QUESTIONI DI ETICA CRISTIANA Modulo 3

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QUESTIONI DI ETICA CRISTIANA Modulo 3
QUESTIONI DI ETICA CRISTIANA
Modulo 3
Anno accademico: 2013/2014
Docente: Geoffrey Allen
5.
RELAZIONI NELLA CHIESA
In gran parte le relazioni nella chiesa sono soggette alle stesse regole e alle stesse
difficoltà di tutte le relazioni umane. Le Scritture contengono molte esortazioni al
riguardo che possono applicarsi altresì alle relazioni in famiglia, sul lavoro, tra
vicini di casa:
“…ognuno dica la verità al suo prossimo… Adiratevi e non peccate; il sole non
tramonti sopra la vostra ira… Chi rubava non rubi più, ma si affatichi piuttosto a
lavorare onestamente con le proprie mani… Nessuna cattiva parola esca dalla
vostra bocca; ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno,
ditela affinché conferisca grazia a chi l’ascolta… Via da voi ogni amarezza, ogni
cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria! Siate invece
benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come
anche Dio vi ha perdonati in Cristo” (Ef. 4:25-32).
E ancora: rispetto per le autorità e per le regole da loro stabilite, adempiere le
promesse e gli impegni assunti, ecc. ecc.
Per altri versi, però, sono relazioni particolari, da una parte più facili (perché
possiamo aspettarci dagli altri un livello etico che non possiamo presumere nei
non credenti), da un’altra più difficili, perché richiedono un livello di impegno
reciproco ben diverso da quello con i non credenti. Secondo la Scrittura siamo “un
solo corpo in Cristo, e, individualmente, siamo membra l’uno dell’altro” (Rom.
12:5).
Alcuni impegni che la Parola di Dio ci richiede nei rapporti con i nostri fratelli
cristiani:

Impegnarci per conservare l’unità (Ef. 4:3, Mt. 5:23-24). Perdonare, coltivare
rapporti armoniosi, assumersi una responsabilità per il proprio fratello, ma
anche…

Correggersi reciprocamente (Mt. 18:15-17, 1 Tess. 5:14), mirando sempre al
recupero del rapporto del credente che sbaglia sia con Dio, sia con i suoi
fratelli.

Astenersi da critiche e maldicenze, offrendo piuttosto incoraggiamento e
proposte positive con fede, amore e gioia.
I responsabili pastorali, in particolare, hanno una responsabilità di cercare di
ricomporre e alimentare i rapporti con altri responsabili di chiese nella zona; di
non accogliere “pecore erranti” senza prima interpellare il governo della chiesa
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dalla quale sono uscite; e di vigilare sui rapporti all’interno della comunità e alla
risoluzione di eventuali situazioni di conflitto.
6.
RELAZIONI SOCIALI E ORDINAMENTO DELLA SOCIETÀ
6.1
La legge e il ruolo dello Stato
6.1.1 L’autorità civile
La Scrittura insegna chiaramente che le autorità degli Stati civili sono volute e
istituite da Dio, che i credenti sono tenuti a rispettarle e sottomettersi ad esse
(Rom. 13:1-7), e che Dio è sovrano su tutte le nazioni per elevare al potere chi
vuole e destituirlo quando vuole (Sal. 75:6-7, Dan. 4:34-37, ecc.).
C’è però un punto oltre il quale “bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini” (Atti
5:29). È chiaro che si è oltrepassato questo punto quando si tratta di un ordine di
adorare altri dèi (Dan. 3) o smettere di invocare il vero Dio (Dan. 6) o di predicare
il Vangelo (Atti 5:27-29). In altri casi può essere meno chiaro. Molti cristiani
tedeschi, pur non trovandosi d’accordo con le leggi discriminatorie contro gli
Ebrei, ritennero fosse loro dovere sottomettersi ad esse. Generalmente riteniamo
giusto pagare le tasse stabilite dalla legge, pur ritenendo sbagliati o immorali
alcuni degli usi cui vengono destinato quel denaro.
Ci possono essere inoltre circostanze (guerra civile, colpo di Stato, ecc.) in cui non
è chiaro quale sia l’autorità legittima. Tuttavia non bisogna pensare che la
legittimità derivi dall’elezione democratica (quasi sconosciuta ai tempi biblici) o
dal sostegno popolare; meno ancora dal nostro accordo con i suoi principi o con
le sue azioni.
6.1.2 I cristiani in politica
C’è disaccordo tra i cristiani sulla questione se possano o debbano impegnarsi in
politica. Da una parte si sostiene che “la nostra cittadinanza è nei cieli” (Fil. 3:20),
che non apparteniamo a questo mondo e quindi non dobbiamo immischiarci nelle
faccende di questa vita (cfr. 2 Tim. 2:4); che inoltre la politica è irrimediabilmente
corrotta e che comporti inevitabilmente compromessi con la propria coscienza.
Dall’altra, che la Scrittura ci esorta: “finché ne abbiamo l’opportunità, facciamo del
bene a tutti” (Gal. 6:10), che una delle opportunità che si presenta in molti Paesi
per fare del bene è la partecipazione alla vita pubblica, e che “la sola cosa
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necessaria ai malvagi per compiere i loro disegni è che i buoni stiano a guardare
senza fare nulla” (J.S. Mill).
Indubbiamente un governo benevolo ed integro è una grande benedizione per la
società, e sembra chiaro che Dio chiama alcuni (pochi) credenti ad impegnarsi
nell’arena politica. Essi hanno indubbiamente bisogno del sostegno del resto del
Corpo di Cristo con la preghiera, il consiglio e la solidarietà, e ciò a maggior
ragione, più è corrotto il sistema politico del Paese e quindi maggiori le tentazioni
ai compromessi morali. “La politica è l’arte del possibile” (O. von Bismarck), per
cui difficilmente il politico credente riuscirà a realizzare tutto ciò che vorrebbe,
tuttavia è bene che anche in quest’area della società ci siano dei credenti come
“sale” e “luce” del Vangelo. Difficilmente, poi, il cristiano troverà un partito i cui
programmi riflettano in tutto i valori del Vangelo, il quale valorizza sia la libertà
individuale, sia la solidarietà sociale: tendenzialmente i partiti “di destra”
valorizzano la prima a spese della seconda, quelle “di sinistra” il contrario.
Per la maggior parte dei credenti, invece, la partecipazione al processo politico si
limiterà all’espressione del voto (là dove esiste questa possibilità), scegliendo fra
le varie proposte e i vari programmi quello che gli sembra “il meno peggio”.
6.1.3 Guerra, violenza e autodifesa
Per gran parte della storia del cristianesimo è stata dibattuta la questione se, e in
quali circostanze, il cristiano possa usare le armi e la violenza. È evidente, anche
da una lettura superficiale della Bibbia, una netta distinzione tra Antico e Nuovo
Testamento: il primo prevede e regolamenta la guerra, anche offensiva (vedi Deut.
7:1-4 e cap. 20, e le guerre dei libri di Giosuè, Giudici e Samuele). Ma allora il
popolo di Dio si identificava in una nazione politica con un territorio geografico,
mentre nel Nuovo Testamento è una nazione spirituale sparsa tra tutti i popoli
della terra, i cui membri hanno “doppia cittadinanza” (cfr. Fil. 3:20, Ef. 2:12-19)
ma con precedenza a quella “celeste”, per la quale si combatte con armi spirituali
e non materiali (Gv. 18:36, Ef. 6:10-18, 2 Cor. 10:3-5).
A grandi linee si possono distinguere tre posizioni, prevalenti in tre fasi storiche
diverse:
A. Pacifismo e rifiuto del servizio militare. Anche se le testimonianze non sono
abbondanti, sono comunque sufficienti (Ippolito, Tertulliano, Origene, Clemente
d’Alessandria, ecc.) a dimostrare che la chiesa primitiva non approvava la guerra,
né che i suoi membri prestassero servizio militare. Sembra che ai soldati che si
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convertivano fu consentito di terminare il fermo, ma che furono esortati a fare il
possibile per evitare di uccidere. Bisogna ricordare che comunque questo fu, per
l’Impero Romano, un periodo relativamente pacifico in cui buona parte
dell’esercito fu impiegato in un servizio di ordine pubblica simile alla polizia di
oggi.
La stessa convinzione ha caratterizzato, dalla Riforma in poi, alcuni movimenti
cristiani minoritari (Mennoniti, Quaccheri, Avventisti, Apostolici e in genere la
maggior parte dei Pentecostali della prima ora – particolarmente le “chiese nere” –
ecc.).
B. La tesi della “guerra giusta”. Con la “cristianizzazione” dell’Impero Romano fu
progressivamente abbandonato il pacifismo, ed Agostino – attingendo anche alla
filosofia greca – teorizzò (soprattutto a uso delle autorità cristiane) una serie di
circostanze in cui la guerra poteva essere giustificata: l’obiettivo doveva essere
quello di stabilire la giustizia e restituire la pace, doveva essere gestita
dall’autorità legittima e bisognava evitare massacri e saccheggi. Questa rimane
fino ad oggi la posizione prevalente nelle chiese storiche.
C. L’idea della “guerra santa”. Nel medioevo la cristianità abbracciò totalmente
l’idea della “civiltà cristiana”, molto più simile alla nazione teocratica dell’A.T. che
non al popolo spirituale del Nuovo. In linea con le idee dei popoli “barbarici” nordeuropei, dominanti da Carlo Magno in poi e “cristianizzati” solo superficialmente,
la guerra era considerata come l’occupazione più “nobile” delle classi dominanti e
si adottò l’ideale del “cavaliere cristiano”, atteggiamento che raggiunse la sua
espressione più completa nelle Crociate e negli ordini religiosi combattenti. Ma a
partire dal 1700, con la crescita del nazionalismo (e le conseguenti guerre tra
nazioni “cristiane”) e lo sviluppo di tecnologie militari che consentivano
distruzioni sempre più generalizzate e a distanze sempre maggiori, c’è stato un
ripensamento e un progressivo abbandono di questa posizione.
Sia a livello sociale e nazionale, sia a livello personale, nasce tutta una serie di
domande assai spinose riguardo al combattimento e all’uso della violenza. Per
esempio:

È legittima per un credente l’autodifesa? In quali circostanze?

Il cristiano che prende sul serio le parole di Gesù, “Non contrastate il malvagio”
(Mt. 5:39), rifiutando quindi di difendere sé stesso, è altrettanto in obbligo di
rifiutare di difendere dalle violenze vittime “innocenti” e indifese quali donne e
bambini?
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
Può (o deve) scegliere da sé quali guerre considerare “giuste” e quali no? (La
maggior parte degli Stati, oggi, rispetta la “obiezione di coscienza”, ma soltanto
se “generale”, non quella “selettiva”).

Se accetta di combattere in una guerra “giusta”, deve ubbidire a ordini o
partecipare ad azioni che comunque considera “ingiusti”?

Può essere giusto, combattendo per una causa “giusta” (ad es. contro azioni di
aggressione o regime malvagi) uccidere un proprio fratello cristiano che si
ritrova dall’altra parte? O (forse peggio) uccidere un non credente, privandolo
così di ogni ulteriore possibilità di redenzione e salvezza?

Un credente può servire nelle forze dell’ordine? La maggior parte dei cristiani
ritiene di sì; tuttavia, anche in questo caso nascono alcune delle stesse
perplessità riguardo all’uso della coercizione e della violenza.
Alcuni teologi (soprattutto cattolici), pur mantenendo la convinzione della “guerra
giusta”, hanno sostenuto che oggi comunque le armi moderne rendono in ogni
caso impossibile soddisfare le condizioni perché una particolare guerra possa
essere combattuta in maniera “giusta”. Cioè, la guerra stessa sarà sempre un male
peggiore di quello che cerca di correggere.
6.2
Le relazioni sociali
6.2.1 Il lavoro
Sin dalla creazione, Dio affidò all’uomo un compito lavorativo (Gen. 2:15), e molti
brani della Scrittura sottolineano il dovere di lavorare onestamente con le proprie
mani: ad es. nel libro dei Proverbi e in brani quali Ef. 4:28 e 2 Tess. 3:10-12.
Come definire però un lavoro “onesto”? È lecito, per esempio, che un cristiano si
guadagni da vivere coltivando o smerciando il tabacco? o vendendo i biglietti della
lotteria? Può lavorare in una fabbrica di armi? o nell’amministrazione di una clinica
dove si pratica l’aborto? I lavori eticamente discutibili sono molti.
Le Scritture, poi – e soprattutto il Nuovo Testamento – sono piene di esortazioni ai
lavoratori (compresi, allora, gli schiavi) a lavorare bene, non solo per timore di
castigo, ma per onorare Dio (Ef. 6:5-8, 1 Pt. 2:13-21); ma anche ai padroni a
trattare bene e con giustizia i propri dipendenti (Ef. 6:9, Giac. 5:1-6). Non quindi
la “legge del mercato” (“ottenere il massimo con la spesa minima”), ma la priorità
al valore dell’essere umano, fatto a immagine di Dio. Ci sono nella storia alcuni
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(pochi) esempi lampanti di questa priorità diversa, ad es. i cioccolatieri inglesi
dell’800 (quaccheri) quali i Cadbury e i Rowntree.
6.2.2 Ricchezza e povertà
L’abuso del potere economico (oppressione e sfruttamento dei poveri) è un tema
costante dei profeti dell’A.T., per il quale essi annunciano i giudizi di Dio (vedi ad
es. Amos 2:6-7). La legge di Mosè vietava l’usura (prestito ad interessi), e tale
divieto fu adottato dalla Chiesa fino a tutto il Medioevo. Bisogna però ricordare
che il prestito, nei tempi premoderni, era soprattutto un aiuto d’emergenza
all’indigente, non un investimento negli affari. Oggi praticamente tutti i cristiani
accettano questa distinzione e disapprovano solo l’usura nel senso moderno, cioè
lo sfruttamento del bisognoso con interessi sul prestito molto elevati.
Le Scritture insistono dappertutto sul dovere dell’elemosina (il significato originale
della parola è “misericordia” o “compassione”) nei riguardi del povero (Deut. 15:78, Mt. 6:2-3, Atti 4:34-35, Gal. 2:10, ecc.), il quale, secondo Gesù, “avremo
sempre con noi” (Mc. 14:7 ecc.).
Oggi però i “poveri” non sono tanto visibilmente “con noi” in quanto – con qualche
eccezione – sono concentrati in gran parte nei paesi del Terzo Mondo, dove
tantissima gente vive in condizioni che molti di noi fanno fatica ad immaginare.
Rimane però vero che “quando volete, potete far loro del bene”.
6.2.3 Giustizia sociale
L’etica biblica però non si limita a raccomandare al singolo credente il dovere
dell’elemosina; ho molto da dire sulla giustizia sociale e sulla distribuzione delle
ricchezze.
La Legge di Mosè prevedeva una distribuzione equa della Terra Promessa a tutte
le famiglie, in rapporto al numero delle persone di cui questa era composta. Non
solo, ma ogni 50 anni tutte le proprietà dovevano tornare in possesso delle
famiglie originali: non potevano cioè essere vendute in assoluto, ma solo un
“diritto di usufrutto” fino al prossimo Giubileo (Lev. 25:25-31). Le conseguenze di
questa disposizione (se mai è stata messa in pratica) sono molto radicali:
A.
Furono assicurati a tutti i mezzi per vivere decorosamente, una sorta di
“reddito minimo garantito”. Tuttavia non diventava assistenzialismo, in quanto la
terra doveva essere comunque lavorata e coltivata. Se un Israelita era pigro,
incapace o incosciente, poteva cadere nella povertà anche estrema ed essere
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costretto alla perdita non solo della terra, ma perfino della libertà, vendendosi
come schiavo (Lev. 25:39-43); però soltanto fino al prossimo Giubileo. In tal modo
i figli e i nipoti non dovevano pagare le conseguenze delle mancanze dei genitori,
perché ogni 50 anni ci doveva essere una radicale ridistribuzione della risorsa
fondamentale, la terra.
B.
Invece le altre proprietà (le case nelle città e tutti i beni mobili) potevano
essere liberamente comprati e venduti (Lev. 25:29-31). In questo modo l’abilità,
l’iniziativa e l’imprenditorialità venivano premiate e non penalizzate.
Si può vedere come questa legge abbinasse un elemento fortemente “socialista”
con uno altrettanto spiccatamente “capitalista”.
Inoltre la legge che regolamentava l’eventuale monarchia (Deut. 17:14-20)
prevedeva per il re un tenore di vita modesto, che non si discostasse troppo da
quello dell’Israelita medio (vv. 16-17).
Da questi elementi possiamo desumere alcuni principi sul tipo di società che
sarebbe più conforme ai desideri di Dio per l’umanità, e che quindi dovremmo
promuovere, secondo le nostre possibilità. Dovrebbe garantire a tutti un lavoro
dignitoso e i mezzi per sussistere e per provvedere alla propria famiglia attraverso
il lavoro. Dovrebbe garantire la libertà all’ingegno, all’energia e all’iniziativa
individuale. Non dovrebbe però tollerare un’enorme disparità di ricchezza tra i più
ricchi e i più poveri. Dovrebbe sostenere l’ordine, la famiglia e il rispetto delle
leggi di Dio.
Non è sicuramente casuale il fatto che, secondo le ricerche di sociologi e
psicologi, è proprio questo il tipo di società che meglio promuove la felicità degli
esseri umani.
7.
RAPPORTI CON LA NATURA E IL RISPETTO DELL’AMBIENTE
Se “al Signore appartiene la terra e tutto quel che è in essa” (Sal. 24:1), e se
l’uomo, all’origine, fu posto nel Giardino “perché lo lavorasse e lo custodisse”
(Gen. 2:15), allora è evidente che abbiamo una responsabilità per la Terra come
amministratori, che dovranno renderne conto al Proprietario divino.
Purtroppo i cristiani, storicamente, hanno dato poca attenzione a questo tema, e a
volte hanno interpretato il mandato della Genesi – “Riempite la terra, rendetevela
soggetta, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale
che si muove sulla terra” (Gen. 1:28) – come un’autorizzazione a sfruttare,
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saccheggiare e distruggere, dimenticando che Adamo fu incaricato di “custodire”
la terra affidatagli.
Il movimento d’opinione per un maggior rispetto dell’ambiente è stato purtroppo
promosso soprattutto da gruppi ispirati alla filosofia “New Age”, fortemente
influenzata dalle religioni orientali e da idee panteistiche; oppure da filosofie che
aboliscono la netta distinzione biblica tra l’uomo, creato a immagine e
somiglianza di Dio, e gli animali.
Ma ciò non deve indurci a “buttare via il bambino insieme con l’acqua sporca”.
Indubbiamente l’etica cristiana include un’attenzione alla protezione e la
conservazione del mondo naturale e a stili di vita e di civiltà sostenibili nell’uso
delle risorse naturali.
Alcune aree degne di attenzione a questo riguardo sono:

La protezione della biodiversità. A parte le forti considerazioni di interesse (le
piante e gli animali creati da Dio nascondo tantissime sostanze e proprietà utili
all’uomo per l’alimentazione, la cura delle malattie, ecc.), abbiamo comunque
una responsabilità nei confronti di Dio di “custodire” e preservare ciò che Egli
ha creato. Coloro che credono in un Dio Creatore, in un preciso progetto divino
in ognuna delle Sue creature, e che qualsiasi specie vivente, una volta persa o
estinta, non può più essere recuperata o sostituita, hanno più motivo degli altri
di prenderne accuratamente cura.

Un
utilizzo
sostenibile
delle
risorse
naturali.
Le
risorse
del
pianeta,
evidentemente, non sono infinite e vanno usate con cura e senza sprechi inutili.
Riciclare anziché buttare via (dove?) ha senso in termini economici oltre che
ambientali. L’obiettivo di una “crescita economica” infinita (nonché per una
popolazione in continua crescita) è ovviamente insostenibile: come popoli, e
non solo come individui, dobbiamo imparare ad “essere contenti delle cose che
avete” (Ebr. 13:5).

In particolare, le risorse energetiche vanno usato in maniera responsabile,
perché diventa sempre più evidente che un consumo incontrollato dei
combustibili fossili rischia di danneggiare il nostro pianeta (o più precisamente,
il pianeta di Dio) in maniera irreversibile.
*********
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In questa breve panoramica dell’etica cristiana non è stato ovviamente possibile
affrontare tutte le questioni che possono presentarsi. Ma si spera di aver aperto
delle finestre e di aver suggerito degli strumenti utili per un approccio sano ed
equilibrato alle tante situazioni in cui il credente può trovarsi a dover rispondere a
domande difficili e spinose.
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