rivista bancaria - Minerva Bancaria
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RIVISTA BANCARIA www.rivistabancaria.it MINERVA BANCARIA ISTITUTO DI CULTURA BANCARIA «FRANCESCO PARRILLO» Marzo-Aprile 2015 Tariffa Regime Libero:-Poste Italiane S.p.a.-Spedizione in abbonamento Postale-70%-DCB Roma 2 RIVISTA BANCARIA MINERVA BANCARIA COMITATO SCIENTIFICO (Editorial board) PRESIDENTE (Editor): GIORGIO DI GIORGIO, Università LUISS Guido Carli, Roma MEMBRI DEL COMITATO (Associate Editors): PIETRO ALESSANDRINI, Università Politecnica delle Marche PAOLO ANGELINI. Banca d’Italia PIERFRANCESCO ASSO, Università degli Studi di Palermo EMILIA BONACCORSI DI PATTI, Banca d’Italia CONCETTA BRESCIA MORRA, Università degli Studi del Sannio FRANCESCO CANNATA, Banca d’Italia ALESSANDRO CARRETTA, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” ENRICO MARIA CERVELLATI, Università di Bologna NICOLA CETORELLI, New York Federal Reserve Bank N.K. CHIDAMBARAN, Fordham University MARIO COMANA, LUISS Guido Carli GIANNI DE NICOLÒ, International Monetary Fund RITA D’ECCLESIA, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” GIOVANNI DELL’ARICCIA, International Monetary Fund STEFANO DELL’ATTI, Università degli Studi di Foggia GIORGIO DI GIORGIO, LUISS Guido Carli CARMINE DI NOIA, ASSONIME LUCA ENRIQUES, University of Oxford GIOVANNI FERRI, Università LUMSA FRANCO FIORDELISI, Università degli Studi “Roma Tre” LUCA FIORITO, Università degli Studi di Palermo FABIO FORTUNA, Università Niccolò Cusano EUGENIO GAIOTTI, Banca d’Italia GUR HUBERMAN, Columbia University AMIN N. KHALAF, Ernst & Young RAFFAELE LENER, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” NADIA LINCIANO, CONSOB PINA MURÉ, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” FABIO PANETTA, Banca d’Italia ALBERTO FRANCO POZZOLO, Università degli Studi del Molise ZENO ROTONDI, Unicredit Group ANDREA SIRONI, Università Bocconi MARIO STELLA RICHTER, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” MARTI SUBRAHMANYAM, New York University ALBERTO ZAZZARO, Università Politecnica delle Marche Comitato Accettazione Saggi e Contributi: GIORGIO DI GIORGIO (editor in chief) - Alberto Pozzolo (co-editor) Mario Stella Richter (co-editor) - Domenico Curcio (assistant editor) ISTITUTO DI CULTURA BANCARIA «FRANCESCO PARRILLO» PRESIDENTE CLAUDIO CHIACCHIERINI VICE PRESIDENTI MARIO CATALDO - GIOVANNI PARRILLO CONSIGLIO TANCREDI BIANCHI, GIAN GIACOMO FAVERIO, ANTONIO FAZIO, GIUSEPPE GUARINO, PAOLA LEONE, ANTONIO MARZANO, FRANCESCO MINOTTI, PINA MURÈ, FULVIO MILANO, ERCOLE P. PELLICANO’, CARLO SALVATORI, MARIO SARCINELLI, FRANCO VARETTO In copertina: “Un banchiere e sua moglie” (1514) di Quentin Metsys (Lovanio, 1466 - Anversa, 1530), Museo del Louvre - Parigi. RIVISTA BANCARIA MINERVA BANCARIA ANNO LXXI (NUOVA SERIE) MARZO-APRILE 2015 N. 2 SOMMARIO Editoriale G. DI GIORGIO Oltre il QE: area euro e Italia alla prova della ripresa ........ 3 Saggi F. CANNATA, S. CASELLINA M. LIBERTUCCI (In)coerenza degli attivi ponderati per il rischio delle banche: un’analisi empirica sui grandi players europei ..................................................... 7 M. MUSCETTOLA L’intensità della domanda e dell’offerta: di credito bancario come fattore rilevante di classificazione delle imprese ........................................... 41 Contributi S. SEGNALINI I primi centodieci anni degli art funds: problemi e prospettive ........................................................................ 75 Rubriche Primi passi della vigilanza unica bancaria (G. Cinquegrana, M. Di Stefano) ............................................................................... 103 Asset quality review: la trasparenza si è tradotta in un investimento (da capitalizzare) di circa 56 miliardi di euro per il sistema (M. Macellari, G. Costantino, M. Salemi) .................................................................. 129 Bankpedia: Meccanismo di vigilanza unico - MVU (G. Aversa) ........................................................................ 137 Recensioni G. Amari, Parla Federico Caffè. Dialogo immaginario sulla “società in cui viviamo” (L. Paliotta) .................................................................. 143 Presidente del Comitato Scientifico: Giorgio Di Giorgio Direttore Responsabile: Giovanni Parrillo Comitato di Redazione: Eloisa Campioni, Mario Cataldo, Giovanni Nicola De Vito, Vincenzo Formisano, Stefano Marzioni, Biancamaria Raganelli, Giovanni Scanagatta, Giuseppe Zito e.mail: [email protected] - [email protected] Amministrazione: presso P&B Gestioni Srl, Viale di Villa Massimo, 29 - 00161 – Roma tel. +39 06 45437321- fax +39 06 45437325 Spedizione in abbonamento postale - Pubblicazione bimestrale - 70% - Roma ISSN: 1594-7556 La Rivista è accreditata AIDEA e SIE Econ.Lit I PRIMI CENTODIECI ANNI DEGLI ART FUNDS: PROBLEMI E PROSPETTIVE1 SILVIA SEGNALINI* Sintesi Il saggio può essere diviso in tre parti: la prima dedicata essenzialmente alla ricostruzione il più possibile completa e circostanziata della storia degli art funds, dalla prima esperienza del 1904 (con un fondo ante litteram chiamato La Peau de l’Ours) ai nostri giorni, in cui si cerca già di mettere l’accento sulle principali problematicità dei medesimi. Nella seconda parte, si delineano poi alcune ipotesi di inquadramento dei fondi d’arte, come fondi di investimento alternativo, nel sistema – che si sta progressivamente delineando nella sua forma definitiva, nel momento in cui si scrive - della legislazione europea (soprattutto Direttiva UCITS IV) ed italiana sui fondi alternative (per la quale si considera soprattutto il Documento di Consultazione Pubblica del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento del Tesoro nel mese di maggio 2014, contenente lo schema di Regolamento attuativo dell’art. 39 del novellato T.U.F.). Il saggio si conclude con una sintesi delle prospettive che le novità legislative sembrerebbero aprire per gli art funds, e con un appendice in cui si raccolgono le principali informazioni utili sul mercato dell’arte, tramite gli indici più rilevanti ed accreditati per il medesimo. 1 Sia consentito a chi scrive un preliminare ringraziamento al prof. Raffaele Lener e all’avv. Roberta d’Apice, che hanno avuto la generosità e la voglia di vigilare, con la loro competenza e professionalità, su queste pagine. * Università Sapienza di Roma - [email protected] RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015 75 SILVIA SEGNALINI The first one hundred and ten years of art funds: problems and prospects – Abstract In the issue, we first focus on the history of art funds, from La Peau de l’Ours (1904) until today, providing an illustration of the main peculiarities and issues of this kind of alternative investment funds. We then point out how relevant Italian and European legislation on alternative fund is constantly evolving with a process of reciprocal and progressive standardisation which however still preserves angles of national peculiarities. In this framework, and on the assumption that art is considered as an alternative asset class both by economists and jurists, we suggest a possible classification of art funds in the European and Italian scenary of alternative investment funds which is shaping up. To this end, we consider the UCITS IV (i.e. Undertakings for Collective Investments in Transferable Securities) Directives: as regards it, art funds are not UCITS funds as well as the rules contained in the consultation version of the Consolidated Finance Act published by the Ministry of Economy and Finance (MEF) – Treasury Department in May 2014, containing a general outline of ar. 39 of the Consolidated Finance Law. Finally an appendix provides the most important information about the art market using the most relevant and credited indexes. JEL Classification: Z11, L82, G15, K39. Keywords: history of art funds, alternative funds, art market, AIFMD, UCITS Parole chiave: storia fondi di investimento in arte, fondi alternativi, mercato dell’arte, AIFMD, UCITS 76 CONTRIBUTI I PRIMI CENTODIECI ANNI DEGLI ART FUNDS: PROBLEMI E PROSPETTIVE Introduzione La parabola compiuta dagli art funds, anche se poco frequentati dagli investitori – oltre che dalla dottrina2 - , è tutt’altro che breve. Era infatti il 1904 quando dodici appassionati d’arte, sotto la guida del finanziere francese André Level, diedero vita alla prima forma, ante litteram, di fondo di arte della storia, La Peau de l’Ours3, attraverso il quale furono acquistate solo opere d’arte contemporanea4. È importante sottolineare da sùbito come, nonostante l’operazione sembrasse di primo acchito altamente speculativa e rischiosa, in realtà fu la prudenza, la lungimiranza e l’intelligenza dei suoi partecipanti a guidarla: l’impegno economico richiesto agli investitori fu infatti modesto (250 franchi per ciascuno), e l’asset del fondo non a caso sapientemente costruito intorno ad uno specifico segmento di mercato, all’interno del quale furono scelte, per gli acquisti, solo opere di gran pregio. Non ultimo: tutti gli investitori si fidavano cecamente del fiuto artistico e per gli affari del promotore. Il successo fu straordinario: allo scadere del periodo di investimento, il 2 marzo 1914, l’intera collezione andò all’incanto all’Hotel Drouot di Parigi, con prezzi spesso decuplicati rispetto a quelli originari5. Sono passati quindi poco più di cento anni da quella leggendaria tornata d’asta, e la storia, a ben guardare, registra solo un altro esempio di art fund il cui successo, nonostante non sia nemmeno paragonabile a quello de La Peau de l’Ours, si possa comunque considerare significativo: quello del British Rail Pension Fund, istituito dalle ferrovie inglesi a beneficio dei suoi impiegati nel 19746. 2 3 4 5 6 A quanto ci consta, a parte gli studi, che potremmo definire “preliminari” e di introduzione alla materia, di C. Zampetti, “Art funds”: Benefici e difficoltà, in AGE, 1/2007, 187 ss.; e G. Iannaccone, Fondi comuni di investimento in opere d’arte: opportunità tra problematiche valutative e conflitti di interesse, ibidem, 199 ss., l’unico saggio in dottrina in cui si è tentata una riflessione di più ampio respiro scientifico sugli art funds è quello di F. Capriglione, I fondi chiusi di beni d’arte, in Contratto e Impresa, XXIII.3, 2007, 736 ss. (ma anche in Riv. Dir. Civ., 2007; e Banca, borsa e titoli di credito, 2007). Dal titolo – evocativo – di una novella di La Fontaine la cui morale suggerisce, non a caso, di non vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso: un invito alla prudenza che, come vedremo supra, nel prosieguo, nel testo, fu una delle caratteristiche di questa prima, e ante litteram, esperienza di art fund. Su questo tema cfr. per tutti, per una panoramica di carattere generale: C. Zampetti, “Art funds”, cit., 187 ss. Sul punto cfr. R. Heller, The only bear marketever to make a profit, State of Art, Issue 5, Apr-May 2006, da http://www.state-of-art.org/state-of-art/ISSUE%20FIVE/heller5.html. Sottolinea inoltre Zampetti, “Art funds”, cit., 190, come il successo fu tale per cui gli investitori, avendo quadruplicato il loro investimento inziale, decisero di donare il 5% dei loro guadagni agli artisti del fondo: una sorta di esempio ante litteram del c.d. diritto di seguito. Su quest’ultimo, cfr. per tutti, per un approfondimento, A. Candela, A. E. Scorcu (a cura di), Il maestro e il suo diritto. Testi e problemi del Diritto di seguito, Torino, 2010, 6 ss.; mentre mi sia consentito il rinvio a S. Segnalini, Dizionario giuridico dell’arte, Milano, 2009, 136-142 per una più rapida disamina dell’istituto. Per altri dettagli, più generali, sull’attività di questo fondo, cfr. per tutti J. Eckstein, The Experience of the British Rail Pension Fund, Investing in Fine Art, London, 2003, 3 ss. RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015 77 SILVIA SEGNALINI Il meccanismo utilizzato fu però del tutto diverso: questo fondo infatti comprò e rivendette opere d’arte sempre attraverso Sotheby’s, ma a ben guardare delle 24.000 opere vendute si stimò che circa 60, da sole – le migliori, qualitativamente parlando - , generarono la maggior parte del profitto. Questo per dire che, a differenza de La Peau de l’Ours, gli acquisti furono interamente gestiti da una casa d’aste, esterna al fondo, le cui scelte si caratterizzarono per essere piuttosto dispersive: molte più opere, che rappresentavano vari segmenti di mercato, e soprattutto una selezione delle medesime non sempre dettata dalla ricerca dell’eccellenza. In generale, come si diceva poc’anzi, si trattò di un esperimento di successo, ma pur rendendo più dell’inflazione, il fondo sottoperformò il mercato azionario7. Dopo quelle prime due esperienze, la situazione degli art funds conobbe una fase poco felice: ozioso ripetere quanto già sintetizzato in opere che hanno preceduto questo contributo8, che descrivono la parabola compiuta dai principali fondi nati a partire dalla fine degli anni Novanta/inizio del Duemila: tutti ugualmente destinati a rimanere non operativi o ad avere uno scarso successo9. Le uniche eccezioni in questo quadro sono il Fine Art Fund, fondo londinese ideato da Lord Hanson, un uomo d’affari che è riuscito a coinvolgere nella gestione personalità come Phillip Hoffman, ex vice- director di Christie’s, e Lord Gowrie, Ministro britannico della Cultura del Governo Thatcher e Presidente di Sotheby’s per 10 anni. Si tratta di un fondo che ha ridimensionato 7 8 9 78 Così ancora Zampetti, “Art funds”, cit., 191, con rimandi a M. Baram, Art funds starved for investors, in «Wall Street Journal», 22 agosto 2005. Più ottimista A. Zorloni, L’economia dell’arte contemporanea. Mercati, strategie e star system, Milano, 2011, 188, che sottolinea il rendimento annuale positivo (circa +13,1%) del British Railways Pension Fund, e viceversa il fallimento di tutti i fondi di arte lanciati a partire dal 2006 (ma omette di confrontare tale risultato con quello de La Peau de l’Ours, per esempio; così come tralascia un’analisi dettagliata delle cause del successo o dell’insuccesso dei singoli fondi, limitandosi a notare – anche se a ragione – come quelli fondati dopo il 2006 impattarono nella crisi finanziaria globale. Sommessamente, chi scrive ritiene che vi sia di più: cfr. pertanto, infra, nel prosieguo del discorso, in particolare alla fine di questo § e infra, nel § 4). Soprattutto Zampetti, “Art funds”, cit., 191 ss.; e Zorloni, L’economia dell’arte contemporanea, cit., 187 ss. Il riferimento è al fondo dei fondi di ABN-AMRO, annunciato e poi mai venuto alla luce (in quanto la maggior parte dei fondi allora esistenti si è rifiutata di sottostare alla due-diligence del gruppo, che quindi non è riuscito mai a partire proprio perché non trovò un sufficiente numero di prodotti operativi, sicuri, su cui investire); all’American Art Fund, che non ha mai raggiunto il capitale minimo di investimento; al China Fund, dalla simile sorte; all’Art and Antiques Fund (dall’idea molto interessante – a sostegno dei mercanti - , ma ciononostante similmente destinato a non venire mai alla luce); all’Art Vest, del tutto particolare – non cercava capitale, ma voleva vendere azioni del suo asset investito in arte - di cui non si è saputo più nulla; del Fernwood Art Investments, che, ancora una volta, non riuscì a trovare mai il capitale minimo per partire; al Mutual Art Incorporated, non più operativo nonostante, ancora una volta, l’intento lodevole, questa volta a favore degli artisti, cui cercava di assicurare una pensione; al Trading Art Fund, cui non bastò l’avere Charles Saatchi nel management per sfuggire alla liquidazione. Del fondo Pinacotheca di Vegagest, l’unico autorizzato nel nostro Paese dalla Banca d’Italia, si dirà più oltre: cfr. infra, nel prosieguo di questo §. CONTRIBUTI I PRIMI CENTODIECI ANNI DEGLI ART FUNDS: PROBLEMI E PROSPETTIVE progressivamente nel tempo le sue ambizioni, rappresentando attualmente un veicolo di investimento privato (non ha convinto infatti nessun investitore istituzionale) di modeste dimensioni: il che non ha impedito però al gruppo di lanciare nel tempo altri fondi. Non è particolarmente agevole sapere come tali fondi investano il suo capitale, ma sembrerebbe che la strategia del gruppo sia quella di diversificare molto i periodi e le opere da acquistare. Poi c’è il caso del Lussemburgo, che è del tutto particolare, in quanto una serie di condizioni (fiscali, normative, politiche, etc.) lo rendono la seconda piazza di fondi di investimento al mondo dopo gli Stati Uniti10: la riservatezza caratteristica di tale contesto non permette di avere troppe informazioni, per cui con certezza, allo stato, sulla base delle ricerche condotte, si può solo dire che, dopo non poche difficoltà, è operativo da un paio di anni il fondo di Anthea Art: non solo specializzato in un particolare segmento di mercato, quello dell’arte post war e contemporanea, ma soprattutto finalizzato alla costruzione di una vera e propria collezione, coerente, costituita di opere ben scelte (grazie al lavoro di due curatori internazionali, che fanno parte del management del fondo, di provata indipendenza e riconosciuta competenza). Anche se non sappiamo, e non è possibile sapere allo stato, se la scelta sarà poi, alla scadenza del periodo di investimento, quella di vendere la collezione in blocco – opzione che sicuramente accenderebbe l’interesse di aspiranti collezionisti di Paesi di recente ricchezza – o, come più tradizionalmente avviene, le singole opere. Parimenti, non è possibile conoscere la sorte di esperienze più recenti. 10 Al 31 dicembre 2013, quasi 2,6 trilioni di asset e più di 3.900 fondi risultavano domiciliati in Lussemburgo. A partire dal 2007, e con la creazione, rivelatasi vincente, del regime SIF, il Lussemburgo ha registrato un incremento significato del numero di veicoli legali utilizzati per gli investimenti alternativi. Nel Paese è inoltre ormai un anno che è entrata in vigore la Direttiva AIFMD. In estrema sintesi, possiamo affermare come le strutture alternative siano organizzate sotto forma di UCI (…..), SIF e SICAR, veicoli legali inseriti in un quadro assai flessibile, in quanto tali strutture possono essere ulteriormente abbinate alla scelta di una forma giuridica (SICAV, SICAF, FCP). Nonostante le strutture SIF e SICAR siano dedicate ai c.d. “investitori ben informati”, la diversità degli schemi permessi fornisce ai gestori la possibilità di creare la struttura più adatta agli investimenti alternativi. Gli UCI in particolare dal momento che non possono essere qualificati come UCITS armonizzati, consentono un’esposizione verso assets alternativi. Sulla base della normativa AIFM, gli UCI vengono automaticamente qualificati come AIF; possono essere costituiti sotto forma societaria o contrattuale ed essere creati come veicoli comuni chiusi: in Lussemburgo la commercializzazione di questo tipo di fondi è infatti consentita alla clientela retail. Le SICAR (società d’investimento in capitale di rischio), progettate essenzialmente per gli ivestimenti in capitale di rischio (private equity e venture capital) si differenziano dai SIF in quanto permettono la concentrazione degli investimenti in un unico progetto, senza obbligo di diversificazione. I SIF, infine, creati nel 2007, sono un veicolo che consente, attraverso l’utilizzo di un quadro normativo adattabile, investimenti in qualsiasi tipo di assets, compresi quelli “specializzati” (come ad es. oggetti d’arte, vini pregiati, etc.): l’unico limite agli investimenti (e ai progetti di investimento, potenzialmente illimitati grazie a questo strumento), deriva dal principio della diversificazione dei rischi, che è applicabile alle SIF (e non alle SICAR, come già evidenziato). I SIF beneficiano inoltre di un regime fiscale agevolato, per cui gli investitori, qualora non siano domiciliati né residenti in Lussemburgo, non sono soggetti alla tassazione delle plusvalenze, dei proventi o delle ritenute alla fonte sulla distribuzione dei dividendi. RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015 79 SILVIA SEGNALINI Tra le quali un posto merita senz’altro il Fine Art Fund III, dell’omonimo gruppo: un fondo, nato nel settembre 2013 grazie ancora una volta a Phillip Hoffman, con base stavolta, non a Londra, come gli altri fondi del gruppo, ma non a caso in Lussemburgo; e specializzato nel sostegno del particolare meccanismo delle garanzie11 nelle aste di Christie’s e Sotheby’s. Vi è poi l’Art Trading Fund, lanciato nel 2012 da Chris Carlson, che si caratterizza per essere molto speculativo, concentrandosi quindi in investimenti quasi esclusivamente in arte contemporanea, con un veloce turn over delle opere possedute. Così come non molto è possibile dire dei numerosi fondi di arte in Cina: si stima infatti che di 83 art funds censiti nel mondo, circa 58 siano stati fondati in Cina a partire dal 2009 (dati su cui in realtà molti operatori del settore dubitano)12. A questo risultato, non è stato estraneo di certo il Governo cinese, che tende a stimolare il settore, al punto che è dello stesso anno la creazione anche della Shenzhen Cultural Assets and Equity Exchange (SZCAEE), la borsa dei beni culturali di Shenzhen13. 11 Sui contratti di garanzia delle case d’asta, mi sia ancora una volta consentito il rinvio, per le prime informazioni generali (ma non ci consta che sia possibile, allo stato, andar oltre quest’ultime: forse non a caso, la materia è avvolta dalla massima riservatezza), a Segnalini, Dizionario giuridico dell’arte, cit., 101 s. 12 I dati citati derivano dall’ultimo rapporto Art & Finance di Deloitte Luxembourg e ArTactic. 13 Così ancora Zorloni, L’economia dell’arte contemporanea, cit., 189. Informazioni di diverso genere, ma tutt’altro che di dettaglio, sui fondi d’arte cinesi, sono reperibili in F. Vasoli, I fondi di opere d’arte nei mercati emergenti: il caso della Cina, in «Art&Law», 9/2012, 5 ss. (Newsletter di Negri-Clementi Studio Legale Associato, a cura di G. Negri-Clementi e S.Stabile), in cui viene sottolineato come, nonostante l’investimento in arte in Cina, anche a causa della scarsa soddisfazione che forme di investimento più tradizionali sono in grado di assicurare (non foss’altro per i vincoli imposti dal Governo), stia raggiungendo valori ragguardevoli, la cautela è d’obbligo, in assenza di un quadro normativo specifico. Per di più il fenomeno è nuovo, molti fondi operano da pochi anni, e gli analisti credono – ma questo è un rischio che tutti gli art funds corrono – che la maggior parte di essi potrebbe essere sciolta dopo qualche anno dalla costituzione. Non è quindi un caso, in questo quadro di estrema incertezza, che tali fondi investano soprattutto in opere d’arte figurativa tradizionale cinese (di epoca moderna e di genere calligrafico), dai rendimenti più sicuri rispetto a quelli della – troppo volatile – arte contemporanea cinese. È la strategia anche dei più rinomati trader di arte; così come del primo art fund della Minsheng Bank, creato nel 2007 con un capitale iniziale di 60 milioni di yuan, che, due anni dopo, alla scadenza, risultava aver avuto una crescita annuale del 12,75% (l’investimento minimo era però di un milione di yuan). Lo strumento utilizzato in tale operazioni è generalmente quello delle società fiduciarie, che in Cina sono scarsamente regolamentate e costituiscono – dal nostro punto di vista – un ibrido tra le modalità operative del private equity, l’asset management ed il banking puro: altrettanto scarse, di conseguenza, sono le informazioni sulle performance di tali particolari fondi, così come sui prodotti finanziari creati dai medesimi, e sulle Borse, costituite in alcune città cinesi, dedicate esclusivamente all’art stock industry, quindi in pratica all’acquisto di quote di opere d’arte. Mentre sembrerebbe esserci maggiore certezza sul “profilo” dell’investitore tipo in arte in Cina: una persona fisica che, a fronte di notevoli disponibilità economiche, non ha lo spazio, l’interesse, il gusto o la cultura di acquistare, per possederle, singole opere d’arte, di cui apprezza maggiormente il possibile rendimento finanziario. In altre parole: l’investitore ideale per un art fund. Sarà per questo motivo che anche l’Occidente guarda con interesse a questa propensione dei cinesi alla finanziarizzazione dell’arte: nel Fine Art Fund Group – di cui si è parlato anche supra nel testo – non è pertanto un caso che vi sia anche un Chinese Fine Art Fund, con sede a Londra, ma dedicato esclusivamente all’acquisto di opere d’arte cinesi (fondo di cui però, al pari degli altri del gruppo, non è possibile sapere se i risultati sperati – del 12-15% annuo – siano stati raggiunti, nonostante sia ormai concluso il suo periodo di investimento: venne infatti costituito nel 2007, con una durata di cinque anni, ed 80 CONTRIBUTI I PRIMI CENTODIECI ANNI DEGLI ART FUNDS: PROBLEMI E PROSPETTIVE Infine, tra le esperienze più recenti e quindi più difficilmente valutabili allo stato si segnalano il Fondo Scudo Arte Moderna, nato dalla Scudo Investimenti Sg, istituto di San Marino; ed il Sobraine.Photoeffect, il primo grande fondo di investimento in arte russo, quotato alla Borsa di Mosca e specializzato solo in fotografia: un segmento di mercato che è stato scelto per la rapida crescita segnata negli ultimi anni, nonché in quanto considerato accessibile da una più larga fascia di investitori (non a caso l’investimento minimo richiesto è di 16.700 dollari). Quel che si può da sùbito far notare, di queste due ultime esperienze, è non solo l’estrema specializzazione del fondo russo, ma anche come, in entrambi i casi, sia il modello di business ad essere nettamente diverso da quello delle esperienze precedenti di art funds: il fondo sanmarinese investe in fine art quasi l’80% del suo valore, lasciando liquidi la restante percentuale dei suoi assets; mentre il fondo russo non ha all’inizio raccolto soldi dagli investitori per l’acquisto delle opere d’arte da rimettere in seguito sul mercato, ma ha raccolto direttamente un enorme corpus di opere da collezioni russe di fotografia: opere che si impegna a rivendere all’asta, annualmente, in percentuali variabili, contestualmente cercando di valorizzarle attraverso una serie di esposizioni in Musei – ben scelti - di tutto il mondo, per poi pagare i dividendi finali agli investitori (motivo per cui qualcuno potrebbe addirittura pensare, e legittimamente, che non si tratti di un fondo vero e proprio). Nonostante il quadro sembrerebbe non offrire troppi elementi di valutazione, si permetta sommessamente una prima deduzione, molto parziale, favorita da una particolare esperienza italiana, cui volutamente non si era ancora accennato: il riferimento è al fondo Pinacotheca, l’unico autorizzato dalla Banca d’Italia nel maggio del 2007, nonostante, a ben guardare, perlomeno agli occhi degli addetti ai lavori del mondo dell’arte, fosse un fallimento annunciato (come poi si è puntualmente rivelato). Vediamo più nel dettaglio perché. Il fondo, destinato, almeno in una fase iniziale, esclusivamente ad investitori istituzionali con quote minime di 250 mila euro, ha iniziato la sua attività con un patrimonio non indifferente (soprattutto per l’Italia): circa 25 milioni di euro, di cui si era approvato l’utilizzo per l’acquisto di opere d’arte di epoca compresa tra il 1200 ed il 1800. La Banca d’Italia aveva previsto limiti all’investimento in ogni dipinto: il che, se da un punto esclusivamente finanziario, potrebbe apparire, in generale, come una manovra prudenziale più che opportuna, dal punto di vista un investimento minimo di 100.000 dollari). RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015 81 SILVIA SEGNALINI dell’efficienza del funzionamento di un fondo di tal genere può viceversa rivelarsi dannoso: abbiamo visto poc’anzi, infatti, come nelle esperienze di maggiore successo dei fondi di arte, al momento del disinvestimento, furono ben poche opere, quelle di qualità – che nella maggior parte dei casi richiedono anche uno sforzo economico maggiore — , a determinare la maggior parte dei ricavi. Potrebbe quindi non essere troppo opportuno, stabilire, a priori, un limite all’investimento in ciascun dipinto. E questo potrebbe essere stato senz’altro il primo elemento di debolezza del fondo Pinacotheca, che si è necessariamente ritrovato, alla fine, con un insieme di opere piuttosto modeste. Ma vi è di più. Il fondo (di tipo chiuso14, nel senso dell’art. 12 dell’allora vigente Decreto 24 maggio 1999, n. 228), in questione, infatti, si concentrava sull’acquisto di opere di alta epoca di artisti italiani scarsamente noti, ma dietro l’indubbio, ed in parte lodevole, intento di valorizzazione dei medesimi, non si può non notare come dal punto di vista del ritorno economico lo schema fosse piuttosto debole: non appena infatti artisti di tal genere vengono immessi sul mercato, è molto probabile, per come è concepita la normativa italiana sul patrimonio culturale15, che le loro opere vengano dichiarate di interesse culturale (con la c.d. notifica): un passaggio la cui unica conseguenza certa, dal punto di vista del mercato dell’arte, è il deprezzamento del loro valore, dovuto essenzialmente alle restrizioni alla circolazione delle opere c.d. notificate all’interno dei confini del nostro Paese. Circostanza che le priva automaticamente di qualsiasi appetibilità per il mercato internazionale16; così come – soprattutto – ha privato il fondo di qualsiasi appetibilità per gli investitori. 14 Il problema delle tipologie di fondi, ed in particolare l’analisi di quelle più idonee, nel nostro attuale ordinamento, per un asset molto particolare qual è quello delle opere d’arte, viene affrontato funditus nel prosieguo del testo: cfr. infra, soprattutto §§ 2 e 3. 15 Cfr. Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (e successive modificazioni), recante il “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, in part. artt. 10-16; 20-21; 54-56; 59-62; 65-74; 163-164-173-174. 16 Sulla dichiarazione di interesse culturale, e le problematiche conseguenti, la bibliografia è sterminata: cfr., tra gli altri, G. De Giorgi Cezzi, Verifica dell’interesse culturale e meccanismo del silenzio assenso, in Aedon (Rivista di arti e diritto on line), 3/2003; G. Sciullo, La verifica dell’interesse culturale (art. 12), in Aedon (Rivista di arti e diritto on line), 1/2004; Id., Sub Art. 12, in M. Cammelli (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, 2004, 118 ss.; G. Famiglietti-D. Carletti, Sub Art. 12, Verifica dell’interesse culturale, in R. Tamiozzo (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del Paesaggio, Milano, 2005, 49 ss.; J. Bercelli, Notifica e trascrizione del provvedimento di dichiarazione dell’interesse culturale tra esigenze di tutela dei beni culturali e principio di certezza dei rapporti sociali, in Aedon (Rivista di arti e diritto on line), 3/2006; C. Volpe, Sub artt. 12-19; A. Maffettone, Sub artt. 20-21 e – soprattutto per la circolazione internazionale delle opere d’arte - M. Fiorilli, Sub artt. 65-74, in G. Leone-A.Tarasco, Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, Padova, 2006, 152 ss.; 221 ss.; M. Frigo, La circolazione internazionale dei beni culturali. Diritto internazionale, diritto comunitario e diritto interno2, Milano, 2007, 1 ss.; Segnalini, Dizionario giuridico dell’arte, cit., 202 ss.; 245 ss. 82 CONTRIBUTI I PRIMI CENTODIECI ANNI DEGLI ART FUNDS: PROBLEMI E PROSPETTIVE Per il resto il Regolamento17 di tale fondo contemplava alcune specificità, che in estrema sintesi sono le seguenti: la presenza di un Comitato tecnico consultivo di esperti indipendenti nominati dal C.d.A.; la previsione di una Mostra Mercato permanente a Ferrara e di altre mostre temporanee in altre città, per cercare di valorizzare le opere e metterle in vendita; un catalogo consultabile anche online con schede sintetiche, messe a punto dagli esperti, con le caratteristiche dei dipinti e le stime dei medesimi, da aggiornarsi ogni sei mesi18. A questi elementi, si aggiunga poi un ulteriore dato di fatto: le uniche esperienze di fondi di arte di successo risalgono ad un periodo (rispettivamente 1904-1914 per La Peau de l’Ours, e gli anni Settanta per il British Rail Pension Fund) in cui – se non lo si fosse già notato - non esisteva una normativa specifica per i fondi di investimento19. Il dato è molto singolare, e messo a sistema con quanto osservato fino ad ora fa venire spontanea una prima deduzione, del tutto parziale, ma non per questo meno suggestiva: il successo degli art funds sembrerebbe infatti dipendere non tanto dalla disciplina del settore, quanto da come vengono strutturati, ideati, financo dalla scelta delle persone coinvolte, dal loro grado di indipendenza effettiva nelle scelte di acquisto20: in altre parole dal modello di business – inteso in senso ampio - prescelto. 17 Sulle peculiarità dei Regolamenti dei fondi di arte si tornerà in un prossimo lavoro, in corso di stesura. 18 Così come prescritto dalla norma allora vigente: l’art. 4, lett. d., del d.m. n. 228 del 1999, ora trasposta nell’art. 4, lett. f del Regolamento attuativo dell’art. 39 del T.U.F (su cui si tornerà anche infra, nel § 3: articolo che chiarisce come i beni in cui può essere investito il patrimonio di un Oicr possano anche essere “altri beni per i quali esiste un mercato e che abbiano un valore determinabile con certezza con una periodicità almeno semestrale”). In questo scritto, si farà infatti essenzialmente riferimento al Documento di consultazione pubblicato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento del Tesoro nel mese di maggio 2014, contenente lo schema di regolamento attuativo dell’art. 39 del D.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (T.U.F.), concernente la determinazione dei criteri generali cui devono uniformarsi gli Organismi di investimento collettivo del risparmio italiani: di volta in volta, si preciserà in nota questa circostanza, per evitare confusione nel lettore e soprattutto perché il medesimo sia avvertito che, nonostante si sia ormai arrivati molto avanti con il processo di recepimento della Direttiva AIFMD nel nostro ordinamento – siamo infatti alla fase dei regolamenti, quindi alla normazione secondaria – e che stia per scadere il termine da ultimo fissato (che era al 22 luglio 2014, con una proroga già di un anno rispetto al termine iniziale, ma che ora è stato ulteriormente spostato in là nel tempo) per il recepimento in questione, non si tratta comunque dei testi definitivi e ulteriori proroghe, come l’esperienza insegna, sono sempre possibili. È interessante notare come proprio nel 2007, anno di approvazione da parte della Banca d’Italia del fondo Picacotheca di Vegagest Sgr, sia comparso lo scritto, già citato, di Capriglione, I fondi chiusi di beni d’arte, cit., 751 ss., che esplicitamente accredita proprio lo schema seguito per tale fondo: la concentrazione degli acquisti verso le opere d’arte minori (che secondo l’indice Mei e Moses dovrebbero assicurare il tasso di incremento maggiore: cfr. op. cit., 748); la necessità di prevedere un Comitato tecnico consultivo, una Mostra mercato, un Catalogo da aggiornarsi ogni sei mesi, esperti esterni ed indipendenti a supporto di tali ultimi operazioni. 19 In Italia, i fondi di investimento sono stati istituiti con la legge 77 del 1983, ed i primi fondi di diritto italiano sono stati lanciati nel 1984; così come negli altri Paesi europei la loro introduzione è avvenuta più o meno nello stesso torno di anni. 20 Da sempre gli investitori considerano la mancanza di indipendenza ed i conflitti di interesse del management dei fondi di arte, come uno dei principali punti deboli dei medesimi: cfr. in questo senso per tutti, ancora Zampetti, “Art funds”, cit., 196 s. RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015 83 SILVIA SEGNALINI Ed è forse per questo che le esperienze più recenti sembrerebbero tendere a diversificarlo il più possibile. Solo il tempo ovviamente ci potrà dire quale sarà il modello, od i modelli, vincenti: sempre che ve ne siano. La sensazione è infatti quella per cui non si tratti di modelli standardizzabili, né tantomeno immutabili nel tempo: molto potrebbe dipendere infatti dalle condizioni e dall’evoluzione del mercato dell’arte, sempre molto volatile. Quel che è certo è come la più recente normativa di settore sembrerebbe, dal canto suo, favorire gli investimenti in assets alternativi (come l’arte, per l’appunto) e che molti operatori del settore finanziario si aspettano comunque molto da queste novità. Nonostante finora si potrebbe parlare piuttosto di sostanziale irrilevanza della normativa nel determinare il successo o l’insuccesso di un fondo di arte. Ancora una volta, però, è presto per tirare delle conclusioni definitive: piuttosto cerchiamo di analizzare le novità, e forse anche le sfide, che il legislatore, italiano e comunitario, ci sta ponendo proprio di questi tempi. 1. Gli art funds nell’attuale quadro normativo Potendo considerare ormai risolti definitivamente, ed in senso positivo, i problemi di opportunità, per così dire, della sussunzione dei beni d’arte nel contesto della gestione collettiva del risparmio21, va detto come proprio nel momento in cui si scrive, il quadro normativo che più può interessare, si stia definitivamente componendo: entro luglio 2014 dovevano essere emanati tutti i decreti attuativi, ponendo così fine alla fase transitoria, ma il termine è stato ulteriormente spostato in là nel tempo. Nel diritto dei mercati finanziari, infatti, la normativa comunitaria — nel nostro caso, in particolare la direttiva 2011/61/UE, c.d. AIFMD, acronimo che sta per “alternative investment fund managers directive”22 — , entra piena21 Cfr. in tal senso per tutti, il saggio di Capriglione, I fondi chiusi di beni d’arte, cit., 743 ss., che evidenzia come il c.d. mercato dell’arte, aderisca, con modalità proprie e precisi caratteri distintivi, alla logica dell’interscambio, necessaria affinché si possa parlare propriamente di mercato: come insegna la miglior dottrina, sia giuridica (per la quale cfr. per tutti C. Motti, Il mercato come organizzazione, in Banca, impresa, società, 1991, 468 ss.; e N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998), sia economica (per la quale cfr. per tutti HAL R. Varian, Microeconomia6 [trad. it.], Venezia, 2007; G. Palmerio, Elementi di politica economica13, Bari, 2006). 22 Provvedimento che, nel proseguio, verrà citato come Direttiva AIFMD o come Direttiva Alternative – secondo l’uso invalso fra gli operatori del settore - , e che è stato attuato in Italia (con qualche ritardo rispetto alla scadenza prevista del 22 luglio 2013), con il Decreto legislativo 4 marzo 2014 n. 44, di attuazione delle direttiva 2011/61/UE sui gestori di fondi alternativi, che modifica le direttive 2003/41/CE e 2009/65/CE e i regola- 84 CONTRIBUTI I PRIMI CENTODIECI ANNI DEGLI ART FUNDS: PROBLEMI E PROSPETTIVE mente in vigore solo dopo che sono stati completati due passaggi: il recepimento della direttiva in normazione primaria – nel nostro caso nel T.U.F.23 – , e l’emanazione di tutti i regolamenti attuativi della medesima24. La cornice generale della materia è comunque stata definita con l’attuazione, ormai portata completamente a termine, in tempi relativamente recenti, della direttiva 2009/65/CE, c.d. direttiva UCITS IV25, che ha progressivamente ridisegnato il sistema: dividendo le tipologie di fondi innanzitutto tra quelli UCITS e quelli non UCITS. Non sarà inutile cominciare proprio dall’analisi di quest’ultima distinzione, per tentare di collocare innanzitutto in questo scenario gli art funds. Le Direttive UCITS, nel corso del tempo, hanno progressivamente individuato gli organismi di investimento collettivo del risparmio, fondi comuni e SICAV, che investono principalmente in valori mobiliari e che sono conformi a quanto previsto dalla legislazione europea. La UCITS I permetteva agli OICVM (organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari, per l’appunto) autorizzati da uno Stato membro di essere liberamente distribuiti in altri Stati dell’Unione europea (c.d. passaporto europeo), andando nettamente verso una maggiore armonizzazione dei mercati. menti (CE) n. 1060/2009 e (UE) n. 1095/2010: Decreto pubblicato sulla G.U. Serie Generale n. 70 del 25-32014, ed entrato in vigore lo scorso 9 aprile 2014. Sulla Direttiva AIFMD, cfr. per tutti da ultimo R. Lener, La gestione collettiva del risparmio a quindici anni dal TUF, in Riv. Dir. Comm. (in corso di pubblicazione); e Id., The Italian Approach to Alternative Fund Management, in JIBLR, Issue 4, 2014, 197 ss. 23 Decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58: va detto che il recepimento della nuova normativa europea in tema di gestione del risparmio è stata l’occasione per una riorganizzazione del Titolo III del TUF e per una riformulazione delle definizioni in questo presenti, al fine di renderle conformi con quelle comunemente utilizzate in ambito UE. In particolare, per quel che ci riguarda, a seguito di questo intervento, la disciplina sulla struttura dei fondi comuni di investimento, di cui al previgente art. 37, è stata trasposta, con opportune modifiche, nel nuovo art. 39, rubricato “Struttura degli Oicr italiani”. Va detto che a sua volta l’entrata in vigore del T.U.F. aveva comportato una riformulazione dei modelli organizzativi esistenti: sul sistema della gestione collettiva del risparmio prima del T.U.F., cfr. per tutti M. Miola, Commento all’art. 33 del TUF, in G.F. Campobasso (diretto da), Commentario al Testo Unico della Finanza, Torino, 2002, I, 287 ss. 24 Allo stato, si sta completando anche quest’ultimo passaggio, grazie al lavoro congiunto delle Autorità di Vigilanza (Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento del Tesoro, Consob e Banca d’Italia), che doveva concludersi entro il termine del 22 luglio 2014, ora ulteriormente prorogato: motivo per cui in questo scritto si fa riferimento essenzialmente, come già più volte ricordato, al Documento di consultazione, pubblicato nel mese di maggio 2014 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento del Tesoro, contenente uno schema di “Regolamento attuativo dell’articolo 39 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la determinazione dei criteri generali cui devono uniformarsi gli Oicr italiani”. Il Decreto in cui sarà convertito tale regolamento attuativo, sostituirà completamente il Decreto 24 maggio 1999 n. 228 (a sua volta contenente, per l’appunto, il regolamento attuativo dell’allora art. 37 del T.U.F, in cui, come si diceva poc’anzi – cfr. supra, nt. 19 – erano inquadrati i criteri generali cui dovevano essere uniformati i fondi comuni di investimento). 25 Direttiva che rappresenta l’ultimo dei provvedimenti che, nel corso degli anni, hanno implementato le precedenti Direttive del Parlamento europeo, note agli addetti ai lavori come UCITS III e pubblicate il 21 gennaio 2002 (2001/107/CE, c.d. Direttiva gestore, e 2001/108/CR, c.d. Direttiva prodotto), che a loro volta avevano aggiornato la Direttiva 85/611/CEE, c.d. direttiva UCITS I (dove UCITS sta per “Undertakings for Collective Investments in Transferable Securities”). La UCITS IV è stata recepita in Italia con il D. lgs. 16 aprile 2012, n. 47. RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015 85 SILVIA SEGNALINI Nel tempo, con l’approvazione delle successive UCITS III, la concessione del passaporto europeo e la gamma dei prodotti armonizzati vennero notevolmente estesi; consentendo, contestualmente, la commercializzazione delle quote o delle azioni dei fondi conformi alla UCITS III anche in Paesi nonUE, quali Svizzera, Asia, Sud America e Sud Africa. Segnando così un passo ancora più deciso verso l’armonizzazione. Infine, la Direttiva UCITS IV ha posto definitivamente le premesse per una significativa trasformazione del mercato europeo della gestione collettiva del risparmio: la disciplina in tema di passaporto del gestore, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi viene infatti ulteriormente innovata, nel senso di una maggiore liberalizzazione, senza per questo abdicare alla tutela degli interessi degli investitori, ma piuttosto rafforzandola26. Tra le principali caratteristiche dei fondi UCITS vi è però, tra le altre27, la 26 Tale rafforzamento verrà ulteriormente accentuato nel momento in cui verrà pubblicata anche la MiFID II, che introdurrà – rispetto alla Direttiva 2004/39/CE in materia di mercati degli strumenti finanziari, comunemente nota con l’acronimo MiFID (“Market in Financial Instruments Directive”) – nuove regole per un miglior funzionamento del mercato dei capitali, intervenendo principalmente su: ambito di applicazione della Direttiva stessa; tutela degli investitori (per l’appunto); disciplina dei mercati; disciplina delle materie prime; rapporti con i Paesi terzi. L’attenzione alla protezione degli investitori è stata ulteriormente rafforzata nelle due bozze in consultazione pubblicate dall’ESMA il 22 maggio 2014, contenenti gli atti per l’implementazione della Direttiva MiFId e del Regolamento MiFIR. Vi è infatti un rafforzamento dei presidi a tutela degli investitori: i fondi devono essere concepiti da sùbito per soddisfare le esigenze di un mercato target, a pena dell’esercizio del potere — e questa è una grande novità per il settore — di c.d. product intervention, ovvero del potere delle Autorità competenti di sospendere la commercializzazione o la vendita di strumenti finanziari qualora l’impresa di investimento non abbia sviluppato o applicato un processo di approvazione del prodotto specifico. Le due principali aree di intervento della nuova regolamentazione atterranno infatti a (i) la struttura dei mercati finanziari, la loro trasparenza e le loro regole (con nuovi requisiti di trasparenza e di negoziazione delle obbligazioni; una nuova regolamentazione dei commodity derivatives; l’introduzione di nuovi requisiti organizzativi per le trading venues); (ii) la protezione degli investitori (con particolare attenzione a inducements, consulenza indipendente, requisiti per la predisposizione di nuovi prodotti, divieti di distribuzione di taluni strumenti, incremento delle informazioni su costi e commissioni). In tal senso, cfr. R. D’Apice, Fondi alternativi e finanziamenti alle imprese, in Focus Risparmio, n. 4, giugno 2014, 13. 27 In sintesi, le principali novità introdotte dalla Direttiva UCITS IV, e indirizzate a pervenire ad un mercato unico per l’istituzione, la gestione e la distribuzione di OICVM nell’Unione Europea, consentendo a ciascuna società di gestione di sviluppare la propria operatività anche in via transfrontaliera, sono le seguenti: (a) passaporto del gestore: la Direttiva introduce una regolamentazione del passaporto del gestore che consente ai fondi comuni autorizzati in uno Stato Membro di essere gestiti da una società di gestione insediata in un altro Stato Membro e da questo autorizzata, purché siano soddisfatti alcuni requisiti (il che potrebbe portare ad una riduzione dei costi, pur preservando il livello di tutela degli investitori); (b) vigilanza del Paese di origine: si prevede che una società di gestione sia soggetta alla vigilanza prudenziale dello Stato Membro di origine, a prescindere dal fatto che questa costituisca una succursale o operi in regime di libera prestazione di servizi in un altro Stato Membro (dovendo quindi rispettare le norme in materia di organizzazione poste dallo Stato Membro di origine; mentre deve osservare le norme dello Stato ospitante gli OICVM gestiti, in materia di costituzione e funzionamento dei medesimi); (c) armonizzazione delle procedure di fusione: tramite anche una riduzione degli oneri amministrativi che gravano sui gestori che intendono dar vita ad una fusione di fondi transfrontaliera; (d) disciplina delle strutture master-feeder: che consente ad un OICVM feeder di investire tutto o in parte il proprio patrimonio in un OICVM master, così da favorire lo sviluppo di nuove opportunità di business; (e) tutela degli interessi degli investitori: tramite un significativo cambiamento del contenuto e della modalità di presentazione delle informazioni fornite agli investitori, tramite l’introduzione del key investor informations document (Kiid), che sostituisce 86 CONTRIBUTI I PRIMI CENTODIECI ANNI DEGLI ART FUNDS: PROBLEMI E PROSPETTIVE liquidità, che deve essere fornita almeno ogni 15 giorni. Addirittura la maggior parte dei fondi UCITS alternativi28 offre liquidità giornaliere o settimanali. Il che pone automaticamente i fondi d’arte — per i quali è impensabile ipotizzare una liquidità di tal fatta — , rispetto allo scenario delineato nella Direttiva UCITS IV, tra i fondi alternativi non UCITS. 2. (segue) ipotesi di classificazione degli art funds secondo l’attuale quadro normativo italiano Ciò posto, vediamo quale potrebbe essere la classificazione degli art funds nel quadro normativo italiano: o meglio quale sarebbe la loro collocazione ideale nel sistema, posto che quest’ultimo si sta ancora definendo, grazie alla progressiva introduzione delle Direttive europee poc’anzi citate. La suddivisione dei fondi per tipologie secondo il novellato T.U.F. è infatti la seguente: da un lato, abbiamo gli OICVM italiani (rientranti nell’àmbito di applicazione della Direttiva UCITS IV, quindi in sostanza i fondi armonizzati); e dall’altro, gli OICR italiani, in altre parole i FIA italiani (rientranti nell’àmbito di applicazione della Direttiva AIFMD)29. il prospetto semplificato, e che contiene le informazioni chiave necessarie all’investitore finale, sia retail che istituzionale, prima della sottoscrizione di un OICVM. Tale documento, che si caratterizza per la sua brevità, è disponibile per ogni classe attiva di prodotto amministrato dalla società di gestione, ha una struttura “tipo”, indicata dalla normativa europea, e ha quindi lo scopo di uniformare le informazioni contenute nel documento d’offerta promuovendo una maggiore trasparenza ed una migliore comprensione, facilitando anche il confronto (soprattutto su costi e profili di rischio) tra prodotti gestiti in diversi Paesi europei. 28 Un fondo UCITS alternativo (o fondo UCITS absolute return) è un organismo di investimento collettivo del risparmio che, pur potendosi considerare di tipo “armonizzato” (nel senso, in questo caso, di conforme alla Direttiva UCITS IV), adotta strategie di investimento e tipologie di prodotto dapprima riservate a quelli che si usava chiamare, fino all’introduzione di quest’ultima normativa, hedge funds. Le quote o azioni dei fondi UCITS alternativi possono essere commercializzate all’interno dell’Unione europea, sia alla clientela retail che a quella istituzionale, ma è richiesto, “a monte”, la registrazione di tali fondi presso le Autorità di Vigilanza di uno Stato Membro. 29 Come anticipato supra, nt. 20, per queste considerazioni, il riferimento normativo è soprattutto al Documento di consultazione, pubblicato nel mese di maggio 2014 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento del Tesoro, contenente lo schema di “Regolamento attuativo dell’articolo 39 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la determinazione dei criteri generali cui devono uniformarsi gli Oicr italiani”. In questa sede, non è inutile notare come cambino anche le definizioni di Oicr aperto e chiuso: l’Oicr aperto — di cui all’art. 1, comma 1, letter k-bis) del T.U.F. — diventa pertanto “l’Oicr i cui partecipanti hanno il diritto di chiedere il rimborso delle quote o azioni a valere sul patrimonio dello stesso, secondo le modalità e con la frequenza previste dal regolamento, dallo statuto e dalla documentazione d’offerta dell’Oicr”. Mentre l’Oicr chiuso diventa una categoria residuale, definita come “l’Oicr diverso da quello aperto”. Là dove nello stesso contesto — art. 1, comma 1, lettera k) del T.U.F. — l’Oicr è l’“Organismo di investimento collettivo del risparmio” (Oicr): l’organismo istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l’emissione e l’offerta di quote o azioni, gestito in monte nell’interesse degli investitori e in autonomia RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015 87 SILVIA SEGNALINI I FIA possono essere a loro volta distinti in FIA italiani (al dettaglio) e FIA italiani riservati30. In questo contesto, allo stato, gli art funds sembrerebbero poter potenzialmente rientrare innanzitutto nella tipologia degli Oicr italiani chiusi, ed in particolare dei FIA italiani chiusi31: questo avverrebbe soprattutto nel caso in cui il loro patrimonio, nel rispetto dei limiti e dei criteri stabiliti dalla Banca d’Italia — della cui autorizzazione tale tipologia di fondi pertanto necessita — , sia investito in “altri beni per i quali esiste un mercato e che abbiano un valore determinabile con certezza con una periodicità almeno semestrale”32. Ancora più congeniale al particolare mercato dell’arte, sembra però essere l’altra categoria in cui potrebbero essere inquadrati gli art funds: quella degli Oicr italiani riservati, ed in particolare dei FIA italiani riservati, pensati, principalmente, per investitori professionali, nella forma sia di fondo chiuso che aperto; ma a cui possono partecipare, a certe condizioni, anche investitori non professionali (anche se questo resta ancora, secondo alcuni interpreti, il grande nodo irrisolto di tale normativa)33. Poiché però è previsto che il FIA che investa in beni o attività con un minor grado di liquidità o in strumenti finanziari non quotati, diversi da quote o azioni di Oicr aperti, in misura superiore al 20%, debba necessariamente assumere la forma chiusa34, è quindi 30 31 32 33 34 88 dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari, crediti, partecipazioni o altri beni mobili o immobili, in base a una politica di investimento predeterminata”; mentre il “fondo comune di investimento” è “l’Oicr costituito in forma di patrimonio autonomo, suddiviso in quote, istituito e gestito da un gestore” (così ancora l’art. 1, comma 1, lettera j), del novellato T.U.F. Sempre secondo il novellato T.U.F., si intende per FIA italiano, l’Oicr di cui all’art. 1, comma 1, lettera m-ter): “Oicr alternativo italiano” (FIA italiano): il fondo comune di investimento, la Sicav e la Sicaf rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva 2011/61/UE [n.d.r.: la Direttiva AIFMD]”. Mentre il FIA italiano riservato, è l’Oicr di cui all’art. 1, comma 1, lettera m-quater) dell’ultima versione del T.U.F.: “FIA italiano riservato”: il FIA italiano la cui partecipazione è riservata a investitori professionali e alle categorie di investitori individuate dal regolamento di cui all’articolo 39”. Da questo punto di vista, deve considerarsi ormai definitivamente superato l’inquadramento degli art funds nella categoria dei fondi chiusi secondo il D.M. n. 228 del 1999, operato da Capriglione, I fondi chiusi di beni d’arte, cit., 749 ss.; così come ogni riferimento al Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio, emanato da Banca d’Italia il 14 aprile 2005. Così l’art. 4, comma 1, lettera f ) dello schema di Regolamento attuativo dell’art. 39 del T.U.F. (già citato — cfr. supra, nt. 17 — e contenuto nel più volte ricordato Documento di consultazione pubblicato nel maggio 2014), da leggersi con l’art. 10 del medesimo schema di Regolamento. Si è già ricordato come l’esistenza di un “mercato dell’arte” compatibile con il contesto della gestione collettiva del risparmio, sia un problema già preliminarmente risolto, in positivo, in dottrina: in tal senso, cfr. per tutti Capriglione, I fondi chiusi di beni d’arte, cit., 743 ss. Diverso il problema, che non è possibile qui di affrontare, se davvero all’atto pratico sia possibile, attraverso ad esempio i risultati delle case d’aste, determinare il valore dei beni d’arte di un fondo con cadenza almeno semestrale (va detto come l’A. citato sembrerebbe non nutrire dubbi in proposito – cfr. op. cit., 761 ss. - , a differenza di chi scrive: si affronterà pertanto funditus il problema in un prossimo saggio, in corso di stesura, cui si è già accennato supra, nt. 16). Nonostante la normativa abbia previsto tutta una serie di correttivi, su cui si tornerà infra, nel prosieguo del discorso. Cfr. in tal senso, l’art. 10, comma 1, sempre dello schema di Regolamento attuativo dell’art. 39 del novellato T.U.F. CONTRIBUTI I PRIMI CENTODIECI ANNI DEGLI ART FUNDS: PROBLEMI E PROSPETTIVE quest’ultima l’opzione che probabilmente si dovrà scegliere all’atto della costituzione di un FIA riservato che investa in opere d’arte. Quel che è certo è che con la Direttiva AIFMD, il gestore di fondi di investimento alternativi potrà commercializzarli anche in uno Stato membro dell’Unione diverso dal proprio stato di origine grazie al passaporto; oppure gestire un FIA stabilito in un altro Paese dell’Unione (mentre, al momento in cui si licenziano queste pagine, sembrerebbe che i FIA extra UE, che svolgano attività di gestione o commercializzazione in seno all’Unione europea, potranno ottenere il passaporto solo dal 2015). Lo schema di Regolamento attuativo dell’art. 39 del T.U.F., rubricato “Struttura degli Oicr italiani”, se confermato, verrebbe poi ad innovare in diversi aspetti la disciplina della struttura dei fondi comuni di investimento, rispetto alla normativa precedente (per intenderci, il Decreto 24 maggio 1999 n. 228, che conteneva il regolamento attuativo dell’art. 37 del T.U.F., ove era contenuta la materia, ora trasposta, per l’appunto, nell’art. 39 a seguito del nuovo assetto del Titolo III del Testo Unico). In particolare, per i FIA vengono rimodulati gli obblighi informativi, tenendo conto degli obblighi di trasparenza previsti per questa tipologia di fondi già dalle Direttive 2011/61/UE (c.d. AIFMD) e 2004/109/CE (c.d. Transparency): degna di nota è la circostanza per cui per ciascun FIA gestito o commercializzato nell’Unione da una SGR, una SICAV o una SICAF, queste ultime, oltre alle scritture prescritte per le imprese commerciali dal Codice civile, devono (solo) redigere la relazione annuale e quella semestrale (da fornirsi gratuitamente agli investitori che ne fanno richiesta). Il che è in linea con l’AIFMD che alleggerisce i GEFIA, ovvero i gestori di fondi alternativi, per l’appunto, da alcuni obblighi, che permangono invece, anche nel T.U.F., per gli OICVM (per i quali ultimi è previsto infatti anche il libro giornale, nel quale devono essere annotate giornalmente tutte le operazioni relative alla gestione, comprese quelle di emissione e di rimborso delle quote o delle azioni)35. Per i FIA chiusi è prevista la possibilità di utilizzare il patrimonio per concedere finanziamenti; mentre per i FIA italiani aperti, sono previste modalità di investimento del patrimonio che garantiscono la liquidità del portafoglio e la conseguente possibilità di rimborsare le quote o le azioni prima della scadenza dell’organismo, con la frequenza stabilita dal regolamento o dallo 35 Cfr. in tal senso gli artt. 2 (Obblighi informativi per gli OICVM) e 3 (Obblighi informativi per i FIA) dello schema di Regolamento attuativo dell’art. 39 del T.U.F. (visto nel già più volte ricordato Documento di consultazione del maggio 2014). Diversa poi è la disciplina, sul punto, per i FIA italiani immobiliari, che qui non interessano, su cui cfr. il poc’anzi citato citato art. 3, commi 4 e 5. RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015 89 SILVIA SEGNALINI statuto. Da questo punto di vista, la principale differenza tra i FIA aperti e gli OICVM è la possibilità di investire una percentuale più alta del portafoglio (fino al 20%, invece che fino al 10%) in strumenti finanziari non quotati36 (mentre salendo al di sopra del 20%, come già ricordato37, si deve necessariamente scegliere la forma chiusa). Si è già accennato alla circostanza per cui ai FIA riservati possono accedere anche investitori non professionali, purché: (i) l’ammontare minimo di sottoscrizione delle quote o azioni sia di importo non inferiore a cinquecentomila euro38; (ii) l’investitore non professionale dichiari per iscritto, in un documento separato dal contratto da stipulare per la sottoscrizione delle quote o delle azioni, di essere consapevole dei rischi connessi all’investimento previsto (fra cui, a tacer d’altro, la circostanza che il regolamento del fondo non è soggetto all’approvazione della Banca d’Italia, e la possibilità per il FIA di derogare ai divieti e alle norme prudenziali di contenimento e frazionamento del rischio stabilite dalla Banca d’Italia per i FIA non riservati); (iii) l’efficacia del contratto sia sospesa per la durata di sette giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione, entro i quali l’investitore non professionale può comunicare al gestore il proprio recesso ed ottenere il rimborso di quanto versato senza incorrere in penalità39. In ogni caso, il regolamento o la statuto del FIA italiano riservato deve dare specifica evidenza del fatto che l’Oicr ha la possibilità di derogare ai divieti e alla norme prudenziali poc’anzi ricordate, così come della circostanza per cui il regolamento stesso prescinde dall’approvazione della Banca d’Italia. Il regolamento o lo statuto del FIA riservato deve inoltre indicare chiaramente quali sono: l’obiettivo, il profilo di rischio, lo stile di gestione, le tecniche di investimento, il livello massimo di leva finanziaria e i limiti prudenziali adottati dal FIA. Della conoscenza di queste informazioni fondamentali per la valutazione della rischiosità del prodotto deve dare contezza l’investitore non professionale nella dichiarazione scritta. A fronte poi del mantenimento di alcuni divieti per i fondi chiusi — il cui patrimonio “non può essere investito in beni direttamente o indirettamente ceduti o conferiti da un socio, amministratore, direttore generale o sindaco del gestore, o da una società del gruppo, né tali beni possono essere direttamente o indiretta36 Cfr. in tal senso l’art. 8 (FIA italiani aperti) dello schema di Regolamento attuativo dell’art. 39 del novellato T.U.F. 37 Cfr. supra, nel testo. 38 Va però detto come non manchino richieste, soprattutto da parte di organismi come Assogestioni, di portare tale soglia minima di accesso ai FIA riservati a duecentocinquantamila euro (mentre per i FIA italiani al dettaglio non si vorrebbe alcuna quota minima). 39 Così l’art. 14, commi 1, 2 e 5, dello schema di Regolamento attuativo dell’art. 39 del T.U.F. 90 CONTRIBUTI I PRIMI CENTODIECI ANNI DEGLI ART FUNDS: PROBLEMI E PROSPETTIVE mente ceduti ai medesimi soggetti”; così come “non può essere altresì investito in strumenti finanziari rappresentativi di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto crediti ceduti da soci del gestore, o da soggetti appartenenti al loro gruppo”40 — , sembrerebbero essere stati introdotti anche maggiori elementi di flessibilità, prevedendo pertanto che “il regolamento o la statuto del FIA italiano chiuso può prevedere i casi ed in modi in cui, nell’’interesse dei partecipanti, il patrimonio può essere investito in beni direttamente o indirettamente ceduti o conferiti da un socio del gestore o una società del gruppo e i casi in cui tali beni possono essere direttamente o indirettamente ceduti ai medesimi soggetti”, purché vengano rispettate tutta una serie di norme in materia (quella della AIFMD innanzitutto; poi del regolamento delegato UE n. 231/2013 della Commissione, in particolare art. 30 ss. — in cui si individuano le tipologie di conflitti di interesse e si disciplinano le procedure e le misure per la prevenzione o la gestione di tali conflitti — ; infine, del regolamento congiunto della Banca d’Italia e della Consob)41. Nel regime transitorio, è stata poi dettata specificamente una norma42 per tentare di risolvere il problema dei c.d. fondi di side pocket, fondi chiusi istituiti nel 2008 — a seguito della crisi dei mercati finanziari — , costituiti esclusivamente da attività illiquide, che all’oggi non sono ancora state smobilizzate: per i quali l’unica soluzione possibile per rimborsare le quote, senza pregiudicare l’interesse dei partecipanti, è apparsa quella di permettere di cedere, in deroga al regime ordinario, le attività del fondo ad un socio del gestore o un’altra società del gruppo per il completamento della fase di liquidazione. Sempre da un punto di vista generale, che concerne cioè qualsiasi tipo di fondi alternativi, e non solo gli art funds, vi è poi da capire meglio se, in Italia, permarrà il sistema del c.d. gestore unico e, di conseguenza, dell’unica autorizzazione per poter svolgere attività di gestione collettiva del risparmio, o meno: dalla lettura dei primi commenti alla materia43, si evince che già una parte della dottrina si sia schierata a favore dell’opzione secondo cui anche dopo l’introduzione a pieno regime della AIFMD, né la definizione di “società di gestione del risparmio” né il conseguente regime del c.d. gestore 40 Così ancora il comma 4, dell’art. 10, dello schema di Regolamento attuativo. 41 Cfr. in tal senso il comma 5, dell’art. 10 che si sta sottoponendo ad esame. 42 Si tratta del comma 3, dell’art. 18 sempre dello schema di Regolamento attuativo dell’art. 39 del novellato T.U.F. 43 Cfr. per tutti da ultimo Lener, La gestione collettiva del risparmio a quindici anni dal TUF, cit., 5 ss.; e Id., The Italian Approach to Alternative Fund Management, cit., 197 ss. RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015 91 SILVIA SEGNALINI unico (sia esso una SGR o una SICAV) 44, né, di conseguenza, il sistema dell’autorizzazione unica, subiranno reali modifiche. Non sarà inutile osservare più nel dettaglio questa che è, è stata – e secondi alcuni ancora sarà in futuro – una caratteristica tutta italiana del sistema della gestione collettiva del risparmio: quella che potrà sembrare qui una – lunga – divagazione, si giustifica pertanto in quanto le incertezze che ruotano intorno al problema dell’autorizzazione unica (o meno), hanno indubbi risvolti pratici, anche e soprattutto per una categoria per certi versi “nuova” in Italia, quella dei gestori di fondi di arte, che, per i margini di crescita che tale tipo di fondi porta con sé, andrebbero incoraggiati e messi in condizione di operare con efficienza. Il che passa inevitabilmente per la chiarezza (anche) sul piano normativo. Cerchiamo quindi di osservare più da vicino questo aspetto della normativa, cominciando, in un certo senso, “dall’inizio”. Ai sensi, e dai tempi, del T.U.F. venne infatti posta una inscindibile relazione tra soggetto e attività, la quale ha fatto sì che nel nostro mercato soltanto le SGR o le SICAV potessero esercitare la gestione collettiva del risparmio: le SICAV come forma societaria del fondo comune, le SGR come forma contrattuale, che ha finora rappresentato il modello assolutamente prevalente in 44 La definizione di “società di gestione del risparmio” è racchiusa nell’art. 1, comma 1, lett. o del T.U.F, secondo cui si intende per “società di gestione del risparmio” (Sgr): la società per azioni con sede legale e direzione generale in Italia autorizzata a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio” (in base al dettato dall’art. 2 del d.lgs. n. 274 dell’1 agosto 2003). Le s.g.r. hanno sostituito le società di gestione dei fondi comuni di investimento di cui alla l. n. 77/1983, rappresentando per l’appunto un c.d. modello di gestore unico: sono infatti abilitate allo svolgimento della consulenza in materia di investimenti ed a gestire patrimoni sia su base collettiva, sia su base individuale; possono altresì istituire e gestire fondi pensione, svolgere attività connesse o strumentali stabilite, con Regolamento, dalla Banca d’Italia di concerto con la Consob; prestare servizi accessori di custodia e amministrazione di strumenti finanziari e relativi servizi connessi. Anche la materia, dopo l’avvento del Testo Unico, è stata riordinata (come sempre accade con l’emanazione, per l’appunto, di un Testo Unico) e delegificata (lasciando più spazio alla normativa secondaria nella definizione delle modalità operative degli organismi di investimento collettivo e dei profili relativi alla vigilanza prudenziale): per cui sono confluite in unico corpo normativo sia le disposizioni sui fondi comuni aperti (legge 23 marzo 1983, n. 77), sia quelle sui fondi comuni chiusi (legge 14 agosto 1993, n. 344), sia infine quelle sui fondi comuni chiusi di tipo immobiliare (legge 25 gennaio 1994, n. 86) e sulle Sicav (Decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 84). Sul c.d. gestore unico, cfr. R. Lener-A.Galante, D.lgs. 58/1988. Prime riflessioni sulle società di gestione del risparmio, in Le Soc., V, 1998, 533; R. Lener, Gestore unico e deleghe nella gestione, in Assogestioni, La disciplina delle gestioni patrimoniali, Roma, 2000, 146; F. Annunziata, Gestione collettiva del risparmio e nuove tipologie di fondi comuni di investimento, in Riv. Soc., 2000, 350; E. Ntuk, Fondi comuni di investimento, in Dig. Comm. agg., 2000, 335; V. Renzulli-A. Tucci, I fondi comuni di investimento, in R. Lener (a cura di), Diritto del mercato finanziario. Saggi, Torino, 2011, 323. Per una sintetica ricostruzione delle tappe che hanno progressivamente disegnato la disciplina della gestione collettiva del risparmio in Italia, cfr. invece per tutti R. Lener, Le società di investimento a capitale variabile, in G. E. Colombo- G. B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, Torino, 1993, X, 139 ss.; M. Greco, Attività ed autorizzazione all’esercizio delle società di gestione del risparmio, in M. Rispoli Farina-G. Rotondo, Il mercato finanziario, intermediari finanziari, società quotate, assicurazioni, previdenza complementare, Milano, 2005, 143. 92 CONTRIBUTI I PRIMI CENTODIECI ANNI DEGLI ART FUNDS: PROBLEMI E PROSPETTIVE Italia45. Tra le novità introdotte dal recepimento dell’AIFMD – se ciò che è possibile leggere nei Documenti in consultazione ora disponibili verrà confermato – , occorre evidenziare come sia esplicitamente sottolineata la natura di attività riservata del servizio di gestione collettiva: là dove la riserva viene utilizzata per specificare che tale attività deve essere svolta in via professionale, che è come dire stabile, abituale e sistematica, escludendo così quindi – sempre nel quadro del rafforzamento delle garanzie per gli investitori - l’esercizio occasionale o sporadico della medesima. Per quanto concerne l’autorizzazione richiesta, da sempre, nel T.U.F., proprio perché, a prescindere da esplicite affermazioni in tal senso, si tratta, e sempre si è trattato, di attività riservata - , è opinione dei primi commentatori dei nuovi provvedimenti46, che il sistema rimarrebbe, in Italia, lo stesso: un’autorizzazione unica, là dove la direttiva prevede viceversa che le società autorizzate a gestire OICVM armonizzati, debbano chiedere un’ulteriore autorizzazione ai sensi della AIFMD, per poter gestire o continuare a gestire anche fondi di investimento alternativi. Il che sarebbe una conseguenza dell’approccio (da sempre) unitario esistente nel nostro ordinamento, che non è sicuramente riscontrabile in ambito comunitario; e soprattutto della circostanza che l’AIFMD regolando i soggetti che esercitano l’attività di gestione di fondi alternativi, e non direttamente i fondi (anche per l’impossibilità di reductio ad unum di una gamma piuttosto articolata di prodotti), sarebbe impossibilitata ad incidere sulle regole di funzionamento dei medesimi, quindi anche sul modello di regime autorizzatorio adottato in Italia. Il ragionamento non è però, a ben vedere, insuperabile, per molteplici ragioni. Le prime di tenore prettamente letterale: molte disposizioni dell’AIFMD47 sembrerebbero non porre eccezioni alcune al regime della doppia autorizza45 Come fa notare Lener, La gestione collettiva del risparmio a quindici anni dal TUF, cit., 3 s., nt. 11, le SICAV rappresentano una tipologia di OICR che, a differenza degli altri Paesi europei, è praticamente inesistente in Italia, come risulta dall’apposito Albo delle Sicav tenuto dalla Banca d’Italia. Non esistono quindi nemmeno casi di c.d. eterogestione, meccanismo che permette di prevedere che l’intero patrimonio di una SICAV sia gestito da una SGR o da una Società di gestione UE (quest’ultima è l’attuale denominazione della società armonizzata di cui all’art. 43-bis della versione del T.U.F precedente alla riorganizzazione del medesimo conseguente al recepimento della AIFMD, la quale comporterà anche la possibilità per una SICAF, oltre che per una SICAV, di designare un gestore esterno). 46 Cfr. ancora Lener, La gestione collettiva del risparmio a quindici anni dal TUF, cit., 5. 47 Nel testo comparso nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, L. 174, dell’1 luglio 2011, recante per l’appunto la Direttiva 2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, sui gestori di fondi di investimento alternativi, che modifica le direttive 2003/41/CE e 2009/65/CE e i regolamenti (CE) n. 1060/2009 e (UE) n. 1095/2010. RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015 93 SILVIA SEGNALINI zione48. A ben guardare anche nel Documento di consultazione pubblicato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento del Tesoro, contenente le probabili modifiche al T.U.F. conseguenti all’entrata in vigore della AIFMD49, i testi, in verità molto essenziali, degli artt. 34, 35 e 35-ter (per le SICAV) della Sezione I, dedicati, rispettivamente, all’“Autorizzazione della società di gestione del risparmio”, all’“Albo” e agli “Albi” (delle SICAV), non offrono alcun elemento per sostenere che il regime della autorizzazione unica 48 A partire dai considerando del citato testo della Direttiva 2011/61/UE: significativi in tal senso, soprattutto il numero (2) in cui si legge che la medesima “mira a stabilire disposizioni comuni in materia di autorizzazione e vigilanza dei GEFIA” (i.e. i gestori di fondi di investimento alternativo, ndr) “per fornire un approccio uniforme ai rischi connessi e al loro impatto sugli investitori e sui mercati nell’Unione”; il numero (3): “è opportuno che i GEFIA non possano gestire OICVM ai sensi della direttiva 2009/65/CE” (i.e. la c.d. UCITS IV, ndr) “sulla base di un’autorizzazione accordata ai sensi della presente direttiva”; al numero (4): “l’obiettivo perseguito è di sopprimere i regimi nazionali alla data di entrata in vigore di un ulteriore atto delegato della Commissione”; il numero (10): “la presente direttiva non disciplina i FIA, i quali dovrebbero pertanto poter continuare ad essere disciplinati e sottoposti a vigilanza a livello nazionale. Sarebbe eccessivo disciplinare la struttura o la composizione dei portafogli dei FIA gestiti da GEFIA a livello di Unione e sarebbe difficile conseguire un’armonizzazione così vasta a causa della grande varietà di tipi di FIA gestiti dai GEFIA. La presente direttiva non osta pertanto a che gli Stati membri adottino o continuino ad applicare disposizioni nazionali in relazione ai FIA stabiliti nel loro territorio. Infatti, il fatto che uno Stato membro possa imporre ai FIA stabiliti nel suo territorio obblighi supplementari rispetto a quelli applicabili in altri Stati membri non dovrebbe impedire ai GEFIA autorizzati conformemente alla presente direttiva in altri Stati membri l’esercizio del diritto di commercializzare, presso gli investitori professionali nell’Unione, taluni FIA stabiliti al di fuori dello Stato membro che impone gli obblighi supplementari e che pertanto non soggetti a tali obblighi né all’osservanza degli stessi”: particolarmente significativo in quanto sottolinea in pratica che gli Stati dell’UE possono senz’altro continuare a seguire disposizioni nazionali, ma là dove queste si traducano nell’imposizione di obblighi aggiuntivi rispetto a quelli posti della Direttiva (che è concettualmente l’opposto rispetto al mantenimento di un’autorizzazione unica); i numeri (15) e (19), in cui si legge: “l’autorizzazione dei GEFIA UE, ai sensi della presente direttiva, copre la gestione di FIA UE stabiliti nello Stato membro d’origine del gestore”, così come altre situazioni (GEFIA UE che commercializzano FIA non UE esclusivamente sul loro territorio, GEFIA non UE che gestiscono FIA UE, etc.), “nella misura in cui siano soddisfatte almeno le condizioni minime previste dalla presente direttiva”. A questo punto non si può non segnalare come l’oggetto di quest’ultima – e siamo così all’art. 1 della Direttiva – siano proprio “le norme in materia di autorizzazione, funzionamento e trasparenza dei gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA) che gestiscono e/o commercializzano fondi di investimento alternativi (FIA) nell’Unione”; e che dall’art. 3, che racchiude le “Deroghe” al regime della Direttiva, si evince come solo rimanendo al di sotto di certe soglie minime (specificate nel paragrafo 2 dell’art. 3 in questione), sia sufficiente solo una registrazione presso le autorità competenti del loro Stato membro d’origine e poche altre formalità, ma specificando come “gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che, qualora le condizioni di cui al paragrafo 2 non siano più soddisfatte, il GEFIA di cui trattasi richieda l’autorizzazione entro trenta giorni solari, in base all’apposita procedura stabilita dalla presente direttiva”. Alla quale sono dedicati gli artt. 6 e 7. I quali ultimi, del resto, sono citati anche da Lener, La gestione collettiva del risparmio a quindici anni dal TUF, cit., 5, nt. 14, insieme all’art. 61, paragrafo 1 (“i GEFIA che svolgono attività ai sensi della direttiva prima del 22 luglio 2013 adottano tutte le misure necessarie per rispettare la legislazione nazionale derivante dalla presente direttiva e presentano domanda di autorizzazione entro un anno da tale data”; e che appaiono inequivocabili nel senso di un’ulteriore autorizzazione ai sensi dell’AIFMD (in particolare, cfr. anche il paragrafo 4 dell’art. 7, in cui si legge: “quando una società di gestione è autorizzata ai sensi della direttiva 2009/65/CE [«società di gestione di OICVM»] e presenta domanda di autorizzazione come GEFIA ai sensi della presente direttiva, le autorità competenti non le impongono di fornire informazioni o documenti che la società in questione ha già fornito al momento della domanda di autorizzazione ai sensi della direttiva 2009/65/CE, a condizione che tali informazioni o documenti siano aggiornati”. 49 Documento di consultazione pubblicato nel luglio 2013, e posto da Lener, La gestione collettiva del risparmio a quindici anni dal TUF, cit., 1 nt. 1, alla base delle sue considerazioni. 94 CONTRIBUTI I PRIMI CENTODIECI ANNI DEGLI ART FUNDS: PROBLEMI E PROSPETTIVE resti valido anche dopo il recepimento della Direttiva alternative. Né altrove si rinvengono, testualmente, deroghe alla medesima per quanto concerne, per l’appunto, l’autorizzazione. Piuttosto l’art. 34 citato, in cui si afferma semplicemente che “la Banca d’Italia, sentita la Consob, autorizza le Sgr all’esercizio del servizio di gestione collettiva del risparmio con riferimento sia agli OICVM sia ai FIA (rell.)”, andrebbe forse meglio coordinato con una delle disposizioni transitorie poste in consultazione dal MEF, secondo cui le SGR che alla data di entrata in vigore del Decreto di recepimento della AIFMD gestiscono FIA italiani “si intendono autorizzate ai sensi della direttiva 2011/61/UE”. La circostanza che non sia prevista un’ulteriore autorizzazione ai sensi della AIFMD, non è sufficiente per affermare con certezza che l’autorizzazione rimanga unica50: piuttosto sembrerebbe una conferma che l’autorizzazione è e resta quella della AIFMD, che viene così ad aggiungersi a quella prevista nella legislazione nazionale, ma che si fa un’eccezione, in regime transitorio, (solo) per le SGR già autorizzate a gestire FIA. Se il sistema della doppia autorizzazione non fosse viceversa la regola quando il sistema entrerà a pieno regime, non si vedrebbe la necessità di una tale specificazione, nel regime transitorio, per le SGR già esistenti. Poco aggiunge a questa considerazione, la circostanza che gli artt. 35 e 35ter citati, specifichino, rispettivamente, che “le Sgr sono iscritte in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia distinto in due sezioni per la gestione di OICVM e di FIA (rell.)”; e che “le Sicav e le Sicaf autorizzate in Italia sono iscritte in appositi albi tenuti dalla Banca d’Italia. L’albo delle Sicav è articolato in due sezioni distinte a seconda che le Sicav siano OICVM o FIA”: anche queste sono disposizioni “neutre” dal nostro punto di vista, nel senso che non lasciano intendere in alcun modo che il sistema sia quello dell’autorizzazione unica anche per i FIA. Anzi: piuttosto nasce il sospetto che un’apposita sezione dell’albo delle SGR e delle SICAV che gestiscono FIA italiani, sia stata pensata proprio perché le medesime sono sottoposte ad un regime diverso, in cui le tutele per gli investitori sono ulteriormente rafforzate, anche grazie alla doppia autorizzazione. Anche nel sistema in vigore prima dell’avvento dell’AIFMD, infatti, le SGR dovevano comunque fornire degli elementi ulteriori nel caso in cui volessero gestire FIA, ma non si era ancora arrivati a prevedere la loro iscrizione in una sezione separata dell’albo. Un passaggio, forse, necessario proprio perché l’autorizzazione non è più unitaria. Ma vi è di più. 50 Come vorrebbe ancora soprattutto Lener, La gestione collettiva del risparmio a quindici anni dal TUF, cit., 7. RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015 95 SILVIA SEGNALINI Il secondo ordine di ragioni che portano a preferire un’opzione interpretativa più favorevole alla doppia autorizzazione, è invece di carattere logico-deduttivo51: è indubbio infatti che limitandosi a considerare l’AIFMD52, l’autorizzazione sembrerebbe unica anche ai sensi di quest’ultima. Ma allora delle due l’una: o l’AIFMD detta una disciplina incentrata sull’autorizzazione unica, o viceversa detta una disciplina che, sul punto, si viene necessariamente a sommare all’autorizzazione già prevista nel singolo Stato membro. Infine, vi sono ragioni di carattere più generale che andrebbero prese in considerazione: costituirebbe infatti un’eccezione forse troppo vistosa quella per cui sarebbe sufficiente, nel nostro mercato domestico, un’unica autorizzazione, anche dopo il recepimento dell’AIFMD, nella misura in cui quest’ultima segna un passo ulteriore non solo verso l’armonizzazione del sistema, ma soprattutto verso un ulteriore rafforzamento delle tutele per gli investitori. Inoltre, non si riesce a vedere come il fatto che la Direttiva sia rivolta direttamente ai soggetti e non ai fondi, possa significare di per sé che il regime autorizzatorio nazionale non venga modificato: quando in ultima analisi è proprio il soggetto che esercita l’attività di gestione collettiva del risparmio, e non il fondo, ad essere preso in considerazione ai fini dell’autorizzazione. Come del resto si evince agevolmente dai testi delle disposizioni, sia dell’AIFMD, che del T.U.F. novellato ai sensi di quest’ultima: in cui si possono leggere espressioni come “la presente direttiva mira a stabilire disposizioni comuni in materia di autorizzazione e vigilanza dei GEFIA”53 (per l’appunto, i gestori); “la presente direttiva fissa le norme in materia di autorizzazione (…) dei gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA) che gestiscono e/o commercializzano fondi di investimento alternativi (FIA) nell’Unione”; e ancora “gli Stati membri dispongono 54 che i GEFIA presentino domanda di autorizzazione (rell.)” . Disposizioni che nel T.U.F. vengono tradotte (o dovrebbero esser tradotte55) con “la Banca d’Italia, sentita la Consob, autorizza le Sgr (rell.)”, oppure “le Sicav e le Sicaf autorizzate in Italia (rell.)56: in altre parole, sempre legando le norme relative all’autorizzazione, direttamente al gestore (per l’appunto), e non al fondo. Motivo per cui sembrerebbe difficile che la normativa in questione non incida anche su questo aspetto, introducendo pertanto in Italia una doppia autorizzazione per la gestione di FIA. 51 52 53 54 Ragioni che sono state già introdotte ed in parte anticipate, supra, nella parte finale della nt. 47. Come lo stesso Lener, La gestione collettiva del risparmio a quindici anni dal TUF, cit., 7, nt. 21, ammette. Così il già citato, cfr. supra, nt. 47, considerando numero (2) della Direttiva 2011/61/UE. Così ancora gli artt. 1 (Oggetto) e 7 (Domanda di autorizzazione) della Direttiva 2011/61/UE, già citati nello stesso luogo. 55 Se il testo del già citato Documento di consultazione del luglio 2013 del MEF, contenente le probabili modifiche al T.U.F. dopo il pieno recepimento dell’AIFMD, verrà pienamente confermato. 56 Così rispettivamente l’art. 34 e 35-ter, del T.U.F., nelle versione contenuta sempre nel Documento di consultazione del MEF del luglio 2013. 96 CONTRIBUTI I PRIMI CENTODIECI ANNI DEGLI ART FUNDS: PROBLEMI E PROSPETTIVE Il nodo però, al di là delle opinioni degli interpreti, è ovvio che non potrà che essere sciolto a livello applicativo, quando il recepimento nel nostro ordinamento della AIFMD sarà arrivato a pieno compimento. Quel che è certo è che scomparirà, con l’AIFMD a pieno regime, la distinzione tra promotori e gestori (e quindi, nel nostro sistema, tra SGR promotrice e SGR gestore), e che di conseguenza verranno ridisegnate le attività costitutive del servizio di gestione collettiva: operazione rispetto alla quale il legislatore italiano sembrerebbe già essersi preso dei margini specifici. Per intenderci, là dove l’AIFMD intende come funzioni essenziali – o meglio “minime di gestione degli investimenti di un GEFIA svolge nella gestione di un FIA”, per stare alla lettera della Direttiva57 – la gestione del portafoglio e la gestione del rischio; e funzioni “supplementari” quelle di amministrazione e commercializzazione58; il T.U.F. dice invece che (essenzialmente) “le Sgr gestiscono il patrimonio e i rischi degli Oicr nonché amministrano e commercializzano gli Oicr gestiti”; mentre “possono altresi” (ma non necessariamente, come funzioni per l’appunto supplementari): “a) prestare il servizio di gestione di portafogli; b) istituire e gestire fondi pensione; c) svolgere le attività connesse o strumentali; d) prestare i servizi accessori (…), limitatamente alle quote di Oicr gestiti; e) prestare il servizio di consulenza in materia di investimenti; e-bis) commercializzare quote o azioni di Oicr gestiti da terzi, in conformità alle regole di condotta stabilite dalla Consob, sentita la Banca d’Italia; e-ter) prestare il servizio di ricezione e trasmissione di ordini, qualora autorizzate a prestare il servizio di gestione di FIA”59. A parte la specificazione della lettera e-ter), che si rivolge esplicitamente ai FIA, l’esatta definizione del contenuto delle attività supplementari, a fortiori – è plausibile ritenere - quando si tratta di gestire, per l’appunto, dei FIA, è rimessa alla Banca d’Italia, sentita la Consob60: con ciò in parte correggendo la poca chiarezza, per quanto concerne la distinzione di funzioni essenziali e supplementari, dell’AIFMD61. Sul punto, non sarà inutile sottolineare come sia senz’altro da annoverare tra le novità conseguenti al recepimento dell’AIFMD, il fatto che una SGR autorizzata a prestare il servizio di gestione di fondi di investimento alternativi, possa da ora esercitare anche il servizio di ricezione e trasmissione di ordini. 57 Cfr. Allegato I, punto 1, Direttiva 2011/61/UE. 58 Cosi ancora Allegato I, punto 2, della Direttiva 2011/61/UE. 59 Così l’art. 33, paragrafi 1 e 2, del T.U.F. nella versione contenuta nel più volte citato Documento di consultazione del MEF, del luglio 2013. 60 Cfr. in tal senso, l’art. 33, comma 4-bis, del novellato T.U.F. 61 Cfr. in tal senso, l’analisi condotta sul punto da Lener, La gestione collettiva del risparmio a quindici anni dal TUF, cit., 10 ss. RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015 97 SILVIA SEGNALINI 3. Tirando le somme: problematiche e prospettive degli art funds A questo punto del discorso, non resta che cercare di comporre il sistema, in chiave ovviamente problematica — l’unica realisticamente consentita, sia per lo stato di avanzamento delle ricerche di chi scrive, sia per il particolare momento in cui si approccia la materia, che vede molti provvedimenti ancora non definitivi — , partendo da un sicuro dato di fatto: come rilevato, tanto per citare uno dei più recenti articoli dedicati alla questione, da ArtEconomy del Sole24Ore di sabato 15 marzo 2014, tra le categorie di collezionisti di arte, se ne rileva una, di recente formazione, quella degli investitori, che rappresenta già il 24% del mercato. Il che coniugato con la circostanza che in Europa meno del 10% dei cittadini ha investito in fondi (contro il 90% dei cittadini americani: dati diffusi durante il Salone del Risparmio di Milano del 2014), fa pensare come non solo vi sia un grande potenziale di crescita per il risparmio gestito, ma — tirando le somme di quanto fin qui sottolineato — sia ipotizzabile, già solo a livello normativo, un futuro più roseo per gli art funds: non foss’altro perché la normativa europea sembrerebbe aver prodotto — come il caso dell’Italia dimostrerebbe — una moltiplicazione degli schemi organizzativi utili per costruire e far funzionare al meglio fondi di tal genere; per favorire anche per i clienti professionali (come fondi pensione e compagnie assicurative), l’investimento in assets class alternativi (come l’arte per l’appunto), nel contempo incentivando anche gli investitori non professionali, seppur con tutte le cautele del caso. Dall’altra parte, però, come abbiamo notato nelle battute iniziali del discorso, fin qui il successo o l’insuccesso dei fondi di arte sembrerebbe essere stato, perlomeno fino ai nostri giorni, poco o nulla condizionato dalla normativa di settore, e molto dipendente da una serie di fattori che, in senso lato, potrebbero essere riportati al modello di business62. Sicuramente però, nonostante tutti i nodi ed i problemi, in parte annosi, che il settore presenta e che andranno progressivamente meglio gestiti in futuro — solo per esemplificare: i conflitti di interesse del management del fondo, particolarmente complessi nel caso di fondi di arte; la necessaria consulenza di istituzioni artistiche esterne, non sempre indipendenti, per la valutazione dei beni d’arte con cadenza almeno semestrale; e molto altro ancora63 — , le sfide, 62 Una prima analisi del mercato di riferimento è contenuta nell’Appendice al lavoro, che in parte anticipa i risultati di un lavoro monografico in corso di stesura da parte di chi scrive. 63 Problemi, questi evidenziati nel testo, ben stigmatizzati già negli studi “preliminari” della materia: i già citati saggi di Zampetti, “Art funds”, cit. 187 ss.; e Iannaccone, Fondi comuni di investimento in opere d’arte, cit., 199 98 CONTRIBUTI I PRIMI CENTODIECI ANNI DEGLI ART FUNDS: PROBLEMI E PROSPETTIVE e le opportunità, che il legislatore sta ponendo al mondo del risparmio gestito di questi tempi, non possono non essere raccolte: prima fra tutte, per quanto ci riguarda, quella di trasformare l’investimento in arte da “passion investment”64, come finora di fatto è stato, a investimento più razionale e strutturato, lavorando affinché le asimmetrie informative e l’assenza di regolamentazione, da sempre terreno fertile per l’insider trading, diventino l’eccezione e non la regola di questo interessante, e a ben guardare vantaggioso — soprattutto in tempi in cui si cercano di implementare gli investimenti sul lungo periodo — , settore di investimenti. Appendice al lavoro: breve analisi del mercato di riferimento Di primo acchito, si potrebbe pensare come né un contesto normativo più favorevole né i fondamentali di mercato siano i driver degli investimenti in arte: ma se si può parzialmente assentire al primo assunto – solo dopo aver costruito un business plan, chi decide di lanciare un fondo guarda anche al contesto normativo più favorevole - , non si può più pensare che siano soprattutto il gusto e le mode a guidare iniziative di questo tipo, o che si tratti di un mercato completamente irrazionale e irriducibile a degli schemi, esistendo ormai degli indicatori o comunque dei dati di mercato che permettono di trattare l’arte come un vero e proprio asset class. Interessante a questo proposito sono gli studi condotti da due ricercatori, Jianping Mei e Michael Moses, docenti di finanza alla New York University, che hanno sì evidenziato la grande variabilità dei rendimenti delle opere d’arte, suggerendo come anche l’investimento in opere di artisti molto noti non necessariamente dia luogo ad un maggior valore, ma hanno nello stesso tempo tracciato delle linee di tendenza ben precise, da cui è possibile estrapolare dati, fare previsioni, studiare l’andamento del mercato di riferimento. Jianping Mei e Michael Moses hanno infatti creato tre indici di valutazione del mercato (denominati complessivamente Mei e Moses Art-Index): capolavori, mercato medio ed arte a basso costo di acquisto. Dal 1952 “l’indice di arte a basso costo di acquisto”, che comprende le opere d’arte vendute per somme che rientrano nel 33% dei più bassi prezzi di acquisto d’asta, ha decisamente superato il “mercato medio” e “l’indice dei capolavori”. Se si confrontano questi indici con la performance a lungo termine dello S&P 500, si evince ss. 64 Così si esprime, opportunamente, Zorloni, L’economia dell’arte contemporanea, cit., 189. RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015 99 SILVIA SEGNALINI che i “capolavori” rendono meno del mercato azionario, mentre i dipinti “a basso prezzo” tendono a fruttare di più. Ad esempio, nel 1989 il dipinto di Marc Chagall “Le violiniste” è stato venduto all’asta per 4,2 milioni di dollari; mentre nel maggio 2001 la stessa opera è stata battuta per 2,1 milioni, cioè alla metà del suo prezzo di acquisto di 11 anni prima. Diversamente, un altro dipinto sempre di Chagall, ma meno costoso,“Orphée”, è stato venduto per 120.000 dollari nel 1982 e, a maggio del 2001, rivenduto per ben 500.000 dollari. Del resto il dato non è nuovo: William Baumol, illustre economista americano, in uno scritto del 1986, sull’«American Economic Review», dal titolo “Unnatural Value: or Art Investment as Floating Crap Game”, aveva già indagato le variazioni di rendimento fra quadri più o meno famosi. I capolavori sono ritenuti tali perché colpiscono l’osservatore nel profondo, riescono a stimolare la sua sensibilità ed emozionarlo. Ed il collezionista valuterà tale piacere estetico almeno quanto la differenza tra i rendimenti delle opere d’arte e quelli dei capitali finanziari. I tassi di rendimento dell’investimento in dipinti minori risulteranno, quindi, maggiori rispetto a quelli dell’investimento in opere d’arte più famose, proprio per sanare questo gap che si viene a delineare da un punto di vista emotivo. Quel che è certo è come dopo gli studi di Mei e Moses si sono raggiunte le seguenti conclusioni: il rendimento degli investimenti in arte è di poco inferiore a quello delle azioni, e superiore a quello dei titoli di stato; la volatilità degli investimenti in arte è relativamente più elevata ma in diminuzione nel tempo; esiste una correlazione molto bassa con i rendimenti delle azioni e delle obbligazioni. Anche se a stare alle parole di Philip Hoffman (Ceo di The Fine Art Fund), intervistato per ArtEconomy del Sole 24 Ore nel settembre 2014: “si dice che ci sia bassa correlazione tra l’arte e gli atri asset. Bene, in quel periodo “ – quello della crisi del 2008-2009 – “tutto era correlato: i miei clienti milionari non spendevano niente”. E ancora: “non conosco nessun gestore che possa garantire un rendimento. Nessuno mi crederebbe se lo facessi perché nessun gestore serio può garantire il rendimento”. Dove per gestore si intende in generale il gestore di un fondo, a prescindere dall’asset class del medesimo. Se a questo si aggiunge che da un’analisi svolta dall’Art Market Research negli anni passati, risulti come il portafoglio finanziario ottimale dovrebbe essere costituto per il 35% da equity, per il 45% da obbligazioni e per il 20% da arte – in quanto capace di generare una performance superiore ai titoli di stato a dieci anni (rispettivamente l’11% contro il 9,9%), con un livello di 100 CONTRIBUTI I PRIMI CENTODIECI ANNI DEGLI ART FUNDS: PROBLEMI E PROSPETTIVE rischio pari al 7,7%, il più basso livello fra tutte le assets class del modello – si dovrebbero definitivamente abbandonare tutti i pregiudizi rispetto al mercato dell’arte. Il che non può che far salutare con favore la tendenza alla creazione di un contesto anche normativo più favorevole e più ampio che in passato: anche se allo stato resta sempre impossibile – per la scarsità di dati ufficiali e soprattutto per la mancanza di precedenti di art funds italiani che siano sopravvissuti anche per un tempo minimo - procedere ad una vera e propria analisi comparata dell’esperienza italiana con quella di altri Paesi. Bibliografia essenziale - F. Annunziata, Gestione collettiva del risparmio e nuove tipologie di fondi comuni di investimento, in Riv. Soc., 2000, 350 ss.; - F. Capriglione, I fondi chiusi di beni d’arte, in Contratto e Impresa, XXIII.3, 2007, 736 ss.; - R. D’Apice, Fondi alternativi e finanziamenti alle imprese, in Focus Risparmio, n. 4, giugno 2014, 13; - G. Iannaccone, Fondi comuni di investimento in opere d’arte: opportunità tra problematiche valutative e conflitti di interesse, in AGE, 1/2007, 199 ss.; - R. Lener, La gestione collettiva del risparmio a quindici anni dal TUF, in Riv. Dir. Comm. (in corso di pubblicazione); - R. Lener,The Italian Approach to Alternative Fund Management, in JIBLR, Issue 4, 2014, 197 ss.; - R. Lener-A.Galante, D.lgs. 58/1988. Prime riflessioni sulle società di gestione del risparmio, in Le Soc., V, 1998, 533 ss.; - R. Lener, Gestore unico e deleghe nella gestione, in Assogestioni, La disciplina delle gestioni patrimoniali, Roma, 2000, 146 ss.; - E. Ntuk, Fondi comuni di investimento, in Dig. Comm. agg., 2000, 335 ss.; - V. Renzulli-A.Tucci, I fondi comuni di investimento, in R. Lener (a cura di), Diritto del mercato finanziario. Saggi, Torino, 2011, 323 ss.; - S. Segnalini, Dizionario giuridico dell’arte, Milano, 2009; - C. Zampetti, “Art funds”: Benefici e difficoltà, in AGE, 1/2007, 187 ss.; - A. Zorloni, L’economia dell’arte contemporanea. Mercati, strategie e star system, Milano, 2011. RIVISTA BANCARIA - MINERVA BANCARIA N. 2 / 2015 101 Per rinnovare o attivare un nuovo abbonamento effettuare un versamento su: c/c bancario n. 36725 UBI - Banco di Brescia Via Vittorio Veneto 108/b - 00187 ROMA (IBAN IT94U 03500 03205 000 0000 36725) intestati a: Editrice Minerva Bancaria s.r.l. oppure inviare una richiesta a: [email protected] Condizioni di abbonamento per il 2015 Canone annuo Italia € 100,00 - Estero € 145,00 Prezzo di un fascicolo € 25,00 Abbonamento web € 60,00 Prezzo di un fascicolo arretrato € 40,00 Abbonamento sostenitore Pubblicità 1 pagina € 650,00 - 1/2 pagina € 480,00 L’abbonamento è per un anno solare e dà diritto a tutti i numeri usciti nell’anno. L’abbonamento non disdetto con lettera raccomandata entro il 1° dicembre s’intende tacitamente rinnovato. L’Amministrazione non risponde degli eventuali disguidi postali. I fascicoli non pervenuti dovranno essere richiesti alla pubblicazione del fascicolo successivo. Decorso tale termine, i fascicoli disponibili saranno inviati contro rimessa del prezzo di copertina. DIREZIONE E REDAZIONE: Largo Luigi Antonelli, 27 – 00145 Roma e.mail: [email protected] La versione on line della rivista è curata da S. Marzioni AMMINISTRAZIONE: EDITRICE MINERVA BANCARIA S.r.l. presso P&B Gestioni Srl, Viale di Villa Massimo, 29 - 00161 - Roma Tel. +39 06 45437321- Fax +39 06 45437325 e.mail: [email protected] (Pubblicità inferiore al 70%) Autorizzazione Tribunale di Milano 6-10-948 N. 636 Registrato Proprietario: Istituto di Cultura Bancaria “Francesco Parrillo”, Milano Gli articoli firmati o siglati rispecchiano soltanto il pensiero dell’autore e non impegnano la Direzione della Rivista. Per le recensioni, i libri vanno inviati in duplice copia alla Direzione. È vietata la riproduzione degli articoli e note senza preventivo consenso della Direzione. Finito di stampare nel mese di aprile 2015 presso Press Up, Roma