VIII INCONTRO Assedi di Gaeta, di Messina e di

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VIII INCONTRO Assedi di Gaeta, di Messina e di
VIII INCONTRO
Assedi di Gaeta, di Messina e di Civitella del Tronto
Conclusioni con qualche osservazione
L’episodio più cruento, in assoluto, della storia d’Italia è stato l’assedio di Gaeta, dal
9 novembre 1860 al 13 febbraio 1861. Gli storici rinascimentali, prezzolati, hanno
fatto di tutto affinchè le future generazioni, a partire dal 1861, conoscessero
l’episodio assolutamente falso poiché gli stessi governanti, Cavour e Vittorio
Emanuele, gli Inglesi ed i Francesi se ne vergognavano per le azioni da criminali di
guerra. I piemontesi posero l’assedio alla fortezza dove si trovavano asserragliati il re
di Napoli Francesco II e la moglie con i borbonici rimasti, ed essi difesero questo
lembo della loro Patria per dimostrare al mondo intero e ricordare alle future
generazioni che il Regno delle Due Sicilie si estingueva cedendo alla forza delle
armi. Dagli atti di Gaeta si legge:
“Tormentati da un freddo quasi siberico la città con le migliaia dei suoi abitanti,
ospitò all’interno delle alte mura ben 994 ufficiali e 13.828 soldati; solo un terzo di
loro aveva letti e coperte! (per un’idea più chiara alla fine leggeremo la poesia di
Ferdinando Russo “ ‘O surdato ‘e Gaeta”).
I bombardamenti furono terribili: Si pensi che l’8 gennaio, dopo un Natale trascorso
dai sovrani insieme alla truppa e agli ammalati, caddero sulla città più di 8 mila
“fraterne” bombe, delle 60 mila lanciate su Gaeta durante l’intero assedio,
provocando distruzioni sconvolgenti a chiese, strade e palazzi. Fu allora che decine
di marinai, mossi dallo spontaneo spirito napoletano e in disprezzo della morte, saliti
sugli spalti più esposti delle batterie, iniziarono, tra i fischi dei proiettili, a ballare
tarantelle, inviando ai nemici pernacchi ed insulti, per poi, stanchi, sedersi a giocare
platealmente a tressette! Tuttociò dinanzi agli increduli occhi degli ufficiali
piemontesi che, anneriti dalla rabbia, assistevano, attraverso i binocoli, a quel
denigratorio spettacolo. L’eterna vitalità del popolo meridionale!
Durante il cannoneggiare, costante scheggiò nell’aria polverosa della città, il dolce
motivo dell’Inno Reale di Paisiello accompagnato dai canti fieri, a volte lacerati dal
dolore, dei soldati.
Il 5 febbraio, alle quattro pomeridiane, un terribile scoppio fece tremare l’intera
città, presto oscurata da immense colonne di fumo. Non appena la visibilità ritornò
sufficiente ci si accorse della tragedia: esplodendo l’attigua polveriera, dotata di più
di sette tonnellate di polvere e 40 mila cartucce, l’intero bastione Sant’Antonio col
vicino “Denti di Sega” erano saltati in aria provocando una breccia, vicino alla
Porta di Terra, di quasi 40 metri. Delle batterie e del vicino quartiere cittadino non
rimasero che una montagna di macerie. Sconvolgente il numero delle vittime: più di
400 tra militari e civili, per non parlare dei feriti. Iniziano così i giorni più tristi
dell’assedio. Inoltre, ai sempre più insistenti bombardamenti, infuria da qualche
tempo un nuovo grande nemico : il tifo.
Decine di soldati e cittadini vengono giornalmente stroncati da questo male allora
incurabile.
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La guarnigione è esausta e a brandelli, ma ciononostante, nell’ultimo Consiglio di
Difesa convocato l’8 febbraio i trentuno ufficiali superiori, incitati dalla truppa,
coraggiosamente deliberarono all’unanimità la resistenza ad oltranza.
L’odore di morte umana intanto si mescolava a quello orribile dei cavalli , i famosi
Persani (che un secolo dopo avrebbero fatto la fortuna dei fratelli D’Inzeo). Presenti
in quasi un migliaio nella Piazza, accecati dalla fame, iniziarono ad attraversare
all’impazzata la città, nutrendosi di legni, infissi e addirittura azzannando persone.
Questo spettacolo disumano doveva perfettamente corrispondere alla macabra
previsione del generale Cialdini, che pochi giorni prima aveva rifiutato il dono di
quei cavalli proprio per accrescere le già verosimili atrocità dell’assedio.
Inorridito dalle stragi, Francesco II, avendo compreso ormai di essere stato
definitivamente abbandonato al suo destino dai sovrani stranieri, l’11 febbraio
chiese una sospensione delle ostilità per trattare la resa; ma il bombardamento
italiano continuò implacabilmente. Nel pomeriggio del 13, mentre a Villa Caposele si
firmava finalmente il capitolo di resa, i proiettili piemontesi che ancora
disumanamente continuavano ad oltraggiare la città, provocarono una seconda
drammatica esplosione: una nuova altissima cortina di fumo si alzò dall’estremità
meridionale del fronte di terra. Era saltata in aria, precipitando nel mare da
un’altezza di 50 metri, la batteria Transilvania, la cui polveriera conteneva ben
diciotto tonnellate di polvere, frantumando oltre allo sperone di roccia che la
sorreggeva, i corpi di 50 soldati e 2 ufficiali, nonché l’intera famiglia del guardiano.
A Villa Caposele, davanti agli occhi esterrefatti degli ufficiali borbonici delegati a
trattare la resa, quel terribile spettacolo veniva intanto salutato da incredibili
applausi e manifestazioni di gioia da parte dei piemontesi!
Dissolta la nube di fumo un’ epica impresa apparve agli occhi di tutti: tanti valorosi,
con l’intento di salvare quei pochi feriti rimasti miracolosamente aggrappati alla
roccia a strapiombo sul mare, iniziarono a calarsi coraggiosamente lungo il pauroso
precipizio. E quale fu la risposta a questo spettacolo mozzafiato, intrapresa dagli
intrepidi piemontesi giunti fin quaggiù a liberare generosamente i popoli meridionali
dall’ atroce tirannide borbonica? Non si può provare un senso di vergogna e di
sdegno. Mentre infatti prima dell’esplosione i cannoni italiani distribuivano morte un
po’ dovunque, non appena, dopo lo scoppio, l’immagine di Gaeta ritornò chiara, il
“valoroso” Cialdini ordinò a tutte le sue batterie di concentrare il fuoco sul luogo
ove si compiva la coraggiosa opera di salvataggio. E’ assai difficile trovare nella
storia un atto più vile e crudele considerato che, proprio in quell’istante, il
macchinoso iter burocratico della capitolazione era finalmente giunto al termine:
Gaeta per l’ultima volta si era arresa. (e poi ci permettiamo di condannare le W-SS
quando le loro azioni sono state per la ferocia 100 volte più blande di quelle dei
piemontesi?)
Durante l’assedio morirono 809 soldati e 23 ufficiali duosiciliani: Successivamente,
per le malattie contratte e per le ferite riportate, morirono altri 21 ufficiali e 500
soldati.
Voglio riportare solo un breve paragrafo sul prodigarsi della regina Maria Sofia e lo
prendo dal libro di Angelo Mangone: “……. Maria Sofia fu subito un punto di
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riferimento per la nuova capitale provvisoria, la sua presenza galvanizzò gli animi e
ridestò l’entusiasmo nell’Armata…….. Sin dall’inizio dell’assedio aveva preso
l’abitudine di aggirarsi tra i cannoni e mortai, intrattenendosi familiarmente con
ufficiali e soldati e soprattutto recandosi quotidianamente negli ospedali per visitare i
feriti……. La vera eroina del dramma era Maria Sofia: l’Europa intera si
commuoveva, trepidava, per la sorte di quella giovane Wittelsbach che, impavida,
sotto il furioso cannoneggiare del nemico, rifiutava ogni riguardo particolare diretto
a proteggere l’incolumità personale, condividendo i pericoli dei suoi soldati e,
improvvisatasi infermiera, si prodigava per assistere feriti e ammalati, sorreggendo
col suo tenace esempio, il morale del marito e l’impegno dei difensori” Basta questo
aneddoto per capire il suo amore per l’Italia meridionale e per i suoi abitanti: “Il
governo piemontese, temendo negative reazioni internazionali se qualcosa di
spiacevole fosse successo alla regina, aveva proposto al comando della piazza di
innalzare una bandiera nera sull’abitazione reale, per dar modo agli artiglieri
piemontesi di riconoscerla e di evitare di colpirla. Maria Sofia, informata della
cavalleresca proposta, chiese che si consentisse di esporre il drappo nero sugli
ospedali invece che sulla propria abitazione; questo gesto di coraggiosa generosità
della sovrana, che aveva commosso persino gli avversari, aveva avuto immediata
risonanza, ingigantendone la già leggendaria fama”.
Il ministro bavarese dell’epoca , von der Pfordten, alla resa di Gaeta, commentò :
“Questa è la capitolazione della monarchia legittima e del diritto storico in Europa.
Adesso inizia il dominio della sovranità popolare democratica in forma di
imperialismo militare, mimetizzato con la truffa del suffragio universale”
E questa capitolazione per la resa di Gaeta non fu mai rispettata dai Piemontesi, essa
fu stipulata il 13 febbraio 1861 tra il generale comandante delle truppe di Sua Maestà
sarda ed il governatore della fortezza rappresentati dai sottoscritti.
Art. 1 – La piazza di Gaeta, il suo armamento compiuto,bandiere, armi, magazzini a
polvere, vestiario, viveri, equipaggi, cavalli di truppa, navi, imbarcazioni, ed in
generale tutti gli oggetti di spettanza del governo, sieno militari che civili, saranno
consegnate all’uscita della guarnigione alle truppe di S.M. Vittorio Emanuele.
Art. 2 – Domattina alle ore 7 saranno consegnate alle truppe suddette le porte e le
poterne della città dal lato di terra; non che le opere di fortificazione attinenti a queste
porte, cioè dalla Cittadella sino alla batteria Transilvania; ed inoltre Torre d’Orlando.
Art. 3 – Tutta la guarnigione della Piazza, compresi gli impiegati militari ivi
rinchiusi, usciranno con gli onori di guerra.
Art. 4 – Le truppe componenti la guarnigione usciranno con le bandiere, armi e
bagagli. Queste dopo aver reso gli onori militari, deporranno armi e le bandiere
sull’istmo; ad eccezione degli Uffiziali che conserveranno le loro armi, i loro cavalli
bardati e tutto ciò che loro appartiene; e sono facoltati altresì a ritenere presso di loro
i trabanti rispettivi.
Art. 5 – Usciranno per primo le truppe straniere, le altre in seguito, secondo il loro
ordine di battaglia con la sinistra in testa.
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Art. 6 – L’uscita della guarnigione della Piazza si farà per la porta di terra, a
cominciare dal 15 corrente alle ore 8 del mattino, in modo da essere terminata alle 4
pomeridiane.
Art. 7 – Gli ammalati e feriti soli, ed il personale sanitario degli ospedali rimarranno
nella Piazza; tutti gli altri militari ed impiegati, che rimanessero nella Piazza senza
motivo legittimo, e senza apposita autorizzazione, dopo l’ora stabilita nell’articolo
precedente, saranno considerati come disertori di guerra.
Art. 8 – Tutte le truppe componenti la guarnigione di Gaeta rimarranno prigioniere di
guerra, finchè non sienti rese la cittadella di Messina e la fortezza di Civitella del
Tronto.
Art. 9 – Dopo la resa di quelle due fortezze, le truppe componenti la guarnigione
saranno rese alla libertà. Tuttavia i militari stranieri non potranno soffermarsi nel
Regno, e saranno trasportati nei rispettivi paesi. Assumeranno inoltre l’obbligo di non
servire per un anno contro il Governo, a partire dalla data della presente
capitolazione.
Art. 10 – A tutti gli Uffiziali ed impiegati militari nazionali capitolati sono accordati
due mesi di paga, considerati in tempo di pace. Questi stessi Uffiziali avranno due
mesi di tempo, a partire dalla data in cui furono messi in libertà, o prima se lo
vogliono, per dichiarare se intendono prendere servizio nell’esercito nazionale o
essere ritirati, oppure rimanere sciolti da ogni servizio militare. A quelli che
intendono servire nell’esercito nazionale o essere ritirati, saranno, come agli altri
Uffiziali del già esercito Napolitano, applicate le norme del regio decreto dato in
Napoli il 28 novembre 1860.
Art. 11 – Gl’individui di truppa ossia di bassa forza, dopo terminata la prigionia di
guerra, otterranno il loro congedo assoluto se hanno compiuto la loro ferma ossia il
loro impegno. A quelli che non l’avessero compiuto sarà concesso un congedo di due
mesi, dopo il qual termine potranno essere richiamati sotto le armi. A tutti
indistintamente dopo la prigionia saranno dati due mesi di paga, ossia di pane e prest,
per rimpatriare.
Art. 12 – I sottuffiziali e caporali nazionali, che volessero continuare a servire
nell’esercito nazionale, saranno accettati coi loro gradi, purchè abbiano le idoneità
richieste.
Art. 13 – E’ accordato agli uffiziali, sottuffiziali e soldati esteri provenienti dagli
antichi cinque corpi svizzeri, quanto hanno diritto per le antiche capitolazioni e
decreti posteriori, fino al sette settembre 1860. Agli Uffiziali, sottuffiziali e soldati
esteri che hanno preso servizio dopo agosto 1959 nei nuovi corpi, e che non facevano
parte dei vecchi, è concesso quanto i decreti di formazione, sempre anteriori al 7
settembre 1860, loro accordano.
Art. 14 – Tutti i vecchi, gli storpi o mutilati militari, qualunque essi siano, senza tener
conto delle nazionalità, saranno accolti nei depositi degli invalidi militari, qualora
non preferissero ritirarsi in famiglia col sussidio quotidiano a norma dei regolamenti
del già Regno delle Due Sicilie.
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Art. 15 – A tutti gli impiegati civili, sia Napoletani che Siciliani racchiusi in Gaeta,
ed appartenenti ai rami amministrativo e giudiziario, è confermato il diritto al ritiro
che potrebbero reclamare, corrispondente al grado che aveano al 7 settembre 1860.
Art. 16 – Saranno provveduti di mezzi di trasporto tutte le famiglie dei militari
esistenti a Gaeta, che volessero uscire dalla Piazza.
Art. 17 – Saranno conservate agli Uffiziali ritirati, che sono nella Piazza, le rispettive
pensioni, qualora sieno conformi ai regolamenti.
Art. 18 – Alle vedove ed agli orfani dei militari di Gaeta saranno conservate le
pensioni che in atto tengono, e riconosciuto il diritto per domandare tali pensioni pel
tutto avvenire ai termini di legge.
Art. 19 – Tutti gli abitanti di Gaeta non saranno molestati nelle persone e proprietà
per le opinioni passate.
Art. 20 – Le famiglie dei militari di Gaeta, e che trovansi nella Piazza, sono poste
sotto la protezione dell’esercito del re Vittorio Emanuele.
Art. 21 – Ai militari nazionali di Gaeta, che per motivi di alta convenienza uscissero
dallo Stato, saranno pure applicate le disposizioni contenute negli articoli precedenti.
Art. 22 – Resta convenuto che dopo la firma della presente capitolazione non deve
restare nella Piazza nessuna mina carica; ove se ne trovassero, la presente
capitolazione sarebbe nulla, e la guarnigione come resa a discrezione. Uguale
conseguenza avrebbe luogo, ove si trovassero le armi distrutte a bella posta, non che
le munizioni: salvo che l’Autorità della Piazza consegnasse i colpevoli, i quali
saranno immediatamente fucilati.
Art. 23 – Sarà nominata d’ambo le parti una Commissione composta d’un Uffiziale di
Artiglieria, d’un Uffiziale del Genio, idem di Marina, idem dell’Intendenza militare ,
ossia Commissario di guerra, col personale necessario per la consegna della Piazza.
Poche cose furono rispettate di questa capitolazione nonostante la sua ferocia e la
maggior parte dei soldati ed ufficiali vennero inviati a Fenestrelle.
Nota: Esisteva a Gaeta un monumento a forma tronco piramidale costruita con pietra
bianca locale levigata. Era alto due metri e cinquanta e alla sommità vi era una croce
di ferro alta un metro. La base poggiava su una base di pietra lavica di metri dieci per
dieci e ricordava al mondo le fucilazioni colà eseguite dai piemontesi nei confronti
dei partigiani meridionali, contadini ed operai che difendevano le loro terre e le loro
fabbriche e che i piemontesi chiamavano briganti. Nel 1960, mentre si preparavano i
festeggiamenti del centenario dell’unità d’Italia, a Gaeta era in costruzione il
quartiere delle scuole pubbliche e per innalzare la palestra della scuola media
Carducci, abbatterono la piramide. Gli operai si trovarono di fronte ad uno spettacolo
orrendo: trovarono una fossa profonda dodici metri e venti di diametro, piena di
cadaveri: Erano i resti dei partigiani e civili di idee borboniche fucilati dai
piemontesi. Sotto la base nera, a circa un metro, trovarono ossa umane. Per
trasportare quelle ossa nel cimitero di Gaeta gli operai comunali impiegarono un
mese; si contarono circa duemila cadaveri, duemila scheletri che indossavano pellicce
di pecora, che calzavano ciocie, bisacce a tracolla, cappotti borbonici, i cui bottoni
vennero tutti trafugati in quanto d’argento vivo con giglio borbonico. L’ultimo mezzo
metro della fossa era impregnato di sangue, il sangue caldo che colava dai corpi dopo
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le fucilazioni sommarie. I fucilati erano per lo più cittadini filoborbonici ai quali
Cialdini dava loro la caccia senza pietà e li faceva fucilare. Furono seppelliti in quella
fossa comune dalla gente del luogo perché i cadaveri, dopo la fucilazione, dai fratelli
barbari piemontesi, venivano abbandonati sul luogo dell’esecuzione alla mercè di
uccelli e topi.
Dopo Gaeta rimanevano ancora in mano borbonica la fortezza di Messina e Civitella
del Tronto. La resa della fortezza di Messina avvenne il 13 marzo 1861 ed era
comandata dal generale borbonico Gennaro Fergola. Il Cialdini arrivò con la flotta a
Messina il 27 febbraio 1861 e subito incominciò a bombardare la città dal mare: Il
generale Fergola protestò per tale atto ricordando, con una a lettera, a Cialdini la
convenzione stipulata il 1° agosto 1860 tra il generale Medici, garibaldino, ed il
generale Clary , borbonico. Cialdini il 1° marzo rispose a Fergola con dure minacce.
Questa è la risposta: “In risposta alla lettera che mi à fatto l’onore inviarmi ieri,
debbo dirle.
1.Che il re Vittorio Emanuele, essendo stato proclamato re d’Italia dal Parlamento
di Torino, la condotta di lei sarà considerata come aperta ribellione.
2.Che per conseguenza non darò a lei né alla sua guarnigione capitolazione di sorta,
e che dovranno rendersi a discrezione.
3.Che se Ella farà fuoco sulla città, io farò fucilare dopo la presa della Cittadella
altrettanti Uffiziali e soldati della guarnigione, per quanto saranno state le vittime
del di Lei fuoco contro Messina.
4.Che i di Lei beni e quelli degli uffiziali saranno confiscati per indennizzare i danni
recati alle famiglie dei cittadini.
5.E per ultimo che consegnerò Lei ed i suoi subordinati al popolo di Messina.
Ho costume di tenere la parola, e senza essere accusato di jattanza, le assicuro che
in poco tempo ella ed i suoi saranno in mio potere.
Dopo ciò faccia come crede. Io non riconoscerò più nella S.V.Ill.ma, un militare, ma
un vile assassino, e per tale l’Europa intera.
Firmato Cialdini
Intanto Cavour scriveva a Cialdini : “L’assedio di Messina ci crea gravi fastidi e
ritarda la riorganizzazione dell’esercito. Voglia finirlo al più presto possibile. Questa
è sola istruzione che posso darvi”
Fergola rispose a Cialdini con una lettera degna di un generale borbonico, che non sto
qui a trascrivere, ben sapendo che Cialdini è stato il numero uno dei criminali di
guerra dalla nascita del mondo ad oggi. E Tito Battaglini, nel suo libro in due volumi,
ci descrive la fine di Messina e conclude. “nessuna bandiera borbonica fu trovata
nella cittadella, avendole i difensori strappate, dividendosene i brandelli come
ricordo… le truppe arrese furono, nei giorni successivi, inviate, quali prigionieri, a
Scilla, Milazzo e Reggio” e poi a Fenestrelle.
Passiamo all’ultima resistenza: Civitella del Tronto che si arrese il 21 marzo 1861.
Dopo una serie di bombardamenti con morti e distruzione i Piemontesi entrarono nel
paese.
“Entrato il 27° bersaglieri col maggiore Alessandro Finazzi, che aveva fatto aprire
Porta Napoli sgombrandola delle macerie ammassate , furono messi alla porta dei
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genieri perché nessuno fuggisse. Si ricercarono subito i malfattori, mentre la truppa
si dava al saccheggio. Giunsero a strappare le vesti e gli orecchini da dosso alle
figliolette di Santomartino. Domenico Messinelli e Zopito da Bonaventura furono
fucilati dopo due ore e tre quarti dalla presa della fortezza, senza nessun tribunale di
guerra e altra formalità, ma per semplice rappresaglia. L’esecuzione avvenne sul
piazzale del Belvedere, fuori Porta Napoli, e fu cosa agghiacciante. Alla sera sette
partigiani furono fucilati alle Ripe di Civitella e i morti furono lasciati insepolti
secondo l’usanza sarda. Fu costituito un consiglio di guerra di sei ufficiali che in
tempi successivi inflissero fucilazioni e condanne a soldati e civili fra i più attivi
nella difesa. Al Santomartino e ad altri, su richiesta di ufficiali francesi, sospesero la
morte che fu commutata con 24 anni di galera nel carcere di Savona dove il
Santomartino, tentando di fuggire, fu trucidato, lasciando così la giovane moglie e
cinque fanciulli. Quattordici disgraziati furono fucilati a Santa Croce di
Montefultreone, ma altre fosse di scheletri ammucchiati furono trovati nel corso di
lavori stradali. Fu affannosamente cercato, con taglia di 400 lire e condono di reati,
padre Leonardo Zilli da Campotosto che fu trovato alle ore 14 del 27 marzo, per
delazione di un ex artigliere, certo Capachietti di Nereto. Messo nell’orrido carcere
del “coccodrillo” nella fortezza, da anni non più usato dai Borboni, fu condannato a
morte e fucilato sullo spiazzo del Belvedere alle 10,35 del 3 aprile, nonostante gli
fosse stata assicurata la grazia. Chiese i sacramenti ma non gli fu concessa la
comunione. Chiese di essere sepolto nella sua chiesa di San Francesco, ma gli fu
negato. Doveva morire da brigante. Fu assistito dal tremante curato di San Lorenzo,
don Beniamino Da Pacifis, che ebbe assicurazione e conforto dallo stesso
condannato. 291 prigionieri, questi erano i soldati rimasti nel forte al momento della
resa, furono fatti dai piemontesi. I sopravvissuti alle fucilazioni ed alla galera furono
condotti in colonna, con le loro famiglie ad Ascoli dove la giunta comunale aveva
fatto affiggere un manifesto che ordinava di accogliere con rispetto quei reduci che
avevano, con grande amore, compiuto il loro dovere di valorosi soldati.
Nel periodo dell’assedio i borbonici ebbero 58 morti e 18 feriti mentre i piemontesi
11 morti e 31 feriti.
Dal 25 marzo 1861 fu effettuata la demolizione del forte anche con mine, per raderlo
al suolo. Così finì l’ultimo baluardo del Regno delle due Sicilie, l’estrema rocca della
legittimità. La bandiera della Reale Piazza non fu mai trovata e tanti fatti e tante
verità rimasero sepolte sotto quella fortezza.
Vogliamo ancora ricordare che tanti documenti furono distrutti nel secolo scorso e
tanti sono ancora da vedere ma li tengono nascosti per non rivelare le vergogne dei
piemontesi.
Per concludere riepiloghiamo, dal libro di Gustavo Rinaldi, i punti più salienti da
rimarcare:
1. Prima della rivoluzione francese, il governo borbonico aveva intrapreso la strada
delle riforme per superare il sistema feudale e per porre rimedio a due secoli
disastrosi di governo vicereale, spagnolo e austriaco.
2. I Napoletani (così si identificavano gli abitanti degli Abruzzi, della Campania,
delle Calabrie, delle Puglie, della Lucania e del Molise) quasi tutti si opposero,
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con grande ostinazione ed enorme spargimento di sangue, alla prima invasione
francese : memorabili restano le tre giornate di Napoli.
3. La Repubblica Partenopea del 1799 fu una Repubblica fantoccio, guidata e
manipolata dagli invasori francesi.
4. La repressione che seguì alla caduta di quella Repubblica, dopo la vittoriosa
sollevazione popolare organizzata dal cardinale Fabrizio Ruffo, fece solo un
centinaio di vittime a fronte delle decine di migliaia di napoletani che caddero
sotto il fuoco francese o trapassati dalle baionette fraterne dei giacobini locali.
5. Prima dell’unità d’Italia, il Regno delle due Sicilie non conosceva la parola
“emigrazione”.
6. La situazione economico-finanziaria del Regno delle due Sicilie, all’atto dell’unità
d’Italia, era tra le più floride fra i vari stati preunitari; enormi le risorse auree,
modesto il debito pubblico.
7. L’agricoltura duosiciliana godeva ottima salute ed era in continua espansione,
grazie, anche, alle proficue opere di bonifica operate dal governo borbonico.
8. L’industria era protetta con dazi doganali, spesso elevati, che consentivano, però,
di dare lavoro a decine di migliaia di operai; le merci prodotte erano di qualità tale
da poter essere esportate in tutti i paesi.
9. La marina mercantile aveva raggiunto uno sviluppo tale da farla risultare la prima
in Italia, la terza in Europa. Le navi venivano costruite tutte nei cantieri del Regno.
10.Le ferrovie, dopo i primi chilometri di strade ferrate, si stavano sviluppando
enormemente grazie a progetti avviati, a piani di sviluppo globali e a risorse
finanziarie disponibili.
11.La situazione igienico-sanitaria era una delle migliori fra i vari stati della penisola.
12.La burocrazia borbonica godeva di un’altissima preparazione tecnicoprofessionale.
13.Il sistema fiscale era molto più semplice di quello piemontese.
14.La pressione fiscale era una delle più basse d’Italia e d’Europa.
15.Il Regno delle due Sicilie era all’avanguardia in fatto di modernità, potendo
vantare numerosi primati nei settori più importanti della vita sociale.
16.I giudizi degli osservatori stranieri, scevri da interessi politici, erano molto
lusinghieri nei confronti del governo borbonico; numerosissimi, infatti, erano gli
stranieri che investivano i loro capitali nel Regno, spesso, trasferendosi con tutta
la famiglia.
17.Napoli era, a tutti gli effetti, una tra le più belle capitali d’Europa, alla stregua di
Parigi, Londra, Vienna, S. Pietroburgo. Senz’altro la prima in Italia.
18.Il Regno delle due Sicilie aveva relazioni internazionali con tutti i maggiori
governi di allora, europei ed extraeuropei.
19.I Napoletani ed i Siciliani seppero combattere valorosamente, in tutte le guerre
napoleoniche, dimostrando di possedere un altissimo senso del dovere.
20.La rivoluzione napoletana del 15 maggio 1848 fu fomentata e voluta da pochi
facinorosi che non seppero cogliere quell’occasione storica per il regno delle due
Sicilie; così interruppero sul nascere la formazione di una monarchia
costituzionale, premessa per un futuro sicuro e di benessere.
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21.Contrariamente a quanto riportato dalla ipocrita storiografia risorgimentale, a
Goito, a Curtatone, a Montanara c’erano anche, purtroppo, i soldati di Ferdinando
II che seppero combattere con onore e determinazione fino al punto da suscitare
l’ammirazione degli alleati piemontesi e lasciando, sul terreno, numerosi caduti.
22.L’aggressione garibaldina ebbe un così grande e repentino successo grazie agli
enormi aiuti piemontesi e inglesi in uomini, armi e soldi e grazie al tradimento di
alcuni scellerati generali borbonici.
23.L’esercito borbonico riorganizzatosi sulle rive del Volturno, tentò un’offensiva,
omonima battaglia, per poco non ebbe successo; è da sottolineare che dall’altra
parte oltre ai garibaldini, c’erano volontari delle varie regioni italiane, truppe
straniere, inglesi e ungheresi, e truppe scelte regolari dell’esercito piemontese.
24.Dopo la mancata vittoria, nella battaglia del Volturno, l’esercito borbonico era
ancora in grado di sferrare un’altra offensiva che sarebbe stata fatale alle ormai
disastrate truppe garibaldine, consentendo al re Francesco II di ritornare da
vincitore nella sua capitale.
25.L’invasione piemontese delle due Sicilie, senza dichiarazioni di guerra, con
regolari relazioni diplomatiche allacciate, fu un atto infame, contro i diritti delle
genti e contro tutti i trattati internazionali.
26.L’esercito borbonico, vistosi assalire alle spalle, proditoriamente, dalle truppe di
uno Stato che credeva amico e che, più volte, aveva ufficialmente ribadito che mai
avrebbe dato appoggio a forze rivoluzionarie né tantomeno avrebbe messo in
discussione la sovranità del Regno delle due Sicilie, fu costretto a ritirarsi nella
fortezza di Gaeta.
27.L’assedio di Gaeta esaltò le qualità eroiche dei reali e delle truppe duosiciliane; i
piemontesi invece si comportarono spietatamente, specie quando continuarono a
bombardare energicamente, durante le fasi delle trattative di resa, mietendo
numerose vittime.
28.Il plebiscito organizzato da Garibaldi, voluto da Cavour, fu una messa in scena,
una deplorevole farsa. Ancora più deplorevole è che una delle più belle piazze del
mondo, Largo di Palazzo, a Napoli, abbia una truffaldina denominazione, Piazza
del Plebiscito.
29.Il governo borbonico mise in atto tutto quanto era possibile per conservare
l’integrità e l’indipendenza del Regno delle Due Sicilie. Oltre all’azione militare,
notevole fu l’azione diplomatica: Energiche e numerose furono, infatti, le note di
protesta inoltrate a tutti i governi europei. Esso continuò la sua attività, unico fra i
governi degli Stati antichi d’Italia, anche in esilio per parecchi anni.
30.La caparbia resistenza dei soldati duosiciliani costrinse i piemontesi a fare
numerosi prigionieri. Allestirono dei veri e propri campi di concentramento. Il
Trattamento riservato a quei disgraziati fu davvero deplorevole: 100 volte
peggiore di quello fatto dai Nazisti agli Ebrei.
31.Ad annessione compiuta, i piemontesi dovettero fronteggiare per ben dieci anni e
più, un’accanita resistenza armata delle popolazioni duosiciliane. Quello che era
stato un conflitto in armi tra due eserciti contrapposti sfociò in una vera e propria
guerra civile e delle più sanguinose.
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32.Molti ufficiali piemontesi ebbero comportamenti tali e si macchiarono di tali
delitti che, a ragione, vengono considerati i peggiori criminali di guerra mai
esistiti sia prima che dopo l’unità.
33.Dopo l’avvenuta unità d’Italia, il Sud dovette subire, oltre ad una feroce
occupazione militare, una politica economica di stampo colonialistico. Furono
posti funzionari ed impiegati piemontesi in tutti i posti cardine della pubblica
amministrazione, furono letteralmente mandate in rovina le floride industrie
meridionali; il Sud subì un’aggressione fiscale e finanziaria che portò, in pochi
anni, al collasso della sua economia ( ed ora questa aggressione sta continuando :
vedere cantiere navale, avis, pastifici ecc. solo parlando di Castellammare)
34.A distanza di pochi anni dall’unità, iniziò la triste emigrazione di enormi masse di
meridionali verso terre lontane e sconosciute. Fu l’inizio della disgregazione
meridionale che si vorrebbe perpetuare tuttora.
Basta leggere l’articolo che accludo:
Bossi: “Il Sud doveva essere solo una colonia”
Il Sud come l’India o alcuni Paesi dell’Africa, almeno secondo Umberto Bossi. Il
leader della Lega, intervenendo ad una festa del carroccio a Busto Arsizio, ha dato
una propria lettura dell’Unità d’Italia, come riporta Varese News. In particolare, il
senatur, ha sposato la visione pubblicata nel libro “Il regno del Nord” dove si sostiene
che l’unificazione è stato il frutto del bisogno delle imprese del Settentrione di avere
una colonia dove vendere i propri prodotti.
“Non pensavano allora che venisse fuori un guazzabuglio di questo tipo – dice
Umberto Bossi – e furono gli stessi imprenditori del nord a finanziare Garibaldi per
prendere il Sud”. Il leader della Lega – sempre secondo quanto riporta Varese News –
ha poi affermato che il Nord ha pagato mille volte di più la scelta di non trasformare
il Meridione in una colonia vera e propria.
Peccato, però, che il Sud 150 anni fa non era certo nelle condizioni di India, Congo o
altri Paesi colonizzati dalle potenze europee. I documenti storici parlano chiaro: i
bilanci statali del Mezzogiorno erano di gran lunga più ricchi rispetto alle malandate
finanze dei Savoia. Mettiamola così: se anche gli imprenditori del Nord avessero
finanziato Garibaldi, non era per colonizzare il Sud, ma probabilmente per
depredarne le ricchezze. In questo senso ha ragione Bossi: il Meridione stava bene ed
era un mercato ghiotto per gli imprenditori del Nord che, nelle proprie regioni, non
riuscivano a fare profitto.
35.Ad unità avvenuta, i piemontesi, vincitori, misero in atto una meschina
propaganda che tendeva a rendere negativo tutto quanto fosse stato realizzato dalla
dinastia borbonica. Si operò così un’operazione culturale, a dir poco mostruosa, che
portò,in pochi decenni, alla cancellazione della memoria delle popolazioni
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meridionali, facendole vergognare, letteralmente, perfino di esprimersi nella propria
lingua. E tutto questo grazie ad una stampa prezzolata come esiste ancora oggi. Basta
leggere l’articolo del 30 agosto a pag.9 della Repubblica: “Il metodo Boffo un
misfatto è l’uso violento della stampa” Il metodo Boffo è un misfatto perché significa
usare la stampa per fare del male inconsapevole e violento. Come 150 anni fa anche
oggi l’ossessiva aggressione a colpi di grossolane falsità volute certamente dal
Governo.
36.L’unità d’Italia non diede vita ad un nuovo Stato, così come sarebbe dovuto
accadere; in effetti, fu un Piemonte allargato. Prova ne sia che Vittorio Emanuele II,
re di Sardegna, continuò a chiamarsi secondo, pur divenendo il primo d’Italia. Così
pure, tutte le leggi piemontesi furono estese al resto dell’Italia: Non si conservò
niente degli antichi stati preunitari. Prova ne sia che oggi i Carabinieri, i Finanzieri
ecc. celebrano il loro anniversario con numeri che superano abbondantemente i 150
anni di vita unitaria come i Carabinieri 196 (fondati in Piemonte nel 1814).
37.Con l’unità d’Italia si premiò ,in effetti, nell’ex regno delle due Sicilie, chi aveva
tradito il proprio re, la propria bandiera, chi era venuto meno al proprio giuramento e
si perseguitò chi volle tenere fede a quegli impegni. Si venne a formare un’abietta
scala di valori che premiava il mancato adempimento del proprio dovere, il
tradimento, la diserzione, l’appartenenza alle organizzazioni malavitose.
Napoli fu declassata improvvisamente dal suo ruolo di capitale del più vasto Stato
della penisola, da centro propulsore di tutto il Regno, sia in campo economico che in
quello culturale, a semplice capoluogo di provincia.
Antonio Orazzo
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O' surdato 'e Gaeta
I.
- Comme stongo ccà dinto? E che ne saccio!
Nce sto pe ccarità, signore mio!
Miezo cecato…. me manca nu vraccio….
Nun mporta! Tutto p’ ‘o vulere ‘e Ddio!
Comme me chiammo? Michele Migliaccio
fu Giesummino e fu Carmela Pio
Cinco campagne. Nativo di Meta.
Dicorato alla presa di Gaeta.
II.
Mo’…. So’ pezzente dello Spizzio! Tanno,
tenevo a Meta na massariella.
Scampuliavo, ncapo e npede all’anno,
e’ ‘o ggranone, ‘o purciello e ‘a vaccarella.
Campavamo na vita senza affanno,
ma, doppo muorte tata e ‘a vicchiarella,
me sentette talmente abbandunato
ca pigliaie e me ne jette a fa’ ‘o suldato...
III.
Era l’epoca bona ‘e l’abbundanza
Sott’o Burbone….. Che dicite?... No?...
E ve ngannate l’anema! Ogne panza,
senza ‘a vacantaria che nce sta mo!
O piso jeva justo, cu ‘a valanza!
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