Epigrafi e iscrizioni del Prof. Franco Mondadori(2006)

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Epigrafi e iscrizioni del Prof. Franco Mondadori(2006)
L’autore ringrazia quanti hanno agevolato con piena disponibilità il suo compito, fornendo preziosi suggerimenti, in particolare:
Raffaele Agostini, Eligio Bianchera, Maurizio Bottoli, don Alberto Buoli, Germano Cagioni, Bruno
Cerini, Sergio Desiderati, Stefania Fontanesi, Valerio Galvani, Silvana Giannantoni Cases,
Francesco Mutti, Graziano Pelizzaro, Valentino Ramazzotti, Serena Tanchella, Giuseppe Valbusa,
Adelio Zampolli, Giovanni Zangobbi, Guerrina Zovetti.
Progetto grafico: Claudia Dal Prato Design Studio
Fotografie: Andrea Dal Prato
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“Chi non ha lapidi non ha neppure antichità”
(Ludovico Antonio Muratori, 1672-1750)
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Presentazione
L’idea di questo libro viene da lontano. Se ne parlava a scuola con il prof.
Alessandro Dal Prato e altri colleghi.
Erano gli anni ‘60 del secolo scorso. Ai ragazzi venne proposto di trascrivere iscrizioni da lapidi e cippi esistenti nel capoluogo, frazioni e nel territorio. Il poco
tempo e altri impegni o il lavoro interruppero l’iniziativa.
Essa fu ripresa negli anni ‘80 dai professori don Alberto Buoli e Anita D’Isola. I
ragazzi risposero con entusiasmo e il materiale raccolto, testi, disegni, rilievi, fu
assai consistente, utilizzato in sede di Distretto scolastico e divulgato in alcune conferenze. Una parte fu pure esposta in due mostre, in Parrocchia nel 1982 e presso
la Scuola Media nel 1987. Tuttavia una mole così ragguardevole di lavoro non
approdò nell’immediato a una pubblicazione organica. Occorreva estendere la
ricerca alle iscrizioni scomparse e corredarle tutte, scomparse ed esistenti, di un
commento storico-letterario che le contestualizzasse.
Non un arido catalogo, ma secondo una divisione di capitoli, di luoghi, di epoca e
di genere. All’interno di ogni capitolo si è seguito il criterio cronologico, capace a
nostro avviso, di mettere in risalto il periodo storico e restituirne l’atmosfera culturale.
Questa l’ambizione del presente volume. Diranno i lettori, guidizzolesi e no, gli
extra muros, i nuovi insediati, se l’obiettivo è stato raggiunto.
Lapidi e targhe sono state poste per ricordare e mentre ricordano con poche parole
un personaggio illustre o un avvenimento possono suggerire interi capitoli di storia.
I muri parlano: anche nell’era di internet le iscrizioni su lapidi e targhe rappresentano una comunicazione tradizionale che sa rivolgersi al cuore dei cittadini, ne
aumenta il senso di identità e arricchisce il significato di muri e strade.
Lo stile dell’epigrafia classica si caratterizzava per concisione, brevità e l’uso
appropriato delle abbreviazioni. Per il rispetto di questi canoni la lingua latina era
insuperabile. Ma anche le iscrizioni in lingua italiana sono ricche di fascino e di
interesse, ricordano episodi e figure della nostra storia. Molte di esse su edifici pubblici o in case private sono sbiadite, alcune quasi illeggibili.
Sarebbe opportuno che l’Amministrazione comunale o i privati, secondo competenza, le ripulissero valorizzandole e rendendole leggibili.
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Prefazione
Mi sono avvicinata all'ultima fatica di Franco Mondadori con un po' di preoccupazione. Temevo di non saper cogliere il significato di un lavoro specialistico, lontano dai miei interessi. A lettura conclusa, devo rilevare, che ancora una volta lo studioso, meticoloso e preciso, è riuscito a strappare dall'oblio vicende, personaggi del
nostro paese e dei luoghi vicini, dimostrando, come un'epigrafe, diventi documento storico, in grado di fissare usi e costumi di una comunità nel lungo periodo.
L'epigrafia è la scienza, ausiliaria della storia, che con le sue regole decifra le iscrizioni, giunte a noi dal passato. Soprattutto per l'antichità, avanzi epigrafici sono
spesso l'unico documento su cui basarci, per ricostruire la storia di un popolo. Sulla
scia dei grandi cultori di questa disciplina, come Ludovico Antonio Muratori,
Bartolomeo Borghesi, Stefano Morcelli e Teodoro Mommsen, che effettuò la pubblicazione in diciassette volumi del “Corpus inscriptionum latinarum”, Franco
Mondadori realizza il suo “corpus inscriptionum” per aiutarci a trarre insegnamenti e appassionarci alla scoperta di momenti del passato, di modi e ritmi di vita così
diversi dai nostri.
Il libro è un repertorio cronologico che presenta all'inizio due iscrizioni di epoca
pagana e poi epigrafi religiose, civili, di tipo familiare o privato, giungendo agli
anni della Resistenza guidizzolese. “Epigrafi” è un testo che ci fa percorrere, incuriositi, il cammino della nostra comunità, rivelando quanto tutto gravitasse intorno
alla vita religiosa, sia in epoca pagana, che cristiana. Le epigrafi in esame sono
presso la chiesa parrocchiale, la chiesa di S. Lorenzo, nel cimitero e nelle vie del
paese e nelle cascine limitrofe. L'autore, con il suo libro, recupera il materiale
documentario tenendo conto, secondo me, delle modalità usate da esperti come De
Rossi e Delehaye che hanno dimostrato come l'epigrafia cristiana, illumini la storia e in particolare l'agiografia.
Il testo si apre con un frammento di calendario di epoca pagana, rinvenuto in località S. Martino nel 1891, riferibile all'epoca di Augusto e ora al museo archeologico di Brescia. Si tratta di un rozzo calendario di pietra, che rientra nelle abitudini
dei romani, di incidere su materiale resistente, bronzo o pietra, un documento di
interesse universale e che testimonia le antiche origini romane di Guidizzolo, confermate dall'epigrafe successiva, del secondo secolo, di epoca cristiana. “Marco
Servilio è il nome più antico che ci sia tramandato di un guidizzolese” commenta
Franco Mondadori intervenendo qui, come in altre epigrafi per chiarire, spiegare o
semplicemente tradurre.
Penso in definitiva che il libro sia un'opera non tanto per iniziati, ma capace di interessare lo storico e anche tutti noi.
Stefania Fontanesi Quiri
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L’iniziativa di censire le epigrafi dell’Alto Mantovano risale al prof. Alessandro
Dal Prato, al tempo della sua presidenza all’Istituto Statale d’Arte di Guidizzolo.
Alcuni documenti testimoniano che l’operazione, coordinata dal Prof. Franco
Mondadori di Guidizzolo, era stata messa in opera fin dal 1965.
Non mi è dato sapere l’esito finale di quel lavoro.
Durante gli anni del mio ministero a Guidizzolo, (1979-1988) stimolato dal Prof.
Franco Mondadori, e ricevendo da lui del materiale precedentemente raccolto,
coordinai la ricerca sistematica e la trascrizione in scala delle epigrafi sacre e profane, presenti sul territorio di Guidizzolo, attraverso l'opera di un gruppo di bravissime ragazze, per la maggior parte guidizzolesi, che in quegli anni frequentavano
l'Istituto Statale d'Arte.
Anche se non è stato possibile approfondire lo studio del materiale raccolto, salvo
che per alcune epigrafi, una prima parziale presentazione al pubblico del risultati
delle ricerche venne fatta in occasione di due mostre, l’una realizzata presso la
Parrocchia di Guidizzolo per la Sagra del 1982 e l’altra presso la Scuola Media
Statale locale in occasione della intitolazione della stessa a don Antonio Ilario
Fortunati, nel giugno del 1987 (Cfr. Gazzetta di Mantova, Mercoledì 24 giugno
1987, pag. 16).
Casaloldo, 2 febbraio 2006
don Alberto Buoli
Gli alunni che hanno collaborato
1965: Francesco Cappa, Lucio Cerini, Carlo Zuanon, Sira Castagna, Giuliano Crotti, Maurizio
Piccinelli, Paride Piva, Daniela Rosa, Rolando Spazzini, Licia Stuani, Vivaldini;
1979: Katia Bianchera, Paola Bono, Giuseppina Borsari, Mara Bottoli, Claudia Dal Prato,
Rosaria Ghisolfi, Paola Lucchi, Bruna Morari, Silvia Mottinelli, Roberta Pastorello, Stefania
Piazza, Oriana Pingo, Cosetta Poli, Maria Roverselli;
1983: Manolo Badini, Rosanna Baraldi, Cristiano Bellini, Daniele Broccaioli, Oscar Brunoni, Susy
Cappa, Oscar Gottardi, Andrea Maffezzoni, Stefania Mari, Simone Ronconi, Monica Tarchini,
Barbara Tavacca, Sabrina Truzzi, Federica Vivaldini.
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Guidizzolo in epoca pagana
Alle origini il cristianesimo si diffuse nelle città, mentre
nelle campagne, più conservatrici, persistette il culto
degli dei che il pio agricoltore propiziava offrendo le primizie.
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Frammento di calendario ora al museo di Santa Giulia in Brescia
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Guidizzolo in epoca pagana
Rinvenuto in località San Martino a Guidizzolo nel 1891. Ora al Museo
Archeologico di Brescia.
Mattone iscritto, alto m 0,165, largo m 0,160 spessore massimo m 0,04.
Riferibile all'epoca di Augusto (I sec.) Contiene gli ultimi dodici giorni del mese di
novembre, gli ultimi quattordici di dicembre e nella terza colonna le feste del II
semestre dell'anno.
In corrispondenza di ciascun giorno, e di ciascuna festività, è praticato lateralmente un foro, dove conficcare una spina o un'asticella per indicare il giorno o le feste
fino a quel giorno celebrate.
Il calendario si presenta nella forma più semplice che si possa immaginare.
Riporta i soli numeri di ciascun giorno, senza altra indicazione. Ad esempio mancano le lettere nundinali, cioè dei giorni di mercato. Serviva, probabilmente, a un
agricoltore, per seguire i lavori dei campi e impetrare il favore degli dei.
Apollo il 13 e Nettuno il 23 luglio. Diana il 13 e Vulcano il 23 agosto. In dicembre
l'antichissima festa romana del Septimontium, cioè dei Sette Colli. Ultima Epona,
protettrice del bestiame.
Letteratura: Studiato da F. Bernabei, della R. Accademia dei Lincei, Roma, 1892
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M . SERVILIUS. M. F. FAB. MACEDO
T.F.I
Marcus Servilius Marci filius de tribu Fabia Macedo
testamento fieri jussit.
Marco Servilio, figlio di Marco, macedone della tribù Fabia comandò con testamento fosse eseguito (questo ricordo).
Marco Servilio è il nome più antico che ci sia tramandato di un guidizzolese, appartenuto alla tribù romana agricola Fabia dedotta da Brescia all'inizio del II secolo
dell'era cristiana.
Il testo di un'altra iscrizione coeva, pure scomparsa, recita: IULIUS AQUILINUS
PATRI, cioè Giulio Aquilino (dedicò) al Padre (questa memoria).
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Epigrafi scomparse
dalla Chiesa parrocchiale
Alcune epigrafi ricordano benefattori della Chiesa o insigniti di
cappellanie.
Di interesse storico quelle riguardanti il passaggio del governo
della parrocchia dagli Olivetani al Clero secolare.
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Cm 58,5x46,5
La Signora Anna De Borsi figlia di Francesco piacentino e moglie del signor
Battista Zappettini morì il giorno 16 del mese di ottobre 1596. Lasciò l'amata
unica figlia Emilia moglie del Signor Andrea di Fontanellato che fece costruire
questo sepolcro per sè e i discendenti nello stesso anno 1596 il giorno 20 del Mese
di Dicembre.
Lapide pregevole per antichità ed eleganza.
L'ovale centrale è in marmo nero, la cornice in rosso di Verona.
La presenza della farniglia Zappettini a Guidizzolo risale al XV secolo, documentata nel 1506 dalla committenza di un affresco nella chiesa di San Lorenzo.
Dal 1634 gli Zappettini sono titolari della Cappellania di San Giovanni Battista,
istituita nella parrocchiale con altare, sepolcro e dotata di alcuni terreni.
Il testo dell'iscrizione riguarda un ramo collaterale, mentre la famiglia ebbe continuità e si estinse nel 1860.
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Epigrafi scomparse dalla Chiesa parrocchiale
HOC SIBI DELEGIT PROSPER CERESARA SEPULCRUM
UXORIQUE SUAE DUM NOVA REGNA PETANT MDCXV
Prospero Ceresara nel 1615 scelse questo sepolcro per sè e la moglie in attesa di
giungere al regno nuovo (celeste).
Un ramo della ricca e potente famiglia Ceresara presumibilmente dalla fine del '500
risiede a Guidizzolo nel palazzo Pezzati oggi sede della locale Agenzia BAM.
Nel 1771 la Famiglia è composta dal conte Paride, dalla moglie Ginevra Giusti, dal
figlio adolescente Carlo. In casa vivono alcune persone di servizio e il maestro
Ignazio Mendoschi, precettore di Carlo.
SUB HOC LAPIDE
JACENT OSSA REVERENDI DOMINI JOANNIS ANTONII POLI
CASTELGRIMALDI RECTORIS HUIUS ARAE DIVI ANTONII DE
PATAVIO BENEFACTORIS.
OBIIT ANNO DOMINI MDCLXXVI SUB DIE IV MENSIS IULII ANNORUM AETATIS LXIV
MENSIUM X DIERUM XXII
Sotto questa pietra giacciono le ossa del Reverendo Signor
Giovanni Antonio Poli, Rettore di Castelgrimaldo e benefattore di questo altare di
S. Antonio di Padova. Morì nell'anno del Signore 1676 il (giorno) 4 del mese di
Luglio all'età di 64 anni, 10 mesi, 22 giorni.
L'altare di Sant’Antonio da Padova, con la custodia delle Reliquie, era eretto come
cappellania di juspatronato della Comunità che ne amministrava i beni.
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ANTONIUS GAMBETTI ANNORUM 40. OBIIT
DIE 23 NOVEMBRIS 1737
Antonio Gambetti di anni 40. Morì il 23 novembre 1737.
Antonio Maria Gambetti aveva disposto nel testamento di essere sepolto in chiesa
e indicato il luogo: davanti all'altare della Beata Vergine Maria. Ottenuta licenza
dai Superiori la sua volontà fu rispettata.
DILECTISSIMEAE UXORIS COMITISSAE PAULAE DELAI RIZZINI OSSA MOESTISSIMUS
IPSIUS CONIUX COMES FRANCISCUS RIZZINI SUB HOC MARMORE CONDIDIT DONEC
A TUBA EXCITENTUR. ANNO DOMINI MDCCLII KAL. NOVEMBRIS
Il marito conte Francesco Rizzini addoloratissimo compose sotto questo marmo le
ossa della amatissima sposa contessa Paola Delai in attesa siano ridestati dalla
tromba (del giudizio finale). Anno del Signore 1752, I novembre.
Paola Delai, nata a Toscolano nel 1695 da famiglia di industriali del ferro, sposò
nel 1722 il conte Francesco Rizzini.
Dal loro matrimonio nacquero otto figli. I Rizzini risiedevano a Mantova e nella
stagione estivo-autunnale a Guidizzolo dove Paola morì e Francesco la volle sepolta nella chiesa parrocchiale. Approntata la sepoltura, dopo le esequie, Paola fu
tumulata il 2 Novembre.
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Epigrafi scomparse dalla Chiesa parrocchiale
Chiesa Parrocchiale: come si presentava l’area presbiteriale prima dell’ampliamento.
Disegno a china su carta, cm 32x45 di Alessandra Maffezzoni Dal Prato, 1980
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Espiate la colpe dei defunti con la vittima
di salvezza
a favore di ognuno offerta quotidianamente e in perpetuo
su questo altare maggiore sarà lucrata
l'indulgenza
(concessa) da Pio VI pontefice massimo
come
da suo rescritto del 23 novembre 1799
dato a Firenze
dove ahimè! cosa nefasta, era tenuto
prigioniero dai
francesi.
Cm 119x200
L'iscrizione sembra incontrare tre incongruenze di carattere storico: Florente può
essere inteso Firenze? È corretta la lettura di XBIAS con decembres? La data del
23 novembre 1799 è accettabile?
Il Papa Pio VI (Angelo Braschi) dal marzo 1799 si trovava in Francia, deportato
nella fortezza di Valence, dove morì il 29 agosto. Il successore Papa Pio VII
(Barnaba Chianamonti) fu eletto soltanto nel marzo 1800 a Venezia dove si svolse
il conclave. Pertanto la sede papale nel novembre 1799 era vacante. Se per Florente
si intende il locativo Florentiae il rescritto potrebbe essere stato redatto a Firenze
dove Pio VI, costretto dai Francesi ad abbandonare Roma fin dal febbraio 1798, era
stato trattenuto dieci mesi nella Certosa.
L'iscrizione, dipinta su tavola di legno, era appesa in alto a sinistra dell'arco maggiore del presbiterio, demolito negli anni 1969-70.
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Epigrafi scomparse dalla Chiesa parrocchiale
APOSTOLIS. PRAESTITIBUS. TUTELARIBUS
PETRO. ET. PAULO
SACRUM
GUIDITIOLENSES. ANNO MDCCCIV
TEMPLI. PRINCIPALIS. IURIBUS. RECIPERATIS
ET . LEGITIMA. ARCHIPRESBITERI. SUI. DIGNITATE
IN . PRISTINAM. LIBERTATEM. VINDICATA
QUEIS. ANNOS . CCC.DISCORDIA. MAIORUM
ET . TEMPORUM. NEGLIGENTIA INTERCEPTIS. CARUERANT
ANIMIS . DIVINITUS. CONSOCIATIS. ERECTIS
LAETI. LIBENTES CELEBRAVERVNT
Nel 1804 i guidizzolesi, recuperati i diritti del tempio
principale e restituita all'antica autonomia la legittima
autorità del suo arciprete, interrotti per trecento anni
dalla discordia dei padri e dalla potenza dei monaci, (ora)
concordi gli animi grazie a Dio e distrutto il monastero per
decreto regio, lieti dedicano questo monumento agli apostoli
protettori Pietro e Paolo.
Quanto la discordia rapì, ricompose la concordia
23
Cm 119x 200
Essendo stati recuperat i diritti del presbiterio e dell'altare maggiore della Chiesa
parrocchiale e restituita all'originaria autonomia la legittima autorità del suo
Arciprete, venuti meno in circa trecento anni per la discordia dei padri e la prepotenza dei (monaci) beneficiari, il Clero e il Popolo di Guidizzolo nell’anno 1804
fatti consapevoli per ispirazione divina del voto realizzato, a ragione lieti ed esultanti posero (questo) eterno monumento.
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Epigrafi scomparse dalla Chiesa parrocchiale
Di questa iscrizione esistono tre versioni, una, a stampa, dell'abate Morcelli, la
seconda, conservata in Archivio parrocchiale, con qualche intervento di don
Fortunati, la terza, con ulteriori modifiche, corrisponde al testo definitivo.
È presumibile che don Fortunati si sia rivolto all'amico Morcelli, dotto epigrafista,
e che successivamente abbia ritenuto di apportare qualche modifica.
Un esame critico delle tre versioni le mette a confronto.
Al generico "guiditiolenses" don Fortunati ha premesso "neocori et municipes"
unendo comunitià religiosa e civile. Ha specificato come l'area presbiterale fosse di
pertinenza dei monaci olivetani, mentre la manutenzione della chiesa era a spese
dei parrocchiani. Senza negare le discordie "dei padri" ha voluto evidenziare la prepotenza dei monaci descritti come "diacathocori", che godevano cioè delle rendite
del beneficio parrocchiale e trascuravano a volte la cura pastorale.
Per comprendere queste sottolineature occorre ricordare come don Fortunati per
circa trent'anni, dal 1772, era stato Vicario Parroco, mentre titolare della parrocchia
continuava a essere l'abate di S. Maria del Gradaro di Mantova. Il tono dell'iscrizione esprime l'orgoglio di don Fortunati che fu capace di pilotare, non senza traumi, la difficile lunga transizione dal governo olivetano al clero secolare, sostenuto
e in linea per altro con le direttive del vescovo Pergen.
L'iscrizione, dipinta su tavola di legno, era esposta a destra dell'arco maggiore del
presbiterio.
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Mons. Giovanni Battista De Pergen, vescovo di Mantova dal 1770 al 1807, seguì
con grande prudenza il passaggio della cura d'anime dai Monaci Olivetani al clero
secolare nella persona di don Antonio Ilario Fortunati, prima Vicario parrocchiale
e quindi Parroco col titolo di Arciprete (1804). L'iscrizione si trovava nella demolita sagrestia sulla porta che immetteva nel coro ed era sovrastata da un busto raffigurante lo stesso vescovo.
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Epigrafi esistenti
nella Chiesa parrocchiale
Alcuni momenti significativi dell'edificio sacro sono tramandati
da un gruppo esiguo, ma importante di epigrafi.
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Cm 90x90
SACELLUM HOC DEO OPTMQ MAXIMO SANCTISQUE APOSTOLIS
PETRO ET PAULO DICATUM A FUNDITUS INSTAURATUM ATQUE COMPACTUM
REVERENDUS PATER DOMINUS ANDREAS .. MANTUANUS ABBAS ET
DOMINUS MODESTUS ... CELEBRAVERUNT MONASTERII SANCTAE
MARIAE DE GAADARIO EXTRA FINES ANNO DOMINI MCLXXXIIII
Il reverendo padre signor Andrea ... mantovano e il signor Modesto… del monastero di Santa Maria del Gradaro fuori città (di Mantova) nell'anno del signore
1589 consacrarono questo tempio dedicato a Dio ottimo massimo
ai Santi apostoli Pietro e Paolo ristrutturato dalle fondamenta e solidamente fabbricato.
La lapide in marmo bianco con scolpito in rilievo lo stemma degli Olivetani reca
la data del 1589. Incerta è la sua collocazione originaria.
L'iscrizione di difficile lettura, se riferita alla chiesa parrocchiale, potrebbe ricordare la consacrazione della medesima, eseguiti i lavori ordinati da San Carlo (1580).
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Epigrafi esistenti nella Chiesa parrocchiale
Cm 180x90
Alla gran Madre di Dio e ai Santi Carlo Borromeo e Francesca Romana patroni
degli Olivetani e invincibili soccorritori.
“Nella chiesa parrocchiale l'altare di S. Carlo è fabbricato dalla parte verso mezzogiorno, il quale fu fatto fabbricare dal Padre Aureglio da Mantova verso l'anno
1616 alla quale fabbrica concorsero molte elemosine del popolo”
L'altare è dedicato a S. Carlo per ricordare la visita apostolica del 1580.
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Cm 58x69
IM = IMAGINIS
VIRG = VIRGINIS
P = POPULUS
G = GUIDITIOLENSIS
Il popolo guidizzolese solennemente trasferiva a questo altare a lei dedicato, il 10
aprile 1780, il simulacro dell'Immacolata Vergine Maria, proposto al culto dalla
confraternita del SS. Sacramento venerato dalla fede del popolo per le grazie ricevute
10 aprile 1780
L'iscrizione ricorda i1 trasferimento a nuovo altare di un'immagine o statua della
Madonna Immacolata, dopo tre giorni di festeggiamenti e al termine di solenne
processione. Un sonetto e un componimento in forma di egloga, composti dal poeta
concittadino Francesco Antonio Coffani, e una relazione di don Fortunati ricordano pure l'avvenimento.
Dipinta su lavagna.
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Epigrafi esistenti nella Chiesa parrocchiale
Cm 69x66
Paolo Carlo Origo vescovo di Mantova il 10 ottobre 1896 consacrò a gloria di
Dio, della Vergine Maria e di tutti i Santi questo tempio in memoria dei Santi apostoli Pietro e Paolo
Arciprete Giuseppe Tramonti
Il Vescovo Mons. Origo ordinò che l'iscrizione, a perpetua memoria, fosse collocata in luogo ben visibile della chiesa.
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Epigrafi scomparse
dall'antico cimitero
Per molti secoli i morti vennero sepolti in uno spazio contiguo alla
Chiesa.
Già San Carlo nel 1580 ordinava che il cimitero fosse chiuso e
munito di cancello di ferro. Al centro doveva essere eretta una
croce. Le sepolture dovevano essere coperte con doppia pietra
oppure riempite di terra. La scelta dipendeva dalle condizioni della
famiglia. Vi erano settori distinti per gli adulti, i fanciulli, i poveri,
i soldati, i viandanti o i forestieri. Circa il 1790 venne costruito
nella sagrestia il sepolcreto per i sacerdoti.
Il testo delle prime tre iscrizioni, di carattere oratorio, fu dettato da
don Antonio Ilario Fortunati, cultore di epigrafia.
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OB = obiit
Kal = Kalendas
Apr = Apriles
An = Anno
S = Salutis
Aet = Aetatis
M = Menses
Giacomo Poli, il più vecchio della parrocchia, ultimo della sua stirpe, ragguardevole per antica virtù, morì il 23 marzo 1805 all'età di anni 85 e mesi quattro.
Poli Giacomo, nato nel 1719, esercitò la professione di notaio per lunghi anni. Ebbe
la sventura di perdere l'unica figlia, Anna Maria, morta nel 1779, giovane sposa e
madre da pochi giorni di una bambina. Giacomo istituì erede dei suoi molti beni la
nipote, Osanna. Dispose per testamento un legato di 2.000 scudi da distribuire ai
poveri del paese subito dopo la sua morte. Altro legato dal reddito di alcuni beni
immobili, metà a favore dei poveri, metà per provvedere alla dote di due fanciulle,
scelte per sorteggio. Ai poveri, purché non pigri e oziosi, alle ragazze che il Parroco
giudicasse lodevoli per onestà di costumi, frequenza alla Messa e al Catechismo.
Giacomo morì vedovo nella sua casa in Valborghetto.
Il testamento dell'8 gennaio 1802 era depositato presso il notaio Rizzardi Vincenzo
di Volta.
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Epigrafi scomparse dall'antico cimitero
Anton = Antonii
F = Filius
Ann = annos
M. = menses
Kal = Kalendas
An = Anno
S = Salutis
H = Hanc
M = Memoria
F = Fronte
P = Pedes
P = Ponendam
C = Curaverunt
Gaspare Gallina, figlio di Antonio stimato da tutti per integrità di vita e pietà, visse
anni 57 e mesi 5, morì nell'anno della salvezza 1806 il 14 febbraio. Antonio e
Giuseppe provvidero a porre questa memoria, a 13 piedi di altezza, all'ottimo
benemerito genitore.
Don Fortunati, autore del testo, ricorda Gaspare con gratitudine, senza aggiungere
altre notizie.
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H. E. S = hic est sepultus
F = filius
Ann = annos
M = menses
D = dies
Kal = kalendas
An = anni
B = bene
M = merenti
M = memoriam
F = posuit
È qui sepolto Roberti Luigi figlio di Francesco, originario di Mantova. Visse onestamente per 72 anni, 4 mesi, 16 giorni, eccellente cultore della Religione, fermo
difensore dell'integrità e della Fede, morì il 28 ottobre 1808. Il figlio Giuseppe
pose questa memoria all'ottimo benemerito padre.
Roberti Luigi, nato a Mantova nel rione di S. Leonardo, rimasto vedovo, venne a
Guidizzolo, amico e ospite in casa di Schiavetti Tommaso, negoziante in via di
Mezzo. L'epigrafe, di intonazione elogiativa, dettata da don Fortunati, rimanda a
persona distinta per qualità intellettuali e morali, senza specificare ruolo o attività
svolta.
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Esistenti nell'antico cimitero
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Cm 68x47
DOMINO NICOLAO ZAPPATINO DILECTISSIMO HEU NUPTIALI DIE AB IMMATURA
MORTE EREPTO BAPTISTA EIUS PATER MOERENS POSUIT DIE XII NOVEMBRIS MDLXVI
AETATIS SUAE ANNORUM XX MENSIUM IIII DIERUM XII OSSA ITEM HUC
All'amatissimo Signor Nicola Zappettini strappato, ahimè! il giorno delle nozze da
morte immatura. Afflitto suo padre, Battista, qui pose le spoglie il 12 Novembre
1566, dell'età sua di anni 20, mesi 4, giorni 12, insieme con questo stemma.
Delle iscrizioni esistenti è la più antica. Anche se del 1506 è la breve scritta nella
fascia in calce all'affresco nell'Oratorio di San Lorenzo rappresentante la Sacra
Famiglia del quale gli Zappettini furono committenti.
Lo Stemma con le due zappe incrociate allude alle origini agricole e alla condizione di possidenti.
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Esistenti nell'antico cimitero
Cm 70x125
Alle ceneri di Palazzini Andrea Bonaventura fig1io di Cesare giovane molto esperto di agricoltura. Visse soltanto 17 anni, morì, sconvolto l'ordine (naturale) il 31
Agosto 1819 e alla memoria di Palazzini Andrea, figlio di Ferrante, suo nonno,
padre di famiglia sobrio laborioso che morì il 16 Giugno 1823, essendo vissuto
fino a 73 anni e 2 mesi.
Cesare ordinò fosse fatto (questo monumento) al carissimo figlio e all' amatissimo
padre.
L'iscrizione, quasi sicuramente della penna di don Fortunati, interpreta ed esprime
in tono commosso l'affetto di Cesare che piange la morte del figlio e del padre
anziano.
I Palazzini erano agricoltori possidenti, oggi diremmo coltivatori diretti, e abitavano in casa propria "in regione meridiana".
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Cm 69,5x127,5
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Esistenti nell'antico cimitero
Marchetti Paola, figlia di Girolamo, ultima della sua nobile famiglia, moglie di
Bona Francesco, donna di antica virtù, pia, prudente, pudica, morì il 25 Ottobre
1825 a 78 anni e mesi 2.
L'erede Teresa Lantieri (coniugata) Paratico pose piangendo (questa) memoria
alla carissima benemerita zia.
I Marchetti Bona erano nobili bresciani. Paola era vedova dal 1812 e pure
Francesco era l'ultimo della sua famiglia.
La coppia, senza figli, disponeva di un cospicuo patrimonio. D'estate e fino al tardo
autunno soggiornavano nella loro casa di campagna a Guidizzolo dove possedevano anche alcuni terreni.
Nel testamento del 13 aprile 1825 Paola al n. VIII scrisse: "In suffragio dell'anima
mia ordino e lascio che la casa con ortaglia e il campo detto S. Andrea situati nel
tenore di Guidizzolo, la casa in contrada Malborghetto, la pezza di terra in contrada che conduce a Medole, restino perpetuamente invenduti ed in amministrazione
del Reverendo Parroco pro tempore di esso comune, con la rendita dei quali dovrà
ogni anno farmi celebrare nel giorno che seguirà la mia morte un Ufficio con dodici Messe da requiem e che il resto (dedotte lire cento, L. 100,00 italiane che resteranno di proprietà annua del M.R. Parroco stesso in riconoscenza per l'incomodo
di tale amministrazione) lo debba impiegare nella provvista di qualche letto che
sarà per separare gli Maschi Ragazzi dalle femmine ove vi fosse maggior bisogno
e per soccorrere gli poveri infermi di quel Comune. Questo legato però intendo sii
verificabile dopo la morte della Sig.ra donna Teresa Paratico."
41
Cm 198x330
42
Esistenti nell'antico cimitero
AL CENERE SACRO E ALLA PIA MEMORIA
DI ANTONIO ILARIO FIGLIO DI BENEDETTO FORTUNATI
NATIO DI MOGLIA DI GONZAGA
ARCIPRETE DI GUIDIZZOLO
IL QUAL PER CINQUANTOTTO ANNI INTEMERATAMENTE FORNI'
SUO UFIZIO E DOVERE
IL QUALE FATTO GIA' GRANDE PER LETTERE E PER DOTTRINA
UNA SINGOLARE VIRTU' E RARA PRUDENZA
SENZA ORPELLO RENDETTE MAGGIORE
VISSE ANNI LXXXXII MESI III GIORNI X
POVERO PER SE' RICCO PE' POVERI
ED EZIANDIO AGLI STRANIERI CORTESE
IL CLERO E IL POPOLO CON ACERBO LUTTO ACCOMPAGNATOLO
AL SEPOLCRO
IL GIORNO DELLA SUA MORTE A DI' XXIV MAGGIO DELL'ANNO M.DCCC.XXX
SENZA TERMINE DALL'INTIMO DEL CUORE A LUI PREGANO
L'ETERNA REQUIE E LA CELESTE GLORIA.
L'epigrafe con fregio di due fiaccole accese e capovolte è inscritta nella parte
mediana del monumento-sepoltura dell'Arciprete don Antonio Ilario Fortunati
(1738-1830).
Il testo dell'iscrizione in passato, a partire dal Bertolotti, 1893, fu attribuito dagli
studiosi a Stefano Morcelli, abate di Chiari e corrispondente del Fortunati. Il dato
va corretto poichè il Morcelli era morto nel 1821. L'autore del testo potrebbe essere un allievo della scuola dell'illustre epigrafista.
43
Cm 98x84
Q = QUESTA
M = MEMORIA
C = CURARONO
Un rogito del 20 dicembre 1474 nel quale Danielli Franceschino vende ad Antonio
Margoni una biolca di terra al prezzo di 5 ducati è il più antico documento che attesta la presenza della Famiglia a Guidizzolo.
I Danielli, ricchi possidenti, ricoprirono varie magistrature nella comunità.
Livia Cecilia sposò nel 1773 il poeta Francesco Antonio Coffani. Giuseppe, sacerdote, morì di tifo nel 1814 a soli 27 anni. Nel breve periodo del suo sacerdozio si
distinse come oratore sacro, poeta occasionale e maestro dei fanciulli.
Vincenzo, ultimo della Famiglia, 1855 - 1890, Sindaco del Comune dal 1881 al
1889, morì celibe.
Il testo dell'iscrizione non sembra attribuibile al Fortunati, il quale si sarebbe
espresso in latino.
Lo stile riflette un sentimento immanente del dolore, tema dell'età romantica, ma
anche di tutti i tempi.
44
Esistenti nell'antico cimitero
Cm 100x130
La lapide manca della parte superiore e del nome, Mezzeni Nicola, nato nel 1798
e sposato con Gitti Elisabetta il 26 gennaio 1824. La famiglia, originaria del treentino era a Guidizzolo dal 1786. Una famiglia di sarti artigiani.
L'iscrizione, di tipo familiare e privato, ripercorre uno schema tradizionale caratteristico del periodo.
45
Cm 65x79
Zappettini Gaetano nacque a Guidizzolo il 5 dicembre 1778 "in vico medio". I
nomi del padre, Federico, e del nonno, Leopoldo, si rincorrono attraverso le generazioni dell'antica famiglia.
Gaetano, medico chirurgo come il padre, esercitò in paese la professione. Lasciò
una figlia, avuta dal primo matrimonio con Grazioli Margherita, Giacinta sposata a
Zaltieri Lorenzo. Pertanto il cognome Zappettini si estinse.
Sepolto all'esterno della chiesa, poichè gli Zappettini fin dal 1748 non erano più
titolari della Cappellania di San Giovanni Battista con Altare e sepolcreto.
46
Esistenti nell'antico cimitero
Cm 95x130
Q = Questa
M = Memoria
P = Pose
Don Andrea Irma, originario di Cavriana, parroco di Guidizzolo dal gennaio 1857,
nel periodo della II e III guerra di indipendenza.
Vide realizzata la costruzione della casa canonica che aveva richiesto un laborioso
iter burocratico iniziato sotto il Lombardo-Veneto. Don Irma potè trasferirsi nella
nuova casa nel 1863, dopo aver abitato in casa di affitto.
47
Cm 38x15
La scritta era incisa su un mattone vagante, derivato forse dalla demolita casa parrocchiale o abbazia.
Nella venerabile Compagnia del SS. Sacramento venivano assegnati vari uffici. Il
confratello bastoniere o avvisatore svolgeva la mansione di guidare processioni o
pellegrinaggi, e nelle riunioni o in chiesa di “svegliare” chi si appisolava durante
la predica. Con lunghe verghe i confratelli “Bastunér” tenevano sveglio chi, a dottrina nel pomeriggio della domenica, si abbandonava al sonno.
Nell'iscrizione stupisce il numero di bastoni tanto elevato. Le lettere A Z B potrebbero corrispondere a una classificazione o al nome di qualche confratello.
48
Epigrafi già nell'antica
casa parrocchiale o Abbazia
49
L’Abate Luigi Valenti Gonzaga
50
Epigrafi già nell'antica casa parrocchiale o Abbazia
AETERNITATI SACER
QUOD
ALOJSIUS CARD (INALIS) VALENTIUS PATRICIUS MANTUANUS
CESAREAE ARCHIEP(ISCOPUS) OBITIS LEGATIONIBUS
APUD HELVETIOS ET IN HISPANIA DOMUM
RESTITUTUS HEIC PRIVATIM PUEROS PUELLASQUE
POSTQUAM POPULUM IN AEDE SANCTORUM PETRI ET PAULI
APOSTOLORUM) SOLEMNI RITU CHRISMATIS
SACRAMENTO CONFIRMAVIT XVII KAL(ENDAS) OCT (OBRES)
MDCCLXXVII. INVITANTE JOANNE NANIO ANTISTITE BRIX(IENSI).
PETENTE ANTONIO HILARIO FORTUNATO EIUSJDEM AEDIS
VICARIO PAROCHO,
QUI TANTAE PIETATIS MEMOR
AE(TERNAM) M(EMORIAM) P(OSUIT)
Imperituro e sacro il fatto che / il Cardinale LUIGI Valenti, Patrizio mantovano e
Arcivescovo di Cesarea / tornato in patria dopo aver assolte le ambascierie in
Svizzera e in Spagna / qui il 15 settembre 1777 / nella chiesa dei Santi Apostoli
Pietro e Paolo / a proprio nome confermò con rito solenne il popolo adulto, fanciulli e fanciulle / con il Sacramento della Cresima. Su invito del Vescovo di
Brescia Giovanni Nani e su richiesta di Antonio Ilario Fortunati Vicario Parroco
della medesima chiesa, il quale memore di così grande benevolenza pose (questa)
eterna memoria.
Luigi Valenti Gonzaga, come già lo zio card. Silvio, Segetario di Stato di Papa
Benedetto XIV, percorse una bril1ante carriera diplomatica al servizio della S. Sede
e ricoprì incarichi di Curia a Roma.
Don Fortunati cogliendo l'occasione del cardinale ospite della madre, Francesca, a
Castelgrimaldo, lo invitò ad amministrare la Cresima nella chiesa di Guidizzolo.
L'evento fu preparato con cura e coinvolse i paesi vicini. I cresimati furono 126,
dei quali 52 di Guidizzolo e 74 di parrocchie vicine, adulti, adolescenti e ragazzi.
51
Nella chiesa di Castelgrimaldo è murata una lapide in cui si legge:
ALOJSIO VALENTIO GONZAGA
S.R.E. CARDINALI
MANTUA
QUOD
EX LEGATIONE HISPANICA
IN CASTRUM GRIMOALDUM
APUD FRANCISCAM MATREM DULCISSIMAM
SACRO FACTO
XVII KAL(ENDAS) OCTOBR(ES) MDCCLXXVII
EUCHARISTIAM POPULO MINISTRAVIT
VINCENTIUS RAPHANINIUS ARCHIPR(ESBITER) BENIGNITATIS RELIGIONISQUE
EIUS MONUMENTUM SEMPITERNUM
A Luigi Valenti Gonzaga, Cardinale di Santa Romana Chiesa, poichè dall'ambascieria in Spagna venendo da Mantova a Castelgrimaldo dalla madre carissima
Francesca il 15 settembre 1777, dopo la celebrazione della Messa, amministrò
l'Eucarestia al popolo, l'Arciprete Vincenzo Rafanino (pose questo) sempiterno
monumento della sua devota cortesia.
52
Iscrizioni scomparse dal cimitero
A interrompere la secolare tradizione di seppellire presso le chiese
o al loro interno furono le leggi austriache di Giuseppe II nel 1786,
confermate da Napoleone con 1'editto di Saint Cloud del 1804,
esteso alle provincie italiane sotto il dominio francese.
Nacquero così i cimiteri fuori dai centri abitati. Quello di
Guidizzolo, un campo recintato dove si seppelliva in terra, fu
benedetto dall'Arciprete don Benedini il 2 novembre 1837.
53
OH. SVENTURA. OH. DOLORE
IN. LUCIO. RIZZINI. QUINDICENNE
PER. SOAVITÀ. DI. ANIMO. PER. VENUSTÀ. DI. CORPO. CARISSIMO
LA. SCINTILLA. DELLA. VITA
QUESTO. GIORNO. I8. MAGGIO. MDCCCXXXVIII. CRUDAMENTE. SI. SPEGNEVA
QUANDO. LA. SQUISITEZZA. DELL'INGEGNO
LA. VOLONTEROSA. ASSIDUITÀ. NELLO. STUDIO
AD. ALTE. OPERE. LO. INCAMMINAVANO
QUANDO. NELLE. VIRTÙ. DEL. GIOVINETTO
QUELLE. SI. TRAVEDEVANO. DELL'UOMO
E. LE. PATERNE. SPERANZE. NELLA. LETIZIA. SI. MATURAVANO
O. LUCIO. SOTTO. IL. TUO. FRALE
IN. PARADISO. LA. TUA. ANIMA
IN. MILLE. CUORI. LA. TUA. MEMORIA
OH. SVENTURA. OH. DOLORE
ERA. UN. GIGLIO. TENERELLO. SOAVE
ALLA. VITA. NUTRICATO. CON. ASSIDUO. AMORE.
ED. AHI. DAL. TURBINE. IMPROVVISO. DELLA. MORTE
MISERAMENTE. ABBATTUTO.
SI. CHIAMAVA. GIUNIO. RIZZINI. BILUSTRE. FANCIULLO
CHE. ALLE. FORME. DEL. CORPO. PER. BELLEZZA. NOTEVOLI
UNIVA. LO. SVEGLIATO. INGEGNO
L'INDOLE. MANSUETA. DELL'ANIMO. ALLA. PIETÀ. INCLINATO
DAL. GIORNO. I7. GIUGNO. MDCCCXXXIX.
E' QUI. SEPOLTO
INSIEME. ALLA. CONSOLAZIONE. DEI. GENITORI.
O. GIUNIO. DALLA. BEATA. SEDE. DEL. CIELO
VEDI. IL. LORO. CORDOGLIO
E. LA. PIENEZZA. DELLA. ETERNA. GIOIA. TI.
PARRÀ. MINORE
54
Iscrizioni scomparse dal cimitero
Le due epigrafi, dettate dal maestro e precettore Paolo Bettoni, furono poste sulla
sepoltura di Lucio (1822-1838) e Giunio Rizzini (1826-1839), figli del conte
Francesco, morti adolescenti a causa di tisi polmonare.
Molteplici sono i legami dei Rizzini, nobile famiglia mantovana, con Guidizzolo,
dove possedevano molti beni e un palazzo di villeggiatura.
Palazzo Rizzini, il giardino
55
Pietro Giuseppe De Brimont nacque a Reims in Francia nel distretto della Marna.
Aveva 31 anni quando partecipò col grado di luogotenente nella I coorte dei lanceri alla guerra franco-piemontese contro l'Impero d'Austria. Nella battaglia svoltasi
nella pianura di Guidizzolo fu ferito mortalmente presso la Ca' Nova, allora proprietà Danielli, il 24 giugno 1859 circa le 15,30 del pomeriggio. Il Suo cadavere,
raccolto dal fratello, fu portato al cimitero, dove, ricevuta la benedizione del sacerdote, fu sepolto. In capo al tumulo venne fissata una croce in ferro con l'iscrizione,
tolta dopo alcuni mesi, quando il 19 marzo 1860 le spoglie di Pietro furono traslate a Versailles per essere tumulate nella tomba dei suoi avi.
56
Iscrizioni scomparse dal cimitero
VENTURELLA ANDREA
D’ANNI 55
IL 14 GIUGNO 1902
LASCIO’ L’AMATA CONSORTE
INCONSOLABILE COL RICORDO
DELLE SUE VIRTU’
E COME IN VITA COLL’OPRA
MORENDO BENIFICO’ IL POVERO
CONCEDI, O SIGNORE
LA PACE DEI GIUSTI ALL'ANIMA
DI MAFFIOLI VITTORIO
NATO NEI 1891, MORTO NEI 1929
TENENTE DI FANTERIA
INVALIDO DI GUERRA
FIGLIO AMOROSISSIMO CITTADINO PROBO
PATRIOTTA ARDENTE
CHE SUI CAMPI DI BATTAGLIA
VERSÒ IL SUO SANGUE GENEROSO
E FRA LE PARETI DOMESTICHE
SOPPORTÒ STOICAMENTE
INAUDITE SOFFERENZE
LA FAMIGLIA INCONSOLABILE.
57
Esistenti nel cimitero
Giuseppe Muti e Odoardo Fantolini, due volti del Risorgimento
59
Cm 90x130
60
Esistenti nel cimitero
Giuseppe Muti nacque il 24 maggio 1810, figlio del notaio Vittore che a Guidizzolo
esercitò per molti anni la professione.
Sacerdote, insignito nella Basilica di Sant'Andrea, professore di materie filosofiche
e teologiche nel Seminario vescovile e di Storia e Filologia nell'I.R. Liceo di
Mantova, appartenne al gruppo di sacerdoti cosidetti “liberali” e di sentimenti
nazionali negli anni cruciali del Risorgimento, ammonito e sorvegliato dalle autorità di polizia.
La rivolta del '48 trovò in lui un caldo fautore. Dichiarato a Mantova lo stato d'assedio si rifugiò a Guidizzolo dove fu membro del Comitato insurrezionale. Prese
parte ad un'azione popolare disarmando un distaccamento militare austriaco che
accompagnava varie vetture con famiglie e bagagli.
Un rapporto della polizia lo descrive di carattere dolce e tranquillo, ma risoluto e
tenace. Il documento prosegue: “Consta pure non avere egli voluto condividere le
mene repubblicane del Tazzoli. I suoi intimi e segreti convincimenti sono piuttosto
per un governo costituzionale italiano”.
A partire dal 1861 fu ispettore scolastico del circondario di Castiglione delle
Stiviere. A Guidizzolo gli è intitolata una via.
Da segnalare tra le opere da lui pubblicate: “Nelle solenni esequie ai defunti benefattori delle Pie case di ricovero e d'industria”, Mantova, 1836, ed. Caranenti;
“Degli asili infantili in generale e del primo asilo in Mantova, Mantova, 1839, ed.
Negretti; “Nelle solenni esequie al conte Camillo Benso di Cavour” il 14 giugno
1861”, Brescia, tip. Gilberti.
61
Dalla “Gazzetta di Mantova” del 17 settembre 1869:
Don Giuseppe Muti
Una parola di pia riconoscenza alla cara memoria del prete Giuseppe Muti che
maestro prima e poi mi fu soavissimo amico. Esso fu veramente cristiano e ministro fedele di quella religione che sull'altare insanguinato del Golgota suggellò i
santi precetti dell'eguaglianza, dell'amore e del perdono: fece professione di umiltà, non d'altro ambizioso che di onorati costumi: cospirò silenzioso tutta la sua vita
per la civiltà e la patria e quando cominciarono a spezzarsi le catene d'Italia, ridottosi in libera terra, sperò godere la tacita gioia delle estreme illusioni amareggiate
ben presto dal fescennino arrabbatarsi di giullari e di saltimbanchi, ai quali 1'animo
suo dignitoso non consentiva mescersi.
Molta ebbe dottrina, frutto di sudati studi: diffidente sempre della parola perchè
incontestabile nel colorire il pensiero, aggirava il discorso fra molti pentimenti e
rifiuti, sui quali certo non si sarebbe fermata la scorrevole loquacità di molti che in
questi tempi di nessuna lingua e di poca grammatica scivolano lutulenti credendo
di parlare a modo e con gaiezza.
Istruì privatamente alunni che brillarono poi per il decoro di tanto maestro; dichiarò molti anni le sacre carte ai chierici del Seminario. E sedette due anni sulla cattedra di Filologia e Storia nel R. Liceo, dove se non rimase come titolare, fu solo
per troppo modesta peritanza.
E giacchè queste reminiscenze rimontano a trenta'anni addietro, ricorderò come il
prete Giuseppe Muti fosse uno dei più begli ornamenti di quella eletta schiera di
colti patrioti che formavano un modesto ateneo nella casa del Marchese Giuseppe
Valenti.
Oh quelli erano tempi di sante illusioni, di poetiche aspirazioni! Noi fanciulli
apprendevamo da così grandi maestri a balbettare il venerando amore di patria, ben
lontani dall'aspettarsi un'età adulta desolata per la perdita di quelle care persone che
ci confortavano a studiare e sperare.
Ariodante Codogni
Dalla “Gazzetta di Mantova” del 21 settembre 1869
Ieri il clero dell’Insigne basilica di S. Andrea scioglieva un mesto tributo di sentita riverenza e di fraterna pietà al compianto professore don Giuseppe Muti, beneficiario e già fabbricere di essa basilica, celebrandogli un officio di settima.
62
Esistenti nel cimitero
Cm 80x127
Odoardo, nato a Guidizzolo il 2 ottobre 1833, è l'ultimo discendente di antica famiglia di possidenti e professionisti, medici due suoi avi, geometra ingegnere il padre,
Francesco.
Un prozio, don Giuseppe, morto nel 1850, fu coadiutore parrocchia1e, il nonno
Giovanni Battista Sindaco per molti anni.
Odoardo, studente a Mantova, frequentava come esternista il Liceo del Seminario
vescovile, dove insegnavano don Enrico Tazzoli, don Giuseppe Muti e don
Ferdinando Bosio. Da loro apprese l'amor di patria e i sentimenti della nazione italiana. Il 20 febbraio 1852 fu tratto in arresto perchè trovato in possesso di una cartella del prestito mazziniano.
Dapprima nel carcere di San Domenico, dove si svolgevano gli interrogatori degli
inquisiti per sovversione, fu poi tradotto nelle prigioni del castello di San Giorgio.
Venne amnistiato il 19 marzo 1853, quando finalmente si sciolse il processo che nel
dicembre aveva visto le tragiche esecuzioni di Belfiore.
Esercitò poi la professione di medico nell'Esercito italiano. Alla formazione ideale
e alla terribile esperienza giovanile è forse riconducibile il suo orientamento di pensiero - mente libera, come recita l'epigrafe - che lo portò a volere per sè funerali
non religiosi.
63
FIORI PRECI LACRIME
SULLA TOMBA
DELLA NOSTRA CARA
MAFALDA VENTURELLI
STRAPPATACI DA CRUDO MORBO IL 25 NOVEMBRE 1918
IN ETA' D'ANNI 15
COSI’ FU TOLTA AGLI STUDI CUI DIEDE PROVA
D'INTELLIGENZA NON COMUNE
ED AI GENITORI CHE NON TROVANO PACE
REQUIEM
BIGNOTTI CELESTINO
N. 18-6-1922
L' OSTINATO MORBO CRUDELE
TI RAPI’ DA QUESTA VITA
IL 5-8-1923
DOPO TUTTE LE CURE DEI TUOI CARI
PER ENTRARE NELLE GLORIE CELESTI
DEL PARADISO
CON LA SANTA BENEDIZIONE
FOSTI IL PRIMO AD OCCUPARE QUESTE URNE
ASPETTANDO I FAMIGLIARI
CHE DOLENTI PREGANO
SIA PACE ALL'ANIMA TUA
64
Esistenti nel cimitero
65
A
BIGNOTTI CAV. ULDERICO
23-6-1860 5-6-1924
INTEGERRIMO CITTADINO INDEFESSO LAVORATORE
L'OPRA SUA PRODIGÔ INTEGRA ALLA SUA FAMIGLIA
ALL'UMILE LAVORATORE AL SUO PAESE NATIO
CHE LO VOLLE PER BEN UNDICI ANNI SUO PRIMO CITTADINO
LA MOGLIE E I FIGLI INCONSOLABILI
POSERO
L'elezione a Sindaco di Ulderico Bignotti rappresentò una novità che non mancò di
suscitare timori tra i moderati.
Finora, a partire dal 1861, la carica di Sindaco era stata ricoperta da notabili del
paese, espressi dalla media borghesia.
Nel 1910 la scelta cadde invece su persona che si ispirava alle idee riformatrici del
socialismo turatiano. Ma il maggior numero dei quattordici consiglieri che lo
affiancavano proveniva da esperienza amministrativa precedente, a gararizia di
continuità e a tranquillizzare chi temeva improbabili cambiamenti.
Nel 1911 venne inaugarata la ricostruita torre civica e ricorrendo il Cinquantesimo
dell'unità (1911) fu posta sulla facciata del Palazzo comunale una lapide commemorativa di Giuseppe Garibaldi.
Avvenimenti lieti, eco dell'epopea risorgimentale, alla vigilia e nell'imminenza di
due guerre, quella di Libia e la prima guerra mondiale, con i soldati al fronte e i
disagi sofferti dalla polazione civile.
Le elezioni comunali del 5 luglio 1914 portarono alla riconferma del Sindaco
Bignotti, il cui mandato si concluse nel 1920.
66
Esistenti nel cimitero
67
Birbesi: epigrafi all'interno
della Chiesa parrocchiale e
nell'antico cimitero
69
Nella Chiesa di Birbesi esiste una lapide non visibile.
Lo attesta una nota di don Sergio Malvardi (1902-2003) del 1936:
In centro e a circa due metri dalla balaustra è stata coperta, con la nuova pavimentazione, una lapide che chiude un sepolcro e recante questa scritta:
PRO SE ET SUCCESSORIBUS
SUIS JOANNES MALTINI
RECTOR
MOMUMENTUM HOC POSUIT
A.D. 1750
OBIIT XV MARTII 1764
AETATE LVIII
Giovanni Maltini Rettore nell'anno 1750 fece costruire questo monumento per sè e
per i suoi successori.
Morì il 15 marzo 1764 all'età di 58 (anni).
Don Giovanni Maltini fu parroco di Birbesi dal 1748 al 1764. A lui è forse da ascriversi la costruzione della casa Canonica, certamente di una parte di essa. E alla sua
morte fu il primo ad essere deposto nel sepolcreto da lui voluto.
70
Birbesi: epigrafi all'interno della Chiesa parrocchiale e nell'antico cimitero
L'altare dedicato a San Luigi Gonzaga, decorato da varie qualità di marmi, opera
dello scultore Giuseppe Brigoni, fu eseguito, sostituendo forse un altare precedente, dopo la guerra 1940-'45 e lo offrì la famiglia Mondadori Agide, ricordata dalle
due lapidi infisse nei fianchi del manufatto.
71
B.M. = Bene merentis
Septembr = Septembribus
ann = anno
sal = salutis
Aet = Aetatis
S = Suae
M = Menses
Entrando e uscendo
ricordatevi di Luigi Maltini
benemerito Rettore di questa chiesa
che
caro agli amici, benefico ai poveri, avverso a nessuno
morì il 5 settembre nell'anno della salvezza 1813
all'età di 84 anni e mesi 4.
Luigi Maltini nacque a Birbesi nella corte Maltini. Fu Rettore della parrocchia natia
dal 1784 al 1813. Il necrologio riassume così la sua vita: “fu sacerdote di intensa
preghiera, povero tra i poveri, caro agli amici, utile a molti, avverso a nessuno”.
Scritto di pugno da don Fortunati il necrologio coincide con il testo dell'epigrafe.
Se ne deduce che don Fortunati è pure l'autore del testo epigrafico.
Don Maltini fu sepolto il 6 settembre fuori la porta minore della chiesa, luogo da
lui indicato nel testamento, così come la volontà di collocare l'epigrafe in marmo
sulla parete della chiesa, dove ancora oggi si trova.
72
Birbesi: epigrafi all'interno della Chiesa parrocchiale e nell'antico cimitero
Angela Maria Bona di Giovanni e Cobelli Caterina nacque a Guidizzolo l'11 aprile 1803. Sposa giovanissima ad Andrea Mozzinelli andò ad abitare a Birbesi nella
fattoria Villanova sul confine con Vasto di Goito. La loro bambina, Giulia, nata il
4 giugno 1822, visse soltanto un giorno. Angela morì di febbre miliare puerperale
il 4 agosto.
Andrea la volle ricordare con l'epigrafe sul luogo della sepoltura nel cimitero che
si estendeva a destra della chiesa. Andrea morì di tifo il 27 ottobre 1848.
73
I Fellina, possidenti agricoli, sono presenti a Birbesi almeno dalla prima metà del
'700. Nell'epigrafe l'anno 1857 si deve leggere 1837, come evidenzia la successione degli avvenimenti familiari. Caterina, sposata il 20 gennaio 1803 con
Riccadonna Giuseppe, morì di apoplessia il 28 aprile 1837. Il marito Giuseppe, originario di Cavalcaselle dove era nato il 19 marzo 1775, vedovo di Caterina, si
risposò il 23 aprile 1838 con Schinelli Domenica, vedova di Ferrari Giacomo.
Giuseppe morì il 2 novenbre 1841.
74
Nella Chiesa di San Lorenzo
La chiesa di San Lorenzo, di fondazione romanico-gotica, demaniata alla fine del ‘700, fu acquistata nel 1801 insieme con il podere dai
Conti Rizzini.
75
Nella Chiesa di San Lorenzo
77
A Dio ottimo e massimo: Luigi dei conti Rizzini nell'anno della (nostra) salvezza
1808 preparò per sè un funebre giaciglio sin quando avvenga un mutamento (alla
fine dei tempi).
La cripta sottostante il presbiterio fu adattata nel 1808 a sepolcreto di Famiglia.
Luigi, morto a Mantova nel 1817, non poté essere trasportato a Guidizzolo, non
permettendolo le autorità sanitarie a causa di un'epidemia contagiosa allora diffusasi.
78
Nella Chiesa di San Lorenzo
DILEGUATA IMMAGINE D'INFINITI AFFETTI
VIRGINIA PIGNATELLI CONTESSA RIZZINI
LO SPIRITO IMMORTALE
TROPPO ANZI TEMPO RIPORTANDO AL CIELO
DELL'AVANZO TERRENO
CHE QUESTA PIETRA CUOPRE
MONUMENTO D'INESAUSTO PIANTO
ITALO CONSORTE SUO CHE LA COMPOSE IN ESSA
VOLLE CUSTODE
SIA PACE IN QUESTA OMBRA
FIN CHE NE RISORGA IL SORRISO ANTICO
13 MARZO 1886
Virginia, figlia del principe Vincenzo Pignatelli, nacque a Napoli il 23 dicembre
1846. Sposò giovanissima il 2 agosto 1865 il conte Italo Rizzini. Colta e appassionata di pittura, di musica e di teatro, a Guidizzolo recitava nella Compagnia di
dilettanti in spettacoli dallo scopo benefico.
Affetta da "mal sottile" si spense il 13 marzo 1886 a Napoli ospite del fratello Luigi
nel palazzo avito sulla riviera di Chiaia. Non le aveva giovato il clima nativo.
Sepolta nel cimitero di Poggioreale fu trasportata in San Lorenzo a Guidizzolo per
volere di Italo nel 1888.
Un lascito da lei stabilito consentì di aprire l'Ospizio per anziani oggi "Casa di riposo" a lei intitolata.
79
Sulla strada
Il capitolo propone una passeggiata ideale nel tempo e invita a un
percorso reale con un fine ben preciso: leggere le epigrafi esistenti
nelle vie del paese o nelle cascine del territorio.
81
La croce, collocata nella frazione di Rebecco, ricorda l’anno Santo 1750
82
Sulla strada
.osta: posta
La famiglia di Giacomo abitava a Rebecco. La disgrazia accadde il 14 aprile 1753,
presso il mulino di Rezzato, al confine tra le parrocchie di Birbesi e Guidizzolo. Il
giovane conducente fu travolto e ucciso dal pesante carico di legna che accidentalmente si rovesciò.
Il testo dell'epigrafe in lingua volgare presenta qualche difficoltà di decifrazione
per la scomparsa di qualche lettera, mentre la solida croce in marmo è ben conservata sul ciglio della "sariola" marchionale.
83
D. O. M.
GIOVANNI PORT…….. DI
………..V……U………..
CADUTO SOTTO IL CA…………….
DOPO ALCUNE ORE DI………..
DI SOLO MATO MO………. LI
DEL SIGNORE AI OVIM……..
IL DI CUI CORPO GI……….
SEPOLT…….
Croce simile probabilmente coeva ricorda una disgrazia accaduta sulla via
Mantovana all'altezza della corte Ridellino, un carrettiere travolto sotto il suo carro.
La croce giace di traverso poco visibile ai bordi della statale. Fotografata circa il
1990 reca una scritta il cui testo è difficile da ricostruire perchè vocaboli e lettere
sono in parte cancellati per l'azione di agenti atmosferici o altra causa. Le ricerche
archivistiche non hanno dato esito per l'identificazione dello sfortunato Giovanni.
84
Sulla strada
Un caso di omonomia? Anche di Francesco Spacini al momento non è stata possibile l'identificazione o ritrovare notizie della disgrazia di cui fu vittima. Un giovane di Castelgrimaldo, Francesco Spacini di Giacomo, morto a 22 anni nel 1760, è
descritto nel necrologio “tamquam angelus ut vixit sic ad celestem Patriam fere
invisibiliter evolavit”, certamente di malattia.
La croce è in attesa di restauro, mentre la base si trova nel luogo originario a
Rebecco sulla strada per Medole.
85
Cm 105x65,5
DI QUI PASSÒ IL 6 MAGGIO
SUA ALTEZZA REALE
DON FERDINANDO I PRINCIPE DI BORBONE
INFANTE DI SPAGNA
DUCA DI PARMA PIACENZA E GUASTALLA
GRAN PRIORE DI CASTIGLIA
NEL MENTRE CHE SE NE ANDÒ IN PRIVATO
AL SANTUARIO DELLA BEATA VERGINE MARIA DELLA CORONA
IL SIGNOR ALFIERE FEDERICO DANIELLI DI GUIDIZZOLO
FECE FARE
PER ETERNA MEMORIA L'ANNO 1795.
Il Principe Ferdinando I di Borbone, Duca di Parma e nipote del re di Spagna
Filippo V, era tra i pretendenti a quel trono. Fu principe illuminato, di carattere mite
e protettore delle arti. Nel 1802, sfidando la volontà di Napoleone, rifiutò decisamente di cedere il ducato parmense alla Francia. Mal gliene incolse, chè morì poco
dopo, forse di veleno.
Ma nel 1795, l’anno del pellegrinaggio alla Madonna della Corona, negli Stati italiani si respirava ancora il clima dell’ancien regime e il passaggio e l'ospitalità data
a un Principe tanto titolato appariva fatto degno “di eterna memoria”.
L'iscrizione si trova nel cortile della casa al n. civico 46 di via Solferino, all’epoca
locanda o stazione di posta.
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Sulla strada
L'avvenimento è ricordato pure a Ceresara (borgo Tezzole):
PER IL VIAGGIO CHE FECE SUA ALTEZZA REALE
DON FERDINANDO PRINCIPE DI BORBONE
INFANTE DI SPAGNA
DUCA DI PARMA PIACENZA E GUASTALLA CRAN PRIORE DI CASTIGLIA
PARTE DA COLORNO E ARRIVATO IL I MAGGIO
IN CERESARA
PROSEGUÌ IL VIAGGIO INSINO AL SANTUARIO
DELLA BEATA VERGINE MARIA DELLA CORONA
NEL ANDARE E SUO RITORNO LI 7 SUDDETTO
SI È DEGNATO DI ALBERGARE IN CASA DEL SIGNOR PIETRO GHIROLDI
DI CERESARA
ANNO 1795
e a San Cassiano di Cavriana (cascina Malpetti):
QUI ALBERGÒ LA SERA DEL I MAGGIO SUA ALTEZZA REALE
DON FERDINANDO PRINCIPE DI BORBONE
INFANTE DI SPAGNA
DUCA DI PARMA PIACENZA E GUASTALLA CRAN PRIORE DI CASTIGLIA
PROSEGUÌ IL VIAGGIO INSINO AL SANTUARIO
DELLA BEATA VERGINE MARIA DELLA CORONA
PARIMENTI NEL SUO RITORNO LA SERA 6 SUDDETTO
SI DEGNÒ DI RIPOSARE QUI NEL ABITAZIONE
DI ME STEFANO MALPETTI
DI CAVRIANA
ANNO DOMINI
1795
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Il 15 Gennaio 1796
il venerabile corpo della santa martire Agape
che da Roma veniva trasportato a Chiari
fu accolto devotamente in questo luogo.
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Sulla strada
L'abate Morcelli, prevosto di Chiari, dotto epigrafista e corrispondente del
Fortunati, ottenne per la propria chiesa dal Papa Pio VI l'insigne reliquia della martire Agape. Questa santa è ricordata nella "Bibliotheca Sanctorum" con poche e
incerte notizie. In quegli anni a Roma erano in corso grandiosi lavori di scavi nella
catacombe e molte reliquie di martiri venivano richieste dalle varie chiese. Sulla
autenticità di parecchie è lecito il dubbio e Agape potrebbe essere un nome fittizio.
Esso significa umiltà o carità e anche convivialità.
Don Fortunati, amico del Morcelli, fece sostare la reliquia a Guidizzolo, compiendo, per sè e per la sua comunità, un atto di devozione, che volle tramandare con
un'epigrafe.
Il luogo indicato è la casa Guarnieri, attigua alla Chiesa dei Disciplini in via di
Mezzo, dove la lapide rimase fino agli anni '60 del Novecento, quando a motivo
della ristrutturazione del caseggiato, venne affidata alla Parrocchia.
Sulla santa martire Agape il Morcelli pubblicò un opuscolo.
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ALOJS I US
FEZZARDI
REPENTINA MORTE
CORREPTUS
HIC SEPULTUS FUIT
DIE XXIX JULII
MDCCCI
ORATE
PRO EO
Luigi Fezzardi strappato da morte improvvisa fu qui sepolto il 29 1ug1io 1801.
Pregate per lui.
In realtà il giorno della sepoltura fu il I agosto.
Luigi Fezzardi, settantenne di Castiglione delle Stiviere, mentre tornava a casa dal
mercato settimanale il mercoledi 29 luglio 1801 fu visto da molti compaesani transitare verso sera per la via dell'Osteria e la via Mantovana, quando poi il 31 fu trovato morto, senza ferite, nel campo detto degli Ambrosini, dove, svolte prima le
pratiche dalle autorità della Repubblica Cisalpina, fu sepolto nello stesso luogo del
ritrovamento, essendo il cadavere già putrefatto.
La pietà popolare o i famigliari posero un monumento a forma di croce e con l'iscrizione.
Negli anni '90 del secolo scorso il piccolo monumento fu spostato dal ciglio della
strada per esigenze di urbanizzazione e opportunamente ricollocato entro la zona
industriale.
Antichi sigilli della comunità
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Sulla strada
La scritta si trova all’inizio del viale Passeggio o della Barriera, dove nel 1902
venne trasferito il mercato bovino.
Tuttavia la sistemazione del viale con alberi esotici, sollievo dei cittadini specialmentre d’estate, risale al 1830 circa ad opera di Giovanni Battista Fantolini (17731868) Sindaco del paese per molti anni.
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La Battaglia di Solferino
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La Battaglia di Solferino
La Battaglia di Solferino
Scrive don Andrea Irma, parroco di Guidizzolo:
“Il mattino del 23 giugno, giovedì del Corpus Domini, un ingente numero di soldati germanici, circa duecentomila, al comando dell’Augusto Imperatore d’Austria
Francesco Giuseppe, irrompendo dall’accampamento di Goito, si fermò in questi
luoghi, pronto ad attaccarer battaglia l’indomani contro le schiere francesi che
occupavano il territtorio di Castiglione sotto il comando dell’Augusto Imperatore
di Francia Luigi Napoleone III. Il combattimento di fatto ebbe inizio la mattina
presto del 24, festa di San Giovanni Battista, e si protrasse per tutto il giorno fino
all’oscurità della notte con gravissima strage di ambedue gli eserciti.
Alla fine la vittoria, con l’aiuto di Dio, favorì le truppe francesi che, dopo aver
sconfitto l’esercito nemico e costretto alla fuga fino al Mincio, portarono la pace e
la tranquillità a lungo desiderate agli abitanti del paese, già in preda al panico e
allo spavento”.
Il colonnello austriaco Wilhelm, Duca di Wurttenberg, scrive da Guidizzolo
il 23 giugno 1859 alla sorella Matilde:
“... ora però ho troppo sonno e debbo andare a letto. Domani ci sarà uno scontro,
dopo domani una battaglia. Buonanotte. Il tuo fedele fratello”.
Wilhelm scrive da Cascina Maggi presso Valeggio il 25 giugno a Matilde:
“Non è colpa mia se sono ancora vivo e illeso, te l’assicuro, anche se ieri stavo
nella pioggia di “cartocci” di granata.
La cruenta battaglia di ieri per noi è stata completamente perduta. (...) quando
cessò il ciclonico temporale, mi recai a cavallo per vedere se non ci fossero ancora avanti dei reparti del mio reggimento, ma il campo di battaglia era deserto. Non
c’erano nè nostri, nè nemici, non c’era un vivente, uno che camminasse oltre me,
fin dove arrivava lo sguardo, bensì un terreno sconvolto, cosparso di cadaveri. (...)
Le mie perdite ammontano a cinque ufficiali morti e diciassette-diciotto feriti.
Della truppa dovrebbero mancarmi trecento-quattrocento uomini, molti meno che
a Magenta.
Del Kaiser jft caddero due tra i miei migliori amici! di ventuno non sò ancora
nulla”.
Il campo di battaglia è da individuare tra borgo Baite di Rebecco e la Cà Nova.
A tal proposito Henri Dunant scrive:
“Il sole del 25 giugno 1859 rischiarò uno degli spettacoli più terribili che si possono presentare all’immaginazione.
Il campo di battaglia era disseminato di cadaveri, di uomini e di cavalli. Erano
sparsi sotto le ruote, nei fossati, nelle forre, nei cespugli, nei prati.
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I roccolti erano devastati, le messi calpestate, le siepi divelte, i frutteti distrutti. Di
tanto il tanto si incontravano mari di sangue; i villaggi erano deserti, portavano le
tracce della moschetteria, delle bombe, delle granate, degli obici.
Le case i cui muri erano crivellati di pallottole avevano larghe breccie, apparivano squarciate, rovinate. Gli abitanti, di cui la maggior parte aveva passato quasi
venti ore rifugiata nelle cantine senza luce e senza viveri cominciavano ad uscire.
L’aria di stupore di questi poveri paesani testimoniava la grande paura che avevano provato”.
Da una canzone popolare:
Dio! chi sa quante madri a Solferino
fatte avrà il piombo dei lor figli prive!
Chi sa ch’una di quelle io pur non sia!
Di alcuni personaggi non sono state reperite notizie.
Nella pagina accanto: Ca’ Nova, presso Rebecco. Monumento a
ricordo del capitano francese Tonnelier.
A lato: Trascrizione del testo iscritto sul monumento
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ADMELL TONNELIER
CAPITAINE AU 6 B. DL
CHASSEUR A PIED
24 JUIN 1859
La Battaglia di Solferino
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La Battaglia di Solferino
DEM AM 24 TEN JUNE 1859
HIER HELDENMU EING GEFALLENEN
OBERSTEN CARL FURSTEN
WINDISCH GRATZ
VON SEINEN BRUDERN
Al colonnello Karl Principe
Windisch - Graetz
qui caduto (con) eroismo
il giorno 24 giugno 1859
dai suoi fratelli.
Windisch - Graetz è il nome di una delle stirpi nobili austriache menzionate già
intorno al 1220. Il loro castello feudale si trova nella Slovenj Gradec, in Slovenia.
Principi del regno nel 1804, i Windisch - Graetz ottennero nel 1822 il titolo di
Principi dell’Impero d’Austria. I mutamenti politici e territoriali seguiti alle due
guerre mondiali del ‘900 portarono alla dispersione delle proprietà terriere della
famiglia.
Carlo nacque a Praga in Boemia nel 1822. Avviato alla carriera militare, partecipò
con il grado di Tenente Colonnello alla guerra del 1859 tra l’esercito austriaco e i
franco-piemontesi. Il 24 giugno, nelle ore della battaglia, fu mortalmente ferito al
ventre da un proiettile lungo la strada che dalla Cà Nova conduce a Rebecco.
Soccorso e portato a Guidizzolo nella casa di Bonfiglio Giacomo (oggi sede
Agenzia BAM), spirò verso sera.
Era di religione cattolica e il mattino seguente, senza alcun accompagnamento date
le circostanze, fu sepolto entro cassa di legno nel locale cimitero.
Il 12 luglio, eseguite le pratiche di legge, il suo cadavere esumato fu posto in una
cassa di piombo e trasportato a Praga per essere tumulato nella tomba dei suoi avi.
Nella pagina accanto: Nei pressi di Ca’ Nova, monumento
a ricordo del Principe austriaco Windisch Graetz.
Sopra: Trascrizione del testo iscritto sul monumento
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Cm 85x98
La lapide a ricordo del francese Alphonse De Casabianca, posta in fregio alla strada comunale nei
pressi del borgo Baite
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La Battaglia di Solferino
Lapide a ricordo del capitano Demaide Roquefeuille, sullo sfondo
Cavriana luogo dove si concluse la battaglia.
Disegno della lapide stessa
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Ici repose
Alphonse Mennessier
cheff de bataillon
au 72 d’infanterie
tue le 24 giun 1859
Qui riposa
Alfonso Mennessier
capo del battaglione
72 di fanteria
ucciso il 24 giugno 1859
La lapide, fissata sul muro di cinta della casa Malpetti, copriva il monumento posto
sul luogo dove il Mennessier cadde ferito a morte e dove successivamente fu sepolto.
Apparteneva Alfonso ad antica illustre famiglia di Francia che se nel succedersi
delle diverse rivoluzioni e forme di governo perdette molti beni di fortuna, nella
guerra del '59 ebbe la sorte avversa e cruda di perdere tre dei suoi membri.
Infatti nella battaglia di Magenta, il 4 giugno, pur vinta dai Franco-Piemontesi,
erano caduti un fratello e uno zio di Alfonso. Con l’animo straziato dal dolore per
la perdita di questi suoi cari, allo ingaggiarsi della battaglia di Solferino Alfonso fu
preso da un triste presentimento.
Mezz’ora prima della morte lo confidò all’amico che cercava di infondergli coraggio: “No! - rispondeva- Lasciate pure che continui ad aprirvi l’animo mio addolorato e che vi parli ancora, certo per l’ultima volta, di mia madre e di mio padre che
non rivedrò più se non d’innanzi a Dio, quel Dio che essi mi hanno insegnato ad
adorare e che io amo più che mai...” e il triste presentimento si avverrò.
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La Battaglia di Solferino
Ferito a morte
Alfonso, alla guida dei suoi soldati, aveva posto l’assedio al vasto cortile della casa
Malpetti, cortile tutto chiuso all’intorno da cinta di muro. Gli austriaci vi si erano
serrati facendone momentanea fortezza.
I soldati francesi lo presero d’assalto cacciandone gli austriaci e se ne impadronirono. Uscì poi Alfonso dalla porta per esplorare i dintorni quando a pochi passi da
essa, sulla piccola via che conduce a San Cassiano, fu colpito da palla nemica e gravemente ferito. Condotto all’interno della casa e vano ogni soccorso, spirò dopo
poche ore all’una di notte.
L’esumazione nel giugno 1870
Nel 1869 (la legge italiana prevedeva che i cadaveri non potessero essere riesumati prima di dieci anni dalla sepoltura) fu creata una società che si proponeva il disseppellimento dei caduti e l’erezione di due ossari a Soferino e a San Martino.
A Cavriana, come negli altri comuni interessati alla battaglia, si costituì un comitato per organizzare le operazioni che richiesero parecchi mesi.
Nel pomeriggio del 23 aprile 1870 Angelo Pastori, presidente del comitato, l’arciprete don Cesare Pedrini, l’assessore municipale ing. Ranzoli, Tito Ferrari
Segretario e don Antonio Bignotti cassiere, partiti da Cavriana in due equipaggi, si
recarano alla casa Malpetti nella contrada forese di San Cassiano, per presenziare
l’esumazione del cadavere di Alfonso. Le sue spoglie mortali non erano state
dimenticate, ma rispettate negli anni, trovandosi chiuse in apposito monumento
fatto costrure nel 1860 dal sig. Pastori, premuroso di appagare un desiderio espresso dalla famiglia dell’estinto.
Giunti pertanto i signori del comitato sulla fossa del Mennessier venne aperto il
monumento e composte le ossa, osservando le norme consuete. Nello scavo si rinvennero sette medaglie d’argento, una d’oro, un’altra d’ottone, tutte di soggetto
devoto e ancora un amuleto, un souvenir di cristallo con cerniera d’oro contenente
reliquie di capelli, e diversi bottoni col numero del 72° reggimento.
Di tutta l’operazione venne redatto il relativo verbale.
Da Metz il 12 giugno Paul Mennessier scrisse ad angelo Pastori:
Non saprei dirle quanto io sia commosso piacevolmente per l’impegno che avete
messo nell’esumazione del corpo del mio caro Alphonse, capo del reggimento 72°
ucciso nella battaglia di Solferino, e nella traslazione dei suoi resti nell’ossario
creato dagli italiani per raccogliere le vittime di quella terribile battaglia.
Sono molto onorato e grato e non dimenticherò mai ciò che avete fatto e i vostri
sentimenti delicati saranno sempre legati alla memoria e al ricordo del nostro caro
figliolo.
Il marchese Torelli si è proposto di inviarci tutti gli oggetti di devozione che erano
stati trovati nella fossa che conteneva il corpo di nostro figlio, e io gli ho chiesto
cortesemente di inviarmeli per posta.
103
Controcanto
La storia vista dal basso
L’armistizio di Villafranca pose fine alla guerra del ‘59. Sono numerose le interpretazioni dell’accordo tra Napoleone III e Francesco Giuseppe. Proviamo a leggerne
una diversa, lasciataci da un combattente che fu testimone dell’andirivieni e che
fece da corona al celebre incontro: “Venimmo a sapere che la pace era stata conclusa, con grande stupore dell’esercito alleato e di tutta l’Italia. Non ci avevano
detto però a quali condizioni era stata firmata dai due imperatori. Questo non ci
riguardava. Noi avevamo marciato bene, cacciato bene e cotto le uova ma, come si
diceva, non avevamo il diritto di vedere, nè di sapere come si sarebbe fatta e mangiata la frittata”.
Jean-Marie Dèguignet
contadino bretone arruolato nel corpo di spedizione francese
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La Battaglia di Solferino
Un cippo posato sulla via Goitese nel 1959 in occasione del centenario della battaglia, sullo sfondo la Ca’
Nova
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Il Risorgimento
Le lapidi dedicate a Giuseppe Garibaldi e Vincenzo Mutti furono
inaugurate il 24 settembre 1911.
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Il 29 agosto 1911 l’ordine del giorno del Consiglio comunale prevedeva di discutere la domanda presentatta dal Comitato Pro-Garibaldi per mettere una lapide
commemoratiova sulla faccita del Palazzo comunale.
Il 1911 era l’anno 50° dalla proclamazione dell’Unità, ricorrenza che si intendeva
festeggiare il 24 settembre.
Secondo il consigliere Carlo Mutti sarebbe stato bene porre la lapide sulla casa
(oggi al n. civico 76 di via Vittoio Veneto) del dott. Ubaldo Mutti dal poggio della
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Il Risorgimento
quale aveva parlato Garibaldi. Il consigliere, Ubaldo, interpellato si dichiara d’accordo, purchè la lapide venga inaugurata il 27 aprile 1912 nel 50° anniversario del
discorso di Garibaldi al popolo. E propone pure che un’altra lapide venga posta a
ricordo di Vittorio Emanuele II e di Cavour.
Le due proposte non incontrarono il favore del Consiglio che a maggioranza votò
di collocare la lapide sulla facciata del Palazzo comunale.
Garibaldi nella sua campagna al motto “O Roma o Morte” percorse infaticabilmente l’Italia incitando con discorsi infuocati la gioventù democratica. Tra i giovani
presenti in via della Piazza il 27 aprile 1862 è presumibile ci fossero i ragazzi
Mutti: Ubaldo e i suoi cugini, Romualdo, dodicenne, Carlo, nato nel 1848 e
Vincenzo, il maggiore, di anni 16.
Forse in quel momento nell’animo di Vincenzo scoccò la scintilla che dopo breve
tempo lo avrebbe spinto ad arruolarsi tra i volontari garibaldini.
11 settembre 1866
Mutti Vincenzo Remigio Giuseppe, figlio dei viventi Francesco e Danielli
Giacinta, di anni 20 non ancora compiuti, infiammato di ardentissimo amore di
patria, avendo aderito alla legione dei volontari, effuse gloriosamente il suo sangue,
per la libertà e il riscatto d’Italia, nella battaglia del 21 luglio appena trascorso,
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svoltasi tra i volontari e gli austriaci presso Bezzecca, sotto il distretto di Tiarno
nella regione del Tirolo. Il suo corpo, ancora in vita, fu soccorso dai compagni e
pietosamente trasportato nella chiesetta di Bezzecca. Poco dopo, per l’aggravarsi
della ferita, concluse l’umana milizia nel fiore della giovinezza, lasciando i genitori e i compaesani in grandissimo lutto. Offrì agli italiani l’esempio del suo amore
verso la Patria, che, dopo Dio, sempre onorò, non a parole, ma di fatto con le opere.
I funerali solenni alla pia memoria del giovane tanto benemerito si svolsere stamane in questa Chiesa parrocchiale alla presenza di un gruppo di Soldati Volontari e
di numeroso popolo, tutti pregando per il valoroso giovane la luce e l’eterna pace.
Irma Andrea Parroco
Dalla relazione ministeriale giunta successivamente (luglio 1867) risulta che Mutti
Vincenzo morì nell’ospedale di Santa Croce a Ponte Caffaro alle ore 4 del mattino
del 23 luglio.
Bezzecca: vittoria di Garibaldi sulli austriaci
Fu l’unica vittoria italiana della III guerra d’indipendenza, a fronte dei disastri di
Custoza e di Lissa. Per questo la battaglia di Bezzecca del 21 luglio 1866 ha sempre avuto un posto di rilievo nell’epopea risorgimentale. Le Camicie Rosse ricacciarono gli Austriaci aprendo la strada italiana verso Trento.
Ma Garibaldi dovette fermarsi bloccato dal telegramma di re Vittorio Emanuele II
a cui rispose con il famoso “Obbedisco”.
Lì l’onore militare dei volontari italiani riscattò i pessimi risultati subiti dall’esercito e dalla marina regia.
Nell’immaginario collettivo, pertanto, Bezzecca campeggiava tra le glorie nazionali.
Controcanto
Ma allora la popolazione locale accolse i garibaldini con ostilità. Fonti popolari e
ducumenti dell’epoca rivelano un volto diverso di quei fatti d’armi dell’estate
1866. Mostrano popolazioni “liberate” ostili ai volontari garibaldini e avverse alla
guerra, fedeli al cattolico Imperatore d’Austria e per nulla propense a passare sotto
lo Stato italiano, massonico e liberale. La gente non guardava all’ardore e intemerato coraggio dei volontari, quanto ai loro eccessi e alle intemperanze, all’anticlericalismo, ai danni e alle distruzioni.
Non solo i cronisti dell’epoca denunciavano le malefatte dei garibaldini. Anche i
parroci riportavano al vescovo indignati rapporti.
Scrive il parroco di Pieve di Ledro rimproverando ai giovani garibaldini comportamenti quali ballare in chiesa o corteggiare le ragazze del posto: “Ho il cuore stretto da tante disgrazie e miserie che appena posso impugnare la penna per rivolgermi a Vostra Altezza Reverendissima. La chiesetta di San Giuseppe fu convertita in
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Il Risorgimento
Vincenzo Mutti
111
caserma, poi in magazzino militare. Quella di Locca in caserma e dormitorio militare. Rotta la teca delle reliquie e si giunse a tale empietà da adoperare il battistero
per vaso da camera”.
Eccessi certamente, si trattò di pochi sporadici episodi. Perchè quella dei volontari fu un’incursione breve e che incontrò una risoluta resistenza. A Bezzecca le
Camicie Rosse respinsero gli Austriaci, ma subirono perdite pesanti. Poco il tempo
e la voglia di ballare in Chiesa.
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Le inique sanzioni
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A RICORDO DELL’ASSEDIO
PERCHÈ RESTI DOCUMENTATA NEI SECOLI
L’ENORME INGIUSTIZIA
CONSUMATA CONTRO L’ITALIA
ALLA QUALE
TANTO DEVE LA CIVILTÀ
DI TUTTI I CONTINENTI
Il Gran Consiglio del Fascismo con sua decisione del 16 novembre 1935 stabilì che
sulla facciata di tutti i palazzi comunali del Regno fosse murata una lapide a ricordo dell’assedio economico all’Italia da parte di numerosi Stati stranieri. Segui il 15
febbraio 1936 la nota prefettizia n. 349 con la quale S. E. Il capo del Governo
disponeva che le lapidi fossero eseguite in “marmo bianco di Carrara” avendone
approvato il modello e l’iscrizione.
Le sanzioni economiche furono decise a Ginevra dalla Società delle Nazioni su iniziativa dell’Inghilterra come punizione a danno dell’Italia accusata di aggressione
dell’Etiopia.
La lapide non esiste più.
Nei giorni successivi al 25 aprile 1945, nel clima euforico della “Liberazione”,
alcuni “gerarchi” del fascismo locale furono costretti a salire su scale appoggiate
alla facciata del palazzo comunale e a togliere e a spaccare col martello la lapide,
scherniti e sbeffeggiati dai molti paesani presenti.
Indipendentemente da ogni giudizio su un episodio di piccola vendetta è deplorevole e antistorico il fatto che la lapide sia stata distrutta e scomparsa l’iscrizione.
114
La Resistenza
1943 - 1945: La lotta antifascista e il recupero delle libertà
democratiche.
Le epigrafi tracciate sui cippi o incise su lapidi ricordano i
testimoni di nobili ideali per i quali essi sacrificarono la vita e
formano quasi un’epica funeraria di foscoliana reminiscenza.
115
Il 31 agosto 1944 fu riconosciuta, fra i massacrati delle Fosse Ardeatine, la salma
di Bruno Rodella.
Bruno, nato a Guidizzolo il 17 ottobre 1917, da Mario e Bignotti Gemma, frequentò gli studi superiori a Roma dove la famiglia si era trasferita per lavoro nel 1933.
A Roma aveva quasi ultimati gli studi universitari (era laureando in giurisprudenza) e pure a Roma si trovò l'8 settembre 1943, ufficiale di una Compagnia di bersaglieri della Divisione "Piave". Quando la "Piave" fu distrutta e i suoi uomini catturati, egli riuscì, con un abile e rischioso tranello, a salvare una decina di colleghi,
rifugiati in una scuola di piazza Crati. Si travestì da bidello e ingannò i molti tedeschi che con le armi avrebbero voluto impedire la fuga degli ufficiali italiani.
Da allora entrò nell’attività partigiana con la banda "Piave", organizzata dal Partito
d'Azione nella zona Nomentano-S.Lorenzo. Si impegnò nella raccolta e trasporto
di materiale militare, di armi, nella distribuzione di materiale propagandistico,
stampa clandestina, manifesti murali, manifestini nei tranvai, teatri e cinematografi. Alla sua precisione si deve, tra l'altro, il fatto che nella zona pochissimi furono
gli arresti. Egli stesso, che si celava sotto lo pseudonimo di Romano Corradi, deve
il suo arresto il 1° gennaio 1944, nel quartiere Appio, a un caso sfortunato: una retata germanica.
Perquisito, gli rinvennero indosso alcuni documenti rilevanti, tra i quali una lista di
spie germaniche e una somma di denaro, risparmi che la mamma gli aveva affidato quella mattina. Le SS subito accorse al suo domicilio in via delle Provincie trovarono copie dell'“Italia libera” e alcuni appunti operativi di "capo-zona". Non
molto, ma tanto bastò perchè Bruno, detenuto prima in via Tasso, poi a "Regina
116
La resistenza
Coeli", il 22 marzo venisse giudicato dal Tribunale di guerra germanico e condannato a 15 anni di reclusione per il reato "di propaganda e attività ostili ai tedeschi".
La condanna era terribile, ma gli Alleati anglo-americani erano alle porte di Roma.
"Quindici anni, un mese o un secolo, diceva egli alla madre che potè vederlo dopo
il processo, sono la stessa cosa, si tratta di pazientare ancora un poco. Sta' di buon
animo, preoccupati piuttosto dei miei compagni".
Purtroppo l'attesa fu breve, fin troppo. Il giorno 23 i partigiani lanciarono alcune
bombe contro un reparto di poliziotti tedeschi che transitava in via Rasella provocando la morte di 32 uomini. I tedeschi con uno spirito di giustizia vendicativa
applicarono la legge della decimazione. Ben 335 detenuti, del tutto estranei al fatto
perchè già in prigione o come ebrei o come antifascisti, furono prelevati il 24 e portati nelle cave della via Ardeatina e uccisi a colpi di rivoltella nella nuca. Tra essi
Bruno, vittima del triste sorteggio.
Alle Fosse Ardeatine un libro in metallo indica la fila e il numero del sarcofago
dove è sepolto Bruno Rodella.
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Giovinezza e formazione
Renato Farinati, nato e cresciuto a Guidizzolo, fin dall'adolescenza manifestò una
grande passione per il mare. Avrebbe voluto fare il marinaio, far carriera in marina. Per realizzare il suo sogno a 16 anni si iscrisse volontario alla Scuola Navale di
Pola. Era il 1940, l'anno in cui l'Italia entrò in guerra. Seguì con profitto i corsi, lo
affascinava il gioco del vento e delle onde, al largo lo spazio sconfinato.
Per la Pasqua del 1942 alcuni famigliari degli allievi sarebbero andati a Pola in
visita ai loro cari. Renato in una lettera del 22 marzo si dice dispiaciuto perché nessuno dei suoi potrà raggiungerlo. “Starò con i famigliari dei miei amici” e prosegue: “Non spedite nè vaglia e nè pacco, perché oramai per quel Santo giorno, non
posso più averli. Sono stato destinato a Roma al Ministero; spero che questo vi farà
piacere (invece a me no!)”
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La resistenza
Nell’attività clandestina
Per non andare a Roma Renato fugge dalla Scuola e rientra in famiglia. Ora la
vicenda di Renato, fino alla tragica morte, va inquadrata in quella della lotta partigiana.
Tra la fine del '43 e il 1944 si costituì a Desenzano un gruppo di partigiani delle
Fiamme Verdi al comando del dott. Gino Majer, successivamente assorbito, per
ragioni pratiche, dalla I27 Brigata “Mantova”. Al gruppo aderì Farinati.
A Guidizzolo il 10 settembre 1944 Gilberto Urangia-Tazzoli convocò Pireddu
Giovanni e Farinati Renato affidando loro l'incarico di formare due “Squadre di
azione patriottica” (SAP) che operassero nella zona, nel recupero di armi, nel servizio informazioni, nel disarmare militi delle Brigate Nere o soldati tedeschi.
In paese vi era un distaccamento della Brigata Nera "Marcello Turchetti" e un
Comando Tappa Tedesco. Il 4 dicembre Renato, la cui attività era nota alla Brigata
Nera, fu sorpreso e arrestato mentre assieme all'amico Franco Fezzardi osservava
un camion tedesco, che incendiato da aerei alleati bruciava fuori paese. Fezzardi
veniva rilasciato dopo qualche giorno mentre Farinati fu trattenuto subendo minacce, che ben presto degeneravano in percosse e feroci sevizie. Inviato al Comando
contraereo di Monza abbandonava quel reparto appena gli fu possibile per rientrare nelle file del partigiani.
Il tragico epilogo
A San Giacomo di Cavriana presso la famiglia Ubertini alloggiava il Capitano della
Brigata Nera Gemmato Giovanni. In casa teneva nascoste parecchie armi e munizioni. Il Comando partigiani decise un'azione contro di lui la sera del 10 aprile. Alla
II SAP fu affidato il compito principale. La I SAP si appostò a copertura a circa 500
metri a nord della casa. Farinati e Caiola Demo penetrarono nell'abitazione lasciando gli altri uomini di guardia. Il Gemmato era all'osteria e si decise di attenderlo.
Forse avvertito giungeva poco dopo accompagnato da due militi. Resosi conto del
pericolo e temendo per i suoi famigliari Gemmato non esitò a sparare contro
Farinati colpendolo a morte. Caiola accorse dalla stanza accanto e subitamente
freddava Gemmato. Ucciso anche un milite brigatista.
Seguì una confusa sparatoria tra i partigiani e i militi della Brigata Nera giunti a
rinforzo da Guidizzolo.
Si temevano rappresaglie sul paese. Non accaddero. Solamente una lettera dal
Comando delle Brigate Nere proibì i funerali religiosi per Farinati. Di più, la bara
fu dileggiata e calpestata da alcuni brigatisti all'ingresso del Cimitero.
Scriverà suo padre, Angelo: "Il suo povero corpo, restituitomi più tardi per una
indegna sepoltura, recava traccie evidenti dei patimenti sofferti nel periodo della
prigionia".
Quale lo scopo della spedizione a San Giacomo? per impossessarsi delle armi? per
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colpire Gemmato, noto come torturatore, segnalato in precedenza da Radio
Londra?
Allo storico compete raccontare i fatti, oggettivamente, non formulare ipotesi,
tanto meno esprimere giudizi.
Negli anni '60 del '900 il custode del Cimitero, Ugo Verzegni, riceveva la visita di
un giovane venuto dal Sud con la sposa in viaggio di nozze, un soggiorno sul
Garda. Era il figlio di Gemmato che facendo sosta a Guidizzolo intendeva vedere
il luogo dove era stato sepolto suo padre, una cella dell'ala est del Cimitero. Ebbe
la triste sorpresa di vedere la lapide colpita a sassate, le brevi parole rotte e illeggibili, la fotografia in ceramica ridotta a crepe e frantumi.
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La resistenza
Tre vite spezzate
Mario Covallero, anni 23, Almerico Grandelli, 22 e Lucio Sarti, 19, furono uccisi
dai tedeschi al crocicchio per Cavriana sulla provinciale.
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Lucio Sarti, nato a Milano nel 1926, apprendista meccanico, nel 1942 seguì la
famiglia sfollata a Guidizzolo. Qui si iscrisse ai corsi domenicali della Scuola
d’Arte e nei giorni feriali lavorava col padre in officina. La caccia, la pesca con gli
amici erano i pochi passatempi possibili in tempo di guerra.
Il destino avverso avrebbe unito la sua vita a quella di Mario Covallero e Almerico
Grandelli.
Mario classe 1922 apparteneva a famiglia di agricoltori contadini e da ragazzo fu
messo a fare il “famiglio”. Militare di leva a Mantova e a Bolzano, fu poi in
Tunisia, da dove, ferito, rientrò in Italia. Dopo l’8 settembre potè evitare l’internamento in Germania in quanto fece il cuoco in una mensa della Repubblica Sociale
a Moniga dove era militare anche Almerico Grandelli, di un anno più giovane.
Nel pomeriggio del 24 aprile 1945 un tenente, un maresciallo e un caporale tedeschi mentre transitavano a bordo di un autocarro furono fermati da formazioni partigiane e nello scontro rimasero uccisi. Si chiamavano Berchr Wilhem, di anni 45,
Blieberger Georg, di 38, e Bertran Erich, di 44, e dopo la benedizione del sacerdote, furono inumati nel cimitero.
Per reazione i tedeschi posero un posto di blocco, al crocicchio per Cavriana.
Mario e Almerico, a casa dal giorno precedente, lo stesso pomeriggio del 24, vestiti in borghese, da San Giacomo erano diretti verso Guidizzolo, quando incapparono nel posto di blocco. Non ebbero il tempo di spiegare la loro identità e il ruolo
che svolgevano a Moniga, perchè i tedeschi aprirono immediatamente il fuoco.
Lucio, avendo udito gli spari accorse in bicicletta e subì la stessa sorte di Mario e
Almerico.
Mario Covallero
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Almerico Grandelli
Lucio Sarti
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Collocata sulla facciata del Palazzo comunale in occasione del centenario dei “Martiri di Belfiore” 1952
Don Enrico Tazzoli appartiene ad antica famiglia guidizzolese
Francesco Giovanni Tazzoli verso la fine del ‘600 da Ala di Trento si trasferì a
Guidizzolo dove vivevano altri Tazzoli, forse parenti se si presta attenzione ai
ricorrenti nomi di battesimo. Suo figlio Giacomo, nato a Guidizzolo il 19 agosto
1698, indicato nei documenti come “sergente”, incarico che probabilmente riguardava l’ordine pubblico, sposò la compaesana Isabella Sottini appartenente a famiglia di notai possidenti.
Il matrimonio fu celebrato il 22 ottobre 1718.
Dei due figli il maggiore, Francesco, divenne sacerdote ed esercitò lodevolmente
per 37 anni il ministero di Vicario Coadiutore fino alla morte nel 1806. Il secondo,
Domenico, dalla moglie Domenica Poli ebbe tre figli, Giacomo, Luigi e Giovanni
Battista. Luigi scelse la via del sacerdozio, visse in famiglia e svolse pure le mansioni di maestro. Il più giovane, Giovanni Battista, conseguì la laurea in ingegneria, Giacomo fece l’imprenditore agricolo amministrando le proprietà di famiglia.
Sposò Angela Coffani, sorella del letterato e poeta arcade Francesco Antonio. Dei
figli, Domenico, sacerdote, fece il maestro e l’organista a Sermide e ad Acquanegra
dove morì nel 1817.
Pietro, nato nel 1783, crebbe a Guidizzolo, dove se ne ha notizia fino al 1802.
Studiò legge a Mantova, in età assai giovane sposò la nobile Isabella Arrivabene,
stabilendosi in città. Nel 1808 l’avv. Pietro si trasferì a Canneto sull’Oglio quale
“Giudice di Pace”. E qui nacquero Sordello, Silvio, Luigi ed Enrico Napoleone.
Nell’autunno del 1812, quando Enrico aveva pochi mesi, Pietro passava a Goito,
sempre come “Giudice di Pace” e dove ebbe proprietà e casa di abitazione.
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Don Enrico, nel 1825 a Mantova per gli studi, tornerà spesso a Goito nelle vacanze autunnali.
Nel 1816 a Pietro nacque il figlio Giacomo Teodoro morto a quattro mesi presso la
balia nella frazione Collina. A Mantova, dove la madre si era trasferita per curare
l’educazione dei figli, nacquero Teresina ed Eloisa nella casa in via Torre dello
Zucchero, oggi via don Enrico Tazzoli.
Morì all’età di 63 anni il 2 ottobre 1847. Isabella Arrivabene si spense sessantenne
a Mantova il 27 aprile 1852, quando don Enrico era detenuto da qualche mese nel
carcere del castello di San Giorgio.
A Guidizzolo nella casa in via della Piazza, contigua al palazzo Mutti o di fronte,
continuò a risiedere lo zio di Pietro, l’ingegner Giovanni Battista.
Don Enrico, ordinato sacerdote nel 1835, celebrò la prima messa nella chiesa parrocchiale di Volta Mantovana, dove giovanissima si era sposata con Dionisio
Urangia la sorella sua più giovane, Eloisa.
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Gli Urangia Tazzoli
Più tardi, per l’educazione dei figli, gli Urangia si stabilirono a Mantova, in via
Stabili (ora via Solferino). Eloisa era la confidente informata delle idee politiche
del fratello che a lei consegnava carte compromettenti da conservare in segreto.
Don Enrico si prese cura del figlio maggiore della sorella, Enrichetto, tenendolo
presso di sè e curandone l’istruzione. Alla morte dello zio (1852) Enrichetto aveva
14 anni e frequentava il Ginnasio. Dello zio ebbe in eredità le librerie. Enrico, laureatosi in legge, percorse la carriera del magistrato, Procuratore del Re a Modena
e primo Presidente della Corte d’appello a Mantova. Gli Urangia, per onorare la
memoria di don Enrico, ottennero di aggiungere al proprio il cognome Tazzoli.
L’avv. Gino nel marzo 1896 prese domicilio legale a Guidizzolo nella casa di proprietà in via Solferino n. 15.
Suo padre, Enrico, chiese e ottenne dall’Amministrazione comunale una cappella
o tomba di famiglia nel cimitero locale. In essa con alcuni membri della famiglia,
riposano Eloisa, la sorella, defunta ultranovantenne nel 1911 ed Enrico, morto nel
1913, il nipote prediletto di don Enrico Tazzoli.
Nella villa Urangia Tazzoli a Guidizzolo l’andito d’entrata era affrescato con foglie
e fiori e paesaggi storici locali; vi era pure un grande scudo in legno con massiccia
cornice intagliata a fascie e frutta in rilievo racchiudente lo stemma della casa: “un
cimiero piumato al di sopra del campo araldico diviso in due scomparti, nel superiore tre stelle in campo azzurro, nell’inferiore un ramo verde e tre arancie”.
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La casa Urangia Tazzoli a Guidizzolo. Dipinto ad olio su tavola
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1952: l’inaugurazione della lapide commemorativa
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Immagine della Vergine madre di Dio eseguita dagli allievi e insegnanti della locale scuola d'Arte a proprie spese nell'anno del Signore 1955.
Mosaico collocato sulla Torre civica
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A Cicco cavallo e compagno dal 1880 al 1911 di Giuseppe Brazzabeni medico a
Guidizzolo.
La lapide era fissata a una parete della stalla nella parte rustica della casa abitata
del dottor Brazzabeni, in via di Mezzo (oggi al civico n. 64).
Giuseppe Brazzabeni prestò il suo servizio all’Ospedale Civile di Mantova sua città
natale, poi come medico condotto a Guidizzolo, dove fu pure solerte Presidente
della Congregazione di Carità e Cassiere delle Cucine Economiche locali.
Ebbe la sfortuna di perdere ambedue i figli, Angelo caduto sul Carso e Cesare a
Caporetto nel 1917, a pochi mesi l’uno dall’altro.
Medico condotto in anni di povertà, quando tra la povera gente erano diffuse la pellagra, il tifo e la tubercolosi, e il soccorso del medico non si limitava alla competenza professionale.
“Arte più misera, arte più rotta
non c’è del medico che va in condotta”
Così il dottor Brazzabeni per 45 anni e lo accompagnava il cavallo Cicco a raggiungere le cascine sparse nelle campagne.
Il dottor Brazzabeni morì il 3 luglio 1927 all’età di anni 68.
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Iscrizioni private
Dopo molti anni ecco finalmente la mia casa
La breve iscrizione è infissa all’ingresso della casa al n. 24 di via Don Sturzo.
Essa esprime la soddisfazione per uno scopo raggiunto, la casa, vagheggiata nel
tempo e fatta costruire con sacrifici e rinunce, approdo a un sereno soggiorno.
Ludovico Ariosto a Ferrara in contrada Mirasole compose per la propria casa la
seguente epigrafe:
“Parva sed apta mihi, sed nulli obnoxia, sed non
sordida, parta meo sed tamen aere domus”
Questa casa è piccola, ma sufficiente per le mie esigenze, libera da debiti, non
squallida e costruita con il mio denaro.
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Palazzo Pezzati, oggi agenzia BAM: la lapide, con il calice stilizzato e le lettere C G (Communitas
Guiditiolensis) ricorda, come attesta la tradizione orale, che il Palazzo anticamente fu sede del Comune
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Epigrafi
Fonti archivistiche
Guidizzolo: Archivio comunale
Guidizzolo: Archivio parrocchiale
Birbesi: Archivio parrocchiale
T. Mommsen: Corpus Inscriptionum Latinarum, ed. Berolini, 1863
P. P. Predella: Inscriptiones mantuanae forenses, Biblioteca dell’Accademia
Virgiliana
Bibliografia
G. Baraldi: Notizia biografica di Stefano Antonio Morcelli, Modena 1825
R. Brunelli: Diocesi di Mantova, ed. La Scuola 1986
M. Bertolotti: I comuni e le Parrocchie della prvincia di Mantova, 1893
A. Caprioli - A. Rimoldi - L. Vaccaro: Diocesi di Brescia, ed. La Scuola 1992
A. Cappelli: Dizionario di abbreviature latine e italiane, Milano 1954
J-M. Deguignet: Memorie di un contadino, Rizzoli 2005
M. Marocchi: Storia di Solferino, Litograph 1984
F. Mondadori: Storia e fede nei secoli, ed. “La Notizia” 1996
F. Mondadori: La famiglia Rizzini, ed. Centro Culturale San Lorenzo 2003
P. Pelati: Birbesi, ed. Grafica Ceschi, Quistello 1978
T. Urangia Tazzoli: Don Enrico Tazzoli e i suoi tempi, ed. Secomandi 1951
T. Urangia Tazzoli: Nelle scie del Risorgimento, Salò, tipografia Bortolotti, 1943
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INDICE
Presentazione
7
Prefazione
9
Capitolo 1
Guidizzolo in epoca pagana
13
Capitolo 2
Epigrafi scomparse dalla Chiesa parrocchiale
17
Capitolo 3
Epigrafi esistenti nella Chiesa parrocchiale
27
Capitolo 4
Epigrafi scomparse dall'antico cimitero
33
Capitolo 5
Esistenti nell'antico cimitero
37
Capitolo 6
Epigrafi già nell'antica casa parrocchiale
o Abbazia
49
Capitolo 7
Iscrizioni scomparse dal cimitero
53
Capitolo 8
Esistenti nel cimitero
59
Capitolo 9
Birbesi: epigrafi all'interno della Chiesa parrocchiale
e nell'antico cimitero
69
Capitolo 10
Nella Chiesa di San Lorenzo
75
Capitolo 11
Sulla strada
81
Capitolo 12
La Battaglia di Solferino
93
Capitolo 13
Il Risorgimento
107
Capitolo 14
Le inique sanzioni
113
Capitolo 15
La Resistenza
115
Capitolo 16
Iscrizioni recenti
123
Capitolo 17
Iscrizioni private
137
143
Finito di stampare
nel mese di dicembre 2006
dalla GVM Tipo-litografia
VOLTA MANTOVANA (Mn)