Il grande Museo del Duomo

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Il grande Museo del Duomo
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Domenica 25 Ottobre 2015 Corriere della Sera
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Eventi
La guida
Duecento capolavori
per la prima volta
visibili al pubblico
Il 29 ottobre aprirà a Firenze il nuovo Museo
dell’Opera del Duomo che conserva la maggiore
collezione al mondo di scultura del Medioevo e
del Rinascimento fiorentino. In mostra 750 opere
tra statue e rilievi in marmo, bronzo e argento.
Oltre 200 opere visibili per la prima volta al
pubblico dopo il restauro, tra queste la Maddalena
di Donatello, la Porta Nord e del Paradiso di
Lorenzo Ghiberti per il Battistero di Firenze.
L’Opera di Santa Maria del Fiore ha investito 45
milioni di risorse proprie nella realizzazione del
nuovo Museo. Direttore e autore del progetto
museologico è Timothy Verdon, il progetto è di
Adolfo Natalini e Guicciardini & Magni architetti.
Fino al 26 gennaio 2016, possibilità di acquistare
un biglietto congiunto che permette la visita al
Museo, al Battistero e alla mostra Divina Bellezza
tra Van Gogh, Chagall e Fontana a Palazzo Strozzi.
Biglietto: € 15/12. Informazioni: tel. 055-2302885
o su ilgrandemuseodelduomo.it/museo.
L’appuntamento Una nuova, spettacolare casa per
la straordinaria raccolta di tesori che raccontano il romanzo
artistico di Santa Maria del Fiore. E tra 750 opere trova
la sua dimora definitiva la Porta del Paradiso del Battistero
IL
FORZIERE
N
RITROVATO
di Stefano Bucci
on era, quello di
Nord-Est, il lato
oscuro della piazza, ma quasi: affacciato sull’abside del Duomo,
con un’incredibile vista (dal
basso) della Cupola del Brunelleschi, rimaneva lontano da
ogni possibile tentazione di
passaggio e di «struscio da sabato del villaggio» chiuso com’era tra il grigiore dell’impenetrabile Palazzo Guadagni Sacrati Strozzi, all’apparenza
sempre privo di vita, e le ultime
case prima di Via de’ Servi, poco monumentali e fascinose.
E poi non c’erano nemmeno
i negozi, quelli capaci di attirare pubblico. Solo una grande
bottega che vendeva Madonne,
Angeli, Bibbie, candele e altri
articoli religiosi (compresi i
santini e le fasce per la Cresima), una grande bottega davanti alla quale si passava, e si
entrava, al massimo per Natale,
se mancava una statuina del
Presepe. Oltretutto, su quello
stesso lato Nord-Est, d’estate
faceva sempre un caldo terribile e d’inverno un freddo «bubbone» che ben pochi si sentivano di affrontare.
Per molti fiorentini, il primo
ricordo del Museo dell’Opera
del Duomo è così: sfuocato,
grigio, un po’ triste, vagamente
punitivo. Nonostante tutti quei
capolavori che le guide raccontavano fossero nascoste oltre il
robusto portone di Piazza del
Duomo numero 9: la Maddalena e i Profeti di Donatello, la
Cantoria di Luca Della Robbia,
la Pietà Bandini di Michelangelo, la Sibilla di Tino da Camaino, l’Altare d’argento, l’intero
Tesoro del Battistero, solo per
IL MUSEO DELL’OPERA DEL DUOMO
E LA NUOVA COSCIENZA DI FIRENZE
CHE NON DIMENTICA L’ALLUVIONE
Disposto in
un lato semi
oscuro della
piazza della
cattedrale,
per molti
cittadini
il primo
ricordo di
questo luogo
è sfocato e
punitivo.
Ci volle il
disastro del
‘66 per far
ricordare
che cosa
conservava
citarne qualcuno. In pratica, ci
si andava una prima volta a visitarlo con la scuola (in alternativa negli anni 60-70 erano
molto in voga l’Archeologico e
il Bargello), ma poi non ci si ritornava quasi mai.
Anche perché, fin da quando
era stato creato, quel museo
sembrava destinato a celebrare
più il passato che il presente o
addirittura il futuro: reperti
che raccontavano la memoria
storica di Firenze visto che
l’Opera di Santa Maria del Fiore
era stata istituita appunto «per
accogliere le opere d’arte che
nei secoli erano state rimosse
dal Duomo e dal Battistero».
Paradossalmente a riportarlo in vita, o meglio a fare ricordare alla città quale tesoro si
nascondesse in quel lato semidimenticato della piazza, ci
avrebbe pensato un evento tri-
Devozione La «Pietà Bandini»,
o del Duomo, di Michelangelo,
databile intorno al 1547-1555 circa
stissimo per Firenze: l’alluvione del 4 novembre 1966. Prima:
le istantanee del miscuglio di
acqua, fango e nafta che scorreva senza pietà tra l’abside e la
facciata di Palazzo Guadagni
Sacrati Strozzi (tradizionalmente attribuita a Gherardo
Silvani); poi: gli scatti dei reporter che mostravano gli altorilievi in marmo conservati nel
museo lordati da quello stesso
miscuglio; infine: le testimonianze (ancora una volta fotografiche) dell’inizio della rinascita e dei primi restauri, degli
«angeli del fango» al lavoro sui
codici miniati danneggiati, sotto le grandi statue dei profeti
(Abacuc, Geremia, Isacco e gli
altri) che l’Opera del Duomo da
sempre ospitava. Eppure, forse
sempre per colpa di quella sua
logistica in qualche modo «ingrata», il museo (tesori com-
Arnolfo, Ghiberti, Michelangelo
Tutte le prove dell’immortalità
La storia del monumento in 25 sale tra gloria e innovazione
di Marco Gasperetti
Q
uell’accesso che dalla penombra della
Sala delle Sculture si apre su luoghi luminosissimi e grandiosi non è la metafora di una stringa spazio-temporale.
Sì, il tempo (al di là e al di qua di quell’improbabile porta), si muove attraverso i secoli e si diverte ad abbagliare il visitatore in un gioco di sublime discontinuità.
Ma quella fessura luminescente emana estetica ed etica, sacro e profano, spiritualità e coscienza ed evoca e rievoca storia, filosofia, architettura, teologia.
Iniziamo da qui, dalla quinta delle venticinque sale del nuovo Museo dell’Opera del Duomo
di Firenze, a raccontare una visita diversa,
un’esperienza altra. Mai un luogo d’arte era riuscito a ricrearsi (rinasce sulle strutture, due sale,
inaugurate nel 1997, grazie a lavori costati 45 milioni di euro) sintetizzando e contestualizzando
il Bello dell’arte e dello spirito.
Merito degli straordinari progetti, museologico di monsignor Timothy Verdon e architettonico di Adolfo Natalini e Guicciardini & Magni, e
dei luoghi (evocativi appunto) anch’essi parte
della scenografia.
Così, se resti incantato dalla ricostruzione in
scala naturale (misura trentasei metri di altezza
e venti di lunghezza) dell’incompiuta facciata
medioevale del Duomo, costruita da Arnolfo di
Cambio e poi demolita, non ti smarrisci poco
dopo camminando negli angoli apparentemente più anonimi del museo. Anche qui ti sembra
di vederlo Arnolfo il costruttore, impegnato con
gli operai dell’Opera a tracciare architettonici capolavori. Oppure, con un altro salto nel tempo,
quasi riesci ad ascoltare il battito dello scalpello
di Michelangelo che qui lavorò per dare forma e
anima al suo David.
La Sala del Paradiso, l’enorme «agorà» quadrangolare dove è stata riprodotta la facciata di
Arnolfo e sulla quale sono in mostra quaranta
statue originali trecentesche e del primo Quat-
Il gigantismo
Spazi enormi, un tempo del
settecentesco Teatro degli Intrepidi:
«Dimensioni inusuali per ospitare la
più alta concentrazione di scultura»
Dopo il restauro La Maddalena di Donatello (1453 circa)
trocento firmate da Donatello, Arnolfo di Cambio e Nanni di Banco, custodisce sulla parete opposta anche due capolavori: le porte del Battistero (Nord e del Paradiso) del Ghiberti, restaurate
dall’Opificio delle Pietre Dure, che sono tornate
a mostrare le dorature originali delle formelle.
Una terza porta di Nicola Pisano, in via di restauro, arriverà tra due anni e sarà un altro capolavoro in mostra.
La sala nasce negli spazi del settecentesco Teatro degli Intrepidi ridotto, prima dell’acquisto
dell’Opera, a magazzino e garage. «Dimensioni
inusuali che non sono un lusso ma una necessità
perché il museo possiede la più alta concentrazione di scultura medievale e rinascimentale fiorentina al mondo», spiega il direttore Timothy
Verdon.
Sono 750 le opere conservate nel museo, due-
presi) era comunque tornato
nel suo autorevole grigiore, così lontano dalle folle di turisti
che quotidianamente si stipavano sul sagrato di Santa Maria
del Fiore, tra il Battistero e il
Campanile di Giotto. Sarebbe
stata però solo una questione
di tempo. Qualche anno ancora
di «silenzio» e poi la rinascita
e, in qualche modo, la definitiva riconquista di Firenze. Partivano i lavori di restauro e di ricostruzione del museo e tornavano, ma stavolta in positivo, le
ombre dell’Alluvione.
Perché, mentre (al posto del
pesante portone di legno delle
origini) l’ingresso del museo
diventava di vetro e mentre le
auto sparivano dalla piazza, si
annunciava che gli spazi del
museo sarebbero diventati lo
scrigno «finale» per la Porta
del Paradiso e per le sue formelle, anch’esse deturpate dalla marea di fango del 4 novembre e finalmente recuperate
dopo il lungo restauro all’Opificio. La città fingeva di non accorgersene, secondo il suo stile
più classico, ma seguiva l’evolversi delle cose con attenzione
filiale. Poco importava che si
vociferasse che il peso delle
Porte del Battistero (dopo quella del Paradiso, sarebbero arrivate la Porta Nord e la Sud)
avrebbe potuto compromettere la stabilità dell’intero edificio: Firenze e i fiorentini avevano infine compreso cosa si nascondeva in quel lato quasioscuro della piazza. La piccola
stanza alla fine della galleria da
cui, ora, si potrà godere di una
vista mozzafiato sulla Cupola e
la terrazza panoramica del terzo piano, affacciata sui tetti,
non sono che gli ultimi momenti del definitivo ritorno del
museo nelle mani della città.
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Identikit
Il Museo
dell’Opera
del Duomo
a Firenze
prende il nome
dall’istituzione
omonima
che ha più di 7
secoli. Sorge
nell’antica sede
dell’Opera del
Duomo la cui
realizzazione
fu affidata
a Brunelleschi
nel 1432,
quattro anni
prima che
terminasse
la Cupola
Nel corso
dei secoli,
nella sede
dell’Opera, si è
costituita una
eccezionale
raccolta di
statue, all’inizio
destinate
alla Cattedrale.
Il 3 maggio
del 1891
s’inaugurava
così il primo
nucleo
del Museo
dell’Opera del
Duomo che era
composto da
sole 2 sale
espositive. Nel
1998-2000,
il Museo è stato
ampliato e
adeguato dal
punto di vista
tecnico. Oggi gli
esiti dell’ultimo
restauro
cento delle quali visibili ora per la prima volta. Ci
sono argenti, modelli lignei, statue, pulpiti, dipinti, cantorie, la maschera funebre del Brunelleschi. E poi ancora i capolavori del Verrocchio,
di Luca della Robbia, di Donatello, di Ghiberti e
Pisano (solo per citarne alcuni). E c’è lui, Michelangelo.
Donatello ci parla nella Sala delle Cantorie
mostrandosi davanti a Luca della Robbia; non
sfida ma dialogo angelico. E poi, come in un gioco di luci ed ombre, scioccante ma ugualmente
salvifico, eccolo di nuovo nell’ottava sala con la
potente rappresentazione della Maddalena Penitente.
Il Buonarroti ci aspetta a pochi passi, nella decima sala, con la «Pietà» (Bandini) e qui riesci a
percepire lo sconforto di Michelangelo, che
quella statua cercò di distruggere, ma subito dopo sei sopraffatto dalla Bellezza che la disperazione riesce a sublimare.
La Galleria del Campanile di Giotto, sala 14,
s’innalza spettacolare sopra la facciata di Arnolfo, per 36 metri con le statue dei Profeti di Donatello. Mentre la Galleria della Cupola del Brunelleschi (15) ci narra la costruzione della rivoluzionaria copertura della cattedrale.
Il museo ricorda per grandezza, scelte tecniche d’avanguardia e pulizia architettonica, le
grandi esposizioni del Nord Europa. Con un tesoro in più, unico e inimitabile: la contestualizzazione dei luoghi. Che il presidente dell’Opera,
Franco Lucchesi, paragona ad un grande film
dove attori, registi e scenografi si muovono nel
presente e nel passato di una Firenze immortale.
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Corriere della Sera Domenica 25 Ottobre 2015
EVENTI
33
#
Mostra e libro
Apertura il 29 ottobre
E un omaggio
alle maestranze
Dalle 15 alle 18 del 29 ottobre, l’inaugurazione del
Museo con ingresso libero al pubblico. Verrà inoltre
inaugurata la mostra Opera viva. Gli uomini e la
storia, mostra fotografica e del libro che a partire
dal 29 ottobre, in coincidenza con l’apertura del
nuovo Museo dell’Opera del Duomo, renderanno
omaggio all’Opera di Santa Maria del Fiore e alle
sue maestranze: artisti, restauratori, ma anche
impiegati e custodi danno vita a una galleria
di ritratti nelle fotografie di Michele Pecchioli.
Esce una nuova guida in più lingue (Mandragora
edizioni) e una nuova app scaricabile gratis in
italiano e inglese. I monumenti del Complesso di
Santa Maria del Fiore, costituiscono un unico
grande Museo composto dalla Cattedrale di
Firenze, dalla Cupola del Brunelleschi, dal
Campanile di Giotto, dal Battistero di San Giovanni
Battista, dalla Cripta di Santa Reparata e dal
Museo dell’Opera del Duomo. I monumenti sono
concentrati nella piazza principale di Firenze.
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Eventi
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di Apple la nuova
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Passeggiata tra i volti
Da sinistra, foto grande: la ricostruzione in resina
e polvere di marmo della facciata medievale di Santa
Maria del Fiore di Arnoldo di Cambio poi demolita
nel ‘500; la porta del Paradiso; la Madonna in Trono
di Arnolfo di Cambio e, infine, una serie di formelle
dopo il lungo lavoro di restauro (fotoservizio:
Tommaso Gasperini/ Agenzia Massimo Sestini)
Il confronto
di Francesca Bonazzoli
E in chiesa s’accese la gara delle cantorie
L’apollineo Luca Della Robbia e il dionisiaco Donatello: i due volti del Rinascimento
N
el Quattrocento, prima che il primato passasse a Roma, Firenze
era la città artisticamente più competitiva d’Europa. Nella Repubblica della borghesia mercantile si era formata una colonia di artisti d’eccellenza talmente numerosa che
si poteva metterla in gara per
gli incarichi più prestigiosi.
La competizione che fece
forse più scalpore fu il concorso indetto nel 1401 per l’aggiudicazione della seconda porta
del Battistero. Lorenzo Ghiberti vinse a scapito del Brunelleschi il quale, però, con intrighi
e colpi bassi, riuscì poi a sfilargli il cantiere della Cattedrale.
Un’altra «singolar tenzone»
fu quella che vide battersi uno
di fronte all’altro Donatello e
Luca della Robbia ai quali fu affidata la realizzazione di due
nuove cantorie nella Cattedrale. Destinate a ospitare i coristi
durante le funzioni liturgiche,
dovevano sormontare le due
sacrestie: a Luca della Robbia
Differenze
In basso, da
sinistra, una
formella dalla
Cantoria di
Luca Della
Robbia, e la
Cantoria di
Donatello ,
entrambe
esposte al
Museo
fu assegnata nel 1431 la cantoria
sopra la Sagrestia Nuova, detta
delle Messe, su una parete che
offriva buone condizioni di luce. A Donatello, invece, due anni dopo toccò il muro sopra la
Sacrestia Vecchia, o dei Canonici, che si apre su una parete
semibuia, a nord. Inutile dire
che, in pieno Umanesimo, entrambi gli scultori si misurarono con la classicità.
Il giovane Luca, nato nel
1400, scolpì una aggraziata parata di angeli vestiti con tuniche alla greca ordinatamente
ritmata in quattro formelle se-
parate da lesene. A quest’opera, che interpretava la classicità
come ideale di equilibrio, grazia, compostezza, e che, ha
scritto Giulio Carlo Argan, «è
forse l’opera più apollinea del
Quattrocento toscano», Donatello, nato nel 1386, «oppone
l’opera più dionisiaca. È la lezione del vecchio rivoluzionario al giovane moderato».
Donatello inscenò infatti
una danza scomposta di putti,
un fregio continuo che rappresenta un girotondo fra figure in
primo piano in corsa verso sinistra e figure in secondo pia-
no che tornano a destra. La luce, così, viene catturata fra le
ombre create dai vuoti e dai
pieni irregolari, ed è rafforzata
dalle scintille del mosaico
d’oro posato sul fondale. Fra le
mensole di sostegno, poi, all’oro si aggiungono il marmo
colorato e motivi decorativi di
ghirlande, conchiglie, anfore,
corone, testine di putti: è, già
tutto dispiegato, il repertorio
pagano che un secolo dopo
trionferà nella Roma di Raffaello.
Dal maestro Brunelleschi
Donatello aveva acquisito l’abito mentale del visionario, l’audacia di chi non si adegua allo
spirito del tempo, ma lo precorre. La sua curiosità per la
sperimentazione fu continua e
non si arrestò nemmeno quando, nel 1454, quasi settantenne,
tornò a Firenze dopo aver portato il suo linguaggio rivoluzionario a Padova.
Nella città natale trovò un
clima artistico dominato dai
precetti di serena misura, gra-
Gli artisti
Luca
Della Robbia
(1400-1482)
è stato uno
degli artisti più
importanti del
Rinascimento
fiorentino,
interprete di
un gusto legato
al classicismo
Donatello
(1386-1466),
uomo chiave
della storia
dell’arte,
innovatore
che superò
i modelli
dell’arte
romana
classica, con
un linguaggio
vicino a una
sensibilità
espressionista
zia e decoro di Leon Battista Alberti, perfettamente interpretati da Luca della Robbia. Donatello coglieva invece già i sintomi della crisi degli ideali
dell’Umanesimo e in quella
stessa Firenze apollinea si dedicò a distruggere l’ideale di
purismo classico come si vede,
sempre nel Museo dell’Opera,
nell’immagine spettrale della
Maddalena.
Quanto alle due cantorie, rimasero all’interno della Cattedrale fino al matrimonio del
gran principe Ferdinando (figlio del granduca Cosimo III
de’ Medici) con Violante Beatrice di Baviera, nel 1688, quando
la chiesa fu trasformata in una
sfarzosa scenografia barocca.
Le due opere rinascimentali
furono rimosse e proprio intorno ad esse si sviluppò la prima idea di un museo che conservasse tutto il materiale transitato nei secoli nella fabbrica
più prestigiosa della Toscana.
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