Scarica il programma di sala - Associazione Amici della Musica

Transcript

Scarica il programma di sala - Associazione Amici della Musica
Nella prima parte, Pietro Beltrani propone un percorso che intende delineare lo
sviluppo della composizione pianistica nel corso della storia, attraverso alcuni
brani ragguardevoli, ma non consueti nei programmi concertistici.
Si inizia da Muzio Clementi, grande musicista italiano che fu chiamato il “padre
del pianoforte” dalla generazione romantica. La Sonata op 25 n°3 in Si bemolle
maggiore fa parte di una serie di sei sonate pubblicate nel 1790. Non così celebre
come la consorella n°5 in fa diesis minore, fu comunque prediletta in passato
anche da celebri pianisti come Wladimir Horowitz. E’ in soli due tempi, un
“Allegro” seguito da un piacevole “Rondò” che rinviano entrambi a una
concezione serena della musica basata sull’invenzione propriamente musicale, su
ciò che Hanslick avrebbe poi chiamato “arabesco” sonoro.
Segue l’Improvviso n°1 op 29 in La bemolle maggiore di Fryderyk Chopin, brano
del 1837, che manifesta palesemente il carattere improvvisativo delle creazioni
chopiniane. Il celeberrimo brano è stato tra i più frequentati dei grandi pianisti
del passato che ne hanno fornito indimenticabili interpretazioni. E’ costituito da
tre parti, di cui la prima e la terza si replicano in modo quasi identico nascendo
da un succedersi rapido di note che accentuano il puro gioco creativo. La
contrastante parte centrale, invece, presenta nella corrispondente tonalità
minore una tra le più appassionate melodie chopiniane.
Anche la Fantasia op 51 di Giuseppe Martucci, scritta nel 1881, si colloca nella
linea di lavori pensati come puro gioco dell’inventiva musicale. La Fantasia di
Martucci è un lavoro di ampia concezione la cui invenzione e elaborazione
tematica, unite ai pregevoli effetti timbrici, ne fanno un brano importante dal
punto di vista formale e molto impegnativo per l’interprete. Lo stile pianistico
virtuosistico e brillante è arricchito dalla componente melodica e timbrica
italiana, sulla scia dell’invenzione dei grandi autori settecenteschi conosciuti e
amati da Martucci. Questo brano richiede all’interprete grande perizia tecnica e
senso delle proporzioni, per lasciare emergere la complessità formale e le molte
sfaccettature timbriche.
È poi la volta di un altro brano pianistico celeberrimo: l’Isle joyeux di Claude
Debussy, scritto nel 1904. Il compositore francese si lancia nel gioco inventivo
basato su elementi puramente musicali, sui quali emergono l’uso della scala
esatonale e la ricerca di effetti timbrici evocativi sia di elementi naturali, come
l’acqua, sia del sentimento amoroso rappresentato nel valzer lento della parte
centrale, fino al travolgente finale. Il brano non è privo di riferimenti
autobiografici, rivelati nel termine ”gioia” espresso nel titolo: venne infatti scritto
da Debussy nell’estate 1904, in compagnia di colei che divenne la seconda
moglie.
Un altro aspetto dell’inventiva musicale si riscontra nell’Improvisation n°15 in Do
minore (Hommage à Édith Piaf, “Trés vite”) di Francis Poulenc, scritta nel 1959 e
dedicata alla cantante Edith Piaf. Poulenc non conobbe la Piaf, ma curiosamente
in quegli anni entrambi ebbero fruttuosi rapporti di collaborazione con Jaques
Cocteau. Il delicato brano è l’ultimo di questo tipo di composizioni che il
musicista francese coltivò a partire dal 1932. Ognuno di queste improvvisazioni è
dedicata ad artisti, amici e personaggi della cultura che l’autore ricorda e ritrae
attraverso accenni e stilemi, ricorrendo a volte ad un accorto uso della tecnica del
collage.
Nell’Improvisation n°15 in Do minore (Hommage à Édith Piaf), Poulenc rievoca
con affetto e un po’ di malinconia lo stile del cabaret, citando espressamente Les
feuilles mortes, canzone indissolubilmente legata all’interpretazione dalla
cantante francese.
Concludono la rassegna due brani composti dallo stesso Pietro Beltrani: Waltz
for Stefy e Morning Time.
La seconda parte del Concerto è affidata a Giulio De Padova che presenta gli
ultimi sei degli Études d'exécution transcendante. Questi brani rappresentano la
summa della tecnica pianistica esperita da Liszt: essi si configurano quali studi,
ovviamente destinati al perfezionamento dell’interprete e sono frutto della
ricerca compiuta dall’autore nell’arco di 25 anni. La versione qui presentata è
quella del 1851 che mitiga le spregiudicatezze delle versioni antecedenti, ma ne
disegna il procedimento formale con maggior equilibrio ed eleganza.
In questi studi il pianoforte è volto a mimare la variegata timbrica orchestrale
nello sforzo di rendere tutte le sfaccettature richieste dalla concezione della
“musica a programma” sottesa a ognuno di essi. Quasi tutti gli studi hanno un
titolo che orienta l’intuito dell’interprete e dell’ascoltatore a collegarsi con
l’ispirazione del compositore.
Studio n.7 Eroica, in Mi bemolle maggiore (la stessa tonalità della Terza Sinfonia
di Beethoven dedicata a Napoleone): di concezione orchestrale, già a partire
dall’introduzione, presenta il tema ripetuto varie volte e arricchito man mano di
numerose ornamentazioni che conducono ad una magniloquente e, appunto,
eroica conclusione.
Studio n. 8 Wilde Jagd, in do minore: dal ritmo complesso e dalla violenta
concitazione dell’azione venatoria, questo brano si ispira alla leggende nordiche
delle turbinose battute di caccia compiute da esseri soprannaturali. Si odono
richiami di corni, schiocchi di frusta, angoscianti inseguimenti. Il brano esige al
massimo grado scioltezza di polso e rapidità negli spostamenti delle mani.
Studio n.9, Ricordanza, in La bemolle maggiore, contrasta con il precedente. E’
notevolmente più lungo e di andamento lento: si tratta di una romanza dolce e
sognante, lievemente malinconica. Il brano è costituito da una serie di variazioni
del tema che viene via via arricchito di complesse ornamentazioni. E’ uno studio
estremamente arduo per la ricchezza del tocco e per il raffinato uso del rubato.
Studio n.10, in la minore. Non ha titolo, ma col tempo vari pianisti lo indicarono
con l’appellativo “appassionato”, proprio per il veemente impeto e l’aspetto
drammatico. E’ breve rispetto al precedente, ma nella sua concisione racchiude
un insieme di impervie difficoltà tecniche che lo rendono un pezzo favorito come
encore. La mano sinistra, in particolare, deve frequentare arpeggi di notevole
difficoltà.
Studio n.11, Harmonies du soir, in Re bemolle maggiore. Questo brano è ispirato
alla poetica dello scrittore Alphonse de Lamartine dal quale Liszt spesso trasse
ispirazione per le proprie creazioni. Il titolo, peraltro, ricorrerà successivamente
in una delle più celebri poesie di Baudelaire tratta da Les fleurs du Mal del 1857,
composta sei anni dopo questo brano lisztiano. Lo studio è di carattere lento e
timbricamente complesso e contemplativo. Come sempre accade in Liszt, ciò non
significa che il pianista sia dispensato dalle difficoltà; anzi deve rendere la
continuità della melodia sostenuta da ampissimi accordi arpeggiati e gestire una
sonorità che dal pianissimo giunge alle massime sonorità in tutta l’estensione del
pianoforte.
Studio n.12 Chasse-neige, in si bemolle minore. Il titolo, letteralmente
“scaccianeve”, si riferisce al fenomeno del vento che solleva turbini di neve in alta
montagna. Questo brano è uno degli esempi più perfetti della rispondenza tra
immagine evocata e scrittura pianistica. I numerosi tremoli, di ogni foggia
possibile, presenti in tutto il brano rendono il continuo muoversi del vento e
l’addensarsi o il rarefarsi del turbinio, mentre una mesta melodia si libra su
questo tappeto di tremoli. A differenza di tutti gli altri undici studi di questa
raccolta, Chasse-neige si distingue per essere rivolto quasi esclusivamente alla
tecnica del tremolo.
© Ettore Borri