Luigi Delia. Il sistema francese FRANCIA: UNO SU MILLE CE LA FA

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Luigi Delia. Il sistema francese FRANCIA: UNO SU MILLE CE LA FA
Luigi Delia. Il sistema francese
FRANCIA: UNO SU MILLE CE LA FA?
Contributo di Luigi DELIA
Già allievo del Collegio Superiore dell’Università di Bologna
Directeur de programme presso il Collège international de Philosophie – Paris
Pubblicato su www.dariobraga.it il 1 – 1- 2015
Mentre negli atenei italiani la lingua di Voltaire è sempre meno parlata, nei corridoi delle
facoltà francesi di scienze umane capita sempre più spesso di sentire parlare italiano. Segno
del prestigio della nostra accademia? Piuttosto del suo declino. Incapace di attrarre i cervelli
francesi, l’Italia vede molti dei suoi migliori talenti espatriare oltralpe. Sono dottorandi, postdoc, junior fellow, assegnisti ANR (Agence Nationale de la Recherche), ATER (professori a
contratto)… Formano un battaglione di giovani precari della ricerca, armati sino ai denti di
titoli e pubblicazioni. Provano a gareggiare con i colleghi francesi per ottenere un posto da
professore associato all’università o di ricercatore confermato al CNRS. Perché la Francia
attrae i nostri ricercatori umanisti? Quali sono le loro chances di essere titolarizzati in quel
paese? Come funziona il sistema francese?
Dopo un dottorato italo-francese, da molti anni vivo e lavoro tra Parigi, Lione e Digione, e mi
sono fatto un’idea piuttosto precisa di quali siano le opportunità e le difficoltà che si
presentano ad un ricercatore italiano che coltivi l’ambizione di farsi strada in Francia.
Se la Francia attrae tanti nostri ricercatori è anche perché ogni anno bandisce dei posti da
professore associato e da ricercatore in tutti i settori disciplinari. Si tratta di posti a tempo
indeterminato, preassegnati alle università che ne fanno richiesta al Ministero, e cui possono
ambire i candidati in possesso di un dottorato e dell’abilitazione francese all’insegnamento
universitario (qualification). In ambito umanistico la padronanza della lingua francese è un
requisito indispensabile. I concorsi prevedono due fasi: una preselezione sulla base dei titoli e
della produzione scientifica, che permette di individuare cinque o sei candidati, e un colloquio
di una mezz’ora (audition). Durante il colloquio, ogni candidato espone i suoi progetti di
insegnamento e di ricerca, davanti ad una commissione composta da docenti ordinari e
associati (di solito sono dieci), di cui la metà sono interni e l’altra metà esterni all’università
che bandisce il posto.
Se le opportunità non mancano, vi sono però delle specificità che rendono il sistema francese
di difficile accesso per un ricercatore internazionale. .
La difficoltà principale è quella di dover competere con i “berretti verdi” dell’accademia
francese: i normalisti. Anche per i migliori cervelli italiani, la gara è il più delle volte impari.
Il collaudatissimo sistema delle Grandi Scuole, e in particolare dell’École Normale
Supérieure (ENS di Parigi e di Lione) non ha quasi nulla a che vedere con quello italiano, se
si confrontano le strutture messe a disposizione degli studenti, gli investimenti pubblici
massicci, le prove di accesso che richiedono una preparazione biennale dopo la maturità in
classi specialmente concepite per accedere alle Grandi Scuole (Classes Préparatoires aux
Grandes Écoles), nonché una formazione molto intensa e impegnativa sino alla laurea. Dal
primo giorno in cui entra all’ENS, l’allievo-normalista acquisisce lo status di funzionario
dello Stato. Dopo la laurea, ha la possibilità di partecipare ad un altro concorso statale, unico
nel suo genere: l’agrégation. Questo concorso, che richiede la conoscenza di una metodologia
specifica ed un anno intero di preparazione, procura ai vincitori una cattedra al liceo. Quasi
sempre, però, il normalista aggregato non si accontenta di insegnare al liceo, ma punta alla
carriera universitaria o a fare ricerca al CNRS (ogni anno il CNRS assume circa trecento
ricercatori in tutti i settori disciplinari). In alcune discipline, come la filosofia, dove i posti
messi a concorso ogni anno sono pochi, è difficile che venga titolarizzato un ricercatore che
non provenga dalla filiera dell’ENS. Certo, in teoria è possibile, e qualche volta accade anche
in pratica, ma è raro. Quando accade è perché il candidato non normalista, oltre all’esperienza
didattica in Francia, può vantare un dossier scientifico eccezionale, un profilo di ricerca
particolarmente innovativo e una prestigiosa rete di contatti accademici.