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Francis Ponge
Da “Il partito preso delle cose”
il Fuoco
Il fuoco opera una scelta: dapprima tutte le fiamme si
volgono in una certa direzione…
(L’avanzare del fuoco può solo paragonarsi a quello
degli animali: deve abbandonare un luogo se vuole occuparne
un altro; si muove come ameba e giraffa ad un tempo,
s’impenna, striscia)…
Poi, mentre crollano le masse metodicamente contaminate,
i vapori che sfuggono si trasformano via via
in un’unica ascesa di farfalle.
René Char
Da Feuillets d’Hypnos [Fogli d’Hypnos]
5
Non apparteniamo a nessuno, se non al lampo
di quella lampada ignota, inaccessibile,
che tiene svegli il coraggio e il silenzio.
39
Siamo divisi tra la brama di conoscere
e la disperazione di aver conosciuto.
La spina non rinuncia al suo morso,
noi alla nostra speranza.
86
I raccolti più puri hanno radici in un suolo
che non esiste. Eliminata la gratitudine,
sono debitori solo con la primavera.
111
Bandita dai nostri occhi, la luce si è nascosta
da qualche parte nelle nostre ossa. La cacciamo
a nostra volta, per restituirle la corona.
129
Somigliamo a quei rospi che nell’austera
notte delle paludi si chiamano e non si vedono,
piegando al loro grido d’amore
tutta la fatalità dell’universo.
165
Il frutto è cieco.
Solo l’albero ha occhi.
221
La carta della sera.
Una volta ancora l’anno nuovo ci confonde gli occhi.
La veglia è di alte erbe che non hanno amore
se non col fuoco e la prigione che mordono.
Poi saranno le ceneri del vincitore
e il racconto del male.
Saranno le ceneri dell’amore.
La rosa selvatica
che sopravvive a presagi di morte.
Saranno le ceneri,
immaginarie, di te, della tua vita immobile
sul suo cono d’ombra.
Da À une sérénité crispée [A una serenità contratta]
(1952)
Il poeta si distingue per il numero di pagine
insignificanti che non scrive.
Egli possiede tutte le strade
della vita smemorata, per distribuire
le sue povere elemosine
e sputare quel poco di sangue
che non lo farà morire.
*
A occhi chiusi e nello sforzo di prendere sonno,
vedo brillare, sul fondo delle mie palpebre,
una brace: è l’anima ostinata,
il relitto lampeggiante
del naufragio glorioso del mio giorno.
*
Amo l’uomo incerto dei suoi fini.
Come lo è, in aprile, l’albero da frutto.
*
Proprio l’istante in cui la bellezza,
dopo essersi fatta lungamente attendere,
sorge dalle cose consuete attraversa il nostro campo rigoglioso,
lega tutto ciò che può essere legato,
illumina tutto ciò che deve essere illuminato
del nostro retaggio di tenebre.
*
Ho cercato nel mio inchiostro
ciò che non poteva essere chiesto:
la macchia di purezza
al di là della scrittura insozzata.
*
E’ nel tessuto del poema che bisogna ritrovare,
in egual numero, gallerie nascoste, stanze armoniche,
e, nello stesso tempo, lembi di futuro, portici al sole,
sentieri insidiosi ed esistenze che si riconoscono alla voce.
Il poeta è il traghettatore di tutto ciò che plasma un ordine.
Un ordine insorto.
Da Le rempart de brindilles [Il bastione di fuscelli]
(1953)
*
Non cercare i confini del mare.
Sono già in te.
Ti sono stati dati
in uno con la tua vita che svapora.
Il sentimento, lo sai, è figlio della materia:
ne è lo sguardo mirabilmente
vanescente.
Da La bibliothèque est en feu [La biblioteca è in fiamme]
Non si può cominciare un poema
senza una particella di errore
su di sé e sul mondo,
senza un filo d’innocenza
alle prime parole.
*
Talvolta il profilo di un puledro,
di un bambino in lontananza,
s’avvicina a esplorare il mio sguardo,
scavalca il muro del mio timore.
E’ allora che, sotto gli alberi,
riprende a mormorare
la sorgente.
Da Retour amont
(1965)
Lottatori
Buio mi sembrò, e raffermo,
nel cielo degli uomini
il pane degli astri.
Eppure nella stretta delle loro mani
scoprivo la fatica di quelle stelle
che ne chiamano a raccolta altre
mentre migrano al di là del ponte
ancora trasognate.
Ne ho raccolto il sudore splendente
e nel mio gesto la terra
ha smesso di morire.
Henri Michaux
da Ecuador. Journal de voyage, 1929
Rendi grazia, cuore mio.
Abbiamo lottato abbastanza,
E che la mia vita si fermi,
non si è stati dei codardi,
si è fatto ciò che si è potuto.
Oh! Anima mia,
Tu parti o tu resti,
Serve decidere,
Non palparmi in questo modo gli organi,
Ora con attenzione, ora con distrazione
Tu parti o resti,
serve decidere.
Trascinatemi
(estratto da L’espace du dedans)
Trascinatemi in una caravella,
Dentro una vecchia e dolce caravella,
dentro l’asse in cui si vede, nella schiuma,
E perdetemi, lontano, lontano.
Nei finimenti di un’altra età.
Nel velluto ingannevole della neve.
Nell’alito di cani riuniti.
Nell’ammasso estenuato dei fogli morti.
Portatemi senza rompermi, nei baci,
Nei toraci che si sollevano e respirano,
Sui tappeti e dei loro sorrisi,
Nei corridoi di ossa lunghe e di articolazioni
Portatemi, piuttosto seppellitemi
Philippe Jaccottet
Portovenere
Di nuovo cupo il mare. Tu capisci,
è l’ultima notte. Ma chi chiamo? A nessuno
parlo, all’infuori dell’eco, a nessuno.
Dove strapiomba la roccia il mare è nero, e rimbomba
in una campana di pioggia. Un pipistrello
urta come stupito sbarre d’aria,
e tutti questi giorni sono persi, lacerati
dalle sue ali nere, a questa gloria
d’acque fedeli resto indifferente,
se ancora non parlo né a te né a niente. Svaniscano
questi “bei giorni”! Parto, invecchio, che importa,
il mare dietro a chi va sbatte la porta.
il barbagianni
La notte è una grande città addormentata
dove soffia il vento... È venuto da lontano fino
all'asilo di questo letto. È la mezzanotte di giugno.
Tu dormi, mi hanno portato su questi bordi infiniti,
il vento scuote il nocciolo. Viene questo appello
che si avvicina e si ritira, si direbbe
un chiarore che fugge attraverso boschi, o
ombre che volteggiano, dicesi, negli inferi.
(Questo appello nella notte d'estate, quante cose
potrei dirne, e dei tuoi occhi...) Ma non è altro
che l'uccello chiamato barbagianni, che ci chiama nel folto
di questi boschi di banlieue. E già il nostro odore
è quello della putrefazione all'alba,
già sotto la nostra pelle così calda trapela l'osso,
mentre cadono le stelle agli angoli delle strade.
l'ignorante
Più invecchio e più cresco in ignoranza,
più ho vissuto, meno possiedo e meno regno.
Tutto ciò che ho, è uno spazio di volta in volta
innevato o brillante, ma mai abitato.
Dov'è il donatore, la guida, il guardiano?
Resto nella mia stanza e innanzitutto taccio
(il silenzio entra da servitore a mettere un po' d'ordine)
e attendo una a una le menzogne allontanarsi:
cosa resta? Che cosa impedisce a questo moribondo
di morire? Quale forza
lo fa ancor parlare tra le sue quattro mura?
Potrei saperlo, io l'ignaro e l'inquieto?
Ma lo sento davvero che parla, e la sua parola
penetra col giorno, ancora molto vago:
“Come il fuoco, l'amore non instaura il suo chiarore
che sullo sbaglio e la bellezza dei boschi in cenere...”
Bernard Noël
da L’Ombra del doppio
sequenza 1
che cosa è il tempo
mangi la carta
la bocca si cancella
chiudi la finestra
per contare l’aria
si alza un riflesso
un corpo di fronte
il tu di un te
il contro viso
*
ecco la tenda di fumo
una casa a rovescio
dove l’ombra mangia l’essere
tu metti gli occhi
nella bocca muta
un gesto si stacca nel fumo
il movimento delle labbra
chi si ricorda di sé
fa un buco d’aria
*
la vista si piega da fuori a dentro
isola di nuvola e di bolla
all’interno questa piega di nulla
il te si ripiega sull’altro
in te anche te e tutto in niente
il corpo s’impara col desiderio
gli occhi lo perdono là fisso
sempre l’anima si impiglia
in qualche sguardo d’angelo
*
che cosa è il mistero
la notte è uno specchio
dove il tu mette un’ala al te
quando l’altro cade dagli occhi
la sua morte è il lato visibile
alzi le mani verso il vetro
il niente risale nelle braccia
una casa di storia
una casa di tempo
*
è la chiarezza del nero
una specie di profondità
dove questo spettro di memoria
un doppio, tu dici, diviso
perfino in me
il lui di qualche
io staccato da sé
il prima e il dopo
sotto la porta del presente
*
cerchi i tuoi occhi
in questo corpo uscito dal corpo
forse una donna a rovescio
l’uno è sé e l’altro
è chi viene e parte
a meno che tutto questo
sia una cavità nella testa
un pensiero eretto
davanti alla sua ombra
*
che cosa è la vista
lo slancio il muro d’aria
il viaggio immobile
un alfabeto banderuola
che parla del più e del meno
materia vetrosa
e il desiderio che va
un tatuaggio nel profondo
degli occhi
*
fumo qui e là che sale
da un lato all’altra
del nero sé
in mezzo al cieco
dialogo del sì del no
basterà essere là
un giorno
intorno la controfigura
il cuore vuoto e lo spettro
*
dopo lo stesso parola per parola
sempre a tessere
lo spazio mentale
sempre ad alzare
la stessa lama d’aria
il sacrificio dell’io
al tu
lo sgozzarsi verbale
dell’illusione con l’illusione
Jean-Jacques Viton
Da Decollo (Décollage, 1986)
programma del morto
un’enfasi
un naufragio in trompe-l’œil
il posto dell’orlo in un dettaglio di tempesta
il lenzuolo bianco
di relitti
è l’acqua
la terra
è una schiuma
un grande pianoro di cadaveri
un ritorno di storia cucita sopra le palpebre non sotto gli occhi
appena prima degli occhi
ciò che filtra
lo sbieco
immancabile
facciata malata dello sguardo
tra il nervo ottico e l’apparecchiatura della visione
proprio prima della combinazione delle fasce di colore
un nascondiglio iniziale
deformante
una stazione provvisoria
nell’officina del brain
formula detta del
benda sciolta
protettore
<< è giallo è un’arancia >>
l’ultravioletto il più lontano
Michel Déguy
da sentito dire (chiusa)
C’è bisogno di un lettore una carta un gesto
D’uno specchio
Tu sei viso, mio foglio, scavo
Io sono il tessuto perché tu sia il mio vuoto
La superficie
Affinché gualcisca la mano
La foce ove l'acqua s’affila
Radice ove il suolo trasale il
Tuo bianco il mio nero
Il cavo per la mia difficoltà il bianco perché io sia
Questo disegno che non sarò
Tu sei pelle per
Il mio alfabeto
Io ero l'aria perché tu non soffochi
Alveolo perché tu fossi arcata
Eugène Guillevic
(da 'Inclus', 1993 )
Non è difficile
Non è difficile
In un ciuffo d'erba
Vedere un incendio
In cui si esaltano cattedrali,
Vedere un fiume che s'affretta
Per salvarle.
Non è difficile
Vederci fanciulle nude
Fare uno sberleffo alle cattedrali
E danzare sul fiume
Che canta l'incendio,
Vederci l'esercito arrivare
Con tutti i carri in faville
Per, sul dorso del fiume,
Proclamare la vittoria.
Ma vedere il ciuffo d'erba.
RAYMOND FARINA
I
Non m’affrettai per questo a fuggire a Tharsis?
(Giona, 4, 2)
Non intendo portare
questo me per me troppo grande
è un modesto me che voglio
col cuore leggero
che mai si disdice
né si contraddice
che non ha da dar prove
né da tener promesse –
un me che in sé nasconde
le sue stagioni i riferimenti
la magica cronologia
che fa domenica d’un lunedì
e della luna il sole
e aberra dal tragitto
con frivoli criteri
Ed è perché ho deciso
fluido fantasma imponderabile
di scampare a quel ruolo
e, anziché fare, fuggire.
Jean-Pierre Milovanoff
da voci a
borgo babilonia
Il bambino che dorme in me,
il bambino perduto,
il bambino che dorme ai piedi
del Dio di pietra,
il bambino che dorme sotto il sole
grigio come un lago,
il bambino che dorme in me
che non dormo,
al suo risveglio in me,
il bambino perduto
sarà un mortale
il bambino che dorme
o il Divino incoronato di formiche?
Yves Bonnefoy
Il cuore, l’acqua non intorbidita
Sei allegra o triste?
– Come saperlo,
Salvo che nulla pesa
Al cuore senza ritorno.
Nessun passo d’uccello
Su questa vetrata
Del cuore attraversato
Da giardini ed ombra.
Un pensiero di te
Che ha bevuto la mia vita
Ma tra queste foglie
Nessun ricordo.
Sono l’ora semplice
E l’acqua non intorbidita.
Ho saputo amarti,
Non sapendo morire?
Marguerite Yourcenar
Non saprai mai…
Non saprai mai che la tua anima viaggia
come in fondo al mio cuore, dolce cuore adottivo;
e che nulla, né il tempo, gli altri amori, gli anni,
impediranno mai che tu sia stato.
Che la beltà del mondo ha già il tuo viso,
di tua dolcezza vive, splende del tuo chiarore,
e all’orizzonte il pensieroso lago
narra soltanto la tua serenità.
Non saprai mai che porto la tua anima
come una luce d’oro che rischiara i passi;
che un po’ della tua voce suona nel mio canto.
Dolce fiaccola i tuoi raggi, dolce braciere la tua fiamma,
mi insegnano il cammino dei tuoi passi,
e un poco ancora vivi, perché ti sopravvivo
Louis Aragòn
Ti dirò un gran segreto
Ti dirò un gran segreto
Tu sei il tempo
Il tempo è donna
Ha bisogno d’esser corteggiato ha bisogno che ci si segga
Ai suoi piedi il tempo come una veste da sciogliere
Il tempo come una chioma senza fine
Pettinata
Uno specchio che il respiro appanna e spanna
Il tempo sei tu che dormi nell’alba in cui mi sveglio
Sei tu come un coltello che trafigga la mia gola
Oh non posso dire questo tormento del tempo che non passa
Questo tormento del tempo imprigionato come il sangue nelle vene azzurre
Ben peggiore del desiderio interminabilmente insoddisfatto
Di questa sete dell’occhio quando cammini nella stanza
E io capisco che non si deve rompere l’ incantesimo
Ben peggiore del sentirti estranea
Sfuggente
La testa altrove e il cuore già in un altro secolo
Mio Dio come pesano le parole
È proprio questo il punto
Amore mio oltre il piacere amore mio fuori di portata oggi fuori tiro
Tu che batti alla mia tempia orologio
Se tu non respiri sono io che soffoco
E sulla mia carne esita e si posa il tuo passo
Ti dirò un gran segreto
Ogni parola
Sulle mie labbra è una mendica che chiude
Una miseria per le tue mani una cosa che s’oscura sotto il tuo sguardo
Ed è per questo io dico così spesso che ti amo
Colpa di un cristallo troppo chiaro di una frase che porteresti al collo
Non t’offendere per le mie parole banali.
È
L’acqua pura che fa questo brusio spiacevole sul fuoco
Ti dirò un gran segreto
Io non so
Parlare del tempo che ti somiglia
Non so parlare di te fingo soltanto
Come quelli che da molto tempo sul marciapiede d’una stazione
Agitano la mano dopo che i treni sono partiti
E il polso cede sotto il peso nuovo delle lacrime
Ti dirò un gran segreto
Ho paura di te
Paura di quel che t’accompagna la sera verso le finestre
Dei gesti che fai delle parole che non si dicono
Ho paura del tempo rapido e lento ho paura di te
Ti dirò un gran segreto
Chiudi le porte
È più facile morire che amare
Per questo cerco di vivere
Amor mio
Antonin Artaud
Sera
I fiumi rosa scorrevano sotto le grandi stelle
Quando tutte le colombe vermiglie del giorno
Non avevano abbandonato le colonnine del giorno
Dove le donne tendono i loro capelli come vele…
Le libellule d’oro erano cadute nelle messi,
I mietitori falciavano le loro ali come spighe,
I mietitori dell’ombra e della notte rosa
Dai cuori cantanti come violini stellati.
Era una sera fiorita di colombe mistiche,
Che posava e sognava sulle urne del cuore,
Come le colombe d’oro dei sacrifici eucaristici
Sui tabernacoli del Signore.
Era una sera favorita dai venti cullanti
Di un religioso agosto in cui canta la cicala;
Era un sera antica in cui l’anima di Dio crolla,
Ruota nei fremiti del fogliame illividito.
Charles Baudelaire
I LAMENTI DI UN ICARO
–
Gli amanti delle prostitute
sono allegri, gagliardi e ben pasciuti;
quanto a me, ho le braccia a pezzi
a forza di abbracciare nuvole!
È grazie agli incomparabili astri
che ardono nel profondo del cielo
che i miei occhi consunti
non vedono che ricordi di soli.
Vanamente ho preteso di trovare
la fine e il centro dello spazio!
Sento che la mia ala si spezza
sotto non so che occhio di fuoco!
e arso dall'amore del bello,
non avrò l'onore supremo
di dare il mio nome all'abisso
che mi servirà da tomba. -
Leo Ferré
Gli anarchici
Non son l'uno per cento ma credetemi esistono
In gran parte spagnoli chi lo sa mai perché
Penseresti che in Spagna proprio non li capiscano
Sono gli anarchici
Han raccolto già tutto
Di insulti e battute
E più hanno gridato
Più hanno ancora fiato
Hanno chiuso nel petto
Un sogno disperato
E le anime corrose
Da idee favolose
Non son l'uno per cento ma credetemi esistono
Figli di troppo poco o di origine oscura
Non li si vede mai che quando fan paura
Sono gli anarchici
Mille volte son morti
Come è indifferente
Con l'amore nel pugno
Per troppo o per niente
Han gettato testardi
La vita alla malora
Ma hanno tanto colpito
Che colpiranno ancora
Non son l'uno per cento ma credetemi esistono
e se dai calci in culo c'è da incominciare
Chi è che scende per strada non lo dimenticare
Sono gli anarchici
Hanno bandiere nere
Sulla loro Speranza
E la malinconia
Per compagna di danza
Coltelli per tagliare
Il pane dell'Amicizia
E del sangue pulito
Per lavar la sporcizia
Non son l'uno per cento ma credetemi esistono
Stretti l'uno con l'altro e se in loro non credi
Li puoi sbattere in terra ma sono sempre in piedi
Sono gli anarchici
Jean Roger Caussimon
SI VIS PACEM
Si vis pacem - di tutto il latino che mi han fatto fare
non ne ho serbato che minima parte gli è che sei secoli prima della nostra era
un superstratega in peplo in un lungo trattato militare
che è diventato il mio vademecum scrisse questa frase austera
ma invero degna d'un grand'uomo: "Se vuoi la pace, prepara la guerra!
- Si vis pacem...para bellum!" .... - Ma che formula elegante,
è grande, è triste, ma è bella! Io ne ho fatto una variante:
"Si vis pacem, vade in bicis !" In bici parti all'avventura
lontano dai paraurti, lontano dalle auto, lontano dai parcheggi pieni stracolmi
lontano dai parchimetri e dal metrò parti a casaccio e stattene fuori
lontano dall'ansia delle città e vedrai, te lo assicuro,
- che grande cosa è risuscitare... - Alla TV, un giornalista
intervistava con riguardo un generale, uno specialista
che, con la sua tuta mimetica dichiarava: "Siamo realisti
e trapassiamo da parte a parte la cricca antimilitarista,
gli obbiettori e gli anarchici! Si vis pace...para cadutistas!"
- Ha concluso 'sto bischero d'un generale... - Si sa be, ohimé, che con la sua fionda
Davide non abbatterebbe più Golia
Ma la tempesta atomica romba e allora, parti prima che scoppi...
Parti da Parigi, parti da Tonnerre, (*) passa Auxerre e Avallon
percorri il tuo paese e la Terra a piedi, a nuoto e in pallone...
Non è certamente un paradiso, figlio mio, ma impara la lezione:
non ti fidare dei paranoici - specie se portan delle mostrine!
Raoul Vaneigem
LA VITA SCORRE E FUGGE VIA
La vita scorre e fugge via,
I giorni sfilano a passo di noia.
Partito dei rossi, partito dei grigi,
Le nostre rivoluzioni sono tradite.
Il lavoro ammazza, il lavoro paga,
Il tempo si compra al supermercato.
Il tempo pagato non torna più,
La giovinezza muore di tempo perso.
Gli occhi fatti per l'amore d'amare
Riflettono solo un mondo di cose.
Senza sogni e senza realtà
Alle immagini siamo condannati.
I fucilati, gli affamati
Vengono a noi dal fondo del passato.
Niente è cambiato, ma tutto comincia
E maturerà nella violenza.
Bruciate*, tane di preti,
Nidi di mercanti e di sbirri,
Al vento che semina tempesta
Si raccolgono i giorni di festa.
I fucili verso di noi puntati
Verso i capi saranno rivolti.
Niente piu' dirigenti, niente più stato
A profittare delle nostre lotte.
[La vita scorre e fugge via,
I giorni sfilano a passo di noia.
Partito dei Rossi, partito dei Grigi,
Le nostre rivoluzioni sono tradite.]**