“Il gioco delle variabili nella ricerca descrittiva”
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“Il gioco delle variabili nella ricerca descrittiva”
“Il gioco delle variabili nella ricerca descrittiva” Alberto Fornasari Docente di Pedagogia Sperimentale Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia, Comunicazione 1. Insegnanti e indagini su grande campione Un primo approccio metodologico utilizzato nel campo delle ricerche empiriche sugli insegnanti è quello delle indagini descrittive su grande campione. Si tratta di una metodologia di tipo osservativo, cioè finalizzata a descrivere un fenomeno, senza intervenire in esso modificandolo o perturbandone lo svolgimento. Essa prevede innanzitutto che vengano individuate sul campo specifiche variabili considerate come indicatori significativi del fenomeno stesso, le quali costituiranno l'oggetto da osservare e descrivere. Di norma, si tratta di una ricerca che raccoglie dati "secondari" attraverso questionari, ossia i dati raccolti non sono comportamenti direttamente osservati dal ricercatore, bensì dichiarazioni dei soggetti inerenti le loro prassi, le loro opinioni e i loro atteggiamenti. Ancora, possono essere "osservati" saperi e abilità acquisiti dai soggetti, ma sempre attraverso la mediazione di uno strumento che richiede ai soggetti stessi di "registrare" la propria risposta in forma scritta (si pensi in particolare ai test di profitto). La ricerca descrittiva è molto utilizzata nella ricerca sociologica e, nella tradizione appunto delle ricerche di sociologia dell'educazione, si è potuto osservare nel precedente capitolo che molte e molto importanti sono state le indagini sulle opinioni e le dichiarazioni degli insegnanti, si pensi ad esempio all'indagine di Barbagli e Dei negli anni sessanta sugli insegnanti della nuova scuola media, alle indagini dell'ISFOL, alle grandi indagini IARD La denominazione che viene solitamente utilizzata in ambito sociologico per questi studi soprattutto quando i gruppi di riferimento sono particolarmente estesi - è inchiesta, o survey, e il suo scopo è appunto quello di tracciare un profilo, un'immagine "di massima", del fenomeno studiato, nel modo più rispondente possibile a una rappresentazione della realtà condivisibile da molti. Non si prefigge insomma lo scopo di osservare "in profondità" le peculiarità di specifici contesti, bensì si tenta di rilevare quegli elementi di realtà che accomunano diverse situazioni, ne consentono una comparazione e ne delineano un'immagine di sintesi. Come si comprende, questa metodologia, utilizzata anche nell'ambito della ricerca educativa, risponde ad un approccio quantitativo della ricerca empirica Tale approccio, mediante una semplificazione in termini numerici della complessità, mira a restituire al ricercatore e al dibattito scientifico e politico-istituzionale una conoscenza del reale che fa riferimento a linee di tendenza, a norme statistiche, a profili-tipo e che consente, laddove si debbano affrontare decisioni a livello di macrosituazioni, di disporre di orientamenti d'azione credibili e scientificamente fondati. Allo stesso modo, tali macro-orientamenti costituiscono un punto di riferimento fondamentale anche per leggere singole situazioni in quanto propongono una cornice generale di interpretazione che, all'interno di successive ricerche più qualitative, può consentire confronti più specifici e analisi in profondità del contesto, atti ad evidenziare eventuali peculiarità e deviazioni dalla norma. Le indagini empiriche su grandi gruppi di insegnanti, oltre a offrire una descrizione del fenomeno studiato nei suoi aspetti principali, si caratterizzano molto spesso anche come indagini correlazionali. Esse cioè consentono, nella fase di analisi dei dati, di esplorare i rapporti di correlazione esistenti fra le diverse variabili studiate, evidenziando come vi siano tra esse legami di reciproca influenza. Per effettuare un'analisi delle correlazioni, il ricercatore - disponendo già di buone conoscenze sul fenomeno indagato - delinea un modello teorico, un disegno correlazionale, nel quale esplicita in forma ipotetica quali sono i rapporti che ci si attende di osservare tra variabili considerate indipendenti e variabili considerate dipendenti, cioè quelle che saranno l'oggetto di studio della ricerca (cfr. anche Lucisano, Salerni, 2002). L'analisi dei dati permetterà poi di verificare l'effettiva presenza di correlazioni (positive o dirette, se una variabile x cresce al crescere della variabile y; negative o inverse, se una variabile x cresce al diminuire della va-riabile y) e la loro intensità (si veda anche la scheda B). Occorre tuttavia sottolineare che nella ricerca descrittiva di tipo correlazionale è molto importante utilizzare cautela nel l'interpretazione del significato delle correlazioni stesse. Un disegno di ricerca di questo tipo non potrà mai in nessun caso consentire di verificare relazioni di causa-effetto fra variabili; anche laddove si riscontrino coefficienti molto elevati, superiori a 0,80, l'impianto della ricerca non permette cioè di affermare che il variare di una variabile x oggetto di studio sia effettivamente provocato da una variabile y ad essa correlata, e non invece da altre molteplici variabili presenti nel contesto, eventualmente non considerate nell'indagine o nascoste. Affinché sia possibile la verifica di una relazione causale occorre impostare un disegno di ricerca sperimentale, capace di isolare e controllare l'effetto della variabile indipendente su quella dipendente. Una variabile costituisce un elemento osservabile della realtà suscettibile di assumere due o più stati o valori. Le variabili possono essere classificate in diverse tipologie. È importante in particolare distinguere tra: variabili qualitative (descrivono la realtà in termini di qualità o categorie reciprocamente escludentesi, non misurabili in termini quantitativi. Ad esempio: variabile di genere (maschio, femmina); variabile di collocazione politica (centrosinistra e centrodestra); ... variabili quantitative (descrivono in termini quantitativi e misurabili i diversi valori della variabile presa in esame. Ad esempio: variabile di altezza (misurabile in metri), variabile punteggio ad un test di profitto (misurabile in punteggi standard); Le variabili possono anche essere suddivise in variabili indipendenti (ipotizzate come causa delle modificazioni di una variabile dipendente (che si modifica in funzione della variabile indipendente). [Tale categorizzazione assume significato peculiare soprattutto nella ricerca propriamente sperimentale]. Ciononostante, tutto questo non preclude la possibilità di utilizzare la ricerca correlazionale per fare previsioni, quantomeno in termini ipotetici. Infatti, nel momento in cui un ricercatore riscontra sul campo una forte correlazione, significativa a livello statistico, tra due variabili rispetto alle quali aveva elaborato un'ipotesi teorica (per esempio, in un gruppo di insegnanti, tra la motivazione all'insegnamento e la partecipazione a sperimentazioni didattiche), tale legame può costituire una valida ipotesi predittiva di causalità da verificare eventualmente sperimentazione controllata. Data la forte difficoltà a realizzare disegni sperimentali nell'ambito della ricerca educativa, le ricerche descrittive costituiscono un'importante risorsa metodologica, grazie anche alla varietà e molteplicità di variabili riscontrabili oggi sul campo nei diversi contesti educativi, che consentono ampie opportunità di esplorazione di relazioni fra aspetti e fattori diversi (cfr. Vertecchi, 1978). Così come per ogni metodologia di ricerca (e in particolare per guanto attiene le metodologie quantitative), anche nelle ricerche descrittive, affinchè i risultati siano considerati affidabili, occorre porsi alcuni interrogativi in merito alla validità di impostazione della ricerca stessa. Innanzitutto è necessario interrogarsi sulla validità interna, dunque sul grado di coerenza che vi è tra tutte le fasi della ricerca; occorre curare e verificare che vi sia congruenza tra gli obiettivi dell'indagine e il quadro teorico delineato, tra quest'ultimo e le ipotesi individuate, tra le ipotesi e la pianificazione metodologico-procedurale, tra tutte queste fasi e i risultati raggiunti. Come affermano Coggi e Ricchiardi (2005, p. 46), «la ricerca deve essere progettata e attuata in connessione con gli scopi che si prefigge e in modo lineare, svolgendo ogni passaggio in maniera adeguata e rigorosamente controllata». Ma soprattutto laddove si imposti un'indagine correlazionale, e ci si proponga di individuare connessioni tra variabili che possano costituire ipotesi predittive, è fondamentale porsi anche l'interrogativo della validità esterna, cioè di quale sia il grado di generalizzabilità dei risultati ottenuti. La domanda che ci si deve porre è la seguente: quanto una correlazione forte riscontrata fra variabili indipendenti e variabili dipendenti della ricerca è da considerarsi valida anche per tutte le situazioni simili a quella studiata? Per rispondere a questa domanda, è necessario aver affrontato - fin dall'inizio dell'impostazione della ricerca -il problema del campionamento. Il campionamento è quella fase della ricerca in cui il ricercatore individua i casi o i soggetti che faranno parte dell'indagine. Per campionare i casi/soggetti, occorre aver chiaro qual è il target di riferimento, cioè la popolazione alla quale lo studio si rivolge. Se dunque ci interrogassimo su quanto incide la formazione iniziale universitaria degli insegnanti italiani sui loro atteggiamenti verso la realizzazione di una didattica cooperativa, la popolazione potrebbe ad esempio essere quella di tutti gli insegnanti di scuola primaria laureati presso i corsi universitari di Scienze della Formazione Primaria. La caratteristica di una popolazione è che ciascun soggetto/caso deve avere in comune con gli altri uno o più aspetti: nell'esempio, l'essere laureato in un corso di Scienze della formazione primaria in Italia ed essere in servizio presso la scuola primaria come insegnante Se in un'indagine si raccogliessero i dati su tutta la popolazione di riferimento, ovviamente i risultati corrisponderebbero esattamente agli atteggiamenti o dichiarazioni di comportamento della popolazione stessa; difficilmente tuttavia è possibile realizzare ricerche su intere popolazioni di soggetti o casi, data l'entità di risorse necessarie. Molto più spesso si ricorre appunto a procedure di campionamento, dunque di selezione di un certo numero di soggetti all'interno della popolazione. Si pone a questo proposito il problema della rappresentatività del campione, cioè del gruppo di soggetti da selezionare a partire dalla popolazione (o anche detta: universo di riferimento). Il primo obiettivo di una procedura di campionamento è infatti quello di selezionare un gruppo che riproduca "in miniatura" (ne rappresenti fedelmente) tutte le caratteristiche della popolazione in modo tale da poter, in seguito allo svolgimento della ricerca, generalizzare i risultati a tutti i soggetti dell'universo. Affinché il campione sia rappresentativo (pur se sempre con un certo margine di errore calcolabile statisticamente), occorre che esso venga selezionato con procedure di campionamento di tipo probabilistico, ciò significa che ogni soggetto della popolazione deve avere la medesima probabilità degli altri di entrare a far parte del campione, e che la sua selezione non deve influire in alcun modo sulle probabilità di selezione degli altri soggetti. La modalità procedurale per rispondere a questa richiesta è quella del campionamento casuale. Essa può essere condotta attraverso diverse tecniche. Non sempre tuttavia le risorse a disposizione del ricercatore, o le condizioni politiche e istituzionali, consentono di effettuare campionamenti probabilistici. Dunque, in numerosi casi nelle indagini si procede anche con campioni cosiddetti non probabilistici, la cui caratteristica è quella dell'accidentalità e non della casualità. Ciò significa che il ricercatore controlla la scelta del campione, scegliendolo in modo arbitrario sulla base di vari criteri contingenti: la disponibilità dei soggetti, la loro conoscenza diretta, la facilità del contatto con essi. Ovviamente, in questi casi il campione perde le sue caratteristiche di rappresentatività e dunque impedisce al ricercatore di generalizzare i risultati della ricerca alla popolazione di riferimento. . Occorre tuttavia osservare che, nei fatti, non esistono campioni perfetti; essi sono sempre costruzioni probabilistiche che anche laddove siano state possibili procedure sofisticate e rigorose di selezione - mantengono un certo margine di errore statistico. Spesso dunque risulta più coerente parlare semplicemente di "gruppi" di ricerca, anziché di campioni, la cui rappresentatività aumenta laddove le procedure di campionamento seguite si avvicinano sempre più a tecniche probabilistiche. Nelle indagini descrittive sugli atteggiamenti e le convinzioni degli insegnanti va rilevato comunque che il campionamento costituisce sempre una fase particolarmente importante e, allo stesso tempo, densa di difficoltà. Le tecniche del campionamento probabilistico Campionamento casuale semplice La selezione dei soggetti è completamente fuori dal controllo del ricercatore, essi vengono selezionati attraverso procedure randomizzate, quali l'estrazione da un'urna, l'utilizzo della tabella dei numeri random, l'uso di software per la randomizzazione Campionamento casuale stratificato Si tratta di una modalità per garantire la rappresentatività di sottogruppi, denominati strati, ritenuti rilevanti all'interno del campione. Ad esempio, se si vuole definire un campione di insegnanti italiani, si potranno individuare quattro strati di collocazione geografica (nord, centro, sud, isole) all'interno dei quali procedere alla selezione randomizzata in modo proporzionale alla consistenza della popolazione di ogni sottogruppo. Nel caso si vogliano fare approfondimenti specifici su uno degli strati, si può procedere anche al campionamento casuale stratificato non proporzionale, sovraestimando il numero dei soggetti da scegliere nel campione dello strato interessato (è per esempio il caso di una ricerca sugli atteggiamenti verso la professione degli insegnanti della scuola primaria, con un campione stratificato per genere). Il ricercatore potrebbe decidere di sovraestimare il numero dei soggetti nello strato dei maschi, dunque in modo non proporzionale in rapporto allo strato delle femmine, in modo tale da poter condurre analisi statistiche più approfondite su di esso). Campionamento a grappoli (o cluster) Si utilizza quando è difficoltoso disporre di una popolazione di individui e si procede quindi a selezionare, con tecniche randomizzate, "grappoli" istituzionalmente riconoscibili che contengono soggetti. È il caso ad esempio di un campionamento che proceda selezionando scuole o consigli di classe anziché singoli insegnanti. Si tratta di una tecnica molto utilizzata, soprattutto perché le leggi sulla privacy spesso impediscono di ottenere le liste di campionamento nominali degli insegnanti in servizio presso le scuole, oppure degli stessi studenti. Campionamento casuale sistematico Si procede estraendo i soggetti a partire da una lista di campionamento che include tutti gli individui della popolazione. I soggetti vengono selezionati dalla lista a intervalli costanti; l'intervallo costante viene determinato dal rapporto fra numero dei soggetti della lista e numero di soggetti che si desidera inserire nel campione. Si comprende che, a parte il primo soggetto estratto, definito in modo casuale all'interno della lista, la scelta dei restanti individui è dipendente da questa prima scelta e determinata dalla costante individuata. Come si comprende un aspetto determinante nell'impostazione di un'indagine su quegli aspetti latenti che stanno dietro i comportamenti degli insegnanti (percezioni, convinzioni, atteggiamenti, ...) è relativo alla scelta dello strumento e delle procedure di rilevazione dei dati che saranno utilizzate. Al fine di garantire la validità interna della ricerca, i contenuti e la struttura dello strumento di rilevazione dovranno rispondere pienamente agli obiettivi e alle ipotesi della ricerca, pertanto dovranno consentire di descrivere le diverse disposizioni cognitive e affettive degli insegnanti e di analizzarne le relazioni interne. Si pone dunque il problema di come "operativizzare" concetti quali le convinzioni e gli atteggiamenti, individuando in essi indicatori o dimensioni "più oggettive" da poter rilevare come "dato concreto". In particolare, il problema della rilevazione delle disposizioni interne dei soggetti è stato affrontato, nell'ambito delle scienze sociali, soprattutto per quanto concerne il concetto di atteggiamento. Le questioni affrontate in questo campo, come sottolineato di seguito, sono tuttavia rilevanti anche per i più recenti costrutti di convinzione o credenza, tutti strettamente interconnessi fra loro. La rilevazione degli atteggiamenti nelle scienze sociali si pone come un ambito problematico e molto interessante fin dai primi decenni di que-sto secolo. La stessa specificazione del concetto di atteggiamento ha costituito un filone di ricerca notevolmente ricco. Partendo dalle diverse definizioni di atteggiamento di Thurstone, 1931 (che lo considera il grado di effetto positivo o negativo associato a qualche oggetto psicologico), di Katz e Stotland, 1959 (che parlano di tendenza o predisposizione a valutare in un certo modo un oggetto o il suo simbolo), di Allport, 1935 (che considera tale predisposizione un qualcosa di acquisito attraverso l'esperienza), di Krech e Crutchfield, Ballachey, 1962 (che si riferiscono ad un sistema di valutazione positiva o negativa e a sentimenti e tendenze ad agire pro o contro oggetti sociali), si giunge inizialmente all'identificazione di un elemento comune nelle varie definizioni: la presenza di un aspetto affettivo che può essere positivo o negativo (Arcuri, Flores D'Arcais, 1974,'p. 4). Si ha in questo senso un'interpretazione unidimensionale del concetto di atteggiamento, secondo la quale esso corrisponde soltanto alla disposizione affettiva verso un oggetto (Fishbein, Ajzen, 1975). Occorre inoltre considerare che l'atteggiamento può essere descritto come un costrutto ipotetico, una variabile "interveniente" (Capecchi, 1962, pp. 169-170) o "di mediazione", nel senso che si colloca tra una variabile indipendente (fenomeno ambientale) e una variabile dipendente, cioè la manifestazione dell'atteggiamento, la quale può essere un'espressione verbale. È proprio partendo da questa manifestazione esteriore che si ipotizza la possibilità di misurare gli atteggiamenti, che restano comunque dimensioni "nascoste", non afferrabili in modo diretto. Ci si può chiedere a questo punto in quale senso sia possibile "misurare" qualcosa di latente, se per misura intendiamo «un processo generale attraverso il quale si assegnano numeri a oggetti in modo che si comprenda anche quali tipi di operazioni matematiche possano essere legittimamente usati» (Blalock, 1982, p. 11). In questo senso, misurare presuppone l'esistenza di un oggetto reale. Si può dunque affermare che di un atteggiamento è possibile andare a "misurare" le sue caratteristiche o le sue proprietà, esso però non è misurabile in se stesso e dunque, come affermano alcuni autori, sarebbe più adeguato parlare di "rilevazione" degli atteggiamenti che di misura vera e propria (Giampaglia, 1990, p. 19). Utilizzando le tecniche dette di scaling' si possono pertanto andare a rilevare le proprietà che sono state individuate come caratteristiche di un particolare atteggiamento. Nell'ambito delle scienze sociali da molti decenni sta procedendo la ricerca sulle tecniche di rilevazione degli atteggiamenti; esse sono state generalmente introdotte tra la fine degli anni venti e la fine degli anni cinquanta del secolo scorso e tutte partono dal presupposto che l'atteggiamento possa essere rilevato utilizzando degli indicatori rappresentati da descrizioni di opinioni, sentimenti e tendenze all'azione fornite dai soggetti in esame. Esistono varie tecniche di rilevazione degli atteggiamenti, le più importanti delle quali prevedono l'utilizzo di scale multi-item (ossia composte da molteplici descrittori) e sono state ampiamente utilizzate e sperimentate in vari studi. Si fa in particolare riferimento alle scale di Thurstone, Likert, Guttman, Osgoods La tecnica di Likert , nata nel 1932 quando venne pubblicato da Likert il saggio A Technique for the Measurement of Attitudes è oggi ancora molto utilizzata nelle scienze sociali e dell'educazione. La possibilità di utilizzare tecniche di analisi statistica dei dati particolarmente sofisticate e la rapidità di costruzione della scala rispetto ad altre tecniche, ha fatto sì che l'utilizzo del metodo Likert si sia molto allargato tra gli studiosi di vari ambiti, anche se in diversi casi tale facilità d'uso ha portato alla costruzione di strumenti di rilevazione degli atteggiamenti molto carenti da un punto di vista della validità (Lanzetti, 1993). La tecnica di Likert prevede di mettere a punto un certo numero di affermazioni favorevoli o non favorevoli verso un particolare problema o fenomeno e di sottoporle ai soggetti richiedendo loro di esprimere il grado di accordo attraverso una scala accordo/disaccordo che può far uso di un diverso numero di categorie (in genere da 4 a 7). Ad ogni categoria viene poi assegnato un certo punteggio che servirà per essere sommato con i punteggi di altri item, solo dopo aver stabilito che item diversi sono relativi al medesimo costrutto soggiaceste, cioè al medesimo atteggiamento. Proprio al fine di verificare (attraverso analisi statistiche delle risposte agli item) quali affermazioni sono più significative per rilevare i costrutti ipotizzati inizialmente, la tecnica prevede sempre una somministrazione di prova della scala prima della somministrazione vera e propria dello strumento al campione della ricerca. Questa metodologia per la rilevazione degli atteggiamenti si differenzia dalle altre tecniche in quanto il potere informativo di ogni singolo itero (o descrittore di atteggiamento) rispetto alla dimensione concettuale sottostante (cioè l'atteggiamento che deve essere rilevato) viene stabilito a posteriori (e non precedentemente come ad esempio succede per la tecnica di Thurstone), cioè dopo la raccolta dei dati e mediante tecniche di analisi degli itero che fanno ricorso generalmente all'analisi fattoriale. Batteria di item utilizzati nell'indagine per la rilevazione degli atteggiamenti nei confronti dell'uso delle prove standardizzate nelle valutazioni sommative. LE FUNZIONI DELLA VALUTAZIONE NEL CORSO DEI PROCESSI DI INSEGNAMENTO-APPRENDIMENTO Scala 1 A) Una valutazione soggettiva è preferibile all'uso di prove standardizzate. Una prova standardizzata è scarsamente utile perché non riesce a cogliere la diversità dei percorsi formativi effettuati nelle differenti realtà scolastiche B) II giudizio dell'insegnante, anche se è soggettivo, è sempre preferibile al risultato di una prova costruita da altri, anche se con procedure molto corrette . L'utilizzo di prove standardizzate finisce per penalizzare gli allievi con maggiori difficoltà di apprendimento. L'utilizzo di prove standardizzate nelle verifiche finali tende a limitare la libertà di valutazione degli insegnanti Scala 2 Importanza delle prove standardizzate per la valutazione delle competenze di base. Esistono, per ogni disciplina, delle competenze che si possono considerare irrinunciabili al termine dell'obbligo scolastico per poter effettuare una corretta valutazione degli allievi al termine dell'obbligo scolastico sono necessari standard nazionali che definiscano le competenze irrinunciabili. Le prove standardizzate sono strumenti idonei a valutare il raggiungimento, da parte dell'allievo, delle competenze irrinunciabili al termine dell'obbligo scolastico.