laico, in Notizie di Politeia, 2005, n. 77, 21, “dal momento della fecondazione scocca la scintilla che
innesca lo sviluppo, continuo, inarrestabile se non vi è patologia o azione esterna, senza salti di qualità, che dà inizio ad una
entità della specie umana, unica, irripetibile, insostituibile”. Sulla configurabilità di un “dovere morale di trattare l’embrione
(…) secondo i criteri di rispetto e tutela che si debbono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce
comunemente la caratteristica di persone” cfr. F. D’AGOSTINO, Presentazione, in Comitato Nazionale di Bioetica, Identità e
statuto dell’embrione umano, a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l’informazione e l’editoria,
Roma, 1996, 6. Sempre con riguardo alla necessità di apprestare un’adeguata tutela a favore del frutto del concepimento, che
non può certo essere assimilato a un “mero materiale biologico”, ad un semplice “insieme di cellule”, il Comitato Nazionale
di Bioetica, ibidem, 25, precisa poi come tale particolare tutela dovrà essere riconosciuta “a prescindere dal fatto che
all’embrione venga attribuita sin dall’inizio con certezza la caratteristica di persona nel suo senso tecnicamente filosofico
oppure che tale caratteristica sia ritenuta attribuibile soltanto con un elevato grado di plausibilità, oppure che si preferisca
non utilizzare il concetto tecnico di persona e riferirsi soltanto a quell’appartenenza alla specie umana che non può essere
contestata all’embrione sin dai primi istanti e non subisce alterazioni durante il suo successivo sviluppo”.
34 Corte costituzionale, sentenza n. 48 del 2005, in Giurisprudenza costituzionale, 2005. In particolare, in relazione alla portata
meramente enunciata in essa riconosciuta al disposto di cui all’art. 1 della L. n. 40 del 2004, S. PENASA, La procreazione
medicalmente assistita: due modelli a confronto, in E. Camassa - C. Casonato (a cura di), La procreazione medicalmente assistita: ombre e
luci, Trento, 2005, 100, nota n. 18, evidenzia come “non appare forzato ricavare dalle parole del giudice costituzionale la
volontà di neutralizzare l’efficacia cogente ed innovativa della qualificazione soggettiva del concepito compiuta dal
legislatore”.
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Anche sotto tale profilo, allora, la paventata capacità abrogativa della legge 40 del 2004 delle
disposizioni della 194 del 1978 risulta sfornita, dal punto di vista giuridico, di solide basi argomentative.
Del resto, in dottrina non è mancato chi ha ridimensionato la portata che tale specifico profilo
d’indagine assume nel più vasto contesto della problematica in esame, evidenziando come la ricerca di
una rigorosa risposta all’interrogativo concernente la reale ovvero presunta capacità abrogativa delle
disposizioni di legge sulla procreazione medicalmente assistita debba svilupparsi nella consapevolezza
che “un conflitto tra le disposizioni a tutela dell’embrione e quella volta alla tutela del diritto della
donna a porre termine alla gravidanza potrebbe comunque porsi solo sul presupposto che l’attuale
normativa avesse, dal punto di vista della gerarchia delle fonti del diritto, lo stesso valore della legge n.
194. Se così fosse, infatti, potrebbe essere possibile concludere (…) per la prevalenza della più recente
normativa rispetto alla più anziana”35.
Ma, può la legge 40 del 2004 dirsi, al pari della 194 del 1978, una legge “a contenuto
costituzionalmente vincolato”?
4. Al fine di dare risposta all’interrogativo da ultimo posto al centro dell’analisi la riflessione si
apre alla disamina di quella complessa giurisprudenza che, elaborata dalla Corte costituzionale in
occasione della definizione del giudizio di ammissibilità dei diversi quesiti referendari proposti con
riferimento al testo della legge sulla procreazione medicalmente assistita36, finisce inevitabilmente per
segnare il dibattito volto alla specificazione del complessivo sistema normativo vigente in tema di
procreazione cosciente e responsabile.
È proprio nelle pronunce rese nell’occasione, infatti, che l’interrogativo de quo trova una sua
esplicita quanto controversa definizione.
In particolare, nel negare l’ammissibilità della richiesta di sottoporre a referendum l’intera L. n. 40
del 200437, i giudici costituzionali, appellandosi alla pronuncia n. 16 del 1978 e alle successive sentenze a
In tal senso, cfr. R. VILLANI, Il presunto contrasto delle nuova normativa con la legge n. 194 del 1978 sull’interruzione
volontaria della gravidanza, in La procreazione assistita, Torino, 2004.
36 Si tratta della giurisprudenza elaborata dalla Corte costituzionale, per mezzo delle sentenze nn. 45, 46, 47 e 48 del
2005, in Giurisprudenza costituzionale, 2005, in occasione del giudizio di ammissibilità svolto con riferimento ai diversi quesiti
referendari proposti allo scopo di abrogare ora singole disposizione della legge 40 del 2004, ora invece l’intero testo
normativo. Più precisamente, oggetto di richiesta abrogativa parziale in via referendaria sono state, nell’occasione, le diverse
disposizioni opponenti severi limiti alla ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni [art. 12, comma 7; art. 13 comma 2; art.
13, comma 3, lett. c); art. 14, comma 1, limitatamente a talune parole specificate nel corpo del quesito referendario]; nonché
i diversi articoli concernenti i requisiti soggettivi di accesso alla procreazione medicalmente assistita [art. 1, comma1; art. 1,
comma 2; art. 4, comma 1; art. 4, comma 2; art. 5, comma 1; art. 6, comma 3; art. 13, comma 3, lettera b); art. 14, comma 2;
art. 14, comma 3, anche in questo caso limitatamente a talune parole specificate nel corpo del quesito referendario]. Sono
state altresì oggetto di richiesta abrogativa, ancora una volta parziale, le diverse norme sulle finalità, i diritti dei soggetti
coinvolti, e sui limiti di accesso [art. 1, comma 1; art. 1, comma 2; art. 4, comma1; art. 4, comma 2, lettera a); art. 5, comma
1; art. 6, comma 3; art. 13, comma 3, lettera b); art. 14 comma 2; art. 14, comma 3, sempre limitatamente alle parole indicate
nel quesito referendario]. Infine, sempre agli elettori si è chiesto di pronunciarsi in merito all’abrogazione del divieto di
fecondazione eterologa legislativamente fissato [art. 4, comma 3; art. 9, comma 1; art. 9, comma 3; art. 12, comma 1; art. 12,
comma 8, comunque e sempre nei limiti delle parole indicate come possibile oggetto di abrogazione dal quesito]. Su tali
richieste, e in senso affermativo, la Corte specificamente si pronuncia con le sentenze nn. 46,47 e 48. Al contrario, la
possibilità di un’abrogazione totale della legge in esame per mezzo del ricorso al popolo, è stato esclusa dai giudici
costituzionali con sentenza n. 45. Per un’analisi critica dei contenuti delle sentenze de quibus si rimanda, oltre che al già citato
commento di G. MONACO, Il referendum per l’abrogazione della legge sulla procreazione medicalmente assistita di fronte al limite delle “leggi
costituzionalmente necessarie”, agli scritti di P. CAVANA, Appunti sulla l. n. 40/2004 e sui quesiti referendari in materia di procreazione
medicalmente assistita, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2005, 418 ss.; E. LAMARQUE, I referendum sulla procreazione medicalmente
assistita, in Famiglia e diritto, 2005, 195 ss.; L. LEPRI GALLERANO, Storia di un silenzio. Le recenti sentenze sull’ammissibilità del
referendum sulla procreazione medicalmente assistita alla luce della precedente giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Rassegna
dell'avvocatura dello stato, 2005, 105 ss.; A. PUGIOTTO, È ancora ammissibile un referendum abrogativo totale?, in Forum dei quaderni
costituzionali; quindi in Quaderni costituzionali, 2005, 545 ss.; ora in M. Ainis (a cura di), I referendum sulla fecondazione assistita,
Milano, 2005. Sempre di A. PUGIOTTO, si legga, in argomento, anche Referendum sulla procreazione medicalmente assistita:
affollamento a Corte e fuga dal referendum, in Quaderni costituzionali, 2005. Ivi si leggano altresì i saggi di: E. LAMARQUE, Referendum
sulla procreazione assistita: l’inammissibilità del quesito totale; e D. TEGA, Referendum sulla procreazione assistita: del giudizio di
ammissibilità per valori.
37 Corte costituzionale, sentenza n. 45 del 2005 cit.
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questa immediatamente collegate38, sembrerebbero al tempo stesso trovare nei principi da queste
espresse non solo indicazioni utili ai fini delle definizione del giudizio di ammissibilità di cui sono
investiti ma anche l’immediato precedente di una giurisprudenza che, nelle intenzioni dell’estensore
della pronuncia in commento, dovrebbe trovare in questa una sua ricostruzione sistematica.
Ma, al di là dell’apparente chiarezza di intenti, fatti oggetto di una rigorosa analisi i diversi
momenti in cui si articola il decisum dei giudici costituzionali dimostrano chiaramente quanto sia arduo
riscontrare, nella giurisprudenza costituzionale in tema, quella linearità e quella coerenza che la Corte
stessa sembrerebbe invece suggerire, additando nel lontano precedente del 1978 quasi l’incipit di un
percorso linearmente svoltosi negli anni ed infine approdato nella definizione della questione decisa con
la sentenza de qua39.
Ed infatti, chi ripercorra le tappe della successiva evoluzione della giurisprudenza costituzionale
in tema, noterà immediatamente come, già a partire dalla sentenza n. 27 del 1987, quell’unitarietà della
categoria delle “leggi a contenuto costituzionalmente vincolato” che parrebbe trasparire dalla pronuncia
del 1978 finisca per disperdersi attraverso la riconduzione, all’interno della stessa, di due distinte ipotesi:
quella delle “leggi ordinarie che contengono l’unica necessaria disciplina attuativa conforme alla norma
costituzionale”; e quella delle “leggi ordinarie la cui eliminazione ad opera del referendum priverebbe
totalmente di efficacia un principio od un organo costituzionale”. E ciò mentre nella successiva
sentenza, la n. 35 del 1997, resa in tema di ammissibilità di talune richieste referendarie aventi ad
oggetto specifiche disposizioni della legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, la dichiarazione
di inammissibilità viene invece giustificata dall’esigenza di assicurare “una tutela minima per situazioni
che tale tutela esigono secondo la Costituzione”. Ancor più di recente, quindi, precisamente con le
sentenze nn. 42 e 49 del 2000, e in special modo con l’ultima, la Corte, nel tentativo di puntualizzare
ancor meglio la giurisprudenza fin qui elaborata in tema, ha precisato che le leggi costituzionalmente
necessarie “in quanto dirette a rendere effettivo un diritto fondamentale della persona” possono sì
essere modificate dal legislatore, ma non “puramente e semplicemente”.
In sostanza, anche la semplice lettura delle sole affermazioni di principio contenute nelle
successive sentenze rese dalla Corte in argomento, dimostrano chiaramente le difficoltà sopra
denunciate in ordine all’individuazione dell’esatta portata della nozione di “leggi a contenuto
costituzionalmente vincolato”.
Difficoltà che finiscono peraltro per accentuarsi alla luce di una più puntuale analisi dei
contenuti di talune delle pronunce appena citate, che, lungi dall’esprimere il senso della continuità
rispetto ai precedenti, costituiscono piuttosto dei “momenti di rottura” nella giurisprudenza della
Corte40. Basti in questo senso anche solo accennare alla sentenza n. 29 del 1987 e alla precisazione in
essa contenuta con riferimento agli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale”, i quali, stando a
quanto sentenziato dai supremi giudici, “non possono essere esposti alla eventualità, anche soltanto
teorica, di paralisi di funzionamento”, cosicché soltanto il legislatore potrà abrogare le relative norme,
sostituendole con altra disciplina. “Dalla categoria della leggi a contento costituzionalmente vincolato si
è di fatto – ma non esplicitamente – passati a quella delle leggi costituzionalmente necessarie, o quanto
meno si sono poste le basi”41. E, d’altro canto è difficile non cogliere il salto logico che, con la sentenza
n. 35 del 1997, la Corte costituzionale compie rispetto al precedente costituito dalla sentenza n. 26 del
1981. Se, infatti, con tale sentenza la Corte costituzionale si era pronunciata per l’inammissibilità della
proposta referendaria sottoposta al suo giudizio per il fatto di ritenere che l’eventuale approvazione
della stessa avrebbe dato luogo ad effetti incostituzionali: “sia nel senso di determinare vuoti suscettibili
di ripercuotersi sull’operatività di qualche parte della Costituzione; sia nel senso di privare della
necessaria garanzia situazioni costituzionalmente protette”, nella successiva sentenza, la n. 35 del 1997,
pur continuando ad impiegare il medesimo limite delle disposizioni a contenuto costituzionalmente
In ordine di tempo si ricordino le sentenze nn. 25 del 1981, in Giurisprudenza costituzionale, 1981; 26 del 1981, in
Giurisprudenza costituzionale, 1981; 27 del 1987, in Giurisprudenza costituzionale; 35 del 1997, in Giurisprudenza costituzionale, 1997;
42 e 49 del 2000, entrambe in Giurisprudenza costituzionale, 2000.
39 In argomento, G. MONACO, ult. op. cit.
40 Al riguardo, cfr. G. MONACO, ult. op. cit.
41 Sul punto, cfr. G. MONACO, ibidem.
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vincolato, intende quest’ultimo nel senso che l’eventuale abrogazione delle disposizioni oggetto di
richiesta di abrogazione in via referendaria avrebbe reso “nullo il livello minimo di tutela necessaria
della maternità, dell’infanzia e della gioventù”.
Insomma, ricostruito attentamente, attraverso la lettura delle singole pronunce della Corte
rilevanti in tema, il relativo panorama giurisprudenziale evidenzia “un allontanamento sempre più
marcato dai principi individuati nella sentenza n. 16/78”42.
Ed è proprio questo panorama, in cui deve naturalmente inscriversi anche la sentenza n. 45 del
2005, a subire infine una sostanziale complessificazione in forza delle considerazioni che,
nell’occasione, i giudici costituzionali sviluppano a proposito della natura della legge sulla procreazione
medicalmente assistita ai fini della sottrazione del suo testo alla richiesta di abrogazione referendaria
totale.
In effetti, a rileggere tra le maglie della sentenza de qua, solo all’apparenza di semplice lettura,
risulterà evidente che, ai fini indicati, la Corte questa volta ricorre specificamente al limite delle leggi
“costituzionalmente necessarie”. Una categoria questa in cui, come riconosce lo stesso Giudice delle
Leggi nell’occasione, sono da ricomprendersi tutte quelle leggi che assicurino il livello minimo di tutela
dei diritti che vanno garantendo, quale risulta richiesto o imposto dalla Costituzione.
Ma, ad approfondire le considerazioni che la Corte nell’occasione sviluppa nel riferire il limite de
quo alla legge 40 del 2004, è facile notare come la categoria espressamente richiamata subisca per così
dire delle distorsioni tali da introdurre in essa “un’inedita variante”43. Ed infatti, rispetto ad argomenti
più tradizionali e consolidati, come la verifica del bilanciamento operato dal legislatore, nella decisione
in commento prevale la tesi che “il vincolo costituzionale, da cui discende il carattere inabrogabile della
legge, può anche riferirsi (…) al fatto che una disciplina legislativa comunque sussista”, indispensabile al
fine di assicurare il “livello minimo di tutela legislativa” dei molteplici interessi coinvolti nella materia”44.
È impossibile non accorgersi della variante introdotta.
Alla capacità della legge di garantire un “livello minimo di tutela costituzionale”, da sempre
ritenuta qualità fondamentale ai fini della qualificazione dell’atto normativo primario come
“costituzionalmente necessario”, si sostituisce qui il riferimento all’idoneità dello stesso a realizzare un
“livello minimo di tutela legislativa”.
In applicazione del limite predetto si spiegano allora le conclusioni che la Corte rassegna in
ordine alla portata della legge sulla procreazione medicalmente assistita che, per il solo fatto di essere
“la prima disciplina organica relativa ad un delicato settore che (…) coinvolge una pluralità di rilevanti
interessi costituzionali” è perciò stessa sottratta ad abrogazione, in quanto unica disciplina in grado di
assicurare, ai medesimi interessi, un livello minimo di tutela legislativa.
Soprattutto, la diversa portata del limite così introdotto nella definizione del giudizio di
ammissibilità del referendum abrogativo, per mezzo del cambio del predicato qualificativo (non più
livello minimo di tutela costituzionale, ma legislativa), dà ragione della sostanziale coerenza del quadro
risultante dal tenore complessivo delle sentenze rese dalla Corte con riferimento alle richieste di
abrogazione della L. n. 40 del 2004, nella sua totalità e contestualmente in sue singole disposizioni.
In particolare, l’esigenza di preservare l’esistenza di una disciplina legislativa della procreazione
medicalmente assistita spiega, infatti, perché siano, al tempo stesso, possibili sue modifiche o
sostituzioni con altre discipline, ma non anche una sua abrogazione pura e semplice.
Conseguentemente, qualora, prendendo le mosse da quanto espressamente sentenziato dalla
Corte nella sentenza de qua, si volesse procedere a dare risposta all’interrogativo d’apertura dell’analisi
che si sta svolgendo in argomento si potrebbe non a torto ritenere che essa possa essere solo negativa,
così come, conseguentemente, negativa deve ritenersi la risposta da dare alle sempre pressanti domande
poste da certa parte della dottrina a proposito di una possibile abrogazione della legge sull’interruzione
volontaria della gravidanza per effetto della promulgazione della più recente legge sulla procreazione
Così, cfr. G. MONACO, ibidem.
Così, A. PUGIOTTO, ult. op., cit.
44 Si tratta di un profilo ben colto da A. PUGIOTTO, ibidem; nonché da A. MUSUMECI, I referendum e la legge sulla
procreazione medicalmente assistita. Note a margine su un dialogo (impossibile) tra Parlamento, Corte costituzionale e corpo elettorale, in
www.costituzionalismo.it
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medicalmente assistita45. A differenza, infatti, della prima, quest’ultima, non opera, tra i diversi beni e
valori di rilevanza costituzionale coinvolti nella vicenda procreativa, quell’unico bilanciamento
considerato conforme a Costituzione. Piuttosto, essa si limita ad assicurare a questi “un minimo di
tutela legislativa”. E ciò, se da un lato determina un preoccupante restringimento dell’area di
ammissibilità di un referendum abrogativo totale46, d’altro canto, proprio per il profilo in questione,
rimarca la preminenza che la L. n. 194 del 1978, rectius il bilanciamento di valori in esso operato dal
legislatore, riveste nel complessivo quadro normativo rilevante in tema.
5. Poste a base della ricerca finalizzata a definire la portata dell’inciso contenuto nell’art. 14,
comma 1, legge 40/04, le considerazioni fin qui svolte evidenziano allora come il rimando che in esso il
legislatore del 2004 effettua al più risalente testo della L. n. 194 del 1978 trovi la sua ratio nell’esigenza di
assicurare, nella ricorrenza dei presupposti fissati da quest’ultima ai fini dell’interruzione volontaria della
gravidanza, l’inoperatività dei divieti di soppressione e crioconservazione degli embrioni ivi sanciti. Ciò
che equivale a riconoscere che, qualora la diagnosi pre-impianto sull’embrione dovesse dare certezza di
“gravi processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni che determinano
un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”, gli interessi di quest’ultima prevalgono su
quelli dell’embrione47.
È indubbio, infatti, che una tale interpretazione, peraltro non in contrasto con il senso delle
espressioni letterali utilizzate nel testo, risulti conforme, sia sul piano assiologico che pratico, con
l’ordine di tutela fra interessi costituzionalmente rilevanti prefigurato nella Costituzionale così come
interpretato dalla Corte a partire dal 197548 e con le disposizioni contenute nella L. n. 194 del 78,
facendo venir meno le censure di illogicità e irragionevolezza49.
Ma, se è alla luce dell’ordine di tutela già cristallizzato dal giudice costituzionale nelle diverse
pronunce rese a far data dal 1975, e quindi positivizzato dal legislatore nella normativa sull’interruzione
volontaria della gravidanza che devono risolversi le diverse problematiche che la lettura di tale testo
pone in rapporto alle diverse disposizioni dettate in tema di procreazione medicalmente assistita, è
indubbio che la piena consapevolezza dei termini di tale bilanciamento può certo favorire una più
rapida individuazione, all’interno della L. n. 40 del 2004, di quelle disposizioni che negano o
contraddicono il bilanciamento in parola; non potendosi a ciò opporre la natura costituzionalmente
necessaria del testo normativo de quo. Che la legge 40 del 2004 sia tale, infatti, non significa affatto che
essa non possa presentare profili di illegittimità50!
In tal senso, allora, e senza ripercorrere puntualmente la complessa giurisprudenza
costituzionale in tema, conviene appena ricordare quanto, tra lo altro, affermato dalla Corte nella
sentenza n. 35 del 1997; sentenza, questa, in cui l’inscrizione del diritto alla vita tra i diritti inviolabili
della persona si accompagna alla precisazione che la piena disponibilità, da parte delle gestante, della
pluralità di interessi coinvolti nella pratica abortiva non può essere affermata dal legislatore, o introdotta
indirettamente mediante l’abrogazione referendaria del sistema garantistico espresso dalla L. n. 194.
Si tratta di una valutazione che M. D’AMICO, Il giudice costituzionale e l’alibi del processo, in Giurisprudenza costituzionale,
2006, ripete alla luce dei contenuti dell’ordinanza n. 396 del 2006 della Corte costituzionale. Secondo la giurista, infatti, con
tale ordinaza “la Corte ha già implicitamente tracciato una propria interpretazione che non esclude e non svaluta il
bilanciamento operato dalla l. n. 194/78, né tantomeno ritiene che la l. n. 40/04, successiva e (formalmente) incompatibile,
ne abbia abrogato una parte”.
46 Specificamente su questo punto, cfr. A. PUGIOTTO, ibidem
47 È questa l’interpretazione proposta da A. SANTOSUOSSO, La procreazione medicalmente assistita. Commento alla l. 19
febbraio 2004 n. 40, Milano, 2004, secondo cui lo stretto collegamento fra le prime e le seconde parole della medesima norma
del comma 1 dell’art. 14 sta a significare che “<<quanto previsto>> dalla legge n. 194/1978 opera come eccezione e quindi
cone norma speciale rispetto al generale divieto”. Analogamente, M. DOGLIOTTI, Una prima pronuncia sulla procreazione assistita:
tutte infondate le questioni di legittimità costituzionale?, cit.
48 Il riferimento è alla sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 1975, in Giurisprudenza costituzionale, 1975.
49 Al riguardo, cfr. G. BALDINI, La legge sulla procreazione medicalmente assistita: profili problematici, prime esperienze
applicative e prospettive, in Rassegna di diritto civile, 2006.
50 Sul punto, F. MODUGNO, La fecondazione assistita alla luce dei principi e della giurisprudenza costituzionale, in Rassegna
parlamentare, 2005.
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Ciò significa insomma che il mantenimento delle condizioni minime di protezione di tale
pluralità di interessi costituisce un vincolo direttamente discendente dalla Costituzione.
In tale prospettiva, allora, pare evidente che i diritti del concepito-nascituro richiedono un
bilanciamento con gli altri diritti costituzionali, con i quali può venire in collisione.
Ma, quali sono o potrebbero essere i diritti a fronte dei quali i diritti dell’embrione potrebbero
incontrare limitazioni, compressioni o addirittura violazione?
Astrattamente, se ne possono individuare di due tipi: da un lato il diritto della coppia ad avere
figli e il diritto alla salute della madre; dall’altro la libertà di ricerca scientifica.
Tuttavia, se con riferimento ai problemi di compatibilità del divieto assoluto di sperimentazione,
produzione, crioconservazione e soppressione di embrioni con gli artt. 9 e 33 Cost. la soluzione
affermativa della fondatezza dei dubbi di costituzionalità sembrerebbe chiaramente suggerita
dall’incapacità delle disposizioni de quibus a realizzare gli obiettivi che la legge stessa annovera
espressamente tra le proprie finalità, assai più problematico si configura, invece, il bilanciamento
costituzionale dei diritti dell’embrione con quelli di un’altra persona umana51.
In altri termini detto, è indubbio che il fine della legge può dirsi raggiunto quando si vieta la
produzione di nuovi embrioni per destinarli ab origine alla ricerca scientifica ma non quando si vieta la
sperimentazione su embrioni già esistenti; sicché, per questi profili, la legge è chiaramente contraria alla
Costituzione.
Al contrario, la soluzione in merito a quale possa dirsi l’esatta configurazione del bilanciamento
costituzionale dei valori rilevanti in tema di procreazione nel momento in cui l’esistenza dell’embrione
va pesata con l’esistenza di un’altra persona necessita del costante richiamo alla giurisprudenza della
Corte, la quale ha ripetutamente sottolineato che “ciò che la Costituzione non consente di toccare (…)
è quel nucleo di disposizioni che attengono alla protezione della vita del concepito quando non siano
presenti esigenze di salute e di vita della madre, nonché quel complesso di disposizioni che attengono
alla protezione della donna gestante”, con ciò autorizzando a profilare un diverso statuto dell’embrione
a seconda che si trovi in vitro … o in vivo”52. Rispetto a questo tipo dei bilanciamento, allora, sembra
chiaro che le disposizioni che si palesano come più problematiche sono quelle che vietano la revoca del
consenso dopo la fecondazione dell’ovulo; o anche quelle che sanciscono l’obbligo di non produrre più
di tre embrioni, che devono essere impiantati contemporaneamente nell’utero materno. E ciò per tacere
dei tanti dubbi di legittimità costituzionale che alimenta il divieto di ricorrere alla PMA per le coppie
fertili portatrici di patologie trasmissibili al concepito.
La prima delle disposizioni menzionate, in effetti, alimenta seri dubbi di costituzionalità per la
violazione dell’art. 32, comma 2, Cost.; per aver anteposto la vita dell’embrione alla salute psico-fisica
della donna, che è già persona; per aver predisposto mezzi incongrui rispetto al fine perseguito, pare
proprio che l’art. 6, co. 3, legge n. 40 del 2004, non possa non incorrere in una censura di
incostituzionalità.
Al contrario, dalla disposizione che sancisce l’obbligo di non produrre più di tre embrioni pare
potersi desumere che il legislatore possa imporre al medico l’obbligo di utilizzare una metodologia non
solo non ottimale, ma addirittura contraria alla deontologia e all’etica medica. Tuttavia, poiché la
violazione delle regole di buona pratica medica porta come conseguenza anche la violazione della
Costituzione, ed in particolare dell’art. 32 (sent. 282/2002), il legislatore, pur chiamato a intervenire in
materia di procreazione medicalmente assistita, data la presenza di rilevanti interessi costituzionali da
tutelare, avrebbe dovuto farlo sulla base degli indizi ricavabili dallo stato delle conoscenze scientifiche e
delle evidenze sperimentali acquisite e verificate da parte degli organismi competenti. Cosa che, invece,
non ha fatto. Di nuovo, quindi, l’incostituzionalità per difetto di bilanciamento e di congruenza mezzifine appare evidente; e anche per questo profilo la legge pare dover incorrere in censura di
incostituzionalità.
51 A tal proposito, si rimanda alle considerazioni svolte da C. TRIPODINA, Studio sui possibili profili di incostituzionalità
della legge n. 40 del 2004 recante “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, in Diritto pubblico, 2004.
52 Corte costituzionale, sentenza n. 35 del 1997, cit.
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Da ultimo, con riferimento al divieto di ricorrere alla PMA per le coppie fertili portatrici di
patologie trasmissibili al concepito, va da sé che il fine perseguito dal legislatore è quello di eviatre che
queste, alla luce di una diagnosi pre-impianto, decidano di selezionare gli embrioni da impiantare
In ogni caso, però, tali coppie possono poi ricorrere all’aborto. Ecco, dunque, che, risulta
irragionevole e lesivo del preminente interesse della donna, dal momento in cui tutti presupposti di
legge per farsi luogo all’interruzione volontaria della gravidanza siano conosciuti in un momento
anteriore all’impianto, e vi sia la volontà della donna contraria all’impianto, mettere a repentaglio la sua
salute obbligandola al trasferimento ed al successivo aborto. Per queste ragioni allora,, anche tale
limitazione non pare raggiungere il miglio bilanciamento di tutti i diritti costituzionali coinvolti e
predisporre mezzi congrui al fine che si prefigge.
A favore del diritto d’accesso alla PMA anche da parte dei soggetti esclusi si potrebbe avanzare
una violazione del loro diritto alla salute, intesa come pieno benessere psico-fisico, da raggiungersi nei
casi di specie anche attraverso l’esperienza della genitorialità. Ma, assumendo il diritto alla salute in
un’accezione fissata, la questione relativa alla sua violazione rimane assorbita in quella dell’eventuale
violazione da parte della legge del “diritto alla procreazione”, inteso come diritto di ogni persona,
singola o in coppia. Ma, se no è dubbio che tale diritto goda di tutela costituzionale, resta da valutare il
quomodo e il quantum di tale tutela. A questo proposito si può concordare con quella dottrina che ritiene
discutibile che esista un diritto individuale a procreare.
Alla luce di ciò, la scelta del legislatore non appare sprovvista di ragionevolezza, né per il fine
che persegue né per gli strumenti che predispone a tal fine
Con riferimento, infine al divieto di eterologa, laa critica principale avverso tale disposizione è
che uomini e donne totalmente sterili, a causa di tale divieto, si vedono preclusa la possibilità di dare
figli al partner e di diventare essi stessi genitori. Inoltre, tale divieto comporterebbe l’esclusione di
uomini e donne dall’accesso ad un trattamento sanitario - la PMA appunto - in ragione della maggior
gravita della loro sterilità. Tale divieto può essere difendibile con il ricorso ad almeno due argomenti: in
primo luogo, con la volontà di garantire al concepito un quadro parentale non frammentario; in
secondo luogo, con il fine di assicurare un’identità biologica certa al nato. Gli avversari del divieto,
invece, fanno leva sul fatto che tale divieto non sarebbe risolutivo, in quanto spingerebbe alle cd.
procreazioni naturali pilotate e comunque contrastando il principio del fondamento biologico del
legame parentale. Tuttavia, il fatto che vi siano argomenti tanto a favore che contro l’eterologa mostra
come questo sia un nodo la cui soluzione dipende dalla discrezionalità politica del legislatore53.
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Al riguardo, cfr. da C. TRIPODINA, ult. op., cit.; nonché F. MODUGNO, ult. op., cit.
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