Italia bella, mostrati gentile e i figli tuoi non li abbandonare.

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Italia bella, mostrati gentile e i figli tuoi non li abbandonare.
LO SPECCHIO
MAGAZINE
www.specchiomagazine.it • [email protected]
Trimestrale di cultura, tempo libero, sport e varia attualità - distribuzione gratuita
N. 8 - dicembre 2014 - ANNO III
Italia bella, mostrati gentile
e i figli tuoi non li abbandonare.
La grande fuga
degli italiani
all’estero
PERSONAGGI
DITEMELO ADÈ - Lino Palanca 6
LEOPARDI
CARROZZE - Giancarlo Liuti 10
STORIE ADRIATICHE
IL SOL LEVANTE PELLEGRINO A LORETO - Marco Moroni 13
ARCHITETTURA
STORIA DI UNA FAMIGLIA, FORMA DI UNA CITTÀ. - Aurora Foglia 17
TOPONOMASTICA
IL NOME DI OSIMO: È POI COSÌ STRANO? - Massimo Morroni 21
LAVORO
GLI UOMINI DELLE NAVI - Paolo Gissi 24
MUSICA
UN MIRACOLO FATTO IN CASA - Janula Malizia 27
ANTONIO GIANNINI, “PASIONARIO” DELLA MUSICA - Paolo Onofri 30
MEDICINA
SENTENZA DELLA STORIA: IL VERO MEDICO È UN DEMOCRATICO - Franco Magnoni 32
LA NOSTRA TERRA
LA FIERA DEI RICORDI DELL’AGRICOLTURA E DELL’ARTIGIANATO CERCA CASA - Antonio Bartolo 34
VECCHIE MEMORIE, SUGGESTIONI DEL PASSATO - Grazia Bravetti 36
SOPRAVVIVERE ALLE SFIDE AGGRAPPANDOSI… ALLA TERRA! - Paola Acciarresi 38
ERA IL MAGGIO ODOROSO … - Mario Mancinelli 40
GUERRA
CHI PER LA PATRIA MUOR… - Elio Camilletti 42
RECENSIONI
LA RIVOLUZIONE DI FABRIANO - Vincenzo Oliveri 44
NON SOLO TEATRO AL MUGELLINI - Eleonora Stortoni 45
ARTE
A RECANATI LA CULTURA SI DECLINA AL PLURALE - Eleonora Tiseni 46
NON SONO COME UN VECCHIO SCARPONE - Nikla Cingolani 48
LETTERATURA
CON LA MIA PENNA HO CANTATO LA PATRIA … - I Santesi weblog 50
SCIENZA
RENDEZ-VOUS TRA LA LUCE E LA BELLEZZA - Massimiliano Gubinelli 52
VINI
IL BUON VINO PER UN BUON NATALE - Alfredo Pirchio 53
POESIA
«CITTA’ DI PORTO RECANATI» XXIV Edizione 2013 55
SCUOLA IN @RETE
UNA RUBRICA MOLTO SPECIALE - Vanni Semplici 58
CONDIVIDERE PRINCIPI E VALORI. E ASCOLTARE. - Redazione Lo Specchio Scuola 59
PROGETTO IN DIFESA DELLA MADRE TERRA - Eleonora Stortoni 60
NO LIBRI NO PARTY 61
ATTIVITA’ LO SPECCHIO
SPECCHIO DELLE MIE BRAME - Vanni Semplici 62
Trimestrale di cultura, tempo libero, sport e varia attualità.
Proprietà: Associazione Lo Specchio, C.so Matteotti, 34 - 62017- Porto Recanati (MC)
Direttore responsabile: Lino Palanca - cell. 347.1931215; e-mail: [email protected]
Direttore editoriale: Vanni Semplici - cell. 331.5786518; e-mail: [email protected]
Capi servizio: Giorgio Corvatta - cell. 338.7648664; e-mail: [email protected]
Aurora Foglia - e-mail: [email protected]
Emilio Pierini - cell. 338.7370016; e-mail: [email protected]
In redazione: Cristina Castellani - [email protected]
Eleonora Tiseni - [email protected]
Pubblicità: Vanni Semplici - cell. 331.5786518; e-mail: [email protected]
Distribuzione gratuita
Registrazione Tribunale di Macerata Registro 599 del 5 aprile 2011
Hanno collaborato a questo numero: Lino Palanca, Vanni Semplici, Giorgio Corvatta, Giancarlo Liuti, Marco Moroni, Aurora
Foglia, Massimo Morroni, Paolo Gissi, Janula Malizia, Paolo Onofri, Franco Magnoni, Annamaria De Siena, Eleonora Stortoni, Paola
Acciarresi, Antonio Bartolo, Grazia Bravetti, Fausto Cenci, Mario Mancinelli, Elio Camilletti, Vincenzo Olivieri, Eleonora Tiseni,
Nikla Cingolani, I Santesi Weblog, Massimiliano Gubinelli, Alfredo Pirchio.
La foto in copertina: archivio ANPI. Vignetta di Giorgio Corvatta.
Chiuso in redazione il dicembre 2013
Auguri!
OBIETTIVO:
FARE LA DIFFERENZA
C
on questo numero de Lo Specchio
Magazine si conclude il percorso editoriale annuale dell’Associazione Lo
Specchio. Tirando le somme di un
anno di attività, come non ringraziare tutti i collaboratori redazionali e i soci che attivamente
e con entusiasmo si sono impegnati nell’arco
dell’anno nei numerosi progetti e che, attraverso il loro impegno, hanno offerto ai lettori una
visione, spesso anche alternativa, del territorio
dando la possibilità ad ognuno di riflettere criticamente sugli eventi quotidiani che interessano i
nostri Comuni e l’attuale contesto sociale.
L’Associazione Lo Specchio, ormai al suo
quinto anno di attività, se pur giovanissima si è
dimostrata essere un gruppo coeso ed entusiasta
che crede nell’impegno attivo nel territorio
di appartenenza e che intende offrire a chi
entra in contatto con lei una visione completa
e consapevole della società, in ogni sua
sfaccettatura.Con la conclusione di questo 2013
un ringraziamento va inoltre agli interlocutori
istituzionali, e non, de Lo Specchio che hanno reso
possibile la concretizzazione delle idee partorite
dall’associazione concretizzate poi attraverso
festival, incontri culturali, presentazioni di libri e
mostre comunque occasioni di crescita, culturale
e umana, che ci ha fatto entrare in contatto
oltre che con contesti a volte inaspettati, anche
con persone, intellettuali ed artisti, di caratura
culturale e umana formidabili.
Dal rapporto di collaborazione e confronto
che si è creato nel tempo tra l’associazione, i
protagonisti degli incontri e il pubblico non
poteva non nascere una miscela accattivante,
e non scontata, che ha offerto chiavi di lettura
originali e alternative della nostra società.Non si
può negare la difficoltà, infatti, che nel nostro
Paese si sta vivendo a causa di un contesto socio
economico non favorevole dove ogni minimo
accenno al cambiamento sembra frantumarsi
contro un muro, chiamato burocrazia, chiamato
tassazione, chiamato evasione fiscale, chiamato
assenteismo e individualismo …. Ma nel nostro
piccolo, pur accusando i colpi di un’economia
“a marcia ridotta” che non permette di investire,
tanto meno nella cultura e nel futuro, abbiamo
riscontrato in questo 2013, un enorme interesse
sia da parte di chi vuole rendersi partecipe
impegnandosi attivamente nell’associazione,
sia da coloro che entrano in contatto con il
nostro team, attraverso Lo Specchio Magazine e
attraverso il sito specchiomagazine.it aggiornato
da una redazione parallela che nelle prossime
settimane offrirà ai lettori ulteriori novità nate
dalla collaborazione tra l’Associazione e gli
Istituti scolastici della zona.
Per rimanere collegati al territorio e comprendere
gli eventi che lo animano, il nostro augurio per
i lettori de Lo Specchio Magazine e i fruitori de
specchiomagazine.it è quello di continuare a
leggere l’attualità con criticità, consapevoli che la
partecipazione e l’impegno nella società offrono
una lettura obiettiva dei fatti e permettono di
essere inseriti in meccanismi dai quali spesso ci
si crede esclusi, facendo così la differenza.
Associazione Lo Specchio
Lo Specchio Magazine
specchiomagazine.it
5
PERSONAGGI
DITEMELO ADÈ
di Lino Palanca
foto della famiglia Castellani
10 dicembre 1994 - Settimo centenario della Traslazione della Santa Casa
L’arcivescovo Pasquale Macchi presenta Augusto Castellani a Giovanni Paolo II
La vita e la poesia di Augusto Castellani testimoniano l’autentica
“devozione” di un uomo verso la sua città, “amata tantum quantum
amabitur nulla”.
6
PERSONAGGI
C
astellani ha cantato la Loreto che ha vissuto
come nessun altro mai. Lo ha fatto sul filo
della nostalgia e, a volte, del rimpianto, ma
senza sdilinquimenti, francescanerie o dulcitudini varie. Senza schionne, come diciamo qui,
bensì con virile accettazione del seguitare del tempo,
carico del nostro passato e di quel che ci pare più
bello, la nostra gioventù.
Il tema del dialetto è affrontato col rigore che
impone la delicata complessità della materia. Certo,
Augusto ha usato la parlata popolare anche per far
divertire, per riandare a scoprire e riproporre, affinché non fosse dimenticato, quanto il tempo e la massificazione scolastico-televisiva stavano seppellendo
sotto un mare di trascuratezza ufficiale. Ce ne è voluto perché chi governa in nome del popolo italiano
capisse che non si può privarlo, questo popolo, di
un patrimonio così ricco di genio, di valori, di storia.
Castellani ha svolto con rigore la sua missione,
consapevole che il dialetto è una lingua capace non
soltanto di esternare il côté giocoso e mordace del
popolo, ma pure di manifestare nei ritmi e nella sanguigna pregnanza che gli appartengono, tutto un
mondo, tutta una società, con le sue angosce e paure, saggezza e ignoranza, gioia e dolore. Esso è la
nostra lingua madre; l’italiano (che Dio e l’Europa
ce lo conservino a lungo!), invece, è una lingua che
andiamo a scuola ad imparare e che a tanti non è
mai entrata per bene nella capa.
Trascurare questa madre lingua, com’è successo
per tanto tempo, sarebbe un tradimento e una prova
di corte vedute intellettuali.
La raccolta intitolata Tira el vento, baja i ca’ è
uscita nel ’92, per i tipi di Lamberto Anconetani (Loreto) e con i disegni di Angela Volpi. È qui che si
può leggere uno straordinario omaggio alla gente di
Loreto. Augusto sapeva bene che nessuno è profeta
in Patria e chi lo è in vita andrebbe guardato con
qualche diffidenza; la storia ci ha appreso che le leggende si smontano quasi tutte dopo che sparisce il
protagonista.
Tuttavia, resta l’amarezza di vedere la propria
opera trattata con superficialità e trascuratezza, da
chi amministra, da chi detiene le chiavi delle casseforti, da chi non ne sa valutare l’importanza. Pazienza, si sarà detto Castellani. Chissà, quando non ci
sarò più, magari diranno che ho fatto qualche cosa
di buono. Così è andata. Nessuno però sarà in grado
di togliergli il merito di essere stato il primo a lanciarsi nella battaglia per la salvaguardia del dialetto
loretano, primato che nessuno potrà mettere in dubbio.
La gente de Loreto
La gente de Loreto/ ai giorni d’oggi/ è tutta uguale
nun c’è più quello / che se stacca un po’:/ manchene
i personaggi.
Bazzighi el Pozzo/ giri pe’ la Costa/ Montreale
o ntei paraggi/ ndu’ trovi più i Cannó/ i Sumentina
Mannaggiavede/ o pure i Paciaccó?/ Nun c’è più Casacchì
manca Cia’/ Cimaderapa/ manca Ragnepera
quessa era gente / allegra spensierata/ vera
che la miseria se la cutulava/ ma cantava.
Fadiga tanta pe’ mestieri ‘ncerti/ e po’
pe’ alza’qualche grado de pressió/ ‘na guccetta de vi’
‘na stornellata/ mezz’a la strada:
“Faccete da la finestra/ o ricciulona
de ‘ssi capelli tua / ne vo’ ‘na rama”
la voce che ricama/ el vi’ che la rischiara
le gambe che suregge maldepena/ fa gnignetta
a casa pe’ la cena ‘na cenetta/ striminzita
‘na renga e un cuttighi’/ do’ brance de ‘nsalata
basta nun manchi el vi’.
Oggi ‘ssa gente/ senza ‘na fojetta/ da beve qui
e da ribeve là/ ntel solito giretto/ per lora
senza più un sciacquetto/ saria vegilia stretta:
nun c’è più ‘na gargotta/ pe’ Loreto
nun c’è più ‘na cantina/ cu’ la frasca
e per pija’ ‘na papera/ cu’ bevi l’acqua fresca
ch’è piena de ‘trazzina?
S’è proprio livellata/ la gente de Loreto:
a personaggi po’/ nun alza un deto 1.
Chi si dedica allo studio delle tradizioni popolari
del proprio territorio, al suo dialetto e alla sua storia,
non può che provare soddisfazione se gli capitasse
quel che Augusto ci racconta qui di seguito. Tuttavia,
non manca la delusione per il comportamento agnostico dei grandi, dei benaltristi che hanno sempre
qualche cosa di più importante da fare e non sanno
di essere destinati a diventare, così, sempre più marziani e sempre meno loretani.
Un cert’effetto
M’ha fatto un cert’effetto/ sape’ che un ragazzetto/
de Loreto
ha scelto per l’esame/ de quinta elementare/ ‘na poesia mia in dialetto.
Fra Carducci Ungaretti/ e gio’ de lì/ ci ha nmeso pure
a me
Gustì
e m’ha voluto nutizzie su la vita:/ ‘na vita de ‘mpiegato/ dozzinale
guasi da scritturale/ semplice ignota/ nun certo da
poeta.
Quanto la scola urmai/ s’è fatta provinciale/ de periferia
cume s’è mal cunciata la poesia/ che brutta piega ha
preso/ se sceje quelle mia!
O so’ un genio ‘ncompreso/ o pure è stato un caso/
che ‘ssu monello
forse un po’ scarzetto in italiano/ ha preferito
7
PERSONAGGI
‘mbruja’ la cummissio’
cul dialetto loretano.
Questa però davero/ nun me la ‘spettavo
e m’ha datto emuzzio’/ miga lo nego.
Ade’ dopo ‘ssu fatto/ nun digo che me dago/ un sacco
d’arie
e che me gonfio el petto/ me fa solo piacere che l’aprezzamento
se dai “granni” me vie’ cul contagocce/ me riva ‘nvece pieno da un bardascio
magara mischiato a parolacce/ pe’ le dificultà/ che
‘ncontra a studia’
‘ssa poesia mia:
d’un poeta de gnente/ usa e butta via 2.
L’addio alle armi arriva con Brodo e acini, tozzi
e bucco’, che è del 2001, quattro anni prima della
morte. Luogo di edizione, sempre Loreto; editore, di
nuovo il loretano Lamberto Anconetani. Ultimo segno di fedeltà, estrema testimonianza di appartenenza appassionata e inesaurita alla terra madre. Nella
poesia scelta per siglare questo omaggio a Castellani,
assai lontano dal restituire tutto lo spessore umano e
culturale del personaggio (ma speriamo che qualcuno, a Loreto, se ne occupi in futuro), non si tratta di
dialetto. L’ho voluta qui perché ci si ricordi del poco
che Castellani chiedeva ai suoi concittadini a fronte
del molto, molto, che avevano ricevuto da lui.
Ditemelo adè
Nun spettate che parto/ (… vago in trasferta)/ pe’
vulemme be’
se fusse/ che me ne vulete/ (un tantinello/ un sacco
‘na sporta)
ditemelo ade’/ (sarìa più bello)
già che ce so’/ lo preferiscio:
dopo chi sa/ se lo capiscio/ dipenne ndu’ me trovo/
e cusa fago …
ma su ve prego/ fateve coraggio/ fate nu sforzo
dite ‘ssu messaggio/ ditemelo ade’/ che me vulete be’
ade’ che ‘ncora sento/ dopo …
chi me lo porta el vento?
Dopo/ per vo’ sarò solo un ricordo
e io chi sa/ pudrìa nun sentillo
perché troppo da longo/o pure un po’ più sordo.
Su bravi, allora,/ date retta a me:
che me vulete be’/ ditemelo ade’.
1977, il sindaco Castellani riceve delle autorità polacche.
Accanto a lui la moglie Fedora e il segretario comunale Di Nicola.
8
1 Augusto Castellani - Tira el vento,
baja i ca’, Loreto, Anconetani, 1992
pp. 66-67. Il lungo elenco di spiriti
folletti che aleggiano su Loreto e
hanno lasciato un vuoto incolmato,
lì per lì ricrea un’atmosfera da ubi
sunt medievale, destinata a ricordare
all’uomo che egli è polvere e tale
ritornerà: dove sono, adesso, i re,
i cavalieri, i potenti della terra? E le
belle dame del tempo che fu? Ossa,
cenere. Per fortuna, Castellani non
la prende così per più di tanto. Il
suo lamento non è una predica da
tregenda, alla Savonarola, ma è un
canto di nostalgia, quasi sussurrato,
sommesso,
proposto
sottovoce.
Anche di rimpianto, certo; ché oggi
viviamo tutti meglio, ma appiattiti
su comportamenti massificati dettati
da imbonitori televisivi o della
carta stampata, senza che ci sia
lasciato qualche cosa da spartire con
l’originalità, l’impronta genuina di
personalità libere da clichés e forzato
bon ton come quelle del tempo
perduto. Che cosa non avrebbe dato,
Gustì, pur di incontrare di nuovo,
invece che qualche ministro o capo di
stato, Mannaggiavede o Cimaderapa.
Questi sì che sono titoli!
2 Tira el vento, baja i ca’, cit., p. 88.
PERSONAGGI
CENNI BIOGRAFICI DI AUGUSTO CASTELLANI
Parlare di Augusto Castellani a Loreto, come parlare
di uno di casa, di cui si conosce quasi tutto: dei due
figli Antonio e Cristina, che la moglie Fedora, scomparsa di recente, era originaria di Imola, che cosa
fatto, che carattere ha espresso, come la pensava.
Ma per i più giovani o per chi risiede da poco a Loreto o … di fuori, utile ripercorrere i fatti più salienti
della sua vita.
Nasce a Loreto l’11 marzo 1920, da mamma coronara e babbo capomastro muratore di cui rimane a
soli sette anni orfano. S’ingegna a fare il chierichetto, come usava a quei tempi e poi con passione e
impegno negli studi consegue la Maturità Classica
al Liceo G.Leopardi di Recanati.
Studente universitario di Giurisprudenza, viene
chiamato alle armi dal 1941 al 43, ma non completerà i pochi esami rimasti (non troverà più “tempo” per dare esami) non approfittando dei benefici
che potevano avere gli studenti in tempo di guerra.
Al rientro dal militare l’assunzione all’Ente Opere
Laiche Lauretane /Ospedale Santa Casa presso cui
giungerà negli anni alla responsabilità di Direttore
Amm.vo – Coordinatore della USL n.14 Recanati –
Loreto e dopo ben 43 anni di servizio, nel luglio
1983, collocato in quiescenza.
Ma Augusto Castellani non si può misurare con il
metro delle date o delle cifre o degli incarichi. In
ogni manifestazione o iniziativa per il buon nome
di Loreto lui è sempre stato in prima fila, non per
ambizione o invadenza, ma per il suo innato senso
del lavoro e per l’amore sconfinato per la sua città
anche a costo di sacrificare la sua dimensione familiare.
Come Presidente dell’Azienda Soggiorno e Turismo
di Loreto da 1954 al 1967, diede un impulso nuovo
alla stessa procurandole una sede decorosa e prendendo iniziative che la faranno una delle più attive
della Regione: la Tappa del Giro ciclistico d’Italia per
la prima volta a Loreto nel 1957, il Carnevale dei
Bambini, i Festeggiamenti del Settembre Lauretano, le Manifestazioni Aeree, ma soprattutto l’ideazione e l’organizzazione per ben 40 anni dal 1961
al 2000 della Rassegna Internazionale di Cappelle
Musicali che ha portato attraverso la musica sacra
il nome di Loreto nel mondo. Tutte iniziative intonate con il carattere della città, sede del più insigne
Santuario Mariano della cristianità, che portano la
sua firma o la sua preziosa collaborazione e che
onorano Loreto.
E’ stato Consigliere Provinciale eletto nel partito
della Democrazia Cristiana dal 1965 al 1970 ed ha
servito la città quale Sindaco di Loreto dal 1975 al
1979.
Per il suo impegno civile il Presidente Gronchi lo
nominò nel 1960 Cavaliere della Repubblica italiana e nell’ottobre 1962 Papa Giovanni XXIII lo rese
Commendatore dell’ordine di S. Silvestro Papa. La
Francia lo insignì nel 1975 della prestigiosa Commenda dell’Ordine delle Arti e delle Scienze (le Palme Accademiche) per aver favorito con la Rassegna
i rapporti culturali tra Francia ed Italia.
Poche ore prima della sua scomparsa avvenuta il 1°
ottobre 2005, S.E. l’Arcivescovo Mons. Gianni Danzi
gli notificò la nomina a Commendatore dell’Ordine
di San Gregorio Magno a lui concessa da Papa Benedetto XVI, segno di estrema gratitudine.
Se non fosse sempre stato impegnato in incarichi
pubblici, civici ed onorifici, forse avrebbe avuto più
tempo per occuparsi dei suoi interessi come la
composizione dei testi delle canzoni dei bambini
(negli anni 1962-63 fu finalista allo “Zecchino d’oro” dell’Antoniano di Bologna), di testi teatrali comici ancora oggi rappresentati da compagnie amatoriali locali, di libri in dialetto loretano soprattutto
poesie che pure ha prodotto in grande numero.
9
LEOPARDI
CARROZZE
di Giancarlo Liuti
L’attore Elio Germano, il Leopardi cinematografico - foto Cinemomento
Le ambasce di Monaldo e Adelaide per un figlio che continua a
turbare i loro giorni, eterni, di fantasmi per bene. L’invasione delle
vie dorate e gli orti, strani macchinari che spuntano dai vicoli,
un regista progressista (Gesu!), Giacomo con la faccia di uno
immortalato in un nudo integrale. Ecco dove conduce l’aborrita
democrazia.
10
LEOPARDI
L
’altra notte, dopo una festa tra amici dalle
parti del duomo di Macerata, mi accingevo a
riprendere l’auto alla volta di Porto Recanati
quando ho notato un antico landò a quattro
ruote parcheggiato in via Armaroli e immaginando
che provenisse dal Museo delle Carrozze di Palazzo
Buonaccorsi mi sono chiesto perché mai stesse lì. Un
furto? Uno scherzo? Qualcosa di rifatto per le riprese del film di Mario Martone su Giacomo Leopardi?
Avvicinatomi, ho poi avuto la sorpresa di vedere che
in quel landò c’erano due persone, un uomo e una
donna, vestite alla moda dell’inizio dell’Ottocento,
lui tutto di nero, lei di un’eleganza appena più colorata. “Comparse del film”, ho pensato, “strana cosa, a
quest’ora”. Dopodiché, scesi a terra, loro mi si sono
presentati con un inchino cortese ma distaccato.
“Io sono il conte Monaldo Leopardi e la signora
che mi accompagna è la mia consorte, la marchesa
Adelaide Antici. Mi sa dire se questo di fronte a noi
è il palazzo dove si sta facendo del cinema su nostro
figlio?”
“Sì, è questo. Ma l’ingresso sta sull’altro lato, in via
Don Minzoni”.
“Vedi, Adelaide, che non ci siamo sbagliati? Quello è
l’ingresso e lì siamo andati, ma il portone è chiuso”.
“Beh, essendo un museo ci mancherebbe che fosse
lasciato aperto pure di notte”.
“Ma questo non sarebbe un problema, signore, perché noi siamo fantasmi e possiamo tranquillamente
passare attraverso i muri”.
Si capirà il mio sbalordimento.
“Fantasmi? Ed io che vi credevo comparse del film!
Dunque siete proprio i genitori di Giacomo?”
“Per servirla”.
“Ma allora perché non entrate?”
“Se il portone è chiuso significa che lì non c’è nessuno e noi vogliamo parlare col regista”.
“Ma le parti di lei, conte Monaldo, e della marchesa
Adelaide sono già state assegnate a due noti attori, la
prima a Massimo Popolizio e la seconda a Raffaella
Giordano”.
La marchesa ha fatto una smorfia: “Raffaella Giordano la danzatrice? Mah, a me il ballo non è mai
piaciuto. Troppe occhiatine galeotte, troppi strofinamenti”.
“Le parti non c’interessano”, ha detto il conte, “noi
non interpretiamo, noi siamo”.
“E da dove venite?”
“Dal 1840 di Recanati”.
“Qui siamo nel 2013 di Macerata. Un bel salto, quasi
due secoli!”
“Per i fantasmi le date non contano”.
“E cosa volete da Martone?”
“Ci siamo informati su di lui, lo inseguiremo dappertutto, a Recanati, a Loreto, a Osimo, a Napoli, dovunque gira queste sue scene. Vogliamo capire cos’ha
in testa . Si renda conto, signore, qui è in gioco il
decoro di un figlio”.
“Non sarà che il cinema non vi entusiasma?”
“Preferiamo il teatro. In casa, a Recanati, avevamo
un piccolo palcoscenico e da ragazzino ci si diverti-
va pure Giacomo, scriveva i testi, li recitava coi fratelli Carlo e Paolina”.
“Dunque Martone. Che domande intendete fargli?”
“Un’infinità. Mia moglie, ad esempio, va sul pratico
e vorrebbe chiedergli una compartecipazione ai diritti d’autore. Sa, trovandomi io fuori equilibrio per i
debiti ed essendo caduto sotto le mani spietate degli
usurai, la nostra famiglia non attraversa un periodo
di buona finanza”.
“Non ne parliamo”, ha detto la marchesa, “l’amministrazione della famiglia pesa tutta su di me, vitto,
vestiti, servitù. Sapesse quanto ci costa la manìa di
mio marito per i libri! Montagne di libri, e il povero
Giacomo costretto per anni a uno studio matto e
disperatissimo che ha finito per rovinargli la salute”.
“Ma che dici? Io ero premuroso con lui, con Carlo
e con Paolina, li aiutavo a farsi una vera cultura. E
i risultati, specie per Giacomo, sono sotto gli occhi
di tutti”.
“Sì, la cultura degli spendaccioni come te. E le feste,
e tutti i giorni il circolo dei nobili con la cioccolata
calda, ed io che andavo a pagare il conto alla fine
dell’anno, e per risparmiare giravo per casa con una
vecchia zimarra sfilacciata, e quando i contadini ci
portavano le uova le misuravo con un cerchietto di
legno per assicurarmi che fossero abbastanza grandi”.
“Tu hai sempre contestato il mio ruolo di marito e di
padre, te le ho date tutte vinte per quieto vivere, ma
sappi, cara Adelaide arciparsimoniosa e arciforastica,
che la gloria di Giacomo è solo merito mio”.
“Ogni volta ti sei lasciato prendere dalla voglia del
troppo. Hai addirittura fatto battezzare Giacomo con
altri quattro orribili nomi , Taldegardo, Francesco Salesio, Saverio e Pietro”.
“Fra me e te non ci sono confronti. Io sono uno
studioso, un erudito, ho scritto trattati di scienza, tragedie, commedie, ho avuto cariche pubbliche. Ecco
la grande ricchezza immateriale che ho trasmesso ai
nostri figli. Spendaccioni? Ma fammi il piacere!”
Allora mi sono intromesso io.
“A proposito dei diritti d’autore, marchesa, lei non
dovrebbe rivolgersi al regista ma al produttore, quello che sborsa i quattrini”.
Il conte Monaldo s’è rabbuiato. “Quattrini? No, signore, non ci penso neanche. Io sono un idealista,
un puro di spirito, l’ultimo spadifero d’Italia, un assertore degli austeri costumi del cosiddetto ‘Ancien
Régime’, quello santamente e rettamente governato
dal Papa. Lei saprà che nel 1796, quando il bieco
rivoluzionario Napoleone Bonaparte passò per Recanati e tutta la città andò a rendergli omaggio, io
rimasi chiuso in casa e nemmeno mi affacciai alla
finestra, giudicando non doversi a quel tristo l’onore
che un galantuomo si alzasse per vederlo”.
“Giacomo, però, era di tutt’altra pasta. Non mi dica
che andavate d’accordo”.
“Guastato, purtroppo, da cattivi maestri. Basti pensare alle ideacce di Pietro Giordani, uno che stravedeva per Cesare Beccaria, il contestatore, figuriamoci, della pena di morte”.
11
LEOPARDI
“Perdonatemi”, ho detto, “ma pur
essendo fantasmi state litigando
come due coniugi in carne e ossa”.
Il conte ha sorriso: “Litigare? Ma
no, ci vogliamo bene. Si figuri che
innamorati com’eravamo il nostro
fidanzamento durò soltanto sei
giorni”.
E la marchesa, pure lei accennando un sorriso: “Ringrazia il cielo
che hai trovato me. Se non ti avessi amato così tanto saresti andato
in rovina”.
“ Torniamo al film”, ho insistito.
“Anzitutto contesto il titolo”, ha
detto il conte.
“Il Giovane Favoloso?”
“Troppo da fiction televisiva, il
peggio del peggio. E sempre con
questa stucchevole storiella della
fiducia nei giovani di oggi, che
però passano le notti in discoteca
e si fanno le canne. Giacomo era
giovane, sì, ma pensava ,ragionava e si comportava con la maturità
dei vecchi”.
“La trovo informata, conte, sui
tempi moderni. Ma forse ignora
che Mario Martone non è affatto
entusiasta dell’Italia contemporanea. Al contrario, nella figura di
Giacomo lui vede la volontà di
fuga dall’Italietta di allora ma anche un profetico rifiuto di quella
attuale”.
“Tuttavia è uno strenuo fautore
di quel mito falso e nefasto che si
chiama democrazia. Se il popolo
è quello che comanda, a chi tocca ubbidire? Se tutti hanno da comandare e tutti hanno da ubbidire, a che cosa servirà comandare?
Guardi come mi vesto, con abiti
di panno nero che hanno sempre formato il mio guardaroba e
sempre hanno riscosso il rispetto
del volgo, perché il volgo rispetta
quelli dei quali si ritiene giustamente inferiore”.
“Quant’acqua è passata, conte,
pure nell’abbigliamento …”
“Non me lo dica. Anche nell’epoca mia venne la moda di espellere le spade, i galloni e i broccati, e di sostituirli con gli abitucci
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da due baiocchi, e siccome tutti
hanno due baiocchi tutto il mondo è uguale, non più distinzioni,
non più ranghi, non più ordini di
società, ma uguaglianza di tutti
in tutto, e promiscuità di ceto, di
educazione, di matrimoni. Viva la
democrazia? No, abbasso! Anche
per questo mi opposi alle prime
fantasie balzane che covavano nel
Risorgimento”.
“Risorgimento? E che c’entra Martone?”
“Non c’entra? Ha girato ‘Noi credevamo’, un film proprio sul Risorgimento”.
“Ma deluso, critico, la storia di tre
giovani patrioti meridionali che
infine assistono al fallimento dei
loro ideali”.
“Rimane un film troppo democratico. Ed io temo che adesso si faccia fare a Giacomo la figura dello
sciocco sognatore e a me quella
del bieco reazionario”.
“Mica vero. Martone, in un’intervista, ha parlato bene di lei, l’ha
definita uomo colto e generoso”.
“Lo so, ma non mi fido. E questo è
un punto che va chiarito”.
“Altri punti da chiarire?”
“Insomma, questo Martone non mi
convince. Prendiamo i titoli di altri
suoi film, per esempio ‘Una disperata vitalità’ e ‘L’amore molesto’.
Vitalità di Giacomo? Via, povero
figlio mio, così gracile fin dalla nascita. E l’amore? Lasciamo perdere.
S’innamorava, sì, ma nessuna s’innamorava di lui, che era, diciamolo, piuttosto bruttino”.
“Bruttino sarai tu”, è saltata su la
marchesa Adelaide.
“Ero sano senza essere robusto, né
alto né basso, non bello ma senza
alcuna bruttezza rimarcata. E sempre disprezzai i requisiti del corpo
e di quanto non dipendeva dallo
spirito”.
Ed io: “Mi permetta, conte, ma la
prodigiosa vitalità di Giacomo fu
culturale, morale, proiettata nel
futuro, immortale. Lo ‘Zibaldone’
è stato tradotto in inglese e negli
Stati Uniti ne stanno facendo un
monumento filosofico”.
“Sarà. Ma la cosa su cui Martone
deve darmi spiegazioni è soprattutto un’altra”.
“Quale?”
“La scelta di Elio Germano a protagonista del film”.
“Ottima, secondo il mio parere.
Germano ha l’età giusta, trentatré
anni, è uno dei migliori attori italiani, è stato premiato al Festival
di Cannes, ha ottenuto il David
di Donatello, al suo attivo vanta
una trentina di film più undici telefilm”.
“Ha fatto di tutto, lo so. Anche il
delinquente spione in ‘Romanzo
criminale’, addirittura l’esibizionista in uno scandaloso nudo integrale in ‘Nessuna qualità agli eroi’
e il numero uno in ‘Mio fratello è
figlio unico’, un titolo che allude
alla confusione della famiglie di
oggi, dove non si sa bene chi siano i padri e di chi siano i figli. E
costui pretende di trasformarsi in
Giacomo? Malfattore, col sesso di
fuori e bastardo? Su, non scherziamo. E’ un affronto e da Martone
mi aspetto almeno delle scuse”.
“Ma ha visto i provini di Germano
truccato da Giacomo? L’intensità
dello sguardo, l’autenticità della
partecipazione emotiva, la toccante immediatezza della trasfigurazione?”
“Finzioni, finzioni. Io voglio la verità”.
“Via, conte, Giacomo è morto da
176 anni …”
“Ebbene? Martone poteva evocarne il fantasma, che certo non si
sarebbe rifiutato di interpretare se
stesso”.
“Un fantasma come voi?”
“Certo. Non stiamo forse parlando,
noi e lei, come se fossimo in un
film?”
“Andiamo via, Monaldo”, ha tagliato corto Adelaide. “Capirsi, con
la gente di oggi, è impossibile”.
E sono spariti di colpo, il conte, la
marchesa, il landò.
STORIE ADRIATICHE
IL SOL LEVANTE PELLEGRINO
A LORETO
di Marco Moroni
Crocifissione in oriente di tre gesuiti,
anonimo, Chiesa di San VIto, Recanati
Il Giappone feudale viene a gettare uno sguardo dalle colline adriatiche di
Loreto e Recanati sul nostro mare. Prima parte di un sogno di evangelizzazione
infranto da paure politiche e ragion di stato.
13
STORIE ADRIATICHE
N
el 1585, accolti con
grandi onori, giungono
in visita a Recanati e a
Loreto quattro giovani
nobili giapponesi. La vicenda ha
un grande risalto a livello locale,
così come era avvenuto in tutte le
città europee da essi visitate.
Erano anni di grande curiosità
per i popoli lontani. L’interesse
per il meraviglioso e per l’esotico
era esploso con la scoperta delle
Americhe, ma ben presto la curiosità si era allargata anche alle
Indie orientali, soprattutto dopo
che erano incominciate a giungere in Europa, da Goa e da Macao,
le notizie sulle prime missioni dei
gesuiti e in particolare sull’attività
di Francesco Saverio, giunto in India nel 1542 e sbarcato in Giappone nel 1549 con il samurai Anjiro,
neoconvertito al cristianesimo, e
con due confratelli. Anche dopo
la morte di Francesco Saverio, nel
1552, i gesuiti avevano contribuito
a tenere desta l’attenzione per le
loro attività missionarie pubblicando testi che avevano un indubbio
valore propagandistico: innumerevoli opuscoli e libri contenenti
resoconti di viaggio, descrizioni e
lettere spedite dai missionari della
Compagnia ormai sparsi in varie
regioni dell’estremo Oriente.
Il viaggio in Europa dei quattro giovani nobili giapponesi era
stato fortemente voluto dal gesuita
Alessandro Valignano (il maestro
di Matteo Ricci) che, nominato visitatore generale delle Indie orientali e approdato a Goa nel 1575,
aveva iniziato la sua missione in
Giappone nel 1579 ed era rimasto
a operare tra India e Giappone
per oltre trent’anni, fino alla sua
morte. Il viaggio aveva una duplice finalità: non solo mostrare
al papa (e al re di Spagna Filippo
II) i successi missionari dei gesuiti,
ma anche convincere i giapponesi
della potenza della civiltà europea.
Da una parte, quindi, si trattava di
ottenere dal papa la conferma del
monopolio dei gesuiti in quell’area, insidiato da francescani e domenicani, nonché i finanziamenti
14
necessari a sostenere economicamente il grande sforzo missionario
della Compagnia; dall’altra i giovani, tornati in Giappone, avrebbero
dovuto raccontare ai loro compatrioti la magnificenza delle città
europee.
Ecco quanto scrive Valignano
nelle sue Istruzioni ai padri gesuiti
che aveva incaricato di accompagnare i quattro giovani: “bisogna
far comprendere ai giapponesi
la gloria e la grandezza della religione cristiana, e la maestà dei
principi e dei signori che hanno
abbracciato questa religione. Così
questi ragazzi giapponesi in quanto testimoni oculari e persone di
alto rango, al loro ritorno in Giappone, potranno raccontare ciò che
hanno visto e far valere anche in
Giappone il credito e l’autorità che
convengono alla nostra religione.
Dato che i giapponesi non hanno
mai visto tali ricchezze, non possono crederci, e così riusciranno a
capire lo scopo per cui i Padri Gesuiti vogliono venire in Giappone,
fatto che sinora molti di essi non
hanno ancora capito in quanto
credono che noi, nei nostri Paesi, siamo gente povera e di misera
condizione e che, per questa ragione, veniamo a cercare fortuna
in Giappone con il pretesto di predicare le cose del Cielo”.
La visita fu organizzata da Valignano anche nei dettagli. Quattro giovani, dei quali si conosce
i nomi, seppure latinizzati (Mancio Ito, Michele Chijiwa, Martino
Hara e Giuliano Nakaura), furono
incaricati di portare a papa Gregorio XIII le lettere di omaggio
di tre signori feudali dell’isola di
Kiushu che, da tempo in contatto
con i mercanti portoghesi, si erano
convertiti al cristianesimo; questi i
loro nomi latinizzati: Francesco di
Bungo, Protasio di Arima e Bartolomeo di Hizen.
La spedizione partì da Nagasaki
su una nave portoghese nel febbraio 1582, facendo sosta a Macao
e poi a Goa. La circumnavigazione
dell’Africa si rivelò lunga e difficile, tanto che la nave poté giun-
gere a Lisbona soltanto nell’agosto
1584. Nel loro viaggio attraverso
il Portogallo e la Spagna i quattro
giovani furono ricevuti dappertutto con manifestazioni spettacolari;
fra i fatti più significativi, vi furono
sicuramente i grandi onori loro riservati dal re di Spagna Filippo II.
Sbarcati a Livorno il primo marzo 1585, visitarono Pisa, Firenze e
Siena; passati poi per Viterbo e
Caprarola, il 22 marzo entrarono a
Roma. Qui, dopo essere stati ricevuti da papa Gregorio XIII con gli
onori riservati agli ambasciatori a
ccreditati, furono organizzate numerose iniziative per conoscerli e
festeggiarli: colpivano i loro abiti
coloratissimi e l’abitudine a bere
non vino ma “acqua calda” (evidentemente il tè era ancora sconosciuto ai cronisti). L’ambasceria fu
costretta a trattenersi a Roma fino
al 3 giugno, perché essendo morto
il 10 aprile Gregorio XIII, si dovette attendere l’elezione del suo successore. L’attesa risulterà proficua
per i gesuiti, perché il nuovo pontefice, il marchigiano Sisto V, oltre a offrire ai giovani nuovi doni,
accoglierà una delle principali richieste di Valignano: la concessione di una assegnazione perpetua
per i seminari del Giappone.
Partiti da Roma, i quattro giovani attraversarono l’Umbria, visitando Spoleto, Assisi e Perugia;
poi puntarono su Loreto. Entrati
nelle Marche, fecero sosta a Tolentino, Macerata e Recanati. Secondo quanto risulta dalle riformanze
comunali del 1585 il loro passaggio a Recanati suscitò grande interesse in città; avvertito dell’arrivo
dell’ambasceria dal governatore
della Marca, il consiglio della Comunità deliberò che “venissero
eletti due deputati i quali, a spese pubbliche, curassero in modo
onorevolissimo il ricevimento dei
nipoti dei nobili giapponesi”; l’11
giugno, fecero il loro ingresso in
città “con la più grande solennità”:
li attendevano i priori, innumerevoli autorità religiose e una folla
incuriosita e festante. A Recanati
l’interesse per la vicenda si man-
STORIE ADRIATICHE
tenne a lungo; alla visita accenna
il vescovo di Recanati e Loreto,
monsignor Rutilio Benzoni, nella
sua opera sul giubileo, stampata a
Venezia nel 1599; ne parla anche
Monaldo Leopardi nei suoi Annali recanatesi redatti nei primi anni
Quaranta dell’Ottocento.
Ancora più significativa l’accoglienza riservata ai giovani giapponesi a Loreto. Nella città mariana, accolti al suono di trombe
e tamburi da 200 archibugieri e
dall’intera popolazione, furono
ricevuti dai notabili del luogo, da
tutti i canonici e dal governatore,
il bolognese monsignor Vitale Leonori; dopo aver pregato “con singolare devozione” nella santa cappella, furono ospitati nel Palazzo
apostolico. All’indomani, secondo quanto risulta dalla relazione
pubblicata da Guido Gualtieri nel
1586, dopo una messa solenne, fu
loro offerto un pranzo “con grande splendore”; quindi gli ospiti “si
soffermarono ad ammirare l’argenteria e i drappi della sagrestia”.
Il giorno seguente, infine, ricevuta
la comunione in Santa Casa, “ripieni tutti di consolazione per la
vista di un sì sacro e santo luogo,
si partirono per Ancona”.
Dopo aver toccato Ancona e
Pesaro, visitarono Bologna, Ferrara, Chioggia e infine Venezia,
dove in loro onore la processione
di San Marco fu spostata al 29 giugno. Quel giorno, secondo alcuni
resoconti, per vedere “li quattro
signori giaponesi” si accalcarono
in piazza San Marco circa ottantamila persone. Lasciata Venezia,
l’ambasceria si mosse in direzione
di Padova; poi i giovani visitarono
Vicenza, Verona, Mantova, Milano
e infine Genova, da dove si imbarcarono per Barcellona il 9 agosto
1585. Attraversata la Spagna, giunsero infine a Lisbona; dal Portogallo salparono nell’aprile 1586. Il
viaggio di ritorno fu faticosissimo
e oltremodo lungo, a causa dei
venti contrari e di altri contrattempi, tanto che i quattro giovani
riuscirono a sbarcare a Nagasaki
soltanto nel luglio 1590.
A Recanati nella chiesa di San
Vito si conserva un dipinto di
grande effetto; rappresenta una
crocifissione ma i personaggi raffigurati nella tela non sono Cristo
e i due “ladroni”, bensì tre gesuiti
giapponesi. Tornati in Giappone,
infatti, su consiglio (e con il costante aiuto) di Valignano i quattro
giovani scrissero una accurata relazione della loro visita in Italia; il
gesuita Duarte de Sande tradusse
il testo in latino, dandogli la forma
letteraria del dialogo filosoficoscientifico. La relazione fu pubblicata nel 1590 a Macao, presso la
stamperia dei gesuiti, con il titolo
De missione Legatorum Iaponensium ad Romanam Curiam. Non
fu possibile, invece, realizzare la
traduzione dal latino al giapponese, prevista da Valignano in modo
che la relazione potesse essere letta da un pubblico più vasto.
Proprio in quegli anni, infatti
la situazione politica del Giappone cambiò radicalmente. Come
ha chiarito Ronnie Po-chia Hsia,
docente di Storia nella New York
University, nell’anno della partenza dei quattro giovani ambasciatori era stato assassinato lo shogun
Oda Nobunaga, un “signore della
guerra” che aveva protetto i cristiani allo scopo di conoscere le
tecniche militari portoghesi. Il suo
successore, Toyotomi Hideyoshi,
continuò a proteggere i missionari europei fino a che non venne
nominato provinciale il gesuita
Gaspar Coelho. L’atteggiamento
bellicoso del nuovo provinciale e
il timore di un intervento militare
degli spagnoli portarono nel 1587
a un primo editto che limitava la
libertà di culto per i cristiani.
Tornato temporaneamente in
Giappone per accompagnare i
quattro giovani rientrati dall’Europa, Valignano ottenne il ritiro del
decreto, ma la tregua durò pochi
anni. L’esplodere dei contrasti fra
i gesuiti, sostenuti dai portoghesi, e i francescani spagnoli provenienti sempre più numerosi da
Manila fece crescere nello shogun
il timore che le potenze europee
stessero per attaccare il Giappone.
Nel 1597 Hideyoshi ordinò di giustiziare un gruppo di missionari,
fra i quali sei francescani europei,
dieci laici francescani di origine
giapponese, sette laici giapponesi e tre gesuiti; questi ultimi sono
i tre gesuiti raffigurati nel dipinto
della chiesa di San Vito a Recanati.
Dopo la morte di Hideyoshi si
ebbe un quindicennio di tregua;
poi, nel 1614, probabilmente influenzato da olandesi e inglesi,
rivali commerciali dei portoghesi,
il nuovo shogun Ieyasu Tokugawa emanò un decreto di espulsione dei missionari stranieri. Era
il rifiuto dell’occidentalizzazione
imposta da portoghesi e spagnoli
che - questa almeno era la convinzione degli shogun Tokugawa
- “cominciavano mandando avanti i loro frati, per poi riversarsi in
armi al loro seguito”; era insomma
la chiusura all’occidente e alla sua
cultura. Da quel momento ebbe
inizio uno stillicidio di processi, condanne ed esecuzioni che,
con il successore di Ieyasu, Hidetada, esplose in una massiccia
persecuzione. L’ultimo sanguinoso episodio si consumò nel 1638
a Shima Bara, vicino a Nagasaki:
oltre trentamila contadini cristiani che si erano ribellati al regime
dei Tokugawa, furono massacrati.
Gli ultimi resistenti, guidati da un
giovane samurai, Amakusa Shiro,
si erano rifugiati in un vecchio fortilizio affacciato sull’oceano: vi trovarono la morte il 12 aprile 1638.
Si consumò così l’espulsione
del cristianesimo dal Giappone,
dove della visita in Europa dei
quattro giovani nobili non resterà
neppure il ricordo. La loro relazione di viaggio era stata stampata
nella tipografia allestita da Valignano a Macao con i torchi portati
al ritorno dall’Europa dagli stessi
giovani giapponesi. Oggi ne restano appena quattro esemplari originali, uno dei quali è conservato
presso l’Archivio generale dei Gesuiti a Roma.
15
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STORIA/ARCHITETTURA
STORIA DI UNA FAMIGLIA,
FORMA DI UNA CITTÀ.
di Aurora Foglia - foto dell’autrice
I luoghi dell’opera Pia Ceci di Camerano a cento anni dalla fondazione dell’istituzione.
Lapide all’esterno del mausoleo di Luigi Ceci, Camerano
S
ituata sulla strada che dal monte Conero
conduce ad Ancona, Camerano è
una cittadina nota per il nettare rosso
rubino che produce da secoli, e per le
meravigliose grotte che si sviluppano in dedali
sotterranei*. Passeggiando per le sue strette
vie, quando l’occhio non è rapito dall’azzurro
dell’Adriatico che fa capolino, è impossibile non
notare la commistione di edilizia storicizzata,
ma dalla relativa valenza storica, e di edifici
pregevoli, tutti realizzati all’inizio del Novecento,
secondo il gusto del periodo, caratterizzato da
accentuato linearismo ed eleganza decorativa.
Quei manufatti non condividono solo epoca e
stile, ma sono legati da qualcosa di più profondo,
da una volontà generatrice forse poco nota oltre
i confini comunali, ma che resta un esempio
mirabile di generosità e senso civico.
Sul finire dell’Ottocento, Camerano presenta
uno scenario non dissimile da quello di altri
paesi delle fasce costiera e di media collina
marchigiane1. Prima dell’avvento dell’attività
manifatturiera, che detterà un brusco cambio di
passo nella cittadina, il contesto socio economico
è fatto di piccole attività commerciali, primarie e
secondarie, quasi tutte connesse all’agricoltura,
17
STORIA/ARCHITETTURA
principale fonte di sostentamento per la gran
parte della popolazione, che spesso non riesce
a ricavarvi nulla che vada al di là del proprio
sostentamento. Un contesto del genere non può
non riflettersi sia sulle condizioni assistenziali dei
meno abbienti, affidate a confraternite e a monti
frumentari2 sia sulle forme e sulle funzioni del
patrimonio edilizio. Scarsità di mezzi, dunque,
tradotta in essenzialità dei servizi e forzata
sobrietà di espressione.
All’inizio del Novecento, i fratelli Genziano,
Aristide, Alfredo, Socrate e Parisina Ceci,
manifestano la volontà di donare al loro paese
d’origine un’opera di beneficenza3, a memoria
dei genitori Luigi e Annunziata. I Ceci, emigrati
verso la lontana Argentina, dove si affermano
come costruttori, non dimenticano Camerano,
dalla quale sono partiti verso un futuro solo
potenzialmente migliore. L’Opera Pia è istituita,
come poi indicato nello Statuto approvato con
RD. n. 1699/32, allo scopo di dare ricovero
agli anziani soli e malati, riunendo in un
unico, moderno e funzionale edificio, le Opere
Pasquali-Marinelli e Jacomini già esistenti, votate
anch’esse all’assistenza dei malati, ma ormai
inadeguate al sostegno della popolazione.
Il nuovo ospizio e ospedale viene ultimato
nel giugno del 1913 e inaugurato nell’agosto
dell’anno successivo, con una solenne e festosa
cerimonia alla presenza delle autorità. Due sale
portano il nome del letterato Giuseppe PasqualiMarinelli e del filantropo Enrico Jacomini, a
memoria dei concittadini altrettanto generosi,
mentre due sono a memoria di Luigi e Assunta
Ceci.
L’iniziativa non si ferma a questo atto caritatevole.
Non sono solo gli anziani indigenti a beneficiare
di tanta generosità, ma un paese intero, al quale
i Ceci donano tutti quei servizi essenziali alla vita
della comunità ed altrettanti edifici per ospitarli.
Architetture legate al concetto di pubblica
utilità, luoghi salubri, igienici, luminosi, arte
nuova per una nuova Camerano, a misura dei
suoi abitanti, di ogni età e condizione sociale.
Oltre ad un ampliamento dell’Ospizio Ospedale,
reso necessario già nel 1927 a soddisfare i
bisogni di una popolazione in crescita, i Ceci
provvedono alla realizzazione di un asilo
infantile, a memoria della loro madre Assunta
Lanari Ceci, e di un salone-oratorio, nonché
di un monumento al pittore cameranese Carlo
Maratti4, insieme a terreni da mettere a reddito
per la sussistenza dell’Opera. Elementi puntuali
che, seppur contestualizzati nell’incasato, fatto
che li rende di per sé un’eccezione5 rispetto
alla gran parte delle coeve espressioni del
18
Mosaico all’ esterno del mausoleo di Luigi Ceci, Camerano.
Ospizio Ospedale, Camerano, dettaglio della facciata.
STORIA/ARCHITETTURA
Mausoleo di Luigi Ceci, Camerano, facciata.
liberty nelle Marche6, spiccano per la ricchezza
espressiva del loro apparato decorativo e per la
finezza nell’esecuzione degli stessi. I manufatti,
non certo scanditi da quelle linee serpentine
o quegli elementi fitomorfi che caratterizzano
l’esasperata ricerca formale dell’art nouveau di
scuola francese, sono delineati da forme schiette
e quadrangolari proprie del filone tedesco della
tendenza.
Esempio paradigmatico di questa espressività,
il mausoleo di Luigi Ceci. Tanta perizia nel
realizzare il piccolo tempio, situato nei giardini
dell’edificio che ospita oggi la casa di riposo,
potrebbe disvelare quali meccanismi abbiano
innescato nell’animo dei fratelli Ceci un moto di
tanta generosità, dapprima indirizzato agli anziani
soli, poi verso un’intera comunità. I dolorosi
ricordi cui accenna la lapide posta all’esterno
del monumento, realizzato proprio sul luogo in
cui sorgeva la misera casupola dove si spense
il capo famiglia, sono forse quelli dei figli verso
un padre lasciato in miseria e solitudine fino al
momento del trapasso, senza la possibilità di
stringere a sé i suoi affetti.
Note:
*E quindi uscimmo a riveder le stelle. Dante
Alighieri, Inferno, XXXIV, 139. A tutte le stelle
che mi hanno indicato la via durante la notte
buia della vita. A M. S..
1 Sullo sviluppo economico della regione
Marche dopo l’Unità d’Italia, si legga:
Sorri Ercole, Lineamenti dei processi di
urbanizzazione e sviluppo economico nelle
Marche 1871-1961, Urbino, 1969, estratto da
Quaderni storici delle Marche, n. 11, gennaioaprile 1969.
2 I primi monti frumentari, nati alla fine del XV
secolo per prestare ai contadini più indigenti
il grano e l’orzo per la semina, si rivolgevano
in particolare ai tanti che vivevano in
condizioni di pura sussistenza quando, per
il bisogno, erano costretti a mangiare anche
quanto doveva essere riservato al prosieguo
del ciclo agrario. Ebbero una notevole
diffusione durante i secoli XVI e XVII.
3 Sulla storia della famiglia Ceci, e sulla
fondazione che ne porta il nome, si veda:
STROLOGO Sandro, Assistenza e beneficenza:
l’Opera Pia Ceci di Camerano, Ancona, 1994.
Il testo, oltre a raccontare mirabilmente le
vicende che hanno portato all’istituzione
dell’Opera Pia, racchiude alcune missive dei
fratelli Ceci, dalle quali si evincono gli ideali
di carità e altruismo che hanno animato la
loro attività.
4 Carlo Maratti, (Camerano, 15 maggio 1625
– Roma, 15 dicembre 1713) è stato un pittore
e restauratore italiano. Fu una figura centrale
della pittura romana ed italiana della seconda
metà del Seicento.
5 Negli stessi anni, infatti, le più rilevanti
espansioni avvengono al di fuori della
forma urbanistica tradizionale, quella
conclusa nella cinta muraria, e l’arte nuova
caratterizza la nuova edilizia, sia privata,
declinata in eleganti villini, sia pubblica, con
i primi esperimenti modernistici di edilizia
plurifamiliari.
6 Sul liberty nelle Marche si legga:
Mariano Fabio, Dall’eclettismo al liberty, in
Architettura nelle Marche. Dall’età classica al
liberty, Fiesole (FI), 1995, pp. 461-491.
19
TOPONOMASTICA
IL NOME DI OSIMO: È POI COSÌ STRANO?
di Massimo Morroni - foto dell’autore
Mura romane
Scorribanda tra i millenni della civiltà indoeuropea, celtibera e
picena alla ricerca della parentela ispano-francese del toponimo
Auximum. Che cerca di nascondersi in molti modi, ma non sfugge
all’assillante caccia di Morroni *.
21
TOPONOMASTICA
L
’indagine sulla storia ed il
significato del toponimo
“Osimo”, generalmente insolito, lo rende più comune
nell’area francese e spagnola. Per
introdurre l’argomento, tracciamo
anzitutto un inquadramento storico ed uno linguistico.
La storia parte da lontano. Già in età preistorica si hanno
testimonianze che la nostra zona
era abitata (parliamo di Paleolitico superiore, quindi prima del
VI millennio). Nella nostra regione, la civiltà picena ebbe origine
nell’età del Ferro (XII - X sec. a.
C.) da due sottostrati: la cultura
subappenninica e quella protovillanoviana, unitamente ad apporti
culturali transadriatici. Per Osimo
si può parlare di un vero e proprio
centro abitato dal IX secolo, in Età
del Ferro, con il villaggio piceno
sull’altura. Di questo centro non
è stato tramandato il nome. L’insediamento principale risulta ininterrottamente sulla nostra collina
(ritrovamenti si sono avuti in zona
Mercato Coperto), mentre un villaggio minore si trovava sul fianco nordorientale di Monte Santo
Pietro. La cultura picena raggiunse l’apogeo della sua fioritura tra
VI e V secolo a. C., con un vasto
fenomeno culturale unitario, dalla
Romagna all’Abruzzo e alla Sabina. La prosperità economica delle
comunità picene è evidenziata da
molti oggetti d’importazione.
Dalla fine del V secolo a.
C. si colgono invece i primi segni
dell’inesorabile processo di decadenza che, in meno di due secoli, porterà alla pressoché totale
scomparsa della civiltà picena. I
tempi vennero accelerati da eventi
storici che videro come protagonisti i Senoni ed i Romani. Agli inizi
del IV secolo a. C., gruppi armati
di Senoni occuparono l’estremo
lembo della pianura padana e le
Marche settentrionali. I Galli Senoni, sconfinando verso Sud oltre il
fiume Esino, penetrarono, in modeste entità, nella zona terminale
del medio corso del Musone, at-
22
testandosi nei due villaggi, l’uno
sorto sulla collinetta di S. Paolina
ed il secondo sul declivio di S.
Filippo, poco oltre le Casenove.
Sembra che la presenza dei Senoni armati non si protrasse oltre il
270 a.C. In questo periodo il nome
piceno di Osimo potrebbe essere
stato celtizzato, ma seguita ad essere sconosciuto, non avendosene
attestazioni.
L’ultima fase della cultura picena è contraddistinta dalla
comparsa di numerosi elementi di
origine celtica, che sottintendono
scambi e contatti, non sempre pacifici, con i gruppi senoni.
Il primo intervento romano nella storia del Piceno risale al
299 a.C, quando venne stipulato
un trattato di alleanza (foedus) con
i Piceni contro i Galli. La conquista militare romana del Piceno si
concluse nel 268 a.C., poi si dedussero le varie colonie (Firmum,
Potentia, Pisaurum, Forum Sempronii), per il controllo politico ed
amministrativo di tutta l’area. Tra
queste si ebbe Auximum (157 o
128 a. C.), che aveva già assunto
l’aspetto di un oppidum. Ed ecco,
in questo periodo, le prime attestazioni del nome di Osimo, ormai
latinizzato in Oximum e Auximum, come tramandato da Livio e
da Velleio Patercolo.
Passiamo ora all’inquadramento linguistico. Nel bacino del
Mediterraneo è attestata l’esistenza
di lingue pre-indoeuropee. Gli Indoeuropei possedevano una cultura rudimentale e non conoscevano nemmeno la scrittura. Erano
dei barbari in confronto allo sviluppo culturale che a quei tempi
fioriva presso altri popoli. Tutte le
odierne lingue europee derivano
dall’evoluzione della loro lingua.
Si ritiene che l’unità indoeuropea
sia da collocare non più in là del V
millennio a.C. La patria originaria
di questo popolo è collocata da alcuni nell’Asia Minore centrale, da
altri in quella orientale e, da altri
ancora, nella steppa a nord del
Mar Nero. Nell’Italia antica pos-
siamo attribuire alla famiglia indoeuropea il latino, il falisco, l’oscoumbro, il piceno meridionale,
il messapico, il venetico, il celtico,
forse anche il siculo e il ligure.
Non indoeuropei sono il retico,
l’etrusco, il piceno settentrionale.
In particolare, le lingue celtiche si
suddividono in due gruppi: celtico
continentale (comprendente gallico e celtiberico) e celtico insulare.
Perché ci interessano tanto
il gallico ed il celtiberico? Il motivo
è il seguente: anche nelle terre di
lingua celtica troviamo toponimi
latinizzati uguali o simili al nostro:
Oximum e Oximense in Normandia, Oxima nella zona di Bordeaux, Oxma e Oxmensi ad ovest di
Parigi; Auxima, Oxima, Uxama
nella penisola iberica. Che cosa
si deduce? Semplicemente che,
in analogia con le trasformazioni
subite da questi toponimi francesi
e spagnoli, il nome piceno sconosciuto di Osimo potrebbe essere
stato celtizzato in una forma simile ad Uxama, per poi passare
in quella latina di Oximum/Auximum.
Soffermiamoci allora sulla forma Uxama. Il gruppo indoeuropeo ps o *ups-, insieme al
gruppo ks, arrivò nel celtico come
s. Nel gallico lo troviamo in preposizioni (uxsi “al di sopra di”),
toponimi (Uxellus, Uxellodunum
ecc.), sostantivi, aggettivi (ux(s)
edios “superiore” ecc.) e uxama
“il più elevato” (-sama è il suffisso dei superlativi). A questo punto
cerchiamo le altre Osimo. Per le
Osimo francesi abbiamo almeno
Exmes, Huismes, Humes, Villiersle-Morhier ecc. Exmes si trova
nella regione Basse-Normandie
e durante i secoli il suo nome è
attestato come Uxoma, Oximum ,
Oxma , Uxuma , Uxono , Uxoma
, Usmis , Usamus, Oxima, Uxima/
Uxxima, Ouismes, Uxone, Castri
de Oximis. Huismes è nella regione Centre, 50 km da Tours. Le
sue forme antiche sono: Oximam,
Oximensis, Villa Oxima, Oximis
ecc. Humes, unito a Jorquenay,
TOPONOMASTICA
si trova nella Champagne-Ardenne. Le attestazioni sono: Osismus,
Ozima, Osmis ecc. Per Villiersle-Morhier, sempre nella regione
Centre, si hanno Oxma, Uxxima,
Oxmensi ecc. Le Osimo spagnole
sono almeno El Burgo de OsmaCiudad de Osma, i resti di Uxama
Barca, Osma di Mallavia, Ultzama.
Osma, a circa 60 km da Madrid,
è attestato come Oxima, Auxima, Uxsama, Osimensis ecc. Uxama Barca è attestata anche come
Oxamabarca. Per Osma di Mallavia, 30 km ad est di Bilbao, non
si conosce il nome classico corrispondente. Ultzama si trova nella
provincia di Navarra. La fonetica
basca avrebbe trasormato Uxama
in Ultzama.
Attestazioni
Altre località non hanno avuto il
nome uguale a quello di Osimo,
ma la loro denominazione ha
un’origine affine al nostro toponimo, contenendo la stessa radice:
sono le “quasi Osimo”. Derivano
per la maggior parte dall’aggettivo gallico uxellos “alto, eminente”,
ma anche da up, uxo e uxisama,
quindi dalla stessa radice indoeuropea; si tratta di Uxacona, Uxella,
Oisème ecc.
Ci sono poi le “quasi Osimo” apparenti. L’aggettivo celtico
oscellus, nei toponimi, si è trasformato nel tempo dando gli stessi
risultati di uxellos, per cui diversi
toponimi moderni simili possono
essere provenuti da uxellos o da
oscellus. Il significato di quest’ulti-
mo sembra essere “acqua corrente”. Sono: vari Huisseau, Ocelum,
vari Oiselet, Oisseau, vari Oissel,
Oisselle, Osselin, vari Ossola, vari
Usseau, Ocellodurum ecc.
Le “dubbie Osimo” sono
toponimi che lasciano perplessi
riguardo alla loro comune origine
con quella del toponimo Osimo:
Axams, Ocellum (Holderness),
Osmate, Auxuenna, Usmate ecc.
Infine le “false Osimo”,
cioè dei toponimi che sembrano
richiamare le forme “Osimo”, “Auximum”, ma etimologicamente
non hanno niente a che fare con
queste: Axona (Aisne), Augusta
Auxorum (Auch), Auxerre, Aulessiacum (Auxey), Auxois, Auxonne, Uxonia (Oxford), Oulx ecc.
* (si veda: Massimo
Morroni – Perché Osimo?
Un toponimo insolito, ma
non troppo – Osimo, 2012)
23
LAVORO
GLI UOMINI DELLE NAVI
di Paolo Gissi*
Per fare le navi servono cantieri, soldi, materiali, tecnologie, commesse: ma poi, ci vogliono gli uomini.
Che pensano, progettano, modificano, verificano … che vivono la Nave perché, alla fine, il segreto del
successo è tutto lì
Soci dell’Ass. Uomini delle Navi all’inaugurazione della 2^ edizione della Mostra nell’ambito del Festival
Adriatico Mediterraneo 2012: sx>dx: Paolo Melati, Silvano Ciccarelli, Giorgio Ercoli, Sauro Turchetti, Luigi
Borsini, Maurizio Gueraldi, Pasquale Frascione, Achille Rondine, Paolo Gissi
(foto Ass.ne Uomini delle Navi)
A
ncona fine anno 2010:
otto ex-colleghi di lavoro diventati amici sono
al tavolo di un ristorante
per l’annuale momento di convivialità, i discorsi si intrecciano su
famiglie, ricordi e nuovi progetti.
Inevitabile è lo scambio di notizie
ed opinioni sulla situazione dei
cantieri navali marchigiani di cui i
componenti del gruppo sono stati
protagonisti per molto tempo; la
24
crisi economica ormai conclamata
fa sentire i suoi effetti con mancanza di commesse e conseguenti
cassa integrazione e chiusure, l’impressione è che la città abbia perduto o comunque sopito il legame
con il suo Cantiere per eccellenza,
i cantieri del Molo Sud sono quasi
sconosciuti alla maggior parte degli anconetani, la città non sembra
interessarsi fattivamente della situazione critica che si sta creando.
Un attimo di silenzio e spontanea
esce la domanda: che possiamo
fare? Come provare a far ricordare
alla città che è cresciuta anche per
le attività legate al mare? Pragmaticamente come sempre si apre la
discussione.
Tutti ricordano la città in festa fino
agli anni ‘70 per il varo di una
nuova nave dei CNR con la gente affacciata dalla panoramica del
Guasco che sale al Duomo a ve-
LAVORO
dere la nave che scivolava sul piano inclinato, spettacolo entusiasmante per chi vi assisteva, fonte di
tensione per chi lo spettacolo predisponeva. Negli
anni ‘80 la ristrutturazione del Cantiere con la costruzione della vasca-bacino aveva privato la città di quei
momenti emozionanti e la messa in galleggiamento
di una nuova unità non aveva più avuto lo stesso
effetto comunicativo.
Ma la passione e la professionalità delle maestranze
di quello che è il polo cantieristico anconetano non
erano certo diminuite e i cantieri navali, come tutte le
organizzazioni umane, sono fatti dalle persone che ci
lavorano. Ecco allora che si fa strada l’idea di riportare alla memoria della città proprio le persone che
hanno lavorato nei cantieri cercando fotografie che li
ritraessero sul posto di lavoro.
Si uscì dal ristorante con questo impegno di ricerca
a cominciare dagli archivi della Fincantieri e per un
passa parola tra altri ex colleghi e conoscenti affinché si aprissero gli album di famiglia. Appena diffusa
la notizia di questa ricerca la risposta è stata a dir
poco entusiastica e in breve tempo sono state raccolte oltre 1000 immagini relative sia a persone dei CNR
che dei cantieri cosiddetti “minori” del Molo Sud.
Il materiale è stato catalogato e digitalizzato, le foto
scelte per l’esposizione da offrire alla città sottoposte
a restauro e infine stampate in alta definizione. Gestire fotografie comporta regolarizzarne l’utilizzo nei
termini di legge in quanto materiale attinente alla privacy delle persone ritratte, gli otto ex colleghi si sono
pertanto costituiti in Associazione dal nome “Uomini
delle Navi”.
Lo Statuto all’art. 4 riporta lo scopo dell’Associazione:
“Promuovere e divulgare la conoscenza dell’evoluzione della tecnica di costruzione navale e dei
relativi aspetti economici ed organizzativi, della storia delle persone, dei luoghi e dei prodotti
connessi con la costruzione navale” con riferimento in particolare alla regione Marche.
La prima mostra fotografica si è svolta nell’ottobre
del 2011 presso la sede dell’Aula del Mare all’interno
del porto di Ancona, con grande successo di visitatori e risonanza nella stampa cittadina.
Il successo della prima edizione ha spinto ad una
seconda edizione nell’ambito del Festival “Adriatico
Mediterraneo 2012”, nella quale sono state esposte
altre foto provenienti dai cantieri navali della regione
da Pesaro a San Benedetto del Tronto reperite con
il solito passa parola questa volta tra ex colleghi che
avevano lavorato in quei cantieri, ottenendo anche in
questo caso un notevole successo di visitatori, molti
dei quali non a conoscenza di quanto fosse diffusa la
costruzione navale lungo le coste marchigiane.
Questa constatazione ci ha portato alla terza edizione
svoltasi a Porto Recanati nel luglio 2013, in collaborazione con il Comitato degli ex dipendenti del Can-
tiere Gardano & Giampieri coordinato dal sig. Enrico
Lelli, già coinvolto per la mostra all’Adriatico Mediterraneo. La terza edizione è stata la prima tappa di
un percorso che si è pensato di intraprendere nelle
città costiere marchigiane proprio per far conoscere quanto sia stata importante la costruzione navale
nello sviluppo sociale ed economico della regione.
Organizzare una mostra che ritrae il mondo in cui
hai lavorato significa anche effettuare un minimo di
ricerca storica sui cantieri per la catalogazione del
materiale fotografico, ed è inevitabile ripensare a
quello che si è fatto e approfondirne aspetti prima
non considerati.
In questo approfondimento sono state fondamentali
le collaborazioni del prof. Roberto Giulianelli, docente di Storia Economica alla Facoltà di Economia
della Università Politecnica delle Marche, e del prof.
Lino Palanca, cultore della storia e tradizioni portorecanatesi.
Il prof. Giulianelli nell’ambito della prima edizione
ha svolto una conferenza dal titolo “La cantieristica
navale ad Ancona nel ‘900: capitali, lavoro e mercati”
1
, nella quale è stata fatta la ricostruzione della provenienza dei capitali e dei legami dello stabilimento
CNR di Ancona con gruppi industriali esterni alla regione, dell’apporto di lavoro e conoscenze tecniche
inerenti la costruzione navale particolarmente nel
passaggio dalle costruzioni in legno all’acciaio e suoi
successivi sviluppi, nonché dei mercati internazionali
di riferimento.
Il prof. Lino Palanca ha contribuito alla riuscita della
terza edizione con una conferenza che ha inquadrato
le vicende del Cantiere Navale “Gardano & Giampieri” nella storia di Portorecanati dal 1941 anno di fondazione, al 1966 anno della chiusura, e nell’ambito
della cantieristica marchigiana.
Attualmente l’Associazione ha in preparazione la
quarta edizione da svolgere nella città di Senigallia,
sede di un altro cantiere navale storico il “Navalmeccanico”, continuando quel percorso di sensibilizzazione per un’attività manifatturiera quale è la costruzione navale, anche al fine del suo rilancio dati i
rilevanti effetti moltiplicatori che può avere sull’economia regionale marchigiana.
1
Vedi a tal proposito
l’articolo di R. Giulianelli
dallo stesso titolo apparso
sul n. 3-2011 della rivista
PRISMA, ed. Franco Angeli,
Ancona.
* L’ingegner Paolo Gissi è il
presidente dell’Associazione
“Uomini delle Navi”.
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MUSICA
UN MIRACOLO FATTO IN CASA
di Janula Malizia
Foto e notizie fornite da Gilberto Cappelloni e Antonio Terragnoli, componenti del gruppo I Sagittari
Tutto sembrava possibile in quegli anni in cui suonavano i Sagittari. Storia di una “band” che rimane nella
memoria non solo dei “castellà”, ma di tutti coloro che amano la buona musica. E che hanno nostalgia
degli anni ’60, detti favolosi forse perché eravamo tutti tanto più giovani.
Il gruppo I Sagittari
N
el 1960 per la prima
volta l’industria supera gli addetti dell’agricoltura, il PIL raggiunge il livello più alto nella storia
con il + 8,30 e l’Italia si avvia a
diventare di lì a pochi anni uno
dei maggiori Paesi industrializzati a livello mondiale. Altri
tempi, davvero.
E’ in questo clima da “miracolo
economico” che nelle gremite
sale cinematografiche del bel
paese esce il film “La dolce vita
di Federico Fellini”, mentre
in una piccola cittadina della
provincia marchigiana cinque
ragazzi, cresciuti subito dopo
l’ultima grande guerra, decidono di unire i propri talenti musicali per coronare un piccolo
sogno e dar vita al gruppo de
“I Sagittari”.
La prima formazione nasce per
idea di Gino Ricciuti, chitarra
solista, a cui si uniscono Anto-
nio Terragnoli alla batteria, Gilberto Cappelloni al sax e clarino, Franco Ottavianelli al basso
e Franco Muratori alla fisarmonica.
I componenti del gruppo vengono, chi più e chi meno, da
precedenti esperienze musicali.
C’è chi ha già fatto parte di un
gruppo, come Gino Ricciuti, e
chi ha suonato nella sezione
fiati della banda cittadina come
Gilberto Cappelloni. Quasi tutti
27
MUSICA
lavorano nelle industrie musicali che a quel tempo pullulano nel territorio fidardense, come le
storiche “Paolo Soprani” e “Crucianelli” .
Durante il giorno testa bassa al lavoro, la sera
prove. Dopo mesi e mesi di duro “allenamento”
sentono finalmente che il momento è arrivato,
e organizzano il debutto in una piccola sala da
ballo nella frazione “Crocette” di Castelfidardo. Il
piccolo quartiere diventa il centro del loro mondo, la gente impazzisce per le loro performance:
tutti sono entusiasti.
Passano le serate invernali ad Ancona suonando
in un locale chiamato “Edera” e, all’arrivo della
stagione estiva, intrattengono durante i fine settimana gli avventori del dancing “Lanterna Blu”
di Marzocca di Senigallia, dove hanno un tale
successo che viene loro prolungato l’ingaggio
per l’intero anno.
All’inizio non sono dotati di una grande attrezzatura, tant’è vero che come amplificazione durante i live si trovano costretti ad utilizzare le
casse degli altoparlanti. Però, messi da parte i
primi soldi, si impadroniscono degli ultimi ritrovati tecnologici. Gilberto Cappelloni paga a rate
il sax nuovo fiammante “Selmer” comprato da
Pigini della Eko per 90.000 Lire. La busta paga
di un operaio di allora raggiungeva appena le
47.000 Lire, hai voglia a “mangiare mortadella e
frittate” per tirare la cinghia e mettere da parte
fino all’ultimo centesimo. A Castelfidardo trovano gli strumenti migliori per quei tempi, come le
chitarre Crumar e Welson o l’organo elettronico
modello Compact della “Farfisa”, mentre l’amplificazione valvolare della “Binson”, un pezzo
da novanta dell’amplificazione, la fanno arrivare
dai “F.lli Meazzi” di Milano. I “nostri”, in quel
bagliore di anni Sessanta, finiscono per essere il
complesso più all’avanguardia della zona: sono
gli unici a poter contare sugli “effetti” offerti dalle amplificazioni elettroniche di nuova generazione. Così, grazie al “riverbero” e all’ “alone”
degli amplificatori “Binson”, che coprono le leggere stonature e danno un tocco “americano” al
sound della band, i frequentatori delle notti delle
sale da ballo e dei night dell’entroterra marchigiano si sentono un po’ più vicini a “New York”.
Sono fortunati, in quegli anni il lavoro non manca e le aziende del settore musicale concedono
loro il permesso per assentarsi dal lavoro nella
stagione estiva per suonare nei locali, in fondo si
tratta anche di fare pubblicità agli strumenti musicali costruiti a Castelfidardo. Finita la stagione,
i Sagittari tornano al chiodo nelle fabbriche.
La bravura e la passione per la musica aumentano ad ogni esibizione, così nel giro di poco
tempo la band si fa conoscere ed apprezzare
in giro per lo Stivale. Nella primavera del 1962
si presenta loro un’ottima occasione: vengono
chiamati a rappresentare la Città di Castelfidardo in una gara della trasmissione radiofonica “I
28
due campioni”, registrata al cinema-teatro Astra
e trasmessa in diretta su radio RAI, con la conduzione di Silvio Gigli. Al momento della competizione però gli amplificatori all’avanguardia,
che dovevano essere il loro asso nella manica,
tra manopole e complicate prese Geloso da
maneggiare, s’intoppano. L’imprevisto tecnico
viene prontamente superato grazie alla calma e
alla lucidità che i “nostri” riescono a dimostrare,
tant’è che alla fine catturano le simpatie del pubblico e degli ascoltatori radiofonici e riescono a
superare le selezioni grazie ad una magistrale
interpretazione di “Wheels” (la ruota), un motivo popolare a quei tempi che però allo stesso
tempo non risultava troppo sfruttato.
Passano al turno successivo e nel mese di maggio, accompagnati da un pullman pieno di sostenitori affittato dal sindaco di allora Mercatalli
presso la premiata ditta di trasporti “F.lli Fabbri”
(meglio conosciuta con l’appellativo di “le corriere di Mericò”), si recano negli studi dell’Antoniano di Bologna dove danno il meglio di sé e
arrivano a conoscere personalmente Iva Zanicchi che a quei tempi non era ancora diventata
famosa.
I ragazzi de I Sagittari, oramai cresciuti, ripensano ancora a quei momenti come alla loro grande
occasione mancata: erano a tanto così dal fare il
grande salto di notorietà e prendere il volo con
la Zanicchi. Ma purtroppo, in quel maggio bolognese, sul prestigiosissimo palco dell’Antoniano,
le cose non vanno come sperato: la band non
riesce a qualificarsi e deve così rinunciare anche
all’ambito premio, consistente in una fornita biblioteca per la propria amata Città di Castelfidardo che in quegli anni ne era ancora sprovvista.
Dal mese di giugno, tornano a suonare al vecchio locale di Marzocca, ma solo per poco tempo: la proprietaria della “Conchiglia Verde”, incuriosita dalla loro fama, li chiama nel suo locale
dove raggiungono un successo tale che vi passano tutte le sere per tre stagioni estive consecutive, suonando “da spalla” a nomi molto famosi,
come ad esempio Lucio Dalla e la Seconda Roma
Jazz Band di Romano Mussolini. Nel frattempo
il fisarmonicista Franco Muratori lascia la formazione per impegni di lavoro in Canada e dopo
il 1965, mentre sono impegnati con i veglioni,
le Matinée e le Soirée organizzate alla Grotta di
Recanati, entra nella formazione un giovanissimo Valentino Lorenzetti, talentuoso musicista di
appena sedici anni.
Una sera viene chiesto loro di accompagnare
musicalmente una certa Mimì Bertè, dotata di
una bella voce e che si sarebbe in seguito rivelata al grande pubblico con il nome di Mia Martini.
Suonano anche nelle piazze ottenendo un discreto successo, ma gli anni passano e un bel
giorno arriva il momento degli impegni militari
MUSICA
per il bassista Ottavianelli, che lascia il gruppo.
Valentino Lorenzetti viene spostato dalle tastiere
al basso ed arriva il momento di unirsi alla band
anche per Adalberto Guzzini, al pianoforte, che
arricchirà il repertorio con propri componimenti
come la famosa “Accordion Time”. I Sagittari
iniziano quindi ad aggiungere pezzi originali ad
un repertorio fino a quel momento composto
da quelle che oggi chiameremmo “cover”, ovvero riproduzioni di pezzi famosi, di artisti come
Peppino di Capri, Bruno Martini e Fred Bongusto (Odio l’estate, Blue Moon, Summer time,
Champagne e Roberta sono alcuni dei titoli più
gettonati), adatti a scaldare l’atmosfera delle romantiche serate della riviera. In quel periodo,
le esibizioni dei “nostri” varcano anche i confini
della regione, grazie ad alcuni ingaggi in due locali di Modena procurati dall’impresario Franco
Bernabei. Di seguito, si fanno conoscere anche
a Roseto e a Lanciano. Vincono un concorso a
Fermo e girano parecchio suonando per i locali finché arriva il 1966 e vengono contattati da
Romolo, un cantante della scuderia dell’etichetta
discografica Blu Bel.
Romolo li convince a diventare professionisti. In
quell’anno i Sagittari sbarcano nella sfavillante
riviera romagnola, aprendo la stagione di un locale di Rimini chiamato “La lucciola”, dove si
fanno strada accompagnando a mo’ di orchestra
molti artisti affermati. Ma prima di dare il via
alla stagione estiva, vanno a suonare al Teatro
Novelli di Rimini dove si esibiscono come band
principale della serata, riscuotendo un grande
successo. Rimini regala alla band grandi soddisfazioni: per ben quattro anni di seguito i Sagittari
sono le star della stagione estiva nel capoluogo
del divertimento romagnolo e suonano in tutte
le sale da ballo che vanno per la maggiore, tra
cui Paradis, la Capannina e la Mecca. Riscuotono
successo anche nel pesarese, dove si esibiscono
a Santa Veneranda con il cantante Gianni Morandi. Per circa cinque anni sono ospiti del Club 500
di San Marino, senza farsi mancare però numerose incursioni in Emilia. Tornano anche nella
natia Castelfidardo per suonare al neonato club
Arcobaleno.
Sempre a Castelfidardo, lasciano il segno anche
alla Cantinaccia e in altre decine di locali in tutta
Italia.
Purtroppo, sarà un evento tragico ad arrestare la
lanciatissima carriera della band: nell’estate del
1972 muore in un incidente stradale il cantante
che fa loro da promoter. Resta solo l’orchestra,
che continua ancora per un po’ ad accompagnare nel ballo centinaia di coppie. Ma arriva il
1974, e i Sagittari si sciolgono. Gino Ricciuti con
Antonio Terragnoli restano soli a voler portare
avanti il progetto, e anche se di tanto in tanto
collaborano con altri musicisti, la formazione rimane instabile.
E a noi non resta che fantasticare su queste
grandi “rock star” d’altri tempi. Non possiamo
far altro che immaginarli ancora lì, a incantare la
riviera, tirando a suonare fin dopo mezzanotte
per poi spegnere gli amplificatori e accompagnare fino al mattino, al solo suono struggente
del sax, quell’unica coppia di innamorati che,
con la scusa di una mancia, non vuole smettere
di vivere la magia di una romantica serata degli
indimenticabili anni Sessanta.
29
MUSICA
ANTONIO GIANNINI,
“PASIONARIO” DELLA MUSICA
di Paolo Onofri - foto concesse dalla famiglia Giannini-Borroni, foto locandina di Sergio Sabbatini,
fornita da Gianfranca Sabbatini.
Una di quelle anime che hanno servito la propria Comunità con entusiasmo, amore del territorio
e cordiale, costante disponibilità. Vale a dire, come meglio non si può.
I
l 12 Novembre del 2012 Potenza Picena ha perso una delle figure più rap­presentative della sua
comunità, Antonio Giannini, sarto artigianale,
Pre­sidente della locale Associazione Amici della
Musica “Arturo e Flavio Clementoni”.
Antonio, Valeriano Giannini nasce a Potenza Picena il 14 aprile 1933 da Giusep­
pe, muratore, e da
Giuseppa Sagripanti, casalinga, in Via S. Croce n°
291. L’8 agosto 1970 si sposa a Potenza Picena nella
Collegiata di S. Stefano con la sig.ra Augusta Borroni
e dal loro matrimonio nasce il 10 gennaio 1973 in
Francia, ad Argenteuil, Giovanni (Gianni). Antonio
Giannini ha sempre svolto il mestiere di sarto artigianale. Aveva imparato questa professione frequentando la sartoria di Ferruccio Orselli.
Nel 1957, come tanti altri santesi, in particolare muratori e manovali, emigra in Francia nella zona di
Parigi, a Pontoise, alle dipendenze dell’impresa edile
dei F.lli Pagnanini. L’anno precedente erano stati il
padre Giuseppe e il fratello Pietro, entrambi muratori, ad emigrare. In questa nazione Antonio, partito
come manovale dei muratori, mestiere che svolge
per soli 6 mesi, vi resta fino al 1976, svolgendo successivamente il suo lavoro di sarto presso prestigiose sartorie di Parigi. Riuscirà alla fine a mettersi in
proprio. Il 27 Gennaio del 1976 quando ritorna a
Potenza Picena con la sua famiglia, apre una sartoria
insieme alla moglie Augusta, anche lei valente sarta,
in Piazza Garibaldi.
Al pari del padre Giuseppe, anche Antonio è stato un
appassionato di musica e dell’opera lirica in particolare, proseguendo una lunga tradizionale locale. Ha
fatto parte della Schola Cantorum S. Stefano, diretta
da don Francesco Pallottini. E’ stato uno dei pochi
santesi che fre­quentava lo Sferisterio di Macerata per
la stagione dell’Opera Festival. Nel 1997 è stato tra
i fondatori dell’Associazione degli Amici della Musica, poi successivamente intitolata ai maestri Arturo e
Flavio Clementoni, di­ventandone anche il Presidente
per molti anni. Il primo concerto della nuo­va asso30
ciazione si è tenuto il 6 dicembre ‘97 presso il Teatro
Comunale “Bruno Mugellini” con un concerto per
pianoforte del maestro Lorenzo Di Bella di Civitanova Marche. Tra le tante iniziative ci piace ricordare
“Alma de Tango” in Piazza Matteotti il 13 luglio 2008.
Antonio Giannini, per gli amici oltre che con l’appellativo di “Antò lo sarto”, era conosciuto con quello
di “Salvatorello”, per aver inter­pretato questo ruolo
nella omonima operetta di Soffredini nel 1947 presso
il Teatro “Bruno Mugellini,” con la regia di Azzolino
Clementoni e la direzione musicale di don Francesco
Pallottini. Grande era la sua passione per lo sport,
il ciclismo in particolare. Nella sua sartoria campeggiava una gigantografia del grande Fausto Coppi. È
stato tra i soci e dirigente della locale società ciclistica “Potentia 1945 , socio della sezione dei Veterani
dello Sport “Memo e Peppino Sassetti – Giuseppe
Giacomelli”
Grande appassionato di montagna, è stato tra i fondatori della locale sezione del Cai (Club Alpino Italiano). Era pure socio del Fotoclub di Potenza Picena. Caratteristica di Antonio Giannini l’eleganza nel
vestire, la sua cordialità e disponibilità. Quando lo
andavo a trovare nel suo laboratorio, lui aveva sempre tempo per ascoltarmi e darmi dei consigli con la
sua grande esperienza. Nonostante l’età, 79 anni, era
ancora molto attivo nell’organizzazione delle iniziative degli Amici della Musica, associazione che dal
1997 ha promosso a Potenza Picena la bellezza di
65 concerti. L’ultimo si è tenuto il 23 settembre 2012.
Poco prima che morisse, ero stato a trovarlo nel suo
laboratorio (ancora continuava a lavorare nonostante
l’età e la malattia), per coinvolgerlo in una iniziativa
che lui condivideva. La valorizzazione del maestro
Bruno Mugellini, con l’apposizione di una targa o
di una lapide per ricordare il Palazzo dove il 24 dicembre del 1871 era nato in Piazza Grande (Piazza
Matteotti), a Potenza Picena, cioè il Palazzo Pierandrei, a pochi passi dal Teatro che porta il suo nome*.
Antonio, come al solito mi aveva incoraggiato ad
MUSICA
andare avanti, ga­rantendo il suo sostegno e quello
dell’associazione degli Amici della Musica. Purtroppo
non ha fatto in tempo a vedere concretizzato questo
progetto, ma noi ci impegniamo a portarlo avanti,
anche a suo nome. Potenza Picena con la scomparsa
di Antonio Giannini ha perso un grande santese, un
artigiano testimone della cultura popolare locale, di
cui senti­remo (sentirò) la mancanza.
Nell’ambito del Concorso Internazionale della Fisarmonica di Castelfidardo è stata istituita, a cura
dell’Associazione Amici della Musica “Arturo e Flavio Clementoni” di Potenza Picena, una Borsa di
Studio intitolata ad Antonio Giannini del valore di
euro 300,00 da assegnare ad uno dei vincitori del
Concorso. Per la 38ª Edizione 2013, per la prima volta, è stata assegnata al giovane Lorenzo Bosica di
Villa Bozza di Montefino (TE). Inoltre dal 13 novembre 2013, in occasione del primo anniversario della
morte, la sede dell’Associazione Amici della Musica
in Corso Vittorio Emanuele II n°10 è stata intitolata
dall’Amministrazione Comunale ad Antonio Giannini, come segno di ringraziamento della comunità di
Potenza Picena per tutto quello che ha fatto a favore
della promozione musicale.
Antonio Giannini sulla sella del monte Vettore.
* L’iniziativa si è concretizzata lo scorso mese di novembre.
Concerto di Gervasio Marcosignori per ricordare Romeo Renzi.
Da dx Paolo Tasselli, Antonio Giannini, Giovanni Riccobelli,
Aristodemo Renzi.
Locandina operetta Salvatorello, di Alfredo Soffredini, 1947.
Giannini cantava con Gianfranca Sabbatini
31
MEDICINA
SENTENZA DELLA STORIA:
IL VERO MEDICO È UN DEMOCRATICO
a cura di Franco Magnoni *
Un galateo della professione medica pubblicato 140 anni fa, ma che non ha perso niente della sua
attualità. Tanto da poter servire di certo anche a qualcuno dei nostri medici di oggi
foto dal sito ilbacodaseta.org
L
’ospedale di Osimo ha una piccola ma preziosa biblioteca e ho avuto l’opportunità, in un
mio recente e breve soggiorno, di imbattermi
in un libretto, Il Galateo del Medico, scritto dal
dottor Raffaele Maturi nel 1873. Il Maturi, laureatosi
in medicina presso la Regia Università di Napoli nel
1854, nello stesso anno venne arrestato dalla polizia
borbonica perché sospettato di attività liberale, ma
con l’aiuto del suo maestro Pietro Ramaglia, medico
personale di Ferdinando II, venne messo in libertà. Il
libretto è troppo divertente per non renderne partecipi anche i colleghi. Uno dei capitoletti ha un titolo
intrigante: “Deve il medico occuparsi di politica?”. Ne
colgo qualche stralcio.
32
“Il medico sia un ottimo cittadino. La politica è tanta
parte della vita moderna che viverle straniero non
conviene a nessuno. Non dico che debba il medico
correre a piedi o in carrozza con un giornale fra le
mani; non dico che debba scendere in piazza e riscaldarsi e giudicare a dritto e a rovescio delle istituzioni
e degli uomini; ciò lo priverebbe di quella pubblica
considerazione di cui ha tanto bisogno. Affermo solamente che nei modi, negli atti e nelle parole debba
serbare tale contegno, che tutti il possano giudicare
amante del vero progresso e liberale di cuore. Io
veramente non capisco che un medico possa essere
un retrivo: l’esercizio di nostra professione ci mette
a contatto con tanti mali e tante miserie sociali, che
MEDICINA
non dovrebbe aversi cuore per rimanervi insensibile, e non desiderare e non caldeggiare un governo
libero che intenda davvero a sollevarli. Il medico si aggira e vive in
mezzo al popolo, e pensa come il
popolo; è depositario di suoi dolori e di sue speranze, e anche a
non volerlo diviene democratico
d’indole. E la storia dà somma testimonianza al nostro asserto …
L’abito modesto, il carattere elevato e severo, la parola grave e
temperata, non disgiunti da una
dignitosa grazia nelle maniere, né
da un cuore virilmente affettuoso;
di tutto ciò si compone la urbanità
che al medico sta bene. Pazienza
dunque, senza dar minimo segno
di noia ad ascoltare il racconto che
fa l’infermo dei suoi mali: vi sono
taluni che appena guardato l’infermo e fatte due domande, pigliano l’aria dell’ispirato e ti dicono:
basta, ho capito tutto: credendo
così di mostrarsi profondi nell’arte, si danno a divenire inurbani.
Perché togliere all’infermo l’unica
soddisfazione che nel suo stato
può risentire? Ma è prolisso – pazienza. Ma è noioso – pazienza
ancora; senza contare che tante
malattie si sbagliano per non aver
udito il cicaleccio dell’ammalato.
Principalmente poi l’urbanità sua
sta nel mostrare un viso ilare e
sicuro. Ce ne ha taluno che, per
darsi come valoroso e per avere
maggior compenso, usa la tattica
di atterrire l’infermo e i congiunti:
piglia un’aria meditabonda; contorce il muso, fa tali gesti, tali moti
del corpo che tradotti con parole significano: il caso è grave, ma
io penso. A questo modo sarà un
cerretano, non mai un galantuomo. Si mostri sereno, non mai impacciato e titubante: i suoi giudizi
sieno franchi e recisi…1
La buona reputazione è necessaria ad ogni uomo e molto più a
chi esercita la medicina. E prima
virtù del medico sia la segretezza.
C’era un adagio che dicea doversi i segreti confidarsi solamente al
confessore e al medico, e si ponea
così nella medesima linea la chiesa e la medicina: ora non si ha più
fede nei preti, ad onore dei medici resta immutata la seconda parte del proverbio. Ma non c’è pure
qualche medico che la fa da prete?
E allora i colleghi stessi debbono
essere i primi a levare alta la voce
contro colui, che dimenticando i
suoi doveri, sconosce la nobiltà di
sua professione. E non si dolgano
i viziosi se non vengono richiesti:
al medico bordelliere e sboccato
qual padre volete voi che confidi
il polso di sua moglie e di sua figlia? Sia dunque il medico come
lo voleva Offman: modestus, umanus, et fugiat ceu pestem vitam dissolutam, verba oscena, ebrietatem,
omneque ludum illicitum. …..2
L’educazione scientifica del medico è così lunga, così dispendiosa, e impone così grandi sacrifici,
che l’opera sua dovrebbe ricevere il massimo prezzo. E pure non
è così. Se togli in Italia le grandi
città, dove egli è decorosamente
ricompensato, in alcune provincie e in alcuni piccoli paesi, egli,
a recarsi a zonzo da mane a sera,
guadagna appena di che vivere.
Questo fatto scoraggia, fa mettere
da un canto i libri, e visto che con
le malattie non si vive, procurano
i medici di aprirsi un altro campo donde possano cavare la sussistenza. Ciò contribuisce a non
portarli nella pubblica estimazione. Governo, municipii, cittadini,
vi dico con Lorry: voi non sapete quanto ci costa l’esservi utili….
Fatta eccezione dei poveri, verso i
quali ogni medico conosce appieno i suoi doveri, dico che l’esercizio medico, come lavoro, rientra nelle leggi dell’economia, ed è
giusto che si ottenga un guiderdone ad esso proporzionato. Il medico però non patteggi una cura. Se
altri sconosce il suo dovere, non è
questa una ragione che egli debba sconoscere il suo. Per tutto il
resto, il non esigere decorosa mercede vale offendere la dignità della medicina; essendo pur vero che
una cosa è tanto più nobile per
quanto più si paga. E per chi non
siete certi potervi pagare, abbiate
a mente la massima dell’anatomopatologo Cotugno: non chiedete
ma non rifiutate”3
1 Cerretano può provenire
dal latino cerrìtus, insensato;
per altri dal latino gerræ, da
cui un probabile gerretanus,
chiacchierone.
2 Bordelliere, frequentatore
di bordelli – Friedrich
Hoffman (1660-1742), medico
personale di Federico I di
Prussia: modesto, umano
e che fugga come la peste
la vita dissoluta, l’osceno
eloquio, l’ubriachezza e
ogni gioco illecito.
3 Anne Charles Lorry (17261783), francese, medico
famoso – Domenico Cotugno
(1736-1822),
medico,
pugliese di nascita; gli è
intitolato uno degli ospedali
di Napoli.
* Franco Magnoni, osimano,
è stato primario anestesista
nell’ospedale di Svignano
sul Rubicone, in Romagna.
Vive a Rimini
(articolo g.c. dal Notiziario
dell’Ordine
dei
medici
chirurghi
e degli odontoiatri della
provincia di Rimini - anno
XVI, n. 2/2013).
33
LA NOSTRA TERRA
LA FIERA DEI RICORDI
DELL’AGRICOLTURA
E DELL’ARTIGIANATO CERCA CASA
di Antonio Bartolo
Alla Palestra Diaz un’eccezionale occasione di conoscere vita e tradizioni dei contadini e degli
artigiani d’antan viene regalata ogni anno dall’Associazione AgriArt. Rimane senza risposta, però,
un interrogativo che l’Associazione pone fin dalla nascita: dove sta scritto che Porto Recanati sia
solo spiaggia e mare?
Festa AgriArt - La gente in visita alla mostra nella palestra Diaz
L
’Associazione AgriArt (Agricoltura e
Artigianato) è nata nel 2003; nei primissimi
anni di vita ha creato delle occasioni di
incontro per quanti volevano ricordare le
vecchie usanze, la vita e le attività giornaliere
nelle nostre campagne e nelle botteghe artigiane.
Poi, a partire dal 2004, è stata organizzata
ufficialmente la Festa degli antichi mestieri, giunta
quest’anno all’ottava edizione. Nel primo giorno
di festa, venerdì 13 settembre è stata inaugurata
una mostra di foto in bianco e nero raffiguranti
la vita rurale e artigianale degli anni del secondo
dopoguerra, in qualche caso anche degli anni ’20
e ’30, nel territorio delle basse valli del Potenza
e del Musone. Nel grande locale della Palestra
Diaz è stata allestita pure una mostra di vecchie
moto d’epoca (dagli anni ’30 in qua), con una
dozzina di esemplari, dalla Guzzi Cinquecento
34
al Mosquito, mezzi messi a disposizione per i
tre giorni di esposizione dal sig. Roberto Cenci
di Porto Recanati. Molto particolare l’esposizione
dei modellini di mototrebbiatrici, perfettamente
funzionanti, costruite con grande perizia e amore
da Giuseppe Piccinini.
In un angolo si è potuto illustrare e’ spusarìzziu
de ‘na ‘ò’ (le nozze come avvenivano un
tempo): l’idea è venuta al gruppo delle
donne che collaborano alla vita e alle attività
dell’Associazione: il grande evento del matrimonio
è stato ricostruito minuziosamente così come si
svolgeva negli anni ’30 e ’40. C’erano manichini
vestiti con gli abiti d’epoca delle grandi giornate
(uomini, donne e bambini, ed poi la sposa e
lo sposo ai quali è stata riservata un’attenzione
particolare). Fantastiche le donne di AgriArt; non
si sono fermate lì, ma hanno cercato e trovato (e
LA NOSTRA TERRA
esposto) foto di matrimoni eseguite dal fotografo
Marchetti 50/60 anni fa. Tanto lavoro, dunque,
per un risultato davvero eccellente.
Un altro grande evento del programma di venerdì
13 è stata la presentazione del libro Le undici di
notte e l’aria oscura di Lino Palanca, direttore di
questa Rivista, sui canti popolari del territorio,
canzoni di guerra, di protesta, suj fatti di cronaca
e stornelli, saltarelli, filastrocche etc… Un tema,
come si comprenderà subito, pienamente in
sintonia con la ragione e gli scopi della festa
AgriArt. E infatti abbiamo fatto il pienone
di gente venuta dalle città del circondario
e abbiamo avuto il piacere di contare tra i
presenti anche i carissimi amici riminesi Franco
e Grazia, autrice, quest’ultima, di diversi volumi
di tradizioni marchigiano-romagnole. Introdotta
dal firmatario di questo articolo, l’avvocato Anna
Maria Ragaini ha presentato l’opera alla quale
hanno collaborato in molti, in particolare Luciana
Interlenghi, autrice della copertina e dei disegni
che impreziosiscono il volume (gli originali sono
stati esposti al pubblico) e il gruppo musicale
La Fiumarella, che ha inciso una decina di testi
del volume. La stessa Fiumarella ha tenuto un
apprezzato concerto in serata.
Il giorno dopo, sabato 14, è partito il torneo
di carte di trucco, coordinato dall’Accademia del
Trucco, conclusosi la mattina della domenica. E
abbiamo avuto anche il piacere di essere filmati
da una troupe di Recanati TV, che ha ripreso le
immagini di ogni aspetto della festa e intervistato
tutti coloro che si trovavano impegnati nelle varie
attività, comprese le donne al banco dei dolci
fatti col mosto di uva e a quello delle tagliatelle
e gnocchi fatti a mano. Il saluto alla seconda
giornata è venuto dalla splendida voce di Vittorio
Solazzi, che ha cantato in serata riscuotendo il
solito grande successo.
Il finale della festa, domenica sera, è stato vissuto
in compagnia del gruppo folk La Martinicchia,
ospite da anni di AgriArt, capace di attirare sempre
una gran folla di persone, com’è stato anche in
questa occasione, desiderose di ascoltare i canti
d’allegria e gli stornelli che accompagnavano di
vita contadina.
Quel che fa da sempre molto piacere agli
organizzatori è il consenso manifestato dalla
grande maggioranza dei visitatori: sono curiosi,
chiedono e si informano, e poi si offrono di
collaborare, mettono a disposizione oggetti e
attrezzi dei lavori agricolo-artigianali. Si comincia
a capire che questa roba perde ogni valore se
resta chiusa dentro le case, ma ne acquista assai
se la si mette a disposizione del pubblico.
La risposta che possiamo dare a questa
disponibilità, però, è sempre la stessa, deludente
e ormai anche sconsolante: non disponiamo di
nessuno spazio adatto a ospitare un’esposizione
permanente, anche il molto che abbiamo viene
depositato presso alcune case coloniche; si tratta
di un rifugio temporaneo, in attesa di tempi
migliori, che però non appaiono all’orizzonte.
Perciò l’Associazione ha ripetutamente chiesto
alle amministrazioni comunali che si sono
succedute negli ultimi anni di verificare la
disponibilità di locali perché anche il mondo
contadino e artigianale, parte per niente affatto
secondaria della comunità portorecanatese,
della sua storia sociale, economica e civile,
possa avere lo stesso trattamento riservato a chi
si occupa di attività che hanno a che fare con
la marineria. A Porto Recanati vivevano quasi
duemila contadini prima della meccanizzazione
dell’agricoltura e della grande fuga dai campi
degli anni ’60; e c’erano decine e decine di
artigiani in paese, che lavoravano per il centro
urbano e per la campagna, dipendendo il loro
guadagno anche dalle buone o cattive annate
dell’agricoltura. Nessuno può dimenticarsene.
IN RIQUADRO
L’Associazione Agri Art conta 75 soci, non tutti di
Porto Recanati. È retta da un consiglio direttivo
di undici membri, che esprimono il presidente e
gli altri incarichi. Il suo statuto è regolarmente
registrato. Si tratta di un’Associazione basata sul
volontariato, i cui soci mettono a disposizione
il loro tempo e anche attrezzi e oggetti di loro
proprietà.
La festa annuale è gestita da una trentina di
soci, in particolare donne.
Festa AgriArt - Un angolo suggestivo della mostra AgriArt
35
LA NOSTRA TERRA
VECCHIE MEMORIE,
SUGGESTIONI DEL PASSATO
di Grazia Bravetti - foto di Francesca Magnoni
Davvero una festa di tutti, quella dell’Associazione Agricoltura-Artigianato di Porto Recanati. Anche dei
tanti forestieri che l’hanno visitata. Una di loro ha voluto raccontarci le sue impressioni, che ripropongono
alcuni dei momenti già raccontati da Antonio Bartolo, ma vi aggiungono un tocco di antica dolcezza, la
beccuta dei nostri padri.
S
e ci si fosse trovati a Porto Recanati dal 13 al
15 di Settembre, ci si sarebbe inebriati non di
vino né di mistrà, ma del piacere di una Festa
particolare, ideata dalla Associazione Agri-Art
cioè Agricoltura ed Artigianato, il cui Presidente è il
portorecanatese Antonio Bartolo, che insieme a soci
e collaboratori la organizza e conduce negli ampi
spazi del cortile delle Scuole Elementari e della Palestra Diaz. Tantissimi i partecipanti perchè ricco e
variato il programma, fin dall’inizio, con la presentazione della nuova opera dello scrittore e giornalista
portorecanatese Lino Palanca “Le undici di notte e
l’aria oscura”. L’avvincente titolo apre poi ad antiche
e suadenti memorie di filastrocche, nenie, tiritere,
pasquelle e canti, ben vivi un tempo nelle zone tra
36
Musone e Potenza, e che ora giustamente non sono
da perdere, e proprio di qui l’importanza del libro.
Accanto a questo altre, poi, le suggestioni della Festa, con le diverse mostre di “cose” di una volta: figure ed oggetti dei vecchi mestieri, foto di sposalizi di
paesani di anni fa, le moto di quando si cantava “...
invece di una donna mi prend’una gilera...”. Ma c’era anche, proprio dell’oggi, un inaspettato “Torneo di
trucco” con tanto di premiazione.
E musica e canzoni, diverse secondo le tre serate. Né basta , naturalmente! Infatti dietro un tavolone di ampio spazio, si ammiravano, sorridenti e bravissime,
le “vergare” che con rapidità supersonica facevano
venir fuori con i loro mattarelli meravigliose sfoglie
cui poi ne uscivano le tagliatelle, che andavano via
a ruba, insieme agli gnocchi di patate, altrettanto gustosi.
Distanziati in spazio diverso c’erano anche leccornie tipiche di un tempo passato, quando tutto veniva
fatto nelle case dalle donne della famiglia, e con la
parsimonia dovuta alla miseria. Per la Festa alcuni
dei dolci venivano dalle cucine della vicina campagna ed altri da famiglie del paese, e tutti, appunto,
si rifacevano a vecchie memorie che si riportavano
ai momenti della vendemmia, quando ad un po’ di
mosto si accomunavano i frutti dell’Autunno da cui,
insieme, sarebbero usciti i dolcetti che oggi appaiono
particolari. Qui, per la Festa, mosto e vino erano stati
offerti all’Associazione dalla Fattoria di Santa Cassella
di Potenza Picena, divenuta tra i maggiori artefici del-
LA NOSTRA TERRA
la manifestazione e della sua riuscita; così, chi vi ha
partecipato si è potuto comprare e gustare i Sughetti,
i Biscotti col mosto, la Schiacciata con l’uva. Il tocco
finale è stato dato dal recupero di un vecchio dolce
forse un po’ dimenticato, e ad impegnarsi a ritrovarlo
è stato Fausto Cenci, pasticcere per passione e per
arte, che di sua mano ha fatto rinascere, appunto,
l’antica “Beccuta”, che si faceva, ha raccontato Fausto, quando, in epoca di vendemmia, in una o nell’altra casa dei pescatori, rimaneva nella tavola qualche
pezzo di polenta in più. Unendoli, da un giorno ad
un altro, li si rimpastava, aggiungendovi poi quello
che si trovava in casa e secondo la fantasia e la possibilità della cuoca, appena un po’ di farina di grano in
più, qualche cucchiaino di zucchero, qualche goccia
d’olio, e poi qualche pezzetto di una mela e di una
pera, noci, mandorle e qualche fico, che era proprio
la stagione adatta, e insieme anche un po’ di mosto,
e per alcuni gocce di mistrà. Si finiva con il succo
spremuto di mezzo limone.
Per questo Fausto, che di dolci vecchi e nuovi è raffinato esperto, ci tiene a precisare che la “Beccuta”
fatta da lui quest’anno, non sarà più uguale l’anno
prossimo, così come succedeva nelle case di una volta ove non c’erano né occorrevano ricette scritte, ma
piuttosto serviva il gusto, la capacità e la bravura solo
della cuoca.
D’altra parte variabili e mutevoli sono anche sia l’etimologia che l’ortografia del nome stesso del dolce,
che può indifferentemente chiamarsi con due, ma anche con una sola “c”: da “Beccuta” può trasformarsi
in “Becuta”. Così può modificarsi anche il nome stesso del dolce da paese a paese, per cui, ad esempio,
ad Ancona diventa “Becciata”, nel fanese “Bacut”, in
altre zone “Bettata” o “Beccata”. Ed è in questo modo
che si riesce a comprenderne meglio l’etimologia che
può rifarsi al “beccare” qua e là il dolce, portandogli
via i pezzettini di frutta che vi appaiono in superficie,
una volta cotta, o meglio ricotta la polenta. Fausto sa
fare bei racconti sulla sua vita da pasticcere, ove la
“Beccuta” è veramente il suo “cavallo di battaglia”,
racconti capaci di far gustare il piacere del dolce pur
senza né vederlo né mangiarlo.
Inoltre, ciliegina sulla torta, Fausto è anche poeta, e
per gustare pure almeno una delle sue poesie, basta
leggerla... .
37
LA NOSTRA TERRA
SOPRAVVIVERE ALLE SFIDE
AGGRAPPANDOSI… ALLA TERRA!
di Paola Acciarresi
La rivoluzione economica e culturale proposta dal progetto sugli orti urbani: una moda o una sfida da
vincere o una rivisitazione “etica” delle nostre risorse? L’esperienza sta conquistando anche le Marche.
dal sito www.babel.cospe.org
L
a terra che scorre tra le dita di Miss O’Hara, mentre
giura davanti a Dio che non avrebbe più patito la
fame (una delle scene più famose del film record
d’incassi “Via col Vento” diretto da Victor Fleming
nel 1939 e nato dal romanzo vincitore del Premio Pulitzer
del 1937 di Margaret Mitchell) è l’immagine riemersa dalla
memoria pensando al legame, di sangue e sudore, che
ogni uomo vive con la sua terra.
Una dignità, questa, con la quale si ristabilisce il contatto
quando, abbattuti nell’animo e nel corpo, umiliati dalla
vita e dagli uomini, qualcosa in ogni individuo sprigiona la
forza per continuare a lottare e sperare. Appunto partendo
dalle proprie origini. La citazione potrebbe sembrare forzata, ma l’intensità poetica e simbolica di quel gesto, con
il quale Fleming incollò agli schermi milioni di spettatori
per decenni e in tutto il mondo, è il racconto di una storia
di vita che, con inevitabili aggiustamenti temporali, arriva
fino ad oggi, e alla mia mente. E grazie a quella terra, che
scorre con orgoglio tra le dita, intrisa di valore e rispetto,
ogni uomo riacquista il suo giusto spazio nel mondo, consapevole che la propria impronta sarà riconosciuta dalle
future generazioni.
Un racconto dalle mille sfaccettature, quindi, che tocca
l’ambito sociale, economico e politico e oggi assume una
rinnovata importanza. In “Via col vento” si assaporava la
grandezza dell’amore, la lotta per la sopravvivenza e la
crudeltà della guerra, aspetti questi che nel cinema hanno
38
reso intramontabili numerosi film. E quando accendi la tv
non ti aspetti di ritrovarli trasposti in un semplice documentario; invece eccoli lì, a raccontare di un popolo, dei
nostri giorni, di una “guerra” di un altro genere, quella
contro uno spietato capitalismo o legata alla sfrenata corsa
all’Oro nero. E parla di un Paese, di una comunità che
con orgoglio cerca e trova un modo per rialzarsi dopo “il
picco”. “The power of community: how Cuba survived
peak oil” è tutto questo, dunque,: il racconto di una Cuba
che, messa in ginocchio dal crollo dell’Unione Sovietica
e dalla conseguente riduzione della fornitura di petrolio,
ha visto nei primi anni ‘90 il tracollo della propria economia, del sistema finanziario ed economico che paralizzò
ogni settore, da quello alimentare all’industria, ai trasporti
rovesciando le abitudini di questo popolo che ha pagato
duramente in prima persona una catastrofe fino a quel
momento inimmaginabile. Navigando nel web, numerosi
sono i documenti che raccontano di questo particolare
evento e di come il “Periodo Especial” sia ancora oggi uno
degli esempi più eclatanti e concreti di successo ottenuto
per mezzo di cambiamenti di stili di vita provenienti dal
basso, dalle classi sociali più povere e dalla terra, s’intende. La trasformazione dello stile di vita, quindi, ha interessato tutti i cubani che, fieri della propria agricoltura, hanno affrontato l’urgenza inventandosi un nuovo modo di
sostenersi autogestendo, aiutati da interventi governativi,
trasporti e produzione alimentare. E’ in questo contesto,
LA NOSTRA TERRA
dunque, che nascono a L’Avana i primi esempi di orti urbani destinati alla coltivazione di frutta e verdura. In questi
appezzamenti di terreno, sorti tra le case e nei giardini
privati, hanno preso vita piante di ogni genere coltivate
in pochi metri quadrati e piantate in ogni genere di contenitore che potesse fungere da vaso. La forza di questa
esperienza, dai tratti quasi romantici, ha incentivato inoltre
la diffusione di nuove conoscenze sulle diverse varietà di
coltivazioni riscoprendo per di più l’arcaico rito del baratto. Cuba, dunque, ne è l’esempio più palese, ma la vitalità
che gli orti urbani donano alle città si può riscontrare in
molti angoli del nostro pianeta: dal Brasile a Londra, passando per Berlino fino ad arrivare in Italia. Molte, infatti,
sono ormai le città che nel Bel Paese hanno accolto positivamente questa nuova proposta e hanno avviato diverse
forme di coltivazione e progetti che coinvolgono di volta in volta singoli cittadini, gruppi o istituti scolastici (un
esempio sono le scuole dell’Infanzia e Primarie di Macerata con il progetto “Orto in condotta”), volti appunto alla
riscoperta del legame con il proprio territorio ridonando
vita ad appezzamenti di terreno dimenticati. A proporre
l’iniziativa a livello nazionale è stata “Italia Nostra” che,
con Anci (Associazione dei Comuni d’Italia), Coldiretti e
Fondazione “Campagna Amica”, ha incentivato, stabilendone le specifiche linee guida, privati o enti pubblici, l’avvio di coltivazioni in orti urbani nel rispetto della memoria
storica dei luoghi e di regole etiche dettate dall’Associazione. Da ciò che riporta il sito www.italianostra.org, infatti,
“pur nelle differenti caratterizzazioni geomorfologiche dei
luoghi, si tende a definire una modalità comune in tutta
Italia di come impiantare o conservare un orto, che va inteso nel senso di parco ‘parco culturale’ teso a recuperare
specie in via di estinzione ma anche coltivare prodotti di
uso comune con metodologie scientifiche”. Con la stessa
motivazione, ma non dimenticando l’aspetto più prettamente sociale, solidale e, perché no, anche dagli importanti risvolti economici, diversi Comuni marchigiani (tra
cui Fermo, Jesi e in fase di pianificazione è il progetto
che partirà presumibilmente nel 2014 anche a Recanati)
hanno accolto positivamente l’iniziativa che si è concretizzata, o lo sarà nel breve periodo, attraverso la creazione
di orti urbani utilizzabili dai cittadini. Segno di una svolta
“ambientale” attiva e consapevole verso comportamenti
di fruizione etica dei doni che il nostro Paese dona? Forse
sì. O forse è soltanto una questione di moda e tendenza? Presto per dirlo, ma non troppo presto per affrontare
queste nuove prospettive. In fondo, come sostiene Miss
O’Hara, “domani è un altro giorno” e proprio per questo,
si potrebbe dire, adeguarsi ad un tempo e ad un mondo
che cambia, racchiude la soluzione, forse dai tratti etici,
alla sopravvivenza di fronte alle nuove sfide emergenti.
Per approfondimenti:
http://it.thoughtmaybe.com/the-power-of-communityhow-cuba-survived-peak-oil/
http://orizzontiliquidi.blogspot.it/2013/03/cuba-agricoltura-come-strategia-per-la.html
http://www.growtheplanet.com
http://www.italianostra.org/?page_id=209
dal sito www.donnesulweb.it
dal sito www.buttalapasta.it
39
LA NOSTRA TERRA
ERA IL MAGGIO ODOROSO …
di Mario Mancinelli
L’esplosione della primavera rivestita del colore del sole e del profumo dei fiori, tra ricordi di memorabili
imprese sportive e i campi che tornano a cantare il trionfante splendore della natura.
Civitanova Marche (Anno 1951), nei pressi
di Fontespina, all’altezza del vecchio Liceo
Scientifico “L. Da Vinci”, una macchina delle
“Mille Miglia” sfreccia sulla strada, osservata
con curiosità da un gruppo di spettatori
assiepati ai bordi della strada.
(foto Dal Monte, Civitanova Marche)
“M
aggio vive tra musiche di uccelli”. E’ il
mese delle rose che
più di ogni altro fiore rappresentano la bellezza dei giardini. E’ il mese delle temperature piacevolmente calde. La grandezza del
proprio splendore è nella natura fiorita che raggiunge in Primavera la sua
massima esplosione. In campagna,
ragazzi e ragazze cantavano e queste
ultime si mettevano i fiori nei capelli
che rappresentavano la bellezza della
stagione e l’augurio di prosperità: …
Se torna maggio, e ramoscelli e suoni/
van gli amanti recando alle fanciulle…” (G. Leopardi, Le ricordanze). I
campi erano baciati dai raggi del sole
che inondava con la sua luce il grano
e l’erba ondeggianti al soffio del ven40to caldo che accarezzava l’erba nei
campi e portava dal mare un profumo
salmastro. La brezza sembrava quasi
che si depositasse sugli alberi e sui
fiori di ogni specie e di ogni colore. Il
primo maggio è rimasto tuttora la Festa dei lavoratori. I cortei attraversano
vie e piazze di tutti i paesi. Le bandiere garriscono al vento. I contadini,
nelle campagne, zappavano i campi
seminati per togliere la gramigna,
un’erba infestante che più se ne toglieva, più ne nasceva. I terreni venivano concimati. Si seminavano anche
ortaggi tardivi, si dava il verderame
alle viti, operazione che durava, anche se in periodi diversi, fino alla fine
di luglio. Si festeggiava e si festeggia
anche oggi la festa della mamma, l’8
maggio, in segno di gratitudine verso
chi ci ha dato la vita. Quando scendeva la sera, era bello guardare il volo
delle lucciole, che, volteggiando per
la campagna e sulle siepi, punteggiavano di lucine il buio della notte. Da
un boschetto lontano si sentivano il
gorgheggio ed i trilli di un usignolo che, a gola spiegata, cantava fino
all’alba. In questo mese magico, terminata la guerra, partivano da Brescia
ed arrivavano fino a Pescara i bolidi
della strada. Era la corsa delle “Millemiglia”. Nel 1957, ultima edizione della corsa, sospesa per i gravi incidenti
di quell’anno, la “Millemiglia” seguiva
questo percorso: Brescia - Desenzano
sul Garda-Peschiera del Garda-Verona
- Vicenza-Padova -Monselice-Rovigo
– Ferrara - Ravenna-Forlì - CesenaRimini – Pesaro – Fano – Senigallia
– Ancona - Porto Civitanova - S. Benedetto del Tronto-Giulianova-Pescara-Chieti scalo – Popoli - L’Aquila –
LA NOSTRA TERRA
Antrodoco – Rieti – Roma - Madonna
di Bracciano-Monterosi – Vetralla –
Viterbo – Bolsena – Radicofani - San
Quirico D’Orcia – Siena - PoggibonsiSan Casciano – Firenze - Passo della
Futa - Passo della Raticosa – Bologna
– Modena - Reggio Emilia – Parma
– Piacenza – Cremona – Mantova –
Montichiari - Brescia. Le città marchigiane della costa vennero toccate dalla corsa, a partire dalla edizione del
1949, ed il percorso, nel dopoguerra,
rimase sostanzialmente invariato negli
anni, tranne per l’edizione del 1954
nella quale venne inserita la città di
Mantova per onorare la memoria di
Tazio Nuvolari, che era appunto nato
nella città virgiliana. Noi ragazzi andavamo lungo la strada per guardare ed applaudire i campioni del volante. Le macchine ruggivano come
leoni e mordevano quasi la strada,
soprattutto le rosse dell’Alfa Romeo.
Sempre nello stesso mese passava il
Giro d’Italia, la corsa ciclistica a tappe che richiamava lungo il percorso
tanti tifosi. Si dividevano tra Coppi e
Bartali. Si rubava un’ora di tempo per
vedere passare il giro e quella corsa
rimaneva per tanto tempo bene impressa nella nostra mente. La sera si
andava a sentire le notizie da qualche
vicino che aveva la radio ed in questo
modo venivamo a sapere chi aveva
vinto la tappa del giorno. Terminato il
giro d’Italia, iniziava il Tour de France ed anche su questa corsa a tappe
eravamo sempre aggiornati. Le bietole messe nei campi chiedevano una
cura particolare. Si entrava allora sul
terreno per iniziare l’operazione detta
in dialetto “lo sderadì”; consisteva nel
diradare le piantine, si sradicavano le
bietole piccole, lasciando quelle più
grandicelle in modo che venissero su
più rigogliose. Si faceva poi il primo
taglio del fieno che mandava un forte
profumo. Il fieno lasciato ad essiccare
per alcuni giorni, veniva poi portato
negli spazi antistanti la casa colonica
per fare il pagliaio. Sarebbe servito
come alimento base per gli animali
nei lunghi mesi invernali. I contadini
guardavano il cielo e facevano le loro
previsioni, osservando come si muo-
vevano le nuvole e come soffiavano i
venti. Oggi, questa cultura è completamente scomparsa, ci si affida solo
ai bollettini meteorologici. I contadini
erano poveri, ma felici. Lavoravano
all’aria aperta ed erano soliti cantare
anche per alleviare le fatiche che erano soprattutto manuali. Sull’aia, a sera
tarda, bastava il suono dell’organetto
per ballare a piedi scalzi il saltarello, il
tipico ballo marchigiano, in voga fino
agli anni cinquanta del secolo scorso. Verso la metà del mese iniziava la
mondatura del grano, lo si “monnava”, si toglievano tutte quelle erbacce
che potevano ostacolarne la crescita:
papaveri, avena, veccia, spigarola.
L’erba raccolta veniva portata a casa
per darla da mangiare alle mucche
nelle stalle. Bisognava fare molta attenzione quando si attraversavano i
campi di grano. Non si doveva pestarne le pianticelle. La spiga colma
di chicchi di grano era la ricchezza
e fonte di reddito per la famiglia. Il
grano portato al mulino dava la farina
necessaria per fare il pane.
Una delle più celebri foto della storia dello sport
41
GUERRA
CHI PER LA PATRIA MUOR…
di Elio Camilletti - lp
La lunga ricerca della tomba dello zio Attilio, morto nel febbraio 1941 a Scialesit, sul fronte greco-albanese.
Elio Camilletti racconta un’odissea che è toccata a migliaia di famiglie italiane, ormai senza più speranza
di versare un giorno una lacrima sopra una tomba certa.
L
’ultima offensiva dell’esercito ellenico lanciata contro gli invasori italiani nella sciagurata guerra di Grecia, ebbe luogo nel febbraio
1941 ed visse uno dei suoi momenti decisivi
negli scontri del monte Scialesit. Siamo nell’Albania
meridionale, nei pressi del confine greco e in quella
zona è impegnato il 13° Rgt fanteria Pinerolo, della
divisione omonima, al comando del colonnello Dante Ferrara. Freddo intenso, assalti alla baionetta, corpo a corpo nelle nebbie costanti di quel luogo: un
inferno dove perdono la vita tanti soldati italiani. La
posizione viene tenuta e il nemico non passa, ma
tanti dei nostri non faranno più ritorno a casa.
Tra loro, mio zio Attilio Camilletti, nato a Porto Recanati il 20 febbraio 1915 da Pasquale e Teresa Doffo,
di famiglie contadine. La sua vita era trascorsa su un
terreno di proprietà della Santa Casa di Loreto, nella
piana di Scossici; aiutava suo padre nei lavori agricoli e cercava di perfezionare sempre di più le sue
conoscenze in materia. Tanto che nel 1933 aveva frequentato un corso di istruzione professionale istituito
dalla Cattedra Ambulante di Agricoltura con esito che
il direttore della Cattedra e l’istruttore del corso definivano ottimo nel diploma rilasciatogli.
Aveva prestato servizio militare in sanità, nel 157°
rgt di fanteria Liguria, di stanza a Genova, e tornò a
casa nel ‘37 con un certificato di tiratore scelto ottenuto l’anno prima, e con eccellenti risultati, secondo
la certificazione del colonnello comandante Manlio
Mora.
Il 17 novembre del 1940 sposò Enrica Bilò, che dovette lasciare dopo soli otto giorni perché chiamato
a rivestire la divisa nel 13° Pinerolo, con il grado
di caporale. Teresa, la madre dello sposo manifestò
subito le sue perplessità per la scelta di quel giorno,
il 17: da noi è considerato numero sfortunato, tanto
che nel gioco della tombola, quando viene estratto
42
è regolarmente definito “la disgrazia”. E la disgrazia
venne: l’ultima notizia di Attilio la portarono i regi
carabinieri, che si presentarono a Scossicci per annunciare alla famiglia che Attilio era morto l’8 febbraio, nella battaglia dello Scialesit, insieme a tanti altri
giovani commilitoni. Dolore e disperazione: in più,
nessuno sapeva dove fosse sepolto Attilio, per lunghi
anni si aspettò invano che qualcuno lo comunicasse
ai familiari.
Nel 1990 mi sono messo decisamente alla ricerca,
conclusa, tristemente, nel 2011, ventuno anni dopo.
Un calvario percorso da decine di migliaia di famiglie italiane, che hanno perso i loro cari nei fronti di
guerra regalati dal fascismo agli italiani.
Bari, Sacrario dei Caduti d’oltremare
GUERRA
Nel gennaio 1990, capìto che la sola attesa sarebbe
stata del tutto vana, mi misi decisamente alla ricerca
della salma di mio zio. Il giorno 22 scrissi dunque al
comitato provinciale dell’Associazione Nazionale dei
familiari dei Caduti e Dispersi in guerra. Saputo che
la salma era stata tumulata a Scialesit, ne chiesi la traslazione a Porto Recanati. Nel marzo venne interessato il presidente nazionale dell’Associazione, Dante
Lattanzi, che si rivolse al Commissariato generale per
le onoranze ai Caduti, al quale domandò informazioni sul luogo di sepoltura di Attilio.
Seguì un lungo periodo in cui la pratica non fece
passi in avanti. Finché, nel maggio 2001, riuscii a parlare per telefono con un dirigente del Commissariato
Generale per le onoranze funebri ai Caduti di guerra
il quale mi invitò a contattare il Ministero della Difesa
e fare richiesta per le ricerche del caso.
Tra sollecitazioni e lunghi silenzi, arriviamo al 4 settembre 2004, giorno in cui ho scritto al Commissariato generale succitato, presso il ministero della Difesa,
comunicando il risultato di alcune mie ricerche svolte al Sacrario dei Caduti d’oltremare di Bari, risultato
che era sempre il solito e cioè che si sapeva solo
che Attilio era sepolto in luogo ignoto in Albania.
Il 28 settembre mi risponde il generale di C.A. Bruno Scandone, commissario generale, e finalmente la
nebbia si dirada: In merito a quanto richiesto con
la lettera in riferimento, si conferma che il caduto
Caporale Camilletti Attilio è deceduto l’8 febbraio
1941 in Albania, a Shalesi ed è stato sepolto nel locale cimitero. Al riguardo si rende noto che questo
Commissariato Generale, a suo tempo, ha curato la
ricerca ed il recupero dei Militari italiani deceduti
in territorio albanese. In merito è da tenere presente
che all’atto delle esumazioni molti Resti non furono
identificati per assoluta mancanza di elementi idonei al riconoscimento, in particolare nella zona di
Shalesi, dove si erano verificate frane e smottamenti del terreno. Tutte le Spoglie esumate, identificate o
meno, furono rimpatriate e consegnate ai congiunti
o inumate definitivamente nel Sacrario Militare dei
Caduti d’Oltremare di Bari, ove non è da escludere
che, tra le migliaia di Ignoti, riposino anche quelle
del Caporale Camilletti Attilio.
Un risultato meschino, dopo quattordici anni di ricerche. Sette anni dovranno ancora passare; il 7 marzo
2011 il Commissariato comunicò che a Bari erano
stati identificati i resti di 30 deceduti, compreso lo zio
Attilio. Finalmente.
Attilio Camilletti e la sua sposa, Enrica Bilò
Attilio Camilletti tra i suoi familiari
43
RECENSIONI
LA RIVOLUZIONE DI FABRIANO
di Vincenzo Oliveri
E
’ il prodotto… tecnologico che ha superato confini
geografici e sconvolgimenti sociali senza arretrare di
un passo nei suoi impieghi, anzi,
accrescendoli. E’ finito nelle mani
del grande compositore di musica,
come in quelle del mercante. E’ servito per tramandare gli eventi della storia, piccola o grande che sia,
come per far conoscere le infinite
dimensioni del pensiero. Parliamo
della carta, in particolare di quella
che da secoli esce dalle cartiere di
Fabriano.
Ad essa è dedicato “Cotone, conigli
e invisibili segni d’acqua” (Corraini
Edizioni, pagg. 144, euro 29,50), volume che racconta i passaggi principali dei 750 anni di storia della
produzione di carta nella cittadina
che, a buon diritto, rappresenta un
simbolo della capacità manifatturiera e imprenditoriale non solo delle Marche, ma di tutta quella Italia
dove il coraggio e la volontà sono
stati i propulsori del progresso, dello sviluppo diffuso. Il volume, curato magistralmente da Chiara Medioli, delinea un itinerario che prende
le mosse dal 1264, dalle pagine di
un registro del Comune di Matelica nelle quali un notaio elenca gli
articoli di cancelleria d’acquistare. Tra questi ci sono le risme di
“carta bambagina”, che arriva dalla
vicina cittadina sulle rive del fiume
Giano. Significativo il titolo del primo capitolo: l’invenzione cinese, il
viaggio degli arabi, la rivoluzione di
Fabriano. Tappe di un percorso che
proprio a Fabriano ha conosciuto i
contorni dell’impresa, nella quale
si sono fuse creatività, tecnologia
e innovazione, consacrate dalla nascita, nel 1326, della corporazione
dei cartai (oggi Pia Università dei
Cartai) ed esaltate dalle tre idee vin44
centi introdotte nel processo produttivo: la pila a magli multipli, la
gelatina animale come collante, la
filigrana. Quest’ultima una peculiarità che ha aperto la strada alle carte
usate per banconote, valori bollati,
titoli bancari, ma anche per i fogli
sui quali Beethoven scrisse l’Opera
96 per violino e piano. Da quella
filigrana sottostante il pentagramma,
gli studiosi hanno ricavato la sigla
PM, cioè le iniziali di Pietro Miliani,
capostipite dei cartai fabrianesi.
Innumerevoli comunque le curiosità , le notizie, le informazioni che
è possibile ritrovare nel volume,
compresi i nomi dei personaggi
famosi che, nell’arco di sette secoli
e mezzo, si sono serviti delle carte
fabrianesi. Detto di Beethoven, non
mancano Michelangelo Buonarroti,
il “principe dei tipografi” Giambattista Bodoni, Giuseppe Garibaldi, Federico Fellini, Bruno Munari, Enzo
Cucchi e altri ancora.
C’è poi una particolarità che rende “Cotone, conigli e invisibili segni d’acqua” un volume veramente
unico ed esteticamente affascinante:
è composto da otto tipi di carta diversi, tutti elencati con la loro denominazione e le caratteristiche tecniche che permettono al lettore di
comprenderne le differenze, pagina
dopo pagina.
Senza dimenticare che, se qualcuno
volesse tentare la strada del “mastro
cartaio”, può trovare i suggerimenti
per iniziare l’avventura, compreso
l’elenco degli strumenti irrinunciabili per fare di un angolo della
propria casa una piccola cartiera artigianale.
Il libro curato da Chiara Medioli non
è di quelli destinati a impolverarsi
sugli scaffali di una libreria o in un
angolo della scrivania, ma ad essere
preso e ripreso, con la certezza che
ogni volta si potrà scoprire un particolare, un nome, una data sfuggiti la
volta precedente. Pagine dalle quali
traspare l’orgoglio di una storia imprenditoriale che rappresenta l’identità di una città e del suo territorio,
dove le cartiere hanno sempre costituito un punto di riferimento della
vita sociale, soprattutto nei passaggi più difficili e restano patrimonio
irrinunciabile da salvaguardare ad
ogni costo. Un libro anche solo da
sfogliare per il piacere di averlo tra
le mani, per sentire l’odore di quello
strumento di cultura e comunicazione che da settecentocinquanta anni
corre sulle rotte del mondo: la carta
di Fabriano.
Cotone, conigli e invisibili segni
d’acqua
a cura di Chiara Medioli
Mantova, Corraini edizioni, 2013
pp. 144, euro 29,50
RECENSIONI
NON SOLO TEATRO AL MUGELLINI
di Eleonora Stortoni
S
i diversifica l’attività del teatro Bruno Mugellini di Potenza Picena quale residenza teatrale,
non solo spazio di spettacolo e di laboratorio,
ma anche una sorta di agorà all’interno della quale dibattere e, nel caso specifico, rivivere una
fase del territorio marchigiano attraverso la voce di
un esperto e appassionato di tradizioni delle Marche.
Stiamo parlando della Marche del ‘900, raccontata in
un libro, “Le undici di notte e l’aria oscura”, che Lino
Palanca, autore dell’opera, e l’associazione culturale
lo Specchio hanno presentato sabato 23 novembre,
al teatro Mugellini. Il Teatro Mugellini, gioiello marchigiano inaugurato nel 1862, con la sua bellezza ha
facilitato a coinvolgere il pubblico rendendolo attento e silenzioso. Si perché sabato c’è stato un pubblico speciale, i ragazzi della Scuole Medie di Potenza
Picena.
L’ Assessore alla Cultura Andrea Bovari rivolgendosi ai giovani studenti ha sottolineato il fatto che la
memoria storica e le tradizioni ci donano un sapere
denso di cultura e di conoscenze e riappropriarsi di
questo patrimonio deve essere il processo attraverso
cui la comunità locale prende coscienza di se stessa
e proprio a partire dalle proprie radici iniziare a ridisegnare il proprio futuro. Un’ emozionato Lino Palanca di fronte ad un pubblico così giovane parla dei
canti popolari, degli stornelli, delle ninne nanne che
lui stesso ha raccolto in un volume indagando, facendosi raccontare dagli anziani ciò che erano soliti
cantare durante le feste o prima di andare a dormire.
Lino Palanca rivolgendosi ai ragazzi ha evidenziato
un aspetto importante:” Conoscere significa rendersi
conto”. Riscoprire la storia di un popolo attraverso
le tradizioni, la lingua, i costumi, il modo di concepire il lavoro e di vivere gli avvenimenti centrali
dell’esistenza, è il filo conduttore de “ Le undici di
notte e l’aria oscura “. Un lavoro di ricerca che invita
ad avere attenzione e cura del patrimonio culturale del territorio marchigiano e della sua gente, nella
consapevolezza che il passato sia supporto utile del
vivere presente e fonte di insegnamenti morali. Un
tuffo nella microstoria per riscoprire la propria identità culturale, la straordinarietà della vita quotidiana
e i valori della famiglia, per ricordare i detti e le credenze che accompagnavano l’infanzia, nonostante
il tempo e il progresso sembrino far dimenticare le
tracce di vita dei nostri progenitori. La presentazione
del libro si è avvalsa delle letture
dell’ attore potentino Giuliano Mennecozzi, con interventi musicali di Marco Sonaglia e del Maestro
Giuliano Stacchiotti di Ars Live. Molto gradito e commovente l’intervento di Anna Donati, pittrice, figlia
dello scrittore e poeta potentino Severino Donati. Sul
fondo del palco sono stati proiettati alcuni dei disegni di Luciana Interlenghi presenti nel volume.
Anna Donati, figlia di Severino Donati - foto Enrico Lelli
Da sx a dx - Luciana Interlenghi, Vanni Semplici, Giorgio Corvatta,
Emanuela Stortoni e l’assessore Andrea Bovari - foto di Enrico Lelli
45
ARTE
A RECANATI
LA CULTURA SI DECLINA AL PLURALE
Intervista raccolta da Eleonora Tiseni
Alla vigilia dell’inaugurazione del “Museo dell’emigrazione marchigiana nel mondo”, abbiamo
incontrato Andrea Marinelli, assessore alle Culture di Recanati. E’ stata l’occasione per
provare a tracciare un bilancio dei cinque anni di attività amministrativa.
L’assessore Marinelli
M
arinelli,
siamo
abituati a parlare di cultura al
singolare: come è
nata, invece, la scelta di declinare l’assessorato al plurale?
Penso che il sindaco Fiordomo
abbia tratto ispirazione dall’esperienza fiorentina, e non so se
l’esempio sia stato seguito da altre realtà italiane. La volontà era
quella di dare un riflesso multiplo alla dimensione “cultura” in
un mondo sempre più multietni-
46
co e multiculturale, dove le sensibilità si moltiplicano. Oltre a
continuare a insistere sulla figura
del grande poeta, pensatore e filosofo romantico Giacomo Leopardi – al quale l’offerta culturale
era legata in maniera quasi esclusiva -, era opportuno cominciare
a lavorare in maniera intensa su
altri aspetti: uno su tutti, la presenza in città dei capolavori di
Lorenzo Lotto. Da questo punto
di vista, un lavoro importante ha
coinvolto il Museo Villa Collore-
do Mels, oggi uno dei più visitati
della regione.
Uno scrigno che custodisce
preziosi tesori dell’arte italiana…
La struttura museale è stata totalmente recuperata. All’inizio del
mio mandato c’era un solo piano funzionante, l’attuale seminterrato era usato come deposito,
mentre il piano terra era sfruttato
da una mostra permanente che
bloccava gli allestimenti contemporanei. Grazie ad un’efficace
ARTE
attività di mediazione con il Ministero, siamo riusciti a realizzare un’impresa straordinaria: il restauro – gratuito per le casse cittadine - delle due
opere lottesche, “La Trasfigurazione” e “Il Polittico
di San Domenico”. L’intervento, atteso da quasi
quattrocento anni, ha restituito il loro splendore
originario, in particolare la lucentezza e la vivacità
dei colori del Polittico così come l’artista rinascimentale li aveva concepiti. Sono emersi, inoltre,
alcuni sfondi sconosciuti, si riconosce l’allontanarsi
dei Lanzichenecchi e altri particolari inediti: l’opera, già di una valenza narrativa straordinaria, ha
rivelato ulteriori elementi che hanno accresciuto la
sua potenza evocativa.
Da dicembre, Villa Colloredo ospiterà un’altra importante attrazione storico-culturale…
Recanati è stata scelta come sede del Museo dell’emigrazione marchigiana nel mondo, all’interno del
quale sarà rappresentata l’esperienza migratoria
nel suo complesso. L’allestimento, realizzato dalla ETT, la stessa ditta che ha progettato il Museo
del Mare di Genova, esprime originalità, modernità e sfrutta le potenzialità del multimediale, con
suggestivi effetti video. Il contesto della vita nella
miniera è stato ricreato sfruttando una delle grotte
che attraversano il sottosuolo della città, e abbiamo ricostruito lo scenario del treno in viaggio con
i “finestrini parlanti” che racconteranno, in modo
appunto multimediale, le esperienze dei marchigiani che in passato hanno scelto coraggiosamente
di partire per cercare futuro in Argentina, in Nord
e Sud America, o in Australia. Al piano superiore,
inoltre, sarà allestito un archivio e un centro di
documentazione che raccoglierà tutto il materiale
legato al fenomeno: da mesi stiamo ricevendo fotografie e documenti da ogni parte del mondo, e
l’obiettivo è quello di realizzare una banca dati, un
“dizionario dell’emigrazione” che permetta di fare
ricerca e di digitalizzare gli elementi utili a rintracciare congiunti e antenati.
Alla luce di quanto detto finora, qual è stata,
la cifra della sua azione amministrativa?
La politica culturale realizzata in questi anni è stata tesa a costruire reti e relazioni a tutti i livelli:
internazionale, ministeriale, regionale e provinciale. Questa esperienza di concertazione, che prima
non esisteva, ha permesso di risparmiare risorse
e ridurre le spese - perché gli investimenti sono
stati spalmati su più ambiti senza ricadere soltanto
sulle spalle dell’amministrazione - senza diminuire
il valore e l’offerta culturale, anzi, forse accrescendoli. Non solo, questo approccio ha fatto sì che si
potessero sviluppare nel tempo progetti legati l’uno all’altro, come in un circolo virtuoso. Il film “Il
giovane favoloso” di Mario Martone, girato in gran
parte a Recanati, ad esempio, ha avuto origine dal
primo progetto internazionale che abbiamo realizzato, “Leopardi Tolstoj”, che ha messo in relazione
non solo Recanati e Jasnaja Poljana, le città sedi
dei due grandi romantici, ma anche Recanati e Mosca. All’epoca, avevo cercato Martone per portarlo
a Recanati con le sue Operette morali, e allo stesso
tempo ho suggerito ai tavoli regionali di invitare il
regista a diventare il simbolo della nostra missione
in Russia, perché poteva portare, con la sua arte,
la figura di Leopardi all’ombra del Cremlino. L’operazione è andata felicemente in porto: Martone
è diventato amico della città, dove ha presentato
con un allestimento indimenticabile “Le Operette
morali” in anteprima nazionale, ed è partito per
la Russia come ambasciatore delle Marche. L’idea
di realizzare il film che uscirà nel 2014 è nata proprio in quell’occasione, durante un colloquio con
il dirigente Raimondo Orsetti: niente succede per
caso, i grandi progetti sono il frutto di un percorso
anch’esso declinato al plurale.
47
ARTE
NON SONO
COME UN VECCHIO SCARPONE
di Nikla Cingolani - foto dell’autrice
Opere d’arte misconosciute e dimenticate. Lode a chi si fa carico di riabilitarle agli occhi di un pubblico
che ha diritto di non essere privato della bellezza che si è prodotta nel proprio territorio.
L
o scorso 2 novembre, giorno della commemorazione dei morti, presso il teatrino
dell’I.R.C.E.R. (teatrino dell’Assunta) di Recanati, è stata celebrata una Messa da mons.
Pietro Spernanzoni, Vicario del Vescovo, a suffragio
dei benefattori, degli ospiti, dei dipendenti e degli
amministratori defunti.
“Nell’occasione – aveva anticipato in un comunicato stampa il dott. Sergio Beccacece, presidente della
Fondazione I.R.C.E.R., che puntualmente ci offre interessanti sorprese e opere d’arte da poter ammirare -, nell’ambito della valorizzazione del patrimonio
artistico e storico perseguita dal c.d.a., verranno di
nuovo esposti al pubblico, dopo tanti anni di oblio
nei magazzini della Fondazione, un antico e pregiato crocifisso, un dipinto di Maria Assunta, meritevole
di un urgente restauro e il ritratto della benefattrice
Dolores Carancini, eseguito dal Peruzzi”.
Il magnifico crocefisso processionale (h. 212 cm.),
trovato in uno dei locali adibiti a magazzino, è in
legno rivestito d’argento con particolari in oro. Come
ha osservato lo studioso don Giovanni Simonetti,
l’oggetto risale alla fine del Seicento o inizio Settecento per via degli intarsi dorati, in alto e ai lati della
croce.
Il quadro di Maria Assunta (cm. 155 x cm. 126), un
olio su tela di cui non si ha una precisa datazione,
è particolare per via della forma ottagonale, simbolo
della resurrezione e della mediazione tra la Terra e
il Cielo. Contornato da una preziosa cornice in legno con rilievi dorati ad ogni angolo, evidenzia i
danni sulla superficie pittorica, soprattutto sul viso e
alla base del dipinto, per cui sarebbe necessario l’immediato restauro. Sempre don Giovanni lo ricorda
48
ARTE
esposto all’ingresso dell’istituto di Via XX settembre
prima dell’ultima ristrutturazione dell’edificio inaugurato nel 2004.
L’altra opera è il ritratto di Dolores Carancini (olio su
tela, cm. 108 x cm. 88) eseguito da Cesare Peruzzi. Il
pittore ha immortalato la dama in abito scuro su cui
spiccano due fili di perle che risaltano il sobrio ed
elegante portamento. La signora siede con le braccia
morbidamente appoggiate al bracciolo in una posa
regale, a rappresentazione del suo nobile animo. La
benefattrice volle costruire a sue spese l’asilo di Castelnuovo per donarlo ai bambini poveri e dedicarlo
alla memoria di suo nipote, il tenente Mario Gaetano
Carancini, Pilota d’Aviazione, deceduto il 21 dicembre 1940, a soli 26 anni, nel cielo albanese. Anche
di lui l’IRCER possiede il ritratto, sempre ad opera
di Peruzzi, raffigurato in blusa bianca mentre mostra
uno splendido sorriso. Da questo particolare affiora
tutta la vitalità di un giovane che ha speranza nel
futuro, tuttavia sopra di lui volano degli areoplani
come inquietanti presagi. Il punctum del quadro è
il lungo foulard annodato al collo, di un bel colore
rosso vivo, a simbolo della forza di questo soldato,
ricordandone altresì il sacrificio.
Entrambi i ritratti erano collocati presso l’ex asilo Carancini ormai chiuso da diversi anni. Due anni fa,
sempre l’Istituto ha ristrutturato e messo in sicurezza
il giardino, reso così disponibile per le famiglie del
rione. Un gesto significativo per non dimenticare chi
ha fatto del bene alla comunità e riqualificare un angolo cittadino.
Così l’IRCER dimostra ancora una volta di essere vigile custode di oggetti preziosi e di conservare nel
tempo la volontà di riportare all’attenzione pubblica
tanti altri interessanti materiali.
Crocifisso
Dolores Carancini
49
LETTERATURA
CON LA MIA PENNA
HO CANTATO LA PATRIA …
I Santesi weblog
Arturo Sardini, poeta, letterato e pluriaccademico, titolare di premi e riconoscimenti di grande prestigio,
figlio acquisito di Potenza Picena. Ci manca.
I
l prof. Arturo Sardini nasce a Montappone il
giorno 25 ottobre del 1934 da Giuseppe e Angela Maria Bellabarba. Sesto di 8 figli (Amedeo,
Rosa, Renato, Luciana, Sara, Rita e Marcella),
frequenta le scuole locali di Montappone. Agli inizi
degli anni Cinquanta si trasferisce con la sua famiglia in Argentina, dove si diploma in pianoforte al
Conservatorio Musical Santa Cecilia di Buenos Aires.
Ritornato in Italia, frequenta l’Istituto Magistrale “Luigi Mercantini” di Ripatransone e successivamente si
laurea in Lettere e Pedagogia presso l’Università di
Urbino. Insegna Lettere e Filosofia negli Istituti Superiori di diverse città delle Marche e d’Italia. Il 26
Novembre del 1967 si sposa con la sig.ra Raffaella
Sasso nella Chiesa di S. Claudio di Corridonia e dal
loro matrimonio nasce il 15 novembre 1968 Angelo Mario. Dal 22 Maggio del 1974 si trasferisce definitivamente a Potenza Picena, dove insegna nella
locale Scuola Media e nella nostra città fino al 10
Giugno 2012, giorno del decesso presso la Clinica
“Villa dei Pini” di Civitanova Marche. Nonostante si
allontani per diverse vicende da Montappone, rimane sempre legato alla sua terra d’origine, ricordata
non solo con le frequenti visite, ma anche nei sui
versi. La città di Montappone il giorno 16 Luglio del
2000 gli conferisce la cittadinanza onoraria. Durante
la sua vita il prof. Arturo Sardini ha avuto rapporti epistolari con alte personalità della Cultura, della
Chiesa e della Politica. Ha scritto e pubblicato oltre
3.800 sonetti. Può vantare una notevole quantità di
titoli accademici tra cui: Accademia Universale Guglielmo Marconi - Roma (1978); Accademia Tiberina
- Roma (1979); International Academy Of Sciences
And Arts - United Nations Unesco N.G.O. - New York
(1980); Accademia Internazionale di S.Marco (1980);
Accademia delle Scienze di Roma (1981); Accademia
Teatina Per le Scienze – Chieti (1984); Accademia
50
Arturo Sardini con Ernesto Sabato,
un grande della letteratura argentina
Toscana Il Macchiavello; C.D.A.P. Gela; Accademico Benemerito Centro Culturale, Letterario e Artistico
Portoghese; “Pioniere della Cultura Europea”. Inoltre
ha ricevuto notevoli premi di poesia: “Gli allori di
Pompei” (Parlamento Europeo); Il Temerario-Città di
Cassino (1977), La Scarpina d’Oro (1977) Città di Vigevano; TelEuropa (1979); Seleroma (1980); Giusep-
LETTERATURA
pe Ungaretti-Accademia Internazionale di S. Marco
(1981); Il Gran Sigillo d’Oro Dei Dioscuri - Taranto
(1983); Primo Parlamento Europeo; Accademia Ligure Apuana; Publio Virgilio Marone (1981); Eugenio
Montale (1982); Salvatore Quasimodo (1983); Alessandro Manzoni (1985); Giacomo Leopardi (1987);
Donatello (1987). Sono versi i suoi non più usuali
ai nostri tempi e che rispecchiano una realtà vissuta,
tradizioni del passato e situazioni del presente. È’
grazie a queste considerazioni che nel 1977 gli venne assegnato, su 997 concorrenti, il secondo premio
all’11° Concorso Internazionale di poesia organizzato
dalla Columbian Academy di St. Louis (USA). È stato scritto di lui: “La sua poesia è soffusa di delicate
immagini che penetrano lo spirito e lo ritemprano e
di una armonia classica che ci riporta ad assaporare
le bellezze del verso in contenuti di alta umanità”. I
suoi sonetti sono stati pubblicati nelle seguenti pubblicazioni e testi: Ceccardiana ‘82 - Ceccardiana ‘86
- Ceccardiana ‘87 – Accademia Ligure Apuana “Ceccardo Roccatagliata Ceccardi”, ed. Zappa, Sarzana;
Antologia della Poesia dedicata alla Mamma, Antonio
Carello Editore, Catanzaro 1980; Cupra e la Val Menocchia, mensile di vita e di cultura, Cupra Marittima; Cronache, periodico mensile, Cooperativa 2020,
Civitanova Marche, Febbraio 1992, n°I pp. 26-27; Il
Museo e la Memoria, Museo della Civiltà Contadina
ed Artigiana di Ripatransone, G. Maroni Editore, Ripatransone 1995, pp. 85,86,87; Poeti e Narratori a Vigevano, Edizione Letteraria Comunità Europea “Arte
e Cultura” di Vigevano, 1997, p. 177; La nostra Ripa,
Museo della Civiltà Contadina ed Artigiana di Ripatransone, Antica Tipografia Franceschini, 1999; Voce
Francescana, Tip. Sita, Ancona; Chiesa Viva, Mensile
di Formazione e Cultura, ed. Civiltà, Brescia; Mater
Misericordiae, Bollettino Mensile Santuario della Misericordia, Macerata; Il Messaggio della Santa Casa,
Mensile del Santuario di Loreto. Ha collaborato con
il prof. Fortunato Frontoni di Montappone alla redazione del volume “Montappone” storia, tradizioni,
leggende dalle origini al duemila, Grapho5 edizioni, dove sono pubblicati diversi suoi sonetti, dedicati
alla terra natale ed ai suoi cari affetti e ricordi. Ha
composto anche numerosi testi musicali nelle edizioni “Bang Bang”, Milano, la stessa Casa Editrice dove
incideva anche Claudio Villa. Con la sua morte Potenza Picena, Montappone, le Marche e l’Italia hanno
perso una straordinaria personalità della nostra cultura di cui sentiremo sicuramente la mancanza.
(Notizie tratte dal libro “Montappone” storia, tradizioni, leggende dalle origini al duemila, di Fortunato
Frontoni, Fano, Grapho5 edizioni, luglio 2000 – foto
dal sito I Santesi weblog)
Arturo Sardini con Pasqualina Pezzola, detta La Montesanta
51
SCIENZA
RENDEZ-VOUS
TRA LA LUCE E LA BELLEZZA
di Massimiliano Gubinelli *
L’immagine poetica evoca due dei che si incontrano; quella scientifica si chiama transito astronomico.
Con la benedizione di Lucrezio e Galileo, apriamo una piccola rubrica per profani su ciò che succede
appena fuori della casa terrestre. Sono faccende che ci riguardano.
I
l transito astronomico è l’occultamento, sia parziale
che totale, di un corpo celeste ad opera di un
secondo corpo celeste che si interpone tra il primo
e l’osservatore. Il transito di Venere davanti al Sole
è un evento astronomico che si verifica con uno schema
“a coppie di transiti” separate da un intervallo di 8 anni.
Per fare un esempio l’ultima coppia di transiti Venere –
Sole avvenne nel 1874 e nel 1882, mentre per gli attuali
osservatori il primo transito della coppia è già avvenuto
l’8 giugno 2004 ed il 6 giugno 2012. La prossima coppia di
transiti avverrà nel 2117 e nel 21251.
E’ certo che già i primi uomini delle caverne guardassero
al firmamento con una sorta di rispettoso timore. La loro
fervida immaginazione li portava a fantasticare, creando miti
e leggende da tramandare di generazione in generazione,
ma solo l’uomo moderno è riuscito ad osservare il cielo con
occhio diverso. L’era moderna è iniziata quando scienziati
come Galileo, Keplero e Copernico hanno contribuito a
stabilire che è il Sole, non la Terra, al centro del nostro
Sistema Solare 2. Prima che la tecnologia portasse l’uomo
nello spazio, il transito, come quello tra Venere ed il Sole,
era un’opportunità per misurare le dimensioni del Sistema
Solare tramite il sistema del paralasse 3.
Aeneadum genetrix, hominum divomque voluta, alma
Venus .. 4 : sin dall’antichità Venere, conosciuta anche
come stella del mattino 5, è rappresentata come potenza
generatrice 6 e dea dell’amore, secondo la mitologia amò
numerosi dei e mortali, dalla sua unione con Anchise
sarebbe nato Enea, padre di Ascanio capostipite della
futura Roma, mentre dall’amore con Marte nacque Eros
7
. Anche il Sole era concepito come una divinità in molte
culture antiche, esempi in tal senso sono quelli relativi alla
civiltà Inca in Sud America o Azteca nel Messico. Nella
religione egizia il Sole era la divinità più importante.
Noi moderni non diamo quasi più importanza agli eventi
astronomici che si verificano ai giorni nostri, probabilmente
perché non ne siamo intimoriti o non ne abbiamo utilità,
gli uomini del passato al contrario ne riconoscevano l’
* Dedicato ai miei nipoti Federico ed Edoardo
52
Il transito - Si ringrazia FOTO STUDIO MACERATESI di Recanati per la
collaborazione.
1 Dati pubblicati su Wikipedia.it
2 Atlante illustrato dell’Universo, 2006 Touring editore srl – Milano, pag.
122
3 Il calcolo si basa sul tempo impiegato da Venere ad attraversare il disco
solare rilevato da posizioni diverse sulla Terra.
4 “Progenitrice degli Eneadi, piacere degli uomini e degli dei, alma Venere
..”; Lucrezio, De rerum natura, I, 5.
5 Venere brilla intensamente all’alba o al calar delle sera e per questo è detta
stella del mattino o della sera, gli antichi Greci credevano che il pianeta
Venere fosse costituito da due corpi diversi che chiamarono Phosphoros
(visibile al mattino) e Hesperos (visibile alla sera), successivamente venne
ribattezzato Afrodite dal nome della dea dell’amore e della bellezza, Venere
per gli antichi Romani. È l’unico pianeta con il nome di una divinità
femminile.
6 Ciò è particolarmente evidente nell’attributo “alma” che Lucrezio
conferisce a Venere, infatti alma da alo = nutrire, si potrebbe rendere
con “nutrice” e identifica Venere con la natura stessa, oggetto su cui si
focalizza il poema De rerum natura.
7 Nel mondo antico Eros era conosciuto anche con il nome di Cupido.
VINI
IL BUON VINO
PER UN BUON NATALE
di Alfredo Pirchio - foto fornite dall’autore
Poco, ma bene. Spendere? … no, bere. Quello del nostro sommelier, seconda firma nelle Marche, ci
sembra consiglio pieno di buon senso. E non solo a Natale.
La cantina Bocca di Gabbia, a Civitanova Marche
L
’inverno e’ oramai padrone; foglie secche,
maltrattate dal vento, si
rincorrono e mulinano
ai bordi delle strade e sul selciato.
Di notte , tra un lampione e
l’altro, una gialla ragnatela imprigiona e sommerge milioni di
piccole gocce che, agonizzanti,
non hanno la forza di cadere e
indolenti finiscono per morire
di inedia ……. Ma in tutte le
situazioni. Dobbiamo trovare
un aspetto positivo , un modo
per spazzare il pessimismo e
provare ad illuminare questo
clima ostico, dettato oltre che
dal tempo, anche dalla crisi
che stenta a finire; e cosa c’e
di buono? Arriva il Natale!, arrivano le feste! e arrivano quei
banchetti luculliani che le nostre mamme sanno ancora preparare con pochi soldi.
Non sentite gia’ nell’aria il profumo dei cappelletti in brodo
con quegli apostrofi d’ olio che
il cappone sobbollendo regala
alla superficie della pentola e
la silente e dolce nevicata del
parmigiano, che a larghi fiocchi
imbianca il piatto fumante ap53
VINI
pena servito ???
Il borbottio perenne della pentola che per ore sobbollendo
intenerisce creste di gallo, interiora di pollo, pezzi di magra
carne, catene di salsicce e pomodoro e sedano e cipolle e
carote che andranno ad ubriacare tozzi di pane e tagliatelle
….
Non vi sembra chiudendo gli
occhi di vedere dorati e bronzei
arrosti che portano, con volute di fumo, il sapore di patate,
siepi di rosmarino e campi di
salvia e alloro? E’ venuta fame
anche a voi ?
Bene! sono certo che per la preparazione di tutti questi prelibati intingoli, le donne di casa non
avranno problemi ma, spesso,
troppo spesso, trascuriamo un
parte fondamentale del piacere e cioè il giusto abbinamento
al vino; ora, non pretendiamo
di trasformarvi in sommeliers,
ma solo di darvi delle dritte per
aumentare la goduria del cibo,
senza spendere una fortuna .
Lasciate perdere vini francesi
che non hanno un buon rapporto qualità-prezzo, al bando
champagne bordeaux e borgogna e deliziamoci con perle locali (marchigiane).
Con i cappelletti in brodo di
cappone consiglierei un verdicchio dei castelli di Jesi, la cantina si chiama Fattoria Coroncino, a Staffolo (AN); il proprietario Lucio Canestrari produce
un vino base chiamato “Il Bac-
54
co” che costa più o meno 7/8
euro ed è delizioso.
Per tagliatelle o primi conditi
con ragù mi sposterei a Numana (AN) su un rosso base della
“Fattoria le Terrazze “, chiamato
“ Rosso Conero” piacevole ed
elegante, che pagherete sui 10
euro.
Per gli arrosti, sia di penna che
di piuma, ardirei consigliarvi di
spendere qualcosa di più, un
“Akronte” della cantina “Bocca
di Gabbia” contrada Castelletta a Civitanova Marche (MC),
che il proprietario, il vulcanico
e simpatico Elvidio Alessandri,
produce in pochi esemplari;
se riuscite, provate a trovare
un’annata 2000, altrimenti annate più recenti andranno bene
lo stesso; il costo qui sale sui
30/35 euro ma ora ve lo descrivo fingendo di berlo con voi e
sono certo che capirete: Rosso
Granato pingue, spettacolare
ventaglio aromatico, nel quale
l’ouverture di spezie e cipria,
lascia gradatamente spazio a
un’aristocratica successione di
sottobosco, modulata da ribes,
felce, visciole e more di rovo
…. In bocca avvolge il palato in
un abbraccio caldo e vellutato,
le papille gustative sembrano
impazzite, ma presto appagate
si lasciano sedurre da infiniti
ritorni balsamici, intrecciati a
giardini di viole e piccoli frutti
rossi ……
Mi congedo da voi augurandovi un Felice Natale ed un 2014
che riesca a portare in tutte le
case tanta, tanta, tanta serenità … e mi raccomando: bevete
poco, ma bevete bene.
POESIA
XXIV CONCORSO INTERNAZIONALE DI POESIA
«CITTA’ DI PORTO RECANATI»
Edizione 2013
Pubblichiamo la classifica stilata dalla Giuria del Premio, composta da Lino Palanca (presidente),
Anna Maria Ragaini, Janula Malizia e Renato Pigliacampo. Eccola:
1 – Ivana Federici di Pianello Vallesina (AN) per la poesia Del tuo dirmi non mi stancherò con la motivazione:
La poetessa ricorda un percorso esistenziale che, sebbene con l’assenza del protagonista, ci introduce nel
patos di un esplicito revival nell’affermazione “risento il canto / nel petto con la stessa vibrazione”. E a
poco a poco si avvede dell’insofferenza di tutti alla sua condizione sociale difficile e della società assente. Ecco che la speranza allora si racchiude, scrive la poetessa “in qualche parte ancora / sarà un’alba
tenue sugli occhi o forse / solo la forma della tua voce”. Il tutto comunicato con essenziali lessemi nella
padronanza dello stile e del linguaggio.
2 – Anna Toni di Prato, per la poesia Canto di un’anima pellegrina, con la motivazione:
Stupendo e classico tema rivolto ai patri Lari, tutto ravvivato da suoni e voci e, soprattutto, nell’ “antico
cantico d’amore”. Sensibilissima riflessione sul tragico presente dell’ “ombra della sera”. Il pastore, al
quale la poetessa invoca protezione “accanto al fuoco”, assurge a entità trascendente, presenza protettiva
nel significato prorompente del vissuto nel buio della poetessa. Radiosi versi finali nell’intrinsecità umile
di scelta di parole precise nella richiesta d’essere compresa, amata, assistita.
3 – Giuseppe Vetromile di Madonna dell’Arco (NA) per la poesia La mano già sulla valigia con la motivazione:
Il disperato metaforico distacco tra padre e figlio, con la sortita del genitore “ma tu non devi seguirmi”,
sospingendolo a testimoniare gli eventi della vita, racchiusi in flash efficaci quali “senza luce”, “la goccia
di rugiada” che si scioglie “e il sole ignaro” che tuttavia assisteva al distacco e che manifestava la speranza nel risorgere l’indomani. Il tutto con linguaggio sicuro.
4 – Angela Catolfi di Treia (MC) per la poesia Solitudini.
5 – Rita Muscardin di Savona, per la poesia La memoria del mare.
6 – Ivan Fedeli di Ornago (Monza), per la poesia Immaginette (esterno città, giorni di luglio).
7 – Filippo Inferrera di Ravenna, per la poesia Figli della solitudine.
8 – Rossana Guerra di Sant’Ippolito (PS), per la poesia Pensieri per l’Italia.
9 – Rosanna Giovanditto di Spoltore )PE), per la poesia Esorcizzare il ricordo dell’ascolto.
10 – Silvia Cingolani di Marotta di Mondolfo (PS), per la poesia I bambini non hanno paura.
La Giuria ha anche assegnato tre Premi Speciali in osservanza di quanto annunciato nel bando del concorso e secondo lo spirito che anima la fondazione e promozione del Premio “Città di Porto Recanati”.
I premi sono andati a:
- Altieri Sergio di Pesaro, per la poesia Senti tu?
- Amato Michele di Bari, per la poesia Gli ultimi.
- Coacci Marcello di Macerata, per la poesia Prigionieri di coscienza.
55
POESIA
Poesia prima classificata – Ivana Federici di Pianello Vallesina (AN)
DEL TUO DIRMI NON MI STANCHERO’ Del tuo dirmi non mi stancherò
come non mi stanca il colore dell’autunno
sui quercioli. Lungo la strada nuova
conto gli anni con le chiome che si fanno
arancio e della stagione risento il canto
nel petto con la stessa vibrazione.
Noi non ci ripeteremo, neanche a volerlo
Dire o nascondere, noi
Ce ne andremo a gocce rapprese,
nella solitudine di un giorno in cui
il mondo non si accorgerà dell’assenza
né l’aria di un respiro mancante.
Sarà tutta la meraviglia dell’universo
Che ci porteremo via, senza nulla sottrarre
A tutti gli ignari del bene del mondo,
a tenerci vivi in qualche parte ancora
sarà un’alba tenue sugli occhi o forse
solo la forma tonda della tua voce.
Poesia seconda classificata - Anna Toni di Prato
CANTO D’ UN’ANIMA PELLEGRINA
Ritroverò la mia voce
E ancora siederò
Nel cerchio della famiglia,
intorno alla vecchia tavola.
Per me prepareranno
I cibi migliori,
per me spilleranno
il vino novello
color del rubino,
qualcuno suonerà la chitarra
e ancora intonerò
l’antico canto d’amore.
Ma ora debbo fermarmi
Ché il cielo è viola
E sulla via solitaria
Già s’addensano
Le ombre della sera.
Non scacciarmi, pastore,
lascia che resti qui, accanto al tuo fuoco
e ti tenga compagnia
mentre vigili sul gregge addormentato.
Non scacciarmi, pastore
Che temo le tenebre
E i pericoli che in esse stanno in agguato.
Lascia che resti qui,
non ti disturberò,
starò in silenzio
se vuoi che taccia.
Domani all’alba
Riprenderò la via.
56
Il presidente della giuria Lino Palanca
premia Ivana Federici
POESIA
Poesia terza classificata - Giuseppe Vetromile di Madonna dell’Arco (NA)
LA MANO GIA’ SULLA VALIGIA
La mano già sulla valigia mi dicesti dunque
io parto
ma tu non seguirmi e
non cospargere di petali la scia d’amore che ti lascio
e neppure rendimi le parole che ti ho fatto
a misura del tuo corpo
figlio
perché un giorno tu possa convertirle in inchiostro indelebile
sulla tua pelle pellegrina
Allora non ti vidi più
padre
come risucchiato dal cielo
o confuso nella terra
sparito dalla stanza
e il tempo è un’invenzione per crederti ancora qui
seduto sulla tua poltrona preferita
accanto alla radio a galena di tua costruzione
(ti piacevano i rottami del mercatino delle pulci
che tu rimettevi a nuovo come per incanto)
Partisti allora sì
ma per lidi tenebrosi e speranzosi
quando l’afa di agosto era già alle porte
ti seguii fino all’orizzonte senza luce
una goccia di rugiada si scioglieva
e il sole ignaro un’altra volta all’alba
risorgeva.
Le foto sono di Max Serenelli
57
L
SCUOLA IN @RETE
’Associazione Culturale Lo Specchio in
collaborazione con l’Istituto Comprensivo E.Medi inaugura con questo numero dello Specchio Magazine una rubrica
molto speciale. Fare il giornale nelle scuole ha
la finalità di sostenere le iniziative dell’Istituto per la valorizzazione dell’attività giornalistica
quale strumento di arricchimento comunicativo
e di modernizzazione del linguaggio. L’obiettivo
della collaborazione è, infatti, quello di avvicinare i giovani studenti al mondo dell’informazione
e della comunicazione, nella convinzione che la
professione giornalistica sia il frutto di una forte
passione che si deve coniugare necessariamente
con una solida formazione culturale. Importante
è anche fornire alla scuola, insegnanti e studenti,
un canale di comunicazione verso l’esterno di
tutte quelle attività che meritano di avere una
platea vasta come il nostro territorio. L’iniziativa
nasce dalla collaborazione dell’Associazione lo
Specchio, del magazine “Lo Specchio Magazine” e del sito www.specchiomagazine.it e la
Dirigenza dell’Istituto, con l’obiettivo di avere la
partecipazione dei professori e l’entusiasmo degli studenti, con l’intento che lo Scuola in
@Rete diventi un appuntamento fisso e possa
crescere con altre realtà scolastiche del territorio.
Ingresso principale
Scuola Primaria
Gramsci-Matteotti
UNA RUBRICA
MOLTO SPECIALE
Giardini Scuola dell’Infanzia G. Rodari
Entrata Scuola Secondaria E.Medi
Il progetto, del tutto gratuito, prevede una rubrica nel trimestrale, una sezione interamente online per essere più vicini al mondo dei giovani e
ai nuovi media. Sul sito i giovani, con il supporto
degli insegnanti e la guida della redazione dello
Specchio Magazine, prenderanno confindenza
con i diversi strumenti dell’arte del giornalismo.
Il portale di Scuola in @Rete, www.specchiomagazine.it, sarà interattivo e ricco di opportunità specie quella di dare visibilità agli Istituti,
ai docenti e ai ragazzi che saranno protagonisti
sul canale Scuola in @Rete di specchiomagazine.it. Attraverso questo strumento i protagonisti potranno interfacciarsi con la redazione per
esprimere le proprie opinioni sul mondo della
scuola.
58
SCUOLA IN @RETE
CONDIVIDERE PRINCIPI E VALORI.
E ASCOLTARE.
Redazione Lo Specchio Scuola
Intervista
alla prof. Annamaria De Siena,
dirigente scolastica dell’Enrico
Medi di Porto Recanati,
convinta che l’obiettivo primo
sia restituire alla scuola senso,
significato e dignità.
I
l passaggio al ruolo dirigenziale è recente: dallo scorso anno
scolastico. Questo è il mio primo incarico dopo il passaggio di
ruolo in seguito a concorso. Ho
insegnato esclusivamente nella
scuola secondaria di secondo grado con
qualche parentesi all’estero come lettrice di lingua italiana all’università su
mandato del Ministero degli Esteri. In
genere si pensa che per un insegnante
la massima aspirazione sia fare il Dirigente Scolastico, ma vorrei chiarire che
per me è andata diversamente. C’è stato
un momento preciso nella mia carriera
in cui, a causa dei tagli agli organici,
conseguenza della riforma Gelmini,
mi è stato chiaro che non avrei potuto
più svolgere il mio lavoro come prima:
insegnavo in un liceo scientifico che
da anni portava avanti una minisperimentazione linguistica; purtroppo la
mia lingua d’insegnamento, il tedesco,
essendo seconda lingua comunitaria, è
sparito, impoverendo l’offerta formativa
d’istituto e vanificando un’esperienza
comunque positiva. Il motivo fondamentale della mia scelta è stato quindi
indotto da circostanze particolari. Ciò
non di meno, nonostante il ruolo diverso e le responsabilità che impone, continuo ad occuparmi di scuola con grande
convinzione.
Da quanto tempo è a capo di questo
Istituto, e come si è trovata a gestire i
primi rapporti di collaborazione con
gli insegnanti e con gli studenti?
Dicevo prima che si tratta del mio primo incarico. Quindi sono direttamente
approdata all’Istituto Comprensivo “E.
Medi” di Porto Recanati. Le relazioni,
in genere, si costruiscono strada facendo. Spero che la gran parte degli insegnanti abbia la consapevolezza di stare realizzando un cammino umano e
professionale insieme alla sua dirigente
scolastica. Certamente condividere principi e valori è fondamentale. Il dirigente
scolastico è una figura atipica rispetto ai
dirigenti amministrativi. Proviene dal
ruolo docente e porta con sé una sua
esperienza nel campo educativo-didattico. Personalmente ho svolto l’attività di
insegnante per 20 anni e questo è stato
per me un imprinting fondamentale e
significativo per meglio comprendere le
dinamiche all’interno della scuola. Con
gli alunni non ho il rapporto quotidiano
e continuativo che hanno gli insegnanti.
Quando li ricevo in ufficio o li incontro
nelle classi lascio che siano loro a parlare, penso che abbiano tanto da dire. Il
più delle volte parlano spontaneamente,
diversamente tacciono eloquentemente.
Il silenzio è da interpretare. Sono persone in crescita con tutto un universo
interiore e delle potenzialità alle quali deve essere dato modo di esprimersi.
Partendo da questa idea mi dispongo
all’ascolto. Sì, solitamente ascolto molto.
Parlando nello specifico dell’Istituto
“E. Medi”, quali caratteristiche pensa
possa distinguerlo dalle scuole che
ha conosciuto in precedenza, quali i
suoi punti forti e quali invece le problematiche da affrontare?
Mi fa una domanda alla quale è difficile
rispondere perché la fascia dai 3 ai 1314 anni non la conoscevo prima d’ora.
Per me la realtà degli istituti comprensivi è assolutamente nuova. Posso dire che
questo è il primo istituto di tale genere
che conosco. Certo sono ambienti umani assai vari sia per l’eterogeneità anagrafica degli alunni e sia per la diversità
nella formazione degli insegnanti. Non
a caso le scuole vengono definite come
organizzazioni di lavoro complesse e,
nel caso degli istituti comprensivi, queste
differenze sono ancora più accentuate
perché frequentati da un’umanità sottoposta a grandi e repentini cambiamenti nel fisico e nella mente. Nella scuola
secondaria superiore avevo a che fare
con soggetti che, sebbene adolescenti,
avevano personalità più definite e quindi “afferrabili”, piccoli adulti con i quali
il rapporto era diretto e personale, senza intermediari come i genitori, molto
presenti nella nostra scuola. Il nostro
istituto ha peculiarità proprie come tutte
le scuole. Mi viene in mente la presenza di alunni non italiani, l’essere l’unica scuola del paese e quindi al centro
dell’attenzione, una grande tradizione
progettuale che, negli ultimi anni, a
causa dei tagli di cui prima si parlava, è
andata sparendo, ma mi auguro riprenda, la collaborazione col territorio e con
le professionalità presenti sul territorio
… Parecchio, se opportunamente trattato, potrebbe divenire da punto di criticità punto di forza. Le problematiche al
giorno d’oggi accomunano tutte le scuole d’Italia. Senza girarci troppo intorno
si dovrebbe restituire alla scuola senso,
significato e dignità perché dopo la famiglia è la seconda agenzia educativa
più importante e perché dalla scuola dipendono le sorti del nostro Paese. Dato
per assunto quanto detto non dovrebbe
fare troppo male investire su un futuro
migliore e abbandonare il concetto che
la scuola costi troppo e sia improduttiva.
Qualche curiosità: ci racconti la giornata tipo di un Preside… e quando
invece uno studente si sente dire
“Guarda che ti mando dal Preside!”,
cosa succede?
Cosa le posso dire? So quando inizio, ma
non so quando finisco e all’indomani
c’è ancora tant’altro da fare. Un dirigente dovrebbe trascorrere anche tanto
tempo fuori dal suo ufficio per svolgere
incombenze più proprie del nuovo ruolo
che gli è stato affidato, ma spesso sono
obbligata a trattenermi a scuola. Da
una parte questo mi permette di conoscere meglio l’ambiente, ma dall’altro
finisco col rimandare cose altrettanto
importanti. Mi auguro che l’espressione
“Guarda che ti mando dal Preside!” non
risuoni così spesso, anche perché i diretti deputati alla gestione della classe sono
gli insegnanti, non certo il dirigente che
dovrebbe avere un compito diverso.
Guardando al prossimo futuro, che
progetti intende intraprendere al
fine di dare visibilità all’Istituto coinvolgendo in prima persona ogni studente e professore?
Ok la visibilità, ma al fondo ci deve essere
concretezza e sostanza. La progettualità
nella nostra scuola è già apprezzabile e
si riallaccia a bisogni e necessità emerse
a livello locale e nazionale. Si tratta di
iniziative che devono avere una ricaduta educativa e didattica, devono contribuire alla crescita e alla maturazione
degli alunni che ci vengono affidati. Ad
esempio il progetto d’istituto attivato da
quest’anno, “Ambientiamoci con gusto e
in salute” intende portare avanti grandi
tematiche, anche di portata planetaria,
quali l’ecosostenibilità, perché le persone
devono iniziare ad agire per la difesa
e la tutela del patrimonio ambientale
e capire il legame culturale profondo e
ineludibile col territorio. In questo gli insegnanti si adoperano con grande consapevolezza, interesse e professionalità
e, a volte, sono sorprendenti in quanto
a originalità.
59
SCUOLA IN @RETE
PROGETTO
IN DIFESA DELLA
MADRE TERRA
“
Nel nostro tempo e nell’ambiente
civile della nostra società, i bambini... vivono molto lontani dalla
natura ed hanno poche occasioni di entrare in intimo contatto con
essa o di averne diretta esperienza”.
Già all’inizio del secolo scorso Maria
Montessori sottolineava il bisogno del
bambino di “vivere” la natura e non
soltanto di conoscerla studiandola o
ammirandola, cogliendo nel rapporto
e nella percezione con essa immense potenzialità educative. Le attività
formative proposte nel Progetto ‘Ambientiamoci con gusto e in salute’
sono improntate proprio ai principi
della pedagogia della scoperta e del
fare scuola nel territorio secondo l’idea che, attraverso il rapporto diretto
con la natura ed una maggiore sensibilizzazione, il bambino-ragazzo si
renderà conto dell’importanza della
tutela dell’ambiente e sarà così disposto ad una gioiosa collaborazione.
L’educazione alla salute è un aspetto dell’attività didattica che, tenendo
conto dell’età degli alunni cui si rivolge, vuole creare un atteggiamento
corretto verso l’alimentazione, la cura
del proprio corpo e dell’ambiente,
fondamentale presupposto per uno
sviluppo armonico e consapevole.
La famiglia è l’ambiente dove il bambino-ragazzo acquisisce le abitudini
che condizioneranno il suo “essere
persona” e per questo la scuola ha
ritenuto opportuno coinvolgere i genitori e sensibilizzarli a una maggiore
attenzione nelle scelte concernenti la
salute dei propri figli. Con il progetto,
la scuola si è posta l’obiettivo di agevolare l’abitudine a un’alimentazione
sana, conoscere l’origine dei cibi e la
loro lavorazione, avvicinare gli alunni
allo sport per combattere la sedentarietà, educare alla cura dell’ambiente
in cui viviamo. La collaborazione con
associazioni ed enti presenti sul territorio ha permesso di agevolare lo
sviluppo delle competenze degli studenti, attraverso contributi qualificati
ed estremamente interessanti. Anche
il Ministero dell’Istruzione nel quadro
di Expo 2015 parla di promuovere
nella scuola, attraverso l’educazione
alimentare, “un concetto di qualità
complessiva del cibo che incorpori
aspetti relativi a sostenibilità, etica,
60
stagionalità dei prodotti, intercultura, territorialità” (Miur- Prot. n° 992
del 12 febbraio 2013). Il progetto
“Ambientiamoci con gusto e in salute” si struttura in tre principali aree
tematiche: Le cose buone della Terra,
Biodiversità e Riciclo, riuso e riduco.
Esso mira a promuovere nelle giovani generazioni: la comprensione delle
problematiche dell’ambiente e del territorio in cui i ragazzi vivono; la consapevolezza che è possibile rispettare,
conservare, tutelare e migliorare l’ambiente e il territorio elaborando progetti di intervento e proponendoli ai
soggetti istituzionali della comunità di
appartenenza; la riflessione sul valore
dell’aria, dell’acqua, della terra come
bene comune e come diritto universale per rilanciare nella scuola, nella
famiglia e in tutti gli ambienti di vita
comportamenti di consumo sostenibile di questi beni, avendo cura della
loro tutela e del loro sviluppo, anche
a favore delle generazioni future. Nel
1995 è stato creata un’Aula Verde, un
orto botanico (nell’area retrostante
l’edificio dell’ex Scuola Media) dove
si riproduce in forma semplificata la
vegetazione attuale delle Marche.
Sono stati piantumati alberi di Lecceta, di Querceto, di Bosco di orniello
e carpino e di Faggeta. L’iniziativa è
ancora portata avanti con entusiasmo
dagli alunni, che possono, per esempio, creare erbari e schede botaniche,
realizzare piccole guide illustrate sulle
specie dell‘Aula Verde o osservare al
microscopio preparati vegetali. Intanto, lo scorso 21 novembre l’Istituto
in collaborazione con il Comune di
Porto Recanati ha celebrato la “Festa
dell’Albero”, iniziativa nazionale promossa da LegaAmbiente. Gli alunni
della Scuola dell’Infanzia “G.Rodari”
e della Scuola Primaria “MatteottiGramsci” hanno dato il via alla manifestazione con canti e poesie, poi
si è proceduto con la messa a dimora
degli alberi. Protagonisti dell’evento
sono stati un ciliegio, un albicocco e
cinque ulivi piantati nelle aree verdi
dell’Istituto. Le classi che non hanno
partecipato alla piantumazione hanno ricevuto in dono una pianta aromatica da custodire e curare in classe.
di Eleonora Stortoni
Obiettivo: rendere i ragazzi
consapevoli che salvare
l’ambiente è un irrinunciabile
impegno. Il rispetto che
si deve alla natura e a
noi stessi è condizione
ineludibile per vivere “con
gusto e in salute”
Ambientiamoci con gusto e in salute
Dal sito www.legambiente.it
Festa dell’albero 2010
I
n linea con le direttive seguite da molte scuole italiane, anche la scuola Secondaria di Primo grado
“E. Medi” di Porto Recanati aderisce ormai da anni
al “Progetto Lettura”, o sarebbe meglio dire al progetto sull’educazione alla lettura. Il percorso intrapreso dalle docenti di italiano è rivolto alle classi
prime, seconde e terze e coinvolge gli studenti in attività
che promuovono la lettura e il costante confronto con i libri e la carta stampata. Per veicolare in modo accattivante e
stimolante il piacere della lettura, l’offerta formativa dell’Istituto prevede, quindi, anche per l’anno scolastico 20132014, eventi e percorsi inerenti la scoperta e fruizione dei
libri e della carta stampata al fine, appunto, di stimolare
l’interesse verso questi strumenti di conoscenza favorendo
l’abitudine alla lettura e, di conseguenza, accompagnando
la crescita affettiva, emotiva, sociale, cognitiva e culturale
dei ragazzi tramite questa attività. Più in generale, però,
è corretto dire che gli obiettivi dell’apprendimento possono essere identificati in precisi concetti iniziando dalla
necessità di ampliare la conoscenza di sé, degli altri e del
mondo attraverso il libro, strumento in grado di favorire
la capacità di espressione del mondo interiore di ognuno potenziando le competenze linguistiche con le quali
i ragazzi si esprimono. Da non dimenticare che un confronto costante con i diversi autori permette agli studenti
di formare e perfezionare il proprio senso critico, utile
ad una riflessione obiettiva e consapevole sull’approccio
ai grandi temi della vita, della società, della propria e di
altre culture, favorendo così un atteggiamento rispettoso
e democratico senza tralasciare l’aspetto più fantasioso e
creativo dell’attività di lettura. Tutto ciò è previsto dal progetto intrapreso dall’Istituto portorecanatese che lo concretizza attraverso le indicazioni metodologiche suggerite
dall’associazione di lettura Giovanni Enriques, Giralibro e
in linea con il “Decalogo del lettore” di Pennac. Partendo da questi presupposti, ormai da dieci anni, una volta
alla settimana durante la ricreazione, i libri della biblioteca
scolastica per ragazzi sono messi a disposizione di tutti gli
alunni: i testi, infatti, sono disseminati in ogni superficie
dell’istituto e stimolano la curiosità dei ragazzi che l’anno scorso ha fatto registrare addirittura il record con 601
prestiti. Da sottolineare, infine, che la biblioteca scolastica
è formata da titoli scelti in base alle esigenze di ragazzi
adolescenti e adeguati ai loro livelli di capacità di lettura
e alle loro esperienze con il testo scritto, ma soprattutto
garantiscono una varietà di generi, tematiche e gradi di
complessità espressiva; il tutto favorito dalla presenza di
varie case editrici. Oltre alla biblioteca, da sei anni la scuola Secondaria di Primo Grado dell’Istituto aderisce anche
al progetto “Il Quotidiano in classe”, promosso dall’associazione Osservatorio Permanente Giovani - Editori che ha
come finalità la promozione della lettura dei quotidiani, e
riceve gratuitamente per tutto l’anno 60 copie di giornali
30 copie del Corriere della Sera e 30 copie del Il resto del
SCUOLA IN @RETE
Carlino. La condizione per portare avanti questa iniziativa
è quella di dedicare un›ora alla settimana ai giornali che,
a quanto sembra, suscita molto interesse nei ragazzi ed è
per loro una grande occasione di crescita culturale, pur richiedendo un›importante mediazione didattica. «A parlare
di libri”, invece, è un percorso complementare che prevede che le classi scelgano un testo di narrativa che possa
essere oggetto di scambio culturale: si va nelle altre classi
a presentarlo e a leggerne delle parti significative. Questa
attività si sposa bene con “Leggimi forte”, un’altra idea con
la quale i ragazzi offrono ai bambini della scuola Primaria
dell’Istituto la lettura e l’animazione di alcune pagine tratte
da libri per l’infanzia o dai propri testi in adozione. A completare, infine, un progetto importante quale il progetto
lettura si dimostra essere, non poteva mancare il confronto con gli scrittori. A perfezionare il tutto, dunque, si sono
tenuti, dopo l’incontro di novembre con il professor Marco Moroni, docente di Storia economica dell’università
Politecnica delle Marche, altri quattro appuntamenti con
Katia Vergari, autrice del libro “A ciascuno il proprio desiderio”. Un progetto ambizioso. Del resto, da quanto la
storia ci insegna sull’importanza della tutela dell’infanzia e
dei diritti inviolabili ad essa collegati, non si può certo non
far riferimento al diritto alla fantasia e più in generale alla
conoscenza. E proprio attraverso percorsi di questo tipo
le agenzie educative, insegnanti in testa, hanno il delicato
compito di formare cittadini consapevoli, che riescano a
discernere comportamenti corretti da comportamenti sbagliati, capacità sostenuta in primis dall’utilizzo di strumenti
idonei come i libri, che aiuteranno i giovani ad esprimere
pensieri e sentimenti guidati da sano intendimento.
Il “Progetto Lettura” è volto a valorizzare il libro
come strumento di conoscenza e di confronto,
quindi di crescita e di conquista culturale. Non si
può trascurare la lettura perché l’alternativa si
chiama, quasi sempre, ignoranza.
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ATTIVITA’ LO SPECCHIO
SPECCHIO DELLE MIE BRAME
di Vanni Semplici
L’associazione culturale Lo Specchio e Lo Specchio Magazine hanno vissuto un 2013 di grandi eventi
e soddisfazioni: lo hanno dimostrato gli enti e le persone che ci hanno seguito, sostenuto, vissuto.
Ripercorriamolo data per data.
7 aprile: il convegno Sporchi da morire per Dialoghi in corso ha voluto fare il punto sui rischi che
l’esposizione all’inquinamento ambientale comporta
per la salute, in particolare dell’infanzia. Lo sviluppo economico, industriale e demografico avvenuto
nel corso degli ultimi due secoli, oltre ad un indubbio miglioramento della qualità della vita dell’uomo,
ha provocato profondi e rapidi mutamenti nell’ambiente. Enormi quantità di sostanze inquinanti provenienti principalmente da processi di combustione
(trasporto, riscaldamento domestico, produzioni industriali, ecc.) continuano a essere riversate nell’atmosfera, generando un accumulo di inquinanti che
raggiungono concentrazioni pericolose per la salute
dell’uomo e per l’equilibrio degli ecosistemi. Si è discusso di come la salute pubblica sia una ricchezza
fondamentale per il progresso economico e per lo
sviluppo sociale, e al tempo stesso di come essa sia
un aspetto decisivo per la qualità della vita.
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riti culinari propri della loro regione, insieme alle
tradizioni e a una concezione della vita diverse da
quelle dei loro colleghi romagnoli. Inevitabile la sfida tra le due cucine, dalla quale sembra che quella
nostrana sia uscita vincitrice. Sono intervenuti Antonio Bartolo, collaboratore de Lo Specchio Magazine,
e il direttore Lino Palanca, che hanno relazionato sul
lavoro di Grazia Bravetti.
20 aprile: lo scrittore Roberto Di Giovan Paolo ha
presentato il suo libro Il dovere della politica. A cento anni dalla nascita di Giuseppe Dossetti, l’opera
racconta, con lo sguardo rivolto all’oggi, una delle
figure più emblematiche della storia repubblicana.
Partigiano, padre costituente, esponente di spicco
della Dc e alter ego di De Gasperi, Dossetti scelse
di dimettersi dal partito e dal Parlamento per abbracciare la vita monastica. Pronto, però, a tornare nel
1994 per difendere la Costituzione. Una testimonianza ancora viva, che parla direttamente ai cattolici democratici di oggi, ma che resta un esempio limpido
per tutti di come la politica possa essere davvero al
servizio della comunità.
1 giugno: in collaborazione con l’agenzia di consulenze editoriali Scriptorama, è stata ospite per Dialoghi in corso la giornalista d’inchiesta Stefania Divertito, specializzata in tematiche ambientali. Toghe verdi.
Storie di avvocati e battaglie civili parla, tra le altre,
dell’inchiesta Saras, la raffineria di Sarroch, nella costa sud occidentale della Sardegna. Di proprietà della
famiglia Moratti è tra le più grandi d’Europa: rappresenta circa il 15% della capacità totale di raffinazione
in Italia con 110 mila barili raffinati al giorno e 1.100
persone impiegate. L’attività di raffinazione dà da
mangiare a molte persone ma nuoce anche alla salute della maggior parte di loro a causa dei veleni che
versa nell’ambiente circostante. In Italia, sottolinea la
Divertito citando i dati ufficiali, “si compie un delitto
contro l’ambiente ogni 43 minuti, senza distinzione
tra Nord e Sud, e il 2010 è stato l’anno nero degli ecodelitti, tanto che, nei tribunali, ormai agiscono almeno trecento eco-avvocati, contando solo quelli del
Wwf”. Il libro si chiude con un’intervista a Raffaele
Guariniello, noto magistrato della procura di Torino
da sempre in prima linea nella lotta contro i disastri
ambientali (è stato, tra l’altro, il regista dell’inchiesta
che ha portato alla condanna dei dirigenti della Tyssen Krupp per la morte di sette operai).
26 aprile: Grazia Bravetti Magnoni, giornalista e
studiosa di letteratura dialettale e storia locale, ha
presentato il libro Radici. Vita e mangiari nella campagna marchigiana, che racconta la singolare vicenda della cucina marchigiana trapiantata nelle pianure
del riminese. I contadini trasferitisi nelle fertile terre
dei principi Torlonia si sono portati dietro ricette e
4 giugno: Un progetto per lo sviluppo sostenibile della
Valmusone ha riunito in una tavola rotonda importanti rappresentanti delle Istituzioni locali. Ad evidenziare le tematiche che interessano la zona sono
stati gli Amministratori intervenuti a partire dal Sindaco di Porto Recanati Rosalba Ubaldi che ha sottolineato come ”Porto Recanati è la foce del Musone.
ATTIVITA’ LO SPECCHIO
Noi soffriamo quando le aziende scaricano imprudentemente liquami. Noi qui viviamo di turismo e
non solo. Il lavoro ora è una merce rara, un bene
prezioso da mantenere”. Il Professor Alberto Niccoli,
presidente della Banca di Credito Cooperativo di Recanati e Colmurano, ha evidenziato, invece, l’aspetto
finanziario sostenendo che”Le banche devono ritornare a fare le banche e a dare più fiducia, inoltre
dovrebbero sostenere le aziende così da poter vendere il proprio prodotto”. L’assessore dell’Ambiente ed
Ecologia di Loreto Dino Elisei ha proposto un fondo
comune da parte delle imprese da poter reinvestire,
proprio come hanno fatto alcune aziende di Loreto
ottenendo ottimi risultati. Il Sindaco di Numana Marzio Carletti ha lanciato un segnale di speranza considerando che “Se riusciamo a mettere insieme delle
risorse , tutto diventa importante. Oggi la chiusura
di un’industria ha un’incidenza notevole, dobbiamo
cambiare il modo di affrontare i problemi”. A seguire
anche l’assessore ai Beni e Attività Culturali della Regione Marche Pietro Marcolini, che ha puntato sulla
tradizione ovvero sul fatto che ”Le Marche è la regione più artigiana d’Italia e in buone posizioni anche
in Europa. Sono le tracce di un lavoro su cui possiamo insistere”. Scettico, invece, il Sindaco di Osimo
Stefano Simoncini secondo il quale ”C’è incomunicabilità, c’è campanilismo, c’è una difficoltà nel
creare elementi in comune. Il comune stesso di Osimo ha difficoltà a creare servizi con Castelfidardo,
che si trova a soli 12 km di distanza”. Focus, infine
sull’ambito lavorativo e politico con Marco Bastianelli, segretario della Camera del Lavoro di Osimo,
che sostiene come sia ”l’imprenditore che manca nel
ventunesimo secolo. Il manifatturiero va riqualificato. Bisogna puntare sulle reti, incentivare questo tipo
di rapporto e le stesse amministrazioni devono ripensare ai rapporti tra i comuni” mentre Nevio Lavagnoli, Presidente Regionale della Confederazione Italiana degli Agricoltori, conclude con un appello alla
partecipazione considerando che ”Quello che serve a
noi è un clima favorevole. La politica deve fare il suo
dovere. la burocrazia ci sta uccidendo”.
15 giugno: Il Buon Fabio di Striscia la notizia ha
portato all’attenzione del pubblico porto recanatese
Sotto il segno della bilancia, libro scritto in collaborazione con Vittorio Graziosi (autore di “Sangue di
rosa scarlatta”), che è anche la testimonianza di come
nella vita di tutti i giorni essere obesi significa trovarsi di fronte a continue barriere architettoniche: cosa
significa per un obeso salire su un autobus affollato,
viaggiare in treno o in aereo, prendere posto al cinema, o entrare in un negozio di abbigliamento. Il
volume è nato per condurre una battaglia di giustizia sociale, secondo l’autore, infatti, ”Si parla ancora poco di questo problema e spesso ci si pensa solo
quando si vede una persona obesa per strada, ma
non ci si sofferma mai a pensare a quante persone si
rinchiudono in casa per evitare le discriminazioni.
Il problema è che così si può solo peggiorare, aumentando ulteriormente di peso e rischiando dal punto di
vista della salute”.
16-19 agosto: Lo Specchio Magazine Festival
16 agosto: “Aperitivo d’autore” ha inaugurato il festival, mentre le esibizioni dei “Piedi Scalzi in Quarti”, con successi dialettali, nazionali ed internazionali completamente rivisitati negli arrangiamenti jazz
e fusion e Bianca Maria Semplici con un revival di
‘canzoni perdute’, hanno scaldato il palco dei Giardini Diaz di Porto Recanati. Durante la manifestazione è stata premiata Federica De Stefani, la vincitrice
de Lo Specchio Magazine Photo Contest “Donne allo
Specchio”.
17 agosto: prima parte dell’evento “Aperitivo d’autore” con la presentazione di racconti e memorie della provincia maceratese. Nella seconda parte Gianni
Giudici, musicista jazz, ormai amico e collaboratore
de Lo Specchio, ha mostrato ancora una volta la sua
grande simbiosi con tutti gli strumenti a tastiera: dal
pianoforte – il mitico Hammond - che rimane il suo
strumento principale, al poliedrico mondo delle tastiere elettroniche.
18 agosto: per “Aperitivo d’autore” la giornalista e
scrittrice Marina Minelli ha mostrato un aspetto diverso della regione Marche, tra curiosità, leggende e
miti presentando il libro 101 Storie sulle Marche che
non ti hanno mai raccontato e a seguire gli Havona, band di giovani accompagnati da Gianni Giudici,
che con la partecipazione dello stesso Giudici hanno
proposto dal groove punk alla tradizione afroamericana.
19 agosto, quarto e ultimo appuntamento del Festival, degna chiusura con “Marche Noir”, antologia
di storie noir ambientate nelle Marche, una delle regioni d’Italia considerate più tranquille e con il duo
Fenicioli-Riganelli, fisarmonicisti musicisti di fama
internazionale, che ci hanno trasportato sulle note
dell’eleganza e della passionalità del tango.
13 settembre: protagonista, stavolta, è stato il direttore Lino Palanca che ha presentato Le undici di notte e l’aria oscura. Canti popolari, filastrocche e altro
tra Potenza e Musone, volume di canti popolari delle
basse valli del Potenza e del Musone, canti religiosi,
canzoni politiche, di guerra e di protesta sociale, ninne nanne, stornelli, dispetti e anche di filastrocche,
favole e indovinelli. Una minuziosa ricerca per far
sì che le tradizioni canore delle popolazioni del nostro territorio non vengano dimenticate da quei tanti
giovani che erano soliti cantarle e affinché questo
possa diventare anche un patrimonio per le nostre
generazioni. Al suo interno, disegni firmati da Luciana Interlenghi e un CD prodotto dal gruppo folk La
Fiumarella con incisa una decina di canti scelti tra
quelli presenti nel testo. Grazie a Anna Ragaini per la
sua relazione iniziale.
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ATTIVITA’ LO SPECCHIO
28 settembre: Premio internazionale di Poesia ‘Città di Porto
Recanati’,
giunto alla XXIV edizione grazie
soprattutto all’impegno dello stesso fondatore, il Professor Renato
Pigliacampo, da due anni organizzato in collaborazione con l’Associazione Culturale Lo Specchio. La
giuria ha valutato centinaia di lavori
pervenuti da tutta Italia, e incentrati sui temi disabilità, emarginazione
e altri aspetti dell’attualità. Dieci i
poeti finalisti che hanno regalato al
pubblico presente in sala il senso
delle realtà di oggi, la possibilità
di amare con finezza lessicale, un
linguaggio melodioso e una sensibilità che ha riempito gli animi.
64
Anche il Prof. Pigliacampo ha condiviso il suo messaggio: ”Coloro
che hanno un handicap possono,
anzi, devono diventare protagonisti. Devono aprire una porta nel
mondo con l’amore, con il rispetto”. Le poesie dei concorrenti sono
state lette da Giuseppe Russo, che
ha saputo interpretare in maniera
magistrale il loro significato, e impreziosite dall’esibizione musicale
al piano del Maestro Gianni Giudici, tastierista di fama mondiale.
Un semplice e chiaro esempio di
manifestazione culturale di straordinario valore, capace di diffondere un messaggio universale per una
crescita morale, culturale, civica,
della comunità locale e, attraverso
di essa, della comunità nazionale.
Per il 2014 desideriamo proseguire su questa strada, promuovere
nuove iniziative e la nostra presenza sul territorio incentivando
il dialogo e la collaborazione con
Istituzioni e operatori culturali a
noi vicini. L’intento che ci anima
è, come di consuetudine, quello di
portare la nostra passione, il nostro senso di comunità e il nostro
rispetto verso le tematiche odierne, le nostre tradizioni e la nostra
storia. Per fare ciò desideriamo
coinvolgervi. I nostri incontri sono
fonte di conoscenza, di scambio
di opinioni, di idee, e finora non
hanno mancato di suscitare emozioni, grandi sorrisi e scroscianti
applausi.
ATTIVITA’ LO SPECCHIO
CAMPAGNA 2014
MI ASSOCIO !
PERCHE’ MI INTERESSO DI …
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ambiente, musica, letteratura, salute, arte, cinema,
economia, sport, storia, territorio, architettura,
problematiche sociali, fotografia....
PERCHE’ VOGLIO FARE rete con Lo Specchio,
perché realizza cultura e informazione di qualità
per il nostro territorio.
ASSOCIAZIONE CULTURALE
LO SPECCHIO
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oncludendo il percorso annuale
l’Associazione culturale Lo Specchio dà appuntamento fin da subito
al 2014.
Se ti interessi di ambiente, cultura, territorio,
musica, arte, architettura, problematiche sociali … dunque sei un cittadino attivo, non
perdere l’occasione e inserisciti anche tu nella
“rete” collaborando con Lo Specchio.
Una rivista di qualità e un sito interattivo accoglieranno le tue riflessioni inserendoti in un
circuito dai mille volti…
Anche il tuo sguardo è fondamentale per costruire insieme un’informazione di qualità per
il nostro territorio!
Non perdere questa occasione e sottoscrivi
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SABATO 14 DICEMBRE ore 17,30
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Raccolta e rinnovo sottoscrizione
all’Associazione Lo Specchio
Inaugurazione Mostra Fotografica “Prospettive a 360°”
Presentazione di “SCUOLA IN RETE” portale e
supplemento dello Specchio Magazine dedicato alla scuola
R
Raccolta e rinnovo sottoscrizione all’Associazione Lo Specchio
CABARET VOLTAIRE: DJ SET CON DJ MEGMA,
selezione di new wave, post-punk, industrial ed ebm.
sonorità tra la fine degli anni '70 e la prima metà degli '80.
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R
DOMENICA 15 DICEMBRE dalle ore 17,30
s
“
CAMPAGNA SOCI 2014
14-15 DICEMBRE 2013
Sala Biagetti, Castello Svevo
Porto Recanati
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MAGA ZINE
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Lo Specchio Magazine è qualcosa di completamente diverso da un
sito di informazione commerciale. È il risultato del lavoro di una comunità, scritta da volontari con la loro competenza, conoscenza e
amore per il territorio. Anche tu fai parte della nostra comunità. E ti
invitiamo per chiederti di sostenere il nostro progetto “Lo Specchio
Magazine”. Insieme possiamo riuscire a mantenerla gratuita e libera.
Possiamo riuscire a farlo vivere in modo che tutti possano usare le
informazioni che contiene e far conoscere, in maniera approfondita
e libera, il nostro territorio. Possiamo farla continuare a crescere, a
farle diffondere informazione e cultura e a mantenerla aperta alla
partecipazione di tutti.
Vanni Semplici, Presidente Associazione Culturale Lo Specchio
Donazione con bonifico bancario
BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI RECANATI E COLMURANO
IBAN: IT/06/H/08765/69110/000040115617
Intestato a: Associazione Culturale Lo Specchio
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