Cina: finalmente la rivalutazione

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Cina: finalmente la rivalutazione
Lettera finanziaria
Financial Services
08/2005
Cina: finalmente la rivalutazione
Dopo anni di pressione da parte dei paesi occidentali (e non solo) la Cina ha finalmente abbandonato il regime di
cambio quasi fisso con il dollaro statunitense, in favore di un regime a fluttuazione manovrata (managed float). La
moneta cinese (Yuan o Renminbi) è stata ancorata ad un paniere di valute, rispetto al quale può muoversi entro determinate bande di oscillazione.
Ben poco si sa, nel dettaglio, circa il funzionamento del nuovo regime di cambio. La banca centrale non ha infatti rese
note né la composizione del paniere (valute e relativi pesi) né le bande di oscillazione consentite.Tutte incognite che
permettono alle autorità di mantenere un’ampia libertà di manovra e rendono difficile valutare l’effettivo grado di flessibilità del cambio. Gli unici dettagli noti riguardano il dollaro. La parità USD/CNY è stata fissata a 8.11 (yuan per dollaro) e può fluttuare giornalmente del ±0.3%. Rispetto al vecchio regime, lo yuan è stato dunque rivalutato del 2.1%,
ben poca cosa rispetto a quanto vorrebbero i paesi occidentali che, da anni, accusano la Cina di accaparrarsi un vantaggio competitivo attraverso una moneta sottovalutata. (Dal 2001 ad oggi, grazie al legame con il dollaro, il tasso di
cambio effettivo reale cinese è sceso di quasi il 10% - il che implica un equivalente guadagno di competitività.)
Perché la Cina ha agito proprio adesso?
Le preoccupazioni per l’avanzata della Cina si sono intensificate a partire dal tardo 2001 quando, con l’ingresso
nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), il Paese ha cominciato ad ottenere un sempre più facile accesso ai mercati internazionali. E’ da allora che si sono rafforzate le pressioni perché la valuta cinese si apprezzasse, pressioni a cui le autorità di Pechino, preoccupate forse anche dalla fragilità del sistema finanziario interno, hanno reagito
andando ad ingrossare le riserve in valuta estera. Dal 2001 ad oggi, le riserve sono quadruplicate, passando da 166
miliardi di dollari agli attuali 671 miliardi, creando non pochi problemi alla gestione della politica monetaria cinese.
Negli ultimi mesi, tuttavia, le tensioni commerciali con Stati Uniti ed Europa si sono particolarmente acuite. Dopo l’abolizione, il primo gennaio scorso, del vecchio sistema internazionale di quote, i prodotti tessili cinesi hanno letteralmente invaso i mercati occidentali. (Nei primi mesi dell’anno, gli USA hanno denunciano crescita a quattro cifre per
le importazioni di alcuni prodotti!). Si è così scatenato un vero e proprio braccio di ferro tra Cina e Occidente, con
un susseguirsi di ultimatum, adozione di misure protezionistiche, consultazioni, appelli alla WTO. Nel mese di maggio,
il Tesoro americano ha minacciato di accusare formalmente la Cina di “manipolazione” del cambio (con ricorso a relative sanzioni) in mancanza di qualche misura da parte cinese nei mesi successivi. Fino ad arrivare alle ultime settimane, quando alcuni membri del Senato americano hanno fatto pressione perché tariffe del 27% vengano imposte sulle
importazioni dei prodotti “made in China”.
Grafico 1 Cina: tasso di cambio effettivo reale e ammontare di riserve
108
700000
Tasso di cambio effettivo reale (indice, scala sinistra)
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600000
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Riserve (Mio USD)
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15.09.'04
15.05.'04
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15.05.'03
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Lettera finanziaria
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08/2005
Alla motivazione politica, inoltre, se ne aggiunge una di natura tecnica. Il momento deve infatti essere sembrato propizio alle autorità di Pechino in quanto consente di cogliere una fase di trend al rialzo nel dollaro e, quindi, di limitare il calo di competitività.
Quale l’impatto a livello economico/finanziario?
Va da sé che, data la modesta entità della rivalutazione, la manovra ha un significato prettamente politico.
L’importanza dell’evento risiede nel fatto che 1) segnala la volontà della Cina di collaborare con il mondo occidentale, e 2) dovrebbe aprire la strada ad ulteriori misure nei prossimi mesi (ulteriore rivalutazione o allargamento delle
bande di fluttuazione valutaria?).
Per il momento, dunque, l’impatto a livello economico dovrebbe essere molto limitato. Non dimentichiamo che la
Cina può contare su un bassissimo costo del lavoro, pari a circa 1/10 di quello dei paesi avanzati. Di conseguenza,
una valuta leggermente più forte farà ben poco per ridurre la competitività delle esportazioni, raffreddare la surriscaldata economia cinese (da otto trimestri il PIL reale cresce a tassi oltre il 9% a/a) e riequilibrare i flussi di commercio internazionale (il deficit con la Cina è pari al 25% del deficit americano).
Sui mercati finanziari è probabile che la rivalutazione dello yuan e, soprattutto, l’aspettativa di ulteriore apprezzamento si traducano nei prossimi mesi in un generalizzato rafforzamento delle divise asiatiche. Le banche centrali della
regione avranno probabilmente meno timore di perdere competitività nei confronti dei vicini cinesi e saranno più
inclini a cedere alle pressioni al rialzo sulle proprie valute. Da notare comunque che, in quanto importanti detentori di Treasuries americani, i paesi asiatici non dovrebbero spingere per un indebolimento troppo rapido del dollaro,
poichè ciò eroderebbe il valore domestico delle loro assets.
Un secondo possibile impatto della rivalutazione riguarda proprio il mercato obbligazionario USA. Con un ammontare di riserve in valuta estera superiore a 600 miliardi di dollari, la Cina è il secondo maggior detentore di Treasuries
- il 12% di questi titoli in mano straniera. (Al primo posto viene il Giappone, 34% circa, mentre il resto dell’Asia ne
detiene un ulteriore 10%.) E’ chiaro dunque l’impatto negativo sui bond USA se il rafforzamento delle valute si
dovesse tradurre in calo/diversificazione delle riserve asiatiche e, quindi, minore domanda di Treasuries.
Manuela Biondi
Analisi e Strategie
Grafico 2 Cina:Treasuries detenuti (var % a/a)
70%
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50%
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15.09.'01
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