occhi di donna, poesia del mondo
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LO SPECCHIO www.specchiomagazine.it • [email protected] MAGAZINE Trimestrale di cultura, tempo libero, sport e varia attualità - distribuzione gratuita N. 7 - luglio 2013 - ANNO III OCCHI DI DONNA, POESIA DEL MONDO Photo contest 2013 de Lo Specchio Magazine: “Donne allo specchio” foto di Federica De Stefani (la vincitrice del concorso) STORIA IL “PASSAR DELLA FALCE CHE PAREGGIA TUTTE L’ERBE DEL PRATO” - Lino Palanca 5 LA NOSTRA FEDE È LA VITTORIA CHE VINCE IL MONDO - Janula Malizia 8 TESTIMONE DI DIO AI CONFINI DEL MONDO - “I Santesi weblog” (Paolo Onofri) 13 NO ALLA GUERRA DI REDENZIONE - Massimo Morroni 14 STORIE ADRIATICHE DAL GRAN RIFIUTO (NON PER VILTÀ) A VESCOVO DI RECANATI - Marco Moroni 17 INFORMAZIONE AIUTO, LA STAMPA! - Giancarlo Liuti 21 SALUTE NUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA: L’OZONO - Anna Petrozzi 24 EDUCAZIONE VIOLENZA E PREADOLESCENZA, UN BINOMIO ESPLOSIVO - Annunziata Brandoni 26 SCUOLA LIBRO, MOSCHETTO E … BOMBE - Mario Mancinelli 28 LAVORO SO MARENARE E TIRO ‘A REZZA … - Luciano Bruno Venusto 31 REGIONE MARCHE - ATTIVITA’ PRODUTTIVE - PESCA LA REGIONE A FIANCO DELLE IMPRESE PER AFFRONTARE LA CRISI E PERMETTERE IL RILANCIO 34 MANGIA BENE, CRESCI SANO COME UN PESCE! 35 LA NOSTRA TERRA SFIDA IN CUCINA - Grazia Bravetti Magnoni 36 VIVA IL VINO CH’È SINCERO, CHE CI ALLIETA OGNI PENSIERO .. - Alfredo Pirchio 38 AMBIENTE E TERRITORIO IL COLORE GIUSTO DELL’ECONOMIA - Eleonora Stortoni 41 PERSONAGGI L’IMPEGNO CIVILE OLTRE L’IMMAGINE - Paolo Onofri 43 CRONACA TRISTE “UN PEZZO DI PARADISO SU QUESTA TERRA” - Eleonora Tiseni 47 FOLK ‘FFÀCCETE DAL BALCONE O BELLA BIMBA … - Lo Specchio folk 51 POESIA GABRIELLA PAOLETTI, ADDIO DEL PASSATO 54 «CITTA’ DI PORTO RECANATI» XXIV Edizione 2013 57 RECENSIONI A CHE COSA SERVE LEGGERE? ANCHE A CAMBIARE LA VITA - Lo Specchio Libri 58 CAPOLAVORI APPENA DIETRO L’ANGOLO. CHI SE NE È ACCORTO? - Vincenzo Oliveri 59 NIHIL URBE ROMA VISERE MAIUS … - Anna Maria Ragaini 60 SPORT ARANCIONI, LEGGENDA CHE NON TRAMONTA - Gianluca Guastaferro 62 ATTIVITA’ LO SPECCHIO LA MUSICA SENZA ETÀ ALLO SPECCHIO MAGAZINE FESTIVAL 2013 - Vanni Semplici 67 ALLA SCOPERTA DELLE MARCHE INSOLITE CON GLI APERITIVI DELLO SPECCHIO MAGAZINE FESTIVAL - Luca Pantanetti 70 “DONNE ALLO SPECCHIO” IL NOSTRO CONCORSO - Aurora Foglia 71 LANDSCAPE - ARTE DELLA LUCE 73 Trimestrale di cultura, tempo libero, sport e varia attualità. Proprietà: Associazione Lo Specchio, C.so Matteotti, 34 - 62017- Porto Recanati (MC) Direttore responsabile: Lino Palanca - cell. 347.1931215; e-mail: [email protected] Direttore editoriale: Vanni Semplici - cell. 331.5786518; e-mail: [email protected] Capi servizio: Giorgio Corvatta - cell. 338.7648664; e-mail: [email protected] Aurora Foglia - e-mail: [email protected] Emilio Pierini - cell. 338.7370016; e-mail: [email protected] In redazione: Cristina Castellani - [email protected] Eleonora Tiseni - [email protected] Pubblicità: Vanni Semplici - cell. 331.5786518; e-mail: [email protected] Distribuzione gratuita Registrazione Tribunale di Macerata Registro 599 del 5 aprile 2011 Hanno collaborato a questo numero: Lino Palanca - Vanni Semplici - Janula Malizia - Massimo Morroni - Marco Moroni Giancarlo Liuti - Anna Petrozzi - Annunziata Brandoni - Mario Mancinelli - Luciano Bruno Venusto - Grazia Bravetti Magnoni Alfredo Pirchio - Eleonora Stortoni - Paolo Onofri - Eleonora Tiseni - Gabriella Paoletti - Luciana Interlenghi - Vincenzo Oliveri Anna Ragaini - Gianluca Guastaferro - Luca Pantanetti - Aurora Foglia Vignetta di Giorgio Corvatta Chiuso in redazione il 25 luglio 2013 STORIA IL “PASSAR DELLA FALCE CHE PAREGGIA TUTTE L’ERBE DEL PRATO” di Lino Palanca foto messe a disposizione da Fabrizio Carbonetti Truppe americane sbarcano ad Anzio - foto Wikipedia I LUPI FEROCI AZZANNANO E UCCIDONO. NON FANNO PRIGIONIERI, NON HANNO PIETÀ. COME I NAZIFASCISTI MASSACRATORI DEI GIOVANI PARTIGIANI DI MONTALTO MARCHE. IL CARTELLO VALE PER LORO: ACHTUNG, BANDITEN! 5 STORIA O perazione shingle, ciottolo di spiaggia. Il 22 gennaio 1944 la VI armata alleata sbarcò ad Anzio. Il suo compito: aprirsi rapidamente un varco verso Roma. Al comando della spedizione il maggior generale John Porter Lucas, americano, che si trastullò a rafforzare la testa di sbarco invece di puntare subito sulla città eterna. Scelta sorprendente anche per i tedeschi, quasi increduli di fronte a un tale colpo di fortuna. Il primo a rimettersene fu il maresciallo Kesselring, comandante in capo della Wehrmacht in Italia, che radunò in fretta un paio di divisioni e con quelle inchiodò gli americani sulla spiaggia laziale per quattro mesi durante i quali i passi appenninici divennero vitali per i rifornimenti al suo esercito. Di grande rilevanza strategica era la zona di Cessapalombo perché da lì si controllava il passo di Colfiorito, dove transitavano le truppe di rinforzo e i materiali per le panzerdivisionen impegnate sul fronte di Anzio 1. Nella località di Montalto (comune di Cessapalombo) il dinamismo partigiano appariva notevole. Lì si erano ritrovati molti giovani, provenienti da varie località della provincia di Macerata, saliti in montagna anche per non doversi arruolare nell’esercito di Salò. La loro attività di gruppo partigiano non comunista, agli ordini del tenente Achille Barilatti, procurava fastidi reali ai convogli tedeschi. I partigiani di Porto Recanati erano in contatto con il gruppo di Montalto, che visitavano spesso per portare rifornimenti di vario genere. Lassù c’era un gruppo di una ventina di giovani portolotti, acquartierati in un casolare poco lontano dal comando Barilatti. Nella serata del 21 marzo ’44 costoro furono felici di salutare un ospite: Marzo, 21. Montalto. In serata i nostri ricevono una visita. È Bebi Patrizi, recanatese, giovane staffetta del gruppo Barilatti, compagno di banco di Luigi Feliciotti, che insiste perché l’amico passi la notte con lui. Ma Patrizi dice di dover rientrare al comando e vuole approfittare della notte e della giornata inclemente. Nevischio, nebbia. E parte, incontro alla morte 2. Marzo 22. Montalto. All’alba, spari nelle vicinanze del campo dei portorecanatesi. Si vedono correre dei contadini: gridano qualche 6 cosa, impauriti. Le truppe tedesche e fasciste, in un’azione di rastrellamento ben programmata, hanno sorpreso il gruppo Barilatti, uccidendo la sentinella prima che potesse dare l’allarme. Trenta giovani sorpresi nel sonno non fanno in tempo ad imbracciare le armi; portati ai margini di un vicino viottolo (nella tarda mattinata del 22, n.d.a), a gruppi di cinque, vengono massacrati …3. Tra i morti c’era anche Patrizi, diciannove anni. La notizia giunse subito a Recanati, portata dai superstiti, compresi i portorecanatesi, subito allontanatisi dalla zona della strage 4. Nell’Archivio storico del comune di Recanati c’è un documento toccante; è un invito scritto a mano, che recita così: Sabato 1° Aprile nella chiesa di S. Filippo alle ore 8.30 sarà celebrato un ufficio funebre in suffragio della carissima anima del defunto Adalberto Patrizi. La mamma, gli zii, la nonna, il fratello, la sorella, i parenti e gli amici tutti, ringraziano quanti vorranno partecipare. Recanati, 30 marzo 1944. 5 La pietà e il dolore dei famigliari, però, non avevano fatto i conti con il cinismo fascista. Il giorno dopo il commissario prefettizio del comune scrisse all’ispettore della polizia municipale: Per disposizioni del Capo della Provincia, si prega codesto Ufficio voler diffidare il Rettore della Chiesa di S. Filippo a celebrare la messa in suffragio di Adalberto Patrizi alle ore 6 del mattino con l’intervento dei soli congiunti, quindi senza partecipazione del pubblico, e con esclusione di addobbi sia interni che esterni, di manifesti. Non bastò, ché lo stesso commissario allertò pure il locale distaccamento della Guardia Repubblicana: Domattina, alle ore 6, nella chiesa di S. Filippo, avrà luogo una messa in suffragio di Adalberto Patrizi. Per ordine del Capo della Provincia deve essere vietato ai cittadini, all’infuori delle persone di famiglia del defunto, di partecipare alla funzione. Si prega disporre per il servizio d’ordine affinché tale ordine sia scrupolosamente osservato e impedito qualsiasi tentativo di manifestazioni 6. L’ispettore della polizia municipale eseguì tutto quanto gli era stato chiesto e quindi inviò il suo verbale: Io qui sottoscritto ……………, Ispettore dirigente l’Ufficio di Polizia del Comune di Recanati, in esecuzione alla nota in pari data del Commissario Prefettizio indirizzata allo stesso STORIA ufficio, rendo noto a chi di regola quanto segue: invitato il Rettore della Chiesa di S. Filippo Don ………………, gli ho dato conoscenza della disposizione impartita dal Capo della Provincia con cui è detto che in merito alla funzione funebre in suffragio del defunto Patrizi Aldebrando (?), è consentito procedere alla funzione alle ore 6 del mattino con l’intervento dei soli famigliari, con esclusione di addobbi sia interni che esterni e senza manifesti…7. La morte di Patrizi ebbe qualche risvolto nella scuola frequentata dal ragazzo, il liceo classico di Recanati. Un giorno, poco dopo la sua morte, il preside e una professoressa fecero il giro delle classi per notificare agli alunni la necessità di aderire alla Repubblica Sociale di Salò. Donatella Donati e Graziella Fortuna si alzarono in piedi e dissero che mai avrebbero detto sì a chi aveva assassinato un loro compagno di scuola. Ebbero sette in condotta, più minacce varie, tra le quali l’espulsione “da tutte le scuole del Regno” (chissà di quale regno; non eravamo nella RSI ?); la madre di Donati si trovò anche schedata come vero tipo di massone. Il preside, che durante la guerra diresse come reggente il Centro Nazionale di Studi Leopardiani, fu epurato a Liberazione avvenuta e cacciato dal liceo dove venne a sostituirlo Giovanni Trepin, uno spalatino che viveva a Macerata. È singolare come, qualche anno dopo, quando, ormai adulte, le due ex liceali andarono a ricercare i documenti di quel fatto, non trovassero più assolutamente nulla nell’archivio della scuola. La salma di Bebi Patrizi fu portata a Recanati nell’agosto del ’44, dopo solenni onoranze a Tolentino, nella grande cerimonia in memoria dei martiri di Montalto, e tumulata nel civico cimitero, questa volta dopo la messa con addobbi interni ed esterni, manifesti, e tutta Recanati al seguito della bara. Dopo il passaggio del fronte (luglio ’44), fu giocato un torneo di calcio intitolato a Bebi, appunto la Coppa Patrizi. Vi parteciparono le squadre del circondario Portorecanati, Recanatese, Portocivitanova, Osimana ed altre, con l’aggiunta di una squadra della Raf, una di polacchi e un’altra mista anglo-irlandese. Le quali tutte non fecero grande onore al Caduto per la libertà. Infatti più che di un torneo si trattò di un rodeo sostanziato da solenni scazzottate tra le tifoserie italiane, con la generosa collaborazione delle équipes straniere. Un caos. Tanto che ancora oggi nessuno sa dire con certezza chi vinse la Coppa, rimasta nella bacheca della Recanatese, dove penso si trovi ancora 8. 1 Su Anzio: Winston S. Churchill, La seconda guerra mondiale, vol. X, Da Teheran a Roma, Milano, Mondatori, 1970, pp. 186-204. 2 Luigi Feliciotti era figlio di Lucidio, membro comunista del CLN di Porto Recanati. 3 L. Palanca - A. Biagetti, A Marcello non piacciono le fave, Recanati, Bieffe Grafiche, 1999, p. 48. Una documentazione specifica e molto dettagliata sui fatti di Montalto si può trovare nel volume Noi c’eravamo, a cura di Enzo Calcaterra, Istituto Editoriale Europeo, Tolentino 1989. 4 Mi ha riferito Fabrizio Carbonetti, a lungo presidente dell’ANPI di Recanati, direttore responsabile de Il cittadino di Recanati.it, che Patrizi era una grande promessa della corsa veloce, 100 e 200 metri, tanto da essere inserito nei “papabili” olimpionici. Per questo, in un primo momento, a Recanati si era creduto che fosse riuscito a fuggire grazie alle sue doti atletiche. 5 Le citazioni relative alla messa in suffragio di Patrizi sono tratte dall’Archivio storico c.le di Recanati, titolo VIII, anno 1944 (ringrazio, per avermene favorito la ricerca, le signore Savoretti, Rotini e Cutini) 6 Il capo della provincia era Ferruccio Ferrazzani o Vincenzo Carusi; siamo nei giorni del passaggio di consegne tra i due. 7 Il documento mi è giunto già con gli spazi bianchi segnalati dai puntini. 8 v. Lino Palanca, Con il cuore si vince. Storie arancioni 1919-2009, Recanati, Bieffe, 2009, pp. 22-23. 7 STORIA LA NOSTRA FEDE È LA VITTORIA CHE VINCE IL MONDO di Janula Malizia Dipinto di C. Bossoli, La battaglia di Castelfidardo, Museo del Risorgimento, Torino QUESTO MOTTO, INCISO IN LATINO SU UN CIMELIO MOLTO PARTICOLARE, ACCOMPAGNÒ IN TANTE BATTAGLIE IL SOLDATO MYLES KEOGH. FINO ALLA MORTE. LA STORIA DI UNA MEDAGLIA CHE SEGUÌ IL DESTINO DI UN UOMO, DAL CUORE DELLA VECCHIA EUROPA FINO IN AMERICA. IL MISTERO DI UN CIMELIO, FATTO CONIARE DA PIO IX E RINVENUTO NEL NORD OVEST AMERICANO, SUL PETTO DI TATANKA IYOTAKE, IL GRANDE GUERRIERO INDIANO PASSATO ALLA STORIA COME TORO SEDUTO. 8 C i sono due scenari lontani miglia e miglia tra loro, con un oceano in mezzo, che poco hanno in comune se non che furono entrambi teatro di epiche battaglie, combattute a distanza di tre lustri l’una dall’altra nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Due sono anche i corsi d’acqua che ancora oggi segnano queste vallate: il Little Bighorn che scorre snello e impetuoso nel Montana americano e il Musone che scorre placido e lento nelle nostre Marche. Oltre ad essere entrambi piccoli fiumi, poco altro hanno in comune, se non che nei pressi delle loro rive si avvicendarono uomini valorosi con appresso i loro cavalli e si combatterono grandi battaglie che passarono alla Storia. La verde vallata del nord ovest americano, teatro dell’epica battaglia del Little Bighorn, oggi non è altro che un vasto cimitero che custodisce disordinatamente le spoglie degli uomini del 7° cavalleggeri dell’esercito degli Stati Uniti d’America, ognuno seppellito sul posto, nel luogo preciso dove fu ritrovato. Possiamo solo immaginare il caos che imperò per 25 lunghissimi minuti, il tempo del combattimento che vide il trionfo di Toro Seduto e la sconfitta del generale Custer, “lunghi capelli” per gli Indiani. I nativi americani comprendevano ben poco dell’uomo bianco, della sua bramosia d’oro, scovato nei luoghi sacri. E di quelle terre sacre le truppe dei bianchi volevano a tutti i costi impossessarsi, incuranti degli accordi firmati con i capi tribù e siglati dalle autorità gover- STORIA native. Sotto la guida di Toro Seduto, per una volta almeno nella loro storia, i nativi americani riuscirono a coalizzare le forze delle numerose tribù e, almeno in quell’occasione, ad avere la meglio. Soltanto un trombettiere di origine italiana di nome John Martin (Giovanni Martini) sopravvisse: egli fu infatti mandato da Custer, non appena questi si rese conto di essere in forte svantaggio numerico, a chiedere rinforzi. L’unico altro reduce della battaglia fu il cavallo Comanche del capitano irlandese Myles Keogh, conservato imbalsamato in una Università del Kansans. I corpi dei nemici, come consuetudine indiana, dopo la battaglia furono martoriati, spogliati e privati dello scalpo. Possiamo immaginare, nei momenti successivi la battaglia, il grande Toro Seduto che si aggira in una distesa di corpi straziati nell’agone, tra la polvere e l’odore acre del sangue. Davanti ai suoi occhi, il compimento di una visione avuta durante la danza degli spiriti, pochi giorni prima: soldati caduti. Il grande guerriero improvvisamente dovette arrestarsi, perché qualcosa aveva attirato la sua attenzione. Dal petto del reduce irlandese della battaglia di Castelfidardo, il capitano Myles Keogh di cui Toro Seduto non sapeva nulla, se non che si era difeso con valore, giungeva un bagliore metallico. Il capitano che aveva combattuto tre guerre in due continenti diversi, aveva addosso un sorta di talismano. Toro Seduto non poteva sapere che l’irlandese, anni e anni prima, aveva fatto parte del valoroso Battaglione di San Patrizio a di- fesa dello Stato Pontificio, per il quale aveva combattuto tanto valorosamente da ricevere una medaglia. Il capo indiano raccolse quel pezzo di metallo così particolare, diverso dagli altri, di cui non conosceva la storia, e lo conservò gelosamente credendolo un potente amuleto. Quel cimelio fu rinvenuto ancora fisso al petto di Toro Seduto il giorno della sua morte nel 1890. Il condottiero coraggioso, l’abile politico con grandi doti tattiche che un giorno lontano durante una danza propiziatrice ebbe la profetica visione che spinse ad unire tutte le tribù Sioux contro l’uomo bianco, il capo che riuscì a sconfiggere Custer nella storica battaglia di Little Bighorn, era ormai invecchiato. Ma fu tenuto in grande considerazione dai suoi e temuto dalle truppe dei bianchi finché, il 15.12.1890, esalò l’ultimo respiro, mentre si preparava a partecipare ad un’altra grande danza degli spiriti per scacciare l’uomo bianco. Aveva con sé l’amuleto da cui non si separava mai, prelevato dal corpo senza vita del valoroso soldato irlandese morto a Little Bighorn tanti anni prima, 9 STORIA mentre in quella mattina brumosa di dicembre veniva trascinato via dai governativi americani. Ironia della sorte, morì in un conflitto a fuoco per mano di un poliziotto della sua stessa gente, un Dakota. Torniamo indietro nel tempo a più di quindici anni prima, ripercorriamo le praterie, le montagne e le colline e salpiamo a ritroso l’oceano Atlantico. Siamo di nuovo nel vecchio continente, nelle Marche; il Nostro irlandese appena ventenne non ha ancora ricevuto nessun riconoscimento e milita nelle file di quei drappelli di volontari stranieri che accorsero a rinforzare le difese di Papa Pio IX e dello Stato pontificio, minacciato dal progetto unitario dei Savoia. I campi erano già stati arati, in quello scorcio di estate morente nella vallata del fiume Musone. 18 Settembre 1860. I volontari erano lì, attirati dal soldo ma i più dal mito romantico di un’ultima crociata. Si ritrovarono a Loreto la sera prima, presero i sacramenti all’alba e andarono in combattimento digiuni. Nel 1860 soldati pontifici combatterono strenuamente nelle Marche e in Umbria, ma furono sconfitti. I volontari del papa erano quasi tutti giovani di età compresa tra i 17 e i 25 anni e persero la vita, al pari dei bersaglieri piemontesi, lontano da casa. Quello di Castelfidardo fu il momento decisivo di un conflitto che aveva assunto caratteristiche nuove, possiamo definirle moderne. Erano infatti entrati in gioco i nascenti servizi segreti, le armi moderne come i cannoni e i fucili rigati, i telegrafi portatili, il ruolo psicologico giocato da giornali, decreti e ordinanze, punti di forza per i Piemontesi. La battaglia di Castelfidardo risultò decisiva per le sorti risorgimentali che portarono poi alla breccia di Porta Pia e all’Unità d’Italia. 10 Due furono gli schieramenti che si contrapposero nella battaglia, svoltasi tra la valle del Musone e la parte collinare ai confini della cittadina. Da una parte le truppe del generale Cialdini per i piemontesi, dall’altra le truppe pontificie, guidate dal comandante in capo, il generale francese Cristoforo De Lamoricière e dal Generale marchese De Pimodan. Quest’ultimo in particolare guidava la colonna di sinistra coinvolta nell’attacco finale, di cui faceva parte anche la compagnia di S. Patrizio, in cui militava il nostro soldato Irlandese. Un paragone calcistico molto efficace è stato usato per rendere l’idea dei fattori che pesarono sulle sorti di questa battaglia, così decisiva per il risorgimento italiano. Il generale Cialdini era in svantaggio alla fine del primo tempo, poi gli errori grossolani dei comandanti avversari “che non chiudevano la partita” gli permisero di ribaltare la situazione e di vincere alla fine l’incontro, impedendo agli 8.000 pontifici di raggiungere Ancona e rinchiudervisi. Il sacrario che si trova presso la selva di Castelfidardo, sui luoghi in cui si svolse la battaglia, raccoglie le ossa dei soldati che combatterono a Castelfidardo, custodite in avelli separati secondo gli schieramenti nella stanza sottostante al monumento. Ma non contiene le ossa del soldato irlandese di nome Myles Keogh, che erano destinate a finire inaspettatamente lontano. Quante probabilità ci potevano essere per un soldato nato in Irlanda il 25.03.1840, che combatté tra le fila delle truppe pontificie nella battaglia di Castelfidardo il 18 settembre 1860, di trovarsi dall’altra parte del mondo e più precisamente accerchiato dagli indiani a Little Bighorn, in pieno nord ovest americano, il 25 giugno del 1875? Seguiamo con una rapida prospettiva l’incredibile storia dell’irlandese e della sua medaglia. Pio IX con l’ Ordine nr. 484 dell’8 dicembre 1860 del Ministero delle Armi, donò a Myles Keogh del Battaglione di San Patrizio la medaglia commemorativa in bronzo con una croce capovolta (in ricordo del martirio di apostoli come San Pietro) in quanto “aveva preso parte alla campagna del 1860 contro l’esercito sardo invasore”. Con essa al petto egli prestò servizio nell’esercito papale fino al 1862, dopodiché emigrò in America. Lì, il 1° aprile 1862, combatté nella guerra Civile STORIA Terzo da sinistra Papalguard - foto profiles.google.com americana diventando capitano e tenente colonnello. Infine entrò nel 7° cavalleria del generale Custer, e cadde con lui sulla collina del Little Bighorn. La medaglia commemorativa di Castelfidardo venne prelevata dal suo corpo esamine nel campo di battaglia di Little Bighorn da Toro Seduto in persona, il quale lo ritenne un potente amuleto e non se ne separò mai. Fu rinvenuta su di lui al momento della morte, nel 1890. Una copia della medaglia commemorativa della battaglia è custodita nel Museo Risorgimentale di Castelfidardo. Questo tipo di medaglia venne concessa a tutti coloro che avevano partecipato, con le truppe pontificie, allo contro con l’esercito del Regno di Sardegna. Pio IX la fece coniare per premiare i soldati che si erano battuti in suo nome contro l’esercito piemontese durante l’invasione dello stato pontificio 11 STORIA Medaglia originale - foto portale italiano militaria Medaglia Castelfidardo Museo del Risorgimento di Castelfidardo foto Museo del Risorgimento di Castelfidardo del 1860. Vi erano alcune differenziazioni nelle medaglie, che variavano a seconda del beneficiario: • Medaglia d’oro smaltata in blu per gli ufficiali generali • Medaglia d’oro per gli ufficiali superiori • Medaglia d’argento per gli ufficiali inferiori • Medaglia in metallo bianco per i sottufficiali e la truppa. Solo pochi esemplari di questa medaglia vennero realizzati. Le dimensioni erano fuori della norma medaglistica, più grandi del solito, così che i romani la poterono soprannominare familiarmente la “ciambella”. Riportava attaccato un nastro bianco giallo e rosso su cui venivano fissate delle fascette a seconda delle battaglie alle 12 quali si era partecipato: Viterbo, Pesaro, Fano, Sant’Angelo, Castelfidardo e Ancona. Era composta di un cerchio riportante circolarmente sul diritto il motto “VICTORIA QUAE VINCIT MUNDUM FIDES NOSTRA”, mentre sul retro era riportata la scritta “PRO PETRI SEDE PIO IX P.M.A.XV”. Il cerchio aveva in centro una croce capovolta (simbolo non blasfemo come a prima vista potrebbe sembrare a chi ne ignora la storia, bensì del martirio di San Pietro, primo pontefice, il quale venne crocifisso a testa in giù per non eguagliare l’esempio di Cristo, condannato al medesimo martirio). Su questa croce era raffigurato un serpente che si mordeva la coda, simbolo del peccato mortale che attanagliava quanti osassero attaccare la chiesa. Fonti bibliografiche e ringraziamenti: Massimo Coltrinari, Lo scontro di Castelfidardo del 18 settembre 1860, Roma, Nuova Cultura, 2010 Lucio Martino, L’11 settembre della Chiesa, Genova, Eidon, 2010 Chiara Giglio, La quarta Compagnia nella Battaglia di Castelfidardo, Osimo, Brillarelli, 2004 Il Museo del Risorgimento di Castelfidardo, a cura di Italia Nostra e Fondazione Ferretti. STORIA TESTIMONE DI DIO AI CONFINI DEL MONDO per gentile concessione de “I Santesi weblog” (Paolo Onofri) NEL DUECENTESIMO ANNO DALLA SUA NASCITA, POTENZA PICENA RICORDA GIUSEPPE MARIA BRAVI, DOCENTE DI TEOLOGIA DOGMATICA E VESCOVO MISSIONARIO DI COLOMBO NELL’ISOLA DI CEYLON. UNA VITA SPESA NELL’ANNUNCIO DEL MESSAGGIO EVANGELICO. P otenza Picena può vantare tra i suoi figli più illustri Giuseppe Maria Bravi, Vescovo di Tipasa e primo Vicario Apostolico europeo di Colombo, Ceylon, nello Sri Lanka. Giuseppe Maria Bravi nasce infatti a Monte Santo, l’attuale Potenza Picena, il 6/12/1813 da Giovanni Battista e Serafina Belletti. Il padre si era trasferito da Monterosso di Sassoferrato a Monte Santo per seguire la sua professione di amministratore delle proprietà terriere della famiglia del conte Carradori Flamini. Dopo aver frequentato le scuole a Monte Santo, prosegue gli studi classici a Recanati. A 16 anni entra nell’ordine Silvestrino di Fabriano. Dopo la sua professione solenne avvenuta nel 1831 nella Chiesa di S. Benedetto di Fabriano, fu assegnato al Monastero di S. Maria Nuova di Matelica. Per gli studi filosofici si recò a Perugia e Fabriano, nel Monastero di S. Benedetto, mentre per lo studio della teologia scelse il Monastero di S. Silvestro di Osimo. Ricevette il suddiaconato dal Vescovo di Fabriano e Matelica Mons. Pietro Balducci il 4/4/1835. Il diaconato e sacerdozio gli vennero conferiti rispettivamente il 9/12/1835 ed il 19/6/1836 da Mons. Alessandro Bernetti, Vescovo di Recanati e Loreto, nella sua Cappella privata di Loreto. Il Capitolo Generale dell’Ordine del 1837 assegna il Bravi al Monastero di S. Silvestro di Osimo, come lettore di teologia dogmatica e morale. Ricopre questo compito fino al 1844, quando decide di dedicarsi alla vita missionaria. Il giorno 14 marzo 1845 padre Giuseppe Maria Bravi salpa dal porto di Civitavecchia per l’isola di Ceylon, nelle Indie Orientali. Proprio in questo paese inizia la sua vita missionaria e gli viene assegnata la Chiesa di S. Filippo Neri di Colombo. Il 15 gennaio 1850 il Papa marchigiano Pio IX, per le sue qualità, lo nomina Vescovo di Tipasa e assistente del Vicario Apostolico di Colombo Mons. Gaetano Antonio. In seguito viene nominato Vicario Apostolico di Colombo, primo Vescovo europeo. Nel corso di una traversata in mare a bordo del vapore “Nubia” per ritornare in Italia per curarsi da una grave malattia, al largo del Mar Rosso, il giorno 15/8/1860 Giuseppe Maria Bravi muore e viene seppellito nel Cimitero Cattolico di Suez. Nel 1863 la salma, a cura dei missionari silvestrini, viene esumata dal predetto Cimitero e portata nella città di Colombo, Ceylon, e deposta nella Chiesa di S. Filippo Neri, dove si trova attualmente. Il palazzo Bravi a Potenza Picena era quello attualmente occupato dalla famiglia Piani, in via G. Marconi, che lo ha ristrutturato nel 1936 (questa via era intitolata alla famiglia Bravi, successivamente modificata in Via XX Settembre dopo l’Unità d’Italia). Uno dei discendenti del Vescovo Giuseppe Maria Bravi è stato Fulvio Bravi (Potenza Picena 1/10/1892 -9/2/1966), nipote del fratello Dott. Silvestro Bravi e della contessa Giovanna Zocchi di Tolentino. Giuseppe Maria Bravi Presso la Collegiata di S. Stefano di Potenza Picena è presente un dipinto del Vescovo, un olio su tela, che avrebbe bisogno di un adeguato restauro, per onorare degnamente questo grande personaggio santese. (Notizie tratte dal libro “Giuseppe Maria Bravi 1813-1860” primo Vicario Apostolico Europeo di Colombo, a cura di Beda Barchetta, Fabriano Monastero di S. Silvestro Abate 1994) - Al puntuale intervento del blog I Santesi, dell’amico Paolo Onofri, aggiungo che il vescovo Bravi ebbe un segretario portolotto. Si tratta di padre Filippo Scocco, silvestrino anche lui, buon musico, che seguì il vescovo a Ceylon dove morì di febbre tifoidea – l.p. 13 STORIA NO ALLA GUERRA DI REDENZIONE di Massimo Morroni - *** le foto sono tratte da giornali dell’epoca Cartolina celebrativa della conquista della Libia LA GUERRA SANTA CONTRO LA SUPPOSTA BARBARIE TURCA PER LA CONQUISTA DELLA LIBIA, “GEMMA AFRICANA E PERLA DEL MEDITERRANEO” PER ALCUNI, “SCATOLONE DI SABBIA” PER ALTRI, TROVÒ NEL NOSTRO TERRITORIO SOSTENITORI E AVVERSARI. TRA I SECONDI, “LA SENTINELLA DELLE MARCHE” DI OSIMO, FOGLIO DELLA DEMOCRAZIA RADICAL-REPUBBLICANA. UNA VOCE CONTRO LE FOLLE ACCLAMANTI LA RICONQUISTA DEL MARE NOSTRUM. 14 STORIA I l 15 ottobre 1877 uscì il primo numero del settimanale “La Sentinella del Musone” ad opera di repubblicani, radicali, liberali di vecchia data e anticlericali. Ne assunse la direzione l’avvocato Giuseppe Magnoni, collaborando con Vincenzo Rossi, Pasquale Frampolli ed altri, tutti liberali appartenenti alla borghesia colta. E’ anche da ricordare l’avvocato Augusto Santini, simbolo della Sinistra osimana. L’interesse del giornale fu soprattutto locale, civico e politico, avversario dell’aristocrazia terriera, della quale denunciò i privilegi, i monopoli e l’immobilità, e della Chiesa. Nel decennio successivo il settimanale divenne filosocialista. Nel 1884 cambiò testata, chiamandosi solo “La Sentinella” e si aprì a tutta la provincia di Ancona; l’anno seguente aggiunse il sottotitolo “Gazzetta delle Marche”. Si chiamò poi “La Sentinella delle Marche”. Con il professor Cesare Romiti fu socialista (1912-1915), quindi divenne nazionalista e fascista. Cessò nel 1923. Nel periodo 1911-1912, nel quale si svolse la guerra di Libia, la “Sentinella” affermò ripetutamente di considerare lo stato di guerra “come uno stato selvaggio dell’umanità” e auspicò il giorno in cui “gli uomini delle loro spade fabbricheranno zappe e delle loro lance, falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione e non impareranno più la guerra”. Essa credeva che il suo patrimonio ideale fosse destinato a diventare condizione di fatto dell’umanità, e lavorava per instaurare effettivamente la pace. Per questo approvò i tentativi nobili dei pacifisti. Dissentì invece sui loro metodi, perché riteneva ingenuo poter attuare lo Cartolina celebrativa dello sbarco dei marinai italiani a Bengasi stato di pace solo mediante l’azione delle idee. Infatti le cause della guerra sono immanenti nella realtà economica della società borghese: dove esistono disuguaglianze sociali, la guerra è inevitabile, e dove esistono Stati armati che si contendono i mercati mondiali, sussistono le cause permanenti della guerra. Per questo la propaganda pacifista va unita all’azione delle forze proletarie intente a fabbricare una società basata su diverse fondamenta economiche: “quanto più il proletariato sarà forte ed organizzato e quindi in gran parte signore dei mezzi di produzione e dello stato, tanto meno sarà facile lo scoppio della guerra”. E’ da sottolineare che “La Sentinella” iniziò a gennaio 1911, con una media poi di tre articoli mensili, a far conoscere estesamente le sue posizioni antimilitariste e anticolonialiste, mentre cominciò ad occuparsi della guerra italo-turca fin dalla dichiarazione della stessa. Numerosi sono gli attacchi rivolti ai nazionalisti, ai capricci dei capitalisti, ai conservatori che sollecitano la corsa agli armamenti, al governo che sciupa denaro nelle spese militari (in Europa otto volte superiori a quelle per l’assistenza sociale), alle categorie (banchieri, industriali, fornitori) che trarrebbero vantaggi dal conflitto, ai clericali che difendono i ricchi e gli sfruttatori, al papa che ostacola il Congresso internazionale per la pace. La colonizzazione viene interpretata anche come un’azione immorale violenta e di rapina. A guerra iniziata, prosegue la pubblicazione di articoli contrari, contenenti considerazioni applicate alla realtà dell’impresa africana, che si protrarranno per tutta la durata dell’impresa. A fine ottobre 1911 appare una sintesi tratta da un giornale di Reggio Emilia, nella quale si elencano alcuni “perché” di avversione, e questi motivi si ritroveranno poi spesso sulla “Sentinella”: la violazione di principi ideali e morali del sano patriottismo, le infatuazioni militariste, il diversivo politico alle riforme, il miraggio della cuccagna africana, l’abbandono del problema meridionale, l’onore nazionale che vuol coprire i peggiori istinti anticivili. Anche la voce di un generale 15 STORIA viene ospitata: “Le colonie ottenute con la forza brutale e avvivate col dominio politico non ingagliardiscono la madre-patria; sono le colonie sorte naturalmente coll’emigrazione in lontane regioni, e i commerci attirati liberamente , quelli che risolvono il doppio problema dell’esuberanza di una generazione e della formazione di nuova ricchezza”. Segue una lunga citazione di Achille Loria: “(...) Le imprese di conquista e di sfruttamento coloniale rendono fatalmente necessario il prevalere del potere esecutivo sugli altri organi della vita pubblica e portano di necessità la risurrezione di un’autocrazia propria di epoche da secoli tramontate”. Il principe romano Gaetani, dopo una breve disamina del bilancio della guerra, conclude: “Un giorno si dovrà confessare che la spedizione di Tripoli più che alla Turchia, ha nociuto alla causa della democrazia d’Italia”. Ferma e dura è anche l’opposizione del Consiglio nazionale della Confederazione del Lavoro, che auspica la pace, ponendo fine al “sacrificio di sangue e di denaro”. Si fanno pure confronti con il bilancio della colonia Eritrea, la cui esperienza insegna che, da molti punti di vista, colonizzare comporta solamente perdite e passività. Già Andrea Costa non vedeva la bandiera della patria nelle imprese africane, ma sui campi di battaglia per l’indipen16 denza e nelle imprese “che fanno risalire sempre più la nazione verso le altezze dell’ideale” e riguardo alle imprese coloniali disse: “La democrazia non deve dare né un uomo né un soldo”. Il giudizio di Emile de Laveye è drastico e ben motivato: la madre-patria non guadagna un commercio fiorente dal possesso delle colonie, perché la violazione della libertà produce solo frutti amari e non c’è colonia che non costi agli abitanti della madre-patria più di quello che non renda. Il possesso delle colonie è divenuto un anacronismo per gli Stati moderni, dopo il riconoscimento dell’uguaglianza delle diverse razze; inoltre, il possesso delle colonie moltiplica le cause di conflitto tra i popoli e, per questo, l’Inghilterra le sta cedendo. Finalmente, se un Paese ha del denaro, colonizzi le sue terre incolte, “in Italia la Sardegna o la Campagna Romana e tante altre parti del Mezzogiorno”. La “Sentinella”, da par suo, aggiungeva: “Ora è questo il momento opportuno per l’Italia per una politica di espansione? siamo noi così ricchi in casa nostra da poterci permettere il lusso di portare una parte delle nostre ricchezze in casa degli altri?”. Nei giorni della dichiarazione della guerra, negli articoli di fondo si metteva sempre in evidenza la mancanza di risorse finanziarie per sostenere l’impresa, ricordando il disastro delle passate avventure coloniali. STORIE ADRIATICHE DAL GRAN RIFIUTO (NON PER VILTÀ) A VESCOVO DI RECANATI di Marco Moroni COME RATZINGER AI NOSTRI GIORNI E CELESTINO V SETTE SECOLI PRIMA, ANCHE ANGELO CORRER LASCIÒ IL PAPATO PER SUA SCELTA. PERCHÉ I PONTEFICI NON SI LASCIANO CACCIARE; QUANDO CAPISCONO DI ESSERE DI TROPPO, SE NE VANNO DA SOLI. N el febbraio scorso ha destato grande scalpore la notizia delle dimissioni di papa Benedetto XVI, presentata dalla stampa come una novità assoluta nella storia della Chiesa. In realtà non è affatto così: esiste almeno un altro papa dimissionario ed è sepolto nella cattedrale di Recanati. A lui è dedicata questa storia che può essere definita “adriatica” perché il protagonista, Angelo Correr, nasce a Venezia poco prima della metà del Trecento (probabilmente intorno agli anni 13401345) da una influente famiglia di nobili veneziani. Formatosi presso la Facoltà teologica di Bologna, fin dal 1377 Angelo Correr ottenne il decanato della chiesa di Corone, una importante base commerciale veneziana nella penisola del Peloponneso, in Grecia. Nel 1380, a meno di quarant’anni fu nominato vescovo di Castello, una diocesi del vasto dominio della Repubblica di San Marco nell’alto Adriatico; dieci anni dopo, nel 1390, grazie all’eccezionale peso economico di Venezia nel Mediterraneo orientale, ottenne la ben più importante nomina a patriarca latino di Costantinopoli, mantenendo l’amministrazione della chiesa di Corone, alla quale poi si aggiungerà quella di Negroponte, nell’isola greca di Eubea. Nonostante questi numerosi incarichi nel Levante, gli storici ritengono che Angelo Correr non si sia mai spostato dall’Italia o lo abbia fatto solo temporaneamente, perché fin dal 1389 risulta già attivo a Roma, nella Curia pontificia. I suoi rapporti con la nostra regione risalgono al 1405, quando viene nominato rettore (oggi diremmo “governatore”) della Marca di Ancona; di lì a poco ottiene la nomina a cardinale con il titolo Gregorio XII, Angelo Correr - foto Wikipedia. 17 STORIE ADRIATICHE di San Marco. La sua carriera si svolse quindi negli anni del cosiddetto “scisma d’Occidente”, così chiamato per distinguerlo dallo “scisma d’Oriente” che aveva portato alla separazione della Chiesa di Costantinopoli da quella di Roma. Erano gli anni in cui la Chiesa cattolica era divisa tra due pontefici di due diverse obbedienze, dopo che i cardinali “romani” avevano eletto papa Urbano VI e i cardinali “avignonesi” gli avevano contrapposto Clemente VII. Quando nel 1406 era morto Innocenzo VII, il conclave subito apertosi a Roma aveva eletto proprio il cardinale di San Marco, Angelo Correr. Alla sua nomina, come scrive Gregorio Ortalli, “avevano certamente contribuito la devozione sincera, la conoscenza delle sacre scritture, la preoccupazione mostrata in passato per il superamento dello scisma e una condotta di vita di tutto rispetto”. Gli fu di aiuto anche il fatto di essere molto vecchio: il Collegio cardinalizio era alla ricerca di un candidato disposto appena possibile a farsi da parte “nell’interesse superiore della Chiesa”; Angelo si era impegnato a farlo ma, se non avesse rispettato l’impegno, ci avrebbe pensato la natura dal momento che, come dicevano alcuni, il cardinale di San Marco “aveva già un piede nella fossa”. Quando nel dicembre 1406 Angelo Correr fu eletto ed assunse il nome di Gregorio XII, vi furono grandi festeggiamenti nelle Marche, visto l’incarico di rettore ricoperto negli anni precedenti; ancora maggiori furono, 18 ovviamente, i festeggiamenti nella sua patria: era infatti il primo cittadino veneziano a salire al soglio pontificio. Come si erano impegnati a fare tutti i cardinali all’apertura del conclave, Gregorio XII si mosse subito per trovare un accordo con l’antipapa Benedetto XIII, ma le divisioni sembravano insuperabili. A dividere la Chiesa da quasi trent’anni non era soltanto uno scontro religioso, ma anche uno scontro politico: dietro i due papi vi erano tutti i principali sovrani europei. Un nuovo tentativo di porre fine allo scisma fu compiuto nel 1409, ma il conclave riunitosi a Pisa, anziché trovare una soluzione, sembrò aggravare le divisioni. I padri conciliari decisero infatti di deporre entrambi i pontefici (sia Benedetto XIII che Gregorio XII) e di eleggerne un terzo, il colto cardinale Pietro Filargis, già arcivescovo di Milano, che assunse il nome di Alessandro V. Quando di lì a poco Alessandro V morì, al suo posto fu eletto il cardinale Baldassarre Cossa, che prese il nome di Giovanni XXIII. Poiché i primi due pontefici non avevano accettato la deposizione decisa al conclave di Pisa, la Chiesa si trovò ad avere ben tre pontefici. Era uno scandalo non più sopportabile e proprio per questo aumentarono le pressioni perché si giungesse a un accordo. Finalmente a Costanza, con il consenso dei cardinali che aderivano alle tre obbedienze, si aprì il concilio che nel 1415 portò alla deposizione dei tre pontefici e all’elezione di un nuovo papa. Anche a Costan- za si giunse vicini alla rottura, ma l’accordo fu trovato quando Gregorio XII fece giungere ai cardinali riuniti in conclave, per mano del suo procuratore Carlo Malatesta, le proprie dimissioni. Benedetto XIII non riconobbe le decisioni del concilio di Costanza, ma venne scomunicato e fu ben presto abbandonato dai suoi sostenitori. A quel punto anche per Giovanni XXIII diventò impossibile opporsi a quanto deliberato dal conclave. Intanto il concilio, oltre a nominare il dimissionario Angelo Correr cardinale di primo rango dopo il papa, gli attribuì altri due incarichi: la nomina vitalizia di legato della Marca e l’amministrazione perpetua delle diocesi riunite di Recanati e Macerata. Gregorio XII, perciò, fin dal luglio 1415, avendo ricevuto la notizia di essere stato deposto, si spogliò dei simboli del potere papale e rivestì l’abito cardinalizio. Nell’ottobre 1415, da Recanati, il cardinale ringraziò il concilio delle “provvidenze adottate” nei suoi confronti e ratificò la sua rinuncia al papato. Nel 1417 fu così possibile eleggere il nuovo pontefice: la scelta cadde sul cardinale Oddone Colonna, che assunse il nome di Martino V. Era la fine dello scisma. Stabilitosi a Recanati, come scrive Monaldo Leopardi, il cardinale Angelo governò le due Chiese che gli erano state affidate ”in pace fino alla morte”. Ormai ultrasettantenne, morì nell’ottobre 1417; il suo corpo fu deposto in un sepolcro in pietra ancora oggi collocato nel corridoio di collegamento tra la chiesa e STORIE ADRIATICHE La tomba di Gregorio XII nella Cattedrale di San Flaviano, a Recanati foto Cronache Maceratesi la sacrestia, proprio nei pressi della cappella dove si conservano molte delle reliquie che egli aveva donato alla cattedrale. Spesso ci si chiede perché Gregorio XII abbia accettato (e probabilmente chiesto) la nomina a vescovo di Recanati. La risposta è forse più semplice di quanto non appaia. Monaldo Leopardi in una nota dei suoi Annali recanatesi suggerisce due motivazioni. La prima, pur essendo suggestiva, appare la più debole: ”era stato patriarca di Costantinopoli e successore in qualche modo di San Flaviano”, al quale era ed è dedicata la cattedrale di Recanati. Più valida risulta invece la seconda motivazione: “Gregorio XII prima di venire assunto al pontificato era stato legato pontificio nella Marca negli anni 1405 e 1406”. Insomma l’ultimo incarico ricoperto dal cardinale Angelo prima dell’elevazione al soglio pontificio era stato proprio quello di rettore della Marca di Ancona. Infine un dato che spesso viene trascurato da chi non conosce la storia dell’Adriatico: l’intensità dei contatti che si avevano tra Venezia e Recanati. I rapporti commerciali si erano intensificati tra la fine del Trecento e gli inizi del Quattrocento, quando a Recanati prende avvio una importante fiera che richiama mercanti non solo dalle principali città dello Stato della Chiesa, ma anche dall’area padana e da gran parte delle regioni adriatiche. E’ una fiera che, come quelle di Rimini, Pesaro, Fermo e Lanciano, si rafforza grazie al sostegno di Venezia che, preoccupata dello sviluppo commerciale di Ancona, chiaramente la protegge in funzione antianconitana. Proprio negli anni in cui è vescovo della città il cardinale Angelo, le navi di Ancona avevano preso a disturbare i mercanti (molti dei quali provenienti da Venezia e dai territori della Repubblica di San Marco) che si recavano alla fiera di Recanati; su richiesta dei recanatesi era allora intervenuto il doge Tommaso Mocenigo il quale nel maggio 1416 aveva avvisato le autorità del porto dorico che i veneziani non avrebbero tollerato altre molestie e avrebbero risposto con la forza a ulteriori attacchi di Ancona. Quando la flotta veneziana si affacciò nella acque antistanti il porto dorico, immediatamente gli attacchi degli anconitani cessarono. La lettera del doge Mocenigo, inviata sia alle autorità di Ancona che a quelle di Recanati, è conservata presso l’archivio storico del Comune di Recanati; così pure molti dei doni lasciati alla città dal papa dimissionario Gregorio XII si conservano ancora nella cappella delle reliquie della cattedrale di San Flaviano, di recente restaurata e riportata all’antico splendore. 19 FARMACIA Cruciani omeopatia dermocosmesi laboratorio galenico alimenti senza glutine Corso Matteotti, 107 - Porto Recanati, MC, 62017 Tel. 0719799146 PORTO RECANATI 62017 PORTO RECANATI (MC) - Via 29 Marzo 1935 Telefono: 071 7590716 - Fax: 071 7598007 email: [email protected] INFORMAZIONE AIUTO, LA STAMPA! di Giancarlo Liuti Indifferenza - foto blogsicilia.it IL PIATTO SERVITO GIORNALMENTE AGLI ITALIANI DA BUONA PARTE DELL’INFORMAZIONE NAZIONALE DÀ L’IDEA DI UN SOSTANZIOSO FUMO DI ARROSTO, CON LA FAZIOSITÀ PER AROMA PRINCIPALE. E LA TENDENZA A MANCARE DI RISPETTO ALL’INTELLIGENZA DELLA GENTE. UN’INSIEME DI PRESUNZIONE E SPREZZO DEL VERO, COCKTAIL IDEALE PER LA PRODUZIONE DEL NULLA. VA COSÌ ANCHE IN PROVINCIA? FORSE NO, MA DICIAMOLO PIANO. 21 P INFORMAZIONE rima di occuparsi dell’informazione che nei vari media si produce a livello provinciale bisogna chiedersi quanta e quale sia, sul piano qualitativo, l’influenza che su di essa esercita l’informazione nazionale. E a questo proposito, parafrasando un famoso motto latino, mi viene da dire che “in media non stat virtus”, perché da almeno vent’anni una considerevole parte dei soggetti che su carta, in televisione e ora anche in rete praticano il mestiere di rappresentare la realtà quotidiana è venuta meno all’aureo principio di rispettare la verità sostanziale dei fatti e tenere distinti i fatti dalle opinioni. Quando va bene, insomma, i fatti sono mescolati con le opinioni e quando va male sono oscurati o mistificati dalle opinioni, il che accade per scelte ideologiche, o di mera opportunità politica, o di pressanti interessi economici. Ecco allora un giornalismo sempre meno “imparziale” e sempre più “militante”, finalizzato non già ad informare ma a convincere, a fare proseliti. Non sarà anche per questo che i media italiani figurano al cinquantasettesimo posto su scala planetaria? Qualche esempio. Un fatto: a Milano diventa sindaco Pisapia e a Napoli De Magistris. Ebbene, “Libero” (destra) lo riduce a opinione sparando questo gran titolo in prima pagina: “Ora godetevi i comunisti”. Un altro fatto: a Torino muore don Gallo e con accesa partecipazione popolare se ne svolgono i funerali. Solita storia, giacché il “Giornale” (destra) spara, sempre in prima pagina, questo titolo-opinione: “Il pollaio di don Gallo”. Un altro fatto: il capo dello Stato incarica Enrico Letta di formare il governo. Ed ecco il titolo, squillante e in prima pagina, del “Fatto quotidiano” (sinistra): “Napolitano affida l’incarico al nipote di Gianni Letta”, per significare che, frutto di un deplorevole “inciucio”, il vero nome del futuro premier non è neanche degno di essere citato. Ancora una volta, perciò, un’opinione che ha il sopravvento su un fatto. Non si parli poi dell’informazione televisiva, sia nei telegiornali, dove la “militanza” emerge dalla collocazione delle notizie e dall’enfasi che se ne dà, sia nei “talk show”, dove è evidente da che parte stanno i registi e i conduttori (avrete notato che mentre parla uno degli ospiti va in onda la faccia nauseata di un suo avversario, come a significare che quello sta dicendo sciocchezze o 22 falsità). E si tenga conto che per ragioni legate alla crisi economica, al calo dei profitti aziendali e alla concorrenza di Internet, l’informazione su carta è in crisi (negli ultimi tempi i più importanti quotidiani nazionali hanno perso oltre mezzo milione di copie al giorno), e la televisione rimane il “medium” che più d’ogni altro condiziona gli orientamenti del corpo elettorale (circa al 70 o 80 per cento, secondo attendibili stime delle agenzie demoscopiche). E vengo all’informazione locale, quella che ha sede in provincia. Purtroppo non dispongo di dati se non approssimativi sulla diffusione dei quotidiani cartacei – dati tenuti segreti dal distributore che oltretutto sta a Pescara – ma un confronto qualitativo con l’informazione nazionale è possibile farlo e mi pare di poter dire – sorpresa? - che tale confronto depone a favore dei giornalisti (39 professionisti e 292 pubblicisti, non di rado precari o malpagati) che operano nel nostro territorio. E questo, intendiamoci, non accade perché essi siano “più bravi” dei loro colleghi nazionali, ma per una serie di motivi che attengono, nel caso dei quotidiani su carta, a una maggiore autonomia loro concessa dai direttori delle testate nazionali di riferimento e negli altri casi (radio, televisione, quotidiani on line) alla circostanza che i proprietari delle loro testate – non di rado sono gli stessi giornalisti - non hanno da difendere grandi interessi né economici né politici. Vero è, comunque, che nell’informazione locale i fatti hanno una netta prevalenza sulle opinioni. E questo, a mio avviso, consente un giornalismo di buona qualità. Quanto all’informazione su carta, il primato va al “Resto del Carlino”, con 19 pagine di cronaca locale (8 su Macerata, 2 sulla provincia, 3 su Civitanova, 2 su Recanati e Porto Recanati, 4 riservate allo sport) e una diffusione che dovrebbe aggirarsi intorno alle quattromila copie al giorno. Per lunghi anni la concorrenza col quotidiano bolognese è stata fatta anzitutto dal “Messaggero” di Roma, che però, in conseguenza del passaggio all’editore Caltagirone cui appartiene anche il “Corriere Adriatico” di Ancona, ha soppresso la redazione maceratese e l’ha spostata nella città dorica. Adesso il “Messaggero” va in edicola in due vesti diverse: o da solo, come “Messaggero Marche” (corposa parte nazionale più varie pagine sulle province INFORMAZIONE della regione, ma solo due per Macerata e Civitanova) oppure in abbinamento al “Corriere Adriatico”, la cui redazione maceratese produce 8 pagine, 3 per Macerata, 2 per Civitanova, 2 per Recanati e Porto Recanati, una per Camerino e Tolentino. La diffusione in provincia del “Corriere Adriatico” dovrebbe essere di circa 1.500 copie e quella del “Messaggero”, da solo, non dovrebbe superare le 600, con un totale che potrebbe non essere tanto superiore alla diffusione, in loco, dei quotidiani nazionali come il “Corriere della Sera” e “Repubblica”. Per ciò che riguarda le emittenti radiofoniche ( Multiradio di Tolentino, Radiolinea di Civitanova, Radio Erre di Recanati, Radio Nuova di Macerata, Radio C1 di Camerino, Radio Cuore di Recanati, e mi scuso se involontariamente ne dimentico qualcuna di minore rilievo) va considerato, come ho già detto, che esse non fanno capo ad assetti proprietari di ingenti risorse e interessi finanziari, la qual cosa, se per un verso ne limita la potenzialità, per l’altro ne favorisce l’autonomia, e questo lo si evince dall’obiettività dei loro notiziari giornalistici, che non sono frequentissimi – per ragioni di ascolto prevalgono i programmi musicali – ma ci sono, e vengono trasmessi più volte nelle ventiquattr’ore. E le opinioni? Non mancano, in primis quelle espresse dagli ascoltatori che intervengono in diretta. Però libere, spontanee, non in rigorosa sintonia con una predeterminata “linea” o mariobochicchio.blogspot.com Giornali in esposizione - foto genio.virgilio.it “tendenza” editoriale. Diverso, purtroppo, è il discorso sulle televisioni locali, non per la qualità ma per il numero. Un numero che con la crisi di Tvrs di Recanati (annuncio di duri tagli nel personale tecnico e giornalistico, rischio che essa emigri, con altre vesti, in altri lidi) minaccia di ridursi a uno, e mi riferisco a Video Tolentino, assai seguita nell’Alto Maceratese, ben diretta e con validi spazi informativi. Un tempo c’era anche Telemacerata, che poi passò a un gruppo tosco-emiliano e adesso si occupa pure della realtà regionale e provinciale col nome “èTv” (fra l’altro ha ottenuto l’esclusiva delle riprese in diretta del Consiglio comunale della città capoluogo). Venendo infine all’emergente settore dei quotidiani on line, va detto che Macerata ha un primato, e sta nel premio nazionale di “visibilità” ottenuto da “Cronache Maceratesi”, le cui “visite uniche”, quelle dei non ripetuti contatti individuali, si avvicinano a venticinquemila al giorno, e sono più di cinquemila coloro che, essendosi iscritti, possono intervenire commentando gli articoli di cronaca e le inchieste sulla politica e sulla pubblica amministrazione. Opinioni? Molte, soprattutto da parte dei “commentatori”. Ma l’autonomia proprietaria, gestionale e direzionale è assoluta. 23 SALUTE NUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA: L’OZONO di Anna Petrozzi ANCHE NEL NOSTRO TERRITORIO CRESCE L’INTERESSE PER L’OZONO TERAPIA, GRANDE STERMINATRICE DI BATTERI, FORTE OSTACOLO A COLESTEROLO, ARTERIOSCLEROSI E INFARTI. ESAGERATO? DATE UN’OCCHIATA QUA. S arà la Medicina del Terzo Millennio. Ne sono convinti gli oltre 3.000 medici associati SIOOT (Società Scientifica di Ossigeno Ozono Terapia) che dopo trent’anni di ricerca si affacciano al grande pubblico con una campagna di informazione sulla prevenzione e la cura di malattie, anche le più debilitanti, grazie all’ossigeno-ozono terapia. Parte da un assunto di per sé molto semplice il professor Marianno Franzini, medico chirurgo, specializzato in flebologia, docente all’Università di Medicina degli Studi di Pavia e presidente della SIOOT, per introdurre il cuore dei suoi studi: “In medicina siamo concettualmente costretti in protocolli di cura che prevedono esami strumentali, farmaci e interventi chirurgici, ma stranamente non prendono praticamente mai in considerazione tra elementi fondamentali del nostro corpo: ossigeno, acqua e ozono”. Qualsiasi delle nostre funzioni vitali, a partire da quella più 24 foto courtesy of Acquain s.r.l. immediata che è respirare, avviene grazie all’ossigeno. Di O2 si nutrono le nostre cellule e tutti gli scambi metabolici avvengono tramite questo indispensabile elemento che lega l’essere umano a tutto ciò che lo circonda. Sperimentazioni relativamente recenti condotte negli Stati Uniti hanno portato il professor Arthur Guyton, uno dei più famosi fisiologi americani, ad affermare che “qualsiasi dolore, sofferenza o malattia è causato da un’insufficiente ossigenazione a livello cellulare”. La mancanza di ossigeno sarebbe quindi all’origine di quei processi degenerativi che, assimilati a differenti concause, generano malattie invalidanti oggi SALUTE sempre più aggressive le cui origini e soprattutto cure continuano ad essere sconosciute. Come possiamo dunque aiutare il nostro corpo? Innanzitutto abbandonare gli stili di vita che riducono il giusto apporto di ossigeno, come la sedentarietà, l’assunzione in grandi quantità di cibi grassi e acidi (carni, formaggi, fritti, caffè, cioccolato, alcool..), lo stress, la mancanza di sonno, il fumo… Adottare pratiche salutari di senso completamente opposto vuol già dire offrire al nostro sistema immunitario un importante supporto per resistere all’aggressione non secondaria di inquinamento, pesticidi e conservanti nei cibi che concorrono in maniera rilevante alla moltiplicazione degli ormai famigerati radicali liberi, i responsabili di un nostro invecchiamento precoce. Il gesto più semplice che ognuno di noi può compiere per la sua straordinaria utilità è bere acqua. In quale quantità? I medici SIOOT sul punto forniscono indicazioni precise: il peso del proprio corpo, moltiplicato per tre e diviso cento. Vale a dire se una persona pesa 50 kg dovrà fare un semplice calcolo: 50 x 3 =150 : 100 = 1,5 e bere un litro e mezzo di acqua al giorno. Ed è veramente di vitale importanza, nel senso più stretto del termine, che questa abitudine sia insegnata ai bimbi ma soprattutto consigliata agli anziani. Invecchiando infatti avvertiamo sempre meno il senso della sete, bere acqua invece, oltre a svolgere una funzione depurativa, ridona forza ed energia. In una parola, restituisce ossigeno. Sarebbe appropriato a questo punto aprire una parentesi sulla qualità dell’acqua da bere, ma è tema bisognoso del giusto approfondimento. Ci basti sottolineare in questa sede che è bene, se si beve acqua in bottiglia, fare attenzione al residuo fisso indicato obbligatoriamente sull’etichetta e limitare al minimo il consumo di acqua in bottiglie di plastica che spesso trasportate o immagazzinate sotto il sole possono rilasciare tossine. L’ideale sarebbe bere acqua dal rubinetto di casa, a patto però che possiate controllarne la concentrazione di metalli pesanti che il cloro non può abbattere. Sofisticati e ormai molto diffusi sistemi di depurazione ci garantiscono un’ottima acqua pura e sicura, ma il dibattito in merito è a tutt’oggi molto aperto e merita davvero uno spazio apposito per sviscerare pro e contro. Arriviamo così all’elemento più sconosciuto dei tre citati dal professor Franzini: l’ozono. Non ne abbiamo percezione diretta nella nostra quotidianità tranne che dopo un bel temporale: quel piacevole senso di pulito che avvertiamo subito dopo è proprio merito dell’ozono, frutto dell’incontro tra il fuoco prodotto dal fulmine e l’aria. Essendo un gas instabile se ne va in brevissimo tempo restituendoci però un’aria arricchita di ossigeno. Quali sono le sue principali capacità e perché è così utile per la nostra salute? Per prima cosa l’ozono è un potentissimo antibatterico, 120 volte più potente del cloro. Non c’è batterio, virus, fungo o spora in grado di resistergli, nemmeno nelle formazioni più ostinate e pericolose come quelle che causano la legionella. Se immesso nel nostro corpo può sconfiggere più di 400 tipi di batteri anaerobi (che vivono in assenza di ossigeno) annidati nel nostro intestino e venire in soccorso alla flora batterica positiva il cui funzionamento è, come tutti sappiamo, fondamentale per il nostro stato di salute. Ma può anche debellare in modo rapido ed efficace il temutissimo Helicobacter Pylori, causa di gastriti e mal di stomaco che affligge un numero altissimo di persone. Le vie di somministrazione e le applicazioni cliniche dell’Ossigeno-Ozono Terapia sono molteplici proprio perché la combinazione di questi tre elementi è in grado, quando applicata seguendo il giusto consiglio degli ozono-terapeuti specializzati, di coadiuvare persino le terapie chemioterapiche. In ogni caso – assicurano i medici SIOOT – i benefici sono tantissimi e vanno dalla più immediata disinfezione del cavo orale fino alla ben più fondamentale rivitalizzazione del microcircolo sanguigno. Lo straordinario apporto di ossigeno che entra in circolo grazie all’ossigeno-ozono terapia raggiunge tutti i distretti venosi, anche i più remoti, riattivandone la vitalità. Pensiamo a quale vantaggio per i malati di arteriosclerosi o di colesterolo o chi è a rischio di infarto. Insomma siamo di fronte ad una nuova frontiera della medicina. E per esplorarne tutti gli aspetti il prossimo settembre si terrà a Roma un convegno internazionale di esperti proprio con la finalità di rendere questo tipo di cura presto disponibile a più utenti possibile. E siatene certi, ne sentiremo parlare a lungo. Anna Petrozzi, giornalista e scrittrice, è una professionista del settore Editoria e dal 2000 capo redattrice della rivista Antimafia Duemila. 25 EDUCAZIONE VIOLENZA E PREADOLESCENZA, UN BINOMIO ESPLOSIVO di Annunziata Brandoni * PREADOLESCENZA, ETÀ A RISCHIO VIOLENZA NELLA NOSTRA REALTÀ? STIAMO ANCORA SOGNANDO DI ESSERE UN’ISOLA FELICE O VOGLIAMO DECIDERCI A PRENDERE ATTO DI AVER PRESTATO POCA ATTENZIONE ALLE MANIFESTAZIONI DI UN BULLISMO ADOLESCENZIALE CHE SI RAFFORZA ANCHE NELLE NOSTRE CITTÀ? E QUANTE CHANCES ABBIAMO DI VENIRNE FUORI? foto: sito zuuly.com foto: sito west-info.eu L ’età che va dagli undici ai tredici-quattordici anni non è un’ età facile per i nostri figli, che non sono più bambini, ma non possono essere ancora definiti adolescenti. Il corpo inizia gradualmente a trasformarsi: le gambe si allungano, alle femmine compaiono i primi segni del seno… ma il pensiero è ancora quello tipico dell’infanzia e affettivamente i preadolescenti sono ancora dipendenti dai genitori, anche se vorrebbero essere già autonomi. Le bambine generalmente sono più precoci rispetto ai coetanei di sesso maschile, quindi questo periodo per loro può confondersi con quello successivo, ma solo a livello fisico, perché psicologicamente sono ancora immature. Un animo ancora bambino in un corpo quasi adulto! Caratteristica, questa, che a volte viene accentuata da un abbigliamento e un comportamento da giovane donna : un trucco pesante e un fare spavaldo che nascondono le incertezze dell’età! Accanto a queste bambine cresciute troppo in fretta troviamo, sui banchi di scuola, ragazzine per le quali, invece, il tempo sembra essersi fermato. Anche fra i maschi si possono rilevare le stesse diffe26 renze, pur se i casi di precocità nello sviluppo non sono numerosi. Queste diversità, che con il tempo sono destinate a scomparire, causano non pochi problemi ai preadolescenti perché, in questa fase della loro vita, essi sono molto attenti alle relazioni con i coetanei e temono il loro giudizio. E questo si ripercuote sul loro comportamento. Molti fenomeni di violenza (vandalismo, teppismo, bullismo…) affondano le loro radici nel sentimento di inadeguatezza che si insinua nell’animo di questi ragazzini che vorrebbero essere “grandi”, sicuri di sé, ammirati come i più i “fighi” della scuola. Rinnegano così il loro essere ancora bambini e assumono atteggiamenti adulti, senza però poter esercitare alcun controllo sul proprio comportamento dominato dall’impulsività, dato che la corteccia frontale, destinata a svolgere tale ruolo, completa la sua maturazione solo tra i 18 e i 21 anni. Il gruppo diventa il loro rifugio; in esso trovano quell’identità che ancora non sono riusciti a costruire. E commettono atti che, da soli, non avrebbero mai neanche pensato! Ma l’importante ora è apparire, EDUCAZIONE avere la considerazione e l’ammirazione dei compagni. Non importa se, per ottenerle, si diventa delinquenti in erba! Il salto di ”qualità” si ha con il passaggio dalla scuola elementare alla scuola media, quando appunto questi fenomeni esplodono, soprattutto nei casi in cui si erano già manifestati sintomi di devianza non percepiti da noi adulti. Possiamo infatti notare, già dai primi mesi di frequenza, il formarsi di gruppetti di alunni che prendono le distanze dal resto della classe. Generalmente è presente in ogni raggruppamento un leader negativo, che detta le regole agli altri, e prende le decisioni. In pratica decide chi e cosa prendere di mira: persone o cose. Nel primo caso siamo di fronte al fenomeno del bullismo di casa nostra, che miete vittime fra i compagni di scuola che si comportano correttamente, sono educati, studiosi e rispettosi dei professori. Nel secondo caso si tratta di vandalismo, di violenza gratuita generalmente esercitata contro quelli che vengono considerati i simboli del mondo adulto: cassonetti, portoni, aiuole, fontane e anche i balneari nei paesi che si affacciano sul mare. Su questi sfogano una rabbia che spesso non ha ragion d’essere perché, a meno che non si tratti di figli di immigrati non ben integrati nel territorio, essi non vivono situazioni di disagio sociale, non abitano in periferie di grandi città segnate dal degrado, non hanno problemi in famiglia, o a scuola. È solo una rabbia di carattere imitativo, copiata da quanto vedono in TV, o dai videogiochi che fanno della violenza il loro trampolino di lancio fra ragazzetti che non sono ancora né carne né pesce. E quando, colti sul fatto, sono costretti a soffermare l’attenzione sui risultati delle loro prodezze e a rispondere ai “perché” che gli rivolgono gli adulti, genitori in primis, sembrano cadere dalle nuvole. Ti guardano come se tu fossi un marziano e rispondono: “Perché, cosa ho fatto?”. E magari hanno pestato a sangue un compagno. O ne hanno messo alla berlina un altro. Il bullismo infatti oggi si esercita anche in forme di violenza meno esplicite del pestaggio, ma non meno pericolose. Sono violenze di tipo psicologico, di questi tempi con effetti più devastanti per le vittime perché potenziati dall’uso indiscriminato dei social network. La sociologia parla in questo caso di cyberbullismo, che è più frequente di quanto non si pensi. Anche dalle nostre parti! E che rivela l’incapacità dei nostri ragazzi di mettersi nei panni degli altri. In pratica la mancanza di empatia. In molte delle scuole medie dei nostri paesi, solo alcuni anni fa considerati oasi di tranquillità, luoghi ideali in cui crescere i figli, possiamo contare numerose piccole vittime di questa nuova subdola violenza. La subiscono tutti quei preadolescenti che vengono chiamati dai compagni “sfigati”. O “froci”. E questo vale anche nella versione femminile, anche se un po’ più rara. Da noi queste violenze subite quotidianamente non sono ancora sfociate in casi di suicidio. Per fortuna! Ma non per questo sono meno gravi. Non dobbiamo aspettare che ci sia il morto per allarmarci e iniziare a cercare soluzioni! Quando lo sfigato di turno si getta dalla finestra della scuola perché stanco di essere continuamente umiliato dai compagni, è troppo tardi per intervenire. E anche in questo caso i bulli non si spiegano la sofferenza della vittima. “ Era solo uno scherzo! - esclamano con lo sguardo innocente- non volevamo offenderlo!”. Frequente é anche il vandalismo, esercitato attraverso calci o con l’uso di bastoni e catene. Quando passano i novelli “barbari” del terzo millennio, nulla si salva: un tornado non riuscirebbe a fare tanti danni! Sono “imprese” compiute a cuor leggero da una generazione che non riesce a prevedere le conseguenze delle proprie azioni, non ha il senso della comunità, non ha regole di comportamento e, soprattutto, non ha rispetto per nessuno! E, con i nostri ragazzi, non ci sono giustificazioni che tengano. Non possiamo dire che è colpa del disagio sociale, della famiglia che non c’è. I genitori di casa nostra non fanno mancare nulla ai loro figli. Neanche in questo tempo di crisi. Come si suol dire, si tolgono il pane di bocca per dare loro tutto quello di cui hanno bisogno e anche il superfluo. E allora perché crescono all’insegna della violenza? In che cosa abbiamo sbagliato nell’educarli? Penso che la risposta vada cercata proprio nel benessere che, fino a ieri, ha baciato la nostra zona. Lavoro in abbondanza per noi adulti e soldi in tasca per i figli. Soldi che non si sono guadagnati con il sudore della fronte. Per questo pensano che tutto sia loro dovuto! E, con la giornata tutta presa dal lavoro, non abbiamo avuto il tempo di educarli alle emozioni e ai sentimenti. Come faranno quando, tra qualche anno, dovranno guadagnarsi il pane quotidiano e faticheranno a trovare lavoro se questa crisi, come sembra, non si risolverà in tempi brevi? Come potranno rimandare la soddisfazione di quei bisogni, indotti dalla cultura del consumismo, e rinunciare al possesso dei suoi oggetti-culto, se nessuno li avrà abituati a farlo? Spero che la crisi che stiamo attraversando ci possa servire per riflettere sul nostro modo di vivere ed educare le nuove generazioni. Per riscoprire i valori forti che abbiamo seppellito sotto l’altare del dio denaro. E così, forse, cresceremo dei giovani migliori, che avranno saputo attraversare senza problemi l’età difficile della preadolescenza. * Annunziata Brandoni, già dirigente scolastica, è una pedagogista 27 SCUOLA LIBRO, MOSCHETTO E … BOMBE di Mario Mancinelli - foto di proprietà di Antonio Mancinelli 1950, la scuola di Montarice e il maestro Antonio Barchetti con i suoi alunni A PIEDI, CALZANDO ZOCCOLI CHIODATI, SOTTO IL SOLE O LA NEVE. E PURE I BOMBARDAMENTI. LA SCUOLA RURALE DEL BURCHIO ERA UN LUOGO DI CRESCITA E DI SOCIALIZZAZIONE DOV’ERA BELLO RITROVARSI LA MATTINA ANCHE SE PER SENTIRSI GRATIFICARE DAL MAESTRO COME TESTE DURE PIÙ DELLE PIETRE DI MARMO. 28 SCUOLA L a scuola che frequentai durante la mia infanzia si trovava a Montarice ed era conosciuta come la Scuola del Burchio. In quei tempi, in campagna, era la miseria a farla da padrona e così non tutti i miei compagni potevano permettersi il lusso di frequentarla, figuriamoci di andarci con il grembiule ed avere a disposizione libri per studiare e quaderni per scrivere. Non c’erano i mezzi di trasporto che conosciamo oggi e così ogni mattina camminavo per più di un’ora per raggiungere la scuola. Passeggiare in campagna mi piaceva e mi piace ancora. In primavera il verde delle nostre valli e gli alberi in fiore danno la sensazione di trovarsi in un immenso giardino. Forte era l’emozione di arrivare in cima alla Costa dei Mandorli per ammirare il panorama a 360 gradi: ad est il cielo che confina con il mare, a nord il promontorio del Conero, a sud il litorale fino al porto di Civitanova e ad Ovest la cornice dei Monti Sibillini. I paesi sono delle gemme di antica bellezza, arroccati in cima alle colline che svettano in un’immensa vallata. La luce radiosa dell’estate fa splendere le case dei borghi e dei paesi. Sessant’anni fa, però, quando arrivava l’inverno, il terreno diventava fangoso, pesante, molte volte la strada veniva ricoperta dalla neve e le scarpe, in quel periodo, consistevano in un paio di pesanti e rumorosi zoccoli chiodati per non far consumare il legno. Quella scuola, la ricordo ancora chiaramente, per noi ragazzi era un punto di ritrovo per giocare a bocce e a calcio dopo le lezioni; a volte era anche il campo di battaglia per vere e proprie sassaiole tra noi della pianura, del Basso Montarice, e quelli delle colline, Alto Montarice. Le aule erano piccole e spoglie, arredate solamente dai banchi di legno, dalla cattedra e dai ritratti di Vittorio Emanuele III e di Mussolini verso i quali era d’obbligo rivolgere il saluto romano. Prima di iniziare la lezione giornaliera ci si alzava in piedi e si salutava l’insegnante, al suo ingresso in aula, con molto rispetto; durante lo svolgimento delle lezioni, il maestro ci insegnava la storia, le poesie, la matematica e a disegnare le forme geometriche come linee rette, triangoli, quadrati e cerchi che, fatti a mano libera, davano sempre come unico risultato quello di sentirgli dire che avevamo le teste dure come le pietre di marmo. Per scrivere, invece, usavamo il pennino che veniva bagnato con l’inchiostro contenuto nel calamaio. Non era di facile utilizzo come le moderne penne a sfera, infatti i quaderni e gli abiti erano sempre macchiati di inchiostro e questo faceva arrabbiare anche i genitori a casa, che ci promettevano sempre che o si migliorava o si andava a lavorare nei campi e nelle stalle. Per la mia generazione, però, il periodo scolastico non rappresentò solo spensieratezza e giochi. Presto arrivò la guerra anche da noi ed invece di scappare dai compiti si scappava verso il rifugio più vicino per evitare di trovarsi all’aperto durante un bombardamento aereo oppure durante un attacco delle navi che, nottetempo, si avvicinavano alla costa per colpire il fronte. Ricordo che dal paese giungevano sempre più sfollati verso la campagna e nonostante la povertà non ci si rifiutava di aiutare chi era in difficoltà. Noi ragazzi imparammo anche che bisognava sempre guardare se c’erano ripari nelle vicinanze quando si camminava per strada, perché lo spostamento del fronte verso nord era sempre accompagnato dai raid dei caccia inglesi che bersagliavano la colonna di autocarri in ritirata. Passati gli anni bui della guerra, noi ragazzi, ormai cresciuti, prendemmo, ciascuno, una strada diversa, fino a perderci di vista, finché un giorno di qualche anno fa, mio fratello Antonio mi mostrò una foto che aveva ritrovato in un vecchio cassetto. Era l’immagine delle classi miste, seconda e quarta, della Scuola Elementare del Burchio di Montarice e tra loro c’ero anche io con lui. L’idea di riunire tutti entrò prepotentemente nella mia testa e così con diversi amici abbiamo organizzato una rimpatriata dei vecchi scolari della Scuola del Burchio. L’incontro ci ha permesso di rispolverare i bei ricordi dei tempi trascorsi insieme. Ormai del vecchio edificio non rimane che un rudere abbandonato, abbandonato alla forza devastatrice del tempo. Anche oggi, nella mia mente vivono i bei ricordi di quei lontani giorni di scuola. 29 PER TUTTO SETTEMBRE OFFERTA SU ESTIVO E PRENOTAZIONE TERMICO LAVORO SO MARENARE E TIRO ‘A REZZA … di Luciano Bruno Venusto QUANDO SI PARLA DI PESCA, I PROBLEMI POSTI SUL TAPPETO DAL PALAZZO SONO SEMPRE I PORTI, LA NAFTA, LA PRODUZIONE, I MOTOPESCHERECCI … TUTTA MATERIA DI PRIMA IMPORTANZA, D’ACCORDO, MA PER MARE CI VANNO PURE I PESCATORI. LO SANNO? M algrado la stima e il rispetto che ho sempre avuto per le personalità del mondo culturale che si apprezzano per l’impegno profuso alla crescita di tutta la collettività, prima di accettare l’invito a svolgere questo tema sui pescatori dei motopescherecci, ho avuto un momento di perplessità. Questo perché ho scritto e fatto tanto a riguardo e potrei ripetermi. Ma il mio amore per la pesca, il ruolo svolto per quasi tutti gli anni ottanta come responsabile dall’Associazione Produttori Pesca, essendo socio fondatore del Centro Studi Porto Recanatesi, mi hanno spinto a superare ogni indugio. Tuttavia per non cadere nella trappola di riproporre cose già dette, mi trovo obbligato a parlare soltanto di alcuni episodi non documentati nelle mie pubblicazioni, ma che ho avuto modo di esporre verbalmente in più occasioni in assemblee e incontri avuti con i responsabili del settore. Intorno al 1976, per l’inaugurazione della Fiera della Pesca di Ancona, venne il Sottosegretario della Marina Mercantile con delega alla pesca. Nel suo saluto ai convenuti disse tra le altre cose: “E’ finita l’epoca della vacche grasse. Adesso ci saranno soltanto periodi di vacche secche…” Siccome molto spesso, negli incontri sulla pesca a tutti i livelli, sentivo ripetere questa metafora che presagiva ristrettezze economiche per tutti, nel dibattito che seguì presi la parola anch’io. (Vorrei precisare che i pescatori, e non solo quelli di Porto Recanati, non intervengono Domenico Pandolfi - foto Cronache Maceratesi 31 LAVORO mai nei dibattiti, ma lasciano questo compito ai loro rappresentanti che, molto elegantemente e in modi forbiti, elencano tutti i pregi e le virtù dei loro assistiti, pur non avendo molto di loro mai visto una barca da pesca. Io a tal riguardo sono stato - e sono - una vera eccezione. Ma questa è un’altra storia). Quando salii sul palco della Presidenza e raggiunsi il microfono mi sono presentato ed ho detto queste cose: “ Ella Sig. Sottosegretario, certamente si riferisce al famoso sogno del Faraone d’Egitto che soltanto Giuseppe l’ebreo riuscì a decifrare, salvando così quel popolo dalla carestia… (naturalmente mi dilungai ad esporre in tutti i particolari la notissima storia biblica)”. Poi aggiunsi: “Onorevole, mia moglie ha parenti contadini e molto spesso le domeniche andiamo in campagna con tutta la famiglia. In quelle circostanze, da buon osservatore, mi interesso molto dello svolgersi dei lavori sui campi e della suddivisione dei compiti tra tutti i membri della grande famiglia. Tutto ciò mi ha molto colpito e mi ha fatto assai riflettere vedere i contadini la sera, che prima di tutto riportano i buoi nella stalla per ben custodirli e, solamente dopo, rincasavano per la cena. Non vorrei sbagliarmi ma le donne dicevano: stanno a “governare” gli animali. Tutta questa attenzione verso i buoi era dovuta al solo fatto che l’indomani sarebbero dovuti tornare a lavoro. Noi pescatori dei motopescherecci non siamo “vacche” né grasse né tanto meno magre, ma siamo i “buoi”. Voi che guidate le sorti dell’umanità dovreste fare come i contadini, pensare prima a noi e poi a voi’ dato che ogni giorno noi ci occupiamo di portare a terra tante casse di pesce fresco; noi produciamo alimenti; noi produciamo ricchezza. Ci vorrebbe dunque una più attenta razionalità a concederci o a negarci “alimenti” per vivere. Ad onor del vero, rispetto ad altri importanti settori della nostra economia, la pesca ha sempre avuto “abbondanza di favori celesti”. Insomma ci sono tanti soldi, tanti contributi e tante agevolazio- 32 ni d’ogni genere. Ma si continua pubblicamente quasi ad invocare un periodo di “magra”. Negli incontri settoriali, infatti, riservati ai soli “addetti ai lavori”, questi trattamenti di favore sono evidenziati da tutti i Presidenti e Direttori delle Cooperative, i quali, per ammorbidire armatori troppo esigenti, gli dicono: “Avevate le pezze nel sedere, adesso avete tutti le ville”; oppure “parla liberamente non siamo gli ispettori delle tasse”; e ancora “ siete egoisti non vi basta mai”, ecc… Molte volte le ho sentite dire e sono stanco di tutte queste ipocrisie”. Perciò aggiunsi, rivolgendomi a tutti: “ Se continuate così ci farete fare la fine di quel pastorello burlone che si divertiva a spese dei suoi amici, gridando “al lupo, al lupo” quando il lupo non c’era. E quando gli altri pastori accorrevano per aiutarlo, lui li derideva. Ma un bel giorno il lupo arrivò veramente e distrusse tutto il gregge. Allora il pastorello urlò disperatamente “al lupo, al lupo”, ma nessuno intervenne. Non gli credevano più. Oggi possiamo dire: “Come volevasi dimostrare”. Infatti per il nostro settore il lupo è arrivato veramente, distrugge la pesca, ma non ci crede più nessuno. Alla fine salutai l’Onorevole, le autorità al tavolo della presidenza, tutti i pescatori e me ne tornai al mio posto. “L’immenso volume d’acqua scaraventato a prua dall’ultimo colpo di mare aveva sfondato l’uscio di sottovento del castello di prua” (“Il Negro del Narciso” - Joseph Conrad). Questo significa andare per mare. Il grande Conrad parla dei naviganti, “i marinai” dei bastimenti a vela. Io ho sempre parlato dei pescatori dei motopescherecci discendenti dei “marinaró” delle lancette a vela. A bordo dei “motori” noi non possiamo dare “le spalle alla fatica” come facevano gli “sciabicotti” quando mangiavano. La fatica - il mare - noi “marinà” c’è l’abbiamo sempre di fronte. Senza nulla togliere alla storia della “sciabica”, e a tutti coloro che oggi vengono definiti “pescatori”, vorrei precisare che andar per mare, staccare i piedi da terra e metterli sulla LAVORO coperta di uno scafo, sparire nell’azzurro orizzonte è tutt’altra cosa che pescare sulla spiaggia. Ed anche se a volte oggi il valore delle persone e delle cose è dato solo a seconda di certe convenienze, bisogna precisare che la ricerca storica serve soprattutto per meglio definire l’immagine dell’uomo e il suo bagaglio socio-culturale. Quindi non bisogna seguire le mode , ma attenersi al concreto. Quanti colpi di mare, quanta fatica e quanti sacrifici hanno fatto i nostri antenati delle lancette a vela e quelli dei primi rudimentali ed inaffidabili motopescherecci? E quale grande ruolo è stato quello delle donne?. Io lo so! Si lavorava giorno e notte dal lunedì al sabato e a volte si sacrificava anche la domenica. Sono arrivato a Porto Recanati nel 1953 per imbarcarmi sul motopeschereccio “Dessiè” e conoscere così il suo equipaggio. Come ho conosciuto quelli del Mareb, dell’Addis Abeba, del A Nessun secondi, dello Sparviero, del Neghelli, del Gondar, ecc… Ho conosciuto e lavorato con molti pescatori prossimi alla pensione e tanti già pensionati; ed io ero solo un adolescente. Notavo che quei anziani pescatori avevano tutti un dolce sorriso sulle loro labbra e i loro volti sereni erano illuminati da un’aureola di bontà e di benevolenza. Emanavano una dolcezza interiore che non ho mai più visto in vita mia. Erano teneramente predisposti verso i giovani e noi ragazzi rispettavamo di più i vecchi. Non parlo di eroi, ma di uomini umili che hanno dedicato la loro intera esistenza alla famiglia, al lavoro e alle loro barche. Sono stati i veri protagonisti della nostra storia. Tutto questo ed altro ancora erano i nostri antenati uomini di mare. Il bene e il male sono parte integranti del genere umano. Ma quando la cattiveria aumenta in modo esponenziale a discapito della bontà, a rimetterci siamo un po’ tutti perché, come risulta da ricerche sociologiche e da manifestazioni di evidente spregevolezza di molte fasce delle nuove generazioni, la nostra società è diventata opulenta ed obesa; simile a quella obesità intel- lettiva e culturale di chi non ha talento. Ritengo di poter concludere queste brevi riflessioni sulla pesca rilevando che anche se molto è stato fatto, la storia della nostra marineria è ancora incompleta. Io ho già dato. Lascio perciò a studiosi e ricercatori più qualificati di me il completarla. Mi preme, però, suggerire alcuni indirizzi di ricerca. Conosciamo tutti i motopescherecci, ma dobbiamo ancora conoscere bene tutti i nomi dei nostri antenati pescatori i quali sono stati capaci di creare una grande marineria, i “caratisti”, anche in mancanza di un porto rifugio e unica nella sua composizione sociale. A parte pochissime eccezioni, infatti, nessun pescatore era dipendente ed ognuno era padrone di se stesso, disponeva di una certa quantità di “carati”, di quote del capitale. Efficienza e umanità, un connubio tanto teorizzato dai grandi filosofi, assai difficile da realizzarsi, ma che i nostri pescatori hanno costruito. Ci sono riusciti. Anche per questo, però, dobbiamo ben capire per quale motivo questa nostra marineria, la cui peculiarità poteva e doveva consentirle di superare le crisi settoriali meglio delle altre, è invece fallita prima di tutte? Nel 1900 a Parigi in un grande incontro scientifico il famosissimo matematico David Hilbert disse: “risolti questi 20 teoremi la matematica dice tutto”. Subito dopo il logico Kurt Godel dimostrò :“l’indicibilità matematica”: non sarà mai possibile, neanche alla matematica, dire tutto. Cosa voglio dire con questo esempio? Ecco: risolti i pochi quesiti che ho posto, avremo dato molto di più all’attività della pesca, ma mai detto tutto sull’uomo. Tre piccoli versi, per concludere. Sono miei: I pescatori di oggi guardano il mare da terra e parlano sempre. I “marinari” di ieri guardavano la terra dal mare e non parlavano mai. Adesso da noi ci sono tanti pescatori, ma sono spariti i “marinà”. 33 REGIONE MARCHE / ATTIVITA’ PRODUTTIVE LA REGIONE A FIANCO DELLE IMPRESE PER AFFRONTARE LA CRISI E PERMETTERE IL RILANCIO S ono stati destinati ulteriori tre milioni di euro al Fondo di garanzia gestito dalla Società regionale di garanzia Marche, alimentato da Regione, Provincie, Camere di commercio e alcuni comuni, nato in risposta alla crisi finanziaria del 2008 e strumento essenziale nel sostegno all’accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese, soprattutto in questo difficile contesto di liquidità. “Destiniamo ulteriori tre milioni di euro al Fondo, arrivando complessivamente a una massa di oltre 31,2 milioni. In poco più di quattro anni di operatività sono state effettuate oltre 17mila operazioni per oltre 730 milioni di euro di finanziamenti garantiti alle imprese, specie di piccole dimensioni. L’esperienza è un buon esempio di collaborazione interistituzionale a favore dell’economia reale e di come, unendo le forze, si possano dare risposte più forti alla difficile congiuntura economica in atto.” Sara Giannini, assessore regionale alle Attività produttive, commenta così lo stanziamento approvato dalla Giunta regionale che va a rimpinguare il Fondo che agevola l’accesso al credito per le imprese. Il Fondo garantisce ulteriormente un nuovo finanziamento richiesto dalle imprese e garantito dai Confidi per allungare la scadenza di debiti da breve a medio termine. In pratica i finanziamenti alle imprese beneficiano di un doppio paracadute, utile in situazioni di particolare tensione finanziaria, con rischi di riflessi occupazionali. Si potenzia così la capacità di accesso al credito delle piccole imprese, si fronteggiano i problemi di liquidità e razionamento finanziario, si riduce il costo della provvista, si contrasta il pericolo di trasmissione all’economia reale di crisi di origine finanziaria. Beneficiari sono le piccole e medie imprese di tutti i settori economici e dell’intero territorio regionale. Le operazioni di finanziamento possono avere durata tra 18 mesi e cinque anni (il Fondo opera fino a cinque anni, ma sono ammessi finanziamenti anche di durata superiore) un importo per ogni singola impresa fino ad un massimo di 500mila euro (un milione, se in cogaranzia con due o più Confidi) ed essere attivate attraverso l’intervento di un Confidi. Oltre alla Regione Marche, che contribuisce per il 73 per cento al Fondo, hanno finanziato lo strumento di sostegno alle imprese tutte le Provincie e le Camere di commercio delle Marche e i comuni di Loreto, Numana, Folignano e Jesi, mentre altri comuni hanno manifestato interesse all’adesione. FINANZIAMENTI ALLE AZIENDE DEL COMPARTO CULTURALE REGIONALE: PERCHE’ LA CULTURA CREA RICCHEZZA. Sono stati approvati i criteri per l’accesso ai finanziamenti agevolati per le imprese del comparto culturale della Regione Marche a valere sul Fondo regionale di ingegneria finanziaria alimentato con risorse del POR FESR Marche 2007/2013. E’ quindi possibile presentare le richieste di agevolazione attraverso il sito del MedioCredito Centrale che è gestore dell’operazione. Il Fondo rappresenta un’iniziativa particolarmente innovativa sia per la tipologia di imprese a cui si rivolge che per la forte sinergia rispetto al program- 34 ma regionale di sviluppo del Distretto Culturale Evoluto recentemente avviato dalla Regione Marche. Con una dotazione di circa 2 milioni di euro, il Fondo è stato infatti progettato per finanziare sia operazioni di sviluppo che operazioni di riequilibrio delle aziende appartenenti alla famiglia dei codici ATECO della cultura e della creatività, selezionate anche sulla base delle rilevazioni effettuate da Symbola in collaborazione con Unioncamere nell’ambito del Rapporto annuale 2012. Possono accedere al Fondo per entrambe le tipologie di attività le aziende con codici ATECO indicati nell’Avviso, mentre l’accesso può avvenire senza limitazioni, ma per le sole operazioni di sviluppo, a condizione che le aziende richiedenti facciano parte di gruppi di partenariato di progetti di interesse regionale presentati a valere sull’avviso pubblico del Distretto Culturale Evoluto. Le aziende potranno ottenere finanziamenti agevolati da un minimo di 50.000,00 ad un massimo di 150.000,00 euro al tasso agevolato dell’1%. La durata di ammortamento del finanziamento sarà di 60 mesi, oltre ad un periodo di preammortamento tecnico. ‘L’iniziativa è stata concepita in stretta complementarietà con l’avvio del programma regionale per il Distretto Culturale Evoluto’ spiega l’Assessore alla Cultura Pietro Marcolini ‘per consentire alle aziende partecipanti una maggiore accessibilità al credito. Il programma per il Distretto Culturale Evoluto andrà a sostenere progetti a carattere intersettoriale di innovazione tecnologica, caratterizzati da un forte contenuto di creatività, capaci di auto sostenersi nel tempo e innescare economie locali. In questa fase di crisi e di difficoltà di accesso alle risorse ci è sembrato determinante introdurre uno strumento di supporto al programma. L’iniziativa è nata di concerto con il settore dell’Industria, con il quale sono ormai numerose le azioni comuni finalizzate a dare spinta ad una platea di aziende innovative che fanno della cultura e della creatività il loro principale fattore competitivo’. ‘La individuazione di misure specifiche rivolte alle imprese della cultura e della creatività’ aggiunge l’Assessore Sara Giannini ‘apre un ambito di sperimentazione interessante, e l’avvio del Fondo, insieme ad altri interventi quali il sostegno alla digitalizzazione delle emittenti televisive e delle sale cinematografiche, contribuisce a creare un set di strumenti utili allo sviluppo di un segmento produttivo importante per le Marche, come la stessa ricerca della Fondazione Symbola ha dimostrato nel Rapporto 2012. Anche in un recente bando per il sostegno alle PMI di produzione del Made in Italy si è voluto attribuire un valore premiale a quelle aziende che nello sviluppo di prodotto o nelle politiche di marketing si avvalgono della collaborazione di enti culturali’. Il bando è accessibile sui siti regionali www.cultura.marche.it, www.europa.marche.it e www.regione.marche.it. Sul sito di MedioCredito Centrale http://www.incentivi. mcc.it/incentivi_regionali/marche/marche.html è disponibile la modulistica per presentare richiesta di agevolazione. REGIONE MARCHE / PESCA MANGIA BENE, CRESCI SANO COME UN PESCE! foto: fonte Regione Marche F avorire la diffusione del pesce del territorio e insegnare ai ragazzi a mangiare sano. E’ quanto si prefigge “Mangia bene cresci sano come un pesce”, la campagna informativa ed educativa promossa dall’Assessorato alla Pesca della Regione Marche dedicata agli alunni della scuola dell’infanzia, primaria, secondaria e alle loro famiglie. Il progetto punta a introdurre nell’alimentazione scolastica, in modo agevolato ed in via sperimentale, il prodotto ittico locale allo stato fresco refrigerato, con priorità per l’utilizzo di prodotti a marchio QM – Qualità garantita dalle Marche. L’obiettivo è incrementare la propensione al consumo del prodotto ittico, specie “made in Marche”, contribuendo alla formazione nei giovani di uno stile di vita sano e di un corretto rapporto con il cibo. “Abbiamo deciso di avviare una campagna promozionale che centri due importanti obiettivi – sottolinea l’assessore Sara Giannini - ossia diffondere il consumo di pesce regionale aiutando l’economia ittica del territorio e aumentare la consapevolezza nelle giovani generazioni dell’importanza di un’alimentazione sana ed equilibrata. Per questo, attraverso uno specifico avviso pubblico, avvieremo un’iniziativa finanziata dall’Unione europea e finalizzata all’introduzione nelle mense scolastiche pubbliche del prodotto ittico regionale. Vogliamo così proseguire nel progetto avviato lo scorso anno con la campagna promozionale dedicata al pesce azzurro (Sappiamo sempre che pesci prendere, Sara Giannini e Massimiliano Ossini nella foto in alto a destra, ndr), mettendo a frutto la positiva esperienza maturata attraverso tutto il territorio regionale in collaborazione con enti locali e associazioni di categoria. La nostra strategia a favore dell’industria ittica si basa su azioni diverse: sostegno diretto tramite bandi e finanziamenti alle imprese e azioni di sostegno indiretto che mirano ad accrescere la domanda di prodotto da parte dei consumatori”. 35 LA NOSTRA TERRA SFIDA IN CUCINA di Grazia Bravetti Magnoni - foto di Francesca Magnoni UN LIBRO CHE CI FA RIASSAPORARE GUSTI E PROFUMI DELLA CUCINA D’ANTAN IN UNA SINGOLARE DISFIDA TRA PANE E PIADA, TORTELLINI E VINCISGRASSI DOVE SI AFFRONTANO I FIGLI DEI PICENI E QUELLI DEI CELTI. E DOVE, ALLA LUNGA, I PRIMI VINCONO. MA NON DITELO AI ROMAGNOLI. L da sinistra a destra - Antonio Bartolo, Elio Camilletti, Grazia Bravetti, il Direttore, Franco Magnoni L’assessore Fabbracci durante il suo intervento 36 a rivista “Lo Specchio” mi permette di riprendere un discorso appena accennato durante la presentazione del mio libro “Radici” tenuta la sera del 26 Aprile scorso nella Sala Biagetti della Biblioteca di Porto Recanati organizzata dalla citata Rivista insieme all’Associazione AGRI-ART con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura. “Radici” segue precedenti studi e ricerche sul mondo rurale di appena ieri posto lungo le zone al di qua e al di là della Via Emilia, dal riminese al forlivese. Nella Sala Biagetti ci fu l’occasione d’accennare ad alcuni dei possibili accostamenti e contrasti tra la campagna di Romagna e quella delle Marche. Il discorso sarebbe lungo e variato, dagli aspetti della campagna e della sua geografia alla architettura delle case, dai “lavori” alla cucina. E proprio qui il primo urto tra pane e “piadina”. Nella cucina marchigiana dominava il pane. In Romagna accanto al pane c’era la “piada”, che oggi si può perfino comprare al supermercato. Tipica della campagna ogni “arzdora” la preparava in pochissimo tempo, che bastava un po’ di farina, acqua e un pizzico di sale, un tagliere, un matterello, una teglia da appoggiare sul LA NOSTRA TERRA fuoco non troppo ardente. Con la piada non si temeva se non c’era il pane, che lei era sempre una possibilità di salvezza, il che non aveva la “vergara”. Lei, invece, dalla fine d’Autunno all’inizio della Primavera, faceva la polenta, che la si cuoceva spesso anche due volte al giorno, per colazione e poi per cena, un’ora continua di lavoro, e anche più, che se non la si girava continuamente sarebbero venuti fuori i “pallotti”. La polenta era odiata in tutta la Romagna, ma piaceva nelle Marche e la “vergara” era bravissima a modificarne sapori e gusti. Basta citarne alcune come la polenta “strascinata” con le “foje”, che potevano essere rapa, verza, cavolo. Più saporosa era la polenta “sfrigolata”, con un bel soffritto di cotiche e salsiccia. La si poteva fare con le patate “in potacchio”, meglio ancora con “la sapa”, mosto bollito e strabollito. A pranzo il 24 Dicembre ci doveva essere il “polentone della Vigilia”, sodo, e “nerto”, di notevole spessore. Naturalmente le polente impegnavano non solo la “vergara” ma almeno un’altra delle donne della famiglia, figlia o sorella o nuora, che altrimenti le braccia non reggevano. Al lettore decidere s’era meglio la piadina o la polenta! Se poi per una sfida culinaria tra Marche e Romagna si passa ai “primi piatti” è evidente che a vincere sarebbe la Romagna. Solo citarli già gli italiani si leccano i baffi. A parte tagliatelle, tagliolini e pappardelle, tutti troppo conosciuti, la tradizione romagnola prepara tortellini in brodo, cappelletti ripieni di carni varie, e mentre asciutti ci sono i tortelloni con ricotta e spinaci, i passatelli sono solo in brodo. Gli strozzapreti si facevano senza le uova e se si poteva come sugo si affogavano nel ragù. Erano tutti piatti della festa, ma per Natale o per l’Anno erano privilegiate le “lasagne” che, poi, sono tipiche anche nelle Marche ma si chiamano “vincisgrassi” e, rispetto alle lasagne romagnole, non vi è la besciamella ma il formaggio molle. Per secondo le Marche potrebbero rifarsi con la particolare e straordinaria “papera in potacchio”. Per la trebbiatura si voleva come primo i maccheroni, che si diceva “Se magna i maccarò col sugo de’ la papera”, ed erano due portate gustosissime cui la Romagna poteva contrastare solo con l’ inespressiva “grigliata”. Per i dolci la Romagna ha da offrire solo un unico dolce, la “ciambella”, mandata a cuocere dal fornaio insieme al pane. Poi…basta! Per i dolci, invece, nelle Marche non si sa da dove iniziare. Rifacendosi alle stagioni, durante la vendemmia croccanti da sgranocchiare erano i “biscotti col mosto”, ed accanto morbidissimi i “sughetti”, d’accostarsi entrambi al fantastico “vin cotto”. Sempre in Autunno si faceva il “salame di fichi”, zeppo non di maiale ma dei frutti della stagione. Ricchi dei frutti invernali ed adatti alle feste erano la “rocciata” ed il “crostingo”, dai nomi strani ma ben sostanziosi e gustosi. Ceci e fave fritte erano adatti alle veglie serali se la “vergara” aveva figlie da maritare. Per il Carnevale la campagna si sbizzarriva con le più varie golosità, dagli “scroccafusi fritti” a quelli “al forno”, dalle “pastarelle al forno”, agli “scroccafusi di polenta”, per finire con la regale “cicerchiata”. Poi, rigorosi ed austeri per la Quaresima, ci si preparava alla Pasqua con la “crescia” o “pizza di Pasqua”, che, piena di pezzi di formaggio, un po’ salata e pepata, non ha niente di dolce se non la bontà. Arrivata l’Estate non si sapeva se pesassero più i lavori o la fatica, e per rifarsi c’erano sempre la “ciambella” o il “ciambellotto” che li si portava nel campo dentro un cesto, più le bottiglie dell’acqua e del vino. E se non bastasse, la campagna marchigiana, priva di pianura, era ricca di alberi da frutta di tante varietà e qualità, coi nomi più strani. A questo punto chi potrebbe vincere la sfida se non le Marche?! Ma, si sa, i romagnoli non vogliono perdere, e per questo dicono che a loro non piacciono le “cose dolci”, mentre godono con il salato, primi piatti e la solita grigliata. 37 LA NOSTRA TERRA VIVA IL VINO CH’È SINCERO, CHE CI ALLIETA OGNI PENSIERO .. di Alfredo Pirchio - foto fornite dall’autore I calanchi CHI BEVE SOLO ACQUA HA UN SEGRETO DA NASCONDERE (BAUDELAIRE) LA VITA È TROPPO BREVE PER BERE VINI MEDIOCRI (GOETHE) 38 P iove copiosamente mentre guido la macchina, le gocce schiaffeggiano il parabrezza come se ce l’avessero con lui. Strana primavera quella di quest’anno, il sole sembra aver da fare altro e le nuvole ogni giorno come un lenzuolo plumbeo, si appoggiano stanche sulle colline, bagnando senza riposo, piante campi e vigne. Sono diretto a Spinetoli, una ridente cittadina (non ho mai capito perché si dica così), in provincia di Ascoli Piceno; qui il paesaggio si apre, e mentre salgo su stradine tortuose noto come i contadini siano riusciti a rendere vitati dei fazzoletti di terra abbarbicati a calanchi che sprofondano in dirupi precipiti; a dire il vero la terra non è nemmeno terra ma, come in Francia nel “Graves”, piccoli e grandi ciottoli di breccia bianca impastata d’argilla. Non senza difficoltà trovo la LA NOSTRA TERRA cantina che cercavo: “Cantina Campo di Maggio” in via Roccabrignola; è qui che mi aspetta il buon Marco Corradetti, un ragazzo sulla trentacinquina che mi saluta con una vigorosa stretta di mano. L’azienda nasce dietro la necessità di convertire una produzione lattaio-casearia, settore zootecnico in crisi, in una intuizione che Marco insieme alla sua famiglia ha reso tangibile: quattro ettari di terra coltivati a Passarina, pecorino e cabernet sauvignon. Il posto è splendido e la passione con la quale Marco mi parla delle sue vigne è il giusto connubio per la creazione di quell’opera d’arte che lui chiama vino. Tra tutte le bottiglie assaggiate ve ne segnalo due squisite: la passerina 2012 ed il pecorino dello stesso anno. La passerina è di una delicatezza toccante, il naso si perde in campi di fiori bianchi e pomacee croccanti, il sorso è seducente e già me lo immagi- navo gustato con una “tartare” di tonno con mentuccia, timo ed una spruzzata di lime. Ma ciò che vi invito obbligatoriamente a bere è il pecorino “Campo di Maggio” vendemmia 2012: riempiendo il bicchiere, abbracci di virgole dorate si mescolano a riflessi di verde freschezza, curioso, accosto il naso al calice e le sostanze odorigene che sprigiona sono un caleidoscopio di emozioni; erbe di montagna, tiglio e santoreggia formano un tappetino dove si dipanano sentieri di ginestre….. toccante! In bocca il liquido occupa militarmente ogni papilla gustativa ed i profumi percepiti al naso si possono ora schiacciare al palato ….. onirico! E’ ottimo già da solo, ma con un rombo chiodato e olive taggiasche cotte al forno non lo vedo male male male. www.cantinacampodimaggio.it Marco Corradetti e Alfredo Pirchio 39 Con il patrocinio di Provincia di Macerata Comune di Recanati In collaborazione con Recanati PROGR AMMA Direttore Artistico: Riccardo Concerto in omaggio di Beniamino Gigli Serenelli Aida Giuseppe Verdi Domenica 7 luglio, ore 21,00 Domenica 4 agosto, ore 21,00 Sabato 6 luglio, ore 21,00 (ingresso gratuito) Aula Magna Comune di Recanati Costumi a cura di Elena Radcenco Il Barbiere di Siviglia La Traviata Gioachino Rossini Domenica 14 luglio, ore 21,00 Domenica 25 agosto, ore 21,00 Giuseppe Verdi Domenica 21 luglio, ore 21,00 Domenica 11 agosto, ore 21,00 L’Elisir D’A more Rigoletto Costumi a cura di Casa Grimani Buttari, Osimo Costumi a cura di Elena Radcenco Gaetano Donizetti Domenica 28 luglio, ore 21,00 Costumi a cura di Elena Radcenco Giuseppe Verdi Mercoledì 31 luglio, ore 21,00 Domenica 18 agosto, ore 21,00 Costumi a cura della sartoria teatrale ISIS, Osimo Carmen Georges Bizet Mercoledì 7 agosto, ore 21,00 Costumi a cura di Casa Grimani Buttari, Osimo La Serva Padrona Giovan Battista Pergolesi Mercoledì 14 agosto, ore 21,00 Biglietti / Tickets Biglietto intero Ticket € 35,00 Ridotto (0-10 anni) Reduction (from 0 to 10) € 20,00 Abbonamento per 5 serate Season ticket for 5 shows € 185,00 Il prezzo del biglietto include aperitivo in terrazza, opera e visita al museo. Essendo i posti limitati è obbligatoria la prenotazione. Sede degli spettacoli e prenotazioni Performance location and booking Villa Colloredo Mels - Via Gregorio XII - Recanati (MC) Tel. 071 7570410 / +39 340 5962992 - www.villaincanto.eu Per informazioni / Information Ufficio Recanati Turismo - Tel. +39 071 981471 www.recanatiturismo.it - [email protected] Gioca con Villa InCanto e diventa protagonista dell’Opera Il giorno prima delle rappresentazioni dalle 17,30 laboratori per bambini dai 4 ai 10 anni Iscriviti all’ISIS di Osimo e realizza i costumi per la nuova stagione di Villa InCanto (www.isisosimo.it) AMBIENTE E TERRITORIO IL COLORE GIUSTO DELL’ECONOMIA Intervista all’assessore all’ambiente e all’ecologia del comune di Loreto. Tema: la blue economy di Eleonora Stortoni - foto tratte dal sito http://www.blueeconomy.de/ L ’economista belga Gunter Pauli, ideatore della blue economy, suggerisce nuove strategie per superare la crisi finanziaria, condanna la ‘cultura del consumo’ che maltratta la natura senza risparmiare i due principali sistemi economici degli ultimi anni: la red economy e la green economy. Innanzitutto, potrebbe spiegarci in pillole qual è la differenza tra i tre sistemi e se è d’accordo o no su quanto messo in luce dall’economista? In origine era la Red Economy, caratterizzata da consumi di massa a basso costo, con prodotti che non tengono conto delle risorse del futuro e del loro spreco, con enormi danni all’ambiente. La green economy, l’economia dei prodotti ecologici d’élite, costosi e inaccessibili, sta per lasciare il po- sto alla blue economy, sostenibile e redditizia che si basa su un modello di business competitivo ispirato alla natura, sistema produttivo perfetto ed efficiente. La blue economy suggerisce di risollevare le sorti dell’ambiente e dell’economia mondiale prendendo spunto dalla natura. Il suo obiettivo è fare business a impatto zero. La green economy è l’innovazione anche se a volte si perde di vista l’obiettivo, per risparmiare da una parte si spende dall’altra. Penso che non ha senso mettere i pannelli fotovoltaici nei terreni ad uso agricolo, bisogna salvaguardare le realtà dei fatti. Il punto non è produrre più energia ma consumarne di meno. Per esempio per un risparmio energetico si possono recuperare gli edifici. Ad esempio quelli del centro storico? Si. O case nelle periferie di 20-30 anni, mettendo dei cappotti isolanti, si otterrebbe un risparmio energetico e farebbe ripartire l’edilizia. Dalla partnership tra il Gruppo Loccioni e la Samsung nasce un progetto per l’integrazione e la commercializzazione di sistemi di accumulo energetico che ottimizzano l’autoconsumo, rendendo disponibile l’energia all’occorrenza, garantiscono continuità della fornitura elettrica in caso di interruzioni della rete e stabilizzano la rete, smorzando i picchi di produzione e indisponibilità. C’è la possibilità di fare business nel settore della blue economy? Assolutamente si. Si deve recuperare. Tendiamo troppo a disperdere. L’esempio chiave ce lo abbiamo nel caffè, se ne usa una piccola parte e il resto viene buttato. Dobbiamo cercare di produrre meno packaging e questo possiamo farlo attraverso strumenti molto interessanti. Per esempio il Gruppo Gabrielli si sta avviando verso un’autosufficienza energetica. Utilizza i dispenser per i detersivi o gli alimenti come pasta e caffè. Cerca di incentivare il recupero dell’alluminio e della plastica; al cliente che li restituisce verrà consegnato un buono spesa. La green economy ha dei limiti: il business viene dato a pochi, come quello dei pannelli fotovoltaici, e purtroppo coloro che non se lo possono permettere è perché c’è chi ci ha lucrato sopra. Mentre per la blue economy ognuno, in base al suo virtuosismo, fa funzionare la cosa. Ognuno nel suo piccolo può crearsi qualcosa. 41 AMBIENTE E TERRITORIO Come si sta comportando il comune di Loreto? Quali sono le politiche che sta attuando e che ha attuato negli ultimi mesi in relazione alla sostenibilità ambientale, allo sviluppo di queste nuove forme di economia e energia? Sta cercando di rispettare i limiti della raccolta differenziata, di ridurre i costi dei servizi in generale. Purtroppo però mancano le infrastrutture da parte della Regione Marche, mancano gli stessi costi tra i paesi limitrofi. Le centrali a biomassa non sono sufficienti per parlare di energia pulita. Bisogna incentivare i pannelli fotovoltaici, svincolare, abbandonare la rete elettrica creando una “non rete” fatta da centrali di produzione di energia in loco, ad impatto zero sull’ambiente. Quali sono le città più virtuose che stanno mettendo in campo buone pratiche da prendere a modello? Loreto si può considerare una città modello? Il sistema a Capannoli (in provincia di Pisa). E’ un modello che è stato ripreso anche negli Stati Uniti. E’ un ciclo integrato di rifiuti e Loreto cercherà di carpirne le informazioni migliori magari tramite una visita. Fino ad adesso abbiamo raggiunto il 65% della raccolta differenziata. E noi siamo molto soddisfatti di questo risultato. Alcuni comuni hanno raggiunto l’85% ma attraverso una ‘costrizione’, ossia i cittadini sanno che il lunedì devono mettere fuori il giallo, il mercoledì la carta. Ciò non è nell’essere umano, l’evoluzione avviene quando l’essere umano lo fa in modo naturale. Abbiamo scelto i vecchi cassonetti, abbiamo iniziato un progetto con la Pro.Loco attraverso un percorso all’interno delle famiglie. Le famiglie sono libere di gettare i propri rifiuti in qualsiasi momento e non aspettare il giovedì dopo. Con i cassonetti i 42 costi sono minori, c’è un solo operatore che preleva i rifiuti e poi li divide nelle microisole. Il nostro obiettivo è stato ed è volto all’educazione, abbiamo voluto educare le persone no per il comune ma per loro stessi e per il loro futuro. Puntiamo anche molto sulla scuola, l’educazione deve iniziare da lì. C’è una persona che stimo molto, il professor Ziarelli Luciano, il quale diceva sempre: ”La scuola deve assolutamente insegnare a vivere. Quindici anni di scuola sono sufficienti per educare le persone”. La partecipazione dei cittadini è sempre un elemento importante per la riuscita delle politiche urbane. La città di Loreto ha cercato di sperimentare strumenti particolari per il loro coinvolgimento o se cercherà di farlo? Noi nella raccolta differenziata con tanti ragazzi abbiamo suonato tanti campanelli, a tappeto per il quartiere provvisti di stand informativo. L’importante è stato spiegare come funzionava il servizio, che quando terminano i sacchetti possono andare alla Pro.Loco e tante altre informazioni. All’epoca si iniziò la raccolta porta a porta proprio per fa si che tutti differenziassero correttamente, che ci fosse un monitoraggio continuo -anche se poi capita di vedere gente che butta i pannolini nell’umido o altro-. Succede anche da noi. E’ per questo che abbiamo introdotto delle figure ambientali che educano, ma dove occorre sanzionano anche. Con l’avvento della Tares, il costo del servizio è a carico dei cittadini, dipende dalla suddivisione della tipologia di attività. Una pizzeria ovvio che produce più rifiuti di un avvocato che al massimo getta carta che poi è riciclabile. Chi conferisce di meno, verrà premiato. Il costo viene pesato. Dovremmo cercare di evitare la confezione con troppi imballaggi, come abbiamo detto prima la scelta migliore sarebbe quello della distribuzione tramite i dispenser. E per quanto riguardo i prodotti alimentari cosiddetti a km 0? A volte si vedono nei supermercati i kiwi del Chile quando c’è una grande produzione a San Firmano. Noi siamo i primi produttori di kiwi al mondo, è che a volte per avere i banconi pieni si preferiscono quelli di altrove. Bisogna incentivare i prodotti a filiera corta, nel supermercato dobbiamo trovare prodotti locali. L’Amministratore delegato del Gruppo Gabrielli ha appunto iniziato un rapporto con le aziende locali. Noi potremmo creare un protocollo: chi compra i prodotti locali otterrà uno sgravo fiscale. Prima mi ha parlato del suo disaccordo nel mettere i pannelli fotovoltaici nei terreni, ma non crede che uno lo faccia per occupare a volte un terreno che non viene più coltivato, perché ci sono pochi giovani che continuano quello che facevano i loro nonni o padri. Bisogna pensare ad una nuova agricoltura. Noi dobbiamo anche ringraziare le Opere Laiche che stanno concedendo le loro terre perché vengano coltivate dai giovani. Dobbiamo accorciare la catena, chi coltiva la propria terra deve ottenere il giusto guadagno. Attraverso delle strutture nei territori. Si deve stabilire da subito quanto costeranno i prodotti e quale sarà il loro effettivo introito. PERSONAGGI L’IMPEGNO CIVILE OLTRE L’IMMAGINE di Paolo Onofri - foto fornite dall’autore DIECI ANNI FA MORIVA BRUNO GRANDINETTI, GRANDE FOTOGRAFO, TESTIMONE DELLA COMUNITÀ MONTESANTESE, INTELLETTUALE DI ESTRAZIONE POPOLARE, ESEMPIO DI IMPEGNO CIVILE A FAVORE DELLA STORIA, TRADIZIONE, CULTURA E PER LA TUTELA DELL’AMBIENTE DI POTENZA PICENA. B runo Grandinetti è stato un grande fotografo, testimone della nostra comunità dal 1950, anno in cui iniziò la sua attività a Potenza Picena, dove era nato il 10 Marzo del 1930. Luoghi, personaggi ed avvenimenti sono stati immortalati dalla sua macchina fotografica e conservati con certosina pazienza e saggezza, costituendo oggi materiale indispensabile per ricostruire la storia civile e sociale della nostra comunità degli ultimi cinquant’anni. Bruno Grandinetti ha inoltre documentato tutte le opere d’arte, i monumenti, le Chiese, le istituzioni di 43 PERSONAGGI riapertura del Teatro, riconsegnato alla città dopo un lungo restauro. In questa iniziativa Bruno si spese in prima persona, sia raccogliendo le firme, ma in particolare mettendo a disposizione il suo archivio fotografico riguardante il Teatro, per sensibilizzare maggiormente la cittadinanza. Aveva iniziato ad occuparsi della salvaguardia e della valorizzazione del nostro patrimonio storico ed artistico molto tempo prima, promuovendo insieme ad altri, la nascita dell’Associazione culturale ADOAP (Associazione Difesa Opere d’Arte Potentine), che organizzò nel 1971, in occasione del centenario della nascita del musicista potentino Bruno Mugellini, presso i locali dell’asilo nell’ex Monastero delle Benedettine, una grande mostra fotografica sulle opere d’arte, i monumenti e le Chiese di Potenza Picena, esponendo in prevalenza materiale del suo archivio. Questa Associazione ha svolto per diversi anni un ruolo importante di sensibilizzazione, in particolare tra i giovani del luogo, che hanno imparato a conoscere la propria realtà e ad amarla. Potenza Picena. Non è stato solo un grande fotografo documentarista ed artista della macchina fotografica; era anche un intellettuale di estrazione popolare, profondo conoscitore della nostra tradizione, cultura ed arte, esempio di militante dell’impegno civile a favore della comunità. Ho conosciuto Bruno Grandinetti durante una delle più belle “battaglie” di impegno civile e culturale che si sono svolte a Potenza Picena nel 1982. In quel periodo si era costituito un comitato che si proponeva l’obiettivo di far riaprire il Teatro Comunale “Bruno Mugellini”, chiuso dal dicembre 1970 per inagibilità. Bruno faceva parte all’epoca dell’associazione ambientalista “Potenza Picena Città e Territorio”, che insieme al Circolo Culturale “Luigi Petetti” al Centro Culturale “Teorema” e alla Sezione “F. Margaritini” del PCI di Potenza Picena avevano raccolto tra i cittadini 1604 firme a sostegno della proposta di riapertura del Teatro. Questa grande “battaglia” di impegno civile e culturale si è conclusa nel 1990, con la 44 Ho avuto modo di conoscere più direttamente Bruno Grandinetti solo nel 1996, frequentando il suo studio fotografico, scoprendo le sue qualità, la sua grande umanità, la sua cultura, il suo coraggio civile nella difesa del nostro patrimonio storico ed artistico. In quel periodo, dopo l’elezione a Sindaco di Potenza Picena di Mario Morgoni, avvenuta nel mese di maggio del 1995, si sono create le condizioni per affrontare nodi storici della realtà di Potenza Picena, trascurati per molti anni, come il recupero e la valorizzazione dei sotterranei di S. Francesco, della Chiesa di S. Caterina e di quella di S. Agostino, con il suo straordinario organo da “sala”, della porta di Galiziano, dell’antico sipario del Teatro Comunale “B. Mugellini” e delle antiche fonti, in particolare quella di Galiziano. Tutte queste tematiche hanno visto Bruno Grandinetti in prima fila, anche se non più giovanissimo, lottare insieme agli amministratori e ai tanti volontari che si sono impegnati per dare concretezza a questi recuperi. Bruno ha aiutato a ripulire materialmente i sotterranei di S. Francesco, documentando fotograficamente tutto il contenuto (in questa circostanza sono stati ritrovati dei veri e propri “gioielli” antichi, come il carrettino dei pompieri degli inizi dell’Ottocento, l’antico orologio della Torre Comunale, un Sommaruga risalente al 1887, l’antica porta vetrata di accesso alla platea del Teatro Comunale “B. Mugellini” risalente al 1862, la targa del Touring (TCI) degli inizi del Novecento). Parte di questi “gioielli” successivamente è stata anche restaurata. Lo stesso impegno ha messo quando si è trattato di liberare sia la chiesa di S. Caterina che quella di S. Agostino, dove ha fatto apprezzare l’importante organo da “sala” che era abbandonato in questa struttura, successivamente individuato dagli studiosi Paolo Peretti e Fabio Quarchioni come opera di Giovanni Fedeli di Rocchetta di Camerino, costruito nel 1757. Durante la pulizia della cantoria, sotto l’organo, Bruno ha ritrovato anche un’antica daga, arma bianca in dotazione alla locale Guardia Nazionale fino al 1876. Per quanto riguarda S. Agostino lui, insieme ad altri, è stato tra i promotori di un Comitato che chiedeva il recupero e la valorizzazione di questa importante struttura. Non si tirava mai indietro, e se molte di queste battaglie di impegno civile si sono concluse con dei suc- PERSONAGGI cessi, molto si deve proprio alla sua coerenza e al suo impegno. Le sue foto sono state sempre utilizzate per sensibilizzare l’opinione pubblica di Potenza Picena sulla necessità di questi recuperi. Ho avuto il piacere e l’onore di organizzare o curare le tre mostre personali fotografiche che Bruno ha fatto a Potenza Picena. La prima, organizzata dal 14/12/1996 al 6/1/1997, in collaborazione con la Biblioteca Comunale (curatore Roberto Marconi, allestimento scenico Stefania Giorgetti e Luca Carestia), ospitata nei corridoi della struttura, dal significativo titolo “Ignoti sulla bocca di tutti”, una carrellata di personaggi del luogo, trattati con grande umanità e sensibilità dall’obiettivo di Bruno Grandinetti ha riscosso un grande successo di pubblico, con oltre 1200 visitatori (sono state esposte 71 foto). In quella occasione Bruno, il giorno dell’inaugurazione, volle far dono al Comune di Potenza Picena, per la sua Biblioteca, di una rara pubblicazione sul metodo teorico-pratico per lo studio del pianoforte di Bruno Mugellini, che lui aveva acquistato a Firenze durante il suo soggiorno in terra toscana, per seguire i corsi di fotografia presso l’Istituto Statale d’Arte “Porta Romana”. Bruno era fatto così, non chiedeva mai niente per sé, lui dava sempre qualche cosa alla nostra comunità. Questa mostra di personaggi, visto il grande successo, ebbe un seguito nel 1997 (dal 9 al 31 agosto) con la seconda edizione ampliata con altre 44 foto, portando il totale a 115, a cui hanno collaborato Gianfranco Morgoni, Natale Fratta e Edmondo Carestia, tenutasi questa volta, per espressa volontà di Bruno, nei locali dei sotterranei della Chiesa di S. Francesco, che erano stati da poco ripuliti ma non restaurati, e dove addirittura non vi erano il pavimento e l’impianto elettrico. Era il segnale che questa struttura antica poteva essere recuperata e utilizzata come sala mostre e riunioni, cosa che è avvenuta successivamente nel 1999, intitolandola al Prof. Umberto Boccabianca, grande pedagogista, figura riscoperta grazie a Bruno. Anche in questa circostanza volle farsi promotore nell’ambito della mostra, che ha riscosso un grande successo di pubblico, della raccolta di fondi per il restauro di un quadro molto caro alla nostra comunità, il S. Emidio di Benedetto Biancolini, in occasione del bicentenario della morte del pittore a cui successivamente è stata intitolata la Pinacoteca, che si trovava in pessime condizioni e dove è presente il putto che sorregge Monte Santo in una raffigurazione della fine del Settecento. Grazie anche a questa iniziativa, sono stati raccolti 2.000.000 delle vecchie lire, il quadro e la cornice sono stati successivamente restaurati, e oggi il dipinto è esposto nella Sala “Antonio Carestia” della Giunta Comunale nel Palazzo Municipale. L’ultima mostra di Bruno Grandinetti che ho curato è stata quella del 2002, dal 27 Aprile al 19 Maggio, una anno prima che morisse (è morto il 12 Luglio 2003), dal significativo titolo “Nel passato il nostro futuro – alla ricerca di una identità”, allestita nei locali ristrutturati del Palazzo Comunale. Sono state esposte 155 foto, tra le più significative del suo archivio, e grande è stato il successo di pubblico, con oltre 1000 visitatori, compresi molti ragazzi delle Scuole Elementari e Medie di Potenza Picena. Anche in questa circostanza Bruno colse l’occasione per lanciare alcuni messaggi importanti alla cittadinanza, come la necessità di recuperare la Fonte di Galiziano, che è stato il logo della mostra, la salvaguardia degli affreschi Settecenteschi del Teatro Aurora, che rischiavano di essere distrutti; inoltre, promosse nell’ambito della mostra una raccolta di fondi per il restauro della pompa antincendio R. Czermack in dotazione al corpo municipale dei pompieri di Potenza Picena, risalente agli inizi dell’Ottocento, raccogliendo 774,70 €. Anche questi obiettivi sono stati raggiunti grazie a lui: il carrettino dei pompieri, con i soldi raccolti durante la mostra è stato restaurato, gli affreschi del teatro Aurora sono stati vincolati dalla Soprintendenza di Urbino, e il Comune di Potenza Picena ha programmato il restauro e la valorizzazione della Fonte di Galiziano, insieme a quella della Concia. Questo è stato Bruno Grandinetti, non solo un grande fotografo ma un grande uomo, un esempio di impegno civile da imitare. Il 6 luglio 2007 è stata inaugurata la Fototeca Comunale, intitolata a Bruno Grandinetti, ospitata nei locali della Chiesa di S. Caterina d’Alessandria. 45 GE.SP.AL SNC DI CERESCIOLI Viale Europa, STAZIONE 42 - 62017 PORTO (MC) DIRECANATI SERVIZIO Telefono: 071 9799446 - Fax: 071 7598056 email: [email protected] [email protected] Scopini A. & C. s.n.c. AL.GA.SA. 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N egli ottantotto anni in cui la Congregazione salesiana, chiamata nel 1924 dai Conti Lucangeli, ha guidato l’oratorio e la Parrocchia del Preziosissimo Sangue di Porto Recanati, ha promosso la formazione di “buoni cristiani e onesti cittadini” – secondo l’insegnamento di San Giovanni Bosco – e di una solida comunità capace di affrontare avversità come quelle che si sono susseguite nell’ultimo anno. Prima i lunghi mesi di inagibilità della Chiesa a causa delle precarie condizioni del tetto; poi, nel giugno 2012, il fulmine a ciel sereno della decisione presa dalle alte sfere di lasciare Porto Recanati e, ultimo ma non ultimo, il mattino del 13 maggio scorso, l’evento più triste che avrebbe potuto essere una vera tragedia: il crollo del tetto del Cinema Teatro Adriatico. La vista delle macerie dall’interno è stata straziante per chi vi ha vissuto gli anni dell’infanzia e l’adolescenza, come se solo ora ne segnassero davvero la fine. Il pensiero è volato alle parole condivise con lo Specchio Magazine da Camillo Casali, che chi scrive ha incontrato per raccoglierne la testimonianza necessaria alla scrittura di questo articolo. Camillo all’oratorio ci 47 CRONACA TRISTE Il campetto di calcio dei salesiani rimesso a nuovo è praticamente nato. Aveva un anno, infatti, quando nel 1928 vi fu portato per la prima volta da suo zio, l’indimenticato Don Antonio Fanesi, un giovanotto non ancora diventato sacerdote. Camillo ha raccontato che tra le attività preferite dai ragazzi c’era il teatro, con le rappresentazioni di filodrammatica e le operette: “Ci divertivamo tantissimo, più degli spettatori. Non c’era ancora il cinema, e facevamo una recita ogni quindici giorni, preparavamo drammi, riviste e commedie, eravamo 5 o 6 a seconda dei personaggi, mentre per le operette arrivavamo anche ad essere una trentina e partecipavano anche le ragazze nonostante l’oratorio fosse ancora solamente maschile. Si preparavano dalle suore poi ci raggiungevano e studiavamo canto e musica insieme a Don Giulio Pifferi, che suonava il piano ed era un bravo maestro e musicista.” Questo succedeva 48 prima della guerra, poi ci fu la stagione degli anni Cinquanta e Sessanta, quando i ragazzi, ormai uomini, misero a disposizione dell’oratorio tempo e braccia per migliorarne le strutture: “Dove oggi c’è il campo di pallavolo, prima c’era un orto curato dai sacerdoti; il pavimento invece – continua Casali – l’abbiamo spianato noi ragazzi, la sera. Eravamo io, i fratelli Torregiani, Marconi, Cittadini, Cingolani, Flamini, Mitillo. Per quanto riguarda il teatro, abbiamo costruito le scene, il sipario e le quinte, con i chiodi e le bollette che raddrizzavamo noi perché i soldi non c’erano. Le scene le realizzammo con la carta dei giornali e con quella dei sacchi della Cementi che attaccavamo con la colla. Abbiamo usato questi sacchi e la colla anche per creare gli stivali necessari alla messa in scena de “I tre moschettieri”, ma poiché si aprivano ad ogni movimento urlavamo: “Romolo (Cingolani, ndr), ci servono le mollette!” I soldi all’oratorio sono arrivati dopo, grazie alla generosità delle donne dei pescherecci e di quelle che vendevano le tele, le cosiddette “telarole”. Con il Concilio Vaticano II, sono arrivate anche le ragazze. Una delle prime fu Maria Teresa Zaccari, con sua sorella Rosina, Giovanna Matassini e Marilisa Giri. Direttore dell’oratorio di allora era don Giancarlo Manieri, arrivato a Porto Recanati ancora molto giovane e con idee “rivoluzionarie”. “Giocavamo a basket con le allieve dell’Adriatica femminile – racconta Maria Teresa -, poi nel 1965 nacque il Gruppo Scout, ma non vi ho aderito subito perché facevo parte di quello formato dal direttore, Nuova Generazione, con altri ragazzi e ragazze tra i tredici e i quindici anni. La domenica andavamo alla Pia Casa Hermes di Lore- CRONACA TRISTE to, Gaetano Campolo e Paolo Valente suonavano la chitarra e noi tenevamo compagnia agli ospiti. Negli anni poi quel gruppo si è disgregato e c’è stato chi come me è entrato nell’AGESCI e chi, invece, ha fatto altre scelte.” Don Manieri, durante gli oltre dieci anni di permanenza a Porto Recanati, dimostrò una profonda capacità pedagogica e contribuì a un forte sviluppo dell’oratorio. “Amava molto le nuove tecnologie, che fanno sorridere se messe a confronto con quelle di oggi, racconta Teresa. Ci ha fatto divertire insegnandoci a realizzare il giornalino dell’oratorio e dei campeggi; noi preparavamo i testi con una macchina da scrivere che non aveva il nastro, lui ci dava i materiali per i disegni, proiettava sul muro le diapositive che poi noi copiavamo e passavamo al ciclostile. Qualche anno dopo abbiamo cominciato ad andare a Loreto da don Maggi che aveva una copiatrice con il pennino simile a un tor- nio, che copiava, così potevamo scrivere comunicati stampa, avvisi, disegni, libricini, passavamo le serate a preparare i fogli dei quaderni. Don Manieri, inoltre, aveva raccolto nel suo studio una biblioteca con libri di psicologia per e sugli adolescenti per affiancarli nella crescita, che potevamo consultare con il suo aiuto. Quelle erano le prime volte che si sentiva parlare di adolescenza e dei problemi legati ad essa, del vivere insieme maschi e femmine, della coeducazione: temi davvero moderni per la Porto Recanati di allora, se pensiamo agli insulti che venivano rivolti a noi ragazze quando entravamo e uscivamo dai salesiani.” Nelle parole di due giovani donne di oggi, Francesca Grilli ed Elena Vecchi, anche loro oratoriane dalle elementari, c’è il ricordo di esperienze e figure fondamentali per la loro formazione spirituale e umana. don Giovanni Molinari, don Giorgio Rossi, “il prete di strada, del muretto, che saliva sul motorino per andare a cercare i ragazzi in difficoltà e che ha trasmesso l’amore per la musica a tantissimi giovani”; don Sidney Stella, “esempio di serenità e amorevolezza”, don Carlo Russo e il mitico don Ennio Borgogna, scomparso lo scorso marzo, “giovane tra i giovani fino all’ultimo istante, ispiratore e sacerdote esemplare con il suo incessante e instancabile fare, più che con le parole”. Pur diversi nei modi e nella personalità, sono stati tutti portatori dello stesso messaggio di fede e di vita, e hanno insegnato ai giovani a “tenere i piedi per terra ma lo sguardo rivolto verso il cielo”. Per una storia dei Salesiani a Porto Recanati, v. Lino Palanca, “Porto Recanati e don Bosco”, ed. Cappelletti, Porto Recanati 1988 Una delle tante iniziative dell’oratorio salesiano 49 FOLK ‘FFÀCCETE DAL BALCONE O BELLA BIMBA … Lo Specchio folk Cyrano de Bergérac La scena del balcone in una composizione di Paul-Albert Laurens, 1870-1934 foto: lewebpedagogique GIOSUÈ CARDUCCI PRIVILEGIÒ LE NOTE MALINCONICHE DI UNO STORNELLO A CHIUSURA DELLA SUA RACCOLTA RIME E RITMI (1895): “FIOR TRICOLORE,/ TRAMONTANO LE STELLE IN MEZZO AL MARE,/E SI SPENGONO I CANTI ENTRO IL MIO CORE”. GIACOMO LEOPARDI NE RACCOLSE UNA DECINA NEL SUO ZIBALDONE. E LA CRITICA MODERNA SI ACCORGE CHE LA POESIA POPOLARE PUÒ ESSERE, PAROLA DI BENEDETTO CROCE, “FINISSIMA POESIA D’ARTE”. ALLA BUON’ORA. 51 L FOLK a finestra e il balcone sono tra le presenze più ricorrenti nel corteggiamento amoroso, che si tratti di Giulietta Capuleti o della ragazza del popolo commossa dalla serenata dell’innamorato. Lo raccontano anche gli stornelli cantati con lo sguardo rivolto alle persiane schiuse, nell’attesa che la mano di lei accenda la luce, messaggera di un sì lungamente sospirato. Qui offriamo uno scampolo di esempi tratti da una letteratura sterminata, scegliendo gli stornelli rimasti più scolpiti nella memoria degli anziani, che quelle scene hanno visto da vicino e spesso anche recitato da protagonisti. Ogni stornello è accompagnato da un commento. Un avvertimento sulla lingua di questi versi, quasi tutti raccolti a Porto Recanati: nelle loro performances i nostri vecchi si sforzavano di parlare guzzo, vale a dire che usavano l’italiano come lo conoscevano loro. Ne usciva un dialetto attenuato qua e là da forme della lingua nazionale. Molto qua e là. Me ‘ffàcciu a la fenestra e ‘eggu el maru, tutte le barche le ‘eggu ‘riare, quella de l’amor mia nun vol turnare … In uno dei Canti del popolo recanatese, raccolti da Pierfrancesco Leopardi e stampati a Loreto nel 1848, si legge: Levati, bella, da questa finestra, - levati, bella, ch’io voglio passare … (Canto 5). Lo stesso Giacomo aveva segnalato qualche “stornello della finestra” nello Zibaldone di pensieri (I, 43 - 1818): 52 Facciate alla finestra, Luciola, decco che passa lo ragazzo tua, - e porta un canestrello pieno d’ova - mantato co le pampane de l’uva. Al fascino della finestra non si sottrasse Giuseppe Gioacchino Belli la cui Serenata, n. 1676 dei Sonetti Romaneschi, inizia: Vièttene a la finestra, o ffaccia bbella, / petto de latte, faccia inzuccherata …, con chiara ispirazione alla serenata in dialetto amatriciano: Affaccete a la fenestra, o faccia bella, / naso de neve, bocca inzuccherata, / ch’io te la vojo fà la serenata, / te la vojo sonà la ciaramella. Protagonista del nostro testo è la barca, come in quello, assai simile, dei Canti popolari toscani di Giuseppe Tigri (1856): M’affaccio alla finestra e vedo il mare – tutte le barche le vedo venire – quella dell’amor mio non vuol passare. E a Venezia si canta: Tute le barche riva, tute le barche riva – e quela del mio ben no riva mai – Tute le barche mena scarpe e sòccoli – ma quela del mio ben mena garofoli (raccolto da Manlio Dazzi, Il fiore della lirica veneziana, 1993). Di finestre che danno sul mare si è occupato anche Giovanni Pascoli, con un incipit dal sapore di stornello: M’affaccio alla finestra e vedo il mare: / vanno le stelle, tremolano l’onde … (Mare, Myricae, 1891). Volto lo sguardo in Europa, possiamo scomodare, tra le altre, le celebri scene dal balcone di Shakespeare (Romeo and Juliet) e Rostand (Cyrano de Bergérac), e anche una canzone spagnola molto nota, che fa: Quitate, niña, / de ese balcón, / porque si no te quitas, / ramo de flores, / llamaré a la justicia / que te aprisione / con las cadenas / de mis amores (Togliti cara / da quel balcone / perché se non lo fai, fiore mio, / mi appellerò alla giustizia / che t’imprigioni / con le catene / del mio amore). ‘ffàccete a la finestra, se ce sai; damme un becchieru d’acqua, se ce l’hai; se nun me lu voi dare, padrona sai … Anche questo stornello è ricordato da Giacomo Leopardi nello Zibaldone, I, 43 - 1818: Nina, una goccia d’acqua se ce l’hai: - se non me la vôi dà padrona sei. Identico contenuto, con lievi varianti, si ritrova nei Canti contadineschi osimani di Leonello Spada (manoscritto, data imprecisata a cavallo tra il XIX e il XX secolo): Nena,‘na goccia d’acqua si ce l’haj, - si nun me la vôli da’ padrona saj. Con un bel volo nella scala del tempo e dei valori, citiamo pure il saltarello monteluponese dove la richiesta del bicchiere d’acqua è singolarmente connessa, con un passaggio illogico, a un problema di denari …: Dammene FOLK un becchiè d’acqua, cara, se ce l’hai, se non me la vò dare, padrona sei, Padrona sei, olà, per in su, per ignó, per in qua, per in là. E se non pigli, non cuci né mpresti, li denari chi te li dà? Se non me la voi dare, cara Ninella, core di mamma, padrona sei (inciso dal gruppo folk “Cantina 90” di Montelupone). ‘ffàccete a la fenestra o ricciulona, dei tua capéj dammene ‘na rama, li metterò a l’urloggiu pe’ catena … La capigliatura della dama si profila come un albero chiomato. Lo stornello è ricordato dal loretano Augusto Castellani nelle sue opere: Fàccete a la finèstra, o ricciulóna, /de ssì capéj tua ne vò’ ‘na ràma. Compare anche, a conferma di una sicura diffusione nel territorio, nel saltarello monteluponese: Dei tua capelli ne vorrei na rama pe mette a l’orologio una catena; una catena, olà la rriva la bella, la mamma lo sa. E se la mamma lo coje la fila joppe la ripa la fa caminà. Pe mette a l’orologio, cara Ninella, core di mamma una catena (inciso dal gruppo folk “Cantina 90” di Montelupone). O bella che te piacene li canti, ffàccete a la fenestra che li senti: ma nun è canti i mia, ènne lamenti. Stessa versione nei Canti popolari inediti, umbri, liguri, piceni, piemontesi, latini di Oreste Marcoaldi (1855). In Druso Rondini, Canti popolari marchigiani (1975), i versi sono quattro, i primi due come nella versione portorecanatese; gli altri due: … non sentirai né toni né lampi, soltanto sentirai i miei lamenti. Mi piace di più il nostro testo. Rivolgersi all’amata chiamandola non per nome, ma con l’aggettivo bella era vezzo antico, si veda la Isplendiente / stella d’albore .., di Giacomino Pugliese (XIII sec.): … or ti rimembri, bella, la dia …; si ricordi altresì il belle amie, amor mio, comune nei poemi medievali di Thomas e Béroul (Tristan et Yseut) o di Marie de France (XII secolo), espressione importata da molti autori in Italia. ‘ffàccete dal balcone o bella bimba, per fa’ l’amore al sole cu’ la tenda ce vurebbe el mantu de Grulinda … La Grulinda di cui si evoca il manto è, secondo alcuni, Grolinda, strega nordica; va ricordato che nell’immaginario popolare il mantello delle streghe conferiva poteri magici. A me pare, però, che sia più veritiera l’ipotesi che porta su Clorinda, l’eroina della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Lo prova lo stornello toscano raccolto da Giuseppe Tigri: Facciati alla finestra o bella bimba – e per pararci il sol ci vuol la tenda – vi ci vorrebbe il manto di Clorinda. Nel libro VI, ottava 82, Tasso fa dire a Erminia, con riferimento a Clorinda: A lei non tarda i passi il lungo manto. ffaccete a la fenestra, musu neru, te credi de spusà un marinaru? Tu nu’ lu pij, lu digu daeru! Testo identico, dialetto a parte, a quello di Antonio Gianadrea nei Canti popolari marchigiani (1875). L’evocazione del marinaru è sicura opera di una ragazza marinara, che ritiene il massimo della condizione sociale sposarne uno (non un artieru oppure uno sciabbegottu); le ragazze marinare cantavano: ‘ale più un marinaru in camigiòla /ch’un artieru cu’ la giubba d’oru. ffaccete a la fenestra o musu sfrantu > (piagnucolone, frignone) del bè mia cunosce el sentimentu tu pagheme la cena ch’iu te amu tantu. Una versione molto vicina era cantata in teatro da Ettore Petrolini e nelle osterie dal sor Capanna; è riportata in Petrolini, Macchiette lazzi colmi e parodie, a cura di Giovanni Antinucci (1994). (questo articolo è un’anteprima, gentilmente concessa, del volume di Lino Palanca “Le undici di notte e l’aria oscura”, alle stampe) 53 POESIA GABRIELLA PAOLETTI, ADDIO DEL PASSATO A MERIGGIA MIA (primo premio “Festival del dialetto” VARANO 2005) U sole a matina ncò ’mmollo de mare ma porta ‘nnocente e fresca de cuna. Pe tutto u giorno a lassa fa cò je pare e.. gentilomo de sera a lassa ma luna. E’ come n’amica- n’amica… de velo che zitta e lezziera me camina vicina. Ma a lia je piace solo a luce der cielo: e no quella fenta che fa a lampadina. Saluto ‘n cristià pure lia arza u braccio. Se sto a ma piegate è preferita da Dio. Sporvero anche lia a vedi cu straccio. Se sciucca u sudore propio come fo io. QUESTI VERSI DI GABRIELLA PAOLETTI SONO SGUARDI D’AMORE ALLE PERSONE E AI LUOGHI AMATI, RIVISSUTI COL RIMPIANTO DI NON AVERNE FORSE GODUTO ABBASTANZA. TRE GIOIELLI DA INCASTONARE E CONSERVARE GELOSAMENTE, COME LO STUPENDO DISEGNO DI LUCIANA INTERLENGHI Se ccojo ‘na rosa anche lia fa lo stesso. Se ‘cchiappo e farfalle cure in allegria. Se scrivo su muro ca scheja de gesso me rpassa e parole e je dà più poesia. Se ballo cò a scopa o fo l’apparecchio se fo girotonno come ‘na bardasciòla lia me ripete tutto come fa u specchio. Cuscì trasparente e peccato non vola! . Na vo’ ho svortato e spalle a ‘n puretto. Ero stracca acida mango io so perché! Lia s’è staccata facenno ‘n zompetto e ‘ntra saccoccia je c’ha meso ‘n suché. Non è-Signore -che hi scoperto cos’è? Se te ne va dimmelo e sennò pacienza! Vordì che sarà pe sempre quello suché solo ‘n segreto fra meriggia e cuscenza! NA PUESIA A REVERSA (primo premio “Voci nostre” Ancona 2010) Su fonno du baule jò a radente ‘ntra u libbretto mia da terza c’ho ttrovato ‘na carta ‘ssorbente cò e parole sciuccate a revèrsa. 54 Era e prime frasette mia belle scritte a notte che a luna piagnìa. Era ‘lle lagreme sgrizzi de stelle e...... io ‘ncriavo cuscì ‘na puesia. POESIA Ma sarrà.....stata a dettàlla siguro quella pennazza de seta slavata che se mette u tralùme de scuro quanno smòre ‘na bella giornata. Du o tre versi de rima baciata che me sdingolava come l’onne e me portava ‘ntra l’aria ‘nfatata i stornelli de babbo ‘ntre fronne. E io ‘mbriaca de ‘lla primavera l’avìo scritta per poté dì ma Dio che ‘llu respiro sua quella sera l’avìamo ‘nteso solo a luna e io! E.... ecchete allora che me ‘rriava tutto u profumo bono du creato. E come ‘n par d’angioli slalava me parìa da sentì cioffi de fiato. Quanno ‘na pace è fatta de niente mango cu tempo potrìa jì spersa. Pprofitta pure de ‘na carta ‘ssorbente cò ‘ lla magia de parole a reversa! TE SE SURPA L’INFINITO (primo premio “Il trebbo” A Riolunato Modena 2008) (primo premio “Biagino Casci” Ostra Vetere 2008) Babbo cuccio sotta a ‘n sacco cormo de mujche d’anni caminava lento e stracco verso a fine de l’affanni. Allo’ j’ho ditto ‘ncuriosita cò putìa pruvà ‘n vecchietto che guardava arrèto a vita e ha resposto ‘n po’ fiacchetto che u campà è solo ‘na cosa: è rampinasse cò dolore soppe u gammo de ‘na rosa pe ‘rrià a ‘nnasà l’udore. Te scuppèlli te ce sgrami te ce sfrigi e u sangue scola. Preghi smoccoli odi e ami. E intanto u tempo vola. E ‘lli spi che pure picca pare solo ‘na gnuella. Dendro a pella te se ficca ma a ferita se sgancella. Nun te staccheresti mai da llu ramo de dulore. Po’ de bbotto nun ja fai! Pure Dio c’ha u crescecore a duvé dà ‘lla sbracciata pe ‘lluccatte ch’è fenita. Tu te rgiri e vedi a vita pogo più che ‘na slalata. Na gnottita de mago’ ‘na sbigiata de ‘na goccia ‘na sventata su porto’ ‘na tarpata de saccoccia. E prima anco’ che c’hi capito te se surpa l’infinito. 55 POESIA CONCORSO INTERNAZIONALE DI POESIA «CITTA’ DI PORTO RECANATI» XXIV Edizione 2013 Col Patrocinio del Comune di Porto Recanati e la Regione Marche Art. 1 – Il Poeta invierà una sola poesia a tema libero. L’organizzazione tuttavia consiglia di trattare tematiche sulla disabilità, sulla solitudine degli anziani, sui “nuovi poveri”, sugli extracomunitari, sugli eventi climatici ecc., affinché si rifletta sulla condizione esistenziale dell’uomo, ideazione che portò all’istituzione del Premio «Città di Porto Recanati» quasi 30 anni fa. Comunque sia, il tema vuole essere solo indicativo. La poesia inviata, che non dovrà superare i 35 vv potrà anche essere stata edita, ma che non abbia mai vinto il primo premio in altri concorsi. L’originale riporti: Nome e Cognome dell’autore, indirizzo e indicazione dell’email e la dichiarazione: «Dichiaro d’essere l’autore dell’opera inviata al concorso». Art. 2 - La Giuria, composta da quattro elementi, sarà resa nota il giorno della premiazione, stilerà una graduatoria di tre Vincitori dei premi in denaro e di altri meritevoli sino al 10°. La Giuria, a suo insindacabile giudizio, deciderà di premiare quei poeti che, con l’impegno culturale e la propria testimonianza di vita, hanno contribuito a superare una condizione esistenziale difficile, o rendendola addirittura fonte di ispirazione. Art. 3 – I Premi in denaro sono: 1° Classificato 500 euro, Targa o Trofeo e Pergamena. 2° Classificato 300 euro, Targa o Trofeo e Pergamena. 3° Classificato 200 euro, Targa o Trofeo e Pergamena. Art. 4 – La poesia dovrà essere spedita entro il 31 luglio 2013 (farà fede il timbro postale di spedizione) in quattro copie, per posta ordinaria al seguente indirizzo: Prof. Renato Pigliacampo C/o Concorso Internazionale di Poesia «Città di Porto Recanati», XXIV Edizione 2013 Casella Postale n. 61 - 62017 PORTO RECANATI (Macerata). Solo la copia originale riporterà i dati. La poesia potrà essere inviata anche per email a Pigliacampo a: [email protected] Il concorrente è tenuto a versare la quota d’iscrizione di 20 (venti) euro sul conto corrente postale n. 29 68 76 21 intestato a Renato Pigliacampo c/o Casisma, o tramite altra modalità a scelta del partecipante. La somma è a disposizione del monte-premi. Informazioni. La data della premiazione, che avverrà a Porto Recanati, è prevista nella seconda decade di settembre 2013. I Vincitori dei premi in denaro avranno comunicazione scritta del giorno, dell’ora e del luogo della cerimonia. Le migliori opere saranno (probabilmente) raccolte in un volumetto. Si chiede la cortesia di diffondere il Premio nei media e tra gli amici interessati. Grazie. 57 RECENSIONI A CHE COSA SERVE LEGGERE? ANCHE A CAMBIARE LA VITA Lo Specchio Libri N ascono da casi reali le storie di Leggere per Cambiare, giovane casa editrice marchigiana, non a pagamento, che pubblica libri per il progresso personale. Sono esempi di possibilità, cambiamenti, questi scritti, da usare quasi come manuali per procedere nella Vita consapevolmente, per superare i limiti di ciò che sembra prestabilito, per vincere i pregiudizi e, soprattutto, per raggiungere l’obiettivo di riconoscere le proprie potenzialità e trasformarle in azione concreta. È Anna Capurso, terapeuta-scrittrice ed editore di Leggere per Cambiare, l’ideatrice di questa nuova linea editoriale, intenzionata a rendere fruibile a quante più persone possibile la sua lunga esperienza professionale. A sancire l’efficacia di questo approccio è arrivato il III Congresso Internazionale di Medicina Biointegrata, organizzato dall’IMEB (Istituto di riferimento per questo tipo di medicina), che ha invitato la Capurso a relazionare su “La svolta innovativa della sinergia libro-rimedio naturale”. I libri di Leggere per Cambiare sono stati riconosciuti, quindi, come un supporto per il benessere di adulti e bambini, anche in associazione con le cure naturali. In particolare, le “Fiabe per guarire”, di cui sono state appena pubblicate le prime due, con il loro straordinario personaggio, l’ondina Aylin, “che aiuta i bambini”. Si tratta di fiabe allegre e divertenti che celano doni inaspettati, come quello di favorire la cooperazione tra genitori e bambini e sollevare da eventuali disagi. Tutto questo senza tensioni, con delicatezza, leggerezza e, soprattutto, col sorriso. I soggetti di Leggere per Cambiare sono anche progetti educativi - adatti per le scuole di ogni grado, comunità e associazioni di recupero - e soggetti cinematografici. Ogni libro reca un potente messaggio di guarigione in grado di attivare dolcemente risorse interiori per risolvere conflitti e disagi profondi. La Coccarda della Migliore, ad esempio, romanzo introspettivo, può aiutare a dissolvere il dolore di un passato molto doloroso; Liam, aiuta a trovare un significato anche in una vita “al limite” offrendo una possibile svolta risolutiva; Chiamami Alex dimostra come trasformare i limiti di una disabilità, come la Sindrome di Down di cui è affetto Alex, il protagonista, in successo nella vita e soprattutto autonomia e giusta integrazione nel sociale; I lovErasmus è il divertimento che accompagna un traguardo di crescita, è la leggerezza di un’esperienza indimenticabile… leggerezza che non è superficialità perché I LovErasmus è l’Amore dei vent’anni che diventa consapevolezza. E poi, la Dimensione Spirituale, con gli 58 scritti di Dino Marabini - Passaggi e I due dell’Oltre, dove il fondatore della Lega del Filo d’Oro, tramite le sue personali esperienze, conduce, con semplicità, nel mondo della Vita oltre la morte e verso un nuovo riconoscimento delle proprie credenze. Per arrivare alla mascotte di Leggere per Cambiare, il libro con cui la Capurso ha inaugurato la sua Leggere per Cambiare, Ali nel Cielo, una raccolta di liriche e meditazioni, un libro spirituale ma non religioso perché ogni lettore, qualsiasi sia il nome della sua Fede, riconosca nelle parole il messaggio più vibrante per gioire attraverso la sua Anima e realizzare “la Via del Cuore”. Nel sito della Casa Editrice www.leggerepercambiare.com i dettagli di ogni Opera, le proposte culturali, i progetti, gli appuntamenti e, soprattutto, fresche di stampa, le avventure di Aylin e dei i suoi fantastici personaggi. RECENSIONI CAPOLAVORI APPENA DIETRO L’ANGOLO. CHI SE NE È ACCORTO? di Vincenzo Oliveri L ’edizione 2013 del Salone Internazionale del Libro di Torino dello scorso maggio è stata l’occasione per presentare al pubblico il volume “Il Polittico di Lorenzo Lotto a Recanati”, curato da Vittoria Garibaldi, Marta Paraventi e Giovanni Carlo Federico Villa, edito da Antiga Edizioni. Si tratta di una pubblicazione che cronologicamente costituisce l’ultima tappa del progetto “Terre di Lotto”, che negli scorsi due anni ha ottenuto il coinvolgimento di numerosi enti e istituzioni, a iniziare dalla Soprintendenza per i Beni artistici e storici delle Marche e della Regione, tutti impegnati in un ampio programma di attività finalizzato alla tutela, al restauro e alla valorizzazione della produzione artistica riferita a Lorenzo Lotto. Il volume concentra la sua attenzione sugli interventi per il restauro del Polittico di San Domenico e della Trasfigurazione di Cristo, opere entrambe custodite a Recanati. E’ possibile così conoscere nel dettaglio le tecniche impiegate dai restauratori per restituire tutta l’originalità dei dipinti, portandone alla luce non solo gli esatti contorni e le sfumature, ma pure le innumerevoli particolarità legate ai procedimenti di realizzazione e ai materiali usati da Lorenzo Lotto. Non meno rilevanti i risultati delle indagini riguardanti i precedenti restauri, così come gli effetti provocati dalle non sempre adeguate condizioni di conservazione delle opere. Accanto a queste pagine, ricche di informazioni anche sulle tecnologie impiegate per lo studio delle caratteristiche dei due dipinti, il volume di Garibaldi, Paraventi e Villa ripercorre le principali vicende storiche su Lorenzo Lotto (vedi la richiesta, nel 1506, dei domenicani di Recanati di un contributo da parte del Consiglio dei Priori per un dipinto da destinare all’altare maggiore della loro chiesa), cui si unisce un appassionato ricordo di Pietro Zampetti, certamente il più importante studioso dell’arte nelle Marche e in particolare delle opere dell’artista veneziano. In questa maniera “Il Polittico di Lorenzo Lotto a Recanati” allarga la propria platea, come sottolinea Pietro Marcolini, assessore ai Beni e alle attività culturali della Regione Marche, a “tutti coloro che credono nel coordinamento e integrazione delle attività dello Stato, delle Regioni, dei Comuni e nei grandi eventi non effimeri e fini a se stessi, ma con ricadute permanenti sul territorio”. Gli stessi che non possono mancare una visita al Museo civico Villa Colloredo Mels di Recanati per ammirare i capolavori di Lorenzo Lotto e non solo. V. Garibaldi, M. Paraventi e G.C.F. Villa Il polittico di Lorenzo Lotto a Recanati Crocetta del Montello (TV), Antiga Edizioni, 2013 pp. 163, s.p.i. 59 RECENSIONI NIHIL URBE ROMA VISERE MAIUS … * di Anna Maria Ragaini Con il suo secondo romanzo, edito da Controvento Editrice, Fiorenzo Bordi si ripropone ai lettori con temi a lui cari e che prendono in considerazione la storia del territorio in cui vive. Lo scrittore, che risiede a Montecassiano, si è già cimentato con il suo libro di esordio, Il Segreto di Melissa, (Ediz. Controvento Editrice), in una storia ambientata nella provincia maceratese che prende le mosse dagli anni della seconda guerra mondiale. Questa volta, però, la conoscenza e lo studio che egli ha approfondito dei luoghi che descrive ci riportano ad un’epoca lontana e ci immergono in un periodo storico in cui la vita e gli ambienti nei quali essa si svolgeva erano molto diversi da oggi. Tutto è cambiato: la struttura e l’organizzazione sociale, i costumi e le abitudini della gente, la cultura e i punti di riferimento, la sistemazione logistica e ogni altra cosa cui possiamo rivolgere il nostro pensiero. 60 Basterà riflettere sulle difficoltà dei collegamenti e sull’assenza di una viabilità idonea a favorirli e non soltanto perché di fatto esistevano ben poche e scomode strade, ma anche a causa dei rischi che si correvano a percorrerle. Non era solo un problema legato a fenomeni di brigantaggio, ma anche al fatto che nella nostra regione vi erano diverse popolazioni locali, spesso in conflitto tra loro, come i Piceni e gli Umbri (che occupavano un territorio ben più esteso dell’attuale Umbria), ed anche provenienti da altre aree geografiche, come i Galli Senoni e i Romani, che si erano stabilmente insediati sul territorio. A questi si aggiungano coloro che vi transitavano, con desideri di conquista o anche soltanto perché di passaggio, come avviene nel romanzo di Bordi, che descrive i movimenti degli eserciti cartaginesi, il cui scopo è la conquista di Roma. Diverse, dunque, le culture che si incontrano e, se proprio vogliamo cogliere un elemento comune a tutte queste genti, lo potremmo forse trovare soltanto nell’arte della guerra, che costituiva indubbiamente un elemento ineludibile per tutte e che obbligava ogni popolazione, pena la propria sopravvivenza, ad adottare regole e discipline tese a Alfio Cassio, centurione dell’esercito romano in una piccola guarnigione delle terre picene, conduce la sua personale caccia ad Annibale, il condottiero cartaginese sceso dalle Alpi per conquistare Roma. Lo fa dopo la disfatta del Trasimeno, cui è scampato grazie a un vecchio soldato che lo ha raccolto ferito sulle rive del lago. E’ lì che però ha perso la memoria. Il suo passato sembra cancellato, scomparso, inghiottito dalla nebbia che in quella tragica battaglia è stata complice dei cartaginesi. Nei suoi ricordi emerge soltanto un nome: Annibale. Giorno dopo giorno, alla guida degli ausiliari che combattono a fianco dei romani, Alfio Cassio ritorna a far luce sul buio della mente, fino a quando il destino non lo vorrà protagonista sconosciuto di un altro appuntamento decisivo per lui e per la sua gente, questa volta sulle sponde del Metauro. Sarà la battaglia che in maniera inaspettata metterà fine alla caccia, per farlo risorgere a un’altra vita fatta di libertà. Fiorenzo Bordi nasce il 18 giugno 1960 a Montecassiano (Macerata), dove attualmente risiede. Scrivere e cantare sono passioni da sempre presenti nella sua vita. Suona come chitarrista in vari gruppi musicali, esibendosi in balere e piazze, per poi esprimere stabilmente la sua passione in ambienti cattolici, da cui prenderanno forma alcune opere musicali sulle figure di santi e beati, quali San Leopardo e Papa Giovanni XXIII. Con Controvento Editrice ha già pubblicato “Il Segreto di Melissa” (2012), suo romanzo di esordio. € 15,00 formare dei buoni eserciti, fatti di soldati forti e sprezzanti del pericolo. Tornando a parlare del romanzo di Fiorenzo Bordi ci accorgiamo, però, che ciò che egli ha a cuore di raccontare, e che certamente non riguarda le popolazioni di passaggio, è l’attaccamento al proprio territorio, alla propria storia e alle proprie radici, valori che si esprimono in modo esemplare attraverso le vicissitudini del protagonista principale. Recine è il più importante riferimento territoriale della vicenda. Si tratta di un antico insediamento romano, risalente proprio al periodo della seconda guerra punica, sorto verosimilmente proprio per soddisfare l’esigenza di offrire un compenso ai veterani della guerra, che Fiorenzo Bordi L ’orgoglio di Roma, dominatrice e madre di popoli, e dei suoi figli, che hanno respinto Annibale, e mille altri pericoli, in un racconto avvincente in cui i protagonisti veri sono l’amore per il proprio territorio e le proprie radici.. Fiorenzo Bordi RECENSIONI avevano contribuito ai trionfi di Roma, ai quali venivano offerti beni e terra. Ma nel caso di Recine, a differenza che in altri, l’insediamento era certamente preesistente ed era costituito da una cittadina, probabilmente abitata dai Piceni, già divenuto municipio sotto la Roma repubblicana e di notevole interesse strategico, stante la sua posizione che lo vedeva al centro di un crocevia tra importanti vie di comunicazione. Di essa sentiamo parlare per la prima volta da Plinio il Vecchio, nel primo secolo dopo Cristo. Le notizie sulla sua origine recano qualche incertezza sul nome che, quando era già municipio romano sembra essere stato Ricina o Recina, prima ancora di diventare Helvia Recina Pertinax, nome attribuitole definitivamente dal console Settimio Severo, in onore del suo predecessore Publio Elvio Pertinace, quando nell’anno 205 d.C. le venne riconosciuto il rango di colonia romana. All’autore del romanzo piace supporre che il nome datole dai Romani non si discostasse troppo da quello che egli immagina, quando ancora la cittadina era picena e indipendente da Roma: Recine. E da qui il titolo del romanzo. Si tratta di una vicenda dove le notizie storicamente accertate si intersecano con quelle che sono frutto della fantasia e della creatività dell’autore, attraverso il racconto delle vicissitudini di coloro che, ancorché sconosciuti, sono gli autentici protagonisti della storia. La trama prende le mosse dalle peripezie di un centurione scampato alla terribile disfatta che, nell’anno 217 a.C., i romani subirono sul Trasimeno. Il protagonista ebbe a pagare un duro prezzo in quella battaglia, che gli costò anche la perdita della memoria. Soltanto dopo un certo tempo egli vedrà a poco a poco riaffiorare dal suo passato ciò che lo porterà ad un desiderio di rivincita per se stesso, ma anche per tutti i valorosi soldati morti sul Trasimeno. Tutto questo lo condurrà sulle tracce di Annibale, fino ad un epilogo inaspettato, che darà un senso alla sua ricerca e placherà per sempre il suo desiderio di vendetta. Un racconto avvincente, che si dipana quasi fosse la cronaca descritta e vissuta nello stesso momento in cui avvengono i fatti, in un intreccio tanto più verosimile quanto più si fonde con le vicende consacrate dalla manualistica. Operazione non certamente facile, che richiede la capacità di muoversi agilmente attraverso un pe- riodo storico per il quale non esistono resoconti come quelli cui siamo abituati oggi e sul quale, ora come mai in passato, influiscono ricostruzioni hollywoodiane. Un racconto che contribuisce alla riscoperta di luoghi, di itinerari e di città in tanti casi cancellati dal tempo, come sicuramente è avvenuto per Recine, almeno per la Recine nella quale sono ambientate le vicende del romanzo. Sul posto, tuttavia, a Villa Potenza di Macerata, è ben visibile ciò che resta dell’antico teatro romano e delle terme, tanto da dare bene l’idea che Helvia Recina Pertinax, fosse una cittadina tutt’altro che secondaria, affacciata com’era sulle rive di un fiume, il Flosis (oggi Potenza) all’epoca navigabile. Tale fatto rende infatti evidente come il centro, fin dall’antichità, abbia potuto assurgere a grande importanza, permettendo di favorire i traffici, i commerci e - cosa un tempo certamente non secondaria - i passaggi di truppe militari. Purtroppo oggi resta ancora molto da scoprire del sito archeologico, i cui scavi non sono mai stati completati e che da molti anni sembra che stia soltanto lì, invano ad aspettare che qualcuno si accorga di come sia ingiusto possedere un patrimonio tanto ricco di arte e di storia, che, se giustamente valorizzato, potrebbe dare tanto al territorio, anche in termini di ritorno turistico ed economico. E’ davvero triste vedere la fila continua di automobilisti, frettolosi e distratti, passare accanto a tanta bellezza e a tanta storia, senza quasi curarsene. * Nulla tu possa vedere più grande di Roma … (Orazio, Carmen saeculare) Fiorenzo Bordi Recine Loreto, Controvento Editrice, 2013 pp. 212, euro 15 61 SPORT ARANCIONI, LEGGENDA CHE NON TRAMONTA di Gianluca Guastaferro - foto Società Sportiva Portorecanati UNA SOCIETÀ CHE NELLA SUA LUNGA STORIA HA ABITUATO I PORTOLOTTI ALLE SORPRESE. PARTITA CON L’IDEA DI FARE UN TRANQUILLO CAMPIONATO DI PROMOZIONE, SI TROVA ORA PROMOSSA IN ECCELLENZA. MA NESSUNO SE NE MERAVIGLI: È IL POSTO CHE SPETTA AGLI ARANCIONI. DA SEMPRE. Una formazione arancione del 1969 - foto S.S. Portorecanati L a stagione agonistica 2012/2013 lascerà una traccia indelebile negli annali della Società Sportiva Portorecanati. Il team presieduto da Fausto Pigini ha infatti centrato due obiettivi difficilmente prevedibili alla vigilia: la conquista della Coppa Marche riservata alle squadre che disputano il campionato di promozione e, soprattutto, il ritorno nell’élite del calcio marchigiano, in parole povere, il ritorno nel campionato di eccellenza. Era la stagione agonistica 1980/’81 quando la squadre arancione lasciava il campionato di promozione regionale, allora non c’era il campionato di eccellenza, per finire in una sorta di torpore dal quale ci si è risvegliati nella 62 stagione agonistica 2005/2006, quando la squadra guidata in panchina da Claudio Giri, portorecanatese doc, vinse il campionato di seconda categoria e si cominciarono a gettare le basi per una risalita verso il calcio che conta. In questi anni infatti si è assistito non solo a campionati vinti, come quello di prima categoria nell’annata 2009/2010 concluso con numeri che ancora resistono nel guiness dei primati, ma anche a promozioni mancate per un soffio e comunque sempre nel ruolo di protagonisti. Tutto potevamo pensare meno che la stagione attuale potesse regalarci delle soddisfazioni così belle, che a raccontarle sembra quasi di leggere un libro di fantascienza. SPORT La festa arancione Dopo che il presidentissimo Maresca, fondamentale il suo ruolo nel ritorno al campionato di promozione tre anni or sono, lasciò la poltrona di presidente a Fausto Pigini, fino ad allora responsabile del settore giovanile, rimanendo comunque nella famiglia arancione in qualità di presidente onorario, si decise, data anche la congiuntura economica poco favorevole, di costruire una squadra con l’obiettivo prioritario di favorire il progressivo inserimento dei giovani del vivaio, cercando di ricoprire con giocatori esperti, ma non troppo, quei ruoli che risultavano scoperti. Ciò allo scopo di conseguire una salvezza tranquilla e di valorizzare i giovani che, comunque, negli anni scorsi non hanno mancato di dare grandi soddisfazioni. Ci riferiamo in particolare a Davide Mordini e Dani Ficola, classe ’96 e ’97, che hanno spiccato il volo verso il Cesena e l’Atalanta. Praticamente smembrata la squadra dello scorso anno, sono arrivati Fabio Palmieri, portiere classe ’92, il difensore Mattia Giovagnoli, classe 1990, il laterale difensivo Stefano Cento, classe 1984. E poi i graditi ritorni di giocatori cresciuti nel vivaio arancione come Andrea Maruzzella (’91) e Davide Guzzini (’89), nonché di Roberto Caporaletti e Marco Pantone, che a termine della stagione è risultato capocannoniere con 24 reti. Intorno a loro un manipolo di ragazzi di età compresa tra i 17 e i 20 anni, guidati in campo da Emanuele Gasparini, il fantasista della squadra nonché capitano che per la personalità espressa in campo possiamo senz’altro definire di lungo corso. A guidare dalla panchina questo manipolo di giovani è stato chiamato un altro giovane, Matteo Possanzini, trentenne, cui già l’anno scorso era stata affidata la guida tecnica della squadra dopo l’esonero di Cantatore prima e di Morra poi. Il presidente Pigini, visti gli obiettivi della società, decideva di rinnovare la fiducia al giovane tecnico lauretano, che ben conosceva fin da quando era alle sue dipendenze nel settore giovanile. Ad affiancare il giovane mister, in qualità di preparatore atletico, viene promosso il coetaneo Cristian Durastanti, in forza tra i giocatori la scorsa stagione e già responsabile delle squadre giovanili. Subito ad avvio di campionato ci si accorge che il Porto non reciterà un ruolo secondario. La prima partita si disputa infatti a Falerone, contro una squadra che punta decisamente al salto di categoria, composta da giocatori esperti provenienti da serie superiori. La partita si conclude con un pareggio ma l’ottimo primo tempo disputato fa pensare che questo manipolo di giovani sarà in grado di farci sognare. Passo dopo passo, il gioco espresso dai ragazzi di Possanzini, fatto di tocchi di prima e giocate sulle fasce, comincia a dare i suoi frutti tanto che gli arancioni riescono a mantenere la testa della classifica per diverse settimane. Ma trattasi sempre di una squadra la cui età media è di vent’anni e pertanto l’ingenuità tipica dell’età può portare a sorprese spiacevoli. Comunque si riesce a concludere il girone d’andata in zona playoff e a proseguire il cammino nella Coppa Marche. Nel girone di ritorno la freschezza atletica e l’assimilazione degli schemi, rivolti ad un gioco spiccatamente offensivo e spettacolare, fanno del Portorecanati la squadra rilevazione, con una serie di risultati positivi tale da riportarsi sulla scia della capolista Montegiorgio, poi vincitrice del campionato, l’unica a fare bottino pieno contro gli arancioni. Nel frattempo si vince la Coppa Marche battendo con un perentorio 4-0 la Falconarese con una presta63 SPORT zione che fa spellare le mani il pubblico accorso. Lo scontro diretto Portorecanati-Montegiorgio trova le due squadre distanziate di quattro punti, complice anche la precedente partita contro la Vis Macerata, dove alcune decisioni arbitrali quantomeno discutibili, negano ai nostri ragazzi una vittoria che in quel momento sarebbe stata preziosa. Il Montegiorgio esce vittorioso per due reti a zero, ma gli arancioni non demeritano e subiscono le due reti in azione di contropiede. Al termine della stagione regolare, gli arancioni si piazzano secondi a pari merito con la Folgore Falerone ma il vantaggio negli scontri diretti regala agli uomini di Possanzini la posizione migliore ed evita loro lo spareggio con la quinta classificata in quanto distanziata di dieci punti, mentre il Falerone dovrà incontrare il Trodica, compagine partita con grosse ambizioni, in una partita secca da disputare in casa dei fermani vista la migliore posizione di classifica di questi ultimi. Lo scontro diretto vede prevalere gli ospiti che acquisiscono il diritto a disputare la finale con i nostri al “Monaldi”. Gli arancioni hanno a disposizione due risultati su tre. Infatti se al termine degli eventuali supplementari dovesse prevalere il segno “ics” sarà il Portorecanati ad essere premiato per la migliore posizione di classifica. Ma mr. Possanzini non è un “catenacciaro” e dichiara alla vigilia che la sua squadra giocherà comunque per vincere. Il giorno della finale, precisamente il 19 maggio, sarà una data che gli sportivi di casa nostra non dimenticheranno mai. Già un’ora prima della gara il “Monaldi” presenta un colpo d’occhio favoloso, praticamente gremito in ogni ordine di posto. La partita inizia bene per il Porto, che si porta in vantaggio con un colpo di testa del giovane Papa, classe ‘95, prodotto del vivaio arancione. Ma a ricondurci alla realtà ci pensa il centrocampista ospite Contigiani, che con un magistrale calcio di punizione beffa l’estremo arancione Giaccaglia, chiamato a sostituire l’infortunato Palmieri. Il pareggio non demoralizza i giovani arancioni di nuovo in vantaggio dopo sei minuti con Cento, abile a sfruttare un cross dalla destra di Caporaletti. La ripresa si apre con gli ospiti che si riversano in attacco e raccolgono il premio del loro sforzo al 14’ con Iommi, in gol di testa, su corner. La rete subita ha l’effetto del morso di una tarantola per il Portorecanati, che ricomincia a produrre gioco e a creare occasioni non concretizzate per la bravura dell’estremo ospite, grande nel ribattere tre tiri ravvicinati, e pure per sfortuna quando il palo dice no ad una conclusione di Pantone. Si va ai supplementari e sale subito un brivido lungo la schiena dei tifosi locali quando un giocatore ospite si trova solo davanti a Giaccaglia pronto, però, a respingere di piede. Il gol del vantaggio arancione arriva pochi minuti più tardi con Cento, che deposita in rete una respinta del palo su punizione di Tartufoli. Il Trodica accusa il colpo e la stanchezza si fa sentire da entrambe le parti. Dopo pochi minuti del secondo tempo supplementare arriva il sigillo dei locali con Caporaletti a seguito di una ripartenza. E’ l’apoteosi. Inizia una festa non programmata e quindi ancora più bella. I giocatori vanno sotto la tribuna a ricevere i meritati applausi. Siamo tornati nell’élite del calcio regionale, con pieno merito grazie ad una programmazione societaria lungimirante e grazie ad un tecnico che è stato definito “Stramaccioni dei dilettanti”, capace di produrre, a detta degli esperti, il miglior calcio del campionato. Siamo pronti a scommettere, che di lui, in un futuro non molto lontano, sentiremo molto parlare. Una testimonianza di amore per gli arancioni, vecchia di quasi mezzo secolo. Ci viene dal giornalista Reolo Rapaccini, cantore tra i massimi delle glorie sportive del Porto Recanati. 64 SPORT LE MEMORIE NEL PETTO RACCENDI … * A lla notizia della vittoria contro il Trodica, un pensiero ha attraversato la mente di chi ha lungo studio e grande amore della storia arancione: i nostri sono tornati a casa, là dove compete loro di stare per rango e blasone, tradizione e storia. Sono passati più di trent’anni di dignitosa militanza e anche di successi trionfali nei campionati inferiori; ora la lunga marcia si è conclusa sotto il traguardo dell’eccellenza, territorio dov’è più consono vivere agli eredi di una lunga avventura di fasti calcistici e di un patrimonio sportivo di eccezione. Sorriderà, lassù, Vincenzo Monaldi, che di quel patrimonio è stato il primo tesoriere; sorrideranno con lui, e con noi, Luciano Panetti e Beniamino Di Giacomo, Stelvio Attili e Luigi Boccolini e tutti gli altri, tanti, che hanno portato con loro cuore e passione arancione fin nelle categorie più alte del calcio nazionale. La storia della società calcio del Porto si avvia ad essere centenaria. Fondata nel 1919 grazie agli Scarfiotti, si è rapidamente imposta come vivace e prestigiosa realtà in campo regionale. Uno dei gioielli preziosi incasto- nati nel nostro diadema di successi è la partecipazione a tre campionati di serie C, dal 1945 al 1948. Un paesino di cinquemila abitanti che disputava pallone su pallone a squadroni come Perugia, Ancona, Ascoli, Macerata, Ravenna, Pesaro giungendo addirittura secondo nel ’45-’46. E che creava, venti anni dopo, i miracoli della serie D (dal ’66 al ’68) e anche dell’Adriatica Calcio, juniores tricolorata nel 1964. Cinquemila abitanti. E un oratorio salesiano dotato di un campetto da sette contro sette, prima scuola di calcio della lunga serie di campioni che hanno fatto di quest’angolo di Adriatico una culla di giganti del pallone. I ragazzi, i tecnici e i dirigenti che oggi hanno onorato il nome della Società Sportiva Portorecanati sono tutti meritevoli della nostra ammirazione e stima. E riconoscenza, per averci restituito un orgoglio da tempo vela- to dal rimpianto, superati come eravamo stati, e di quanto!, da realtà regionali delle quali non avevamo tenuto il passo dopo esserne stati raggiunti. Una volta, con una discreta dote di guasconaggine, da noi si diceva che in certi paesi senza la nostra tradizione sportiva potevamo andare a vincere anche usando solo la gamba sinistra. Non era vero, naturalmente, ma faceva parte di una consapevolezza di sé che non era solo presunzione. Oggi, per mantenere il livello riagguantato, occorrerà guardarsi meno allo specchio, far passare prima possibile l’ubriacatura di entusiasmo dovuta alla bella impresa compiuta e condurre con tenacia e umiltà la nave arancione su rotte sicure, lontane da presure e scogli. Il Direttore * (già pubblicato, con leggere varianti, ne “Il Resto del Carlino” del 25 maggio 2013, a firma Lino Palanca) 65 LO SPECCHIO www.associazionelospecchio.it [email protected] 20 13 16-17-18-19 AGOSTO VENERDI’ 16 AGOSTO GIARDINI Diaz ORE 18,30 LA VOCE DEL TERRITORIO ORE 21,30 NOTTURNO ITALIANO INGRESSO GRATUITO COMUNE DI PORTO RECANATI A SEGUIRE CABARET VOLTAIRE SABATO 17 AGOSTO via Mariano Guzzini, 38 62019 RECANATI (MC) tel. 071.7578017 - fax 071.7578021 [email protected] www.grafichebieffe.it ORE 18,30 LA NOSTRA TERRA ORE 21,30 GIANNI GIUDICI IN CONCERTO A SEGUIRE CABARET VOLTAIRE DOMENICA 18 AGOSTO ORE 18,30 101 STORIE DELLE MARCHE CHE NON TI HANNO MAI RACCONTATO ORE 21,30 “HAVONA FEAT. GIANNI GIUDICI” A SEGUIRE CABARET VOLTAIRE NO JAZZ DISCO // NO WAVE // POST-PUNK // MUTANT DISCO // JAZZCORE // LIVE SET CON IL DJ SMEGMA LUNEDI’ 19 AGOSTO ORE 18,30 MARCHENOIR ORE 21,30 TANGO - CON IL DUO FELICIOLI - RIGANELLI A SEGUIRE CABARET VOLTAIRE NOISE PARTY PERFORMANCE PER INFORMAZIONI segreteria organizzativa eventi: [email protected] www.associazionelospecchio.it ATTIVITA’ LO SPECCHIO LA MUSICA SENZA ETÀ ALLO SPECCHIO MAGAZINE FESTIVAL 2013 di Vanni Semplici N foto: www.webdolomiti.net el proprio percorso di valorizzazione delle varie anime della cultura musicale, il festival dedica la sua programmazione a quella musica popolare che, per l’immaginario collettivo è uno fra i tratti identitari della scena musicale degli ultimi anni, il pop. In questo immaginifico percorso batte il ‘cuore alchemico e popolare’ del festival che, per esprimersi, recupera ancora una volta uno spazio che abbiamo valorizzato in questi anni: i Giardini Diaz. È una sorta di oasi ricavata nel cuore della città, in cui gli umori della musica d’autore e la qualità delle proposte si fonderanno con la voglia più che mai viva di ritrovare sonorità dimenticate o accantonate e tornare a farle proprie. L’idea è di riproporre il meglio della canzone d’autore e della musica pop, senza ideologie filologiche, per come è vissuta ancora oggi nei ricordi musicali senza età; e anche di sottoporla a una rilettura che consenta di riviverla con un approccio rinnovato. È stata quindi ideata così la scena del festival, in cui la musica “popolare” delle origini si fa cangiante e assumerà volta per volta i colori del jazz e della musica popolare italiana. Un programma che va dalla musica italiana alle serate dal possente portamento ritmico del groove con le mitiche sonorità dell’Hammond e il volo del puro jazz fusion. Questo mentre i ballabili del ‘re del tango’, Astor Piazzolla, saranno al centro dell’ultima serata in cui il jazz incontrerà quella popolare argentina. Un classico giro di Tango secondo a nessuno. 67 ATTIVITA’ LO SPECCHIO La ‘Sound machine’ dello Specchio Magazine Festival proporrà 4 eventi serali Si parte il 16 agosto (alle 21.30) con il Notturno Italiano, per la gioia degli appassionati, dei collezionisti e dei ‘predatori delle canzoni perdute’, con la voce di Bianca Maria Semplici ad introdurre il notturno e proseguire con la voce senza tempo di Andrea Quarti accompagnato dal suo gruppo “Piedi scalzi in quarti”, per scoprire rarità, inediti, copie uniche, ritrovamenti recuperati dai nostri fondi in via di catalogazione, il tutto restaurato nel laboratorio del sound jazz. A seguire, due concerti che si muovono sul terreno delle sonorità ritrovate. Ecco allora arrivare il 17 agosto (alle ore 21,30) il mitico hammond di Gianni Giudici, considerato uno dei migliori organisti Jazz europei in duo con Enzo Cesari. Giudici negli ultimi anni ha suonato e/o registrato con artisti del calibro di: Al Grey, Eddie Davis, Bobby Watson, Benny Baileys, Tony Scott, Valery Ponomarev, Ingrid Jensen, Chet Baker,per elencarne alcuni e tutti i migliori musicisti Jazz Italiani, fra i quali i prestigiosi “Swing Maniacs” del grande M° Renzo Arbore e gli indimenticabili Hengel Gualdi, con cui si è esibito in vari concerti per pianoforte e clarinetto su composizioni originali scritte da entrambi appositamente per il loro duo. Domenica 18 (alle ore 21,30) l’universo musicale degli Havona ammanterà di sixties-seventies il turgido suono della band. Consapevoli della lezione del gruppo capitanato da Joe Zawinul, attraggono anche le onde sonore di maestri del groove funk come Marcus Miller, Sly Stone, George Clinton, tessendo una rete di assoli sempre ben amalgamati nel tessuto musicale, mai fini a sé stessi, dando prova di un’ottima conoscenza della tradizione afroamericana. Un progetto fresco, ben strutturato e garbatamente originale. Serata finale per il ballo straordinariamente popolare anche in terra di marca il tango che vedrà protagonista sul palco dei giardini, che per l’occasione si trasformerà in milonga, il duo Riganelli Felicioli lunedì 19 agosto, ore 21.30. foto: havona 68 ATTIVITA’ LO SPECCHIO Cabaret Voltaire Ma l’anima del festival ha anche un lato oscuro da scoprire oltre i confini del sentire comune, e si pone l’ambiziosa scommessa di fare proposte esaltando tutto ciò che è irrazionale e perfino privo di senso; frantumare i concetti tradizionali di cultura, di morale e di logica comune, provocando scandalo e allora abbiamo riaperto il mitico Cabaret Voltaire. Negli “aftershow” video musica foto e live set proseguiranno la programmazione fino a notte fonda. Appuntamenti live Il 18 agosto a fine concerto un te e ammiccante del jazz per live set con il DJ Smegma con: approdare in tutt’altro genere di porto. Sarà per il pubblico NO JAZZ DISCO un’occasione per ascoltare geNO WAVE neri poco o per nulla conoPOST-PUNK sciuti, oppure per ritrovare una MUTANT DISCO gemma perduta. il tutto sempre JAZZCORE in equilibrio tra coerenza filoloDj Smegma è il nome da batta- gica e pura follia. glia dell’ecclettico Vanni Fabbri. musicista, dj, promoter, il suo nome è di norma associato alle forme d’arte più estreme e borderline, comunque raramente concilianti, ciò nonostante è in grado di districarsi anche in contesti più pop e meno disturbanti (Artika Festival, Mukkake Agency). I suoi dj set sono spesso frutto di maniacali ricerche e possono drasticamente variare in base ai contesti in cui viene collocato. Per il cabaret Voltaire, salperà dal porto concilian- Il 19 agosto NOISE PARTY. Viaggio nell’anima inquieta degli anni 80 celebrando il trentennale della formazione dei NOISE PARTY. Sarà l’occasione per rileggere il profondo malessere di un artista scomparso tanti anni fa, Ian Curtis, diventato mito insieme al suo gruppo, i Joy Division. foto: Vanni Fabbri 69 ATTIVITA’ LO SPECCHIO ALLA SCOPERTA DELLE MARCHE INSOLITE CON GLI APERITIVI DELLO SPECCHIO MAGAZINE FESTIVAL di Luca Pantanetti S arà il “locale” il tema portante dell’edizione 2013 dello Specchio Magazine Festival. Locale come scoperta delle ricchezze del territorio, delle sue storie nascoste, delle sue peculiarità culturali e paesaggistiche, che possono trasformarsi in occasioni di crescita per chi lo abita quotidianamente, e elementi di fascino per i turisti che lo visitano. Il Festival offrirà – come già negli anni precedenti – aperitivi letterari alle ore 18:30 presso il cortile della ex-scuola Diaz a Porto Recanati (C.so Matteotti), organizzati in collaborazione con l’agenzia di consulenze editoriali Scriptorama. Saranno protagonisti autori che il territorio l’hanno vissuto e raccontato. Si inizia il 16 agosto insieme alla redazione de Lo Specchio Magazine, per “Uscire dall’ombra del proprio campanile, condividere le esperienze di chi promuove cultura nel nostro territorio. Non solo un’opportunità, ma un dovere”, un incontro-dibattito per presentare il traguardo dei primi due anni di attività della rivista e riflettere sulla sua capacità di raccontare l’attualità. Ma l’incontro sarà soprattutto occasione per offrire nuovi spunti di conversazione e confronto sulle prospettive e sul futuro di questo territorio, in particolare per i suoi operatori culturali. Il 17 agosto gli autori presentano l’antologia “La nostra terra”, un volume di racconti e poesie, 70 nato dal premio letterario omonimo indetto in memoria del reporter Mauro Montali, dall’agenzia Scriptorama e dalla redazione del giornale online Cronache Maceratesi. Quindici opere di altrettanti autori portano alla luce l’humus dell’identità della provincia attraverso storie e testimonianze. Il 18 agosto saranno protagonisti Marina Minelli e il suo “101 Storie delle Marche che non ti hanno mai raccontato”. La Minelli, giornalista, blogger e scrittrice, ha composto per la casa editrice Newton Compton una guida storico-turistica sulle insospettabili e insolite vicende nascoste nella regione. Un viaggio attraverso luoghi, personaggi, date che hanno segnato il territorio, spesso in maniera sotterranea e timida, e che tuttavia hanno lasciato un segno indelebile nell’identità marchigiana. Il 19 agosto prosegue la caccia ai misteri marchigiani con gli autori del collettivo Carboneria Letteraria e il volume antologico “MarcheNoir”. Tra delitti e denuncia sociale, si snodano le storie che portano alla luce il lato nascosto della regione e ciò che si cela sotto il “mito” del territorio dalle belle colline lambite dal mare e dell’operosità e industriosità dei suoi abitanti. Racconti che diventano specchio del reale, della cronaca e della quotidianità, ma anche voci dei dimenticati e degli invisibili che sopravvivono ai margini del benessere. ATTIVITA’ LO SPECCHIO “DONNE ALLO SPECCHIO” IL NOSTRO CONCORSO di Aurora Foglia PER TUTTI QUESTI SECOLI LE DONNE HANNO SVOLTO LA FUNZIONE DI SPECCHI, DOTATI DELLA MAGICA E DELIZIOSA PROPRIETÀ DI RIFLETTERE LA FIGURA DELL’UOMO A GRANDEZZA DOPPIA DEL NATURALE. (Virginia Woolf, “Una stanza tutta per sé”, 1929) Silvia Grungo, Treviso, BG - Come sono e come mi vedo G iunto alla seconda edizione, il concorso fotografico organizzato dalla rivista Lo Specchio Magazine sposta il focus dalle colline marchigiane, protagoniste dello scorso, fortunato evento, a ben altro soggetto. Assolute protagoniste sono le donne, raccontate con uno strumento di comunicazione tanto diretto ed immediato quanto efficace e profondo. La scelta del tema da parte della redazione de Lo Specchio è tutt’altro che legata alla classicità del soggetto, bensì vincolata al riflesso dei tempi, in un momento in cui è impossibile, per chi fa comunicazione, non raccontare storie pressoché quotidiane di quell’odioso fenomeno che è l’omicidio di genere. Daniele Pasinetti, Scanzorosciate, BG - Doll woman 71 ATTIVITA’ LO SPECCHIO La giuria, composta da Aurora Foglia per la redazione de Lo Specchio Magazine, e da Antonio Baleani e Franco Cingolani per il Fotocine Club di Recanati, ha attentamente esaminato gli scatti, pervenuti da ogni parte d’Italia, decretando i tre più meritevoli e i sette degni di segnalazione. Vincitori: 1 Federica De Stefani, Alessandria 2 Silvia Grungo, Treviso 3 Daniele Pasinetti, Scanzorosciate, BG Amarti di Carla Murdeo Pensando a te di Elena Bellito Woman’s body di Marco Frontalini 72 Menzionati: Elena Bellito, Milano Marco Frontalini, Osimo, AN Corinna Garuffi, Bologna Sara Imbes, Fano, PU Dan Masa, Roma Carla Murdeo, Rita Santanatoglia, Loreto, AN Fragili come crisalidi o forti come rocce, a tinte forti o in sfumature di grigio, di carne lattea o di solo fumo, le Donne allo Specchio sono state ritratte da numerosi fotografi amatoriali, con innumerevoli punti di vista, così come innumerevoli sono le sfaccettature della figura femminile. Al pubblico la possibilità di stabilire se tale molteplicità è frutto di condizionamenti della società odierna, o se è semplicemente insita della natura della donna. Identità scomposte di Corinna Garufi LANDSCAPE ARTE DELLA LUCE ‘ L‘Arte della Luce’ presso il Castello Svevo dall’11 al 22 agosto sarà un’occasione da non perdere per gli amanti della natura, dei paesaggi e di tutto ciò che ancora è rimasto di intatto intorno a noi. L’occhio del Team Dreamer Landscape vuole proporre ancora una volta nuove e forti emozioni per quello che riescono a cogliere quando si trovano di fronte a meraviglie naturali. Chi ha avuto la fortuna di vedere la mostra fotografica lo scorso anno sa che la qualità delle immagini proposte è davvero alta. Sono quelle immagini che ti tolgono il fiato e che ti fanno pensare a immagini da cartoline. Gli espositori sono riusciti ad immortalare scatti bellissimi facendo risaltare le bellezza di un luogo, raccontando un luogo, uno stato d’animo cogliendo i tratti più nascosti e silenziosi. Questo grazie alla loro esperienza. L’apertura della mostra fotografica sarà domenica 11 agosto ore 19 presso la Sala Biagetti, Castello Svevo. “Io porto la mia macchina fotografica ovunque vada. Avere un nuovo rullino da sviluppare mi da una buona ragione per svegliarmi la mattina.” Andy Wahrol 73 LO SPECCHIO SUPPORTA “LO SPECCHIO MAGAZINE” fai una donazione all’Associazione Culturale Lo Specchio MAGA ZINE VOGLIO SOSTENERE LO SPECCHIO MAGAZINE Lo Specchio Magazine è qualcosa di completamente diverso da un sito di informazione commerciale. È il risultato del lavoro di una comunità, scritta da volontari con la loro competenza, conoscenza e amore per il territorio. Anche tu fai parte della nostra comunità. E ti invitiamo per chiederti di sostenere il nostro progetto “Lo Specchio Magazine”. Insieme possiamo riuscire a mantenerla gratuita e libera. Possiamo riuscire a farlo vivere in modo che tutti possano usare le informazioni che contiene e far conoscere, in maniera approfondita e libera, il nostro territorio. Possiamo farla continuare a crescere, a farle diffondere informazione e cultura e a mantenerla aperta alla partecipazione di tutti. Vanni Semplici, Presidente Associazione Culturale Lo Specchio Donazione con bonifico bancario BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI RECANATI E COLMURANO IBAN: IT/06/H/08765/69110/000040115617 Intestato a: Associazione Culturale Lo Specchio È possibile donare all’Associazione Culturale Lo Specchio tramite Pay Pal, carta di credito, bonifico bancario sul sito www.specchiomagazine.it I NOSTRI SUPERMERCATI ® ZIPPILLI Via Mazzini, 7/13 - PORTORECANATI (MC) Tel/Fax 071 9799198 FARMACIA COMUNALE PIAZZA F.lli BRANCONDI, 48 TEL. 071.9799028 - FAX 071.7590562 PORTO RECANATI (MC) PROSSIMA APERTURA NUOVA SEDE ESTIVA VIA COLOMBO, 41 LOC. SCOSSICCI OMEOPATIA FITOTERAPIA DIETETICI BIEFFE SRL via Mariano Guzzini, 38 62019 RECANATI (MC) tel. 071.7578017 fax 071.7578021 www.graficabieffe.it