RAPPORTO SULLO STATO DELL`AGRICOLTURA ITALIANA
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RAPPORTO SULLO STATO DELL`AGRICOLTURA ITALIANA
Istituto Nazionale di Economia Agraria RAPPORTO RAPPORTO SULLO SULLO STATO STATO DELL’AGRICOLTURA DELL’AGRICOLTURA ITALIANA ITALIANA Ottobre 2005 Contiene CD-Rom Istituto Nazionale di Economia Agraria RAPPORTO SULLO STATO DELL’AGRICOLTURA ITALIANA D.M. n.12714 del 9/09/05 Ottobre 2005 Il presente rapporto è stato elaborato nell’ambito dell’incarico assegnato all’INEA dal Ministero delle politiche agricole e forestali con D.M. n.12714 del 9/09/05. Per l’impostazione e la progettazione dello studio ha operato il seguente gruppo di lavoro: Responsabile scientifico: Simone Vieri, coordinamento: Lucia Briamonte (Responsabile INEA) e Roberto Finuola (Ministero dell’economia e delle finanze); Domenico Ciaccia (ISTAT), Giuseppe Piroli (Università di Napoli) Giuseppe Manzo (Ministero delle politiche agricole e forestali), Maurizio Piomponi (AGEA), Stefano Vaccari (Ministero delle politiche agricole e forestali). I contributi al testo sono di: Capitolo 1 – Domenico Ciaccia (1.1, 1.2, 1.3), Roberto Finuola (1.4) Capitolo 2 – Maurizio Piomponi (2.1), Lucia Briamonte (2. 2), Stefano Vaccari (2.3), Giuseppe Piroli (2.4) Capitolo 3 - Roberto Finuola (3.1), Lucia Briamonte (3. 2), Giuseppe Manzo (3.3), Stefano Vaccari (3.4), Giuseppe Piroli (3.5) Considerazioni conclusive - Simone Vieri Il contenuto del CD - ROM è stato curato da Lucia Briamonte e Rachele Rossi Impaginazione grafica: Sofia Mannozzi Elaborazione dati: Beatriz Torighelli Segreteria tecnica: Roberta Capretti PRESENTAZIONE Il rapporto sullo stato dell'agricoltura italiana giunge, quest'anno, alla sua terza edizione, con la quale intende consolidare le sue caratteristiche di documento di supporto alla programmazione dell'intervento pubblico in agricoltura. In questo spirito, i principali fatti che hanno determinato la recente evoluzione del quadro economico e politico è utilizzata come base di riferimento per sviluppare riflessioni e proposte riguardo agli assetti presenti e futuri della politica agraria nazionale. Tra i grandi Paesi della UE, l'Italia è l'unico che, fin dal primo anno di istituzione, ha deciso di attuare la “riforma Fischler”, applicandone appieno i nuovi regimi di aiuto. Ciò, se da un lato è sicuramente espressivo della volontà di consentire alla nostra agricoltura di cogliere le opportunità che possono discendere dall'applicazione dei nuovi regimi di aiuto, dall'altro lato, rende più pressante l'esigenza di avviare un'ampia ed approfondita riflessione riguardo all'adeguatezza dell'intervento pubblico nazionale in rapporto al nuovo scenario venutosi a delineare a seguito dell'applicazione della nuova PAC. A questo fine, le analisi contenute nel Rapporto sono, principalmente, finalizzate a fornire gli elementi conoscitivi per individuare i punti critici dell'attuale intervento pubblico e per delineare possibili, nuovi modelli di politica agraria, in grado di sostenere il futuro sviluppo della nostra agricoltura. Ciò nello spirito di porre al servizio dei decisori politici degli spunti di riflessione e degli strumenti di analisi che possano essere loro utili, ai fini delle importanti scelte che, in materia di agricoltura e di politica agraria, saranno, inevitabilmente, chiamati ad adottare. Il Presidente dell’INEA Prof. Simone Vieri INDICE CAPITOLO 1 1.1 1.2 1.3 1.4 IL SISTEMA AGROALIMENTARE ITALIANO 2004 Premessa L'andamento dell'annata agraria I principali indicatori economici di settore Il sostegno pubblico al settore agricolo pag. pag. pag. pag. 1 1 2 13 pag. pag. pag. pag. 16 22 24 40 pag. pag. pag. pag. pag. 44 50 55 58 61 pag. 69 CAPITOLO 2 2.1 2.2 2.3 2.4 PRINCIPALI EVENTI DI POLITICA AGRARIA L’attuazione della PAC Sviluppo rurale, riforma a medio termine e riforma delle politiche strutturali Il quadro di riferimento della Politica Agraria Nazionale La politica fiscale CAPITOLO 3 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 TEMI DI RIFLESSIONE La prima implementazione della PAC La politica di sviluppo rurale per il periodo di programmazione 2007-2013 Un bilancio della legge 499/99 Gli strumenti di gestione delle emergenze Dualismo giuridico, lavoro non regolare ed evasione: tre nodi del sistema fiscale CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE APPENDICE STATISTICA pag. V 75 CAPITOLO 1 IL SISTEMA AGROALIMENTARE ITALIANO NEL 2004 1.1 Premessa Il settore agricolo e quello agroalimentare stanno attraversando una situazione di profondo cambiamento che si inserisce in un quadro congiunturale non particolarmente favorevole per il complesso dell’economia italiana ed europea. Le vicende climatiche nel corso del 2003 e quelle relative al crollo dei prezzi per l’anno 2004 per le coltivazioni, unite alle emergenze sanitarie nel comparto allevamenti rendono il settore, in questi ultimi anni, particolarmente esposto e vulnerabile sia sul piano dei risultati produttivi sia sul fronte degli esiti reddituali, oltre che sul mantenimento degli attuali livelli occupazionali. Il settore, pur coinvolto in una pesante crisi di mercato ha risposto nel corso del 2004 come del resto negli ultimi anni, con un notevole sforzo teso alla razionalizzazione delle strutture produttive e al recupero di margini di produttività e di reddito, attraverso un ulteriore contenimento dei costi di produzione. Tale impegno è stato in parte vanificato dalla difficile congiuntura dei prezzi alla produzione che, ha falcidiato i redditi dei produttori. 1.2 L’andamento dell’annata agraria Le vicende climatiche Il buon andamento climatico ha caratterizzato nel complesso l’annata agraria, a differenza delle ultime quattro, fortemente influenzate da eventi climatici avversi. Nel corso del 2004 non si sono registrati, infatti, eventi climatici negativi, se non limitati e concentrati in pochissime aree del paese. In particolare: − la piovosità media è stata superiore alla norma, soprattutto nelle Regioni meridionali dove è particolarmente sentito il problema della siccità; − le temperature invernali e primaverili, sostanzialmente nella media del periodo, hanno causato solo un ritardo stagionale per le semine e per il ciclo vegetativo; − del tutto assenti sono risultate le brinate e le gelate tardive primaverili, mentre l’estate non ha presentato i noti fenomeni di siccità. − molto limitate e localizzate le fitopatie, soprattutto quelle fungine e da insetti, che non hanno causato danni di rilievo. Questo buon andamento, si è ripercosso favorevolmente sulle entità delle rese medie per ettaro, particolarmente interessanti per i cereali e, in particolare, per il frumento tenero (53q/ha), il frumento duro (32q/ha) e il mais (93q/ha). Anche per quanto concerne le altre produzioni, il positivo andamento climatico, ha favorito sfalci più produttivi per le foraggere, oltre ad una produzione abbondante per le coltivazioni legnose. In particolare, vite ed ulivo registrano forti incrementi produttivi e, nel caso dell’ulivo nonostante la cosiddetta “annata di scarica” si registra una crescita. Al favorevole andamento climatico per le coltivazioni si è associato anche una piccola ripresa del settore zootecnico (+0,2%), soprattutto nei comparti suinicolo (+2,4%) e avicolo (+2,5%), dove si registra un discreto recupero produttivo. Per il comparto bovino, invece, si può 1 affermare che ha definitivamente archiviato la vicenda legata ai casi di BSE e la susseguente crisi di settore, ma stenta ancora a recuperare del tutto le posizioni (-1,5%). Sotto il profilo sanitario, l'annata appena trascorsa è da definirsi buona ad eccezione di nuove segnalazioni di "blue-tongue" per gli ovini, sottoposti peraltro a vaccinazione obbligatoria e, di piccoli focolai di influenza aviaria per il pollame. 1.3 I principali indicatori economici di settore L’analisi dei principali aggregati e del quadro economico di riferimento del settore agricolo si conterrà sulla produzione, sui costi intermedi, sul valore aggiunto e sull’occupazione per grandi aree territoriali, in relazione agli altri settori economici e, in particolare, al settore agroalimentare, che da sempre viene analizzato in stretta correlazione con la componente agricola. Completano il quadro di riferimento un’attenta analisi della ragione di scambio, della componente prezzi dell’input o dell’output che nel corso del 2004 ha manifestato una dinamica particolarmente negativa tale da originare, per alcuni comparti, una sofferenza particolare in termini reddituali. PRODUZIONE A LIVELLO NAZIONALE Nel corso del 2004, il settore agricolo nel suo complesso (comprensivo di silvicoltura e pesca) ha evidenziato un forte recupero in termini produttivi pari al (+7,9%), bilanciato ad una negativa dinamica dei prezzi di base (-4,0%). Il valore della produzione agricola nel corso del 2004 è risultato pari a 48.304 milioni di euro correnti. Alla positiva dinamica della produzione, si è associato anche un recupero dei consumi intermedi pari al (+2,2%) che hanno registrato, purtroppo per il mondo agricolo, anche una ripresa dei relativi prezzi (+2,5%). L’andamento differenziato di produzione e consumi intermedi, il cui importo è risultato pari a 16.410 milioni di euro correnti, ha contribuito alla sensibile ripresa del valore aggiunto ai prezzi base pari al +10,8% a valori costanti. Espresso in valori correnti il valore aggiunto è risultato pari a 31.894 milioni di euro. Maggiori dettagli sull’andamento delle principali grandezze economiche del settore agricolo sono contenuti nelle tavole dell’appendice statistica contenute nel CD-ROM allegato (Tabb. 1-29) che illustrano l’andamento dell’agricoltura italiana in termini monetari a prezzi correnti e costanti. La forte ripresa in termini di valore aggiunto del 2004 recupera quasi completamente le perdite del quadriennio 2000-2003. Bisogna risalire, infatti, al 1999 per evidenziare l’ultima buona performance dell’agricoltura italiana, di poco superiore ai livelli di quella del 2004. Sotto il profilo congiunturale, nessun particolare evento climatico, come evidenziato in precedenza, ha caratterizzato l’annata agraria in termini negativi. Limitatamente al settore agricolo l’ottima performance produttiva ha raggiunto il +8,3%, con in testa alcuni comparti, quali quello delle coltivazioni cerealicole, dove la produzione ha raggiunto livelli record (+27,3%); ma anche le produzioni industriali (+11,0%), quelle frutticole (+19,6%) e quelle foraggere (+6,9%) hanno registrato positivi riscontri. Per il complesso delle coltivazioni agricole si registra un sensibile incremento (+14,0%). Di contro, il comparto zootecnico registra un piccolo recupero (+0,2%). In particolare, per il comparto zootecnico si sono registrati incrementi produttivi per il pollame (+2,5%) e, per le carni suine (+2,4%). Si registra, infine, una crescita modesta dei servizi annessi (+0,6%). 2 Produzione per aree territoriali: Nord, Centro, Sud L’andamento della produzione agricola per le grandi aree del paese vede il Centro in forte ripresa (+15,5%) con 7.046 milioni di euro correnti in valore, seguito dal Sud con +8,5% e 17.944 milioni di euro correnti in valore, e dal Nord (+6,4%) con 23.314 milioni di euro correnti in valore, per una crescita a livello Italia pari al +8,3% (Tabb. 1, 3 allegato CD-ROM). Tra i comparti che hanno registrato forti crescite produttive si registrano le coltivazioni cerealicole (+48,5%) al Centro, seguite dalle frutticole (+45,9%), da quelle olivicole (+105,3%) e dalla produzione vitivinicola (+21,0%). Al Nord le crescite più consistenti hanno riguardato i cereali (+20,2%) e i prodotti vitivinicoli(+20,1%). Il Sud ha fatto registrare un buon andamento per quanto riguarda con gli ortaggi (+6,4%), i prodotti vitivinicoli (+17,9%) e gli agrumi (+15,6%). A livello di singolo prodotto, la crescita pur consistente per numerosi prodotti ha interessato il frumento, tenero e duro, al Centro (rispettivamente +37,0% e +71,5%) e le pesche (+58,7%). Un buon andamento per le pesche anche al Sud (+56,9%); mentre al Nord, un ottimo andamento si è avuto per la soia (28,1%) e per il mais ibrido (26,7%). Oltre che al buon andamento meteorologico, alcuni di questi positivi andamenti, sono da addebitare anche ad una crescita della superficie coltivata rispetto all’anno precedente. Relativamente alla distribuzione percentuale della produzione, dei consumi e del valore aggiunto agricolo per grandi aree (Tab. 2e allegato CD-ROM) si nota come la produzione è concentrata per il 48,7% al Nord, per il 14,3% al Centro e per il restante 37,0% al Sud. Le coltivazioni sono predominanti al Sud (44,6%), mentre gli allevamenti assumono una valenza massima al Nord (67,8%). Le aree del Nord sono a vocazione zootecnica mentre il Sud si ripropone per le coltivazioni soprattutto di frutta, agrumi, ortaggi, vino e olio. Un andamento analogo si registra per i costi intermedi più alti al Nord (55,2%) per la presenza di allevamenti e più contenuti al Sud per le coltivazioni estensive (cereali) a basso input di costi. Grafico 1 - Andamento del settore agricolo. Produzione, anni 1980-2004 (valori costanti) 3 Le specializzazioni produttive delle diverse aree hanno radici lontane come evidenziato nel grafico 1 relativo proprio all’andamento della produzione per grandi aree geografiche per il periodo 1980-2004. Il Nord mostra una crescita superiore alle altre aree a partire dal 1992 (anno della prima riforma della PAC in cui ai tradizionali aiuti si aggiungono quelli ai seminativi, in particolare mais, soia e cereali foraggeri) e agli allevamenti (settore bovino). Il Mezzogiorno con le sue coltivazioni tipiche, mostra un andamento altalenante (es. olio d’oliva) in funzione dei volumi di produzione. Infine, l’area del Centro meno sovvenzionata rispetto alle altre in quanto non ha produzioni legate agli aiuti per ettaro (ad eccezione della coltura del girasole). Se ne deduce che gli aiuti ai prodotti della PAC, hanno determinato una crescita produttiva soprattutto al Nord stimolando nel contempo una riqualificazione e riorganizzazione della propria struttura aziendale. Il Centro-Sud non è riuscito, invece, ad agganciare i ritmi di crescita dell’agricoltura del Nord. Consumi intermedi a livello nazionale Sul versante dei costi intermedi, il cui valore è risultato, nel 2004, pari a 16.410 milioni di euro correnti, si è interrotto, il trend virtuoso della costante riduzione delle quantità utilizzate in quanto c’è stato un incremento del +2,3%. Va precisato però che, l’aumento ha riguardato soprattutto l’utilizzo di sementi (+2,2%) e il forte recupero dei reimpieghi aziendali (+11,4%). Il contenimento dei costi di produzione operato dagli agricoltori ha riguardato gli antiparassitari (0,5%) e l’energia motrice (-0,7%) che si associa ad un incremento degli aiuti agroambientali legati ai vari regolamenti riguardanti pratiche agronomiche ecocompatibili. Il contenimento dei costi intermedi nel comparto zootecnico, ha invece interessato l’impiego di mangimi (-1,5%). I prezzi d’acquisto dei mezzi di produzione sono aumentati per i mangimi (+6,9%) e l’energia motrice (+5,3%) oltre agli altri beni e servizi (+4,7%), mentre tutti gli altri mezzi tecnici hanno fatto registrare una sostanziale stasi. Il minor utilizzo di alcuni mezzi tecnici, in particolare antiparassitari, è certamente dovuto anche al buon andamento climatico che ha permesso di limitare i trattamenti di difesa delle colture e di conseguenza un loro ridotto consumo. L’aumento dei prezzi dei consumi intermedi ha amplificato ulteriormente la forbice tra i prezzi dell’input e quelli dell’output. Oltre ai prodotti energetici che hanno subito un incremento di prezzo pari al +5,3%, con il gasolio che si è distinto con un incremento pari al +9,5%, sono cresciuti anche i prezzi dei concimi (+3,3%), che hanno raggiunto punte del +6,6% nel caso dell’urea agricola. Va evidenziato che l’urea agricola è, tra i concimi azotati, il più diffuso ed utilizzato nel paese. Consumi intermedi per aree territoriali La disaggregazione territoriale dei consumi intermedi vede una crescita soprattutto al Centro con una ripresa del +4,1%, seguito dal Sud con il +2,2% e dal nord con il +1,8%. Differenziato anche l’andamento dei relativi prezzi impliciti più elevato al nord (+3,2%) e meno pronunciato al centro ( +1,4%). Questo andamento diversificato di produzione e costi intermedi ha originato ovviamente un diverso andamento del VA a prezzi costanti che è risultato elevato (+21,7%) al Centro, e con ritmi meno sostenuti in crescita anche al Sud (+10,8%) e al Nord (+9,3%), (Tab. 1 allegato CDROM). 4 Il grafico 2 sempre per l’analogo periodo (1980-2004) mostra un andamento teso al contenimento dei costi, che è stato più sensibile al Centro (-25%) e meno pronunciato nel Mezzogiorno. L’area del Mezzogiorno a partire, dal 1991, ha contratto comunque i propri costi di produzione (-8%), ma in misura inferiore alle altre aree del Centro e del Nord (-14%). Grafico 2 - Andamento del settore agricolo. Consumi intermedi, anni 1980-2004 (valori costanti) VALORE AGGIUNTO Il valore aggiunto della sola componente agricola pari a 30.207 milioni di euro, ha amplificato la sua crescita (+11,5%) espressa a prezzi costanti, ma con un andamento diversificato nelle varie aree del paese (Tab. 1 allegato CD-ROM). In termini di valori nominali, la crescita del VA del settore agricolo è risultata per l’Italia pari al +3,2%, che a livello territoriale è risultata molto positiva (+13,0%) per il centro, e meno pronunciata per il Nord (+2,9%) e per il Sud (+0,4%). In definitiva, anche in termini di valori correnti l’andamento del valore aggiunto per l’area del Centro è risultato sostanzialmente buono. Il netto peggioramento sul fronte dei prezzi ha vanificato nel caso del Sud la crescita, interessante termini di quantità ( +10,8%) a valori costanti, ma limitata ad un modesto +0,4% a valori correnti a fronte di un crollo (- 9,5% ) del relativo prezzo implicito. Infine, il grafico 3 segue l’andamento del valore aggiunto (saldo tra produzione e consumi intermedi) per l’analogo periodo considerato (1980-2004). Qui risulta ancor più evidente il gap esistente tra Nord e Centro-Sud, in termini di differenziale di VA. 5 L’effetto congiunto al Nord (politica PAC, razionalizzazione e riorganizzazione aziendale e contenimento dei costi, ha innalzato di molto il differenziale di valore aggiunto che ha raggiunto nel 2001 quota 124 contro i 109 del Sud (nel 1999) e i 104 (sempre nel 1999) del Centro. In sostanza, si è assistito in questi anni a un effetto positivo della PAC soprattutto per il Nord in termini di redditività del settore, il divario sulle altre aree si è ulteriormente ampliato. Grafico 3 - Andamento del settore agricolo. Valore aggiunto ai p.d.b., anni 1980-2004 (valori costanti) Ragione di scambio L’anno 2004 verrà ricordato per l’ottima annata da un punto di vista produttivo, ma anche e, soprattutto, per la forte caduta dei prezzi alla produzione. I prezzi dei prodotti e dei beni e servizi agricoli venduti hanno subito una netta flessione (-4,0%) mentre i prezzi dei mezzi tecnici acquistati sono aumentati del +2,3%, e di conseguenza la ragione di scambio è stata sfavorevole al settore agricolo (-6,3%). La branca agricoltura ha ripreso il consueto ruolo di contenimento inflativo in quanto la caduta dei prezzi dell’output ai prezzi di base (-4,0%) è stata di gran lunga inferiore all’incremento dell’indice generale dei prezzi al consumo (+2,2%) (NIC - Indice Collettività Nazionale). Ad una sensibile ripresa dei livelli produttivi (+8,3%), quasi ai livelli record del 1999, non ha fatto riscontro un pari incremento dei prezzi alla produzione, che al contrario hanno subito una diminuzione molto forte, più accentuata per alcuni comparti come quello delle produzioni orticole (-11,3%) nel complesso e delle produzioni legnose (-3,1%). In particolare, alcune produzioni orticole hanno subito penalizzazioni più consistenti in termini di prezzo quali: 6 spinaci (-26,0%), indivia (-23,2%), radicchio (-15,1%), peperoni (-11,6%), a cui seguono altri prodotti con variazioni dei prezzi in negativo ma di minore entità. In alcuni casi e per determinati periodi di tempo, alcune partite di prodotto non sono state neanche raccolte, data l’esiguità dei prezzi al produttore, che non riuscivano a coprire i costi. A peggiorare l’andamento negativo dei prezzi è stata la forte disponibilità di prodotto da una parte ed una domanda abbastanza debole, dall’altra, che ha provocato un forte crollo dei prezzi alla produzione, particolarmente avvertito per ortaggi (-11,4%) e frutta (-1,4%). Oltre all’ortofrutta hanno subito l’influenza negativa dei prezzi anche altri settori, in particolare, il florovivaismo e gli allevamenti in genere, soprattutto per quanto riguarda le quotazioni di uova (-6,7%) e carni (-1,8%). Il crollo dei prezzi alla produzione, non si è avvertito in pari misura anche sui prezzi al consumo. L’eccesso di offerta, ha quindi danneggiato solo il comparto agricolo, senza procurare un reale vantaggio per i consumatori. A sostegno di tale affermazione sono sufficienti alcuni dati: la spesa delle famiglie a prezzi costanti è scesa del -4,1% nel corso del solo 2004 e -8,1% nel periodo 2001-2004, in particolare, gli ortaggi e le patate -0,2%nel 2004 e –2,4% nel periodo 2001-2004. Inoltre, i prezzi alla produzione di frutta e ortaggi hanno subito rincari nel corso del 2004 pari al +3,6% e +22,2% nel periodo 2001-2004. Non va meglio per i prezzi al consumo (Tab. 10 allegato CD-ROM) dove tali incrementi sono sostanzialmente confermati e risultano del +3,7% per la frutta fresca e -0,1% per gli ortaggi. Nel periodo 2001-2004 frutta e ortaggi sono cresciuti mediamente del 26%. Non hanno avuto un analogo andamento i prezzi alla produzione che, oltre al crollo del 2004 rispetto al 2003, nel periodo presentano tassi di crescita complessivi dimezzati rispetto ai prezzi al consumo (+14.3% e 15,6% ). Non vanno poi sottaciuti i diversi livelli di partenza dei prezzi alla produzione e al consumo che sono tra loro molto differenziati. Andamento prezzi nel lungo periodo 1980-2004 Per comprendere meglio l’evoluzione dei prezzi e delle relative quantità è stata analizzata l’evoluzione per il periodo 1980-2004 dell’indice implicito dei prezzi alla produzione dei principali prodotti agricoli. Nell’ambito delle produzioni agricole, come si evince sia dal grafico che dalle tabelle contenute nell’allegato CD-ROM, solo alcuni prodotti hanno retto il passo con l’evoluzione dei prezzi. Infatti, posto 1980=100, nel periodo 1980-2004 si ha, per il complesso della produzione agricola, un indice pari a 234. Alcuni comparti quali cereali industriali (in particolare semi oleosi) e foraggere presentano un basso incremento dei prezzi nel lungo periodo. Questo è spiegabile in parte con gli aiuti destinati a tali produzioni che tendono ad abbassare i prezzi a livello mondiale, ma c’è anche da osservare che senza gli aiuti queste produzioni avrebbero scontato una crisi di mercato ancor più dura e pesante. Tale situazione si riscontra anche per gli allevamenti, mentre, al contrario, è andata meglio per frutta ed ortaggi, anche se, sono i prodotti vitivinicoli e olivicoli che presentano un andamento positivo e vivace dei prezzi. Il comparto vitivinicolo dopo la crisi del 1986 dovuta alle note vicende legate al metanolo, ha razionalizzato la propria produzione e ha puntato in modo vincente sulla qualità attraverso i vini DOC, DOCG, e IGT oltre a realizzare un ottimo export. In definitiva, i prezzi agricoli scontano un andamento nel lungo e medio periodo più che dimezzato rispetto ai prezzi al consumo, con alcuni comparti e prodotti che presentano 7 particolari sofferenze in termini reddituali (cereali, alcune tipologie di frutta e ortaggi quali: actinidia, cocomero ecc.). Grafico 4 - Andamento prezzi 1980-2004 Limitatamente ad alcune colture ed in alcune aree il crollo dei prezzi è stato anche superiore al 30% (ad esempio i dati disaggregati evidenziano tale crollo nel comparto ortofrutticolo l'Emilia Romagna per la frutta fresca e Puglia e Sicilia per alcuni ortaggi). REDDITO ED OCCUPAZIONE Andamento occupazione agricola L’occupazione agricola sia in termini di prime posizioni lavorative (occupati di Contabilità Nazionale) che in UL (quantità di lavoro a tempo pieno), mostra un andamento costantemente in calo, soprattutto per quanto riguarda gli indipendenti che ormai dal 1990 sono in caduta libera (mediamente del -3,0 % all’anno), (Tabb. 11, 12, 13 allegato CD-ROM). Per quanto riguarda i dipendenti dopo un triennio in ripresa (2000-2002), che faceva pensare ad un’inversione di tendenza e ad una mutazione della struttura del lavoro dell’agricoltura italiana, si è registrata una forte flessione di natura congiunturale nel 2003 (-6,1%) e una nuova ripresa nel corso del 2004 (+2,6%); cosa che lascia ben sperare per gli anni futuri. Per quanto concerne l’anno 2004, quindi, si registra una piccola ripresa dell’occupazione in agricoltura in totale (+0,4 %) rispetto all’anno precedente. In dettaglio si registra una flessione tra gli occupati indipendenti (-1,0%) e una ripresa tra i dipendenti (+2,6 %). 8 Quest’ultima è da mettere in relazione con il buon andamento dei raccolti, che hanno favorito nuove assunzioni e un’espansione delle opportunità di lavoro. Il rapporto tra indipendenti e dipendenti rimane intorno al 60% (59,3% per l’esattezza), mentre la dinamica degli indipendenti mostra una flessione meno pronunciata (-1,0%) rispetto allo scorso anno. Continua la contrazione degli indipendenti, ma in misura meno pronunciata rispetto agli anni scorsi sia in conseguenza dell’invecchiamento degli addetti sia per i processi di razionalizzazione e ristrutturazione del settore. Redditi da lavoro dipendente Redditi da lavoro, retribuzioni lorde e contributi sociali per unità di lavoro, il VA per unità di lavoro, nonostante le positive performance in termini produttivi, si mantengono abbondantemente sotto la media nazionale (circa il 50% in meno) e presentano un’agricoltura in recupero di alcuni punti rispetto agli anni precedenti. Tale rapporto, migliora ulteriormente, se il confronto viene effettuato con il VA ai prezzi di base che comprende ovviamente anche i contributi ai prodotti. La quasi costante contrazione delle ULA, in agricoltura migliora il rapporto VA per ULA, (Tabb. 15, 16, 17 allegato CDROM). Il monte delle retribuzioni lorde risulta in crescita del 3,4% sia per effetto dell’incremento delle ULA che per i rinnovi contrattuali. Va rilevato che anche gli altri settori economici presentano una crescita complessiva molto simile e pari al 3,5%; aspetto questo che evidenza come anche il settore agricolo si stia uniformando in termini di incrementi salariali. Le retribuzioni medie per ULA crescono ad un ritmo leggermente superiore al complesso delle attività economiche come conseguenza del processo di adeguamento strutturale dell’agricoltura italiana, rispetto agli altri settori economici, restando comunque molto al di sotto della media totale (5,2 migliaia di euro contro 16,7). L’INDUSTRIA ALIMENTARE Valore aggiunto In termini di VA per l’anno 2004, va sottolineato che, mentre la componente agricola del PIL ha recuperato molto terreno (+10,4%), l’industria alimentare delle bevande e del tabacco ha tenuto il passo mostrando piccoli segnali di crescita, anche se più contenuta rispetto agli anni precedenti (+0,8%). In particolare, la componente dell’industria alimentare presenta per il 2004 una bassa crescita (+0,3%), anche a fronte delle difficoltà comparse sul fronte dei consumi e dell’export, va evidenziato però che la bassa crescita non rappresenta un buon segnale per il complesso dell’agroalimentare. Il valore aggiunto ai prezzi di mercato corrente per l’anno 2004 è superiore a quello registrato dall’agricoltura (36.376 mio euro contro 28.939 mio euro in valori correnti). Tale rapporto ovviamente cambia, se il confronto viene fatto con il VA ai prezzi di base, in cui l’agricoltura detiene comunque una quota inferiore all’agroindustria, infatti, si passa da 28.939 milioni di euro a 31.894 milioni di euro. In questo caso sono i contributi ai prodotti che fanno crescere la componente agricola (Tab. 11 e seguenti allegato CD-ROM). 9 Il rapporto tra settore agricolo ed industria alimentare si è modificato negli ultimi anni a favore dell’agroalimentare. Nel 1995 il peso dell’agricoltura sul complesso agroalimentare era del 51,9% ed è sceso al 44,3% nel corso del 2004 a prezzi correnti. Nel complesso a prezzi costanti l’incidenza del settore agroalimentare sul PIL nel 2004 è pari al 5,2% a prezzi costanti e del 4,8% a prezzi correnti. Il grafico 5, mostra l’incidenza e l’andamento del settore agroalimentare sul totale economia e dei due settori separatamente. L’incidenza del settore agroalimentare passa dal 6,2% del 1980 al 5,2% del 2004. È il settore agricolo che ha visto contrarre il proprio peso, che è passato dal 3,7% dell’inizio degli anni ottanta al 2,3% del 2004. Grafico 5 - Incidenza del settore agricolo e alimentare su totale economia. Valori a prezzi di mercato costanti, anni 1980-2004 IL SOMMERSO IN AGRICOLTURA Il settore agricolo al pari degli altri settori economici, è molto interessato alla stima dell’economia sommersa. Le stime di Contabilità Nazionale relative al PIL garantiscono l’esaustività, in quanto comprendono anche l’economia non osservata, così come imposto dal SEC95. L’economia non osservata è costituita dal sommerso economico, cioè da attività di produzione di beni e servizi di natura legale, ma che sfugge all’osservazione diretta ed all’imposizione fiscale. 10 Recenti stime aggiornate all’anno 2002 della Direzione di Contabilità Nazionale dell’ISTAT tese alla misurazione dell’economia sommersa secondo le statistiche ufficiali, valutano al 15,1% la quota di valore aggiunto prodotto nell’area del sommerso per l’intera economia (Tabb. 23-29 allegato CD-ROM). Tale quota nel caso del settore agricolo sale ad oltre il 30%. Questa, infatti, è la distanza tra i valori dichiarati al fisco ed il valore della produzione e del valore aggiunto stimati dalla Contabilità Nazionale. Secondo le statistiche fiscali tale incidenza era costantemente sopra il 30% tra il 1990 ed il 1996. Negli ultimi anni si è evidenziata una tendenza ad un incremento di tale percentuale. In agricoltura l’ampiezza e l’entità del sommerso economico è amplificata rispetto agli altri settori economici, in quanto il settore beneficia di un particolare regime di esonero in tema di dichiarazione IVA. Il regime speciale agricolo amplifica in gran parte il problema del sommerso anche dal lato del lavoro. Il settore agricolo raccoglie, infatti, una quota di prestazioni lavorative non regolari abbastanza elevata soprattutto quelle occasionali svolte da stranieri non residenti e plurime. Il tasso di irregolarità delle unità di lavoro per settore di attività economica vede l’agricoltura al primo posto con il 33,7% nell’anno 2002, mentre va ricordato che tale incidenza era del 25,5% nel corso del 1992, quindi in dieci anni è cresciuta di otto punti percentuali. Nell’ambito delle macroaree, il tasso di irregolarità delle UL per area e per settore di attività economica era del 32,4% in Italia con punte del 40,2% nel Mezzogiorno e del 27,3% al Centro. Seguono con quote più basse il Nord-Est (25,3%) ed il Nord-Ovest (24,3%). C’è da evidenziare che l’attuale metodologia di calcolo del PIL agricolo, incentrata sul metodo quantità per prezzi è ritenuta molto più esaustiva del semplice approccio della rilevazione diretta costi e ricavi. Infatti, dal primo riporto all’universo dei dati REA (Rilevazione dei risultati economici delle aziende agricole) relativo all’anno 2002, stima di una percentuale superiore al 30% il divario tra stime dirette e stime di contabilità nazionale per il valore aggiunto del settore agricolo. In definitiva, l’economia sommersa sembra molto ampia e assume una particolare rilevanza per il settore agricolo originata dal particolare regime previdenziale di cui gode e dalla particolare natura del lavoro agricolo stagionale legato alle operazioni di raccolta. BILANCIA COMMERCIALE Nel corso del 2004 si è registrato un peggioramento del nostro interscambio con l’estero. Infatti, il saldo tra import ed export è peggiorato rispetto all’anno precedente passando da 6.563 milioni di euro a 7.376 milioni di euro (Tab. 6 allegato CD-ROM). In particolare, il saldo normalizzato, ovvero il rapporto tra saldo e la somma di import-export, ha raggiunto quota 16,2% peggiorando di circa il 1,2% rispetto all’anno precedente in cui si era attestato intorno al -15,0%. I flussi esportativi dal nostro paese sono stati anch’essi condizionati nel corrente anno non dalla scarsità di prodotto, come lo scorso anno, ma dall’euro forte che ha finito per penalizzare le nostre esportazioni nell’area del dollaro (USA in particolare) e dalla forte competizione di altri paesi. Per quanto riguarda l’import accanto ai prodotti tradizionali zootecnici, di cui siamo da sempre dipendenti, si è registrata una maggiore penetrazione da parte di nostri partners commerciali anche di frutta e verdura, di cui siamo da sempre esportatori netti. 11 In termini di composizione percentuale il 65,1% del nostro export è verso i paesi membri UE, il restante 34,1 % verso Paesi Terzi. Anche per quanto riguarda l’import, il 71,7% è di provenienza UE e solo il 28,3% dai Paesi Terzi. Sale rispetto allo scorso anno la quota di import dai paesi terzi ( 28,3% contro 26,8% del 2003). Si assiste, anche per il settore agricolo all’aggressività e all’aumento delle quote esportate da parte di paesi terzi non aderenti alla UE. SISTEMI FINANZIARI E CREDITO AGRARIO I dati disponibili di fonte Banca d’Italia evidenziano un recupero della consistenza del credito agrario per le varie categorie di investimenti. La categoria macchine e attrezzature rappresenta circa il 43,1% delle consistenze, mentre l’incremento più sostenuto spetta ai fabbricati rurali passati da 2.809 a 3.572 milioni di euro. Sul versante dei tassi di riferimento a credito agevolato per il credito agrario negli ultimi tre anni si è assistito a un netto miglioramento dei tassi di interesse passati dal 5-6% del 2001 a meno del 5% nel 2004 (Tab. 7 allegato CD-ROM). Per le varie categorie di prestiti si segnala nel 2004 un nuovo leggero calo dei tassi nell’ordine del 5% rispetto allo scorso anno. Questo ha agevolato una ripresa degli investimenti, che associata ai bassi tassi di interesse e a timidi segnali di fiducia, mostrano segnali positivi. C’è da evidenziare però che la redditività degli investimenti nel settore ha subito negli ultimi anni un netto ridimensionamento. IL SETTORE AGRICOLO NEL SISTEMA ECONOMICO A prezzi correnti il peso del settore agricolo sul PIL va riducendosi passando dal 3,0% del 1995 al 2,3% del 2004. Tale incidenza sale se espressa a prezzi costanti 2,9% nel 2003 contro il 3,0% del 1995. L’ultimo anno ha visto in forte recupero la quota agricola del PIL e l’ottima performance agricola ha influito positivamente nel contesto di una bassa crescita del PIL e di conseguenza una parte dell’incremento complessivo è certamente da attribuire al settore agricolo. L’incidenza dell’agricoltura italiana sul PIL pur essendo in linea con quanto avviene nei grandi paesi agricoli europei (Germania e Francia) nei quali, il cui peso della componente agricola dell’economia non supera di norma il 2% evidenzia la fragilità di un sistema agricolo che non riesce a recuperare in pieno il valore nominale sia per effetto prezzi sia in quanto una parte di VA si trasferisce all’industria alimentare. Infatti, l’aggregazione al VA dell’agricoltura di quello dell’industria agroalimentare fa salire la quota di PIL al 5,2% se espressa a valori costanti e al 4,8% se espressa a valori correnti. Infine, va evidenziata la crescita di un’agricoltura di qualità in grado di spuntare prezzi più elevati e quindi un maggiore grado di valore aggiunto. Infatti, l’agricoltura italiana in termini di qualità (DOP e IGT) seppur ancora in posizione di produzioni di nicchia è la prima a livello europeo, anche se l’apporto attuale alla formazione del PIL si mantiene a livelli modesti (le migliori stime la collocano tuttora intorno al 10% della produzione). 12 In termini di unità di lavoro l’incidenza del settore rispetto all’insieme delle attività economiche sale al 5,2% e si colloca al 10,5% se il confronto viene effettuato con la sola componente delle ULA indipendenti. È ancora molto diffusa l’azienda agricola familiare. Bisogna considerare, inoltre, che oltre il 10% delle ULA indipendenti opera in agricoltura, una quota elevata che deve far riflettere sulle politiche di settore da mettere in atto per la salvaguardia di tale attività, anche e soprattutto sul profilo occupazionale. ANALISI DEL VALORE AGGIUNTO DEGLI ALTRI AGGREGATI ECONOMICI PER GRANDI RIPARTIZIONI GEOGRAFICHE In Italia il PIL è cresciuto nel 2004 del +1,2% e, le prime stime anticipate dall’ISTAT per l’anno 2004 per aree territoriali, vedono una ripresa del PIL soprattutto nel centro (+2,6%), affiancata anche da una modesta crescita delle unità di lavoro (+2,5%). Riguardo al confronto con gli altri settori economici appare decisamente buono l’andamento dell’agricoltura nell’anno 2004 di cui abbiamo già illustrato ampiamente le performance. A livello di macrobranche per macroaree l’industria fa registrare una flessione con un -0,5% nel Nord-Est, che risulta ancora più amplia nel Mezzogiorno -1,5%. Di segno positivo per l’industria solo l’andamento nel Nord-Ovest (+2,3%). In crescita moderata appaiono le unità di lavoro (+2,5% al Centro e +1,2% nel NordOvest). Dalla crescita generalizzata delle unità di lavoro in agricoltura, va escluso il Nord-Est con un -2,0%. La performance più interessante la mostrano i servizi nel Centro (+2,7%) e nel NordOvest (+1,0%). Sostanzialmente il Nord-Est e il Mezzogiorno mostrano una crescita ridotta del PIL rispettivamente pari al +0,8% e al +0,6%. Queste stime preliminari per aree geografiche, ci segnalano per il 2004 un Nord-Est quasi fermo ed una economia meridionale che risulta in positiva dinamica grazie all’andamento dell’agricoltura. 1.4 Il sostegno pubblico al settore agricolo Nel 2003, il sostegno complessivo al settore agricolo è ammontato a 16.616 milioni di euro pari al 37% della produzione agricola ed al 56,1% del valore aggiunto agricolo espressi ai prezzi di base; i trasferimenti costituiscono il 69,6 del totale e le agevolazioni il restante 30,4%1. I trasferimenti (Tab. 39 allegato CD-ROM) sono per oltre la metà di provenienza comunitaria diretta o indotta tramite cofinanziamento nazionale o regionale: AGEA, organismi regionali pagatori, SAISA ed Ente risi coprono, infatti, il 57,2% del totale dei trasferimenti mentre le Regioni pesano per il 34,3% ed i Ministeri e Sviluppo Italia coprono il restante 8,5% (di cui il 6,7% imputabili al MIPAF). Fra le agevolazioni quelle previdenziali sono la voce più consistente mentre fra quelle tributarie spicca l’agevolazione sull’imposta di fabbricazione degli 1 Nella media del triennio 2001-2003 il sostegno complessivo all’agricoltura è ammontato a 16.396milioni di euro pari al 55,9% del VA agricolo e d al 37,6% della PLV. 13 oli minerali (sgravi sui carburanti) che pesa per il 16,8%, seguita dagli sgravi fiscali sull’IRPEF (15,2%). La rilevanza della PAC è confermata dall’analisi dei trasferimenti per origine dei fondi: nel 2003 il 53,6% delle erogazioni (6.203 milioni di euro) proviene dal bilancio dell’UE ed il 46,4% (5.369 milioni di euro) da quelli nazionali; questi ultimi provengono per più della metà dalle Regioni (28,7%) ed il resto (17,7%) da interventi nazionali. Il peso dell’UE sale ancora di più se si suddivide la spesa per centri di decisione: poiché, infatti, talune spese nazionali (spese connesse) sono obbligatoriamente assicurate dagli Stati membri nell’ambito della PAC, in sede comunitaria si è in concreto decisa la destinazione del 66,1% della spesa per trasferimenti (7.648 milioni di euro) ed in ambito nazionale solo per il restante 33,9% (3.924 milioni di euro). L’incidenza dei trasferimenti e delle agevolazioni è diversa nelle varie aree del Paese: non si discosta dalla media nazionale nel Nord e nel Sud mentre i trasferimenti assumono un maggior peso percentuale nelle Regioni del Centro. La relativa minor tutela della PAC alle produzioni meridionali è confermata dal più basso peso delle erogazioni AGEA nel Sud rispetto al Centro-Nord; per quanto riguarda le agevolazioni, nelle aree settentrionali prevalgono quelle legate all’uso dei fattori produttivi (carburanti) e al fatturato (IVA e imposte sul reddito) mentre al Sud prevalgono le agevolazioni tributarie e contributive2. Per quanto riguarda gli obiettivi quasi la metà del sostegno (46% pari a 7.642 milioni di euro) è destinato ad interventi a beneficio delle imprese. Il 29,1% del sostegno (4.829 milioni di euro) è destinato ad aiuti al reddito mentre il resto è utilizzato per interventi infrastrutturali (2.868 milioni di euro pari al 17,3%), per interventi inerenti i servizi allo sviluppo (358 milioni di euro, 2,2%), per interventi a favore della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli (2,4% per 407 milioni di euro) e per la ricerca, per la quale si è continuano a spendere cifre insignificanti (158 milioni di euro pari all’1% del totale). Se si distinguono gli interventi rispetto ai loro obiettivi strategici, considerando quindi da una parte quelli di supporto immediato (aiuti di mercato, alla gestione ed al reddito) e dall’altra gli interventi strutturali di medio-lungo periodo (investimenti, infrastrutture, ricerca, servizi allo sviluppo, trasformazione e commercializzazione) si può constatare che prevalgono nettamente gli interventi di supporto rispetto agli interventi di tipo strutturale (70,2% contro 29,8%)3. A livello regionale, il modello di intervento è opposto poiché prevale il modello strutturale che copre il 69,7% delle spese contro il 30,3% del modello di supporto a breve. Se però si considera che le Regioni non hanno competenze in materia di agevolazione e di interventi di mercato e si effettua il raffronto sulla base dei trasferimenti complessivi al netto degli interventi di mercato e delle agevolazioni, si giunge alla conclusione che i modelli non sono poi molto diversi; anche a livello complessivo il modello strutturale diviene il più rilevante (74,4%) contro il 25,6% del modello di supporto a breve. 2 Nei trasferimenti il peso dell’AGEA e degli OO.RR.PP è maggiore nel Nord (40,6%) e nel Centro (45,3%) rispetto al Sud (36,1). Nel Centro-Nord si ha invece un minore peso delle Regioni: 21,1% Nord e 19,9% Centro contro il 25,8% del Sud, il che è probabilmente dovuto al vincolo di cofinanziamento dei POR delle Regioni meridionali. Fra le agevolazioni è maggior e il peso di quelle previdenziali e contributive nel Sud (20,8%) rispetto al Nord (14,2%) e al Centro (14,1%) mentre è maggiore la rilevanza delle agevolazioni sui carburanti al Nord (5,5% contro una media del 4,5%) e delle agevolazioni relative all’IVA, all’IRPEF ed all’IRAP. 3 Gli interventi di supporto alla gestione, di sostegno dei mercati e dei redditi hanno come finalità la stabilizzazione dei redditi degli operatori agricoli. Gli interventi strutturali si propongono invece di migliorare le condizioni di produzione per accrescere la produttività del sistema; vi rientrano la ricerca e la sperimentazione, i servizi allo sviluppo, gli interventi per la trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, gli aiuti agli investimenti aziendali, gli interventi per infrastrutture. 14 In definitiva può concludersi che: − la Politica Agricola Comune costituisce la componente più rilevante degli incentivi con un valore superiore al 40% del totale; − più della meta dei trasferimenti provengono dall’UE (53,6% contro il 46,4% di Stato e Regioni) ma poiché una parte delle spese nazionali discende obbligatoriamente dalla PAC (spese connesse)in sede comunitaria viene decisa la destinazione del 66,1% della spesa per l’agricoltura mentre in ambito nazionale si decide solo per il l restante 33,9%; − il peso di MIPAF e Regioni nel sostegno complessivo (rispettivamente 7,5% e 23,9% per un totale di 31,4%) è pari a quello delle agevolazioni (30%); 1/3 della politica agraria viene quindi decisa nelle sedi proprie agricole ma, un altro terzo viene definito al di fuori dell’amministrazione di settore; − le modalità di utilizzo degli incentivi variano in funzione del territorio: al Nord si registra una maggiore incidenza delle agevolazioni legate all’uso dei fattori produttivi (carburanti) e al fatturato (IVA e imposte sul reddito); nel Sud prevalgono invece le agevolazioni previdenziali e contributive legate più allo “status” di operatori agricoli che al volume delle produzioni; − le politiche regionali non sono differenziate ricalcando i modelli di intervento previsti dalla Commissione UE per gli interventi cofinanziati dai fondi strutturali. Quest’ultima considerazione sembra particolarmente rilevante in quanto conferma che, dopo la fine della programmazione agricola nazionale, è venuta a mancare in Italia la definizione di un autonomo modello di sviluppo settoriale essendosi le autorità nazionali sostanzialmente uniformate al modello UE. In assenza di un quadro programmatico nazionale la politica agraria è stata quindi condizionata soprattutto dalle dinamiche in atto a livello comunitario oltre che ovviamente dalle disponibilità finanziarie interne. Per quanto riguarda le dinamiche comunitarie sono tutti da verificare gli effetti a medio termine del disaccoppiamento, in particolare, del possibile disallineamento fra aziende agricole produttive e aziende un tempo produttive che continueranno comunque a beneficiare della rendita di posizione cristallizzata dal disaccoppiamento. Da verificare poi se ed in quale misura si verificherà l’annunciato spostamento di risorse dal primo al secondo pilastro (sviluppo rurale) dando per scontata una riduzione del peso dell’Italia nel nuovo ciclo di programmazione comunitaria in funzione dell’ingresso dei nuovi dieci paesi. Per quanto riguarda l’entità delle risorse interne, la soppressione della finanza derivata avrà probabilmente nel medio periodo conseguenze non lievi a livello regionale: venuta meno l’obbligatorietà di destinazione prima assicurata dai trasferimenti statali vincolati, il finanziamento del settore viene ora a dipendere esclusivamente dalle decisioni assunte in sede regionale e non si può quindi escludere a priori l’ipotesi che il grado di protezione degli operatori agricoli possa variare anche considerevolmente da regione a regione in funzione delle diverse scale di priorità regionali. I dati disponibili escludono per il momento tale ipotesi ma nel breve periodo opera certamente la rigidità della spesa pubblica per cui per un certo tempo si mantengono per trascinamento i volumi di stanziamento pregressi in virtù di un effetto di inerzia. 15 CAPITOLO 2 PRINCIPALI EVENTI DI POLITICA AGRARIA 2.1 L’attuazione della PAC In seguito all’applicazione della Riforma a Medio Termine della PAC, l’AGEA ha il compito di semplificare la transizione al nuovo regime cercando di proporre un assetto organizzativo e di servizi necessari per introdurre il complesso apparato normativo proposto dalla riforma stessa. L’assetto normativo della PAC durante l’anno 2004 ha trovato compimento sia in ambito comunitario che nazionale attraverso la definizione della normativa di riferimento di cui si riporta un elenco sintetico nel CD-ROM allegato. Il Ministero delle politiche agricole e forestali con il supporto dell’AGEA ha avviato una profonda riflessione che, coinvolgendo anche gli attori sociali, consenta di evitare gli effetti distorsivi che il nuovo sistema potrebbe avere sull’agricoltura italiana. In attuazione del d.lgs. n. 99/04, l’AGEA è l’autorità: − a cui sono affidati i compiti di coordinamento e di gestione per l'esercizio delle funzioni del Sistema Informativo Agricolo Nazionale (SIAN); − garante della fruizione dei servizi gestiti nell’ambito di tale sistema del focal point che assicura il mantenimento della gestione del Sistema Integrato di Gestione e Controllo (SIGC). A fronte del complesso sistema organizzativo l’AGEA, sulla base delle normative comunitarie e delle disposizioni nazionali, ha posto in essere le procedure atte a svolgere le seguenti attività: − ricognizione preventiva e fissazione titoli; − presentazione domanda per il regime di pagamento unico. Ricognizione preventiva e fissazione titoli La ricognizione preventiva ha impegnato fortemente l’AGEA a predisporre le comunicazioni alle aziende interessate di cui si riporta una tabella sintetica per regione: Nella tabella sono evidenziate il numero di comunicazioni spedite da AGEA per il riconoscimento degli aventi diritto e per la registrazione delle circostanze eccezionali, ai sensi dell’articolo 33 e dell’articolo 40 del regolamento (CE) n. 1782/03. 17 Regione del CAA N. comunicazioni inviate Abruzzo 27.018 Basilicata 33.091 Calabria 30.342 Campania 45.056 Emilia 59.382 Friuli 24.847 Lazio 40.055 Liguria 1.779 Lombardia 44.276 Marche 44.094 Molise 18.077 Piemonte 50.989 Puglia 64.646 Sardegna 33.614 Sicilia 86.394 Toscana 31.050 Trentino 8.215 Umbria 22.987 Valle D'aosta 1.414 Veneto 110.189 Senza Mandato 87.079 Totale 864.594 Fonte: AGEA Successivamente, a valle del processo ricognitivo innescato dalla comunicazione di cui sopra, è stato possibile calcolare ed assegnare i titoli provvisori sulla base dei capi e delle superfici ammesse all’aiuto del triennio di riferimento (2001-2002) e sulla base delle informazioni registrate nella citata attività ricognitiva. Di seguito la tabella regionale con le tipologie di titoli provvisori assegnati ed il relativo valore. 18 19 30.874 22.260 42.386 36.087 28.150 17.573 41.330 59.995 31.089 27.756 75.401 32.232 747.940 TOSCANA UMBRIA MARCHE LAZIO ABRUZZO MOLISE CAMPANIA PUGLIA BASILICATA CALABRIA SICILIA SARDEGNA TOTALE Fonte: AGEA 59.218 EMILIA-ROMAGNA 2.049 25.542 FRIULI- V. G. LIGURIA 111.822 7.228 47.242 1.678 48.028 Aziende VENETO ADIGE TRENTINO-ALTO LOMBARDIA VALLE D'AOSTA PIEMONTE Regione 7.813.528 634.477 763.745 185.175 352.672 645.594 257.915 152.176 189.918 416.909 371.625 223.829 477.203 652.294 18.849 192.392 621.815 29.222 822.985 5.088 799.645 Titoli Numero 10 20 10 7 11 11 6 9 7 12 9 10 15 11 9 8 6 4 17 3 17 Numero medio di titoli per azienda 2.430.620.252 145.160.565 194.563.187 50.003.698 88.733.338 184.928.772 67.832.974 40.139.456 42.885.677 121.840.096 118.293.331 51.441.674 130.266.031 178.320.127 4.167.436 64.302.586 314.784.146 7.044.545 350.891.493 1.263.000 273.758.123 Valore (euro) 311 229 255 270 252 286 263 264 226 292 318 230 273 273 221 334 506 241 426 248 342 Valore medio titolo (euro) 7.362.658,84 613.115,38 721.685,76 168.203,87 335.942,60 612.394,85 234.129,97 142.403,73 174.217,68 394.416,40 348.577,08 211.155,46 458.519,25 616.360,54 17.302,73 177.776,71 554.193,79 22.688,20 787.259,96 3.467,99 768.846,90 (HA) Superficie 636.516 115.845 60.981 38.714 2.951 10.128 17.641 1.223 9.997 38.230 2.994 3.394 11.881 27.161 2.411 1.944 137.785 10.371 95.563 4.330 42.970 UBA 7.531.548 623.161 755.525 179.486 349.104 631.946 252.424 149.620 186.380 396.530 359.177 215.369 453.867 623.486 17.566 182.286 585.732 24.008 768.518 3.568 773.795 Titoli Ordinari 221.985 3.600 3.739 1.101 2.975 12.542 2.060 2.165 2.071 15.756 11.843 7.643 21.785 26.057 385 9.803 28.447 53 47.646 10 22.304 Titoli di Ritiro 59.995 7.716 4.481 4.588 593 1.106 3.431 391 1.467 4.623 605 817 1.551 2.751 898 303 7.636 5.161 6.821 1.510 3.546 Titoli Speciali I titoli provvisori assegnati sono stati oggetto di domanda di fissazione; questa attività, necessaria per consentire l’utilizzo e la definizione dei titoli all’aiuto, è stata svolta attraverso i Centri di Assistenza Agricola con le procedure messe a disposizione dai diversi Organismi Pagatori e concertate dall’Organismo di Coordinamento AGEA. Il totale delle domande di fissazione dei titoli, ripartito per Organismo Pagatore è il seguente: Organismo pagatore Domande presentate ARTEA 53.257 OP LOMBARDIA 40.981 ARTEA 27.402 AVEPA 98.155 AGEA 472.508 Totale 692.303 Fonte: AGEA I titoli provvisori non fissati andranno ad alimentare la riserva nazionale, mentre la definizione dei titoli verrà eseguita da AGEA, unitamente alle operazioni di calcolo dei titoli da riserva, entro il 30 novembre 2005. Presentazione domanda per il regime di pagamento unico Lo sforzo amministrativo che l’AGEA ha compiuto per adeguare lo sviluppo della piattaforma informatica del SIAN era teso a consolidare il patrimonio informativo, creando il fascicolo aziendale, previsto già nel 1999 con il DPR 503, che costituisce il sostrato essenziale del nuovo regime. Il fascicolo aziendale è il minimo comune denominatore tra il sistema di erogazione tradizionale e la nuova riforma, in cui l’azienda agricola rappresenta il focus e l’elemento di base anche del processo di semplificazione amministrativa. Infatti, le aziende agricole, anche grazie al coinvolgimento dei Centri di Assistenza Agricola, devono in via preliminare costituire ed aggiornare il fascicolo aziendale che rappresenta la base delle dichiarazioni certificate sia attraverso i documenti presentati dagli imprenditori agricoli sia attraverso l’interconnessione con le banche dati di altre pubbliche amministrazioni (Anagrafe tributaria, Agenzia del territorio, Ministero della Salute, ecc.). Nell’ambito di questo assetto organizzativo, un ruolo fondamentale è stato giocato dalla sinergia che si è sviluppata tra l’Organismo di Coordinamento AGEA e gli Organismi pagatori regionali. In particolare, è stato possibile definire le regole comuni per la costituzione e l’aggiornamento del fascicolo aziendale e per la predisposizione delle domande di adesione al regime unico di pagamento. 20 La definizione univoca delle regole ha comportato la presentazione delle domande come di seguito rappresentato nella tabella: Organismo Pagatore Domande presentate Aziende 418.420 412.109 AGREA 51.945 50.714 ARTEA 27.972 27.460 AVEPA 101.969 100.111 LOMBARDIA 62.238 40.827 ARBEA 30.097 29.538 FINPIEMONTE 47.122 45.131 739.763 705.890 AGEA Totale Fonte: AGEA Il Sistema Integrato di Gestione e Controllo La riforma della PAC ha fortemente innovato il processo dei controlli previsti nel conosciuto sistema integrato di gestione e controllo, con particolare riferimento ai temi di: − cross-compliance; − farm advisory system. Seppure gli obblighi discendenti da tali disposizioni ricadono sugli imprenditori agricoli chiamati ad una maggiore consapevolezza del loro ruolo per la tutela dell’ecosistema e del territorio, non vi è dubbio che le autorità pubbliche sono chiamate a supportare direttamente gli operatori agricoli. In tal senso, l’AGEA deve saper proporre alle autorità competenti le giuste scelte in materia di eco-condizionalità anche definendo procedure semplificate e snelle che potranno avere un ruolo determinante nella crescita dei livelli di sicurezza e salubrità dei prodotti agricoli. L’agenzia, infatti, deve assicurare ogni possibilità di snellimento amministrativo delle attività obbligatorie dell’agricoltore chiamato al rispetto della normativa in tema di salute e sicurezza dell’uomo e degli animali, dell’ambiente e del territorio. Inoltre, dovrà riscontrare che le buone pratiche agricole non rappresentino un ostacolo alla concorrenza con gli altri paesi europei, in taluni casi meno attenti ai temi descritti. Soprattutto l’AGEA dovrà assicurare la sopravvivenza, nel complesso sistema della condizionalità, anche a quelle esperienze imprenditoriali di ridottissime dimensioni che sono comunque degne di tutela. Così nell’introduzione del nuovo modello di consulenza aziendale, il farm advisry system, su base volontaria, almeno per il momento, l’AGEA dovrà mettere a fattor comune dei nuovi organismi di consulenza, le proprie esperienze, i propri dati ed essere al contempo il primo interlocutore di questi nel campo dei servizi destinati agli imprenditori agricoli. In definitiva, le novità introdotte dal regolamento (CE) n. 1782/03 sono di notevole portata, e potrebbero comportare per l’impresa agricola italiana dei necessari cambiamenti di cui l’AGEA può essere garante per la competitività e la sicurezza nei confronti dell’UE. Il Ministero delle politiche agricole e forestali e le Regioni hanno individuato in AGEA il momento di convergenza per garantire il necessario dialogo dei vari attori del sistema agricolo italiano l’ideale laboratorio di verifica delle scelte. 21 La nuova sfida L’introduzione nella gestione della Riforma della PAC dei settori dell’olio d’oliva e del tabacco, prevista dal regolamento (CE) n. 864/2004 del Consiglio, a partire della campagna 2006, richiede di progettare e pianificare per tempo le necessarie attività propedeutiche all’assegnazione dei titoli. In applicazione di quanto previsto dall’articolo 12 del regolamento (CE) n. 795/2004, è necessario, in particolare, pianificare per tempo il complesso delle attività necessarie all’espletamento della ricognizione preventiva - già svolta per i settori dei seminativi, dei bovini e degli ovicaprini – nei confronti dei produttori interessati ai settori dell’olio d’oliva e del tabacco. Per avviare questo processo le disposizioni già in essere, che hanno regolato la precedente ricognizione, hanno la necessità di essere integrate, tenendo conto di alcuni temi di assoluta rilevanza per i due comparti: − superfici olivetate, l’introduzione, nel regolamento (CE) n. 864/2004, del concetto di superficie olivetata ha, di fatto, trasformato un aiuto per prodotto (quello dell’olio) in un aiuto per superficie (i titoli all’aiuto). Tale trasformazione comporterà delle riflessioni in merito al calcolo delle superfici connesse alle “particelle promiscue”, cioè quelle sulla cui superficie insistono più produzioni, quella delle piante di olivo e quella di altri regimi di intervento (foraggere, cereali, oleaginose e proteaginose). La determinazione della superficie potrebbe comportare dei problemi all’atto della fissazione dei titoli ed al loro esercizio in virtù di una superficie non capiente rispetto alla catastale di riferimento, poiché non facilmente scorporabile l’utilizzo ibrido che se ne fa; − nuovi oliveti, i regolamenti vigenti di settore hanno consentito l’introduzione di nuovi oliveti fino al 1 maggio 1998. Gli olivi piantati in gran numero a ridosso di tale data, non sono entrati in produzione prima di almeno cinque anni dalla data di impianto; l’applicazione della riforma e del concetto di superficie olivetata comportano, da una parte, che tali oliveti partecipino al calcolo della superficie di riferimento, mentre, dall’altra, non partecipano, per nulla o per piccolissima parte, al calcolo dell’importo di riferimento per via delle ridottissime quantità di olio prodotte da tali piante. Questo fenomeno comporta la necessità di porre all’attenzione dei servizi della Commissione l’opportunità di concedere una riconsiderazione delle superfici olivetate che non hanno generato importo di riferimento, peraltro nella stessa modalità, mutatis mutandis, adottata per le superfici foraggere, con il paragrafo 2 dell’articolo 28 del regolamento (CE) n. 795/2004; − affitti di superfici olivetate, l’affitto riguarda un numero considerevole di terreni che, in alcune zone vocate dell’olivicoltura italiana (Calabria e Puglia), sfiora il 50 % del totale degli oliveti. Nel tempo in tali zone si è consolidata l’usanza di suddividere l’attività agricola sull’oliveto tra il proprietario, che si occupa della manutenzione e delle buone condizioni agronomiche dell’oliveto, e l’affittuario, che si occupa della raccolta del frutto e della consegna al frantoio per la produzione di olio. Tale fenomeno si è concretizzato con la richiesta di premio da parte dell’affittuario. Il regime unico di pagamento, oggi introdotto dalla riforma della PAC, comporterà l’assegnazione dei titoli all’aiuto per l’affittuario degli oliveti di allora. Il disaccoppiamento degli aiuti dalla produzione causerà altresì la possibilità, per l’affittuario, di utilizzare altri terreni (non più olivetati e magari meno costosi), per l’esercizio dei titoli all’aiuto. Il fenomeno è aggravato dal fatto che, molto spesso, il proprietario si avvaleva di questa prassi su una parte dei terreni olivetati, esercitando la totalità dell’attività agricola su altri terreni; questo comporta che il 22 proprietario, risultando agricoltore in attività,non potrà accedere alla riserva per le superfici olivetate “sfitte” e, infine, resterà comunque gravato dalla condizionalità per il mantenimento delle superfici aziendali, comprese degli oliveti “sfitti”, per l’incasso di eventuali altri premi comunitari; − trasferimento delle quote tabacco, nel settore del tabacco il problema più sentito è quello legato ai dati di riferimento per quei produttori che hanno acquisito delle quote. In tal caso sarebbe indispensabile che i contratti di acquisizione delle quote fossero perfezionati attraverso l’introduzione della clausola tale per cui i titoli associati a detta cessione fossero di pertinenza dell’acquirente, in altri termini le quote di produzione seguono il titolare e non già il terreno. In mancanza di tale clausola l’acquirente potrà accedere alla riserva nazionale, nella fattispecie degli investimenti, mentre il venditore potrà essere “tassato” fino al 90% dell’importo di riferimento dei titoli assegnati. In funzione della definizione di dette problematiche, l’AGEA porrà in essere analoghe attività volte all’individuazione ed identificazione dei diritti e dei titolari degli stessi, quali: − organizzazione della base dati di riferimento per il calcolo dei titoli tenuto conto che il periodo di riferimento per il settore dell’olio di oliva è composto di quattro anni, 1999, 2000, 2001 e 2002; − calcolo e stima delle superfici olivetate ai sensi delle attuali istruzioni comunitarie; − invio delle comunicazioni per l’informativa alle aziende agricole stimando che siano circa 1,3 milioni; − gestione delle eventuali anomalie di assegnazione provvisoria. 2.2 Sviluppo rurale, riforma a medio termine e riforma delle politiche strutturali Il dibattito sull’avvenire delle aree rurali in Europa ha consentito di definire il ruolo dello sviluppo rurale sia nell’ambito della nuova PAC sia delle politiche strutturali. Al fine di delineare un quadro coerente che coniughi le azioni di sviluppo rurale ricadenti nell’ambito della riforma della PAC con quelle prevedibili nell’ambito del nuovo ciclo di programmazione dei fondi strutturali, tra la seconda metà del 2003 e il 2004, è stata avviata una revisione delle politiche per lo sviluppo rurale. In particolare, con la riforma della PAC del giugno 2003, resa operativa con i regolamenti (CE) n. 1782/03 e n. 1783/03, sono stati introdotti alcuni cambiamenti anche alla politica di sviluppo rurale, secondo pilastro della PAC, preparando così la strada alla futura fase di programmazione 2007-20134. La riforma ha alla base due esigenze fondamentali: garantire una maggiore semplificazione amministrativa e gestionale delle procedure e un sostegno all’agricoltore non in quanto tale ma in quanto “agricoltore virtuoso”, dedito e proteso verso percorsi imprenditoriali volti alla sicurezza alimentare, qualità dei prodotti, tracciabilità, basso impatto ambientale. 4 La riforma assicura un maggiore spazio a questo tema aumentandone il raggio d’azione e assegnando maggiori risorse finanziarie per le aree rurali dell’UE a 25 Stati membri. In particolare, viene definito uno spostamento di risorse finanziarie dal primo (politica a sostegno dei mercati e del reddito degli agricoltori) al secondo pilastro, tramite l’obbligo per gli Stati membri, a partire dal 2005, di applicare il meccanismo della modulazione. 23 Gli strumenti per attuare tali percorsi vengono individuati nei concetti di disaccoppiamento di modulazione e di cross compliance, in base al quale il sostegno finanziario assicurato dalla PAC mercati è subordinato al rispetto di standards in materia agroambientale, di salubrità alimentare, di benessere degli animali. Ciò sottolinea il carattere di politica di accompagnamento di quella di sviluppo rurale. I cambiamenti introdotti definiscono meglio gli orientamenti già previsti da Agenda 2000 e rafforzano ulteriormente i collegamenti tra politica dei mercati e politica di sviluppo rurale. La Commissione non ha voluto modificare l’assetto di base ed ha rimandato al prossimo periodo di programmazione le maggiori innovazioni, in quanto, al momento dell’entrata in vigore dei regolamenti attuativi della riforma, l’esecuzione dei programmi era ormai entrata a regime. Per quanto riguarda le politiche strutturali e lo sviluppo rurale, i punti essenziali che qualificheranno tali politiche nel prossimo periodo di programmazione sono stati resi noti con la terza relazione sulla coesione economica e sociale, con la quale viene riconferma la scissione della politica di sviluppo rurale dalla politica di coesione, già prevista dal documento della Commissione sulle prospettive finanziarie per il 2007-2013. La revisione della politica di sviluppo rurale si inserisce in un quadro più ampio che ricomprende la riforma del bilancio comunitario e la definizione delle future prospettive finanziare e la riforma delle politiche di sviluppo regionale. Il fine ultimo della riforma della politica di coesione è di arrivare ad una definizione più chiara dei ruoli, in un ottica di maggiore separazione delle competenze tra i Fondi strutturali e il nuovo Fondo Agricolo per lo Sviluppo Rurale, maggiore semplificazione della programmazione, identificazione delle misure a livello territoriale e approccio integrato, anche a livello amministrativo, per le azioni in favore dell’economia rurale. Se da un lato, l’importanza dello sviluppo rurale nell’ambito della coesione è sottolineata nella dichiarazione finale della Conferenza di Salisburgo nel 2003 e nella revisione della Strategia di Lisbona (2005) in quanto contribuisce all’occupazione e alla crescita, dall’altro lato, essenziale è il ruolo che la politica di coesione può giocare nelle aree rurali, per assicurare una maggiore sinergia di politiche e risorse che incidono su tali territori. Di conseguenza, è indispensabile un forte coordinamento della politica di sviluppo rurale sia con il primo pilastro sia con quella di coesione non solo a livello di programmazione nazionale e regionale, ma soprattutto in termini operativi. In pratica, per quel che riguarda le politiche strutturali e lo sviluppo rurale, la riforma della PAC risulta inadeguata in termini di effettivo rafforzamento del secondo pilastro, perseguibile innanzitutto con una allocazione finanziaria più cospicua. La riforma, pur confermando il processo di cambiamento per lo sviluppo rurale, non contempla un’integrazione effettiva con le politiche di sviluppo regionale, vale a dire un ampliamento delle missioni del FEOGA che possano consentire l’utilizzo sinergico con gli altri Fondi Strutturali delle risorse aggiuntive che derivano dalla modulazione. Penalizzate risultano essere le Regioni Obiettivo 1, ove le misure per lo sviluppo rurale rientrano per lo più nelle programmazione FEOGAOrientamento, il che si traduce nella possibilità di poter finanziare, con le risorse aggiuntive, soltanto quattro delle ventidue misure complessive previste dal Regolamento (CE) n. 1257/99. Altro punto di debolezza e di preoccupazione per i singoli Stati membri appare il probabile aggravio finanziario per i bilanci nazionali, che potrebbe scaturire dai diversi utilizzi previsti per le risorse derivanti dalla modulazione: esse, infatti, potrebbero essere utilizzate per aumentare il cofinanziamento comunitario e/o per finanziare le nuove misure agroambientali, e/o ancora per aumentare la dotazione finanziaria per quelle esistenti. In tutte le ipotesi 24 evidenziate sarebbe previsto un incremento dell’apporto finanziario, oltre che comunitario, anche nazionale. Per l’Italia, in particolare, diventa oltremodo gravoso anche l’inserimento nei PSR delle nuove misure, in una prospettiva di risorse disponibili senz’altro poco roseo. Anche sotto il profilo della auspicata semplificazione delle procedure amministrative, restano deboli, pur in un contesto di maggiore razionalizzazione, le fasi di programmazione, gestione e controllo degli interventi previste dalla Commissione. Del resto, modifiche spinte a regole già fissate avrebbero potuto inficiare l’attuazione dei programmi già in essere. Nel corso del 2004, le amministrazioni regionali hanno proceduto a una revisione dei programmi, in funzione della capacità degli stessi di raggiungere gli obiettivi prefissati, dei mutamenti di contesto e conto delle modifiche introdotte dalla riforma. Le risorse finanziarie aggiuntive derivanti dalla distribuzione della riserva di premialità ha permesso ad alcune Regioni Obiettivo 1 di introdurre dei cambiamenti nei POR, mentre, nella maggior parte dei casi, le Amministrazioni responsabili dell'attuazione dei PSR per la scarsa disponibilità di risorse finanziarie non impegnate non hanno modificato i programmi, né recepito, le novità della riforma. Per quanto riguarda il LEADER, sebbene nel 2004 l’attuazione dei programmi abbia avuto una forte spinta, questi scontano ancora gli effetti delle difficoltà incontrate nei primi anni di programmazione. 2.3 Il quadro di riferimento della politica agraria nazionale Nell’analisi della politica agricola nazionale del 2004 un posto di primo piano assume la tematica delle crisi di mercato e del conseguente sostegno alle imprese agricole: la diffusa e significativa riduzione dei prezzi all’origine, accompagnata dall’aumento di prezzo di importanti mezzi tecnici legati alle quotazione del petrolio, quali carburanti e concimi, determinavano l’intervento del Governo e del Parlamento per assicurare liquidità alle imprese. Nel corso del 2004 sono stati approvati i decreti legislativi attuativi della legge delega n. 38 del 2003, in materia di soggetti giuridici agricoli (decreto legislativo n. 99/04)e di riforma del Fondo di solidarietà nazionale (decreto legislativo 102/04), mentre, sempre in attuazione della legge 38, il Consiglio dei Ministri ha approvato in via preliminare due ulteriori decreti legislativi, giunti in Gazzetta Ufficiale nel giugno del 2005: uno relativo alla regolazione dei mercati agricoli, l’altro integrativo del decreto 99 in materia di soggetti giuridici. È, inoltre, proseguita la politica di sostegno agli investimenti delle filiere agroalimentari sia attraverso il credito d’imposta in agricoltura, la cui operatività è venuta a cessare alla fine dell’anno sia mediante la ristrutturazione degli strumenti di intervento pubblico nell’agroalimentare, con la creazione della società ISA, di derivazione “Sviluppo Italia S.p.A.”. Numerose altre questioni hanno attraversato il dibattito tra le parti sociali agricole: dalla rintracciabilità e dall’indicazione dell’origine della materia prima agricola, che ha avuto nella legge n. 204/04 il punto di scontro più rilevante, agli organismi geneticamente modificati, alla riforma della previdenza agricola ed alla questione dei crediti cartolarizzati INPS. Va segnalata anche l’evoluzione di ISMEA, ente pubblico economico che nel 1999 aveva incorporato la Cassa per la formazione della proprietà contadina e che, nell’anno, ha spostato il baricentro delle proprie attività sul credito agrario e sulla riassicurazione dei rischi da calamità naturali. 25 La legge finanziaria 2005,in chiusura d’anno, ha introdotto numerose norme in materia agricola alcune delle quali, a cominciare dal comma 551 riguardante le quote latte, hanno scatenato dure polemiche all’interno del mondo agricolo. Crisi settoriali e regolazione dei mercati Il tema delle crisi di mercato, come detto, ha occupato un posto di primo piano nell’azione pubblica in agricoltura: già durante i primi mesi estivi del 2004 il crollo della remunerazione di alcune produzioni, pesche ed uva da tavola in particolare, aveva scatenato forti proteste tra i produttori agricoli. Nel novembre 2004 il Governo decideva di intervenire a sostegno delle imprese agricole colpite da crisi di mercato, emanando il decreto legge n. 280/045. Il decreto 280 prevedeva che con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali venisse dichiarato lo stato di grave crisi di mercato per le produzioni agricole per le quali il prezzo medio unitario rilevato dall’ISMEA fosse inferiore del trenta per cento rispetto al prezzo medio unitario del triennio precedente. Gli imprenditori agricoli colpiti da crisi di mercato potevano accedere ai benefici del Fondo di solidarietà nazionale, nonché alla sospensione del pagamento delle imposte e dei contributi previdenziali. La norma, che in sostanza, equiparava la crisi di mercato ad una calamità naturale, veniva tuttavia bocciata dalla Commissione europea che riteneva tale equiparazione contraria agli orientamenti in materia di aiuti di stato agricoli. La Commissione negava, altresì, la possibilità di legare il calo dei prezzi dei prodotti a compensazioni economiche ai produttori. Il decreto legge 280/04 subiva un iter parlamentare assai contrastato per la presenza di norme molto eterogenee, fino a indurre il Governo a ritirarlo senza che fosse convertito in legge. Le notevoli aspettative sorte tra gli imprenditori agricoli determinavano la riproposizione, da parte del Governo, di un ulteriore decreto legge, il n. 22 emanato nel febbraio 2005, il quale, durante il dibattito parlamentare per la conversione in legge, veniva arricchito di numerose norme volte a sostenere i produttori colpiti a crisi di mercato. Con il decreto legge n. 22, convertito nella legge 29 aprile 2005, n.71, il tema delle crisi di mercato è stato così affrontato sia per quanto concerne le situazioni di crisi verificatesi nel corso del 2004, e che non avevano trovato ristoro attraverso il precedente decreto legge non convertito sia per quanto riguarda le situazioni future, nell’ottica di non fornire solamente un mero sostegno temporaneo alle imprese, ma di agevolare la fuoriuscita dalla crisi attuando possibilmente la ristrutturazione della finanza aziendale. Nello stesso periodo, la Commissione europea formalizzava nella comunicazione COM (2005) 74 la propria posizione in materia di gestione dei rischi e delle crisi nel settore agricolo, posizione basata sul presupposto che la stabilizzazione dei redditi agricoli era comunque “ampiamente assicurata dal nuovo regime dei pagamenti disaccoppiati, in quanto attraverso il pagamento unico gli agricoltori possono disporre di un adeguato sostegno al reddito6”; Premettendo, inoltre, che “sono comunque da escludere aiuti di Stato miranti a lenire crisi di mercato calcolate per singoli prodotti o sulla base di riduzioni di prezzi”, la Commissione 5 Decreto legge 29 novembre 2004, n. 280. 6 Il documento della Commissione premetteva, inoltre, che numerose organizzazioni comuni di mercato – carni bovine e suine, ortofrutta e vino – già prevedono al loro interno meccanismi di ritiro delle produzioni in caso di crisi di mercato e pertanto meccanismi ulteriori, per di più a carattere generalizzato, sarebbero difficilmente giustificabili. 26 europea sosteneva che solo nel caso in cui gli strumenti attualmente vigenti non consentissero di far fronte a situazioni che comportano “problemi di liquidità e ingenti perdite di reddito”, potrebbero essere studiate misure che dovrebbero rispondere ai seguenti requisiti: − i meccanismi a sostegno delle crisi di mercato devono essere a carattere generale (non per filiera); − l’indicatore di crisi è il reddito e non la diminuzione di prezzo dei prodotti colpiti da crisi di mercato; − gli agricoltori possono beneficiare di pagamenti di sostegno alla liquidità unicamente se il loro reddito agricolo nel corso di un determinato anno è inferiore al 70% del reddito medio lordo dei tre anni precedenti e, comunque i pagamenti devono essere decrescenti in funzione della presenza di altri pagamenti compensativi; − il varo delle predette misure “presuppone” un accordo su una precisa definizione del reddito e la creazione, da parte degli Stati membri, di un sistema di reddito di riferimento a livello dell’azienda agricola. Con tali presupposti, la ricerca di una via nazionale per il sostegno delle crisi di mercato non risultava agevole. Gli interventi contenuti nella legge 71, sono così raggruppabili: − aiuti per le crisi di mercato del 2004; − aiuti per crisi di mercato future (meccanismo a regime); − misure previdenziali e altri interventi. Per le crisi di mercato del 2004, l’articolo 1, comma 1-bis della legge 71 ha previsto che, nei territori delimitati da apposito decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, nei quali si sia verificata nel 2004 una riduzione di reddito del 30% rispetto al triennio precedente7, viene concessa: − la sospensione, fino al 31 dicembre 2005, dei contributi previdenziali e assistenziali propri e dei lavoratori dipendenti dovuti per l’intero anno 2005; − la possibilità di accendere mutui a lungo termine, assistiti dal contributo pubblico (a carico del Fondo di solidarietà nazionale) e dalla garanzia ISMEA oppure, in alternativa, di ricevere contributi in conto capitale con il meccanismo del de minimis (3.000 euro in tre anni per impresa). Per le crisi di mercato a regime (a partire, cioè,dal 2005)l’articolo 1-bis della legge 71 ha previsto, subordinatamente all’autorizzazione comunitaria, in favore delle imprese colpite da crisi di mercato: − l’attivazione delle misure indennizzatorie del Fondo di solidarietà nazionale (mutui di soccorso, sgravi contributivi e interventi strutturali); − il rinvio dei pagamenti fiscali, previdenziali e delle cambiali agrarie in scadenza. Anche qui la procedura prevede un decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali con cui viene dichiarato lo stato di crisi in presenza di calo del reddito del 30% rispetto al triennio precedente. 7 La Camera dei Deputati, con un ordine del giorno accolto dal Governo, ha impegnato il Governo stesso ad intervenire prioritariamente nelle Regioni che hanno già deliberato la crisi di mercato nel corso del 2004. Con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali 9 giugno 2005, pertanto, i territori oggetto dei predetti interventi sono stati identificati in quelli individuati “con delibere di giunta, adottate entro il 31 dicembre 2004, dalle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Molise, Puglia e Sicilia”. 27 Per le misure previdenziali e altri interventi la legge 71 ha reso più agevole e vantaggiosa per le imprese agricole la rateizzazione dei crediti INPS, già varata con la legge finanziaria 2004, in particolare con: − l’allungamento della rateizzazione da 5 a 10 anni; − la riapertura dei termini per la rateizzazione anche alle imprese colpite dalle calamità intervenute al 31 marzo 2005; − la concessione, alle imprese che rateizzano, di mutui a lungo termine a tasso agevolato, garantiti dall’ISMEA, con oneri a carico del Fondo di solidarietà nazionale, oppure, in alternativa, contributi in conto capitale equivalenti al predetto contributo in conto interessi, nel limite di 50.000 euro per impresa; − la possibilità di sostituire eventuali ipoteche accese a favore dei concessionari con fideiussioni; − la specifica che la presentazione della domanda di rateizzazione comporta automaticamente la sospensione di ogni procedura di recupero crediti, quindi anche dei pignoramenti, operata contro le imprese agricole. Sempre con riferimento alle crisi di mercato, la legge 71 ha previsto la possibilità per il Commissario ex Agensud di destinare parte delle proprie risorse a convenzioni con l’AGEA per interventi a sostegno di produzioni agricole colpite da crisi di mercato, da operarsi anche nelle are svantaggiate del paese, non solo, quindi, nelle aree interne meridionali. Sono stati, inoltre, resi disponibili per le Regioni i fondi, circa 200 milioni di euro, assegnati dalla legge n. 178 del 20028, il cosidetto “decreto omnibus”, consentendo alle Regioni di attivare il sostegno a favore delle imprese agricole colpite da calamità naturali negli anni scorsi. Per affrontare in modo organico la crisi del settore ortofrutticolo, la legge 71 ha disposto la stesura, da parte del Governo, d’intesa con le Regioni, di un Piano ortofrutticolo nazionale per il quale, tuttavia, non è stato disposto uno specifico finanziamento, nonché l’estensione dell’intervento del piano assicurativo agricolo nazionale è stato esteso anche all’assicurazione dei rischi di mercato e, non solamente ai rischi derivanti da calamità naturali 9. Le misure varate per sostenere le imprese colpite da crisi di mercato hanno avuto fondamentalmente lo scopo di restituire liquidità alle imprese stesse: è stata, tuttavia, avvertita in modo diffuso – sia a livello parlamentare che governativo, la consapevolezza che solo un deciso rafforzamento del potere contrattuale della parte agricola nella filiera può consentire da un lato una migliore remunerazione del produttore, dall’altro il contenimento delle spinte speculative sui prezzi al dettaglio. Dopo mesi di serrato dibattito tra le parti sociali agricole, il Governo, nel febbraio 2005, approvava preliminarmente il decreto legislativo in materia di regolazione dei mercati agroalimentari, che verrà approvato in via definitiva come decreto legislativo n. 102 del 27 maggio 2005. Il decreto 102 ha riformato la materia degli accordi interprofessionali, sopprimendo, tra l’altro, la legge 88 del 1988, con l’obiettivo di costruire un sistema contrattuale di filiera, attraverso gli strumenti delle intese di filiera e dei contratti quadro, nel quale le intermediazioni 8 Decreto legge n. 138 del 2002, convertito nella legge 8 agosto 2002, n. 178, noto anche come “decreto omnibus”. 9 Va infine evidenziato che per far fronte agli oneri per la sospensione dei contributi previdenziali e per i mutui agevolati concessi alle aree in crisi di mercato nel 2004, nonché per l’allungamento della rateizzazione dei crediti INPS e per le future misure a regime legate alla crisi di mercato, la legge 71 ha disposto il rifinanziamento del fondo di solidarietà nazionale con ulteriori 120 milioni di euro. 28 e la formazione dei prezzi siano più trasparenti ed eque, sia per i produttori agricoli che per i consumatori. L’architettura della regolazione dei mercati prevista dal decreto 102 si basa sui seguenti elementi: − completamento della riforma delle organizzazioni dei produttori, avviata con la legge di orientamento del 2001 10, al fine di rendere le OO.PP. soggetti economici aventi reale disponibilità dei prodotti conferiti dai soci; − definizione delle regole generali utili alla contrattazione di filiera attraverso lo strumento delle “intese di filiera”, stipulate nell'ambito del Tavolo agroalimentare11,tra gli organismi maggiormente rappresentativi a livello nazionale nei settori della produzione, della trasformazione, del commercio e della distribuzione dei prodotti agricoli e agroalimentari, presenti o rappresentati nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro; − definizione degli obblighi contrattuali generali all’interno della filiera attraverso il “contratto quadro”, concluso tra soggetti economici, aventi quindi la reale disponibilità del prodotto, e che ha per oggetto, senza che derivi l'obbligo di praticare un prezzo determinato, la produzione, la trasformazione, la commercializzazione, la distribuzione dei prodotti, nonché i criteri e le condizioni generali che le parti si impegnano a rispettare; − definizione degli obblighi contrattuali tra le singole parti mediante i “contratti-tipo”,modelli contrattuali (contratti di coltivazione, allevamento e di fornitura) aventi per oggetto la disciplina dei rapporti contrattuali tra imprenditori agricoli, trasformatori, distributori e commercianti ed i relativi adempimenti in esecuzione di un contratto quadro, nonché la garanzia reciproca di fornitura e di accettazione delle relative condizioni e modalità. Il ruolo più importante nella regolazione dei mercati è affidato dal decreto legislativo 102 alla capacità delle organizzazioni di produttori di concentrare e vendere le produzioni dei soci: gli scopi che le OP devono perseguire sono quindi rivolti in particolare alla programmazione della produzione, alla partecipazione alla gestione delle crisi di mercato, alla concentrazione dell’offerta, alla promozione di pratiche migliorative della qualità delle produzioni, all'adozione di tecnologie innovative, all'accesso ai nuovi mercati. Per attuare questi scopi, è prevista la costituzione di fondi di esercizio, alimentati da contributi pubblici e dai contributi dei soci aderenti all'OP, per finanziare appositi programmi. Il decreto 102 ha, inoltre, modificato i requisiti minimi che le OP devono possedere per ottenere il riconoscimento pubblico, riducendoli a cinque soci e ad un volume minimo di produzione, conferita dagli associati, pari a 3 milioni di euro, ridotto a 1,5 milioni di euro per le produzioni specializzate. Rimane salva la possibilità per le Regioni di stabilire limiti superiori a quelli indicati, mentre vengono fatte salve le specifiche disposizioni comunitarie in materia di OP previste dalle singole organizzazioni di settore, quale, ad esempio, quella dell’ortofrutta. Immutato è l’obbligo per le organizzazioni di produttori di far vendere almeno il 75 per cento della propria produzione direttamente dall’organizzazione con facoltà di commercializzare in nome e per conto dei soci fino al 25% del prodotto12. 10 Articoli 26 e seguenti del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228. 11 Il Tavolo agroalimentare, disciplinato dall’articolo 20 del decreto legislativo n. 228/01, è costituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 12 Il decreto legislativo 102 ha previsto una ulteriore proroga al 31 dicembre 2005, del termine originariamente fissato dal decreto legislativo228/01 a tutela delle associazioni, in precedenza riconosciute con la legge 674/78, di alcuni settori specifici produttivi (ad es. olio e patate) che non hanno ancora adottato le delibere di trasformazione societaria. 29 In coerenza con la missione affidata alle organizzazioni di produttori, il decreto legislativo 102 ha provveduto a riformare le norme relative alle unioni di organizzazioni di produttori, non più, secondo la nuova norma, strumenti di rappresentanza sindacale a livello di filiera, ma in pratica organizzazioni di produttori di secondo livello aventi sempre finalità economiche. In tal senso per il loro riconoscimento da parte del Ministero delle politiche agricole e forestali è stato previsto che le forme associate di OO.PP. debbano essere costituite da organizzazioni di produttori riconosciute che commercializzano complessivamente un volume minimo di produzione di sessanta milioni di euro. Le intese di filiera, dunque, costituiscono il livello più generale di contrattazione di filiera: essendo stipulate da soggetti non economici, esse mirano al miglioramento della conoscenza e della trasparenza della produzione e del mercato, con un’azione più politica che economica. I contratti quadro determinano, invece,veri e propri impegni contrattuali tra i soggetti che li sottoscrivono. Non necessariamente, però, i contratti quadro debbono essere preceduti da intese di filiera: il decreto legislativo 102 prevede, infatti, che con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali possono essere definite, per singole filiere, modalità di stipula dei contratti quadro in mancanza di intesa di filiera, che prevedano una rappresentatività specifica, determinata in percentuale al volume di produzione commercializzata, da parte dei soggetti economici della filiera13. Le caratteristiche dei contratti quadro sono definite dal decreto legislativo 102 nel modo seguente: − valutazione preventiva delle previsioni della produzione e degli sbocchi commerciali del prodotto in vista della loro armonizzazione; − definizione delle regole di adeguamento del prodotto oggetto del contratto quadro alle esigenze dell’immissione sul mercato, tenendo conto della qualità del prodotto e dei servizi logistici che incidono sulla determinazione del prezzo di commercializzazione; − obbligo per gli acquirenti di rifornirsi del prodotto oggetto del contratto quadro tramite un contratto di coltivazione, allevamento e fornitura, o tramite altro contratto, comunque denominato, da stipulare per iscritto, che rispetti i contenuti del contratto quadro e ne preveda espressamente l’applicazione anche nei confronti degli imprenditori agricoli non aderenti alle organizzazioni stipulanti; − specificazione delle cause di forza maggiore che giustificano il mancato rispetto parziale o totale delle reciproche obbligazioni delle parti nei singoli contratti; − disciplina delle modalità di corresponsione, da parte di ciascun produttore, trasformatore, commerciante e distributore alle rispettive organizzazioni firmatarie, di contributi, ove previsto dai contratti quadro, per le spese previste dagli accordi finalizzate a favorire la stabilizzazione del mercato e – attraverso studi, controlli tecnici ed economici, ed azioni per la promozione e lo sviluppo delle vendite – la valorizzazione dei prodotti oggetto dei contratti quadro; − sanzioni e indennizzi in caso di inadempimento parziale o totale delle obbligazioni. Sono esclusi dai contratti quadro i quantitativi di prodotto conferiti dai soci alle cooperative agricole ed ai loro consorzi per la raccolta, la lavorazione, la trasformazione e la 13 Un’eccezione al sistema generale viene prevista per i contratti quadro nel settore bieticolo-saccarifero, che sono sottoscritti,in rappresentanza degli imprenditori agricoli, dalle associazioni nazionali maggiormente rappresentative dei produttori bieticoli, anziché dai soggetti economici. 30 commercializzazione sul mercato delle produzioni agricole ed agroalimentari, in quanto il decreto legislativo 102 equipara i contratti di conferimento sottoscritti tra le cooperative agricole e loro consorzi ed i rispettivi associati, qualora perseguano gli obiettivi dei contratti quadro, ai contratti di coltivazione, allevamento e fornitura. È indubbio che senza un forte sostegno pubblico alla stipula dei contratti quadro, la complessa normazione varata dal decreto legislativo 102 risulterebbe priva di effettiva convenienza, soprattutto sul versante contrattualmente più forte della trasformazione e commercializzazione. Il decreto ha così previsto incentivi specifici per le imprese che stipulino contratti di coltivazione, di allevamento e fornitura conformi ai contratti quadro14, ed in particolare: − priorità nell’erogazione di contributi statali per l’innovazione e la ristrutturazione delle imprese agricole, agroalimentari e di commercializzazione e vendita dei prodotti agricoli; − priorità nell’accesso al regime di aiuti sul capitale di rischio gestito da ISMEA; − valutazione privilegiata nell’aggiudicazione degli appalti pubblici. I nuovi soggetti giuridici in agricoltura e il sostegno agli investimenti di filiera Con il decreto legislativo 99 del 200415 il Governo ha introdotto la nuova figura dell’imprenditore agricolo professionale (IAP), che sostituiva la figura dell’imprenditore agricolo a titolo principale (IATP)16 ancora vigente nel nostro ordinamento nonostante fosse stata eliminata dall’ordinamento comunitario dal 1999. Era stata inoltre prevista la figura della “società agricola”, soggetto giuridico avente quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività di cui all’articolo 2135 del codice civile. Alle società agricole, nelle quali almeno la metà dei soci rivesta la qualifica di coltivatore diretto, il decreto legislativo 99 ha riconosciuto anche l’esercizio dei diritti di prelazione di cui beneficiano i coltivatori diretti ai sensi della legge 590 del 1965, nonché le agevolazioni tributarie e creditizie stabilite in favore dei coltivatori diretti. Per rafforzare la scelta “professionale” operata con il decreto 99, il Governo, sfruttando la proroga di un anno della delega prevista dalla legge n. 38/03, varava nel febbraio 2005 un ulteriore decreto integrativo del decreto 99, che veniva approvato definitivamente nel maggio 2005 come decreto legislativo n. 101. Il nuovo decreto ha introdotto importanti semplificazioni per l’accesso alla qualifica di imprenditore agricolo professionale sia per quanto riguarda il parametro del reddito sia 14 La legge 80 del 2005 ha inoltre previsto che a decorrere dal 1° gennaio 2006, alle imprese che concludono contratti di coltivazione e vendita conformi agli accordi interprofessionali di cui alla legge 88/88, è riconosciuta priorità nell'erogazione degli aiuti supplementari diretti previsti a discrezione dello Stato membro ai sensi del regolamento (CE) n. 1782/2003 del 29 settembre 2003 del Consiglio. La norma cita ancora gli accordi interprofessionali, soppressi dal decreto legislativo 102,in quanto il decreto stesso non era ancora vigente al momento della pubblicazione della legge. 15 Una illustrazione del decreto legislativo n. 99/04 è contenuta nel rapporto sullo stato dell’agricoltura 2003. 16 Anche le società possono rivestire la nuova figura purchè abbiano per oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile e siano in possesso dei seguenti requisiti: − nel caso di società di persone qualora almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale; − nel caso di società cooperative, ivi comprese quelle di conduzione di aziende agricole, qualora utilizzino prevalentemente prodotti conferiti dai soci ed almeno un quinto dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale; − nel caso di società di capitali, quando almeno un amministratore sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale. 31 relativamente alla possibilità di computare l’attività prestata dai soci di società di persone o cooperative agricole ai fini del raggiungimento dei requisiti previsti dal decreto legislativo 99. Per le cooperative, inoltre, è ora sufficiente che un amministratore-socio sia in possesso della qualifica di IAP17 . Particolare rilievo assume anche la previsione che le agevolazioni recate in favore delle società agricole IAP riguardano anche le società agricole di persone con almeno un socio coltivatore diretto, nonché le società agricole di capitali o cooperative con almeno un amministratore coltivatore diretto. La norma mira ad evolvere la forma giuridica dei coltivatori diretti, storicamente imprese individuali, in soggetti giuridici, attraverso un percorso premiante che mantenga in capo anche alle società di capitali le stesse agevolazioni di cui godeva il coltivatore diretto persona fisica. Oltre a numerose altre norme di semplificazione amministrativa, riguardanti i depositi carburanti e le officine meccaniche nelle imprese agricole, i vincoli di indivisibilità ai fini dei benefici ISMEA, il passaggio dell’operatività del Fondo interbancario di garanzia a ISMEA stessa e l’attività agromeccanica, il decreto legislativo 101 ha previsto che, a decorrere dal 1 gennaio 2007 i rapporti tra le imprese agricole ed agroalimentari, lo Stato, le Regioni, gli Enti locali, si svolgano con modalità informatizzata. La politica di sostegno agli investimenti delle filiere agroalimentari nel corso del 2004 si è concretizzata attraverso il credito d’imposta in agricoltura e i contratti di programma relativi al settore agricolo. Dello stanziamento iniziale di 175 milioni di euro, 105 milioni venivano riservati alle Regioni dell’obiettivo 1: constatato il parziale utilizzo di tali risorse, il Ministero delle politiche agricole e forestali, a partire dal luglio 2004, apriva anche alle altre Regioni la possibilità di utilizzo dell’intero stanziamento. Va tuttavia osservato come, nel secondo semestre 2004, le richieste di accesso al credito d’imposta abbiano subito un forte rallentamento, tanto da indurre il Governo, con il decreto legge 280 del 29 novembre 2004, a chiudere anticipatamente l’operatività del credito per destinare le risorse ancora disponibili, circa 40 milioni di euro, al finanziamento delle assicurazioni per le calamità naturali. I contratti di programma hanno costituito anche nel 2004 un importante strumento di sostegno al comparto agroindustriale: i quattro contratti approvati dal CIPE nel settembre 2004, hanno riguardato 58 aziende localizzate nelle Regioni Toscana, Sardegna, Campania e Sicilia nei settori vitivinicolo, zootecnico, ittico, oleario, della pasta e dei prodotti da forno per investimenti complessivi di 335 milioni di euro e un contributo pubblico pari a 152 milioni di euro. È, inoltre, proseguita l’istruttoria dei contratti di filiera, i cui termini per la presentazione al Ministero delle politiche agricole e forestali si sono chiusi nel settembre del 2004, mentre è stata ridefinitala missione e la struttura operativa dell’intervento in precedenza affidato a Sviluppo Italia S.p.A nel settore agroalimentare. Le legge finanziaria 2004 18 aveva previsto il trasferimento delle risorse di Sviluppo Italia S.p.A destinate ai regimi di aiuto della ex RIBS e per l’imprenditoria giovanile in agricoltura a ISMEA: il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero delle politiche agricole e forestali, tenuto conto delle problematiche di carattere patrimoniale derivanti dallo scorporo, dal 17 Il decreto legislativo 99/04 prevedeva che le cooperative agricole, per ottenere la qualifica di IAP, dovessero avere un quinto dei loro soci IAP. 18 Articolo 4, commi 42,43 e 44 della legge n. 350/03. 32 patrimonio netto di Sviluppo Italia s.p.a., di un ingente quantitativo di risorse – almeno 400 milioni di euro – definivano con decreto del 17 settembre 2004, un percorso più articolato del semplice trasferimento di risorse a ISMEA. Il decreto prevedeva la costituzione, da parte di ISMEA, di una società di scopo, partecipata da Sviluppo Italia S.p.A per l’attuazione degli interventi ex RIBS nell’agroalimentare. Successivamente alla costituzione della società di scopo Sviluppo Italia S.p.A avrebbe trasferito alla neo società, a titolo di finanziamento soci,la somma di 200 milioni di euro quale primo acconto. Una commissione ministeriale avrebbe poi identificato e quantificato le ulteriori risorse strumentali e di personale da trasferire alla società. La nuova società, denominata ISA S.p.A - Istituto Sviluppo Agroalimentare, è stata avviata all’operatività nel corso del 2005. Va rilevato come la legge 80/05 abbia previsto che ferme restando le competenze di approvazione del CIPE, il MIPAF possa affidare a ISA S.p.A le funzioni relative alla valutazione, ammissione e gestione dei contratti di filiera e di distretto, nonché le funzioni di propria competenza e le connesse risorse umane, finanziarie e strumentali relative alla valutazione, ammissione e gestione dei contratti di programma. La medesima legge ha autorizzato il MIPAF ad acquistare da ISMEA e Sviluppo Italia S.p.A le rispettive partecipazioni azionarie in ISA. In sostanza, ISA S.p.A è divenuta il braccio operativo del Ministero delle politiche agricole e forestali nel settore agroalimentare, ricostituendo di fatto la finanziaria RIBS, confluita nel 1999 in Sviluppo Italia S.p.A. È utile osservare come il succedersi delle norme nel corso del 2004 abbia determinato la significativa ridefinizione della missione di ISMEA, ente pubblico economico vigilato dal Ministero delle politiche agricole e forestali che, nel 1999, aveva incorporato la Cassa per la formazione della proprietà contadina. Destinato inizialmente a divenire lo strumento operativo del Ministero nel settore agroalimentare, soprattutto a seguito di quanto previsto dalla legge Finanziaria 2004 relativamente al trasferimento di risorse da Sviluppo Italia, l’Istituto ha assorbito, con il decreto legislativo 102/04, prima la sezione speciale di credito agrario del Fondo interbancario di garanzia, poi, con la legge finanziaria 2005, il FIG stesso. Il successivo decreto legislativo n. 102 del 2005 ha attribuito ad ISMEA la garanzia dello Stato per le operazioni da questa attivate a valere sul FIG. Alle predette norme vanno aggiunte, sempre nel 2004, quelle che hanno assicurato ad ISMEA il finanziamento per 50 milioni di euro del fondo per la riassicurazione dei rischi da calamità naturali e per altrettanti 50 milioni di euro del fondo per i rischi da venture capital19, nonché con la legge 80/05 è confluito in ISMEA, per finalità di credito agrario, il Fondo per il risparmio energetico che era stato costituito presso il Ministero delle politiche agricole e forestali. Le cospicue risorse e l’apparato normativo ricevuto hanno fatto di ISMEA il principale strumento pubblico di credito agrario, ponendo l’Istituto come una sorta di Finanziaria del settore, in grado non solo di erogare finanziamenti alle imprese, ma anche di offrire garanzie sussidiarie a soggetti bancari. 19 I predetti finanziamenti sono stati attuati rispettivamente dai commi 85 e 86 della legge finanziaria 2005. 33 La tutela del consumatore: etichettatura, indicazione dell’origine della materia prima agricola e Organismi Geneticamente Modificati Nel luglio 2004 il Parlamento approvava la legge 204/04, recante, tra l’altro, norme in materia di etichettatura e indicazione dell’origine della materia prima agricola nei prodotti alimentari Il dibattito politico sull’inserimento in etichetta dell’origine della materia prima era stato acceso già nei mesi precedenti dalla presentazione, da parte della Coldiretti, di un disegno di legge di iniziativa popolare, per il quale l’organizzazione aveva raccolto oltre mezzo milione di firme di cittadini,mirante a rendere obbligatoria in etichetta non solo la provenienza geografica della materia prima, ma anche a subordinare la provenienza del prodotto alimentare alla materia prima stessa. Su questa linea il Parlamento, nella legge 204, innovava profondamente la materia dell’etichettatura dei prodotti alimentari, superando anche la stessa normativa comunitaria doganale. Il reg. (CEE) n. 2913/92, all’articolo 24, prevede che, qualora una merce sia stata prodotta con il contributo di più Paesi, “la merce si considera originaria del Paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata da un’impresa attrezzata a tale scopo, che sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”.20 L’articolo 1-bis della legge 204 del 2004 ha invece previsto che al fine di consentire al consumatore finale di compiere scelte consapevoli sulle caratteristiche dei prodotti alimentari posti in vendita, l'etichettatura dei prodotti medesimi deve riportare obbligatoriamente, oltre alle indicazioni di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, l'indicazione del luogo di origine o provenienza. La legge specifica, che “per luogo di origine o provenienza di un prodotto alimentare non trasformato si intende il Paese di origine ed eventualmente la zona di produzione e, per un prodotto alimentare trasformato, la zona di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata prevalentemente nella preparazione e nella produzione”. Le modalità operative per l’attuazione della legge sono poi demandate a decreti del Ministro delle politiche agricole e forestali di concerto con il Ministro delle attività produttive, mentre la violazione delle disposizioni relative alle indicazioni obbligatorie viene ad essere punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.600 euro a 9.500 euro e nel caso di più violazioni, commesse anche in tempi diversi, è disposta la sospensione della commercializzazione, fino a sei mesi, dei prodotti alimentari interessati. In sostanza, la legge 204 del 2004 sovverte il principio comunitario per il quale un prodotto è originario del Paese in cui si fabbrica, introducendo il principio che l’origine di un prodotto alimentare è quella in cui esso viene “coltivato o allevato”, se il prodotto non è trasformato, oppure, nel caso di prodotto trasformato – come nel caso degli spaghetti prima indicato – è quella di origine della materia prima. Appare evidente come il Legislatore abbia voluto forzare il dettato comunitario in funzione di una maggiore valorizzazione della componente agricola del prodotto alimentare, rispetto alla fase di trasformazione: al riguardo la Confindustria-Federalimentare, in uno specifico dossier21, evidenziava la sua netta contrarietà all’ipotesi di indicare in etichetta un’indicazione d’origine dei prodotti diversa da quella indicata dalla normativa UE. 20 Per esemplificare, secondo la normativa comunitaria gli spaghetti sono “made in Italy” anche se il grano duro utilizzato proviene dal Canada o dall’Ucraina. 21 Dossier Federalimentare “Origine della materia prima in etichetta?”, sul sito www.fedealimentare.it 34 La Commissione europea, con nota del 25 agosto 2004, quindi poche settimane dopo l’approvazione della legge, comunicava allo Stato italiano la non conformità della procedura seguita nell’approvare la legge 204/0422, comunicava tuttavia all’Italia l’inapplicabilità della legge per la mancata comunicazione preventiva alla commissione della norma stessa. Oltre alla disciplina dell’indicazione di origine della materia prima, la legge 204 ha recato altre norme relative all’etichettatura dei seguenti prodotti alimentari: − olio d’oliva, l’articolo 1-ter della legge 204/04 prevede che nell'etichettatura degli oli di oliva vergini ed extravergini è obbligatorio riportare l'indicazione del luogo di coltivazione e di molitura delle olive. Le modalità per l'indicazione obbligatoria delle predette diciture sono stabilite con decreto interministeriale. Anche in questo caso la norma, andando al di là delle prescrizioni comunitarie23, è stata dichiarata dalla Commissione europea non conforme con l’ordinamento comunitario e quindi disapplicabile; − latte fresco,la legge 204/04 ha previsto che le denominazioni di vendita “latte fresco pastorizzato” e “latte fresco pastorizzato di alta qualità”, da riportare nella etichettatura del latte vaccino, destinato al consumo umano, siano esclusivamente riservate al latte prodotto conformemente alla legge 169/89, quindi senza nessun trattamento ulteriore rispetto alla pastorizzazione; la denominazione di vendita di qualsiasi altro tipo di latte ammesso al consumo umano è quella di “latte” con l’aggiunta della indicazione del trattamento autorizzato, per esempio “latte microfiltrato”. Al fine di garantire la più ampia tutela del consumatore, la denominazione di vendita dello Stato di produzione non può essere usata quando il prodotto che essa designa, dal punto di vista della sua composizione o fabbricazione, si discosta in maniera sostanziale dai prodotti identificati a livello nazionale con la stessa denominazione di vendita; − passata di pomodoro24, la legge 204/04 ha stabilito che la denominazione di vendita “passata di pomodoro” identifichi solo il prodotto ottenuto esclusivamente dalla spremitura diretta del pomodoro fresco, demandando ad un decreto ministeriale i requisiti minimi del prodotto e ad un decreto interministeriale la definizione delle modalità ed i requisiti per l’indicazione obbligatoria della dicitura del luogo di origine o di provenienza dei prodotti; − vitello, ai fini della classificazione merceologica la legge 204 ha specificato che si intende per 'vitello' un animale appartenente alla specie bovina, macellato prima dell'ottavo mese di vita, la cui carcassa non superi il peso di 185 chilogrammi. 22 La Commissione europea, contestava il mancato invio preliminare della norma in conformità di quanto previsto dalla direttiva 98/34/CE del 22 giugno 1998, del Parlamento e del Consiglio, come modificata dalla direttiva 98/48/CE del 20 luglio 1998, del Parlamento e del Consiglio, che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione 23 Oltre alla normativa generale doganale, per cui se l’olio è imbottigliato in Italia, ancorché con prodotto non italiano, può comunque riportare l’indicazione “made in Italy”, la normativa comunitaria (art. 4 del reg. CE n. 1019/02 della Commissione europea), prevede una designazione facoltativa dell’origine dell’olio extra vergine e vergine d’oliva. “La designazione dell’origine che indica uno stato membro o a Comunità corrisponde alla zona geografica nella quale le olive sono state raccolte e in cui è situato il frantoio nel quale è stato estratto l’olio”.“Nel caso di tagli di oli extra vergini d’oliva può essere indicata l’origine se oltre il 75% del prodotto soddisfa il criterio di designazione suddetto.” Un precedente tentativo italiano di rendere obbligatoria la designazione della provenienza dell’olio d’oliva, operato con la legge 313 del 1998, fu bocciato dalla Commissione europea. 24 I prodotti che si ottengono in Italia dalla trasformazione del pomodoro normati anche a livello comunitario sono: la polpa, ottenuta pelando il pomodoro, tagliandolo a cubetti di varie misure ed aggiungendo succo di pomodoro; i pelati, ottenuti pelando i pomodori, lasciandoli interi ed aggiungendo succo di pomodoro; il concentrato, ottenuto dopo aver evaporato in varia misura il succo di pomodoro. Di fatto, la passata di pomodoro, che pur con volumi molto importanti non è chiaramente definito ed identificato pur essendo il prodotto in pratica più usato nella cucina italiana, era l’unico non definito per legge; nel tempo, molte aziende sono ricorse alla diluizione del concentrato di pomodoro, in gran parte di importazione soprattutto dalla Cina,aggiungendo acqua, tagliandolo poi con succo fresco di pomodoro e ottenendo così un prodotto di pari concentrazione della vera “passata di pomodoro”, ma con caratteristiche organolettiche assolutamente diverse: colore diverso, sapore di cotto, ecc. 35 Il tema degli organismi geneticamente modificati in agricoltura, strettamente legato alla tutela del consumatore, ha avuto nel 2004 una rilevanza primaria. Dopo numerosi incontri con la filiera, il confronto in sede di Presidenza del Consiglio dei ministri nell’ambito del Tavolo agroalimentare e dure polemiche anche all’interno delle organizzazioni professionali agricole, il Governo, nel novembre 2004, procedeva all’emanazione del decreto legge n. 279/04 recante disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica25. Motivo dell’urgente necessità di assicurare la coesistenza tra le coltivazioni transgeniche, convenzionali e biologiche, e quindi di creare le condizioni, affinché fosse garantita la libertà di iniziativa economica degli agricoltori, era la decisione della Commissione europea dell’8 settembre 2004 di autorizzare l’inserimento di 17 nuove varietà di mais transgenico del tipo MON 810 nel registro comunitario delle sementi26, rendendone, di fatto, possibile l’impiego da parte degli agricoltori europei, fin dalla campagna di semina 2005. Nel timore della concreta possibilità della coltivazione di varietà transgeniche in assenza delle norme nazionali di riferimento per assicurare il rispetto delle indicazioni comunitarie in materia di coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche, il decreto legge 279 dettava le linee nazionali alle quali le Regioni avrebbero dovuto far riferimento nella predisposizione di piani di coesistenza di livello regionale. Va ricordato che la questione dell’impiego in campo agricolo ed alimentare di organismi geneticamente modificati (OGM) è stata affrontata dalla UE soprattutto in riferimento a due aspetti: i potenziali rischi per l’ambiente e la salute umana; il diritto di scelta dei consumatori. La scelta di etichettare gli OGM e, quindi, di distinguere tali prodotti da quelli ottenuti dalle forme di agricoltura convenzionale e biologica, comportala necessità di tenere distinte anche le relative coltivazioni. La possibilità di tenere, effettivamente, distinte le coltivazioni convenzionali e biologiche da quelle geneticamente modificate implica l’esigenza di prevedere la messa a punto di norme in grado di regolamentare la coesistenza tra tali diverse forme di agricoltura. Sulla questione della coesistenza, tenendo conto delle difficoltà di emanare norme generali a livello europeo, era in precedenza intervenuta la Commissione europea con la raccomandazione 2003/556/CE del 23 luglio 2003, con la quale erano state fornite indicazioni agli Stati membri riguardo alle misure da attuare ai fini della coesistenza. In Italia, in assenza di un riferimento normativo nazionale, numerose Regioni erano intervenute con iniziative sia legislative sia politiche in materia di impiego agricolo degli organismi geneticamente modificati27. Il dibattito parlamentare che scaturiva in sede di conversione del decreto legge risultava molto articolato e la legge di conversione (legge 5 del 2005) cercava di temperare gli aspetti più rigidi del decreto legge verso le coltivazioni OGM. 25 Decreto legge 22 novembre 2004, convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2005, n. 5. 26 La direttiva comunitaria2001/18 (in vigore dal 17 ottobre 2002 e recepita in Italia con il decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224) ha regolamentato l’immissione deliberata di OGM nell’ambiente; la sua entrata in vigore ha consentito di attivare numerose procedure autorizzative di sementi transgeniche,pronte ad essere iscritte nel catalogo comune, ai fini della coltivazione. 27 Numerose Regioni (Basilicata, Piemonte, Puglia, Toscana, Marche, Umbria, Campania, Emilia Romagna, Abruzzo, Lazio, Calabria, Sicilia) avevano aderito alla coalizione “liberi da OGM” ed alcune di esse (Puglia, Toscana, Umbria, Marche, Lazio) avevano adottato ancor prima dell’approvazione del decreto legge 279 provvedimenti legislativi finalizzati, sostanzialmente, ad impedire le coltivazioni transgeniche. 36 La legge 5, dunque, ha previsto un sistema di coesistenza tra colture OGM e non, basato sui seguenti principi: − ogni forma di agricoltura deve poter essere praticata,senza che l’esercizio di una di esse comprometta lo svolgimento delle altre, o comporti, per esse, l’obbligo di modificare o adeguare le normali tecniche di coltivazione e allevamento; − la coesistenza dev’essere realizzata in modo tale da tutelare le peculiarità produttive delle diverse forme di agricoltura e da evitare ogni forma di contaminazione delle sementi; − l'introduzione di colture transgeniche deve avvenire senza alcun pregiudizio per le attività agricole preesistenti e senza comportare per esse l'obbligo di modificare o adeguare le normali tecniche di coltivazione e allevamento; − le coltivazioni transgeniche debbano essere praticate all’interno di filiere di produzione separate rispetto a quelle convenzionali e biologiche. In applicazione dei suddetti principi la legge 5 prevede che con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, d'intesa con le Regioni, e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, siano definite le norme quadro per la coesistenza, anche con riferimento alle aree di confine tra Regioni, sulla base delle linee guida predisposte da uno specifico Comitato scientifico. Le Regioni, in coerenza con il decreto ministeriale, adottano il piano di coesistenza che contiene le regole tecniche per realizzare la coesistenza, prevedendo strumenti che garantiscono la collaborazione degli enti territoriali locali, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Sempre a livello regionale possono essere istituiti appositi fondi, finalizzati a consentire il ripristino delle condizioni agronomiche preesistenti all'evento dannoso, cioè alla contaminazione da OGM. L’agricoltore che intendesse mettere a coltura organismi geneticamente modificati è quindi tenuto a darne comunicazione alla Regione entro quindici giorni dalla messa in coltura, della localizzazione delle coltivazioni, è tenuto ad elaborare un piano di gestione aziendale per la coesistenza, sulla base del piano regionale, nonché a conservare appositi registri aziendali contenenti informazioni relative alle misure di gestione adottate. Importante è l’aspetto delle sanzioni introdotte dalla legge 5 per il rispetto delle regole di coesistenza. Il principio base è che il conduttore agricolo che riceve un danno derivante dall'inosservanza da parte di altri soggetti delle misure del piano di coesistenza ha diritto ad essere risarcito ed il risarcimento grava su chiunque abbia cagionato i danni derivanti dalla inosservanza del piano di coesistenza e del connesso piano aziendale. Viene, inoltre, posto in capo ai soggetti che non osservano tali misure l’onere probatorio derivante dall’inosservanza delle misure stesse. Analoga responsabilità grava sui fornitori dei mezzi tecnici di produzione e sugli altri operatori della filiera produttiva primaria28. Per garantire il principio della separazione delle filiere, la legge 5 ha, infine, previsto che fino all’adozione dei piani di coesistenza regionali le colture transgeniche, ad eccezione di quelle autorizzate per fini di ricerca e di sperimentazione, non sono consentite, pena l'arresto da uno a due anni o l'ammenda da euro 5.000 a euro 50.000. L’apparato normativo introdotto dalla legge 5 appare dunque orientato alla massima tutela verso gli agricoltori che non coltivano OGM, al fine di evitare ogni possibile 28 Il conduttore agricolo è esente dalle responsabilità nell'ipotesi in cui abbia utilizzato sementi certificate dall'autorità pubblica e munite di dichiarazione della ditta sementiera, concernente l'assenza di organismi geneticamente modificati secondo la vigente normativa. 37 contaminazione: il divieto di coltivazione di OGM prima che siano stati varati i piani di coesistenza rappresenta, nella sostanza, una moratoria sull’utilizzo di tali colture che va nella direzione di riaffermare l’immagine dell’agricoltura italiana di qualità, nella quale molto difficilmente gli OGM potranno, per scelta del Parlamento, un loro ruolo significativo. La riforma della previdenza agricola e la questione dei crediti cartolarizzati INPS Anche nel corso del 2004 il tema della pressione contributiva sulle imprese agricole ha assunto un rilievo primario. Due i fatti principali registrati nell’anno: l’attuazione della legge finanziaria 200429 relativamente alla rateizzazione dei crediti INPS vantati nei confronti degli imprenditori, e oggetto di cartolarizzazione, e la delega concessa dalla legge n. 243/04 per la riforma complessiva del sistema previdenziale. Per quanto riguarda i crediti agricoli INPS cartolarizzati, con decreto interministeriale 21 aprile 200430 sono state fissate le modalità per la rateizzazione in cinque anni delle cartelle INPS riferite alle imprese agricole e ittiche che, entro il 30 settembre 2003, fossero state colpite da calamità naturali o avversità atmosferiche, quali ad esempio la siccità, e da emergenze di carattere sanitario, quali ad esempio la Lingua Blu, o da emergenze fitosanitarie. L’avvio della rateizzazione ha segnato un passaggio importante verso la definizione del notevole contenzioso instauratosi con l’INPS e verso una gestione più flessibile del contenzioso stesso: va, infatti, ricordato che i crediti INPS, in quanto cartolarizzati, sono usciti dalla disponibilità giuridica dell’Istituto. La possibilità di rateizzare i pagamenti ha quindi rappresentato una forzatura normativa al rapporto privatistico instauratosi tra l’INPS e la società che ha acquisito i crediti cartolarizzati. Per rendere ancora più vantaggiosa la rateizzazione, la legge 71 del 2005 ne ha ulteriormente migliorato le condizioni in favore degli imprenditori agricoli, prevedendo: l’allungamento della rateizzazione da 5 a 10 anni; la riapertura dei termini per la rateizzazione anche alle imprese colpite dalle calamità intervenute al 31 marzo 2005; la concessione, alle imprese che rateizzano, di mutui a lungo termine a tasso agevolato, garantiti dall’ISMEA, con oneri a carico del Fondo di solidarietà nazionale, oppure, in alternativa, contributi in conto capitale equivalenti al predetto contributo in conto interessi, nel limite di 50.000 euro per impresa; la possibilità di sostituire eventuali ipoteche accese a favore dei concessionari con fideiussioni; la sospensione automatica, a seguito della presentazione della domanda di rateizzazione, di ogni procedura di recupero crediti, quindi anche dei pignoramenti, operata contro le imprese agricole. Per quanto riguarda la riforma complessiva della previdenza, la legge n. 243/0431 ha previsto una delega al Governo per “la semplificazione e la razionalizzazione delle norme previdenziali per il settore agricolo, secondo criteri omogenei a quelli adottati per gli altri settori produttivi e a quelli prevalentemente adottati a livello comunitario, nel rispetto delle sue specificità, anche con riferimento alle aree di particolare problematicità, rafforzando la rappresentanza delle organizzazioni professionali e sindacali nella gestione della previdenza, anche ristrutturandone l'assetto e provvedendo alla graduale sostituzione dei criteri induttivi per l'accertamento della manodopera impiegata con criteri oggettivi”. Dall’emanazione dei testi unici non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.” 29 Articolo 4, commi 20 e seguenti, della legge n. 350/03. 30 Il decreto è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 giugno 2004, n. 129. 31 Articolo 1, comma 50, della legge 23 agosto 2004, n. 243. 38 − Si tratta di una delega assai ampia e indefinita, che poggia su due elementi fondamentali: l’uniformità agli altri settori produttivi, pur nel rispetto delle sue specificità; − la graduale sostituzione dei criteri induttivi per l’accertamento della manodopera impiegata con criteri oggettivi; − l’invarianza della spesa. La legge finanziaria 2005 In chiusura d’anno, la legge finanziaria n. 311/04 ha recato le risorse per i principali interventi agricoli da operare nel 2005, ed ha introdotto numerose norme alcune delle quali, come accennato, hanno scatenato dure polemiche all’interno del mondo agricolo. Per quanto riguarda le risorse destinate al settore, anche le amministrazioni agricole hanno dovuto sottostare alla regola di bilancio del “due per cento”32, che si è concretizzata nella sostanziale riproposizione degli importi del 2004 per numerose voci di spesa. Nel complesso la Finanziaria 2005 ha recato stanziamenti per l’agricoltura per circa 917 milioni di euro, con un incremento sul 2004 di 28 milioni di euro. È interessante osservare come quasi un terzo degli stanziamenti riguardi misure volte a limitare i rischi d’impresa e i danni da calamità naturali 33: il prospetto sottostante riassume gli stanziamenti tipologia di intervento. Tra i provvedimenti normativi contenuti nella legge 311/04 una particolare rilevanza, oltre a quelli già illustrati relativi all’attribuzione ad ISMEA della gestione del Fondo interbancario di Garanzia e delle relative risorse finanziarie, spicca il comma 551 relativo alla giurisdizione del contenzioso in materia di quote latte. La norma, che scatenava aspre polemiche all’interno del mondo agricolo, devolveva ai giudici ordinari, anziché al giudice amministrativo, tutto il contenzioso derivante da provvedimenti amministrativi relativi alle misure comunitarie, quindi anche dalle quote latte. Schierate in modo compatto le organizzazioni professionali e della cooperazione chiedevano l’immediata eliminazione della norma, con il timore che i produttori non in regola con il pagamento del superprelievo potessero trovare ulteriori scappatoie presso qualche tribunale civile non perfettamente a conoscenza della materia. 32 Il comma 5 della legge 311/04 (composta di un solo articolo) ha previsto che “al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica stabiliti in sede di Unione europea, indicati nel Documento di programmazione economico-finanziaria e nelle relative note di aggiornamento, per il triennio 2005 – 2007 la spesa complessiva delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, individuate per l’anno 2005 nell’elenco 1 allegato alla presente legge e per gli anni successivi dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) con proprio provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 31 luglio di ogni anno, non può superare il limite del 2 per cento rispetto alle corrispondenti previsioni aggiornate del precedente anno, come risultanti dalla Relazione previsionale e programmatica. 33 Sono previsti 100 milioni di euro per il Fondo di solidarietà nazionale, altri 100 per il contributo statale alle polizze assicurative da calamità naturali, 50 milioni destinati al fondo di riassicurazione ISMEA e altri 50 milioni al fondo per il capitale di rischio. 39 Tabella 2 – Stanziamenti in favore del settore agricolo: confronto tra la legge finanziaria 2004 e quella del 2005 – migliaia di euro 2004 2005 Fondo speciale di parte corrente 41.087 5.387 Fondo speciale di conto capitale 1.500 0 305.801 334.578 250.425 229.397 Stanziamenti autorizzati in relazione a disposizioni di legge Di cui AGEA Piano pesca 30.358 17.992 (A) Enti diversi 5.641 5.541 Consiglio della ricerca in Agricoltura C.R.A 19.377 78.648 Rifinanziamento norme recanti interventi di sostegno dell’economia 302.000 3000 (B) Leggi pluriennali di spesa (al netto delle somme già inserite al rigo precedente) 541.443 477.308 Di cui LIMITE D’IMPEGNO OPERE IRRIGUE (C) 50.000 Fondo di solidarietà nazionale – indennizzi 50.000 50.000 Fondo di solidarietà nazionale – assicurazioni 100.000 150.000 Fondo unico investimenti del MIPAF (D) 227.308 stanziamenti nell'articolato aventi impatto sulle tabelle (E) TOTALE (al netto delle duplicazioni in Tabella F) 100.000 889.831 917.273 (B) A tale importo vanno aggiunti 10,5 milioni di euro (9 milioni di euro per il fermo biologico di cui alla legge 77/04 e 1,5 milioni di euro per la regione Molise di cui alla legge 204/04), iscritti sul bilancio del Ministero delle politiche agricole e forestali per il 2005. (C) Lo stanziamento riguarda il settore bieticolo-saccarifero e si aggiunge a quello di 10 milioni di euro recato al comma 479. (D) un ulteriore limite d’impegno di impegno è previsto per l’anno 2008; (E) importo già ridotto dei 93,717 milioni di euro confluiti nel bilancio ordinario del Ministero delle politiche agricole e forestali; (F) Si tratta dei 100 milioni di euro assegnati dal comma 85 al fondo di riassicurazione (50 milioni) e dal comma 86 al fondo per il capitale di rischio (50 milioni). Va al riguardo evidenziato che nel marzo del 2004 era giunta l’attesa sentenza della Corte di Giustizia Europea, la quale aveva ritenuto coerente con la regolamentazione comunitaria la legislazione nazionale in materia di quote latte, dando così ragione allo Stato italiano nel confronto con i produttori eccedentari, i cosiddetti “splafonatori”. La sentenza, tra l’altro, ha inequivocabilmente qualificato il prelievo supplementare come “strumento della politica dei mercati o della politica strutturale, il quale non rappresenta una sanzione”: conseguentemente,la Suprema Corte di Cassazione34, ha dichiarato, per le questioni inerenti il prelievo supplementare, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e la giurisdizione del giudice amministrativo. 34 Corte di cassazione, Sezioni Unite,sentenza n. 20252/04 del 1 luglio 2004 40 Il comma 551, in sostanza, sovvertendo quanto indicato dalla Corte di giustizia europea e dalla Corte di Cassazione, riportava elementi di confusione in una materia che, dopo l’attuazione della legge 119 del 2003, aveva ritrovato una stabilità sconosciuta in passato, così che, con la legge 109 del 2005, dopo pochi mesi il comma 551 della Finanziaria 2005 veniva soppresso. 2.4 La politica fiscale Dopo le disposizioni in adeguamento alla nuova figura professionale dell’imprenditore agricolo, la politica fiscale per le imprese del settore non ha prodotto rilevanti novità, lasciando immutato il suo assetto generale. La caratteristica principale di questo sistema è una ridotta pressione del prelievo pubblico sull’impresa, prodotta da un insieme di regimi speciali e forfetari. Anche la Finanziaria del 2005, nel settembre del 2004, si è posta su questa strada prorogando l’aliquota ridotta per l’IRAP35 e le agevolazioni sull’imposta di registro per l’acquisto di terreni dei coltivatori diretti ed degli imprenditori agricoli. Un altro di questi regimi speciali riguardava l’IVA e la sua inapplicabilità alle aziende con fatturato superiore ai 20.658,72 euro. Una norma in deroga di questo limite veniva costantemente prorogata. L’ultima Finanziaria aveva mancato di comprendere un tale provvedimento, poi inserito nel cosiddetto decreto “mille proroghe” convertito in legge nel febbraio del 2005. Nel marzo del 2005 il decreto per la competitività ha stabilizzato in modo definitivo il regime speciale IVA. E’ stato così abrogato il comma 3 dell’art. 34 del DPR n. 63/1972, che stabilisce in 40 milioni di lire (oggi 20.658,72 euro) il limite di fatturato per la possibilità di usufruire del regime speciale IVA. Stessa sorte per il comma 10 dell’articolo 34 del predetto decreto che vieta la separazione dei regimi IVA per una stessa azienda. Anche qui, una norma, puntualmente riproposta ogni anno, concedeva l’opportunità di avere contabilità IVA separata per le differenti attività, a seconda della convenienza per il dichiarante di utilizzare un regime piuttosto che l’altro. L’aver stabilito delle regole definitive, è un fatto che giova all’attività aziendale consentendo di operare scelte con maggiori certezze sul futuro36. Per le cooperative e le associazioni l’ambito di applicazione viene allargato anche alle cessioni dei prodotti acquisiti da soci non aventi diritto al regime speciale o da terzi. In questo modo viene riconosciuta l’attività di produzione agricola in tutti quei casi in cui i beni siano della stessa natura, e non prevalenti, di quelli conferiti dai soci e sia riconoscibile una chiara attività di trasformazione o manipolazione. Inoltre, per tutte le aziende, una volta scelto il regime speciale, è possibile optare per quello ordinario dopo soli tre anni invece dei cinque previsti dalla vecchia normativa, decade, inoltre, ogni vincolo temporale in presenza di acquisto di beni soggetti ad ammortamento, così da poter dedurre l’intera IVA pagata. 35 L’aliquota IRAP per le imprese agricole è pari al 1,9%, mentre quella ordinaria per gli altri settori è del 4,25%. 36 Si ricorda brevemente che il regime speciale IVA consente alle imprese di detrarre dall’IVA a debito non quella pagata sugli acquisti, ma una percentuale forfetaria sulle vendite, stabilita per legge, detta di “compensazione”. In questo modo si riesce ad annullare qualsiasi debito IVA e, di fatto, a creare un sussidio. 41 Infine, è stata stabilita la liceità dell’applicazione del regime speciale per le cessioni di beni acquisiti mediante atto non soggetto ad IVA, purché il cedente non operasse in regime ordinario. Per compensare la perdita di gettito provocata dai nuovi provvedimenti lo stesso decreto prevede, a partire dal 2006, la revisione, in diminuzione, delle percentuali di compensazione per incrementare le entrate di 20 milioni di euro e l’aumento delle accise su birra, prodotti alcolici intermedi ed alcole etilico per un totale di 115 milioni di euro. Ma non è certo l’IVA a determinare il livello del prelievo di risorse operato dallo Stato sulle aziende agricole, dato che, trattandosi di fatto di un’imposta sui consumi finali, non è da considerarsi nel calcolo della pressione fiscale. In realtà l’IVA, configurandosi nel caso dell’agricoltura come un sussidio, dovrebbe essere considerata quale componente positiva del reddito dell’impresa. Tuttavia,poiché si tratta di una grandezza dalla quantificazione assai problematica, si preferisce ignorare tale argomento e procedere nel medesimo modo utilizzato per un qualsiasi altro settore economico. Nella tabella 3 37 il livello della pressione fiscale per l’agricoltura è confrontato con quello degli “altri settori”38, mettendo in evidenza le sue principali componenti. Nel 2004, la pressione fiscale sulle imprese agricole è leggermente diminuita rispetto all’anno precedente, per lo più in relazione alla piccola contrazione del prelievo contributivo39. Risulta immediatamente evidente il differenziale di pressione fiscale esercitata sugli altri settori. Il rapporto agricoltura/altri settori vale poco oltre il 50% per la pressione fiscale ed ancora meno per quella delle imposte40. Questo vuol dire che la pressione fiscale gravante sulle imprese agricole è circa la metà di quella imposta sulle imprese degli altri settori. C’è anche da dire che la contrazione del rapporto fra i due risultati netti di gestione, praticamente lungo tutto il periodo considerato, indica un’innegabile difficoltà del settore agricolo di creare ed appropriarsi di ricchezza. La pressione fiscale complessiva per le imprese del settore agricolo nell’anno 2004 si attesta intorno al 29,4%, perfettamente in linea con la media degli ultimi sette anni mostrati in tabella. Tale dato rappresenta un netto segnale di inversione di tendenza rispetto agli incrementi degli ultimi due anni. Le imposte indirette rimango sullo stesso livello dei due anni precedenti, mentre continua la leggerissima contrazione di quelle dirette. 37 L’aggregato preso a riferimento come reddito aziendale è il risultato netto di gestione (rng);le imposte dirette sono l’IRPEG, l’IRPEF e, relativamente all’agricoltura, i contributi per le bonifiche; le imposte indirette comprendono quelle sulle importazioni. 38 Per “altri settori” si intende l’insieme dell’intera economia senza l’agricoltura, il settore finanziario, quello delle altre attività professionali ed imprenditoriali, e l’intero comparto degli altri servizi, comprendenti anche quelli pubblici allargati (“altri servizi”). 39 Il prelievo contributivo è composto dai contributi sociali per i lavoratori dipendenti a carico del datore di lavoro e dai contributi sociali dei lavoratori autonomi. Non sono considerati i contributi a carico del lavoratore, rispetto ai quali le scelte delle aziende dovrebbero essere del tutto neutrali. 40 Si è preferito qui usare l’espressione pressione imposte invece della più comune pressione tributaria. Quest’ultima è stata riservata per la tavola inserita nel cd, dove, per omogeneità rispetto al rapporto dell’anno passato, è stata calcolata sottraendo il valore dei contributi sociali dal risultato netto di gestione. 42 Tabella 3 - Pressione fiscale sul risultato netto di gestione (milioni di euro). Rielaborazione su dati ISTAT e Ministero dell’Economia e delle finanze 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 13.039 13.345 12.454 12.950 12.142 12.292 12.610 6,9 6,4 7,1 6,6 7,6 7,8 7,7 6 6,1 5,7 5,4 5,7 5,6 5,5 12,9 12,5 12,8 12,0 13,3 13,4 13,1 16 15,3 16,5 15,8 17,2 18,6 16,3 28,9 27,8 29,3 27,9 30,5 32,1 29,4 media agricoltura risultato netto di gestione imposte indirette/rng imposte dirette/rng pressione imposte pressione contributiva pressione fiscale complessiva 12,9 29,4 altri settori risultato netto di gestione 351.915 354.540 366.637 382.008 384.063 391.566 400.951 imposte indirette/rng 20,0 19,8 19,5 19,1 19,3 19,9 19,5 imposte dirette/rng 10,2 11,7 10,0 11,7 10,5 9,8 9,4 pressione imposte 30,2 31,4 29,5 30,8 29,8 29,6 28,9 22 22,7 22,5 22,5 23,3 24 24,3 52,3 54,2 52 53,3 53,1 53,6 53,2 53,1 42,8 39,6 43,3 39 44,7 45,3 45,5 43 55,3 51,3 56,3 52,3 57,4 59,8 55,4 55,4 3,71 3,76 3,40 3,39 3,16 3,14 3,15 3,39 pressione contributiva pressione fiscale complessiva 30,1 pressione imposte agricoltura/altri settori pressione fiscale complessiva agricoltura/altri settori risultato netto di gestione agricoltura/altri settori Analizzando il prelievo fiscale sull’agricoltura, si nota che le imposte dirette hanno un peso praticamente di poco inferiore a quello delle imposte indirette, mentre, per gli altri settori, queste ultime sono decisamente preponderanti rispetto alle prime. Degno di rilievo anche l’elevato livello dei contributi sociali, nettamente superiore a quello dell’imposizione tributaria: rispettivamente del 16% e del 13%. Ancora una volta si ha una marcata differenza rispetto agli altri settori, dove le proporzioni dei due tipi di prelievo sono invertite: 24% la pressione contributiva e 29% quella delle imposte. È forse proprio questa particolare situazione del settore agricolo, segnale di un oneroso cuneo fiscale, che ha indotto il Parlamento, nella conversione il legge del già citato decreto sulla competitività, a volere la sospensione dei termini,per i mesi da maggio ad agosto 2005, tanto per l'adempimento degli obblighi derivanti dalle cartelle di pagamento, quanto per le procedure di riscossione relative ai contributi previdenziali e assistenziali. Tali importi dovranno poi essere onorati entro il 20 dicembre dello stesso anno. La disposizione si applica non solo ai contributi del datore di lavoro e degli autonomi, ma anche a quelli del lavoratore dipendente, traducendosi in una piccola fonte di finanziamento per le aziende. Il provvedimento offre un beneficio per tutte le imprese, 43 indipendentemente da un qualsiasi parametro di riferimento, come successo in passato, ad esempio, per il verificarsi di una calamità naturale. Una delle ragione del basso livello di imposizione sull’azienda agricola risiede nella dimensione che assume in questo settore l’economia sommersa ed il relativo lavoro non regolare. Una notevole parte di ricchezza prodotta in questo settore riesce così a sottrarsi al prelievo pubblico. Nel 2002, il sommerso economico dell’agricoltura rappresentava, fonte ISTAT, il 36,9% del valore aggiunto ai prezzi di mercato, da paragonare a una media degli altri settori intorno al 15 %. Nello stesso anno il peso dei lavoratori dipendenti irregolari su quelli totali era del 63,1%, contro un 16,7% degli altri settori; per gli indipendenti i dati sono rispettivamente del 13% e del 8,3%. Considerando la consistenza dell’economia sommersa, la pressione fiscale nel settore agricolo “in regola” sale al 48,5%, mentre negli altri settori raggiunge circa il 62%. Riguardo la pressione delle imposte, invece, per l’agricoltura si arriva al 21% e per gli altri settori al 35%. Questi alti valori fanno chiaramente supporre che l’economia sommersa sia un fenomeno diffuso e generalizzato a tutte le imprese che, altrimenti, difficilmente potrebbero sopportare un tale onere. Enormi, quanto difficili da valutare, sono le distorsioni e le iniquità prodotte da un’economia così organizzata, così come certamente molto consistenti sono le perdite di gettito per lo Stato. In conclusione, si può dire che, dal punto di vista della normativa fiscale, l’ultimo anno appare come un periodo di transizione. 44 CAPITOLO 3 TEMI DI RIFLESSIONE 3.1 La prima implementazione della PAC Negli suoi oltre quaranta anni di vita, la politica agricola comune (PAC) ha conosciuto numerose correzioni, tutte accomunate dalla caratteristica di introdurre progressivamente forme di restrizioni rispetto al livello di sostegno fornito in precedenza. Con la riforma di medio termine del 2003 ci si trova tuttavia di fronte ad un cambiamento di particolare rilevanza anche se in diversi paesi, compresa l’Italia, le norme di attuazione nazionale tendono in qualche modo a ridimensionarne la portata. Va detto peraltro che, mentre tutti i grandi paesi agricoli dell’UE hanno scelto di mettersi alla finestra rinviando l’attuazione della riforma come consentito dalla normativa comunitaria, l’Italia è stato l’unico Stato membro dotato di una rilevante agricoltura ad attuare da subito la riforma stessa che nel nostro Paese è entrata in attuazione già dal primo gennaio 2005. Ad una scelta così radicale non ha peraltro corrisposto un corrispondente grado di innovatività nelle norme interne di attuazione del nuovo sistema, elemento questo che trova giustificazione anche nel contesto politico-amministrativo interno, in profonda evoluzione per i processi di riforma conseguenti alla trasformazione dello Stato in senso federale41, e in situazioni congiunturali non certo favorevoli (crisi di mercato, siccità, conseguenze dell’applicazione delle quote latte…). D’altro canto l’abbandono del sistema di protezione dei prezzi agricoli previsto dalla Riforma di medio termine e la sua sostituzione con un sistema di aiuti disaccoppiati dalla produzione (pagamento unico per azienda) nonché la previsione di un maggior peso finanziario dello sviluppo rurale in parte a carico proprio del mondo agricolo (modulazione), ha fatto temere agli operatori agricoli una brusca caduta dei propri redditi per il venir meno del sostegno comunitario. E sebbene vi fossero nel mondo agricolo divergenze anche nette nella valutazione della riforma, alla fine è prevalsa una logica di salvaguardia tesa a ridurre al minimo gli effetti del nuovo sistema sul sostegno fino ad allora ricevuto. Queste considerazioni hanno poi pesato sul processo di concertazione fra MIPAF, Regioni ed organizzazioni professionali di categoria, processo che ha quindi portato alla definizione di norme di recepimento nazionale caratterizzate in genere da una visione stabilizzatrice avente come obiettivo prioritario quello di garantire agli agricoltori gli stessi livelli di reddito ante riforma cambiando in conseguenza il meno possibile rispetto al modello precedente. La prima implementazione della Riforma di medio termine in Italia è stata quindi caratterizzata da tendenze diversificate: da un lato, dopo un dibattito serrato e durissimo, il mondo agricolo ha scelto di dare avvio immediato alla riforma con un largo ricorso al disaccoppiamento integrale anche se la normativa comunitaria contemplava anche la possibilità di una partenza graduale con un disaccoppiamento progressivo, suscitando con ciò un compiaciuto stupore nella Commissione europea; dall’altro le norme interne di attuazione hanno 41 Il processo federalista ha ridisegnato il quadro istituzionale spostando gran parte delle funzioni dallo Stato alle Regioni ed agli Enti locali (principio di sussidiarietà) ed ha riguardato il livello costituzionale (riforma del Titolo V della Costituzione), quello amministrativo (terzo decentramento) ed i meccanismi di finanziamento (federalismo fiscale). 45 puntato più ad evitare grandi ripercussioni sulle aspettative di reddito di fonte comunitaria che a sfruttare le potenzialità della riforma. D’altra parte, in un mondo tradizionalmente cauto nei confronti dei mutamenti, cambiamenti così radicali erano difficili da accettare in quanto per la prima volta ponevano in discussione un sistema di aiuti ai prezzi ormai consolidato nel tempo. Se dunque, da un lato, si è ritenuto preferibile non prolungare lo stato di incertezza attuando da subito la Riforma, dall’altro si è poi cercato di attuarla minimizzando per quanto possibile le ripercussioni sullo status quo. Ne deriva che, nella prima implementazione relativa all’anno 2005, non sembrano essere state sempre pienamente percepite e recepite le opportunità offerte da una Riforma che il mondo agricolo ha visto come la ineluttabile conseguenza della necessità di limitare i crescenti costi finanziari della PAC e di soddisfare le pressioni internazionali per una riduzione dei sussidi agricoli. Ed in effetti è certamente vero che l’allargamento dell’UE ai dieci nuovi Stati membri ha imposto una revisione al ribasso del bilancio agricolo42 ed è certamente vero che l’UE doveva mostrare la propria disponibilità in ambito WTO (World Trade Organisation) a modificare le regole della PAC che per gli altri paesi rappresentavano un’alterazione delle condizioni di libero mercato; tuttavia alla radice della riformava posta anche - e per alcuni forse soprattutto - una diversa visione dell’agricoltura da parte della società. Completando infatti il percorso già avviato con Agenda 2000, la Riforma di medio termine compie una scelta decisa a favore di un diverso modello di agricoltura, diffusamente ecocompatibile e sostenibile, in grado di proteggere l’ambiente e gli habitat naturali e di rispondere alla domanda di “ruralità” e di “valori rurali” che la società sta oggi esprimendo. La Riforma marca cioè visibilmente il cambiamento di percezione del settore agricolo che la società ha avuto in questi ultimi anni con l’abbandono definitivo del modello produttivistico e la piena valorizzazione di un ruolo multifunzionale dell’agricoltura di cui gli operatori agricoli faticano ancora a percepire in pieno le potenzialità. Diverse sono, infatti, oggi le aspettative in ordine al ruolo dell’agricoltura nella società ed è progressivamente cambiato in conseguenza anche il relativo modello di riferimento che assegnava in passato ai contesti urbani il ruolo di produzione della ricchezza economica ed a quelle rurali il compito di assicurare ai ceti urbani gli alimenti necessari mediante una organizzazione per filiere che, peraltro, finivano per penalizzare i produttori agricoli favorendo gli operatori commerciali con differenziali elevati fra prezzi all’origine e prezzi al dettaglio. Agli agricoltori si chiedeva comunque di produrre di più per assicurare, nei limiti del possibile, l’autosufficienza alimentare coprendo con le integrazioni di prezzo e con le politiche assistenziali le differenze di reddito rispetto agli altri settori. L’obiettivo principale della politica agraria diveniva quindi la compensazione degli squilibri attraverso politiche specifiche e di welfare che venivano anche a remunerare il ruolo dell’agricoltura di conservazione dell’ambiente rurale e di presidio del territorio; e su queste basi si è fondata anche la rete di protezione dei prezzi messa in atto dalla PAC. Quindi, mentre si parlava nei documenti programmatici di modernizzazione e di sviluppo del settore e se ne esaltava il ruolo polivalente, tutti gli attori, pubblici e privati, erano in qualche modo consapevoli che le politiche agricole avevano in realtà l’obiettivo primario di compensare il gap dei redditi esistente fra l’agricoltura ed il resto dell’economia, il che non toglie che esse 42 Non va dimenticato che la politica agricola assorbe ancora il 50% del bilancio dell’Unione pur rappresentando gli agricoltori, dopo l’allargamento,il 7% dei lavoratori europei,. 46 hanno svolto anche un ruolo importante in favore della modernizzazione del settore e dello sviluppo di una dimensione multifunzionale dell’azienda agricola. I costi crescenti della PAC, le esigenze negoziali in ambito WTO ed una diversa percezione del ruolo dell’agricoltura hanno quindi portato l’UE a ridurre progressivamente il sostegno ai prezzi per arrivare poi, con la Riforma di medio termine, alla sua sostituzione con un sistema di aiuti al reddito svincolato dalla produzione; contestualmente anche a livello nazionale si è venuta affermando una diversa visione della politica agraria incentrata sullo sviluppo della competitività del sistema – che fa leva sulle caratteristiche di qualità della produzione agricola nazionale poiché i consumatori decidono sempre più i loro acquisti sulla base della qualità e della tipicità dei prodotti – e sulla valorizzazione del ruolo multifunzionale dell’agricoltura. Di tutti questi elementi non sembra esserci stato nel mondo agricolo piena percezione, ed è così prevalsa una visione pessimistica della Riforma incentrata sul timore di una caduta dei redditi che non ha consentito di cogliere appieno almeno qualcuna delle opportunità che la Riforma stessa offriva per l’avvio di una nuova agricoltura meno condizionata dalle spinte produttivistiche e più vicina alla società ed alle sue aspettative. È pur vero peraltro che, già nel suo primo anno di applicazione gli agricoltori hanno dovuto cambiare profondamente i loro comportamenti poiché la previsione del premio unico per azienda al posto dei prezzi garantiti e dei premi per prodotto, ha imposto immediatamente l’adozione di scelte non facili. Anzitutto, nel comparto dei seminativi, gli operatori hanno dovuto da subito decidere se astenersi dal produrre limitandosi ad assicurare il minimo di operazioni di mantenimento delle terre richiesto dalla normativa comunitaria o se procedere comunque alle semine ed in questo caso hanno dovuto definire i propri programmi colturali senza alcun riferimento certo, situazione cui non erano assolutamente abituati. In assenza di elementi su cui fondare le proprie scelte era prevedibile l’avvio di un processo di sostituzione di produzioni un tempo altamente sussidiate, come quelle dei cereali, con produzioni di cui gli operatori avrebbero valutato positivamente le prospettive di mercato o nelle quali l’area in cui è inserita l’azienda possiede i maggiori vantaggi competitivi e che siano in grado di incorporare un maggiore valore aggiunto per il produttore. Ed in effetti le ipotesi formulate ex ante da molti osservatori prevedevano forti riduzioni nelle colture che erano state più premiate dal precedente sistema di aiuti della PAC (grano duro e mais) a favore delle colture che non usufruivano di pagamenti diretti o ne usufruivano in modo più limitato (foraggiere, barbabietola, colture proteiche, grano tenero, orzo, maggese). Queste previsioni sono state confermate dalle stime ISTAT sulle semine delle principali colture erbacee nella campagna 2004-2005, il cui rapporto evidenziava una drastica riduzione delle superfici a frumento duro (-20,5%)43 e di quelle a mais (-7,5%) con andamenti negativi anche per la soia (-4,3%). Al contrario, colture un tempo relativamente meno protette dalla PAC mostrano incrementi a volte anche rilevanti: barbabietole (+19,8%), frumento tenero (+8,1%), orzo e avena (+22,4% e +18%), colza e girasole (+25,8% e +21,5%). I dati di consuntivo, al momento (settembre 2005) ancora in elaborazione presso l’ISTAT, confermano queste tendenze, sebbene ovviamente con differenze in valore assoluto rispetto alle stime di inizio campagna. Rimane forte la diminuzione delle superfici investite a 43 La riduzione delle semine di grano duro è peraltro riconducibile in gran parte anche all’eccezionale produzione che ha caratterizzato l’annata precedente e che ha portato ad un forte riduzione dei prezzi che ha in conseguenza disincentivato gli investimenti. Tuttavia le scelte di semina 2004/05 ono state sicuramente condizionate anche dai nuovi orientamenti della PAC. 47 frumento duro (-14,5%) e mais (-11,8%) ed andamenti negativi si realizzano anche per il riso (-3%) e la soia (-1,5%).Crescono al contrario le superfici investite a frumento tenero (+5,3%), orzo (+3,1%), avena (+20,6%, colza (+18,8%) e girasole (+3,1%). In complesso le superfici a cereali diminuiscono del 7,8% ed il medesimo decremento si realizza per il totale delle superfici destinate a seminativi con una diminuzione complessiva di 890 mila ettari (-7,8%); il completamento delle rilevazioni da parte dell’Istituto di Statistica dirà se tali superfici, non più destinate a seminativi, siano state utilizzate per altre colture (ad esempio foraggere) o se i loro conduttori si siano astenuti per questa campagna dall’utilizzarle. In ogni caso, il disaccoppiamento sta modificando i rapporti di redditività tra le varie produzioni, soprattutto perché il nuovo sistema ha trasformato il sostegno comunitario, una volta ricavo variabile associato ad ogni singola attività produttiva, in un ricavo unico fisso per l’azienda, ricavo che è quindi per sua natura indipendente dalle scelte colturali. Queste ultime rimangono così funzione di altri fattori quali le prospettive di mercato, la vocazione territoriale dell’area in cui si trova l’azienda e l’efficienza tecnica ed economica. Ci si deve dunque attendere - in specie nel Mezzogiorno dove più estese sono le colture di seminativi praticate anche in zone economicamente marginali ma rese competitive dal sostegno della PAC - una riconversione verso produzioni di pregio come quelle ortofrutticole ed una maggiore ricerca di fonti alternative di reddito come parziale compensazione dei minori introiti che tali colture potranno fornire. Tali processi avranno ovviamente dimensione diversificata nelle varie aree del Paese in funzione delle specificità locali ed in particolare della disponibilità di acqua per usi irrigui. E la diversificazione dei redditi chiama in causa le politiche di sviluppo rurale e, più in generale, quelle di sviluppo territoriale per cui politiche di sostegno del reddito (primo pilastro), politiche di sviluppo rurale (secondo pilastro) e politiche di sviluppo territoriale (politiche di coesione) diverranno sempre più complementari nella prospettiva della singola unità aziendale, diverse facce di uno stesso poliedro che, nella nuova prospettiva, saranno tanto più efficienti quanto più saranno sinergiche44. Tali considerazioni non sembrano peraltro essere state sempre presenti nella definizione delle norme di applicazione della Riforma in Italia, norme che, come si è già rilevato, non hanno utilizzato tutti gli spazi di autonomia che la normativa comunitaria aveva lasciato ai paesi membri e che paiono essere state elaborate soprattutto per mantenere lo status quo assicurando, per quanto possibile, la conservazione del livello di sostegno ante Riforma (il cosiddetto “acquisito nazionale”). Ciò spiega perché la struttura del sostegno non sia stata nella sostanza modificata riservando i premi comunitari alle filiere già prevalenti (cereali, soia, girasole), non prevedendo differenze applicative fra le Regioni, e non introducendo modalità che avrebbero potuto alterare gli equilibri precedenti. Si è quindi applicato il principio della uniformità delle norme, caratteristico della precedente versione della PAC, adottando una gestione indifferenziata da un punto di vista territoriale e non utilizzando la possibilità di variare le modalità di applicazione del nuovo 44 Prima della riforma la politica di sviluppo rurale è sempre stata un corollario di quella di mercato discendendo direttamente dalla “politica delle strutture” inizialmente concentrata sugli aiuti al miglioramento dell’efficienza delle aziende agricole, delle aziende di trasformazione dei prodotti agricoli, delle infrastrutture rurali. Con il crescere in ambito comunitario delle politiche di coesione essa ha ampliato il suo ambito di intervento, divenendo sempre più una politica di sviluppo integrato fra i settori produttivi e con i servizi sul territorio, a progettazione e gestione decentrata, dai programmi integrati mediterranei (1988) ai Leader (dal 1991), ai programmi regionali di sviluppo rurale (2000-2006). La definizione del nuovo ciclo di programmazione dei fondi strutturali sembra peraltro andare nella direzione opposta all’integrazione, separando di fatto le politiche prettamente agricole, comprese quelle di sviluppo rurale, dal generale contesto degli strumenti di sviluppo territoriale (politiche di coesione). 48 sistema da area ad area per tenere conto delle diverse realtà dell’agricoltura italiana e per spingere in maniera più ampia alla diversificazione e qualificazione delle produzioni. L’adozione di norme attuative differenziate per territorio avrebbe, infatti, potuto tener conto delle diversità regionali dell’agricoltura italiana agevolando la riconversione verso produzioni nelle quali le diverse aree posseggono maggiori vantaggi competitivi, incoraggiando tipologie di produzioni e pratiche colturali maggiormente rispettose dell’ambiente, stimolando lo sviluppo di migliorie ambientali e l’osservanza dei criteri di gestione dell’azienda e delle buone condizioni agronomiche tenendo conto delle diverse situazioni di partenza45. In tale ambito si sarebbe anche potuta affrontare una delle possibili, e forse più temibili, conseguenze della Riforma ed, in particolare, del disaccoppiamento: il distacco dal ciclo produttivo di un numero consistente di agricoltori e allevatori che, a fronte di questi rivolgimenti e delle situazioni di crisi congiunturale, potrebbero essere tentati da un sostanziale disimpegno essendo comunque assicurato fino al 2013 il pagamento unico per azienda sui livelli maturati nel triennio 2000-2002. Particolarmente significativa in tal senso è stata la definizione delle modalità di calcolo dell’ammontare del pagamento unico per azienda che sostituisce i vecchi premi per prodotto; esso avrebbe potuto essere calcolato per singola azienda in base alla media dei premi ricevuti nei tre anni dal 2000 al 2002, così come ha fatto l’Italia, ma anche su una media regionale costituita dal rapporto fra totale dei premi storici pagati nella regione e rispettive produzioni. Questa seconda scelta, consentita dal regolamento comunitario, avrebbe forse consentito diridurre le disuguaglianze storiche fra settori e tra produttori, con particolare riferimento ai piccoli e medi produttori delle aree marginali, essendo noto che il differenziato livello di sostegno che la PAC assicurava alle diverse produzioni era la risultante, non di scelte ponderate, ma dello stratificarsi di decisioni assunte in momenti temporali diversificati Se dunque la Riforma ha inteso trasformare l’integrazione di prezzo in integrazione di reddito fornendo anche gli strumenti per una perequazione del nuovo sostegno fra le differenziate realtà agricole, il sistema adottato nel nostro Paese ha di fatto prolungato la vecchia PAC cristallizzando la vecchia distribuzione delle risorse del primo pilastro che vedeva l’assegnazione dell’80% dei premi al 20% degli agricoltori. Questa impostazione emerge chiaramente dall’attuazione dell’art. 69 del Reg. 1782/03 il quale prevede che gli Stati membri potevano, in fase di prima attuazione, effettuare trattenute, sino al 10% sui plafond settoriali nazionali previsti dal nuovo sistema di aiuti, per effettuare pagamenti supplementari in favore degli agricoltori che si impegnano in “tipi specifici di agricoltura ritenuti importanti per tutelare e valorizzare l’ambiente ovvero per migliorare la qualità e la commercializzazione dei prodotti agricoli”. Il nostro Paese, assieme a Spagna, Portogallo, Svezia, Finlandia e Scozia, ha scelto di avvalersi di tale possibilità con il DM n. 2026 del 24 settembre 2004 cui è seguita la circolare attuativa dell’Agea n. 130 del 21 marzo 2005. Tuttavia la scelta operata è stata quella di non utilizzare appieno questa possibilità (8% per i seminativi, 7% per i bovini e 5% per gli ovi- 45 Scelte attuative differenziate per aree territoriali avrebbero potuto tener conto, ad esempio, della prevalenza in Italia di aziende medie e piccole (part-time) e della loro differenziata distribuzione sul territorio nazionale, del crescente mercato dell’agricoltura integrata ed eco-compatibile, dell’emergere di nuove forme di rapporto fra agricoltura e società (agricoltura etico-sociale), della possibilità di favorire lo sviluppo delle superfici a foraggiere, che la vecchia PAC escludeva dai premi, per favorire la produzione di unità foraggiere aziendali anziché ricorrere all’industria mangimistica, di favorire l’insediamento di giovani tenendo conto che le nuove aziende da loro create, non avendo percepito premi negli anni di riferimento 2000-2002 per il calcolo del premio unico aziendale, sono escluse dal pagamento unico, ….. 49 caprini) e di lasciare di fatto in parte in piedi il vecchio sistema con una sorta di“riaccoppiamento” parziale del premio con il prodotto. Inoltre, la destinazione del prelievo operato, che poteva essere lasciata al livello regionale, è stata definita ancora una volta in modo omogeneo per tutto il territorio nazionale ed è stata basata su criteri e per azioni in gran parte già adottati nella pratica corrente come ad esempio l’utilizzazione di sementi certificate per i grani esenti da contaminazioni OGM e avvicendamento almeno biennale per tutti i seminativi46. L’occasione poteva forse essere sfruttata per favorire nelle aziende l’introduzione dell’agricoltura biologica o integrata più rispettose dell’ambiente e per iniziare ad inserire, magari in misura limitata e sperimentale, l’agricoltura etico-sociale fra i “tipi specifici di agricoltura” di cui parla il regolamento premiando, con un pagamento supplementare differenziato, le aziende che praticano o inizino a praticare tali tipologie di agricoltura47. Ma vi sono altri aspetti della nuova PAC che risultano ricchi di opportunità e nei quali la attuazione in Italia appare limitativa: fra questi va considerata anzitutto la cosiddetta condizionalità, cioè la subordinazione del pagamento unico e degli altri premi all’osservanza, da parte di ogni azienda, di comportamenti virtuosi nel campo del rispetto dell’ambiente, della salubrità dei prodotti e della salvaguardia del benessere degli animali48. In sostanza, il pagamento del premio unico aziendale e degli altri premi (parte dei premi non disaccoppiato, premio supplementare, premio per la qualità e l’ambiente) viene vincolato all’osservanza da parte di ogni azienda – e su tutti i suoi terreni e quindi non solo sui quelli in coltivazione che hanno dato luogo ai premi negli anni di riferimento - dei criteri di gestione obbligatori e delle buone condizioni agronomiche ed ambientali. Per quanto riguarda i criteri di gestione obbligatori, otto riguardano questioni ambientali, sette la sanità pubblica e la salute degli animali e delle piante, tre il benessere degli animali e sono stati già da tempo definiti da direttive, regolamenti e decreti. Questi criteri, ove non osservati in tutto o in parte, daranno luogo a penalizzazione in termini di riduzione/soppressione temporanea del premio unico aziendale fino alla cancellazione dell’azienda dalla lista degli aiuti. Le condizioni economico ambientale, invece, sono state stabilite a livello nazionale con il decreto MIPAF del 13 dicembre 2004, in modo uniforme su tutto il territorio nazionale anche se in teoria avrebbero potuto essere stabilite in modo differenziato dalle Regioni. A queste ultime 46 Per il 2005 il premio supplementare viene riconosciuto alle produzioni di qualità di seminativi, carni bovine ed ovicaprini ed in particolare: - ai produttori di frumento, duro e tenero, e di colture in rotazione che rispettano la presenza di sostanza organica nel terreno semprechè usino sementi certificate ed esenti da contaminazioni OGM; - agli allevatori di bovini ed ovicaprini che rispettino determinate norme di qualità (razze iscritte nei libri genealogici, alimentazione a pascolo permanente, rispetto di valori prefissati circa il carico di bestiame per ettaro, utilizzo del pascolo per almeno 120 giorni nel caso degli ovicaprini). 47 È vero peraltro che le scelte effettuate nel 2004 non sono tutte permanenti poiché la normativa comunitaria prevede che sono irrevocabili solo la scelta dei settori e la percentuale della trattenuta da destinare loro mentre le altre condizioni di ammissibilità possono variare di anno in anno. In particolare, l’art. 48 del Reg. 795/2004 stabilisce che la comunicazione relativa all’art. 6 9del Reg. 1782/2002 può essere modificata entro il 1° agosto di un dato anno e si applica all’anno successivo indicando alla Commissione indicando i criteri oggettivi che giustificano i cambiamenti, fermo restando che non possono essere modificati i settori interessati e la percentuale della trattenuta. 48 In particolare, devono essere rispettati i criteri di gestione obbligatoria basati su un insieme di norme europee che riguardano questioni ambientali; sanità pubblica e salute degli animali e sono già da tempo definiti da direttive, regolamenti e decreti e le buone condizioni agronomiche e ambientali che sono state definite a livello nazionale con decreto MIPAF 50 viene comunque lasciata la possibilità di definire alcune limitate specificazioni dei criteri adottati a livello nazionale. Le norme di buona conduzione agronomica e ambientale, così come sono state stabilite nel DM, risultano almeno in parte alquanto morbide dal punto di vista del miglioramento agronomico ed ambientale e spesso scarsamente selettive. In molti casi esse sono “neutre” nel senso che sono già normalmente osservate dagli agricoltori, in altri prevedono adempimenti semplici e facili da adottare e comunque vengono previste nel decreto numerose deroghe atte a consentire vie di uscita in caso di difficoltà attuative da parte degli operatori. Ne deriva che tali norme non porteranno a significativi miglioramenti negli attuali sistemi di conduzione delle coltivazioni e degli allevamenti, tuttavia occorre riflettere sul fatto che il nostro Paese vanta in materia una tradizione di tutto rispetto avendo sviluppato una consistente fascia di agricoltori attenti alle questioni ambientali ed alla genuinità dei prodotti, così che nella UE l’Italia è al vertice per quanto riguarda le produzioni di qualità e quelle biologiche e che è fra i pochi paesi membri ad avere adottato un proprio significativo codice delle buone pratiche colturali. Tuttavia l’occasione avrebbe forse potuto essere sfruttata per virare in maniera più decisa verso una agricoltura sempre più rispettosa dell’ambiente ed orientata a produzioni di qualità elevata in grado di soddisfare la domanda di consumatori più attenti ed esigenti. Tali scelte comportano peraltro oneri aggiuntivi non indifferenti e la loro adozione è certamente subordinata alla verifica del livello oltre il quale l’ecocondizionalità si riflette così negativamente sui redditi dei produttori da portarli alla rinuncia all’attività; non vanno poi dimenticati i vincoli derivanti dalla capacità del sistema amministrativo di far rispettare i maggiori vincoli ambientali eventualmente posti (si pensi in merito alla attuale funzionalità delle ASL ed alla loro possibilità di sopportare ulteriori carichi operativi). La valutazione se introdurre o meno norme più stringenti in materia di condizionalità può peraltro contribuire in maniera significativa all’immagine del settore nel senso che un maggior rigore renderebbe tangibile lo sforzo di cambiamento dell’agricoltura italiana con un effetto di ritorno certamente significativo in termini di considerazione del ruolo sociale del settore e quindi di accettabilità di una Politica Agricola Comune che, ancorché parzialmente ridimensionata, rimane ancora estranea agli occhi della maggior parte dell’opinione pubblica comunitaria come dimostrano i recenti fallimenti del negoziato sulle prospettive finanziarie dell’Unione. 3.2 La politica di sviluppo rurale per il periodo di programmazione 2007-2013 Il Consiglio dei Ministri agricoli del 20-21 giugno 2005 ha raggiunto all’unanimità l’accordo politico sul nuovo regolamento quadro di sviluppo rurale per il periodo 2007-2013, che opererà attraverso il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEARS)49. Con questa decisione si completa, anche relativamente al secondo pilastro della PAC, la Riforma di medio termine. Il nuovo regolamento contiene numerose novità rispetto a quello oggi vigente. 49 L’adozione del regolamento era prevista per la riunione del Consiglio “Agricoltura” del 18-19 luglio 2005. Poco prima della riunione del Consiglio tale punto è stato, tuttavia, tolto dall’ordine del giorno è l’adozione è ora rimandata fino a settembre del 2005. In occasione della riunione del Consiglio “EcoFin” del 12 luglio, alcune delegazioni hanno espresso delle obiezioni sull’articolo 70. Il 5 luglio del 2005, la Commissione ha pubblicato la sua proposta relativa ad orientamenti strategici per lo sviluppo rurale. Il documento che è stato presentato dalla Commissione al Consiglio “Agricoltura” in occasione della riunione del 18-19 luglio, contiene diverse priorità alle quali gli Stati membri possono ricorrere per i loro programmi nazionali e regionali di sviluppo. Il Consiglio Agricoltura riunitosi nei giorni 19-20 settembre ha adottato il suddetto regolamento. 51 Una sostanziale novità è la semplificazione della gestione e programmazione delle misure previste per lo sviluppo rurale fino ad oggi finanziate da tre fondi (FEOGA-Orientamento, FEOGA-Garanzia e Fondo di Coesione) e inserite in cinque programmi. Con il nuovo regolamento è previsto un unico fondo FEARS, gestito in seno alla PAC, analogamente al FEAGA, destinato a finanziare la politica a sostegno dei mercati e del reddito degli agricoltori e, un solo programma regionale, il piano di sviluppo rurale, che includerà tutte le categorie di intervento. I futuri programmi di sviluppo rurale saranno articolati in funzione di tre assi tematici coerenti con gli obiettivi individuati dalla Commissione e stilati sulla base delle conclusioni della Conferenza di Salisburgo del 2003 e degli orientamenti strategici definiti nelle agende di Lisbona e di Göteborg 50: − miglioramento della competitività dell’agricoltura e della silvicoltura tramite un sostegno alla ristrutturazione; − miglioramento dell’ambiente e dello spazio rurale attraverso un sostegno alla gestione del territorio; − miglioramento della qualità della vita nelle zone rurali e promozione della diversificazione delle attività economiche. A tali assi tematici si affianca l’Asse LEADER, che mantiene pressoché inalterate le caratteristiche dell’omonimo Programma di Iniziativa Comunitaria (PIC) attualmente vigente, in termini di approccio, soggetti coinvolti, obiettivi e azioni da implementare. Diversa è la natura di tale Asse, in quanto diretto soprattutto a sostenere l’implementazione dell’approccio LEADER, mentre i contenuti di massima del programma sono delineati nell’ambito dei tre assi tematici. I tre Assi, a loro volta, si articolano in sotto-assi e, quindi, in specifiche misure, determinando a priori una struttura comune a tutti i futuri PSR. Il modello di programmazione si articola a livello nazionale su tre elementi: il quadro strategico nazionale, che integra in una visione globale lo sviluppo rurale e le politiche nazionali51, il piano strategico nazionale per lo sviluppo rurale, che è una sorta di contenitore degli indirizzi di fondo cui le Regioni si atterranno per redigere i propri Piani di sviluppo rurale52. In particolare, l’approccio strategico implica l’adozione, da parte della Comunità, di un documento di orientamenti strategici per la coesione economica, sociale e territoriale, nel quale, per ciascun Obiettivo, si definiscono le priorità che consentano di promuovere uno sviluppo equilibrato, armonioso e sostenibile. Inoltre, un importante ruolo verrà attribuito alle parti economiche e sociali nel guidare la regia degli interventi attraverso una rafforzata impostazione di tipo ascendente (bottom-up) nella programmazione degli stessi. 50 Tali obiettivi sono: convergenza, diretto ad accelerare la convergenza degli Stati membri e delle Regioni meno sviluppate attraverso il miglioramento delle condizioni di crescita e di occupazione. Gli interventi realizzati a titolo di questo obiettivo saranno finanziati dal FESR, dal FSE ed, eventualmente, dal Fondo di coesione e riguardano le Regioni con PIL pro capite inferiore al 75% della media comunitaria degli ultimi tre anni; competitività regionale e occupazione, comprende gli attuali Obiettivi 2 e 3 e riguarda tutte le Regioni fuori Obiettivo 1, anche quelle attualmente interessate dall’Obiettivo 1, ma che nel 2007 non saranno ammissibili al phasing out per effetto statistico; cooperazione territoriale europea, origina dall’iniziativa comunitaria INTERREG e persegue l’integrazione armoniosa ed equilibrata del territorio comunitario, favorendo la cooperazione tra le sue diverse componenti su temi di rilevanza europea a livello transfrontaliero, transnazionale e interregionale. Le altre Iniziative comunitarie non saranno più soggette a una programmazione indipendente, ma gestite nell’ambito dei programmi operativi cofinanziati dai rispettivi Fondi. 51 Il quadro di riferimento strategico nazionale mira ad assicurare la coerenza della strategia messa a punto con gli orientamenti della Commissione europea. 52 I PSR includeranno anche il LEADER. 52 Sono stati individuati quattro assi di riferimento per i quali sono stabilite delle percentuali minime di risorse finanziarie (equilibrio fra gli assi art. 16) che ciascun Piano di sviluppo rurale deve dedicare a tali assi. Questo era un punto fondamentale, in quanto la proposta iniziale della Commissione vincolava il 62% delle risorse da allocare nella programmazione nazionale o regionale. Nel complesso il vincolo è sceso al 50%, in quanto il tasso minimo, invece del 15%, è stato portato al 10% per l’Asse 1 (miglioramento della competitività del settore agricolo e forestale) e per l’Asse 3 (misure di diversificazione), e al 5% per l’Asse Leader, invece del 7%. Il tasso è mantenuto tuttavia inalterato al 25% per l’Asse 2 “miglioramento dell’ambiente e del paesaggio”, che peraltro, già nell’attuale programmazione, assorbe una quota preponderante di finanziamenti. Questa decisione consentirà alle Regioni di operare con una maggiore flessibilità nella gestione e distribuzione delle risorse fra le misure. A tal fine, occorre sollecitare le Regioni, per una più attenta considerazione delle priorità tematiche e territoriali da inserire nei documenti strategici in corso di predisposizione, in particolare per quanto concerne le misure della competitività. Un elemento di fondamentale importanza riguarda le risorse finanziarie (art. 70), in attesa del futuro accordo sulle prospettive finanziarie 2007 – 2013, viene confermato il budget iniziale di 88,75 miliardi di euro per lo sviluppo rurale, previsto dalla proposta di regolamento 53. All’importo complessivo, bisognerà aggiungere le risorse generate dalla modulazione (5% dal 2007) con la quale si trasferiscono fondi dal primo al secondo pilastro della PAC stimabili in circa 7,7 miliardi di euro. Per quanto riguarda il premio per l’insediamento dei giovani agricoltori (art. 21, 25 e 48) le decisioni finali confermano ulteriormente l’attenzione per le politiche in favore dei giovani. È stato, infatti, elevato a 55.000 euro da 40.000 euro della proposta iniziale54. Inoltre, il periodo accordato ai giovani agricoltori per conformarsi al rispetto delle norme comunitarie è stabilito in 36 mesi. Per quanto riguardala dimensione d’impresa per accedere agli aiuti per la trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli e silvicoli è stato compiuto un notevole passo in avanti per facilitare il processo di ammodernamento della filiera agricola, comprendendo tra i beneficiari la maggior parte delle tipologie di impresa. In particolare, il sostegno è limitato alle micro imprese55 nel caso della produzione silvicola, mentre l’ammissibilità si estende, per le produzioni agricole, anche alle piccole e medie imprese56 e sono state, inoltre, incluse anche le imprese di grandi dimensioni, che trasformano e commercializzano prodotti agricoli, fino ad un tetto dimensionale di meno di 750 dipendenti e 200 milioni di euro di fatturato. In questo caso, però, il tasso massimo di aiuto viene ridotto della metà (25% del costo dell’investimento ammissibile nelle Regioni “convergenza”, ex Obiettivo 1; 20% nelle altre Regioni). In ogni caso, tutte le imprese possono ricevere aiuti,ricorrendo a sostegni sotto forma di aiuti di stato. 53 Si tratta di un importo equivalente al 25% in più rispetto allo stanziamento di Agenda 2000, ma la cui entità non è certa visto il mancato accordo tra i capi di Stato e di Governo dell’UE per la fissazione del bilancio europeo per il prossimo periodo di programmazione. Ciò comporta l’incertezza su due punti fondamentali per lo sviluppo rurale ovvero, l’entità complessiva delle risorse disponibile e la ripartizione delle stesse tra gli Stati membri dell’UE. L’allargamento dell’UE ai Peco, Malta e Cipro è stato realizzato in assenza di un aumento di fondi adeguato ai loro fabbisogni e trattandosi di paesi tutti interessati dall’Obiettivo 1, ciò determinerà una consistente riduzione di fondi a scapito degli Stati dell’UE-15 che potrà riguardare anche le risorse destinate al finanziamento della politica di sviluppo rurale subiranno una contrazione e non saranno sufficienti quelle derivanti dall’applicazione del meccanismo della modulazione per ripristinare gli attuali livelli di finanziamento comunitario. 54 Si tratta di un aumento anche rispetto alle disposizioni attuali che prevedono normalmente un aiuto di 25.000 euro. 55 Si tratta di imprese con meno di 10 dipendenti e un fatturato minore o uguale a 2 milioni di euro. 56 Si tratta di imprese rispettivamente con meno di 10 dipendenti e un fatturato pari o inferiore a 10 milioni di euro e con meno di 250 dipendenti e un fatturato pari o inferiore a 50 milioni di euro. 53 Lo schema successivo che propone una classificazione delle misure del regolamento (CE) n. 1257/99 secondo gli Assi e Sottoassi previsti dal regolamento per lo sviluppo rurale per il 20072013 ci permette di verificare come le attuali misure previste per lo sviluppo rurale si distribuiscano in funzione della futura articolazione dei programmi di sviluppo rurale. Schema 1 – Classificazione delle misure del regolamento (CE) n. 1257/99 secondo gli Assi e Sottoassi previsti dal regolamento per lo sviluppo rurale per il 20072013 Assi Sotto-assi Descrizione misure ex Reg. (CE) 1257/99 a) Investimenti nelle aziende agricole j) Miglioramento fondiario k) Ricomposizione fondiaria g) Miglioramento trasformazione e commercializzazione q) Gestione risorse idriche in agricoltura r) Sviluppo e miglioramento infrastrutture rurali m) Commercializzazione di prodotti agricoli di qualità u) Ricostruzione potenziale agricolo per disastri naturali Capitale fisico v) Ingegneria finanziaria b) Insediamento giovani agricoltori c) Formazione d) Prepensionamento Competitività Capitale umano Agricoltura sostenibile Gestione territorio del Forestazione sostenibile l) Avviamento servizi consulenza, sostituzione e assistenza alla gestione agricola e) Zone svantaggiate (indennità compensativa) f) Misure agroambientali h) Imboschimento superfici agricole i) Altre misure forestali p) Diversificazione attività settore agricolo ed affini s) Incentivazione attività turistiche ed artigianali Diversificazione t) Tutela ambiente-agricoltura, silvicoltura, benessere animali n) Servizi essenziali per l'economia e la popolazione rurale Sviluppo Rurale Qualità della vita o) Rinnovamento e miglioramento villaggi e tutela patrimonio rurale Partenariati w) Gestione di strategie integrate di sviluppo rurale attraverso partenariati locali Fonte: bollettino INEA sulle Politiche Strutturali. Come evidenziato, le politiche di sviluppo rurale attualmente hanno un’impostazione tale da consentire di perseguire gli obiettivi prefissati, tuttavia, vi potrebbero essere alcuni aspetti che ne potrebbero limitare gli impatti. In particolare, per uno sviluppo competitivo e sostenibile è 54 necessario che tutte le politiche comunitarie, nazionali e regionali operino in modo sinergico e con una visione a carattere territoriale. A tal fine, le aree rurali devono essere oggetto di una adeguata politica di coesione che integri la politica di sviluppo rurale, la quale da sola, non è sufficiente a rispondere alle esigenze di tali aree. Diventa indispensabile un “luogo comune per il raccordo” per avviare un’attività di coordinamento tra i diversi livelli amministrativi dello Stato (Regioni, MIPAF, Ministero dell’Economia) al fine di ottenere un buon livello di complementarietà tra le azioni previste nei programmi delle singole Regioni e che riesca a coniugare le politiche definite in ambito UE con le esigenze dei singoli territori nazionali57. Le Amministrazioni statali, MIPAF e Ministero dell’economia e delle finanze anzitutto, e le Regioni sono quindi chiamati ad uno stretto rapporto per la definizione e l’adozione di strategie comuni e di comuni prassi operative nella definizione ed attuazione dei rispettivi quadri programmatici. In particolare, nella implementazione delle politiche per lo sviluppo rurale MIPAF e Regioni debbono essere in grado di sfruttare le sinergie possibili con gli altri partner comunitari di assicurare una reale integrazione di tali politiche con le altre politiche di sviluppo territoriale. In sintesi, in una logica rivolta alla semplificazione e alla sussidiarietà la devolution dovrebbe portare ad una maggiore efficacia ed efficienza nella gestione dei programmi, mentre il concorso e il coordinamento di tutte le amministrazioni pubbliche interessate alla definizione e alla gestione dei programmi comunitari dovrebbe consentire la costruzione di un quadro di riferimento unitario in grado di coniugare le diverse iniziative avviate a livello nazionale. Tutto ciò al fine di scongiurare il rischio di una netta e definitiva separazione finanziaria e programmatica alla luce del regolamento sui fondi strutturali e di quello sulla politica di sviluppo rurale. Le Linee guida per l’elaborazione del QSN 2007-2013 pur risultando fortemente innovative per il sistema italiano, non offrono una visione sufficientemente chiara della strategia e degli strumenti per integrare, in termini programmatici e attuativi, l’azione dei diversi fondi. È auspicabile intravedere, già all’interno delle Linee guida, le modalità indicative per operare una reale integrazione tra fondi comunitari, politica di sviluppo rurale, politiche nazionali e regionali. Tale integrazione, allo scopo di ampliare l’effetto leva rispetto alle azioni intraprese e alle risorse investite, si deve esprimere sia nel coordinamento temporale dei cicli di programmazione sia fra i vari fondi e tra i vari interventi58. Alcuni esempi in tal senso sono, da un lato, gli incontri con tutte le Amministrazioni regionali italiane che, nel corso del 2004, il MIPAF ha promosso al fine di raccogliere dalle stesse le indicazioni sulle problematiche derivanti dalla proposta per il nuovo regolamento sul sostegno allo sviluppo rurale e per le quali si riteneva necessario avviare delle consultazioni negoziali con la Commissione. Dall’altro lato, è stato istituito un Tavolo di concertazione nazionale per l’impostazione della fase di programmazione 2007-2013 relativa agli interventi a sostegno dello sviluppo rurale da parte del FEASR, con lo specifico “compito di assicurare il contributo del partenariato all’elaborazione del “Piano strategico nazionale” e di verificarne lo 57 E’ necessario, a tal fine, un momento di cogestione tra diversi livelli amministrativi in senso verticale (tra Ministeri interessati e Regioni, tra Regioni ed enti ed agenzie a livello locale..) ed orizzontale (tra ministeri, tra Regioni…). In questo senso sembra andare il secondo Governo Berlusconi con l’istituzione di un Ministro senza portafoglio per lo sviluppo e la coesione territoriale cui compete la verifica degli interventi per lo sviluppo economico, territoriale e settoriale, nonché delle politiche di coesione, con specifico riferimento alle aree meridionali, e degli strumenti di programmazione negoziata e di utilizzo dei fondi strutturali comunitari per tali aree. 58 E’ indispensabile un’integrazione sia tra programmi e fondi diversi all’interno della stessa Regione sia tra programmi analoghi di Regioni diverse. 55 stato di avanzamento nelle varie fasi di elaborazione, prima della definitiva approvazione in sede di Conferenza Stato-Regioni”59. 3.3 Un bilancio della legge 499/99 Con la fine del 2004 si è concluso un ciclo quinquennale di attuazione della legge 23 dicembre 1999, n. 499, riguardante la “Razionalizzazione degli interventi nei settori agricolo, alimentare, agroindustriale e forestale”; tenuto conto dell’arco di tempo trascorso (sei esercizi finanziari che in realtà si traducono in 5 anni di operatività), appare opportuno un primo tentativo di valutazione di quella che all’epoca fu salutata forse un po’ impropriamente come nuova legge pluriennale. Emanata in un periodo di transizione politico-amministrativa, come quello attuale, nel quale anche per il settore agroalimentare si va completando il trasferimento di funzioni, compiti e risorse alle Regioni (attuazione del D. lgs. n.143/97 e dell’ art. 117 della legge costituzionale n. 3 del 2001), la legge n. 499/99 riflette pienamente questa particolare dinamica. Se si considera, infatti, la destinazione originaria degli stanziamenti si può osservare come il rapporto con le Regioni, lungi dall’essere interrotto, si è concretizzato, da un lato, in azioni che richiamano una logica, peraltro in via di superamento, di trasferimenti dallo Stato alle Regioni (fondi alle Associazioni degli allevatori e a copertura di mutui ex L.984/77), dall’altro, in forme di intervento, espressioni della ricerca di nuove forme di collaborazione e di raccordo tra la programmazione agricola regionale e quella nazionale, come nel caso specifico dei programmi interregionali60. Lo stanziamento originario della legge 499/99 prevedeva, infatti, per il periodo 19992002 un importo complessivo di 1.800,6 miliardi di vecchie lire, così ripartite: a) finanziamento dei regimi di aiuto previsti dal D.lgs n. 173/98 (programmi interregionali in favore del rafforzamento e dello sviluppo delle imprese di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli ( 250 miliardi per il 1999) ; b) finanziamento delle attività di competenza del MIPAF ( 250 miliardi per ciascuno dei quattro anni) ; c) fondi destinati alle Regioni per le attività svolte dalle Associazioni di Allevatori di bestiame (159,7 miliardi per il 1999) ; d) fondi destinati alle Regioni a copertura delle ultime rate dei mutui ex art. 18 della legge n. 984/77(40 miliardi per il 1999) ; e) fondi destinati alle Regioni per il cofinanziamento relativo al prosieguo dei programmi interregionali di maggiore interesse (49,6 miliardi per il 1999); f) somme la cui destinazione è da stabilirsi annualmente con il Documento di programmazione economico-finanziaria del Governo (99,1 miliardi per il 2000 e 101,1 per ciascuno degli anni 2001 e 2002). Dalla ripartizione dello stanziamento iniziale risulterebbe che l’unico intervento a carattere pluriennale previsto dalla legge sia quello concernente il finanziamento delle attività di competenza del MIPAF ( 250 miliardi per ciascuno dei quattro anni). 59 Al tavolo partecipano le autorità competenti regionali e locali, le parti economiche e sociali e altri soggetti che rappresentano la società civile, le organizzazioni non governative (in particolare ambientali) e gli organismi responsabili di promuovere la parità tra uomini e donne. 60 Dei programmi interregionali si è ampiamente parlato nel “Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana”, Cap.3,3 INEA settembre 2004 56 In realtà, all’importo inizialmente stanziato per l’attuazione dei programmi interregionali, (lire 49,6 miliardi per il solo 1999) si è aggiunta una quota preponderante delle somme la cui destinazione era da stabilirsi annualmente con il Documento di programmazione economicofinanziaria del Governo; con la legge 122/01, infatti, gli stanziamenti per i programmi interregionali sono stati integrati con89 miliardi di lire per il 2000 e 100 miliardi per ciascuno degli anni 2001 e 2002. Un terzo ciclo di programmi interregionali, finanziato a partire dal 2002, ha comportato un ulteriore impegno a favore delle Regioni di 57,246 milioni di euro. Nel complesso, nel periodo in esame, per la realizzazione dei programmi interregionali sono stati impegnati e quasi totalmente trasferiti a favore delle Regioni e Province autonome 495,044 miliardi di lire, corrispondenti a 255,669 milioni di euro, aventi come riferimento legislativo la legge 499/99 (Tab. 1). Dai dati della tabella 1 si può osservare come il 40% degli stanziamenti sia stato destinato alle Regioni e il 60% alle azioni di competenza del MIPAF; la legge 499/99 si conferma pertanto come un provvedimento interlocutorio nel quale, come detto, si ritrova in parte ancora un retaggio di forme di finanziamento regionale in via di liquidazione; nello stesso tempo si propone la realtà dei programmi interregionali, che rimangono, se così si può dire, sotto esame e che comunque stentano ad affermarsi come un nuovo strumento di co-programmazione. Benché la congiuntura economica non sia certo favorevole, non si può, infatti, fare a meno di notare che nel 2004 per questi ultimi non vi sono stati finanziamenti e che comunque la progressione temporale degli stessi era decrescente dal 2002. Tabella 4 - Legge 499/99: stanziamenti anni 1999-2004 (milioni di euro) 1999 Totale % 129,11 129,11 8,60 Mutui ex l.984/77 20,66 20,66 1,38 Programmi interregionali 25,62 75,19 97,61 48,64 8,60 255,66 17,03 Regioni(**) 17,44 12,22 10,59 15,96 27,05 111,35 7,42 Regioni (AIA) 82,48 82,48 5,49 599,26 39,91 211,01 1.013,55 60,09 1.501,45 100,00 D.Lvo. 173/97 2000 2001 2002 2003 2004 Altri trasferimenti alle 28,10 TOTALE REGIONI Art.4 (Azioni competenza MIPAF) 129,11 129,11 107,68 219,36 217,27 TOTALE GENERALE (**) (**) Gli "altri trasferimenti alle Regioni" sono già compresi nel totale dell'art.4 Fonte: elaborazioni dell’autore su dati MIPAF Il 2004 sembrerebbe pertanto un anno di svolta e la legge 499/99, se si esclude una quota formalmente attribuita alle azioni di competenza MIPAF, pari a 28,10 milioni di euro (che comunque rappresentano intorno al 13% dello stanziamento dell’anno), ma in effetti destinata alle Regioni, sembra avviarsi a ridursi alle sole azioni ex art.4, e quindi a una funzione prevalentemente integrativa del bilancio ordinario del MIPAF. 57 A questo riguardo, nella Tab. 5a è riportata la suddivisione degli stanziamenti relativi alle azioni di competenza MIPAF, ex art. 4,secondo la tipologia funzionale individuata dall’INEA. Tabella 5a - Legge 499/99 (articolo 4); anni 1999-2004. Classificazione della spesa (stanziamenti) secondo la tipologia INEA 1999 2000 2001 2002 2003 2004 TOTALE Funzionamento 5,85 2,91 7,09 13,64 26,43 61,20 117,11 Beni & servizi 45,22 23,40 31,83 41,60 54,75 38,90 235,69 Ricerca 36,68 39,77 31,25 74,41 69,72 42,73 294,56 4,11 28,77 13,30 57,21 22,63 37,20 163,21 17,44 12,22 10,59 15,96 27,05 28,10 111,35 Trasformazione 2,58 2,58 - 2,58 2,50 1,88 12,12 Gestione 2,32 0,41 0,52 0,77 0,75 0,56 5,34 - 0,10 0,10 0,10 0,05 - 0,36 0,26 0,15 0,28 0,28 0,45 0,45 1,88 14,67 18,80 12,73 12,81 12,95 - 71,95 129,11 129,11 107,68 219,36 217,28 211,02 1.013,57 Promozione & tutela Regioni Investimenti infrastrutturali Investimenti produttivi CFS Totale Fonte: elaborazione dell'autore su dati MIPAF Tabella.5b - Classificazione della spesa (stanziamenti) secondo la tipologia INEA (valori percentuali) 1999 2000 2001 2002 2003 2004 TOTALE Funzionamento 4,5 2,3 6,6 6,2 12,2 29,0 11,6 Beni & servizi 35,0 18,1 29,6 19,0 25,2 18,4 23,3 Ricerca 28,4 30,8 29,0 33,9 32,1 20,3 29,1 3,2 22,3 12,4 26,1 10,4 17,6 16,1 13,5 9,5 9,8 7,3 12,4 13,3 11,0 Trasformazione 2,0 2,0 - 1,2 1,2 0,9 1,2 Gestione 1,8 0,3 0,5 0,4 0,3 0,3 0,5 - 0,1 0,1 0,0 0,0 - 0,04 0,2 0,1 0,3 0,1 0,2 0,2 0,2 CFS 11,4 14,6 11,8 5,8 6,0 - 7,1 Totale 100 100 100 100 100 100 100 Promozione & tutela Regioni Investimenti infrastrutturali Investimenti produttivi Fonte: elaborazione dell'autore su dati MIPAF 58 Una prima annotazione riguarda il fatto, sotto certi aspetti sorprendente in quanto si riferisce a una legge di “Razionalizzazione degli interventi nei settori agricolo, alimentare, agroindustriale e forestale”, che una quota pari all’11,6% del totale stanziato è stato destinato alle spese di funzionamento e oneri connessi. Altre due voci, come i trasferimenti alle Regioni e le spese per il CFS, hanno assorbito insieme un altro 18,1% degli stanziamenti della 499/99; nel complesso ne è derivato che il 30% circa delle risorse(funzionamento, Regioni e CFS), è stato utilizzato in particolari impieghi, e che la quota effettivamente disponibile per la realizzazione da parte del MIPAF di specifici interventi di politica agraria è stata nei fatti ridotta al restante 70% dello stanziamento. Questi interventi sono stati in pratica concentrati negli ambiti della ricerca (29,1%), dell’acquisizione di beni e servizi intermedi (23,3%) e della promozione e tutela dei prodotti agroalimentari (16,1%), essendo del tutto residuale (1,9%) la quota destinata ad altre forme di intervento. Qui, tra l’altro, si può osservare la singolare alternanza degli stanziamenti annuali relativi all’acquisizione dei beni e servizi e alla promozione e tutela con le relative implicazioni in termini di certezza delle risorse e programmazione. Su quest’ultimo punto, inoltre,incide in maniera non certo positiva il fatto che le risorse si sono rese disponibili quasi sempre nell’ ultimo quadrimestre,se non trimestre, dell’esercizio. In definitiva, l’esame dell’esperienza ormai quinquennale di attuazione della legge n. 499/94 evidenzia come la stessa sia in linea col nuovo quadro costituzionale che si è delineato dal 2001 e che circoscrive il ruolo del MIPAF essenzialmente alle funzioni di indirizzo e coordinamento, con compiti minimi di gestione. In questo contesto si inserisce anche la progressiva rarefazione dei trasferimenti alle Regioni. Sotto l’aspetto finanziario, in un quadro congiunturale generale sfavorevole, la legge 499/99 ha assunto un ruolo suppletivo del bilancio ordinario ministeriale sia per quanto riguarda strettamente l’apporto indispensabile di risorse sia per il fatto che le stesse possono talvolta essere più efficacemente orientate rispetto a quelle iscritte a inizio dell’anno nel bilancio ordinario. 3.4 Gli strumenti di gestione delle emergenze La grande attenzione posta da Governo e Parlamento al tema delle crisi di mercato induce ad approfondire le ragioni delle difficoltà attraversate dalle imprese agricole italiane in comparti fondamentali per la nostra agricoltura. Nel 2004 la crisi del comparto ortofrutticolo è stata determinante per dare l’avvio alle misure regionali e statali: dalle delibere di giunta di 5 Regioni, al decreto legge n. 280/04, alla successiva legge n. 71/05, tuttavia, anche il settore vitivinicolo, a causa di una produzione vendemmiale tornata sui livelli del 2000, ha vissuto un pesante momento di difficoltà culminato, nel giugno 2005, con la richiesta di distillazione di crisi per 6 milioni di ettolitri di prodotto, mentre anche per prodotti di grande tradizione e qualità, come Parmigiano reggiano e Grana Padano, è stato richiesto l’aumento delle disponibilità finanziarie per l’ammasso privato del prodotto. In sostanza, è bastato un anno favorevole sotto il profilo climatico, per far emergere una serie di tensioni di mercato che sempre più assumono il carattere strutturale e non congiunturale. Per l’ortofrutta la discesa dei prezzi è solo parzialmente dovuta alla produzione abbondante: alcuni prodotti, come pesche e uva da tavola, avevano sofferto anche nel corso del 59 2003. La concorrenza estera, che per inciso fornisce un prodotto gradito al consumatore eanche qualitativamente competitivo, e la perdurante debolezza organizzativa della filiera ortofrutticola sono elementi ormai strutturali su cui occorre meditare. Le misure varate in questi ultimi mesi miravano, da un lato, a restituire liquidità alle imprese, in particolare con la legge 71/05, dall’altro, con il decreto legislativo n. 102/04,a costruire un sistema contrattuale tra gli operatori della filiera capace di ammortizzare gli elementi speculativi, ma anche di rendere competitiva l’intera filiera nei confronti delle organizzazioni commerciali e dei competitor esteri. La Riforma dell’economia contrattuale varata con il decreto legislativo 102 è complessa e articolata. Il superamento degli accordi interprofessionali previsti dalla soppressa legge 88/88 è un passo importante verso la costituzione di veri rapporti economici all’interno della filiera, tuttavia appare evidente che la migliore regolazione dei mercati agroalimentari rimane affidata alla capacità organizzativa delle categorie economiche: da soli, infatti, gli incentivi economici, peraltro già presenti nella legge 88/88, non sembrano sufficienti a indurre modificazioni forti nei rapporti di forza tra le parti. Le difficoltà incontrate dalla legge di orientamento del 2001 per trasformare le associazioni di produttori in soggetti economici sono al riguardo eloquenti, nel triennio 2002-2004 la trasformazione ha riguardato in Italia circa un decimo delle associazioni e quasi esclusivamente nelle Regioni settentrionali. La carenza di cultura d’impresa all’interno delle associazioni di produttori non può essere colmata senza un’azione forte da parte delle Regioni, a cui spetta la competenza del riconoscimento e della promozione delle organizzazioni di produttori, le quali con spirito nuovo dovrebbero attivarsi per strutturare le organizzazioni secondo modelli d’impresa competitivi. Nel prendere atto che alcuni fattori di crisi sono strutturali nel nostro sistema agricolo, occorre valutare quanto a lungo possono essere sostenibili, per le finanze pubbliche, misure di mero sussidio, come quelle contenute nella legge 71/05 per ridare liquidità alle imprese. E’ cioè da chiedersi se le misure delle politiche di sostegno alle imprese agricole in crisi debbano rivolgersi indistintamente agli oltre 2 milioni di imprese censite dall’ISTAT, oppure alle poco più di 900.000 imprese iscritte al registro delle imprese presso le Camere di Commercio, oppure al meno di mezzo milioni di imprese agricole aventi contabilità IVA. La scelta del Parlamento di non identificare un chiaro parametro per il calcolo del calo di reddito ai fini della dichiarazione dello stato di crisi di mercato e la parallela previsione di un aiuto di importo assai modesto e a pioggia, come il de minimis dell’articolo 1, comma 1-bis, della legge 71/05, sembrano indicare la volontà di non distinguere, in questo momento storico, tra imprese in grado di superare la crisi e imprese invece inevitabilmente destinate all’abbandono. Eppure si tratta di uno scenario ineludibile, che ricorda molto quello che nel 1968 Mansholt, nel Memorandum sulla Riforma dell’agricoltura nella Comunità europea61, descriveva duramente e lucidamente prevedendo l’abbandono, indipendentemente dalle politiche comunitarie o dei Governi nazionali, di 5 milioni di addetti in agricoltura in Europa nel decennio 1970-1980. Nel caso italiano, dobbiamo interrogarci se il mantenimento in sopravvivenza di realtà agricole che imprese non sono,sia una questione agricola o di politica sociale, quindi da porre in capo alla fiscalità generale. Il legislatore, con il decreto legislativo 99 del 2004 e le integrazioni apportate ad esso con il decreto legislativo 101 del 2005 sembrerebbe aver intrapreso, seppure ancora timidamente, la via della professionalità dell’attività agricola, finalizzando sempre più gli incentivi fiscali e 61 DOC COM (68) 1000 del 18.12.1968. Bollettino delle Comunità europee, supplemento 1/1969. 60 creditizi sull’Imprenditore agricolo professionale, anche organizzato societariamente. In questo ambito molto interessante risulta essere la norma che estende alle società agricole di persone con almeno un socio coltivatore diretto e alle società agricole di capitali o cooperative con almeno un amministratore coltivatore diretto le agevolazioni recate in favore delle società agricole IAP. Essa indica la volontà di modernizzare e rendere più competitiva la figura del coltivatore diretto, offrendo anche a coloro che fanno del proprio lavoro e della loro famiglia il tratto distintivo dell’impresa gli strumenti civilistici e fiscali per competere: si tratta del primo passo verso la sistemazione, auspicabile nella prossima legge di orientamento, della figura giuridica stessa del coltivatore diretto. Appare, inoltre, inevitabile il conflitto con le istituzioni europee sul tema delle crisi di mercato e dei connessi aiuti nazionali, un tema che si aggiunge al dossier sull’etichettatura e l’indicazione di origine di provenienza della materia prima agricola, oggetto di duro confronto nel 2004 tra Italia e UE62. La comunicazione della Commissione europea in materia di gestione dei rischi e delle crisi nel settore agricolo, al di là delle difficoltà tecniche di identificare una comune definizione di reddito a livello europeo 63, non fornisce una reale prospettiva politica per il sostegno alle imprese in crisi, ma come già avvenuto in passato con gli orientamenti in materia di salvataggio e ristrutturazione delle imprese in crisi, sembra prefigurare una barriera pressoché insormontabile per gli Stati membri per l’erogazione di aiuti in caso di crisi di mercato, tenuto conto, sostiene la Commissione europea, che già la PAC disaccoppiata e le singole OCM costituiscono la rete di protezione ai redditi delle imprese agricole. In un quadro di oggettiva difficoltà per gli imprenditori agricoli si inserisce, infine, la questione della Riforma della previdenza agricola. È stato ricordato in precedenza come la previdenza, ben più del fisco, incida sul prelievo complessivo operato sull’impresa agricola e la Riforma che il Governo dovrà varare in attuazione della legge 243/04 dovrà tener conto di alcuni elementi spesso contrastanti tra essi: le aliquote previdenziali agricole sono inferiori a quelle degli altri settori produttivi, tuttavia gli oneri a carico dei datori di lavoro agricoli sono tra i più alti d’Europa. L’evasione previdenziale in agricoltura è molto elevata, ma l’aumento delle aliquote contributive operato nell’ultimo decennio non ha certo agevolato il contrasto al fenomeno del lavoro nero. Storicamente, poi, una parte importante delle prestazioni legate alla previdenza agricola – si pensi alla maternità o all’indennità di disoccupazione – ha carattere sociale e non settoriale. L’eliminazione o la riduzione di tali prestazioni è dunque una questione di fiscalità generale, più che di scelte per l’aumento della competitività del settore. Il peso dei contributi pregressi non pagati all’INPS e oggetto di cartolarizzazione è, inoltre, un aspetto molto delicato: si tratta di quasi 7 miliardi di euro, un quinto del valore 62 Il tentativo dell’Italia di superare i vincoli imposti dall’UE in materia di origine delle merci e di libera circolazione delle stesse operato con la legge 204/04, così palesemente in contrasto con la norma comunitaria, ha sortito più l’effetto del “manifesto politico” piuttosto che dell’effettiva tutela del consumatore. Se si eccettua la norma sul latte fresco, al 30 giugno del 2005 nessuna delle prescrizioni della legge 204 risultava operativa. E’ tuttavia evidente che, anche sull’onda emotiva delle crescenti importazioni dall’Est asiatico, la posizione dell’Unione europea non potrà rimanere immutata a lungo, pur senza arrivare alle misure indicate dalla legge 204. 63 La definizione di “reddito” ai fini della definizione di crisi di mercato non appare agevole, alla luce del documento della Commissione europea citato in precedenza: esso di fatto scarica la questione sugli Stati membri e ciò per l’Italia costituisce un’indubbia complicazione: si osservi che, al fine di rispettare il parametro della redditività previsto dal reg. 1257/99 per l’ammissibilità ai contributi per investimenti, le singole Regioni hanno adottato basi di calcolo del reddito diversificate: dai redditi lordi standard, alla base imponibile IRAP, a sistemi di contabilità aziendale semplificati e così via. 61 aggiunto in agricoltura,solo parzialmente pagati dalle imprese agricole all’INPS64 e solo in parte rateizzabili 65 . Appare evidente che in una situazione di crisi di mercato che, come detto in precedenza, assume caratteri strutturali, il prelievo di una somma così rilevante come il credito vantato dall’INPS sulle imprese agricole sia molto preoccupante per le sorti economiche delle imprese. La Riforma della previdenza agricola, prevista per gli inizi del 2006, si presenta dunque ricca di elementi critici ed il dibattito forte già scaturito all’interno del mondo agricolo nei primi mesi del 2005 lo testimonia. 3.5 Dualismo giuridico, lavoro non regolare ed evasione: tre nodi del sistema fiscale Il quadro dell’intero sistema di incentivi ed agevolazioni, non solo fiscali, che trova applicazione nel settore agricolo è ispirato da un criterio politico di consolidata concezione, che mira a raggiungere, con diversa modulazione, la più vasta platea di soggetti. Tale modello ha consentito di superare le non poche crisi che hanno attraversato il comparto agricolo e di sostenerne, quando necessario, l’attività produttiva. In questo modo si sono riuscite a fronteggiare diverse problematiche del settore agricolo, che, in una moderna economia, inevitabilmente assumono carattere sociale. Così la razionalizzazione dei sussidi e dei vantaggi concessi al mondo agricolo in virtù delle sua particolare natura ha permesso allo stesso, nonostante le intrinseche problematiche, di raggiungere una certa stabilità. Questo stato delle cose, pur lasciando soddisfatti gli attori economici e rappresentando un successo per la stabilità del settore agricolo, suggerisce un interrogativo di carattere economico. Difatti non è chiaro come questo calibrato insieme di agevolazioni si rifletta sull’evoluzione e l’ammodernamento del sistema produttivo. Nel capitolo 2, parlando delle novità in materia fiscale, si è accennato ad alcune delle caratteristiche economiche del settore agricolo in Italia. In particolare, il basso livello della pressione fiscale dovuto, soprattutto, all’esistenza di un rilevante numero di regimi speciali e di esonero, e al peso che in questo settore assume l’economia sommersa. Questi argomenti sono tra loro strettamente collegati, in quanto la regolamentazione fiscale e le caratteristiche tipiche del settore agricolo favoriscono l’occultamento della reale consistenza dei fenomeni economici e un’elevata evasione fiscale e contributiva. Questi temi non riguardano solo l’equità ed i problemi di basso o mancato gettito per lo Stato, mapossono incidere anche sull’efficienza del settore agricolo che non sempre riesce a raggiungere standard produttivi competitivi e livelli di reddito adeguati66. La maggiore particolarità del sistema tributario in agricoltura si profila nell’esistenza di un dualismo giuridico rispetto alle varie tipologie di impresa. Con tale espressione si intende la coesistenza di un doppio binario dell’istituto che regola la tassazione del reddito aziendale. Difatti, esiste una profonda differenziazione nella definizione stessa di reddito imponibile a seconda della natura giuridica dell’impresa: da un lato, le società (ad esclusione di quella semplice) e gli enti commerciali, dall’altro, le imprese individuali e gli enti non commerciali. Ai primi si applica il normale criterio partendo dai ricavi e costi d’esercizio; mentre per i secondi si 64 Al 31 dicembre 2004, attraverso cinque operazioni, i crediti agricoli INPS ceduti a “società veicolo” ammonterebbero a 6,975 miliardi di euro, di cui 5,112 miliardi riguardanti i contributi aziendali e 1,863 i contributi dei lavoratori autonomi. Su quasi 7 miliardi di euro, i crediti incassati alla stessa data ammontano a circa 1,4 miliardi di euro. 65 L’articolo 4, commi da 20 a 27, della legge 350/03 ha infatti limitato la rateizzazione dei crediti INPS alle sole imprese colpite da calamità naturali. 66 È importante sottolineare che le difficoltà di reddito che spesso interessano l’attività di questo settore sono fortemente motivate da una debolezza di potere contrattuale all’interno della filiera agricola, così come innumerevoli sono le cause che presiedono alle problematiche produttive. 62 definisce un reddito su base catastale o, per alcune attività connesse, forfetario. Il valore catastale, poi, viene anche utilizzato per le imposte patrimoniali (di successione e di registro). Il criterio catastale fu mantenuto dalla riforma fiscale dell’inizio degli anni settanta con l’esplicito presupposto che il reddito presunto su base catastale fosse in grado di riflettere il reddito realmente e normalmente67, ottenibile da ogni particella fondiaria. Tale intento è stato solo parzialmente realizzato a causa dell’applicazione di estimi catastali molto bassi. Sembra quindi necessario procedere ad un adeguamento dei coefficienti catastali in modo da poter rendere operativo lo spirito stesso di tale sistema impositivo La tabella, costruita grazie all’indagine ISTAT sui risultati economici delle aziende agricole (REA) per gli anni 2001 e 2002, mostra con chiarezza la differenza di prelievo tributario imposto sui due tipi di azienda68. Tabella 6 - Pressione tributaria sulle società e sulle imprese individuali - milioni di euro Società 2001 2002 Imprese individuali 2001 2002 rng 2223 3027 Rng 8676 7030 285 279 imposte totali 371 375 Irpeg 49 40 Irpef 248 250 Irpef società di persone 99 100 137 139 Irap 123 125 12,84 9,23 pressione tributaria % 4,28 5,34 imposte totali Irap pressione tributaria % Nel primo anno, la pressione tributaria sulle società è praticamente tripla rispetto a quella, davvero modesta, delle imprese individuali. Questa differenza si attenua nel 2002, dove, per le prime, si passa a poco più del 9% e, per le seconde, al 5,3%. L’applicazione degli estimi catastali e dei regimi forfetari fa in modo che alle imprese individuali e agli enti non commerciali venga imputato un reddito molto basso. Tuttavia, nessuna teoria economica o regola di buon senso suggerisce di favorire in modo così netto tale tipologia di azienda69 e di tassare il reddito di un’impresa in modo totalmente indipendente dalla performance aziendale. Il risultato di questo dualismo giuridico non è discutibile soltanto dal punto di vista dell’iniquità del trattamento dei due soggetti, i quali, pur svolgendo attività simili, sono gravati da un onere tributario decisamente diverso, ma solleva domande circa l’efficienza allocativa delle risorse. Difatti, potrebbe influenzare le scelte degli agenti economici che, in virtù delle conseguenze fiscali, potrebbero essere condizionati nella scelta della forma aziendale. Si pensi ad esempio, all’ostacolo nel caso di una trasformazione di un’impresa individuale verso forme aziendali più complesse ed articolate. La perdita in termini di benefici fiscali, difatti, potrebbe 67 Il reddito effettivo è quello di cui il contribuente ha disponibilità nel periodo considerato ed è quello tipicamente utilizzato nel sistema tributario italiano. A questo si contrappone il reddito normale, cioè quello potenzialmente ottenibile nel periodo considerato, che rappresenta il presupposto della tassazione su base catastale. 68 Naturalmente le imposte prese in considerazione nella tabella non esauriscono quelle gravanti sulle imprese. Per quelle escluse non è possibile procedere ad una ripartizione sistematica, che tuttavia, per la natura stessa di tali imposte, non andrebbe ad alterare il rapporto di grandezza tra la pressione fiscale sulle società e quella sulle imprese individuali. Inoltre, si ricorda che in questa tabella, poiché si intende calcolare la sola pressione tributaria, il risultato netto di gestione (rng) è depurato dei contributi sociali a carico del datore di lavoro. 69 Si ricordi che nei dati relativi alle aziende individuali sono presenti anche quei proprietari terrieri che non esercitano nessuna attività imprenditoriali e ai quali viene imputato un reddito fittizio tassato su base catastale, nel medesimo modo, delle aziende individuali vere e proprie. 63 essere molto difficile da compensare con vantaggi di altro genere. È altresì ragionevole pensare che le società rappresentino la parte più competitiva e moderna del sistema agricolo. I dati del 2002 relativi ai risultati economici delle aziende agricole ci dicono, infatti, che le società non solo sono ben più solide delle aziende individuali rispetto a tutti gli indicatori rilevati, ma anche che rappresentano solo il 2,2% di tutte le unità produttive. Per rendersi conto della distanza della produttività fra i due tipi di azienda è sufficiente citare il differenziale di produzione per unità di lavoro (ULA): 83.919 euro per le società e 18.562 euro per le imprese individuali. In altre parole siamo di fronte a un dualismo che va ben oltre quello relativo al trattamento fiscale delle diverse forme giuridiche aziendali, ma che delinea caratteristiche strutturali del sistema produttivo agricolo. Da un lato, sembrano esserci aziende orientate ed attrezzate per il mercato e, dall’altro, delle imprese individuali meno propense al cambiamento, ma più orientate all’autoconsumo. Da questo punto di vista il doppio binario del sistema tributario potrebbe agire come un ostacolo all’ammodernamento del sistema produttivo, mentre dovrebbe, se non favorirlo direttamente, almeno risultare neutrale. In questo senso, dovrebbero essere maggiormente investigate le conseguenze delle novità normative che sono state adottate. Con l’istituzione della nuova figura dell’imprenditore professionale e le relative implicazioni in termini di definizione di reddito agrario ed attività connesse, il dualismo fra le due forme giuridiche aziendali è stato probabilmente accentuato. Così come stesso effetto ha avuto l’introduzione dell’IRAP con un regime speciale, che consente alle imprese individuali di detrarre dalla base imponibile l’intero costo degli investimenti70. È proprio questa involontarietà, e forse non totale consapevolezza, delle possibili distorsioni prodotte a segnalare la necessità di un profondo ripensamento su queste tematiche. Un conto è aiutare le aziende più deboli che possono soffrire di maggiori difficoltà, altra cosa è disincentivare l’ammodernamento del sistema produttivo. Un’altra peculiarità del settore agricolo è rappresentata dalla consistenza che assume l’economia sommersa. L’anomalia del fenomeno risiede proprio nella sua dimensione, decisamente superiore rispetto a quella degli altri settori, che in parte risulta spiegabile dalla particolare natura dell’attività agricola. Le stime di Contabilità Nazionale relative al PIL garantiscono l’esaustività, in quanto comprendono anche l’economia non osservata, così come imposto dal SEC95. L’economia non osservata è costituita dal sommerso economico, cioè da attività di produzione di beni e servizi di natura legale, ma che sfugge all’osservazione diretta ed all’imposizione fiscale. Come è stato rilevato già nel capitolo I, le ultime stime dell’ISTAT, aggiornate al 2002, valutano al 15,1% la quota di valore aggiunto prodotto nell’area del sommerso per l’intera economia. Tale quota nel caso del settore agricolo sale ben oltre il 30%. Questa, infatti, è la distanza tra i valori dichiarati al fisco e quelli stimati dalla Contabilità Nazionale. A partire dall’inizio degli anni novanta, in cui il valore aggiunto sommerso ai prezzi di mercato era inferiore al 30%, si è registrato un costante aumento di questa percentuale fino al 36,9%. In agricoltura, l’ampiezza e l’entità del sommerso economico è amplificata rispetto agli altri settori economici, in quanto il settore beneficia di un particolare regime di esonero in tema di dichiarazione IVA che riguarda gli agricoltori con un volume d’affari inferiore a 7.746,85 euro nei comuni montani e di 2.582,28 euro in tutti gli altri. Questo regime, insieme a quello 70 Su questo punto è giusto riportare l’osservazione di taluni per cui l’Irap, tendendo a favorire le imprese ad alta intensità di capitale rispetto a quelle che utilizzano più manodopera , finisce per creare un vantaggio alle società di capitali. 64 speciale stabilizzato ora anche per le aziende con fatturato oltre i 20.658,72 euro, certamente favorisce un occultamento del reale volume d’affari trattato dalle aziende. Non è un caso che l’attuale metodologia di calcolo del PIL agricolo, incentrata sul metodo quantità per prezzi, è ritenuta molto più esaustiva del semplice approccio della rilevazione diretta costi e ricavi. Infatti, il primo riporto all’universo dei dati della Rilevazione dei risultati economici delle aziende agricole, relativo all’anno 2002, stima di una percentuale superiore al 30% il divario tra le stime dirette e quelle di contabilità nazionale per il valore aggiunto. Nel settore agricolo il problema del sommerso è notevole anche sul versante del lavoro. L’agricoltura raccoglie, infatti, una quota di prestazioni lavorative non regolari abbastanza elevata, soprattutto quelle di carattere occasionale, svolte spesso da stranieri non residenti e plurime. Il tasso di irregolarità delle unità di lavoro per settore di attività economica vede l’agricoltura al primo posto con il 33,7% nell’anno 2002, mentre tale incidenza era del 25,5% nel 1992, quindi in dieci anni è cresciuta di otto punti percentuali. Particolarmente elevata risulta l’incidenza dei lavoratori dipendenti non regolari: il 63,1% di quelli totali. Il problema non è certamente nuovo, né tanto meno sottovalutato. Difatti, il “Comitato nazionale per l’emersione del lavoro non regolare” ha da sempre posto il settore agricolo in cima alle sue priorità. L’Avviso Comune, siglato insieme alle parti sociali nel maggio del 2004, propone una serie di riforme ed incentivi basati su di una “logica di premialità” per le imprese virtuose. Si tratta di un vero superamento delle passate impostazioni, che mira a concretizzare un vantaggio comparativo per le imprese che si regolarizzano, spingendole così all’emersione. In questo schema la leva fiscale dal lato contributivo ha sicuramente un ruolo di primo piano. Utilizzando le informazioni sull’economia sommersa ed il lavoro irregolare, è possibile ipotizzare una stima approssimativa del risparmio che le imprese agricole realizzano utilizzando lavoratori non regolari, cioè “esenti” dal pagamento dei contributi sociali a carico del datore di lavoro. Teniamo anche presente che la larga parte dell’evasione è proprio sui contributi sociali, sia dei lavoratori dipendenti che indipendenti, poiché, come già è stato detto, gran parte del reddito aziendale viene tassato in base a criteri catastali e, quindi, non è interessato da fenomeni di evasione od elusione fiscale. Quella sui contributi sociali, quindi, è praticamente l’unico tipo di evasione di una certa consistenza, oltre forse quella dell’IRAP, che interessa potenzialmente tutte le aziende, indipendentemente dalla loro forma giuridica. Tabella 7 - Contributi sociali in agricoltura, lavoratori dipendenti (milioni di euro). Rielaborazione dati ISTAT 1998 1999 2000 2001 2002 Retribuzioni nette dipendenti irregolari 3.388 3.379 3.627 3.723 3.795 Retribuzioni nette dipendenti regolari 2.433 2.237 2.214 2.233 2.219 827 760 732 795 800 34 34 33.1 35.6 36 Stima contributi sociali dei datori di lavoro per lavoratori dipendenti Irregolari 1.152 1.148 1.199 1.326 1.368 Aliquota % contributi sociali dei lavoratori dipendenti regolari 8,8 13,7 8,9 10,0 11,9 Stima contributi sociali dei lavoratori dipendenti irregolari 401 621 427 507 617 Contributi sociali dei datori di lavoro (per i dipendenti regolari) Aliquota % contributi sociali del datore di lavoro 65 La tabella presenta le rielaborazioni fatte per i lavoratori dipendenti nel settore agricolo. Considerando il solo lavoro regolare, l’aliquota contributiva a carico dei datori di lavoro raggiunge, nel 2002, la dimensione del 36%. Applicando tale aliquota alle retribuzioni nette dei lavoratori dipendenti irregolari si può stimare in 1.368 milioni di euro il costo aggiuntivo, per le aziende, che questi rappresenterebbero se regolarizzati. Molto più modesto il potenziale onere a carico dei lavoratori stessi, che pure raggiungerebbe la cifra di 617 milioni di euro. Due brevi osservazioni sono immediate a proposito di queste cifre. La prima riguarda le distorsioni prodotte dall’economia sommersa, poiché un’impresa che può contare su risorse umane non regolari si trova in condizioni di vantaggio rispetto alle altre. Questo significa che difficilmente si sposterà verso frontiere produttive più efficienti, se implica sostituire lavoro con capitale, perché il costo di questa scelta sarebbe certamente elevato e non conveniente. Tanto più che le altre imprese saranno tentate, se non obbligate, ad adeguarsi. In altre parole, in generale, dove i livelli di irregolarità sono molto elevati si crea un circolo vizioso difficile da interrompere e da conciliare con la razionalizzazione del sistema produttivo. L’altra osservazione riguarda il cronico stato di emergenza dei conti previdenziali ed assistenziali del settore agricolo. Le contribuzioni71, se pure inferiori a quelle degli altri comparti, sono di una certa rilevanza e suggeriscono chiaramente che il problema nasce dal livello, insostenibile, delle prestazioni. Finora questo problema è stato risolto, con una logica di breve periodo, spostando ifondinecessari da altri conti, ma, con il passaggio a un sistema di tipo contributivo,difficilmente si potrà continuare su questa strada ed è impellente la necessità di una soluzione di tipo strutturale. Uno dei punti cruciale, insieme all’allargamento del numero dei contribuenti, sembra essere la razionalizzazione delle prestazioni assistenziali e previdenziali. Parte di questa spesa viene erogata tramite meccanismi che di fatto spingono al lavoro nero, anche, per esempio, solamente come sottodichiarazione delle giornate effettivamente lavorate. Si allude alle cosiddette soglie di occupazione per l’accesso alle prestazioni assistenziali, che inducono a dichiarare solo le ore minime per raggiungere tali soglie. Sarebbe molto più opportuno, invece, come proposto nel citato “Avviso Comune”, che le prestazioni diventassero proporzionali alle giornate di lavoro. Esiste, poi, un altro problema che per l’agricoltura assume proporzioni davvero straordinarie: il lavoro fittizio. Il lavoro fittizio consiste nella denuncia di lavoro, in realtà mai svolto, al solo scopo di creare vantaggi economici. Tale pratica è talmente diffusa da non poterne sottovalutare l’incidenza sull’equilibrio dei conti assistenziali e previdenziali. Un altro aspetto rilevante è il basso livello di contribuzione contro infortuni a cui ricorrono le imprese di questo settore. In questo modo, si delinea un sistema contributivo dalle caratteristiche molto particolari che necessita, certamente, di una riorganizzazione generale. In definitiva, da questa rapida analisi, l’economia sommersa in agricoltura appare favorita anche dal particolare regime fiscale di cui gode, che però ha portato pure indubbi vantaggi sul fronte della semplificazione fiscale grazie ai minori adempimenti di natura amministrativa. Fattori questi che sicuramente favoriscono ed aiutano le piccole aziende agricole, che presentano un volume d’affari di modesta entità. Quello che bisogna chiedersi è se questi vantaggi siano sufficienti a bilanciare tutti gli effetti negativi in termini di equità ed efficienza72. 71 Tra l’altro ci sarebbe anche da notare che il livello di contribuzione richiesto per i lavoratori autonomi è molto inferiore a quello dei lavoratori dipendenti. 72 E’ del resto significativo il fatto che solo per il comparto agricolo non sia stato prodotto uno studio di settore, cosa che, invece, esiste pressoché per tutti gli altri settori dell’economia. 66 Si può quindi affermare che l’attuale sistema produttivo agricolo produca un sommerso in parte fisiologico e chela particolare natura del lavoro agricolo stagionale legato alle operazioni di raccolta, generi una componente irregolare di difficile ricomposizione. Occorre trovare, in questo senso, forme nuove di reclutamento, come nel caso degli extracomunitari, che superino gli attuali canali (ad esempio, forme di lavoro a contratto, in prestito o interinale, o particolari forme di cooperative di lavoro). L’impostazione della nuova Pac, prevedendo il principio del disaccoppiamento, secondo cui l’assegnazioni di alcuni fondi è indipendente dalle attività produttive in senso stretto, ma legata al rispetto di standard eco-biologici per l’ambiente ed il territorio, stimola una riflessione sulla posizione che il settore agricolo debba occupare nella società. Se ciò che si chiede è un ruolo diverso da quello svolto dagli altri settori produttivi, allora è lecito e ragionevole che il sistema fiscale dell’agricoltura abbia un assetto tutto particolare. L’importante è chiarire esplicitamente, di volta in volta, se le finalità che si intendano raggiungere siano di sostegno dei redditi e protezione del territorio, oppure di ammodernamento e razionalizzazione del sistema produttivo. Solo in questo modo si avrà la necessaria lucidità per valutare coerentemente quali siano i reali effetti delle politiche economiche e fiscali intraprese. 67 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Dopo che, per quattro anni consecutivi, i risultati produttivi delle rispettive annate agrarie erano stati negativamente condizionati dalle avverse condizioni climatiche, nel 2004 si è, finalmente, registrato, sotto tale profilo, un ritorno alla normalità, cui ha fatto immediato riscontro un evidente recupero della produzione. Se negli anni precedenti, la difficoltà del settore di fare fronte a fatti contingenti negativi come quelli determinati dagli andamenti climatici era stata valutata indicativa di una intrinseca debolezza strutturale, giova, tuttavia, evidenziare che i medesimi elementi di debolezza sono chiaramente emersi anche in un’annata decisamente più favorevole com’è stata quella appena trascorsa. La maggiore disponibilità di prodotto si è, infatti, immediatamente tradotta in forti tensioni di mercato, con inevitabili effetti sul livello dei prezzi alla produzione. A fare le spese di una tale situazione sono state principalmente le produzioni, il cui mercato è maggiormente condizionato dal peso dei settori derivati e, in specie, della distribuzione; ma non sono stati risparmiati neanche prodotti di qualità come il parmigiano reggiano ed il grana padano. Sarebbe, tuttavia, un errore pensare che le recenti difficoltà del settore siano state principalmente l’espressione di fatti contingenti. Negli ultimi anni, in taluni settori, si sono, infatti, avute forti tensioni sui prezzi anche in momenti in cui la disponibilità di prodotto non era particolarmente elevata. I prezzi alla produzione costituiscono, in questo particolare momento, un indicatore di estrema importanza al fine di valutare lo stato e le prospettive della nostra agricoltura. Negli ultimi anni, a seguito dell’avanzamento del processo di globalizzazione e delle tre successive riforme cui è stata sottoposta la PAC sono, infatti, venute progressivamente meno le garanzie sui prezzi dei principali prodotti agricoli e gli agricoltori si sono trovati ad operare in uno scenario di riferimento totalmente diverso, nonché molto più aperto e meno protetto, rispetto a quello cui, per decenni, erano stati abituati. In questo contesto, e in specie per i prodotti di massa, il livello di prezzo che gli agricoltori riescono a spuntare sul mercato diviene fortemente indicativo della loro capacità di gestire rapporti contrattuali con i settori a valle e, in particolare, con la grande distribuzione organizzata. Non deve, dunque, sorprendere se, nell’attuale fase di progressiva riduzione delle garanzie a sostegno dei mercati agricoli e di crescente liberalizzazione, la nostra agricoltura si trovi a scontare i numerosi problemi strutturali che, storicamente, la caratterizzano. Ci riferiamo, in particolare, alla ridotta dimensione delle aziende, all’elevata età media degli imprenditori agricoli ed alla insufficiente organizzazione economica delle imprese in livelli superiori a quello aziendale: tutti elementi che oggi, più che in passato, risultano decisivi nel determinare le difficoltà che la nostra agricoltura incontra sul mercato. E’ evidente che le tensioni sui prezzi alla produzione si riflettono, inevitabilmente, sul reddito degli agricoltori contribuendo a determinare ulteriori problemi, la cui natura non è solo economica, ma anche sociale. L’Unione europea, come noto, non consente agli Stati membri di intervenire con aiuti volti a compensare i produttori dalle flessioni dei prezzi, ma concede unicamente la possibilità di prevedere l’adozione di misure di carattere generale per fare fronte a problemi di liquidità e di 69 ingenti problemi di reddito che, secondo la stessa Commissione UE, sussistono solo quando, in un anno, sia registrata una flessione del reddito, in misura pari ad almeno il 30% rispetto alla media del triennio precedente. Nonostante i limiti posti dall’Unione europea, gli interventi a sostegno del reddito degli agricoltori operanti nei settori interessati da crisi di mercato hanno rappresentato una delle voci che, sotto il profilo dell’entità delle risorse, ha più pesato sul totale delle provvidenze recate dalla politica agraria nazionale nel corso dell’ultimo anno. Una tale situazione rende necessarie alcune considerazioni riguardo all’attuale ruolo della politica agraria in riferimento al nuovo scenario venutosi a delineare a seguito della riforma della PAC. Attualmente il sostegno pubblico complessivo all’agricoltura è di assoluto rilievo e, in riferimento agli ultimi cinque anni per i quali si ha disponibilità dei dati (1999-2003) ammonta, in media, a circa 16,4 miliardi di euro annui. Sempre con riferimento alla media annua del periodo 1999-2003, tale sostegno è risultato essere stato costituito per il 70,7% da trasferimenti diretti e per la restante parte (29,3%) da agevolazioni fiscali, contributive e tariffarie. Tra i trasferimenti, la quota più rilevante è stata costituita dai pagamenti di AGEA (35,5%) e dagli interventi regionali (24,2%); assai ridotto l’apporto recato attraverso le erogazioni del Ministero delle politiche agricole e forestali (4,5%). Tra le agevolazioni pesano, soprattutto, quelle previdenziali e contributive (15,9%) e quelle sulle imposte dirette (4,8%) e sui carburanti (4,7%). Nel complesso il quadro che se ne trae è quello di un intervento pubblico fortemente condizionato dai finanziamenti di fonte comunitaria (che, attraverso i programmi di sviluppo regionale, sostanziano anche l’intervento delle regioni) e da politiche di natura più o meno assistenziale (le varie forme di agevolazioni). Ne discende l’immagine di una politica povera di risorse proprie, dove gli interventi interamente sostanziati da fonti finanziarie nazionali sono prevalentemente costituiti dalle diverse forme di agevolazioni, alle quali, sono da aggiungere le misure per fare fronte alle calamità naturali ed alle crisi di mercato alle quali, nell’anno in corso è stato destinato il 32,7% delle risorse stanziate in favore del settore agricolo dalla legge finanziaria per il 2005 . E’ evidente che una tale caratterizzazione dell’intervento nazionale deve essere attentamente valutata in riferimento all’esigenza di realizzare un rapporto di complementarità tra gli interventi sostenuti a livello nazionale e quelli attuati nell’ambito della nuova PAC. Tra i grandi Paesi della UE, l’Italia è l’unico che, fin dal primo anno di istituzione, ha deciso di attuare la “riforma Fischler”, applicandone appieno i nuovi regimi di aiuto. Ciò, se, da un lato, è sicuramente espressivo della volontà di consentire alla nostra agricoltura di cogliere le opportunità che possono discendere dall’applicazione dei nuovi regimi di aiuto, dall’altro lato, rende più pressante l’esigenza di adeguare l’intervento pubblico nazionale al nuovo scenario delineato dalla stessa “riforma Fischler” nel senso, soprattutto, di accrescere il grado di finalizzazione delle misure in rapporto alle effettive esigenze di sviluppo della nostra agricoltura. Al fine di meglio comprendere quanto tale esigenza sia pressante è sufficiente considerare che la nuova PAC, attraverso il disaccoppiamento, tenderà ad uniformare i suoi principali regimi di aiuto e, quindi, a fornire una base indifferenziata di sostegno al reddito che, assai difficilmente, potrà costituire una valida risposta alle diversificate esigenze di sviluppo che potranno emergere a livello territoriale. 70 Alla luce di quanto sopra diviene, dunque, indispensabile aprire nuovi spazi alla progettualità nazionale e regionale, al fine di mettere a punto ed attuare interventi mirati, in funzione delle diverse esigenze di sviluppo della nostra agricoltura. Una tale evoluzione, sebbene decisamente auspicabile, appare, tuttavia, particolarmente difficile da realizzare. La politica agraria nazionale, il cui ruolo è fondamentale ai fini della definizione degli indirizzi generali e del coordinamento delle azioni regionali, è oggi schiacciata: sul fronte esterno, dalla presenza di una politica comunitaria sempre, più vincolante per le regole che pone e sempre meno “generosa” per il sostegno che concede; sul fronte interno, dal nuovo quadro di competenze istituzionali che stenta a trovare il giusto equilibrio tra la gestione decentrata delle competenze agricole da parte delle regioni e l’assoluta necessità di realizzare una programmazione nazionale rispetto a tutte quelle questioni di rilevanza strategica generale che, per evidenti motivi, non possono essere compiutamente affrontate a livello regionale. E’ evidente che in una situazione di questo tipo diviene estremamente difficile porre in essere, a livello nazionale e regionale, un’azione politica veramente incisiva, in quanto: o i diversi soggetti interessati (fondamentalmente, le regioni e le diverse amministrazioni statali che hanno competenze dirette o indirette in materia agricola) riescono a realizzare le sinergie necessarie per utilizzare al meglio i pochi spazi operativi concessi dalla politica comunitaria; o si rischia di vanificare quanto di buono è stato – o potrà essere – realizzato, singolarmente, ai vari livelli. Un rischio che la nostra agricoltura non può assolutamente permettersi di correre, soprattutto, adesso, alla luce, sia della complessità dei problemi che è necessario affrontare, sia dello sforzo che, negli ultimi anni, è stato, comunque, realizzato per impostare ed avviare una politica agraria nazionale più attenta che in passato ad importanti questioni strategiche, quali: la tutela e la valorizzazione delle specificità della nostra agricoltura; il miglioramento dell’organizzazione economica delle imprese agricole; l’aumento del peso dell’agricoltura nelle filiere produttive; l’accesso a servizi (credito, assicurazioni) funzionali all’innalzamento dei livelli di competitività. A questo proposito, giova sottolineare, che, anche nell’ultimo anno è proseguito lo sforzo di adeguamento del quadro normativo agricolo e che, in tale ambito, sono state varate importanti misure, tra le quali le nuove norme in materia di: regolazione dei mercati (decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 102); definizione dei soggetti giuridici in agricoltura (decreti legislativi 99/2004 e 27 maggio 2005, n. 101); sostegno agli investimenti nelle filiere (legge 80/2005); etichettatura ed indicazione di origine delle materie prime agricole (legge 204/2004); coesistenza tra coltivazioni transgeniche, convenzionali e biologiche (legge 5/2005); riforma organizzativa del Ministero delle politiche agricole e forestali (decreto del Presidente della Repubblica 79/2005). Giova, tuttavia, ribadire che tale sforzo di adeguamento è stato realizzato in un contesto di estrema difficoltà che, oltre ad aver posto – e continuare a porre – ostacoli alle singole azioni che sono state intraprese, rischia di divenire la principale incognita per la messa a punto e l’attuazione della politica agraria del futuro. Ci riferiamo, in particolare, agli eccessivi condizionamenti posti dalla politica comunitaria ed alla difficoltà di realizzare una strategia politica che sia condivisa da Stato e regioni e che, nel contempo, sia organicamente inserita nell’ambito della politica economica nazionale. 71 Con riferimento ai condizionamenti posti dalle politiche comunitarie, non si può, infatti, continuare a sottovalutare il fatto che esse, da un lato, impongono alla nostra agricoltura di operare in un contesto di crescente concorrenza e, dall’altro lato, non concedono agli Stati membri quel minimo di flessibilità necessaria per adottare misure finalizzate a favorire l’adeguamento al contesto che le stesse politiche comunitarie hanno contribuito a determinare. E’ il caso, ad esempio, degli ostacoli che sono posti all’attuazione di interventi a sostegno dei settori in crisi, o all’applicazione di norme finalizzate a costruire percorsi di tutela e di valorizzazione dei prodotti e dei modelli produttivi tipici della nostra agricoltura. Ciascuno Stato membro dovrebbe, infatti, vedersi riconosciuto il diritto di operare, affinché la propria agricoltura possa adeguarsi al nuovo contesto in modo coerente rispetto alle proprie caratteristiche e possibilità. Se, come accade oggi, ogni forma di intervento statale è, invece, bloccata, o ridotta, in nome di uno stringente regime sugli aiuti di Stato (come è accaduto per gli interventi sui settori in crisi), o delle norme sulla concorrenza (come nel caso della legge 204/2004 sulle indicazioni di origine), il risultato è che, a livello europeo, finirà per essere favorito un unico modello di sviluppo, ossia quello dell’agricoltura dei prodotti di massa e della competitività in base ai costi di produzione e per essere ostacolati tutti gli altri modelli ad esso alternativi, ossia tutti quelli che potrebbero, comunque, affermarsi e trovare i loro spazi sul mercato globale, ma che in questa particolare fase necessitano di essere, anche solo temporaneamente, sostenuti sia per uscire da situazioni congiunturali difficili sia per meglio tutelare e valorizzare le loro peculiarità produttive e territoriali. In questo quadro, la necessità di recuperare nuovi e più ampi spazi per la politica agraria nazionale e regionale dovrebbe essere considerata come una delle priorità della politica economica del Governo e, come tale, essere discussa nelle sedi comunitarie, ponendo sul tavolo proposte concrete ed operative che possono andare da ipotesi estreme, come la rinazionalizzazione, anche parziale, degli aiuti, fino alla possibilità di ottenere deroghe, anche temporanee, rispetto a vincoli che, specie per quanto riguarda le norme sugli aiuti di Stato e sulla concorrenza, rendono, di fatto, impossibile attuare un qualsiasi intervento propedeutico all’avvio di processi di sviluppo, in settori che già non siano competitivi sotto il profilo dei costi di produzione. E’ evidente che, per esplorare, con successo, una possibilità come quella ora indicata, è necessaria una forte consapevolezza riguardo all’importanza del ruolo socio-economico dell’agricoltura e, quindi, al fatto che il mantenimento della presenza delle attività agricole sul territorio costituisce una priorità strategica di assoluto interesse collettivo. Tale consapevolezza, nonostante sembri essere molto diffusa, stenta, tuttavia, a manifestarsi in forma compiuta, ogni qualvolta sarebbe necessario operare scelte che, per essere veramente importanti e decisive, dovrebbero fondarsi su di una forte condivisione di obiettivi strategici da parte dei diversi soggetti istituzionali. Ciò si è verificato, ad esempio, per la recente riforma del Ministero delle politiche agricole e forestali, che sarebbe stata molto più incisiva se fosse stata realizzata attraverso il riordino in un unica amministrazione delle diverse competenze di chiaro interesse agricolo che sono, attualmente, disperse tra vari ministeri, anziché – come è, invece, avvenuto – limitarsi ad una, pur apprezzabile, ristrutturazione interna allo stesso dicastero agricolo. Considerazioni analoghe possono essere riferite anche alle difficoltà che, nonostante gli indiscutibili progressi registrati negli ultimi anni, continuano a registrarsi nei rapporti tra Stato e regioni, i quali stentano a realizzare i livelli di collaborazione necessari per avviare un indispensabile opera di programmazione finalizzata a perseguire tutti quegli obiettivi di 72 carattere strategico generale che, né lo Stato, né le regioni sono in grado di realizzare da soli. A questo proposito, è necessario che Stato e regioni cessino di guardare alla programmazione come al sistema che consente all’uno di limitare la potestà delle altre e la considerino, invece, per quello che realmente è, ossia, un metodo razionale che consente di ottimizzare la distribuzione di risorse limitate tra impieghi alternativi e, quindi nel caso specifico, di realizzare le sinergie necessarie per perseguire un numero limitato di obiettivi condivisi. Alla luce di quanto sopra, appare evidente che, al fine di non vanificare lo sforzo realizzato in questi ultimi anni, diviene necessario un grande impegno comune: un vero e proprio patto trasversale che non si fermi di fronte agli ostacoli rappresentati dalle diverse appartenenze politiche e dalle rigide frammentazioni di competenze tra le varie amministrazioni, ma che guardi, unicamente, al superiore interesse di assicurare un futuro alla nostra agricoltura. 73 APPENDICE STATISTICA* * L’appendice statistica contiene un estratto delle tabelle contenute nel CD-ROM allegato. Si riporta di seguito l’elenco completo INDICE DELLE TABELLE CONTENUTE NEL CD-ROM Tabella 1a Tabella 1b Tabella 1c Tabella 1d Tabella 1e Tabella 2a Tabella 2b Tabella 2c Tabella 2d Tabella 2e Tabella 2f Tabella 3 Tabella 4 Grafico 1a Grafico 1b Grafico 1c Grafico 1d Grafico 2a Grafico 2b Grafico 2c Tabella 5 Tabella 6 Tabella 7 Tabella 8 Tabella 9 Tabella 10 Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base Variazioni NORD CENTRO SUD ITALIA anno 2004/2003 Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base Distribuzione percentuale dei valori correnti delle principali aree geografiche su totale Italia anno 2004 (Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base) Composizione percentuale dei valori correnti della produzione agricola per principali aree geografiche anno 2004 (Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base) Produzione dei principali prodotti agricoli - Variazioni NORD CENTRO SUD ITALIA 2000-2004 Attività produttiva, costi e prezzi - Agricoltura Andamento del settore agricolo - Nord, anni 1980-2004 Andamento del settore agricolo - Centro, anni 1980-2004 Andamento del settore agricolo - Mezzogiorno, anni 1980-2004 Andamento del settore agricolo - Italia, anni 1980-2004 Incidenza del settore agricolo e alimentare su totale economia - valori a prezzi di base correnti, anni 1980-2004 Incidenza del settore agricolo e alimentare su totale economia - valori a prezzi di base costanti, anni 1980-2004 Incidenza del settore agricolo e alimentare su totale economia - valori a prezzi di mercato costanti, anni 1980-2004 Indici nazionali dei prezzi al consumo per l'intera collettività per tipologia di prodotti - Base 1995 = 100 Bilancia commerciale agro-alimentare Finanziamenti agli investimenti in agricoltura oltre il breve termine (consistenze in milioni di euro) Tassi di riferimento per il credito agrario agevolato Tassi di riferimento per il credito agrario agevolato - Variazioni % Indici nazionali dei prezzi al consumo per l'intera collettività di alcune voci di prodotto 77 Tabella 11a Tabella 11b Tabella 11c Tabella 11d Tabella 12a Tabella 12b Tabella 12c Tabella 13a Tabella 13b Tabella 13c Tabella 14a Tabella 14b Tabella 14c Tabella 15a Tabella 15b Tabella 15c Tabella 16a Tabella 16b Tabella 16c Tabella 17a Tabella 17b Tabella 17c Tabella 18a Tabella 18b Tabella 18c Tabella 19 Prodotto interno lordo e valore aggiunto ai prezzi di mercato - milioni di euro dal 1999, milioni di eurolire per gli anni precedenti Prodotto interno lordo e valore aggiunto ai prezzi di mercato - Indici Q P V (VARIAZIONI ANNUE) Unità di lavoro, prodotto interno lordo, produttività del lavoro, spesa per consumi finali per ripartizione geografica - Anno 2004 (Variazioni percentuali rispetto all’anno precedente) Valore aggiunto ai prezzi base e unità di lavoro per branche e grandi ripartizioni geografiche - Anno 2004 (Variazioni percentuali rispetto all’anno precedente) Unità di lavoro totali (in migliaia) Unità di lavoro dipendenti (in migliaia) Unità di lavoro indipendenti (in migliaia) Unità di lavoro totali (Distribuzione % per attività economica) Unità di lavoro dipendenti (Distribuzione % per attività economica) Unità di lavoro indipendenti (Distribuzione % per attività economica) Unità di lavoro totali (Variazioni % su base annua) Unità di lavoro dipendenti (Variazioni % su base annua) Unità di lavoro indipendenti (Variazioni % su base annua) Redditi da lavoro dipendente - Valori a prezzi correnti (milioni di euro dal 1999; milioni di eurolire per gli anni precedenti) Retribuzioni lorde - Valori a prezzi correnti (milioni di euro dal 1999;milioni di eurolire per gli anni precedenti) Contributi sociali - Valori a prezzi correnti (milioni di euro dal 1999; milioni di eurolire per gli anni precedenti) Redditi da lavoro dipendente - Valori a prezzi correnti (Distribuzione % per attività economica) Retribuzioni lorde - Valori a prezzi correnti (Distribuzione % per attività economica) Contributi sociali - Valori a prezzi correnti (Distribuzione % per attività economica) Redditi da lavoro dipendente - Valori a prezzi correnti (Variazioni % su base annua) Retribuzioni lorde - Valori a prezzi correnti (Variazioni % su base annua) Contributi sociali - Valori a prezzi correnti (Variazioni % su base annua) Valore aggiunto a prezzi base - Indici Q P V Valore aggiunto a prezzi base - Valori a prezzi correnti (milioni di euro dal1999; milioni di eurolire per gli anni precedenti) Valore aggiunto a prezzi base - Valori a prezzi 1995 (milioni di eurolire) Retribuzioni per Unità di lavoro totali (in migliaia di Euro) 78 Tabella 20a Tabella 20b Tabella 20c Tabella 20d Tabella 21 Tabella 22 Tabella 23 Tabella 24 Tabella 25 Tabella 26 Tabella 27 Tabella 28 Tabella 29 Tabella 30 Tabella 31 Tabella 32 Tabella 33 Tabella 34 Tabella 35 Tabella 36 Tabella 37 Tabella 38 Tabella 39 Spesa delle famiglie (classificazione ISTAT) - Anni 1999-2004 - Valori a prezzi correnti (milioni di euro dal 1999; milioni di eurolire per gli anni precedenti) Spesa delle famiglie (classificazione ISTAT) - Anni 1999-2004 Valori a prezzi 1995 (milioni di eurolire) Spesa delle famiglie (classificazione ISTAT) - Anni 1999-2004 Distribuzione su valori a prezzi correnti Spesa delle famiglie (classificazione ISTAT) - Anni 1999-2004 Distribuzione su valori a prezzi 1995 Spesa delle famiglie (classificazione ISTAT) - Anni 1999-2004 - Indici QPV Valore aggiunto prodotto nell’area del sommerso economico per settore di attività economica. Anni 1992 - 2002 Tasso di irregolarità delle unità di lavoro per settore di attività economica Tassi di irregolarità (*) - Agricoltura Tasso d'irregolarità delle unità di lavoro per regione e settore di attività economica. Anno 2002 Unità di lavoro non regolari - Totale economia (in migliaia) Unità di lavoro non regolari - Agricoltura, silvicoltura e pesca (in migliaia) Unità di lavoro totali - Totale economia (in migliaia) Unità di lavoro totali - Agricoltura, silvicultura e pesca (a) (in migliaia) Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base (Indice implicito di Prezzo) - base 1980 Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base (Indice implicito di Prezzo) - base 1980 Pressione tributaria sul risultato netto di gestione - milioni di euro rielaborazione su dati ISTAT e Ministero dell'Economia e delle Finanze PSR. Spesa pubblica e spesa FEOGA programmata ed erogata e avanzamento finanziario al 15 ottobre 2004 per regione PSR. Spesa pubblica programmata, erogata e avanzamento finanziario al 15 ottobre 2004 per misura e classe di misure POR obiettivo 1. Spesa pubblica e spesa FEOGA programmata ed erogata e avanzamento finanziario al 31 dicembre 2004 per regione POR obiettivo 1. Spesa pubblica programmata, erogata e avanzamento finanziario al 31 dicembre 2004 per misura e classe di misure Programma LEADER+ Italia. Spesa pubblica programmata ed erogata e avanzamento finanziario al 31 dicembre 2004 Nuove prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013 Consolidamento del sostegno al settore agricolo 79 RIFERIMENTI NORMATIVI CONTENUTI NEL CD-ROM Normativa comunitaria Normativa nazionale Normativa regionale Normativa di applicazione della PAC 80 Tabella 1.e - Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base Variazione NORD CENTRO SUD ITALIA - anno 2004/2003 (Quantità, prezzi e valori) Quantità Prodotti Nord Centro Prezzi Sud Italia Nord Centro Valori Sud Italia Nord Centro Sud Italia AGRICOLTURA Coltivazioni agricole Erbacee - Cereali - Legumi secchi - Patate e ortaggi - Industriali - Fiori e piante da vaso Foraggere Legnose - Prodotti vitivinicoli - Prodotti dell'olivicoltura - Agrumi - Frutta - Altre legnose Allevamenti Prodotti zootecnici alimentari - Carni - Latte - Uova - Miele Prodotti zootecnici non alimentari Servizi annessi Totale produzione - Consumi intermedi Valore aggiunto ai prezzi di base 13,2 13,7 20,2 17,4 9,0 18,7 -6,0 7,4 14,1 20,1 41,6 13,4 12,2 -0,5 0,3 0,3 0,8 -0,9 -0,5 34,2 5,0 0,7 6,4 1,8 9,3 24,5 22,8 48,5 28,8 9,6 6,6 -5,2 10,0 30,7 21,0 105,3 24,4 45,9 4,2 0,4 0,4 0,8 -0,8 -0,5 41,1 -2,7 0,8 15,5 4,1 21,7 11,5 10,9 32,4 12,4 6,4 -1,7 -3,9 4,0 12,8 17,9 5,3 15,6 28,0 2,9 -0,2 -0,2 0,0 -0,7 -0,5 43,1 -4,8 0,5 8,5 2,2 10,8 14,0 13,9 27,3 15,7 7,5 11,0 -5,1 6,9 15,4 19,3 11,8 15,6 19,6 2,3 0,2 0,2 0,7 -0,8 -0,5 38,6 -3,5 0,6 8,3 2,2 11,5 -4,6 -3,7 0,5 6,0 -9,9 -1,7 -4,1 -13,1 -3,6 -7,3 2,9 -2,1 -1,4 -3,0 -1,2 -1,2 -1,0 -0,4 -6,7 1,2 -0,8 3,5 -2,6 3,2 -5,9 -6,8 -10,3 -9,4 3,7 -10,2 -0,6 -5,7 -13,1 -1,2 0,8 0,4 -6,2 0,1 -3,9 -1,6 -1,6 -1,6 0,1 -6,7 1,2 -2,5 3,5 -4,4 1,4 -7,1 -8,2 -11,9 -13,0 4,8 -12,3 2,4 -5,7 -13,0 -3,7 -4,6 -4,8 -4,9 -1,6 -2,7 -2,9 -2,9 -4,1 0,4 -6,7 1,2 -2,6 3,5 -6,4 2,0 -9,5 -6,6 -8,3 -4,6 5,1 -11,4 -0,8 -4,9 -13,0 -3,1 -4,7 -3,0 -4,9 -1,4 -3,4 -1,6 -1,6 -1,7 -0,2 -6,7 1,2 -2,4 3,5 -4,2 2,6 -7,5 8,0 9,4 20,8 24,4 -1,7 16,7 -9,8 -6,6 10,0 11,3 45,6 11,0 10,7 -3,5 -0,9 -0,9 -0,2 -1,3 -7,2 35,8 4,1 4,2 3,7 5,1 2,9 16,1 10,2 34,5 33,6 -1,5 6,0 -10,6 -4,4 29,1 21,9 106,1 16,7 46,0 0,2 -1,2 -1,2 -0,8 -0,7 -7,2 42,7 -5,1 4,3 10,4 5,6 13,0 2,4 -2,3 15,2 17,8 -6,7 0,7 -9,3 -9,5 8,6 12,6 0,3 9,9 26,0 0,1 -3,1 -3,1 -4,1 -0,3 -7,1 44,8 -7,2 4,1 1,5 4,3 0,4 6,5 4,4 21,4 21,7 -4,7 10,0 -9,8 -7,1 11,8 13,6 8,4 9,9 17,9 -1,1 -1,4 -1,4 -1,1 -1,0 -7,2 40,2 -5,8 4,2 3,8 4,9 3,2 -16,0 -6,1 -17,7 -1,7 4,6 -2,6 -11,9 -6,8 -12,7 -10,3 -3,1 -11,4 -1,6 -1,6 -2,1 -2,2 1,0 -2,9 -7,3 -1,9 -8,4 -3,4 -1,1 -4,1 -17,4 -7,6 -19,5 -3,9 5,6 -5,5 -18,3 -8,6 -20,1 -13,3 -4,1 -15,1 2,8 2,4 2,9 2,5 2,0 2,7 0,8 0,9 0,7 2,0 1,6 2,1 2,3 2,8 2,1 2,1 2,8 1,9 2,6 3,0 2,5 2,3 2,8 2,1 5,2 5,2 5,1 4,7 4,8 4,6 3,4 3,9 3,3 4,3 4,5 4,2 6,1 1,8 8,7 14,5 4,1 20,0 8,0 2,1 10,3 7,9 2,2 10,8 -2,4 3,2 -5,5 -4,1 1,4 -6,7 -6,2 2,0 -9,1 -4,0 2,6 -7,1 3,6 5,0 2,7 9,8 5,6 12,0 1,4 4,2 0,3 3,6 4,8 3,0 SILVICOLTURA Produzione - Consumi intermedi Valore aggiunto ai prezzi di base PESCA Produzione - Consumi intermedi Valore aggiunto ai prezzi di base AGRICOLTURA, SILVICOLTURA E PESCA Produzione - Consumi intermedi Valore aggiunto ai prezzi di base Fonte: elaborazioni su dati ISTAT 81 Tabella 2.e - Distribuzione percentuale dei valori correnti delle principali aree geografiche su totale Italia anno 2004 (Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base) Prodotti Nord Centro Sud Italia 39,8 43,6 59,6 36,3 26,4 54,4 51,4 59,8 32,1 40,1 2,0 0,0 59,6 34,5 67,8 67,8 67,5 69,5 63,2 43,7 8,4 41,1 48,7 55,2 45,3 15,5 15,7 16,5 10,7 14,5 21,0 14,5 14,7 15,4 17,8 13,4 0,5 10,2 47,0 11,4 11,4 12,3 9,0 13,3 25,8 26,3 17,0 14,3 14,0 14,5 44,6 40,7 23,9 53,0 59,1 24,6 34,1 25,5 52,5 42,1 84,6 99,4 30,2 18,5 20,8 20,8 20,1 21,5 23,5 30,5 65,3 41,8 37,0 30,7 40,2 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 37,2 42,0 36,1 35,5 31,5 36,3 27,4 26,5 27,5 100,0 100,0 100,0 38,4 31,0 40,4 16,9 17,1 16,9 44,6 51,8 42,7 100,0 100,0 100,0 48,3 54,6 45,0 14,6 14,2 14,8 37,1 31,2 40,2 100,0 100,0 100,0 AGRICOLTURA Coltivazioni agricole Erbacee - Cereali - Legumi secchi - Patate e ortaggi - Industriali - Fiori e piante da vaso Foraggere Legnose - Prodotti vitivinicoli - Prodotti dell'olivicoltura - Agrumi - Frutta - Altre legnose Allevamenti Prodotti zootecnici alimentari - Carni - Latte - Uova - Miele Prodotti zootecnici non alimentari Servizi annessi Totale produzione - Consumi intermedi Valore aggiunto ai prezzi di base SILVICOLTURA Produzione - Consumi intermedi Valore aggiunto ai prezzi di base PESCA Produzione - Consumi intermedi Valore aggiunto ai prezzi di base AGRICOLTURA, SILVICOLTURA E PESCA Produzione - Consumi intermedi Valore aggiunto ai prezzi di base Fonte: elaborazioni su dati ISTAT 82 Tabella 2.f - Composizione percentuale dei valori correnti della produzione agricola per principali aree geografiche anno 2004 (Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base) Prodotti Nord Centro Sud Italia 51,3 30,0 15,7 0,1 8,1 2,6 3,5 4,5 16,8 7,2 0,2 0,0 8,0 1,4 43,9 43,9 27,6 13,6 2,6 0,0 0,0 4,9 100,0 39,2 60,8 68,0 36,7 14,8 0,1 15,0 3,4 3,3 3,8 27,5 10,9 5,3 0,1 4,7 6,5 25,1 25,1 17,2 6,0 1,8 0,1 0,0 6,9 100,0 33,9 66,1 75,7 36,9 8,3 0,2 23,8 1,6 3,0 2,5 36,3 10,0 13,0 7,0 5,3 1,0 17,8 17,7 10,8 5,6 1,3 0,0 0,0 6,5 100,0 28,8 71,2 62,7 33,5 12,8 0,2 14,9 2,3 3,3 3,6 25,6 8,8 5,7 2,6 6,5 2,0 31,5 31,5 19,9 9,6 2,0 0,0 0,0 5,8 100,0 34,6 65,4 100,0 19,8 80,2 100,0 15,5 84,5 100,0 16,9 83,1 100,0 17,5 82,5 100,0 17,1 82,9 100,0 21,4 78,6 100,0 24,6 75,4 100,0 21,2 78,8 100,0 38,5 61,5 100,0 33,0 67,0 100,0 28,5 71,5 100,0 34,0 66,0 AGRICOLTURA Coltivazioni agricole Erbacee - Cereali - Legumi secchi - Patate e ortaggi - Industriali - Fiori e piante da vaso Foraggere Legnose - Prodotti vitivinicoli - Prodotti dell'olivicoltura - Agrumi - Frutta - Altre legnose Allevamenti Prodotti zootecnici alimentari - Carni - Latte - Uova - Miele Prodotti zootecnici non alimentari Servizi annessi Totale produzione - Consumi intermedi Valore aggiunto ai prezzi di base SILVICOLTURA Produzione - Consumi intermedi Valore aggiunto ai prezzi di base PESCA Produzione - Consumi intermedi Valore aggiunto ai prezzi di base AGRICOLTURA, SILVICOLTURA E PESCA Produzione - Consumi intermedi Valore aggiunto ai prezzi di base Fonte: elaborazioni su dati ISTAT 83 84 Frumento tenero Frumento duro Orzo Riso Granoturco nostrano Granoturco ibrido Patate Fagioli freschi Cipolle e porri Carote Carciofi Cavoli Cavolfiori Indivia Lattuga Radicchio Melanzane Peperoni Pomodori Zucchine Cocomeri Poponi Fragole Barbabietola da zucchero Tabacco Girasole Soia Uva da tavola Vino (000 hl) Olio Arance Mandarini Limoni Clementine Pesche Mele Pere Mandorle Nocciole Noci Actinidia Carni bovine Carni suine Pollame Latte di vacca e bufala (000 hl) Latte di pecora e capra (000 hl) Uova (milioni di pezzi) Miele Fonte: elaborazioni su dati ISTAT Prodotti 20,8 36,5 8,3 3,4 8,0 26,7 27,9 16,4 15,8 22,0 -5,6 0,5 10,5 0,8 8,9 2,6 21,1 7,6 12,1 1,8 0,5 -1,0 15,8 21,7 -7,3 7,2 26,7 17,2 19,7 37,7 0,0 100,0 0,0 _ 22,7 5,4 7,1 5,8 0,0 8,9 -1,5 2,4 2,5 -0,9 0,0 -0,5 34,4 Nord 37,0 71,5 22,9 4,2 27,8 5,7 5,2 9,2 8,1 13,9 7,2 1,8 5,2 39,1 6,3 17,9 61,0 14,5 16,5 13,4 9,2 14,6 17,1 -10,1 28,1 6,7 39,5 21,0 123,9 25,5 0,0 25,0 20,0 58,7 29,3 29,7 85,8 0,0 47,5 -1,4 2,4 2,5 -0,9 -0,4 -0,5 41,2 Centro 5,1 41,4 8,6 3,5 0,0 7,9 6,3 6,1 0,6 -5,8 25,8 -2,1 -0,5 12,4 -1,7 -1,0 0,8 -0,8 5,7 4,3 9,3 10,2 4,2 6,0 -4,5 -28,3 -40,0 18,2 20,9 6,7 19,0 5,5 8,6 20,9 56,9 6,4 9,0 15,2 59,3 6,2 2,7 -1,5 2,5 2,6 -0,9 -0,4 -0,5 42,9 Sud 2004/2003 22,7 49,2 11,9 3,4 5,6 26,2 11,6 9,1 10,5 3,2 24,9 -0,3 0,6 9,2 5,6 1,7 4,1 10,5 8,7 6,7 6,4 6,8 8,3 18,5 -6,6 15,5 26,6 18,5 20,5 12,4 19,0 5,6 8,6 20,9 41,5 5,8 7,8 15,2 61,3 4,9 18,5 -1,5 2,4 2,5 -0,9 -0,4 -0,5 38,6 Italia -25,3 -10,6 -11,9 2,6 -15,3 -17,2 -31,6 -19,5 -18,8 -17,8 0,0 5,8 -4,6 1,1 -4,5 2,6 -2,4 -0,2 10,9 13,0 -3,8 -2,8 -19,3 -43,7 10,3 -28,8 -31,4 -6,5 -0,5 -35,1 0,0 0,0 0,0 -15,5 -10,7 -11,0 -33,3 0,0 -13,9 -1,7 6,7 -6,5 0,3 -0,5 -0,1 -3,0 Nord -18,6 -25,3 -19,8 -14,3 -25,8 -25,4 -4,3 -7,5 0,2 -7,8 -3,9 7,7 -1,7 -9,4 -6,8 7,0 3,2 3,4 -5,7 -6,4 -2,5 -6,8 -65,8 10,6 -35,1 -37,5 -20,5 -18,4 -42,0 14,6 50,0 0,0 0,0 -43,6 -22,0 -23,3 -20,6 -7,7 -23,4 -1,7 6,7 -6,5 0,3 -0,4 -0,2 0,0 Centro -16,4 -7,2 -13,2 -12,7 -12,0 -10,0 -0,6 0,6 -0,2 13,0 -14,4 1,3 8,3 4,5 0,2 10,0 13,3 14,9 21,0 29,3 -1,0 27,7 19,1 -1,6 -9,1 -23,9 25,0 3,7 4,2 15,5 0,5 -0,1 6,9 -13,5 -36,9 -14,6 -3,8 -13,0 -34,6 -29,6 -0,6 -1,6 6,6 -6,6 0,3 -0,3 -0,1 -12,5 Sud 2003/2002 -23,3 -12,9 -14,3 2,3 -14,3 -17,5 -13,2 -7,2 -12,9 1,8 -13,9 1,3 7,3 2,8 -2,2 4,1 11,0 10,6 15,7 14,6 -3,0 12,5 2,6 -43,9 -0,6 -32,4 -31,3 3,2 -1,7 9,6 0,6 -0,1 6,9 -13,5 -29,3 -11,2 -10,5 -13,0 -30,4 -25,5 -14,9 -1,7 6,7 -6,5 0,3 -0,4 -0,1 -5,4 Italia 28,2 39,3 13,5 8,2 -1,7 -0,5 0,1 -0,4 -2,9 -20,7 -5,3 -5,4 -9,4 9,5 28,6 -5,7 -9,9 -8,2 -11,5 -1,3 10,4 -2,2 -11,6 26,2 6,7 -17,7 -35,9 24,0 -29,1 91,8 0,0 0,0 33,3 -10,1 -4,7 0,4 1,3 0,0 7,4 -2,2 1,0 2,6 -0,5 -37,5 -0,8 -31,3 Nord -3,7 27,6 14,9 -17,6 4,8 5,4 -3,8 -3,6 -3,7 2,0 -3,9 -8,3 0,2 -5,8 2,8 -14,5 -18,2 -9,8 11,8 1,2 6,7 -18,9 56,9 -6,9 -14,4 -11,1 -15,1 -3,4 -12,7 15,0 0,0 33,3 11,1 20,0 -0,5 1,0 -10,9 0,0 37,8 -2,3 1,0 2,5 5,7 -10,7 -0,8 -26,1 Centro -5,1 12,7 -9,6 -14,2 8,7 5,7 -9,7 -4,1 0,3 3,8 -2,3 -4,0 -0,2 -7,9 -0,5 -10,3 -8,0 -14,2 -8,4 -14,6 6,8 -10,8 -19,2 3,7 -3,1 -11,1 0,0 -15,0 -5,9 -11,4 -0,1 -1,8 -11,1 -9,5 3,2 0,1 4,7 0,5 10,9 8,5 7,9 -2,2 0,9 2,6 -4,9 -11,3 -0,8 -29,4 Sud 2002/2001 Tabella 3 - Produzione dei principali prodotti agricoli - Variazioni NORD CENTRO SUD ITALIA 2000-2004 17,5 17,8 5,7 7,7 1,2 0,0 -5,2 -2,8 -2,0 -6,0 -2,0 -4,2 -2,2 -3,9 5,3 -6,5 -8,8 -14,1 -9,7 -4,5 7,3 -5,5 -16,4 28,4 -2,6 -14,8 -35,8 -14,9 -15,4 -10,7 0,0 -1,8 -11,0 -9,5 -1,3 -4,3 0,9 0,5 2,4 7,0 15,2 -2,2 1,0 2,6 -0,7 -12,3 -0,8 -29,5 Italia -11,8 -30,4 -13,9 2,4 9,1 4,9 -6,0 -2,1 0,3 6,5 -5,0 -11,6 -4,0 -8,7 -14,4 6,8 1,5 -9,6 -12,4 -10,4 -10,5 -6,5 2,5 -14,5 -6,3 5,5 -4,5 -10,7 6,5 -31,9 0,0 0,0 0,0 0,9 4,0 5,2 -1,3 12,5 4,5 2,9 5,6 6,0 0,8 76,8 4,9 0,0 Nord -10,8 -18,3 -11,9 9,7 -2,7 -4,3 -10,8 -14,4 -2,2 -5,9 -12,5 -1,1 -12,6 -10,6 -6,1 -13,4 5,6 3,0 12,7 -6,8 -9,1 -5,9 -15,0 4,5 -12,9 -15,6 -11,0 -19,1 12,0 0,9 0,0 50,0 12,5 -23,7 -13,3 -14,3 57,3 0,0 -22,2 -9,7 -12,3 5,5 0,8 -13,4 2,1 0,0 -10,9 -14,2 -5,8 100,8 0,0 -2,6 -4,1 -2,2 -9,0 -16,1 -9,7 -6,5 -13,0 -9,3 -0,9 -7,6 4,0 -5,2 -25,2 4,0 -1,6 -5,1 -17,5 -12,5 -1,2 -18,4 0,0 6,9 -6,8 28,3 -8,2 -2,9 -10,4 3,7 2,1 -6,4 -10,2 -0,4 6,1 0,0 -2,8 -3,8 -6,9 5,4 0,8 9,4 2,0 -12,8 Sud 2001/2000 Centro -11,5 -16,0 -10,8 3,5 6,4 4,1 -4,7 -3,5 -3,3 -7,0 -9,5 -8,4 -10,6 -9,9 -5,6 0,4 1,9 -4,0 -18,8 2,1 -6,1 -6,2 -10,4 -14,3 -0,6 -9,8 -4,5 6,6 -4,1 25,7 -8,1 -2,9 -10,4 3,7 -0,5 3,0 2,8 -0,4 17,6 0,8 -4,9 0,1 1,7 5,9 0,8 5,5 3,8 -4,5 Italia Tabella 5 - Indici nazionali dei prezzi al consumo per l'intera collettività per tipologia di prodotti. Base 1995 = 100 Periodo 1999 2000 2001 2002 2003 2004 Beni alimentari Alimentari Alimentari lavorati non lavorati Beni di largo Tabacchi consumo Beni non di largo consumo Componente di fondo Indice generale 106,4 108,0 112,4 116,4 120,2 122,8 107,0 108,4 110,9 113,6 116,4 119,0 105,7 107,9 114,8 120,8 125,9 128,4 118,7 120,0 123,2 125,5 135,9 149,3 106,4 108,1 112,3 116,2 119,6 122,1 109,3 112,7 114,9 116,1 118,5 120,1 111,1 113,2 116,2 119,3 122,3 125,0 110,0 112,8 115,9 118,8 122,0 124,7 1,5 4,1 3,6 3,3 2,2 1,3 2,3 2,4 2,5 2,2 2,1 6,4 5,2 4,2 2,0 1,1 2,7 1,9 8,3 9,9 1,6 3,9 3,5 2,9 2,1 3,1 2,0 1,0 2,1 1,4 1,9 2,7 2,7 2,5 2,2 2,5 2,7 2,5 2,7 2,2 Variazioni % 2000/1999 2001/2000 2002/2001 2003/2002 2004/2003 Fonte : ISTAT 85 86 5,0 -1,2 3,0 4,9 -0,4 3,1 65,0 65,0 65,1 65,1 2002/2001 2003/2002 2004/2003 anno 2001 anno 2002 anno 2003 anno 2004 100,0 100,0 100,0 100,0 5,0 -0,7 3,1 17.791,5 18.672,7 18.541,9 19.109,2 totale 73,0 72,2 73,2 71,7 1,4 4,7 3,4 17.304,6 17.545,9 18.375,2 19.001,2 UE 27,0 27,8 26,8 28,3 5,7 -0,6 11,2 6.407,5 6.770,4 6.730,1 7.483,8 -5,7 16,3 4,0 100,0 100,0 100,0 100,0 97,1 96,0 96,0 88,9 Composizione % 2,5 3,2 5,5 UE -5.747,9 -5.417,9 -6.300,9 -6.554,3 Variazioni % 23.712,0 24.316,3 25.105,3 26.485,0 Milioni di euro Import (b) Paesi terzi totale 2,9 4,0 4,0 11,1 30,7 16,3 213,0 -172,7 -225,7 -262,5 -821,6 Saldo (c) Paesi terzi 100,0 100,0 100,0 100,0 -4,7 16,3 12,4 -5.920,5 -5.643,6 -6.563,4 -7.375,9 totale -19,9 -18,3 -20,7 -20,8 Fonte: elaborazione ISMEA su dati ISTAT -1,4 -1,7 -2,0 -5,8 -14,3 -13,1 -15,0 -16,2 Saldo normalizzato (c) (a) + (b) UE Paesi terzi totale (1) Rispetto alla bilancia calcolata dall’ISTAT sono stati esclusi: cuoio, pellame e derivati; legno e paste di legno, carta, carbone; fibre tessili e derivati tranne il lino. 35,0 35,0 34,9 34,9 6.234,8 6.544,7 6.467,6 6.662,2 11.556,7 12.128,0 12.074,3 12.446,9 UE Export (a) Paesi terzi anno 2001 anno 2002 anno 2003 anno 2004 Periodi Tabella 6 – Bilancia commerciale agroalimentare Tabella 7 – Finanziamenti agli investimenti in agricoltura oltre il breve termine (consistenze in milioni di euro) Categorie di investimento Dicembre 2003 Dicembre 2004 Dicembre 2003 Comp. % Dicembre 2004 Comp. % Variazioni 2004/2003 - Costruzione di fabbricati rurali (Migl. Fond) - Macchine, attrezzature, mezzi trasporto, ecc. - Acquisto immobili e altri mutui Totale 2.809 4.188 1.960 8.957 3.572 4.432 2.291 10.295 31,4 46,8 21,9 100,0 34,7 43,1 22,3 100,0 27,2 5,8 16,9 14,9 di cui agevolato - Costruzione di fabbricati rurali (Migl. Fond) '- attrezzature, mezzi trasporto, ecc. - Acquisto immobili e altri mutui Totale 659 1.119 461 2.239 497 989 413 1.899 29,4 50,0 20,6 100,0 26,2 52,1 21,7 100,0 -24,6 -11,6 -10,4 -15,2 Fonte: Banca d’Italia 87 Tabella 8 - Tassi di riferimento per il credito agrario agevolato Mesi Miglioramento Oltre 18 mesi 2001 2002 2003 2004 6,20 5,80 4,90 4,90 6,00 5,50 4,60 4,70 Esercizio Da 12 a 18 mesi min. max. Fino a 12 mesi min. max. 5,30 4,40 3,30 3,10 5,50 4,60 3,50 3,30 5,40 4,40 3,40 3,10 5,60 4,60 3,60 3,30 Fonte:elaborazione Pro.Me.Di. su dati ABI Tabella 9 - Tassi di riferimento per il credito agrario agevolato - Variazioni % Mesi 2002/2001 2003/2002 2004/2003 Miglioramento Oltre 18 mesi -6,5 -15,5 0,0 -8,3 -16,4 2,2 Esercizio Da 12 a 18 mesi min. max. Fino a 12 mesi min. max. -17,0 -25,0 -6,1 -16,4 -23,9 -5,7 Fonte: elaborazione Pro.Me.Di. su dati ABI 88 -18,5 -22,7 -8,8 -17,9 -21,7 -8,3 89 Fonte: ISTAT Riso Carne bovina fresca Carne suina Pollame Latte Uova Olio di oliva Frutta fresca Frutta secca, in gusci, conservata Ortaggi e legumi freschi Patate Vini Voci di prodotto 110,2 102,6 102,7 112,6 109,8 112,8 111,1 107,4 111,2 111,7 89,0 123,0 Media 2000 112,2 105,3 119,0 126,0 115,5 115,2 110,2 113,1 114,5 118,8 100,9 126,1 Media 2001 114,4 108,7 117,8 123,0 119,9 118,1 111,7 123,2 117,8 134,9 111,4 129,8 Media 2002 Medie annue 116,4 111,8 118,4 130,3 123,5 121,0 114,8 130,6 121,2 142,1 114,3 135,1 Media 2003 117,9 114,4 119,0 135,1 124,8 126,0 120,5 135,4 124,0 141,9 122,8 139,5 Media 2004 1,8 2,6 15,9 11,9 5,2 2,1 -0,8 5,3 3,0 6,4 13,4 2,5 2001/2000 2,0 3,2 -1,0 -2,4 3,8 2,5 1,4 8,9 2,9 13,6 10,4 2,9 2002/2001 1,7 2,9 0,5 5,9 3,0 2,5 2,8 6,0 2,9 5,3 2,6 4,1 2003/2002 Variazioni Tabella 10 - Indici nazionali dei prezzi al consumo per l'intera collettività di alcune voci di prodotto. Base 1995 = 100 1,3 2,3 0,5 3,7 1,1 4,1 5,0 3,7 2,3 -0,1 7,4 3,3 2004/2003 90 43.288 34,1 14.775 TOTALE COMPLESSIVO Produzione agricoltura e silvicoltura % sostegno / Produzione 5.045 Totale agevolazioni 29.433 50,2 1,0 16,0 143 2.368 Valore Aggiunto Agricoltura e silvicoltura % sostegno / V.A. 1,7 4,9 8,8 1,7 0 249 731 1.307 247 Credito di Imposta per investimenti Imposta sul Valore Aggiunti (I.V.A.) Agevolazioni su imposte di fabbric. (carburanti) Agevolazioni su I.R.P.E.F. Agevolazioni su I.R.A.P. I.L.O.R. Agevolazioni su ICI Agevol. previdenziali - contributive 100,0 34,1 65,9 9.730 Totale trasferimenti di politica agraria 32,4 3,2 3,7 0,0 0,3 0,2 26,0 4.793 474 0 545 0 40 33 3.846 % AGEA ex A.I.M.A. SAISA - Ente Nazionale Risi Organismi regionali pagatori Ministero delle Politiche Agricole e Forestali Ministero Attività produttive (Progr. Negoziata) Ministero Economia e Finanze (Fondo meccaniz.) Sviluppo Italia (ex Ribs) Regioni Val. Ass. 1999 Tabella 39 - Consolidamento del sostegno al settore agricolo 43.097 37,8 28.829 56,5 16.286 4.828 146 2.642 0 197 769 843 231 11.459 6.333 396 0 634 0 19 22 4.054 Val. Ass. 2000 100,0 29,6 0,9 16,2 1,2 4,7 5,2 1,4 70,4 38,9 2,4 3,9 0,0 0,1 0,1 24,9 % 44.588 38,1 29.732 57,1 16.968 4.617 147 2.533 0 235 594 868 240 12.351 6.661 402 0 818 11 30 34 4.394 Val. Ass. 2001 100,0 27,2 0,9 14,9 1,4 3,5 5,1 1,4 72,8 39,3 2,4 4,8 0,1 0,2 0,2 25,9 % 44.574 35,4 29.368 53,7 15.758 4.778 155 2.662 85 198 694 752 232 10.980 5.839 345 319 635 172 28 61 3.580 Val. Ass. 2002 100,0 30,3 1,0 16,9 0,5 1,3 4,4 4,8 1,5 69,7 37,1 2,2 2,0 4,0 1,1 0,2 0,4 22,7 % 44.863 37,0 29.602 56,1 16.616 5.046 160 2.665 175 199 850 765 232 11.570 5.000 376 1.246 773 180 0 27 3.968 Val. Ass. 100,0 30,4 1,0 16,0 1,1 1,2 5,1 4,6 1,4 69,6 30,1 2,3 7,5 4,7 1,1 0,0 0,2 23,9 % 43.658 37,7 29.331 56,1 16.447 4.814 154 2.620 87 211 713 795 235 11.634 5.834 374 522 742 121 20 41 3.981 Val. Ass. valori in milioni di euro correnti 2003 Media 01-03