Testi Santagata 2009-10

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Testi Santagata 2009-10
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CORSO LETTERATURA ITALIANA 2009-2010
(prof. Marco Santagata)
Lettura di testi dell’Ottocento e del Novecento
1) Giosuè Carducci, Sogno d’estate (Odi barbare II 45)
Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo1 sempre sonanti
la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra ’l sonno
in riva di Scamandro2, ma il cor mi fuggì su ’l Tirreno3.
Sognai, placide cose de’ miei novelli anni4 sognai.
5
Non più libri: la stanza dal sole di luglio affocata,
rintronata da i carri rotolanti su ’l ciottolato
de la città, slargossi5: sorgeanmi intorno i miei colli,
cari selvaggi colli che il giovane april rifioria6.
Scendeva per la piaggia7 con mormorii freschi un zampillo
10
pur divenendo rio8: su ’l rio passeggiava mia madre
florida ancor ne gli anni9, traendosi un pargolo10 a mano
cui per le spalle bianche splendevano i riccioli d’oro.
Andava il fanciulletto con piccolo passo di gloria11,
superbo de l’amore materno, percosso nel core
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da quella festa immensa che l’alma natura intonava12.
Però che13 le campane sonavano su dal castello
annunziando Cristo tornante dimane a’ suoi cieli14;
e su le cime e al piano, per l’aure, pe’ rami, per l’acque,
correa la melodia spiritale15 di primavera;
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ed i pèschi ed i méli tutti eran fior bianchi e vermigli,
e fiori gialli e turchini ridea16 tutta l’erba al di sotto,
ed il trifoglio rosso vestiva i declivii de’ prati,
e molli d’auree ginestre si paravano i colli17,
e un’aura dolce movendo quei fiori e gli odori
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veniva giù dal mare; nel mar quattro candide vele
andavano andavano cullandosi lente nel sole,
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carme tuo: l’Iliade.
Scamandro: uno dei due fiumi della pianura davanti a Troia dove si svolgono i combattimenti tra Greci e
Troiani.
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su ‘l Tirreno: in Maremma, nella zona di Bolgheri.
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novelli anni: la fanciullezza.
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slargossi: ‘si allargò, si dilatò’.
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rifioria: ‘faceva rifiorire’.
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per la piaggia: ‘lungo il pendio’.
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pur … rio: ‘diventando via via (pur) un ruscello’.
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florida … anni: ‘ancora nel pieno della giovinezza’.
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pargolo: ‘fanciulletto (Dante, fratello del poeta).
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di gloria: ‘trionfante’ (per essere accanto alla madre).
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percosso … intonava: ‘profondamente commosso da quello spettacolo di gioia senza limiti che la natura
materna (alma: ‘datrice di vita’) faceva risuonare (intonava)’.
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Però che: ‘Poiché’.
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Cristo … cieli: la Resurrezione di Cristo, l’indomani, giorno di Pasqua.
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melodia spiritale: ‘musica vitale’.
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fiori … ridea: ‘risplendeva di fiori gialli e turchini’.
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molli …colli: ‘le colline si adornavano a festa (si paravano) di gialle (auree) ginestre flessibili (molli, ma
per ipallage riferito a colli)’.
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che mare e terra e cielo sfolgorante circonfondeva18.
La giovine madre guardava beata nel sole.
Io guardavo la madre, guardava pensoso il fratello,
questo che or giace lungi su ’l poggio d’Arno fiorito
quella che dorme presso ne l’erma solenne Certosa19;
pensoso e dubitoso s’ancora ei spirassero l’aure20
o ritornasser pii del dolor mio da una plaga
ove tra note forme rivivono gli anni felici21.
Passâr le care imagini, disparvero lievi co ’l sonno.
Lauretta empieva intanto di gioia canora le stanze,
Bice22 china al telaio seguia cheta l’opra de l’ago.
2) Giovanni Verga, I Malavoglia, cap. XI
Orsù, che c’è di nuovo? dillo a tuo nonno23, dillo!
’Ntoni24 si stringeva nelle spalle; ma il vecchio seguitava ad accennare di sì col capo, e sputava, e si
grattava il capo cercando le parole.
— Sì, sì, qualcosa ce l’hai in testa, ragazzo mio! Qualcosa che non c’era prima. «Chi va coi zoppi,
all’anno25 zoppica.»
— C’è che sono un povero diavolo! ecco cosa c’è!
— Be’! che novità! e non lo sapevi? Sei quel che è stato tuo padre, e quel che è stato tuo nonno!
«Più ricco è in terra chi meno desidera.» «Meglio contentarsi che lamentarsi.»
— Bella consolazione!
Questa volta il vecchio trovò subito le parole, perché si sentiva il cuore sulle labbra:
— Almeno non lo dire davanti a tua madre.
— Mia madre... Era meglio che non mi avesse partorito, mia madre.
— Sì, accennava padron ’Ntoni, sì, meglio che non t’avesse partorito, se oggi dovevi parlare in tal
modo.
’Ntoni per un po’ non seppe che dire: — Ebbene! esclamò poi, lo faccio per lei, per voi, e per tutti.
Voglio farla ricca, mia madre! ecco cosa voglio. Adesso ci arrabattiamo colla casa e colla dote di
Mena; poi crescerà Lia26, e un po’ che27 le annate andranno scarse staremo sempre nella miseria.
Non voglio più farla questa vita. Voglio cambiare stato, io e tutti voi. Voglio che siamo ricchi, la
mamma, voi, Mena, Alessi28 e tutti.
Padron ’Ntoni spalancò tanto d’occhi, e andava ruminando quelle parole, come per poterle mandar
giù. — Ricchi! diceva, ricchi! e che faremo quando saremo ricchi?
’Ntoni si grattò il capo, e si mise a cercar anche lui cosa avrebbero fatto. — Faremo quel che fanno
gli altri... Non faremo nulla, non faremo!... Andremo a stare in città, a non far nulla, e a mangiare
pasta e carne tutti i giorni.
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circonfondeva: ‘avvolgeva di luce’.
questo … Certosa: entrambi morti, il fratello Dante è seppellito, lontano da Bologna, a Santa Maria a
Monte, un paesino del Valdarno inferiore, e la madre nella vicina Certosa di Bologna.
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Se ei … aure: ‘se fossero ancora vivi (letteralmente: ‘se ancora respirassero’).
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o ritornasser … felici: ‘o (se), impietositi dal mio dolore, tornassero da una luogo (plaga) dove rivivono
gli anni felici (di quando erano in vita) in mezzo a immagini familiari’.
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Lauretta … Bice: le due figlie del poeta, rispettivamente di 17 e 21 anni alla data del componimento.
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nonno: padron ’Ntoni, capofamiglia dei Malavoglia.
’Ntoni: nipote di padron ’Ntoni, di cui porta lo stesso nome.
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all’anno: ‘entro l’anno’.
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Mena … Lia: sorelle di ’Ntoni.
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un po’ che: ‘se solo, se appena’.
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Alessi: fratello di ’Ntoni.
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— Va, va a starci tu in città. Per me io voglio morire dove son nato; — e pensando alla casa dove
era nato, e che non era più sua29 si lasciò cadere la testa sul petto. — Tu sei un ragazzo, e non lo sai!
... non lo sai!... Vedrai cos’è quando non potrai più dormire nel tuo letto; e il sole non entrerà più
dalla tua finestra!... Lo vedrai! te lo dico io che son vecchio! — Il poveraccio tossiva che pareva
soffocasse, col dorso curvo, e dimenava tristamente il capo: — «Ad ogni uccello, suo nido è bello».
Vedi quelle passere? le vedi? Hanno fatto il nido sempre colà, e torneranno a farcelo, e non
vogliono andarsene.
— Io non sono una passera. Io non sono una bestia come loro! rispondeva ’Ntoni. Io non voglio
vivere come un cane alla catena, come l’asino di compare Alfio30, o come un mulo da bindolo31,
sempre a girar la ruota; io non voglio morir di fame in un cantuccio, o finire in bocca ai pescicani.
— Ringrazia Dio piuttosto, che t’ha fatto nascer qui; e guardati dall’andare a morire lontano dai
sassi che ti conoscono. «Chi cambia la vecchia per la nuova, peggio trova.» Tu hai paura del lavoro,
hai paura della povertà; ed io che non ho più né le tue braccia né la tua salute non ho paura, vedi!
«Il buon pilota si prova alle burrasche.» Tu hai paura di dover guadagnare il pane che mangi; ecco
cos’hai! Quando la buon’anima di tuo nonno32 mi lasciò la Provvidenza33 e cinque bocche da
sfamare, io ero più giovane di te, e non avevo paura; ed ho fatto il mio dovere senza brontolare; e lo
faccio ancora; e prego Iddio di aiutarmi a farlo sempre sinché ci avrò gli occhi aperti, come l’ha
fatto tuo padre, e tuo fratello Luca34, benedetto! che non ha avuto paura di andare a fare il suo
dovere. Tua madre l’ha fatto anche lei il suo dovere, povera femminuccia, nascosta fra quelle
quattro mura; e tu non sai quante lagrime ha pianto, e quante ne piange ora che vuoi andartene; che
la mattina tua sorella trova il lenzuolo tutto fradicio! E nondimeno sta zitta e non dice di queste cose
che ti vengono in mente; e ha lavorato e si è aiutata come una povera formica anche lei; non ha fatto
altro, tutta la sua vita, prima che le toccasse di piangere tanto, fin da quando ti dava la poppa, e
quando non sapevi ancora abbottonarti le brache, che allora non ti era venuta in mente la tentazione
di muovere le gambe, e andartene pel mondo come uno zingaro.
3) Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, cap. XV
Allora il burattino, perdutosi d’animo, fu proprio sul punto di gettarsi in terra e di darsi per vinto,
quando nel girare gli occhi all’intorno vide fra mezzo al verde cupo degli alberi biancheggiare in
lontananza una casina candida come la neve.
— Se io avessi tanto fiato da arrivare fino a quella casa, forse sarei salvo, — disse dentro di sè.
E senza indugiare un minuto riprese a correre per il bosco a carriera distesa. E gli assassini sempre
dietro.
E dopo una corsa disperata di quasi due ore, finalmente tutto trafelato arrivò alla porta di quella
casina e bussò.
Nessuno rispose.
Tornò a bussare con maggior violenza, perchè sentiva avvicinarsi il rumore dei passi e il respiro
grosso e affannoso de’ suoi persecutori. Lo stesso silenzio.
Avvedutosi che il bussare non giovava a nulla, cominciò per disperazione a dare calci e zuccate
nella porta. Allora si affacciò alla finestra una bella bambina, coi capelli turchini e il viso bianco
come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto, la quale senza muovere
punto le labbra, disse con una vocina che pareva venisse dall’altro mondo:
— In questa casa non c’è nessuno. Sono tutti morti.
— Aprimi almeno tu! — gridò Pinocchio piangendo e raccomandandosi.
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che … sua: la casa “del nespolo” era stata ceduta per pagare il debito contratto per l’acquisto dei lupini.
compare Alfio: Alfio Mosca, carrettiere, innamorato di Mena, ma troppo povero per sposarla.
31
mulo da bindolo: ‘mulo che fa girare il bindolo (macchina per sollevare l’acqua dai pozzi)’;
genericamente: ‘animale da fatica’.
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tuo nonno: da intendere come ‘bisnonno’.
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la Provvidenza: la barca dei Malavoglia.
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Luca: fratello di ’Ntoni, morto nella battaglia di Lissa nel 1866.
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— Sono morta anch’io.
— Morta? e allora che cosa fai costì alla finestra?
— Aspetto la bara che venga a portarmi via.
Appena detto così, la bambina disparve, e la finestra si richiuse senza far rumore.
— O bella bambina dai capelli turchini, — gridava Pinocchio, — aprimi per carità. Abbi
compassione di un povero ragazzo inseguito dagli assass...
Ma non potè finir la parola, perchè sentì afferrarsi per il collo, e le solite due vociaccie che gli
brontolarono minacciosamente:
— Ora non ci scappi più!
Il burattino, vedendosi balenare la morte dinanzi agli occhi, fu preso da un tremito così forte, che
nel tremare, gli suonavano le giunture delle sue gambe di legno e i quattro zecchini che teneva
nascosti sotto la lingua.
— Dunque? — gli domandarono gli assassini — vuoi aprirla la bocca, sì o no? Ah! non rispondi?...
Lascia fare: chè questa volta te la faremo aprir noi!...
E cavato fuori due coltellacci lunghi lunghi e affilati come rasoi, zaff... gli affibbiarono due colpi nel
mezzo alle reni.
Ma il burattino per sua fortuna era fatto d’un legno durissimo, motivo per cui le lame, spezzandosi,
andarono in mille schegge e gli assassini rimasero col manico dei coltelli in mano, a guardarsi in
faccia.
— Ho capito — disse allora un di loro — bisogna impiccarlo! Impicchiamolo!
— Impicchiamolo — ripetè l’altro.
Detto fatto, gli legarono le mani dietro le spalle e, passatogli un nodo scorsoio intorno alla gola, lo
attaccarono penzoloni al ramo di una grossa pianta detta la Quercia grande.
Poi si posero là, seduti sull’erba, aspettando che il burattino facesse l’ultimo sgambetto: ma il
burattino, dopo tre ore, aveva sempre gli occhi aperti, la bocca chiusa e sgambettava più che mai.
Annoiati finalmente di aspettare, si voltarono a Pinocchio e gli dissero sghignazzando:
— Addio a domani. Quando domani torneremo qui, si spera che ci farai la garbatezza di farti
trovare bell’e morto e con la bocca spalancata.
E se ne andarono.
Intanto s’era levato un vento impetuoso di tramontana, che soffiando e mugghiando con rabbia,
sbatacchiava in qua e in là il povero impiccato, facendolo dondolare violentemente come il battaglio
d’una campana che suona a festa. E quel dondolìo gli cagionava acutissimi spasimi, e il nodo
scorsoio, stringendosi sempre più alla gola, gli toglieva il respiro.
A poco a poco gli occhi gli si appannarono; e sebbene sentisse avvicinarsi la morte, pure sperava
sempre che da un momento all’altro sarebbe capitata qualche anima pietosa a dargli aiuto. Ma
quando, aspetta aspetta, vide che non compariva nessuno, proprio nessuno, allora gli tornò in mente
il suo povero babbo... e balbettò quasi moribondo:
— Oh babbo mio! se tu fossi qui!...
E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe e, dato un grande
scrollone, rimase lì come intirizzito.
4) Giovanni Pascoli, L’assiuolo (Mirycae)
Dov'era la luna? ché il cielo
notava in un'alba di perla35,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
5
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
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un’alba di perla: ‘un biancore perlaceo’ (cf. “nebbia di latte” del v. 10)
5
chiù...
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Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare36 del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte37;
sentivo nel cuore un sussulto,
com'eco d'un grido che fu38.
Sonava lontano il singulto:
chiù...
Su tutte le lucide vette39
tremava un sospiro di vento:
squassavano40 le cavallette
finissimi sistri41 d'argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s'aprono più?...);
e c'era quel pianto di morte...
chiù...
5) Gabriele d’Annunzio, Stabat nuda Aestas (Alcyone)
Primamente intravidi il suo piè stretto42
scorrere su per gli aghi arsi dei pini
ove estuava l'aere con grande
tremito, quasi bianca vampa effusa43.
5
Le cicale si tacquero. Più rochi
si fecero i ruscelli. Copiosa
la rèsina gemette44 giù pe' fusti.
Riconobbi il colùbro dal sentore45.
10
Nel bosco degli ulivi la raggiunsi.
Scorsi l'ombre cerulee dei rami
su la schiena falcata46, e i capei fulvi
nell'argento palladio trasvolare47
senza suono. Più lungi, nella stoppia,
l'allodola balzò dal solco raso48,
36
il cullare: ‘il mormorìo, quasi una nenia’.
fru fru tra le fratte: ‘frulli d’ali fra i cespugli (fratte)’.
38
com’eco... fu: ‘come fosse l’eco di un grido passato’.
39
lucide vette: le cime nuove dei rami, le giovani frasche illuminate dalla luce della luna (lucide).
40
squassavano: ‘scuotevano’.
41
sistri: antichi strumenti musicali dei sacerdoti egizi del culto di Iside, divinità del mondo dei morti.
37
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stretto: ‘piccolo e agile’.
ove... effusa: ‘dove l’aria (aere) ardeva (estuava) tremando (con grande tremito) come una bianca fiamma
(vampa) diffusa tutt’intorno (effusa)’.
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gemette: ‘stillò’.
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Riconobbi … sentore: ‘Avvertii dall’odore la presenza del serpente’.
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falcata: ‘arcuata’, a forma di falce.
47
nell’argento... trasvolare: ‘volare via (trasvolare) tra le fronde argentee degli ulivi (sacri ad Atena, detta
anche Pallade)’.
48
solco raso: ‘campo falciato’.
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la chiamò, la chiamò per nome in cielo.
Allora anch'io per nome la chiamai.
Tra i leandri la vidi che si volse.
Come in bronzea mèsse49 nel falasco50
entrò, che richiudeasi strepitoso51.
Più lungi, verso il lido, tra la paglia
marina52 il piede le si torse in fallo.
Distesa cadde tra le sabbie e l'acque.
Il ponente schiumò ne' suoi capegli53.
Immensa apparve, immensa nudità.
6) Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, cap. XII
— La tragedia d'Oreste in un teatrino di marionette! — venne ad annunziarmi il signor Anselmo
Paleari. —Marionette automatiche, di nuova invenzione. Stasera, alle ore otto e mezzo, in via dei
Prefetti, numero cinquantaquattro. Sarebbe da andarci, signor Meis.
— La tragedia d'Oreste?
— Già! D'après Sophocle, dice il manifestino. Sarà l'Elettra. Ora senta un po’ che bizzarria mi
viene in mente! Se, nel momento culminante, proprio quando la marionetta che rappresenta Oreste è
per vendicare la morte del padre sopra Egisto e la madre, si facesse uno strappo nel cielo di carta del
teatrino, che avverrebbe? Dica lei.
— Non saprei, - risposi, stringendomi ne le spalle.
— Ma è facilissimo, signor Meis! Oreste rimarrebbe terribilmente sconcertato da quel buco nel
cielo.
— E perché?
— Mi lasci dire. Oreste sentirebbe ancora gl'impulsi della vendetta, vorrebbe seguirli con smaniosa
passione, ma gli occhi, sul punto, gli andrebbero lì a quello strappo, donde ora ogni sorta di mali
influssi penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe cader le braccia. Oreste, insomma, diventerebbe
Amleto. Tutta la differenza, signor Meis, fra la tragedia antica e la moderna consiste in ciò, creda
pure: in un buco nel cielo di carta.
E se ne andò, ciabattando.
Dalle vette nuvolose delle sue astrazioni il signor Anselmo lasciava spesso precipitar così, come
valanghe, i suoi pensieri. La ragione, il nesso, l'opportunità di essi rimanevano lassù, tra le nuvole,
dimodoché difficilmente a chi lo ascoltava riusciva di capirci qualche cosa.
L'immagine della marionetta d'Oreste sconcertata dal buco nel cielo mi rimase tuttavia un pezzo
nella mente. A un certo punto: «Beate le marionette,» sospirai, «su le cui teste di legno il finto cielo
si conserva senza strappi! Non perplessità angosciose, né ritegni, né intoppi, né ombre, né pietà:
nulla! E possono attendere bravamente e prender gusto alla loro commedia e amare e tener se stesse
in considerazione e in pregio, senza soffrir mai vertigini o capogiri, poiché per la loro statura e per
le loro azioni quel cielo è un tetto proporzionato.
7) Guido Gozzano, L’amica di nonna Speranza
28 giugno 1850
«...alla sua Speranza la sua Carlotta...»
(dall’album: dedica d’una fotografia)
49
bronzea mèsse: ‘messe color del bronzo, matura’.
falasco: ‘canna palustre’.
51
strepitoso: ‘frusciando forte’.
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paglia marina: ‘alghe disseccate sulla spiaggia’.
53
Il ponente... capegli: ‘Il vento di ponente impregnò di schiuma i suoi capelli’.
50
7
I
Loreto impagliato ed il busto d’Alfieri, di Napoleone
i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto),
il caminetto un po’ tetro, le scatole senza confetti,
i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro,
5
un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve,
gli oggetti col monito salve, ricordo, le noci di cocco,
Venezia ritratta a musaici, gli acquarelli un po’ scialbi,
le stampe, i cofani, gli albi dipinti d’anemoni arcaici,
10
le tele di Massimo d’Azeglio, le miniature,
i dagherottìpi: figure sognanti in perplessità,
il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone
e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto,
il cùcu dell’ore che canta, le sedie parate a damasco
chèrmisi... rinasco, rinasco del mille ottocentocinquanta!
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II
I fratellini alla sala quest’oggi non possono accedere
che cauti (hanno tolte le federe ai mobili. È giorno di gala).
Ma quelli v’irrompono in frotta. È giunta, è giunta in vacanza
la grande sorella Speranza con la compagna Carlotta!
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Ha diciassett’anni la Nonna! Carlotta quasi lo stesso:
da poco hanno avuto il permesso d’aggiungere un cerchio alla gonna,
il cerchio ampissimo increspa la gonna a rose turchine.
Più snella da la crinoline emerge la vita di vespa.
Entrambe hanno uno scialle ad arance a fiori a uccelli a ghirlande;
divisi i capelli in due bande scendenti a mezzo le guancie.
25
Han fatto l’esame più egregio di tutta la classe. Che affanno
passato terribile! Hanno lasciato per sempre il collegio.
Silenzio, bambini! Le amiche — bambini, fate pian piano! —
le amiche provano al piano un fascio di musiche antiche.
30
Motivi un poco artefatti nel secentismo fronzuto
di Arcangelo del Leùto e d’Alessandro Scarlatti.
Innamorati dispersi, gementi il core e l’augello,
languori del Giordanello in dolci bruttissimi versi:
.......................
8
35
40
... caro mio ben
credimi almen!
senza di te
languisce il cor!
Il tuo fedel
sospira ognor,
cessa crudel
tanto rigor!
.........................
Carlotta canta. Speranza suona. Dolce e fiorita
si schiude alla breve romanza di mille promesse la vita.
O musica! Lieve sussurro! E già nell’animo ascoso
d’ognuna sorride lo sposo promesso: il Principe Azzurro,
45
lo sposo dei sogni sognati... O margherite in collegio
sfogliate per sortilegio sui teneri versi del Prati!
III
Giungeva lo Zio, signore virtuoso, di molto riguardo,
ligio al passato, al Lombardo-Veneto, all’Imperatore;
50
giungeva la Zia, ben degna consorte, molto dabbene,
ligia al passato, sebbene amante del Re di Sardegna...
«Baciate la mano alli Zii!» - dicevano il Babbo e la Mamma,
e alzavano il volto di fiamma ai piccolini restii.
«E questa è l’amica in vacanza: madamigella Carlotta
Capenna: l’alunna più dotta, l’amica più cara a Speranza».
55
«Ma bene... ma bene... ma bene...» - diceva gesuitico e tardo
lo Zio di molto riguardo - «...ma bene... ma bene... ma bene...
Capenna? Conobbi un Arturo Capenna... Capenna... Capenna...
Sicuro! alla Corte di Vienna! Sicuro... sicuro... sicuro...»
60
«Gradiscono un po’ di moscato?» — «Signora sorella magari...»
E con un sorriso pacato sedevano in bei conversari.
«...ma la Brambilla non seppe...» — «È pingue già per l’Ernani...»
«La Scala non ha più soprani...» — «Che vena quel Verdi... Giuseppe»
«...nel Marzo avremo un lavoro alla Fenice, m’han detto,
nuovissimo: il Rigoletto. Si parla d’un capolavoro».
65
«...Azzurri si portano o grigi?» — «E questi orecchini? Che bei
rubini! E questi cammei...» — «la gran novità di Parigi...»
«... Radetzky? Ma che? L’armistizio... la pace, la pace che regna...»
9
«...quel giovine Re di Sardegna è uomo di molto giudizio!»
70
«È certo uno spirito insonne, e forte e vigile e scaltro...»
«È bello?» — «Non bello: tutt’altro.» — «Gli piacciono molto le donne...»
«Speranza!» (chinavansi piano, in tono un po’ sibillino)
«Carlotta! Scendete in giardino: andate a giocare al volano.»
Allora le amiche serene lasciavano con un perfetto
inchino di molto rispetto gli Zii molto dabbene.
75
IV
Oimè! che giocando un volano, troppo respinto all’assalto,
non più ridiscese dall’alto dei rami d’un ippocastano!
S’inchinano sui balaustri le amiche e guardano il lago,
sognando l’amore presago nei loro bei sogni trilustri.
80
«Ah! se tu vedessi che bei denti!» — «Quant’anni?...» — «Ventotto.»
«Poeta?» — «Frequenta il salotto della contessa Maffei!»
Non vuole morire, non langue il giorno. S’accende più ancora
di porpora: come un’aurora stigmatizzata di sangue;
si spenge infine, ma lento. I monti s’abbrunano in coro:
il Sole si sveste dell’oro, la Luna si veste d’argento.
85
Romantica Luna fra un nimbo leggiero, che baci le chiome
dei pioppi, arcata siccome un sopracciglio di bimbo,
il sogno di tutto un passato nella tua curva s’accampa:
non sorta sei da una stampa del Novelliere Illustrato?
90
Vedesti le case deserte di Parisina la bella?
Non forse non forse sei quella amata dal giovine Werther?
«... mah! Sogni di là da venire!» — «Il Lago s’è fatto più denso
di stelle.» — «... che pensi?» — «... Non penso.» — «... Ti piacerebbe morire?»
«Sì!» — «Pare che il cielo riveli più stelle nell’acqua e più lustri.
Inchìnati sui balaustri: sognamo così, tra due cieli...»
95
«Son come sospesa! Mi libro nell’alto...» — «Conosce Mazzini...»
«E l’ami?...» — «Che versi divini!» — «Fu lui a donarmi quel libro,
ricordi? che narra siccome, amando senza fortuna,
un tale si uccida per una, per una che aveva il mio nome.»
100
V
Carlotta! nome non fine, ma dolce che come l’essenze
resusciti le diligenze, lo scialle, la crinoline...
10
Amica di Nonna, conosco le aiole per ove leggesti
i casi di Jacopo mesti nel tenero libro del Foscolo.
Ti fisso nell’albo con tanta tristezza, ov’è di tuo pugno
la data: ventotto di giugno del mille ottocentocinquanta.
105
Stai come rapita in un cantico: lo sguardo al cielo profondo
e l’indice al labbro, secondo l’atteggiamento romantico.
Quel giorno — malinconia — vestivi un abito rosa,
per farti — novissima cosa! — ritrarre in fotografia...
110
Ma te non rivedo nel fiore, amica di Nonna! Ove sei
o sola che, forse, potrei amare, amare d’amore?
8) Aldo Palazzeschi, La passeggiata
- Andiamo?
- Andiamo pure.
5
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20
25
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11
35
40
45
50
55
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- Torniamo pure.
……………………….
9) Giuseppe Ungaretti, In memoria (L’allegria)
Locvizza il 30 settembre 1916
Si chiamava
13
Moammed Sceab 54
5
Discendente
di emiri 55 di nomadi 56
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome
10
15
20
25
Fu Marcel 57
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda 58 dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano 59
gustando un caffè
E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono 60
L’ho accompagnato 61
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes 62
appassito vicolo in discesa 63
Riposa
In memoria: il titolo anticipa che si tratta d’una poesia in ricordo dell’amico nominato al v. 2.
54
Si chiamava Moammed Sceab: si tratta dell’amico d’infanzia ad Alessandria d’Egitto e compagno di studi
a Parigi. L’imperfetto Si chiamava ne annuncia la morte, ribadendo l’anticipazione del titolo.
55
emiri: voce usata dal Corano per designare chi è rivestito di autorità come governatore di una tribù o di una
provincia, o è insignito del comando militare.
56
nomadi: popolazioni senza una residenza fissa. Si tratta di un termine importante nel pensiero e nella
poesia di Ungaretti, che attribuisce un’anima di nomade non solo all’amico, ma anche a sé stesso.
57
Fu Marcel: trasferitosi a Parigi, Moammed aveva cambiato il suo nome rinunciando alle sue radici e alla
sua identità.
58
tenda: la tenda è l’abitazione dei popoli nomadi del deserto.
59
la cantilena del Corano: il Corano, libro sacro dei musulmani, è la parola stessa di Dio. Le preghiere del
Corano sono recitate con voce monotona e cantilenante.
60
E non sapeva... abbandono: ‘E non sapeva esprimere il sentimento della sua estraneità e della sua
solitudine attraverso la poesia (il canto)’.
61
L’ho accompagnato: ‘Ho accompagnato il feretro nel funerale’.
62
rue des Carmes: strada di Parigi non lontana dall’Università della Sorbona nel quartiere degli studi; la
strada scende lungo la collina del Panthéon.
63
appassito... discesa: ‘una via stretta triste e senza vita, che digrada verso il basso’. Appassito è metafora
per indicare l’inaridirsi della vita.
14
30
35
nel camposanto d’Ivry 64
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera 65
E forse io solo
so ancora
che visse
10) Umberto Saba, Il torrente
Tu così avventuroso nel mio mito,
così povero sei fra le tue sponde 66.
Non hai, ch’io veda, margine fiorito 67.
Dove ristagni scopri cose immonde 68.
5
10
15
Pur 69, se ti guardo, il cor d’ansia mi stringi,
o torrentello.
Tutto il tuo corso è quello
del mio pensiero, che tu risospingi
alle origini, a tutto il forte e il bello
che in te ammiravo 70; e se ripenso i grossi
fiumi, lincontro con l’avverso 71 mare,
quest’acqua onde tu appena i piedi arrossi
nudi a una lavandaia 72,
la più pericolosa e la più gaia,
con isole e cascate, ancor m’appare;
e il poggio 73 da cui scendi è una montagna.
Sulla tua sponda lastricata 74 l’erba
cresceva, e cresce nel ricordo sempre;
sempre è d’intorno a te sabato sera 75;
64
Ivry: quartiere a sud di Parigi presso la Senna.
sobborgo... fiera: ‘sobborgo che sembra sempre essere in una giornata di una festa di paese disordinata’; o
meglio ‘che è finita lasciando tutto in disordine’. – sobborgo: ‘piccolo paese periferico’. Ivry è oggi un
quartiere della città di Parigi. – decomposta: richiama anche il significato della putrefazione e quindi si
collega al tema del funerale e della sepoltura.
65
66
Tu così... sponde: ‘Tu (torrente) che nelle mie fantasie infantili (nel mio mito) mi apparivi come un luogo
di avventura, non sei che un piccolo corso d’acqua limitato dalle tue sponde’.
67
margine fiorito: ‘sponda, riva fiorita, ricoperta di vegetazione’.
68
cose immonde: detriti e organismi che proliferano nell’acqua stagnante.
69
Pur: ‘Tuttavia’.
70
Tutto... ammiravo: ‘Il tuo corso è per me una immagine del flusso del mio pensiero e della mia memoria,
che la tua vista riporta ai primi ricordi della mia infanzia, a tutti gli elementi di forza e di bellezza che
ammiravo in te’.
71
avverso: ‘che si oppone alla corrente del fiume’.
72
quest’acqua... lavandaia: ‘quest’acqua con la quale tu (torrente) arrossi (per il freddo) appena i piedi nudi
di una lavandaia’.
73
poggio: ‘modesta altura’.
74
lastricata: ‘ricoperta di pietra, di manto stradale’.
15
20
25
sempre ad un bimbo la sua madre austera 76
rammenta che quest’acqua è fuggitiva 77,
che non ritrova più la sua sorgente,
né la sua riva 78; sempre l’ancor bella
donna si attrista, e cerca la sua mano
il fanciulletto, che ascoltò uno strano
confronto tra la vita nostra 79 e quella
della corrente.
11) Italo Svevo, La coscienza di Zeno IV
Fu allora che avvenne la scena terribile che non dimenticherò mai e che gettò lontano lontano la sua
ombra, che offuscò ogni mio coraggio, ogni mia gioia. Per dimenticarne il dolore, fu d’uopo 80 che
ogni mio sentimento fosse affievolito dagli anni.
L’infermiere mi disse:
«Come sarebbe bene se riuscissimo di tenerlo a letto. Il dottore vi dà tanta importanza!».
Fino a quel momento io ero rimasto adagiato sul sofà. Mi levai e andai al letto ove, in quel
momento, ansante 81 più che mai, l’ammalato s’era coricato. Ero deciso: avrei costretto mio padre di
restare almeno per mezz’ora nel riposo voluto dal medico. Non era questo il mio dovere?
Subito mio padre tentò di ribaltarsi verso la sponda del letto per sottrarsi alla mia pressione e
levarsi. Con mano vigorosa poggiata sulla sua spalla, gliel’impedii mentre a voce alta e imperiosa
gli comandavo di non moversi. Per un breve istante, terrorizzato, egli obbedì. Poi esclamò:
«Muoio!».
E si rizzò. A mia volta, subito spaventato dal suo grido, rallentai la pressione della mia mano.
Perciò egli poté sedere sulla sponda del letto proprio di faccia a me. Io penso che allora la sua ira fu
aumentata al trovarsi – sebbene per un momento solo – impedito nei movimenti e gli parve certo
ch’io gli togliessi anche l’aria di cui aveva tanto bisogno, come gli toglievo la luce stando in piedi
contro di lui seduto. Con uno sforzo supremo arrivò a mettersi in piedi, alzò la mano alto alto 82,
come se avesse saputo ch’egli non poteva comunicarle altra forza che quella del suo peso e la lasciò
cadere sulla mia guancia. Poi scivolò sul letto e di là sul pavimento. Morto!
Non lo sapevo morto 83, ma mi si contrasse il cuore dal dolore della punizione ch’egli, moribondo,
aveva voluto darmi. Con l’aiuto di Carlo 84 lo sollevai e lo riposi in letto. Piangendo, proprio come
un bambino punito, gli gridai nell’orecchio:
«Non è colpa mia! Fu quel maledetto dottore che voleva obbligarti di star sdraiato!».
Era una bugia. Poi, ancora come un bambino, aggiunsi la promessa di non farlo più:
«Ti lascerò movere come vorrai».
L’infermiere disse:
«È morto».
75
sabato sera: evidentemente il momento nel quale Saba da bambino era solito fermarsi a guardare il
torrente.
76
austera: ‘severa’.
77
fuggitiva: perché scorre velocemente; ma l’aggettivo richiama il confronto tra il torrente e il rapido
trascorrere della vita e del tempo.
78
né la sua riva: ‘(e non ritrova) le sponde del fiume per le quali è passata una volta (e dove non ripasserà
mai)’.
79
la vita nostra: la vita degli uomini.
80
d’uopo: ‘necessario’.
ansante: ‘ansimante, in affanno’.
82
alto alto: ‘quanto più in alto poté’.
83
Non lo sapevo morto: ‘Non sapevo ancora che era morto’.
84
Carlo: l’infermiere.
81
16
Dovettero allontanarmi a viva forza da quella stanza. Egli era morto ed io non potevo più provargli
la mia innocenza!
Nella solitudine tentai di riavermi. Ragionavo: era escluso che mio padre, ch’era sempre fuori di
sensi 85, avesse potuto risolvere 86 di punirmi e dirigere la sua mano con tanta esattezza da colpire la
mia guancia.
Come sarebbe stato possibile di avere la certezza che il mio ragionamento era giusto? Pensai
persino di dirigermi a Coprosich 87. Egli, quale medico, avrebbe potuto dirmi qualche cosa sulle
capacità di risolvere e agire di un moribondo. Potevo anche essere stato vittima di un atto provocato
da un tentativo di facilitarsi la respirazione! Ma col dottor Coprosich non parlai. Era impossibile di
andar a rivelare a lui come mio padre si fosse congedato da me. A lui, che m’aveva già accusato di
aver mancato di affetto per mio padre!
Fu un ulteriore grave colpo per me quando sentii che Carlo, l’infermiere, in cucina, di sera,
raccontava a Maria: «Il padre alzò alto alto la mano e con l’ultimo suo atto picchiò il figliuolo».
Egli lo sapeva e perciò Coprosich l’avrebbe risaputo.
Quando mi recai nella stanza mortuaria, trovai che avevano vestito il cadavere. L’infermiere doveva
anche avergli ravviata la bella, bianca chioma. La morte aveva già irrigidito quel corpo che giaceva
superbo e minaccioso. Le sue mani grandi, potenti, ben formate, erano livide, ma giacevano con
tanta naturalezza che parevano pronte ad afferrare e punire. Non volli, non seppi più rivederlo.
Poi, al funerale, riuscii a ricordare mio padre debole e buono come l’avevo sempre conosciuto dopo
la mia infanzia e mi convinsi che quello schiaffo che m’era stato inflitto da lui moribondo, non era
stato da lui voluto. Divenni buono, buono e il ricordo di mio padre s’accompagnò a me, divenendo
sempre più dolce. Fu come un sogno delizioso: eravamo oramai perfettamente d’accordo, io
divenuto il più debole e lui il più forte.
Ritornai e per molto tempo rimasi nella religione della mia infanzia 88. Immaginavo che mio padre
mi sentisse e potessi dirgli che la colpa non era stata mia, ma del dottore. La bugia non aveva
importanza perché egli oramai intendeva tutto ed io pure. E per parecchio tempo i colloqui con mio
padre continuarono dolci e celati 89 come un amore illecito, perché io dinanzi a tutti continuai a
ridere di ogni pratica religiosa, mentre è vero – e qui voglio confessarlo – che io a qualcuno
giornalmente e ferventemente raccomandai l’anima di mio padre. È proprio la religione vera quella
che non occorre professare ad alta voce per averne il conforto di cui qualche volta – raramente –
non si può fare a meno.
12A) Eugenio Montale, Il canneto rispunta i suoi cimelli (Ossi di seppia)
Il canneto rispunta i suoi cimelli
nella serenità che non si ragna 90:
l’orto assetato sporge irti ramelli 91
oltre i chiusi ripari 92, all’afa stagna 93.
5
Sale un’ora d’attesa in cielo, vacua,
85
fuori di sensi: ‘in stato di incoscienza’.
risolvere: ‘decidere’.
87
Coprosich: il medico che ha curato suo padre, per il quale Zeno prova una viva antipatia.
88
religione della mia infanzia: tranquillizzante e illusoria fiducia nella vita dell’aldilà e nella possibilità del
colloquio con i morti, a cui il protagonista aveva creduto da bambino.
89
celati: ‘nascosti’.
86
90
Il canneto... si ragna: ‘Il canneto mette i nuovi getti (cimelli) verso il cielo sereno che non si annuvola
(ragna)’. – rispunta: con valore transitivo. – cimelli: diminutivo di ‘cime’; forma del dialetto ligure.
91
irti ramelli: ‘ramoscelli spinosi’.
92
ripari: ‘recinzioni’.
93
all’afa stagna: ‘nell’afa stagnante’.
17
dal mare che s’ingrigia 94.
Un albero di nuvole 95 sull’acqua
cresce, poi crolla come di cinigia 96.
10
Assente, come manchi in questa plaga
che ti presente e senza te consuma 97:
sei lontana e però tutto divaga
dal suo solco, dirupa, spare in bruma 98.
12B) Eugenio Montale, Il ramarro, se scocca... (Le occasioni)
Il ramarro, se scocca
sotto la grande fersa
dalle stoppie 99 –
5
10
la vela, quando fiotta 100
e s’inabissa al salto
della rocca 101 –
il cannone di mezzodì
più fioco del tuo cuore 102
e il cronometro se
scatta senza rumore –
.........................................
e poi? Luce di lampo
invano può mutarvi in alcunché
di ricco e strano. Altro era il tuo stampo 103.
94
Sale... s’ingrigia: ‘Dal mare che si scurisce (s’ingrigia) sale in cielo un momento di attesa indefinita, vuota
(vacua)’.
95
Un albero di nuvole: ‘Un banco di nuvole a forma di albero’.
96
crolla... cinigia: ‘si disfa, come se fosse di cenere (cinigia)’.
97
Assente... consuma: ‘O tu che sei assente, come manchi in questo luogo (plaga) che sente il tuo avvicinarsi
(ti presente) e si consuma senza di te’. – Assente: in rima interna con presente, al v. successivo. – plaga:
‘tratto di terra o di cielo non circoscritto’; è termine di uso letterario. – consuma: è usato eccezionalmente
come forma intransitiva.
98
e però... bruma: ‘e perciò (però, dal latino per hoc) ogni cosa esce (divaga) dal suo solco naturale,
precipita (dirupa), si dissolve (spare) in nebbia (bruma)’.
99
Il ramarro... stoppie: ‘Il ramarro, se sfreccia dalle stoppie sotto la sferza (fersa) della calura’. È un
richiamo preciso a Dante, Inferno, XXV, 79-81: «sotto la gran fersa / dei dì canicular, cangiando sepe, /
folgore par se la via attraversa». Del testo dantesco manca qui un esplicito riferimento alla calura, evocata
indirettamente dalle stoppie, cioè ciò che resta degli steli di grano dopo la mietitura. Il testo mostra una
struttura “a catalogo” (Il ramarro... la vela... il cannone), presente anche in altri componimenti nella serie dei
Mottetti.
100
fiotta: ‘ondeggia’.
101
s’inabissa... rocca: ‘scompare come se si inabissasse in prossimità della costa rocciosa colpita da un
improvviso cambio di vento (salto)’. – salto: è usato qui nell’accezione del gergo marinaresco.
102
il cannone... cuore: ‘il suono del cannone, che segna lo scoccare del mezzogiorno, più debole del battito
del tuo cuore’. – tuo: è riferito qui all’interlocutrice del poeta, Clizia; la natura della donna è tale che ogni
fenomeno, al suo confronto, appare minore.
103
Luce... stampo: ‘La rivelazione, istantanea come la luce di un lampo, non riesce a trasfigurarvi in qualcosa
di significativo e inaudito. La tua impronta (il tuo stampo, quello della donna assente) era ben altra cosa’.
18
13) Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, cap. II
Il corpo della povera signora giaceva in una posizione infame 104, supino, con la gonna di lana
grigia e una sottogonna bianca buttate all’indietro, fin quasi al petto: come se qualcuno avesse
voluto scoprire il candore affascinante di quel dessous 105, o indagarne lo stato di nettezza 106.
Aveva mutande bianche, di maglia a punto gentile 107, sottilissimo, che terminavano a metà coscia
in una delicata orlatura 108. Tra l’orlatura e le calze, ch’erano in una lieve luce di seta, denudò se
stessa la bianchezza estrema della carne, d’un pallore da clorosi 109: quelle due cosce un po’ aperte,
che i due elastici – in un tono di lilla 110 – parevano distinguere in grado 111, avevano perduto il loro
tepido senso, già si adeguavano al gelo: al gelo del sarcofago, e delle taciturne dimore 112. L’esatto
officiare del punto a maglia, per lo sguardo di quei frequentatori di domestiche, modellò inutilmente
le stanche proposte d’una voluttà il cui ardore, il cui fremito, pareva essersi appena esalato dalla
dolce mollezza del monte, da quella riga, il segno carnale del mistero 113... quella che Michelangelo
(don Ciccio ne rivide la fatica, a San Lorenzo) aveva creduto opportuno di dover omettere.
Pignolerie! Lassa perde! 114
Le giarrettiere 115 tese, ondulate appena agli orli, d’una ondulazione chiara di lattuga 116: l’elastico
di seta lilla, in quel tono che pareva dare un profumo 117, significava a momenti la frale gentilezza e
della donna e del ceto 118, l’eleganza spenta 119 degli indumenti, degli atti, il secreto modo della
104
infame: ‘sconveniente’, ‘oscena’.
dessous: ‘biancheria intima femminile’ (francese, letteralmente:
‘disotto’).
106
stato di nettezza: ‘condizione di pulizia’.
107
di maglia a punto gentile: ‘lavorate a maglia con un punto di
grande eleganza’.
108
orlatura: ‘orlo’.
109
denudò... clorosi: ‘il colore bianchissimo della carnagione si mostrò nella pelle nuda, rivelando un pallore
tipico di chi è affetto da clorosi (anemia della donna nel periodo della pubertà, in rapporto con insufficienze
ovariche e neuro-ormoniche)’.
110
in un tono di lilla: ‘di una tonalità lilla’.
111
distinguere in grado: ‘distinguere la diversa gradazione di colore
della pelle scoperta rispetto a quella coperta dalle calze’.
112
avevano perduto... dimore: ‘avevano perduto il loro tepore di corpo vivo (tepido senso) e stavano già
diventando gelide come il resto del corpo: si adeguavano al gelo della bara (sarcofago) e delle tombe
silenziose (taciturne dimore)’.
113
L’esatto... del mistero: ‘Il tessuto lavorato a maglia (punto a maglia) svolse con precisione il compito
(l’esatto officiare: nel testo è il soggetto) di delineare senza scopo (davanti agli occhi degli astanti, gente
abituata a frequentare cameriere) le attrazioni languide (stanche proposte) di un piacere erotico (voluttà) la
cui intensità, i cui brividi parevano essere appena svaniti dal tenero e attraente rigonfiamento della pelle sul
monte di Venere (del monte), dal solco del sesso (quella riga), l’espressione sensibile, fatta carne, del
mistero (dell’amore e della maternità)’.
114
quella... Lassa perde!: ‘quella (la riga) che Michelangelo (don Ciccio Ingravallo – il commissario di
polizia incaricato dell’indagine – rivide la sua opera, fatica, nella chiesa di S. Lorenzo) aveva ritenuto
opportuno non segnare. Precisazioni inutili. Lascia stare (Lassa perde, forma romanesca)’; l’allusione è alle
tombe medicee di Michelangelo nella Sacrestia Nuova di S. Lorenzo, a Firenze, precisamente a una delle
sculture, l’Aurora, una figura femminile nuda di cui è ben visibile il basso ventre.
115
giarrettiere: accessorio che reggeva le calze femminili costituito da un nastro elasticizzato dal quale
partivano quattro fettucce da agganciare alle calze.
116
d’una ondulazione... lattuga: ‘ondulati e chiari come le foglie di lattuga’.
117
in quel tono... profumo: il colore lilla, ricordando il colore della violetta, sembra quasi emanarne anche il
delicato profumo.
118
significava... ceto: ‘esprimeva a tratti la fragile nobiltà sia di Liliana che della sua classe sociale (ceto)’.
119
spenta: ‘che non dà nell’occhio, un po’ triste’.
105
19
sommissione 120, tramutata ora nella immobilità di un oggetto, o come d’uno sfigurato manichino
121
. Tese, le calze, in una eleganza bionda quasi una nuova pelle, dàtale (sopra il tepore creato) dalla
fiaba degli anni nuovi, delle magliatrici blasfeme 122: le calze incorticavano 123 di quel velo di lor
luce il modellato delle gambe 124, dei meravigliosi ginocchi: delle gambe un po’ divaricate, come ad
un invito orribile. Oh, gli occhi! dove, chi guardavano? Il volto!... Oh, era sgraffiata, poverina! Fin
sotto un occhio, sur 125 naso!... Oh, quel viso! Com’era stanco, stanco, povera Liliana, quel capo,
nel nimbo, che l’avvolgeva, dei capelli, fili tuttavia operosi della carità 126. Affilato nel pallore, il
volto: sfinito, emaciato dalla suzione atroce della Morte 127.
Un profondo, un terribile taglio rosso le apriva la gola, ferocemente. Aveva preso metà il collo 128,
dal davanti verso destra, cioè verso sinistra, per lei, destra per loro 129 che guardavano: sfrangiato ai
due margini come da un reiterarsi dei colpi, lama o punta 130: un orrore! da nun potesse vede 131.
Palesava come delle filacce rosse, all’interno, tra quella spumiccia nera der sangue, già raggrumato,
a momenti; un pasticcio! con delle bollicine rimaste a mezzo 132. Curiose forme, agli agenti:
parevano buchi, al novizio, come dei maccheroncini color rosso, o rosa 133. «La trachea», mormorò
Ingravallo chinandosi, «la carotide! la iugulare 134... Dio!».
Er sangue aveva impiastrato tutto er collo, er davanti de la camicetta, una manica: la mano: una
spaventevole colatura d’un rosso nero, da Faiti o da Cengio 135 (don Ciccio rammemorò 136 subito,
120
il secreto... sommissione: ‘i modi e gli atteggiamenti ignoti agli altri (secreto modo) di quando si
concedeva al marito (sommissione, ‘sottomissione’)’.
121
tramutata... manichino: ‘(l’eleganza) trasformata ora in un oggetto immobile (il corpo di Liliana:
nell’«immobilità di un oggetto » è un’ipallage) o in una sorta di manichino sfigurato (allusione alle ferite)’.
122
in una eleganza... blasfeme: ‘(che) per il loro colore dorato elegante, come biondo, (parevano) una sorta di
nuova pelle, regalata (sopra il suo tiepido corpo vivo: tepore creato) dalle speranze belle della sua vita futura
e illusorie come una favola (dalla fiaba degli anni nuovi), quelle speranze false create per lei da un destino
bugiardo e crudele’. – magliatrici blasfeme: ‘magliaie bugiarde e crudeli’: sono le Parche, le ‘tessitrici’, le tre
divinità che nella mitologia classica tessevano e tagliavano il filo della vita dei mortali, qui degradate a
operaie.
123
incorticavano: ‘ornavano ricoprendo’; il verbo incorticare, assente dai principali dizionari italiani, è
costruito su “cortice” ‘corteccia, scorza, buccia’.
124
il modellato delle gambe: ‘la linea modellata delle gambe’.
125
sur: ‘sul’(romanesco).
126
nel nimbo... della carità: ‘nell’aureola (nimbo, letteralmente: ‘nube’), che lo circondava (il capo), formata
dai suoi capelli, fili ancora attivi della carità’. L’aureola dei capelli biondi attribuisce a Liliana i segni della
santità: i fili d’oro dei capelli sembrano dare ancora l’idea di quanto la vittima fosse caritatevole in vita.
127
Affilato... Morte: ‘Il volto reso appuntito dal pallore, stremato, come svuotato dal risucchio (suzione)
spietato della morte’, come se la morte le avesse risucchiato la vita aspirandola.
128
metà il collo: ‘metà del collo’.
129
loro: gli astanti, e cioè don Ciccio, gli agenti, il cugino della vittima e la portinaia dello stabile.
130
sfrangiato... punta: ‘arricciato ai due bordi come se avesse ricevuto ripetuti colpi di coltello, di taglio
(lama) o di punta’.
131
da... vede: ‘da non potersi guardare’ (romanesco).
132
Palesava... a mezzo: ‘A momenti (il taglio della ferita) metteva in mostra (palesava) all’interno una sorta
di tessuto sfilacciato (filacce) di colore rosso, in mezzo a quella spuma nera del (der, romanesco) sangue già
coagulatosi, lo mostrava ogni tanto: un pasticcio (in senso incongruamente, e crudelmente, gastronomico:
come il ‘pasticcio di maccheroni’), con delle bollicine rimaste in mezzo (a mezzo)’.
133
Curiose... rosa: ‘Forme strane, allo sguardo degli agenti di polizia: a un inesperto (al novizio) sembravano
delle cavità (buchi), come dei maccheroncini di colore rosso o rosa’.
134
La trachea... la iugulare: le parti dell’apparato respiratorio (trachea) e di quello circolatorio (carotide,
iugulare o giugulare: un’arteria e una vena del collo) che i colpi sul collo hanno penetrato e spezzato e che
solo Ingravallo, da poliziotto esperto, riconosce inorridito.
135
da Faiti o da Cengio: ‘come il sangue che fu versato sul Faiti Hrib e sul monte Cengio’ (due monti del
Carso, in Friuli, luoghi di sanguinosi scontri tra italiani e austriaci nella prima guerra mondiale tra il 1916 e il
1917).
20
con un lontano pianto nell’anima, povera mamma! 137). S’era accagliato 138 sul pavimento, sulla
camicetta tra i due seni: n’era tinto anche l’orlo della gonna, il lembo rovescio de quela vesta de
lana buttata su 139, e l’altra spalla: pareva si dovesse raggrinzare 140 da un momento all’altro: doveva
de certo 141 risultarne un coagulato tutto appiccicoso come un sanguinaccio 142.
Il naso e la faccia, così abbandonata 143, e un po’ rigirata da una parte, come de chi nun ce la fa più a
combatte, la faccia! rassegnata alla volontà della Morte, apparivano offesi 144 da sgraffiature, da
unghiate: come ciavesse preso gusto, quer boja 145, a volerla sfregiare a quel modo. Assassino!
Gli occhi s’erano affisati orrendamente: a guardà che, poi? Guardaveno, guardaveno, in direzzione
nun se capiva de che, verso la credenza granne, in cima in cima, o ar soffitto. Le mutandine nun
ereno insanguinate: lasciaveno scoperti li du tratti de le cosce, come du anelli de pelle: fino a le
calze, d’un biondo lucido. La solcatura del sesso... pareva d’esse a Ostia d’estate, o ar Forte de
marmo de Viareggio, quanno so sdraiate su la rena a cocese, che te fanno vede tutto quello che
vonno. Co quele maje tirate tirate d’oggiggiorno 146.
136
rammemorò: ‘ricordò’.
povera mamma!: allusione improvvisa al lutto della madre di Ingravallo per un figlio morto in guerra sul
fronte del Carso. In nessun altro punto del romanzo si accenna a questo evento.
138
S’era accagliato: ‘(Il sangue) si era raggrumato’.
139
de quela... su: ‘di quella veste di lana buttata all’indietro (scoprendo le mutande)’.
140
raggrinzare: ‘rapprendere’ (il sangue).
141
de certo: ‘di certo’ (romanesco).
142
sanguinaccio: il sangue rappreso di Liliana è associato a quello del sanguinaccio, un salume che ha alla
base un impasto di sangue di maiale.
143
così abbandonata: ‘così priva di vita’.
144
offesi: ‘segnati e come oltraggiati’.
145
come... boja: ‘come se quel boia, quel macellaio, avesse provato piacere’.
146
Gli occhi... d’oggiggiorno: ‘Gli occhi erano rimasti a guardare fissi, in modo orribile, a guardare cosa poi?
Guardavano, guardavano, non si capiva in direzione di che cosa, verso l’armadio grande, in cima all’armadio
o verso il soffitto. Le mutandine non erano insanguinate: lasciavano scoperte le due parti delle cosce, come
due anelli di pelle, fino alle calze di un colore dorato, come un biondo brillante. Il solco del sesso... pareva di
essere a Ostia in estate o al Forte dei Marmi di Viareggio (Ostia e Forte dei Marmi sono due note località
balneari), quando (le donne) stanno sdraiate sulla sabbia a cuocersi prendendo il sole, tanto che ti mostrano
tutto quello che vogliono; con quei costumi da bagno (maglie) stretti stretti che si usano ai nostri giorni’
(romanesco).
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