domenica 15 gennaio 2017

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domenica 15 gennaio 2017
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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLVII n. 11 (47.445)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
domenica 15 gennaio 2017
.
Papa Francesco denuncia i mali di una globalizzazione irresponsabile
Nel documento preparatorio del prossimo sinodo
Quando si ignora la miseria
Le difficoltà
di una scelta definitiva
I rischi paventati da Giovanni Paolo
II
si sono ampiamente verificati
di LUCETTA SCARAFFIA
«Coloro che causano o permettono
lo scarto degli altri» diventano essi
stessi «macchine senza anima, accettando implicitamente il principio che
anche loro, prima o poi, verranno
scartati». È da questo effetto “boomerang” che Papa Francesco ha voluto mettere in guardia la società
contemporanea, parlando sabato
mattina, 14 gennaio, a una delegazione della Global Foundation.
Nel suo discorso il Pontefice ha
denunciato come «inaccettabile, perché disumano, un sistema economico che scarta uomini, donne e bambini, per il fatto che questi sembrano
non essere più utili secondo i criteri
di redditività delle aziende o di altre
organizzazioni». Del resto, ha aggiunto, «proprio questo scarto delle
persone costituisce il regresso e la
disumanizzazione» di ogni sistema
politico ed economico che mette «al
centro il dio denaro». Da qui l’invito
a usare «intelligenza» e «risorse»
per «risanare i mali prodotti da una
globalizzazione irresponsabile».
Riuniti a Roma per una tavola rotonda volta «a individuare le vie
giuste, capaci di condurre a una globalizzazione “cooperativa” cioè positiva, opposta alla globalizzazione
dell’indifferenza», i membri della
fondazione — ha spiegato il Papa —
sono chiamati a dare il loro contributo affinché «istituzioni, aziende e
rappresentanti della società civile»
possano «raggiungere effettivamente
gli obiettivi e obblighi internazionali
solennemente dichiarati e assunti,
come quelli dell’Agenda 2030 per lo
sviluppo sostenibile».
Già Giovanni Paolo II nel 1991 —
ha ricordato Francesco — «di fronte
al crollo di sistemi politici oppressivi
e alla progressiva integrazione dei
mercati, avvertiva il rischio che si
diffondesse ovunque l’ideologia capitalistica». E purtroppo, ha constatato il Papa, «i rischi paventati si sono ampiamente verificati». Eppure
nello stesso tempo, ha rimarcato, si
sono anche «sviluppati e attuati tanti sforzi di individui e di istituzioni»
nella direzione inversa. Lo testimonia l’esempio di Teresa di Calcutta,
che «rappresenta e riassume tali
sforzi».
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Misura reintrodotta in Ungheria
Richiedenti asilo
detenuti
Udienza del Papa al presidente Mahmoud Abbas
Per la pace
in Medio oriente
Nella mattina di sabato 14 gennaio,
Papa Francesco ha ricevuto in
udienza il presidente dello Stato di
Palestina, Sua Eccellenza il Signor
Mahmoud Abbas, il quale successivamente ha incontrato il cardinale
Pietro Parolin, segretario di Stato,
accompagnato dall’arcivescovo Paul
Gallagher, segretario per i Rapporti
con gli Stati. Nel corso dei cordiali
colloqui si sono rilevati anzitutto i
buoni rapporti esistenti tra la Santa
Sede e la Palestina, suggellati
dall’Accordo globale del 2015, che riguarda aspetti essenziali della vita e
dell’attività della Chiesa nella società
palestinese. In tale contesto, si è ricordato l’importante contributo dei
cattolici in favore della promozione
della dignità umana e in aiuto dei
più bisognosi, particolarmente nei
campi dell’educazione, della salute e
dell’assistenza.
Ci si è quindi soffermati sul processo di pace in Medio oriente,
esprimendo la speranza che si possano riprendere i negoziati diretti tra
le parti per giungere alla fine della
violenza che causa inaccettabili sofferenze alle popolazioni civili e a
una soluzione giusta e duratura. A
tale scopo, si è auspicato che, con il
sostegno della comunità internazionale, si intraprendano misure che favoriscano la reciproca fiducia e contribuiscano a creare un clima che
permetta di prendere decisioni coraggiose in favore della pace. Non si
è mancato di ricordare l’importanza
della salvaguardia del carattere sacro
dei Luoghi santi per i credenti di
tutte e tre le religioni abramitiche.
Particolare attenzione è stata infine
dedicata agli altri conflitti che affliggono la regione.
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor
Mahmoud Abbas, Presidente dello Stato di Palestina, e Seguito.
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Il Santo Padre ha ricevuto questa
mattina in udienza l’Eminentissimo Signor Cardinale Marc Ouellet, Prefetto
della Congregazione per i Vescovi.
Il Santo Padre ha nominato Membro
della Congregazione per la Dottrina
della Fede l’Eminentissimo Signor Cardinale Sean Patrick O’Malley, Arcivescovo di Boston (Stati Uniti d’America),
Presidente della Pontificia Commissione
per la tutela dei minori.
Il Santo Padre ha nominato Membri
della Pontificia Commissione per l’Ame-
Un giovane migrante a Belgado (Afp)
BRUXELLES, 14. Mentre in Europa
fa discutere la decisione del primo
ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, di mettere in detenzione tutti
i migranti irregolari, anche quelli
che chiedono legittimamente asilo,
nel Mediterraneo si continua a morire: tre migranti sono stati trovati
senza vita su barconi nel Canale di
Sicilia.
Alla Magyar Ràdio, l’emittente
radiofonica pubblica ungherese,
Orbán ha parlato di «esigenza di
difendere l’Europa dalla minaccia
del terrorismo islamista» e ha spiegato che ripristinerà la misura di
detenzione, prevista durante tutta
la durata di esame della richiesta di
asilo, che era stata sospesa nel
2013, dopo le pressioni dell’Unione
europea, della Corte europea dei
diritti dell’uomo e delle Nazioni
Unite. Il primo ministro ungherese
ha affermato che da allora in Europa ci sono stati sanguinosi attentati
e, dunque, sulle regole internazionali e dell’Europa, liberamente accettate da Budapest, «deve prevalere l’interesse della autodifesa del
paese».
In particolare, Orbán ha affermato di «aver reintrodotto la pratica della custodia cautelare nei casi
di coloro le cui domande d’ingresso in Europa non abbiano ancora
avuto un esito legale» perché, a
suo parere «l’emergenza migrazione non diminuirà a breve e, dunque, l’Ungheria non può affidarsi a
una soluzione qualunque che venga dalla Ue». E in sostanza Orbán
ha chiarito che Budapest non farà
entrare nel suo territorio i migranti
che rischiano di morire assiderati al
confine serbo.
All’inizio dell’estate 2015, il governo ungherese ha dato il via alla
costruzione della barriera di filo
spinato e di lame di rasoio al confine, per blindare le sue frontiere che
sono un limite esterno dello spazio
europeo aperto di Schengen.
Intanto, in queste ore sono sbarcate sulle coste italiane 550 persone
salvate in mare in diverse operazioni di soccorso. Tre migranti versano in gravi condizioni, tra cui una
donna incinta. Si trovavano sullo
stesso barcone sul quale sono stati
individuati i tre corpi senza vita.
Nella Repubblica Democratica del Congo
Una Chiesa
che sa mediare
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on la scelta del tema del
prossimo sinodo, incentrato
sui giovani e sulla loro scelta di una vocazione di vita, Papa
Francesco, ancora una volta dopo
le assemblee sulla famiglia, dimostra di saper cogliere le necessità
del mondo in cui vive e di andare
incontro con proposte innovative
alle difficoltà delle società. Mai come oggi, infatti, le nuove generazioni sono in difficoltà nello scegliere la propria vita, anche in contesti di benessere economico e di
libertà; anzi, sembra che proprio
queste due condizioni siano fonte
di disorientamento più che di fiducia nel futuro e di volontà di lasciare un segno nel proprio tempo.
E giustamente il documento preparatorio del sinodo individua il
nucleo di questa difficoltà proprio
nell’incapacità di decidere, affermando che «non si può rimanere
all’infinito nell’indeterminazione».
Chi sta accanto ai giovani ha quindi soprattutto il compito di aiutarli
a rischiare e a compiere scelte coraggiose per cercare di mantenere
fede al progetto di vita sognato e
iniziato.
Alle radici di questa debolezza
nella scelta di una vocazione vi è
senza dubbio il collasso del sistema
scolastico, ormai evidente in tutti i
paesi occidentali e che non sa più
preparare i giovani a sforzi prolungati in vista di obiettivi di lungo
periodo. La possibilità di avere tutto subito, infatti, è dilagata in ogni
ambito della vita, accentuando un
atteggiamento che ha molti aspetti
in comune con il consumismo.
Un altro aspetto decisamente
positivo, e del tutto nuovo in un
documento di tale natura, è l’attenzione costante alla differenza fra
donne e uomini nel vivere gli stessi
fenomeni. Per ben tre volte infatti
si sottolinea che i problemi delle
donne sono sempre più gravi. «Per
le giovani donne questi ostacoli sono normalmente ancora più ardui
da superare» si legge; poi «spesso
le bambine, le ragazze e le giovani
donne devono affrontare difficoltà
ancora maggiori rispetto ai loro
coetanei»; e «infine non possiamo
dimenticare la differenza tra il genere maschile e quello femminile:
da una parte essa determina una
diversa sensibilità, dall’altra è origine di forme di dominio, esclusione
e discriminazione di cui tutte le società hanno bisogno di liberarsi».
Osservazioni quanto mai pertinenti, perché chi paga più caro il
prezzo di questa indeterminatezza
nel decidere il futuro sono le giovani donne, almeno per quanto riguarda la procreazione. Infatti,
mentre per loro l’orologio biologico impone scelte in un tempo determinato e abbastanza ristretto —
che non tiene conto della dilatazione della gioventù che le società
avanzate stanno vivendo — il pro-
C
NOSTRE INFORMAZIONI
rica Latina gli Eminentissimi Signori
Cardinali: Baltazar Enrique Porras Cardozo, Arcivescovo di Mérida (Venezuela); Sérgio da Rocha, Arcivescovo di
Brasilía (Brasile); Carlos Aguiar Retes,
Arcivescovo di Tlalnepantla (Messico).
Il Santo Padre ha annoverato tra i
Consultori della Congregazione per il
Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti i Reverendi: Monsignor Giovanni
Di Napoli, Docente di liturgia alla Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale,
Sezione San Luigi di Napoli, e al Seminario di Salerno, Segretario del Centro
di Azione Liturgica; Claudio Magnoli,
Docente di Liturgia presso la Facoltà
Teologica dell’Italia settentrionale, Responsabile Servizio per la Pastorale Li-
turgica dell’Arcidiocesi di Milano, Preside del Pontificio Istituto Ambrosiano di
Musica Sacra; Monsignor Vincenzo De
Gregorio, Preside del Pontificio Istituto
di Musica Sacra; Monsignor Massimo
Palombella, S.D.B., Maestro Direttore
della Cappella Musicale Pontificia; José
Luis Gutiérrez Martín, della Prelatura
dell’Opus Dei, Direttore dell’Istituto di
Liturgia della Pontificia Università della
Santa Croce in Roma; Padre Marko
Rupnik, S.I., Docente di arte liturgica
presso il Pontificio Istituto Liturgico,
Direttore del Centro Aletti di Roma;
Monsignor Bruce Edward Harbert, già
Docente di Liturgia e Teologia Sacramentaria, Parroco; Jaume Gonzáles Padrós, Direttore dell’Istituto Superiore di
Liturgia di Barcelona; Padre Olivier-
Marie Sarr, O.S.B., Docente al Pontificio
Istituto Liturgico Sant’Anselmo in Roma; Elias Frank, Docente di diritto liturgico presso la Pontificia Università
Urbaniana; Monsignor Patrick Chauvet,
Docente di Teologia, Arciprete della
Cattedrale Notre Dame in Parigi; Padre
Robert McCulloch, S.S.C.M.E., Procuratore Generale della Società di San Colombano per le Missioni Estere; Padre
Olivier-Thomas Venard, O.P., Vice Direttore dell’«Ecole biblique et archéologique française de Jérusalem»; Marc-Aeilko Aris, Docente alla Ludwig-Maximilian-Universität in München; Professoressa Donna Lynn Orsuto, Docente
all’Istituto di Spiritualità della Pontificia
Università Gregoriana, alla Pontificia
Università San Tommaso d’Aquino e
blema non si pone per i ragazzi.
Quindi, almeno per questo aspetto,
anche la modernità, in genere così
favorevole all’uguaglianza fra i sessi, provoca una nuova ragione di
disuguaglianza a danno delle donne, che incontrano sempre maggiori difficoltà ad avere un figlio.
Indicare come uno dei principali
nodi da affrontare proprio questa
difficoltà a fare scelte definitive costituisce dunque uno dei grandi
meriti del documento.
Bisogna però anche ricordare
che uno dei problemi più gravi che
devono affrontare i giovani che si
riconoscono nella Chiesa o che si
stanno avvicinando a essa è quello
della forte differenza che esiste fra
la pratica sessuale prevalente e le
regole della morale cattolica. Un
giovane cattolico rischia, in molte
occasioni, di sentirsi veramente un
“diverso” e trova molte difficoltà
nello spiegare una scelta che lo pone spesso ai margini della comunità dei coetanei.
Come nei sinodi sulla famiglia,
anche in questa occasione la Chiesa si deve confrontare con una questione — quella sessuale — che la
pone in netto contrasto con la società moderna. Non è certo la prima volta; e la ricchezza della tradizione cristiana, insieme con la realtà che oggi rivela una profonda crisi di ciò che resta della rivoluzione
sessuale, possono rendere meno
duro il confronto.
Ma a condizione che il problema
venga affrontato, e non solo dal
punto di vista teologico, e che soprattutto lo si faccia coinvolgendo
le donne, le quali non accettano
più che degli uomini parlino al posto loro.
È morto
il cardinale
Agustoni
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all’Istituto Giovanni Paolo II per Studi
su Matrimonio e Famiglia, CoFondatrice e Direttore del «The Lay Centre al
Foyer Unitas» in Roma; Dottoressa Valeria Trapani, Docente di Liturgia presso la Facoltà Teologica di Sicilia San
Giovanni Evangelista di Palermo, Membro della Commissione Liturgica Diocesana di Palermo; Dottor Adelindo Giuliani, Addetto presso l’Ufficio Liturgico
del Vicariato di Roma.
Dalle Chiese Orientali
Il Sinodo dei Vescovi della Chiesa Arcivescovile Maggiore Siro-Malabarese,
con previo assenso del Santo Padre, ha
eletto Vescovo Ausiliare dell’Arcieparchia di Changanacherry (India) il Reverendo Sacerdote Thomas (Tomy) Tharayil, al quale è stata assegnata la Sede titolare Vescovile di Agrippia.
L’OSSERVATORE ROMANO
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domenica 15 gennaio 2017
Abitanti di Damasco
si riforniscono d’acqua (Reuters)
Via le sanzioni a Mosca e incontro con Putin
Trump pronto
a un nuovo corso
WASHINGTON, 14. Se la Russia avrà
un atteggiamento «disponibile» gli
Stati Uniti sono pronti a cancellare
le sanzioni contro Mosca. È quanto
ha lasciato intendere il presidente
eletto Donald Trump in un’intervista al «Wall Street Journal». Le
sanzioni contro Mosca, ha detto,
verranno mantenute «almeno per
un certo periodo», ma, ha aggiunto, «se andremo d’accordo e se la
Russia ci aiuterà veramente, perché
dovremmo tenere le sanzioni?».
Trump si è anche detto disponibile
a incontrare il presidente russo,
Vladimir Putin, nei prossimi mesi.
«Per me va benissimo», ha affermato.
Nel frattempo, il senato statunitense avvierà un’indagine per verificare l’esistenza di presunti legami
tra la Russia e persone associate alle campagne politiche per le presidenziali. A indagare sarà la commissione intelligence, nell’ambito
di un’inchiesta più ampia volta ad
appurare eventuali interferenze di
Mosca sul voto dello scorso novembre. La decisione nasce dalla
necessità di fare chiarezza soprattutto sui sospetti contatti tra il Cremlino e uomini dell’entourage del
presidente eletto Donald Trump.
Ma, intanto, la camera dei rappresentanti, dopo il senato, ha approvato una risoluzione sul budget
che di fatto rappresenta il primo
passo verso l’abrogazione della
Obamacare. Il presidente uscente
per gran parte dei suoi due mandati ha visto schierarsi la maggioranza del congresso contro la sua riforma sanitaria.
Di fatto il voto segna l’inizio
dell’era di Donald Trump, che a
differenza di Obama comincerà la
sua avventura alla Casa Bianca forte di una solida maggioranza repubblicana
a
Capitol
Hill.
«L’Obamacare sarà presto storia»,
apparterrà al passato, aveva scritto
poche ore prima su Twitter lo stesso Trump, facendo un gioco di parole tra Affordable (“accessibile”)
Care Act e Unaffordable (“troppo
costoso”) Care Act.
Il testo approvato consentirà ai
repubblicani di abolire la riforma
con la sola maggioranza semplice
al senato, evitando così lo scenario
di un ostruzionismo da parte dei
democratici.
Inoltre la risoluzione prevede
l’istituzione di quattro commissioni
di camera e senato per redigere
una nuova riforma sanitaria. «Siamo di fronte a un passo fondamentale», ha esultato lo speaker della
camera dei rappresentanti, Paul
Ryan, uno dei più fieri oppositori
della riforma sanitaria entrata in vigore nel 2010. Ma al di là dell’esultanza i repubblicani si trovano ora
a un bivio. Manca per ora, infatti,
una alternativa alla Obamacare.
E il partito è in realtà diviso al
suo interno sulla necessità di andare così velocemente verso l’azzeramento della riforma, non essendo
ancora stato trovato un accordo
sulle nuove norme da mettere in
campo. Il timore è che possa crearsi un vuoto a discapito di milioni
di assicurati, che in assenza di norme e in attesa di una nuova legislazione potrebbero perdere la copertura.
Quanto paga
Moody’s
per la crisi
NEW YORK, 14. Moody’s, l’agenzia
internazionale di rating, ha patteggiato il pagamento di circa 864 milioni di dollari alle autorità federali
e statali degli Stati Uniti per porre
fine all’inchiesta scaturita dall’accusa di aver gonfiato i mutui ipotecari rischiosi negli anni che hanno
portato alla grave crisi finanziaria
del 2008-2009.
Moody’s, insieme con le altre
due grandi agenzie di rating internazionali Standard & Poor’s e
Fitch, è stata accusata di aver favorito il terremoto finanziario partito
dai mutui subprime, per il fatto di
aver assegnato un basso indice di
rischio a titoli che erano invece
molto rischiosi. Lo avrebbe fatto a
fronte di commissioni molto vantaggiose da incassare. A muovere
per primo la causa contro l’agenzia
è stato lo stato del Connecticut nel
2010. Da parte sua, Moody’s ha riconosciuto di non aver seguito i
suoi standard di giudizio.
Nel 2015, Standard and Poor’s
ha pagato una sanzione di 1,375 miliardi di dollari per chiudere l’inchiesta penale federale, che aveva
avanzato una richiesta di sanzione
per cinque miliardi di dollari. Nel
caso dell’agenzia internazionale
Moody’s non si è mai arrivati
all’inchiesta federale.
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Gli Stati Uniti invitati ai prossimi negoziati ad Astana sulla crisi siriana
Per una soluzione politica
DAMASCO, 14. Fino a oggi l’amministrazione Obama era stata esclusa
dall’iniziativa di Mosca sui negoziati
di pace sulla Siria, mentre la partecipazione dell’amministrazione di Donald Trump, soprattutto se sarà raggiunto un accordo, potrebbe rappresentare un primo passo per il rafforzamento della cooperazione tra Russia e Stati Uniti dopo anni di rapporti tornati quasi ai livelli della fine
della guerra fredda.
Mosca ha infatti invitato l’amministrazione Trump, che si insedierà
Va avanti
il dialogo
per riunificare
Cipro
alla Casa Bianca il prossimo 20 gennaio, al tavolo di pace sulla Siria
con la Turchia e l’Iran. Lo rivela il
«Washington Post», citando fonti
del team di transizione. L’invito sarebbe arrivato tramite l’ambasciatore
russo a Washington, Serghiei Kislak,
che lo scorso 28 dicembre avrebbe
chiamato Micheal Flynn, scelto da
Trump come consigliere per la sicurezza nazionale.
Anche il ministro degli esteri turco, Mevlüt Çavusoğlu, ha affermato
che ai prossimi colloqui di Astana
per cercare una «soluzione politica
in Siria, gli Stati Uniti dovrebbero
assolutamente essere invitati e su
questo siamo d’accordo con la Russia». Il capo della diplomazia di Ankara ha aggiunto che «nessuno può
ignorare il ruolo degli Stati Uniti».
La conferenza di Astana sulla Siria del 23 di questo mese si propone
come obiettivi quelli di «consolidare
il cessate il fuoco in una tregua sostenibile e a lungo termine e di proseguire la lotta contro i gruppi terroristici». L’appuntamento «potrà an-
Si apre a Parigi con la defezione di Israele
Conferenza sulla pace
nel Vicino oriente
GINEVRA, 14. Il negoziato sulla
riunificazione dell’isola di Cipro
va avanti, anche se a fatica. È
questa la conclusione dei colloqui che si sono svolti ieri a Ginevra sotto l’egida delle Nazioni
Unite: i paesi garanti della sicurezza (Grecia, Regno Unito e
Turchia) si sono dati appuntamento con le parti la prossima
settimana.
Prosegue una delle più lunghe trattative diplomatiche del
dopoguerra, che dovrebbe portare a far cadere i muri tra la
Repubblica di Cipro, riconosciuta dalla comunità internazionale, e la cosiddetta Repubblica
di Cipro del Nord, riconosciuta
solo da Ankara. I turco-ciprioti
e i greco-ciprioti sono divisi dal
1974. E ancora una volta il nodo
più difficile da sciogliere è quello della sicurezza, cioè della presenza di truppe turche sulla parte nord dell’isola.
La parte greco-cipriota vorrebbe che tutti i 30.000 militari
turchi fossero ritirati. Il ministro
degli esteri turco, Mevlüt Çavusoğlu, e l’omologo greco, Nikos
Kotzias, hanno bocciato l’idea,
affermando che rappresentano
«una forza di stabilità». Secondo il presidente greco-cipriota
Nikos Anastasiades, invece «sono una fonte di instabilità».
PARIGI, 14. L’obiettivo della conferenza per il Vicino oriente convocata per domani a Parigi dal presidente François Hollande è di ribadire, prima dell’ingresso di Donald
Trump alla Casa Bianca, che quella
dei due stati resta l’unica formula
per la soluzione del conflitto israelo-palestinese. Ai lavori, però, non
parteciperà il premier israeliano Be-
nyamin Netanyahu. il quale si è
espresso in favore di colloqui diretti
tra le parti.
«Su quello che può dare questa
conferenza resto lucido: la pace potranno farla gli israeliani con i palestinesi e nessun altro», ha detto il
presidente Hollande, che ha fortemente voluto l’incontro al quale sono stati invitati oltre settanta paesi.
Il presidente francese François Hollande (Ansa)
Da parte sua il presidente palestinese Mahmoud Abbas sarà a Parigi
domani. Ma, per non peggiorare
ulteriormente i rapporti tra la Francia e Israele, dovrebbe incontrare
Hollande in luogo diverso dai locali in cui sono organizzati i lavori.
La conferenza, come recita il documento negoziato dagli esperti lo
scorso 6 gennaio, ha lo scopo dichiarato di varare un piano negoziato con «Israele e Palestina che
vivano fianco a fianco in pace e sicurezza, unica via per arrivare a
una pace duratura».
«Il processo di pace non può
aspettare innanzi tutto perché la situazione è urgente: molte crisi nella
regione, dalla Siria alla Libia, dallo
Yemen all’Iraq, hanno generato
nuove minacce alla sua stabilità»,
ha detto il ministro degli esteri
francese, Jean-Marc Ayrault, in un
intervento sul quotidiano israeliano
«Haaretz». «Il conflitto israelo-palestinese — ha aggiunto — non può
essere considerato in forma separata
dal suo ambiente regionale». Pensare che si possa ripristinare la stabilità nel Vicino oriente «senza trovare
una soluzione per il suo conflitto
più vecchio è irrealistico. Se questo
conflitto non sarà risolto esso continuerà a generare frustrazione e ad
aggravare il circolo vizioso della radicalizzazione e della violenza».
che offrire nuovo impeto al processo
politico», hanno deciso rappresentanti diplomatici di Russia, Iran e
Turchia nel corso di consultazioni ieri a Mosca dedicate all’appuntamento, come ha reso noto ieri sera il ministero degli esteri russo.
Intanto, tecnici inviati dalle autorità siriane sono potuti entrare ieri
nella valle del fiume Barada, che si
estende una ventina di chilometri a
nord-ovest di Damasco e comprende
le località strategiche di Wadi Barada e Ain Al Fijeh, per intraprendere
i lavori di riparazione e bonifica necessari al ripristino delle forniture di
acqua potabile alla capitale e al suo
circondario, di cui l’area costituisce
la fonte principale. Lo ha riferito
Alaa Ibrahim, governatore della provincia del Rif Dimashq sul cui territorio si estende la vallata, a detta del
quale l’intervento di normalizzazione
è stato reso possibile da un’intesa
con le milizie che finora la controllavano: in base al patto, saranno le
truppe governative ad assumerne il
controllo, interrompendo in cambio
tutte le operazioni militari e avviando «colloqui di riconciliazione».
Secondo lo stesso Ibrahim, «l’acquedotto sarà rimesso a posto entro
tre giorni e si adotteranno rapidamente provvedimenti per far affluire
l’acqua a Damasco fin da oggi».
Ammontano a ben cinque milioni e
mezzo gli abitanti della capitale che
da settimane ne sono privi.
Sul fronte iracheno, invece, per la
prima volta dopo due anni e mezzo
le forze governative irachene hanno
strappato al cosiddetto stato islamico
(Is) alcuni edifici dell’università di
Mosul, roccaforte jihadista nel nord
del paese, assicurandosi un’importante vittoria militare e simbolica nel
quadro dell’offensiva per la presa di
quella che era la seconda città
dell’Iraq e che dal 2014 è di fatto la
roccaforte dei jihadisti in Iraq.
I militari iracheni affermano di
aver preso il controllo anche del secondo ponte sul Tigri, il fiume che
divide in due la città sotto attacco.
L’ateneo di Mosul, fondato negli anni ’60 e fino alla caduta del regime
di Saddam Hussein nel 2003 uno
dei maggiori istituti di ricerca accademica di tutto il Medio oriente, è
oggi in gran parte distrutto. Secondo le fonti filo-governative irachene
i locali delle facoltà scientifiche, con
i laboratori e macchinari moderni,
erano stati trasformati dalla fine del
2014 «in centri per la produzione di
armi chimiche».
Visita di Xi Jinping a Berna prima di partecipare al Forum di Davos
Cina e Svizzera sempre più vicine
BERNA, 14. Visita ufficiale in Svizzera, domenica e lunedì, per il presidente cinese Xi Jinping, che poi da
martedì 17 prenderà parte ai lavori
del World economic forum (Wef)
che si svolgerà nella cittadina elvetica di Davos fino al 20 gennaio. Negli appuntamenti con il consiglio federale di Berna discuterà del crescente avvicinamento politico ed
economico tra Svizzera e Cina. Al
Forum economico mondiale, Xi porterà il punto di vista di Pechino sui
tanti temi della globalizzazione e sa-
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
rà la prima volta che partecipa un
capo di stato cinese.
La Repubblica popolare cinese
rappresenta per la Svizzera il terzo
partner commerciale mondiale dopo
l'Unione europea e gli Stati Uniti.
Domenica sono previsti alcuni discorsi ufficiali e la cena di gala con
la presidente della Confederazione
Doris Leuthard, cui prenderà parte
anche la moglie di Xi, Peng Liyuan.
I colloqui veri e propri tra le delegazioni dei due paesi si terranno il
giorno successivo. Sono previste di-
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
[email protected] www.photo.va
scussioni su temi quali il commercio
mondiale, il sistema finanziario globale, la protezione dell’ambiente, i
mutamenti climatici, ma anche la situazione in Siria.
Quanto alle relazioni bilaterali,
saranno messi sul tappeto vari argomenti: la collaborazione in campo
economico e scientifico, la cooperazione in ambito finanziario, la cultura, i diritti umani e l’energia. Lunedì
è in programma anche una tavola
rotonda con i maggiori esponenti
dell’economia elvetica.
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
[email protected]
Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
La Svizzera è stata uno dei primi
paesi occidentali a riconoscere, il 17
gennaio del 1950, la neo costituita
Repubblica popolare cinese, che dal
2010 è diventata il primo partner
commerciale della Confederazione
in Asia. Dal 2014 la Svizzera, assieme all’Islanda, è inoltre il solo paese
ad aver concluso un accordo di libero scambio con Pechino. Nell’aprile
del 2016 è stato Schneider-Ammann,
allora presidente della Confederazione, a compiere una visita ufficiale in
Cina e in quell'occasione i due paesi
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
si sono accordati per definire le relazioni bilaterali come un «partenariato strategico innovativo».
Ma Xi Jinping è in Svizzera proprio in questi giorni anche per partecipare al Forum economico mondiale di Davos. Nella delegazione
che lo accompagna ci sono tra gli
altri Jack Ma (fondatore del gigante
dell’e-commerce Alibaba), Wang Jianlin (fondatore del mastodonte degli hotel e dei centri commerciali
Wanda Group) e Zhang Yaqin (presidente di Baidu, il Google cinese).
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L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 15 gennaio 2017
pagina 3
Una manifestazione per la pace
svoltasi a Kinshasa (Reuters)
Intervista al vescovo di Tshumbe nella Repubblica Democratica del Congo
Una Chiesa
che sa mediare
di GIUSEPPE FIORENTINO
SOLÈNE TADIÉ
E
Una sfida, un’opportunità e, soprattutto, una testimonianza della vicinanza della Chiesa alla popolazione.
Questa è stata l’opera di mediazione
intrapresa nelle scorse settimane nella Repubblica Democratica del Congo e grazie alla quale è stato possibile arginare le violenze che minacciavano la già fragile stabilità del paese.
A parlarne all’Osservatore Romano è
il vescovo di Tshumbe, monsignor
Nicolas Djomo Lola, già presidente
dell’episcopato e uno degli artefici
dell’intesa.
politico per raggiungere un’intesa
che permetta alla classe politica di
governare insieme il paese fino alle
prossime elezioni. L’aspetto più importante dell’intesa è il fatto che il
presidente Kabila non si ricandiderà
per un terzo mandato ma che continuerà a svolgere il proprio incarico
fino alle prossime elezioni, col presupposto che si deve assicurare la
continuità dello stato. La costituzione lo permette. Kabila si è inoltre
impegnato a non modificare la costituzione, né per via referendaria nè
per via parlamentare durante il periodo di cogestione. Questo ha ridotto le tensioni fra la popolazione
che è tornata a sperare in una maggiore alternanza politica. È il punto
più importante dell’accordo, mentre
questa settimana stiamo lavorando
sulle modalità di applicazione.
Quali sono i punti in discussione?
Come è stato raggiunto l’accordo?
L’intesa
di San Silvestro
I capi di stato, riuniti in Angola
nell’ottobre scorso per il vertice convocato dalla conferenza internazionale sulla regione dei Grandi Laghi,
dall’Onu e da altri organismi regionali, hanno consigliato al presidente
Joseph Kabila di affidare una mediazione alla conferenza episcopale, tenuto conto dell’influenza della Chiesa, dei suoi rapporti con la classe
politica e, soprattutto, della sua presenza alla base della società. Abbiamo quindi intrapreso dei negoziati
con le due parti in conflitto: da un
lato i firmatari di un accordo siglato
il 18 ottobre a Kinshasa — ossia i
rappresentanti della maggioranza
presidenziale, di una parte della società civile e di una piccola parte
dell’opposizione — e dall’altro la
maggior parte dell’opposizione. Abbiamo dunque riunito in queste settimane tutta la classe politica: i
membri dell’opposizione, nella sua
grande diversità, e quelli della maggioranza presidenziale. Tenuto conto
della fiducia riposta nella Chiesa,
tutti hanno risposto al nostro appello e abbiamo potuto negoziare durante tre settimane un compromesso
Il cosiddetto accordo
di San Silvestro, raggiunto
grazie alla mediazione
condotta dalla Conferenza
episcopale nazionale
congolese, prevede in sintesi il
mantenimento al potere del
presidente Joseph Kabila per
un altro anno (il suo mandato
era scaduto il 20 dicembre), la
nomina di un premier
designato dall’opposizione e la
creazione di un consiglio
nazionale di sorveglianza
dell’accordo e del processo
elettorale (Conseil national de
suivi de l’accord et du
processus électoral). A marzo
il parlamento dovrebbe
approvare la legge per istituire
questo organismo in vista delle
prossime elezioni presidenziali
e legislative che potrebbero
svolgersi già alla fine di
quest’anno. Kabila si è inoltre
impegnato a non presentarsi
per ottenere un terzo mandato
presidenziale.
In questa fase provvisoria, si tratta
di parlare della figura del primo ministro, che dovrebbe essere espressione dell’opposizione, di parlare del
formato del governo che guiderà il
paese verso le elezioni. Bisogna pensare alla ripartizione dei ruoli tra i
partiti. Si tratta anche di parlare del
consiglio nazionale di sorveglianza
dell’accordo e, poi, dei tempi: quando avverrà la nomina del primo ministro, quando il governo sarà approvato dal parlamento e così via.
Abbiamo chiesto ai nostri interlocutori di trovare una soluzione al più
presto possibile. Dovremmo giungere molto presto a un accordo.
La mediazione realizzata nel vostro
paese può essere considerata come un
modello esportabile in altre zone del
continente colpite dalla violenza etnica
e politica?
Direi proprio di sì. Innanzitutto
perché la Chiesa in Africa gode di
una grande credibilità grazie alla sua
statura morale e alla sua vicinanza
alla popolazione civile. I sacerdoti e
i vescovi non hanno nessuna ambizione di potere. La neutralità della
Chiesa ispira fiducia, perciò pensiamo che il modello si possa facilmente allargare ad altre regioni in conflitto. In Burundi, per esempio,
l’episcopato sta operando in una si-
tuazione molto delicata. Anche nella
Repubblica Centrafricana, la Chiesa
ha svolto un ruolo di grande importanza promuovendo il dialogo tra le
diverse confessioni religiose.
Questo modello può funzionare in modo
stabile o sarà necessario mantenere la
vigilanza sempre alta?
Mi lasci intanto esprimere la nostra gratitudine al Papa, perché ci ha
sostenuti tanto fin dall’inizio. La nostra conferenza episcopale è stata accolta in udienza lo scorso 19 dicembre appunto per ricevere un incoraggiamento in questa difficile opera.
In realtà, la situazione è davvero ancora molto fragile e le stesse forze
politiche ci chiedono di accompagnare il futuro processo politico. Bisogna giungere a organizzare le elezioni, con tutte le problematiche che
ne scaturiranno. In ogni modo, come ho detto, la classe politica ha
formulato l’auspicio che l’episcopato
sia vigile. E questo per noi è una vera opportunità.
Come riesce la Chiesa a essere al fianco
della popolazione? Pensiamo in partico-
lare alle donne, spesso vittime di violenze sessuali usate come arma di guerra.
La Chiesa ha numerose istituzioni
sociali in tutto il Paese, a partire dalla Caritas. Queste sono molto impegnate nell’assistenza alle vittime della violenza, in particolare le donne e
i bambini. Ancora una volta, i nostri
rapporti stretti con gli esponenti dello stato e con i nostri partner internazionali si rivelano preziosi per arginare la violenza ricorrente, specialmente nell’est del paese. Sappiamo
che queste violenze sono legate alle
ricchezze, soprattutto nel Kivu. Qui
le società esportatrici di minerali finanziano e armano piccoli gruppi
che terrorizzano la popolazione. Abbiamo
interpellato
direttamente
l’Unione europea, le Nazioni Unite
e il Congresso statunitense affinché
si possa giungere a una legislazione
internazionale capace di regolamentare lo sfruttamento delle miniere, e
per fare in modo che l’attività mineraria non sia sinonimo di violenza e
sopraffazione. Stiamo usando tutti i
mezzi possibili per trovare una solu-
Mentre resta alta la tensione a Tripoli
Per la festa nazionale
Prossimo dialogo interlibico
Migliaia di detenuti
graziati in Tunisia
TRIPOLI, 14. Si terrà a Tunisi mercoledì prossimo, il 18 gennaio, la riunione della commissione per il dialogo libico inizialmente prevista per
l’11. Lo hanno annunciato alcuni delegati giunti all’aeroporto di Ghadames, nella parte occidentale della
Libia, dove sono stati informati del
rinvio della riunione. In ogni caso,
come riporta il «Libya Herald», i
delegati hanno deciso di riunirsi in
una sala dell’aeroporto di Ghadames e deciso di fissare un nuovo incontro a Tunisi per il 18, hanno elaborato un’agenda per il meeting e
stabilito che i partecipanti saranno
solo esponenti libici.
Alla commissione per il dialogo si
sono uniti anche cinque nuovi
membri della camera dei rappresentanti di Tobruk per «riflettere tutte
le posizioni all’interno» dell’assemblea. L’agenda messa a punto prevede un ritorno alla formula dell’1+2,
con un presidente del consiglio e
due vice, dove il primo ministro viene scelto al di fuori della presidenza
del consiglio. Oggetto di discussione sarà anche la revisione del ruolo
di comandante supremo dell’esercito
e del consiglio supremo di stato.
A determinare il rinvio della riunione prevista nella città di Ghadames sarebbe una decisione dell’amministrazione comunale che ha sostenuto di non essere stata informata dagli organizzatori. «La prima
volta che ne abbiano sentito parlare
è stato quando lo abbiamo letto sui
giornali», ha detto un funzionario
dell’amministrazione comunale.
Nel frattempo, resta alta la tensione in Libia all’indomani del tentato colpo di mano a Tripoli delle
milizie fedeli all’ex premier Khalifa
Ghwell. Il consiglio presidenziale
guidato da Fayez Al Sarraj ha incaricato unità delle forze speciali di ristabilire l’ordine. In un clima di
grande preoccupazione, almeno per
ieri le armi nella capitale libica hanno taciuto. Tiene banco invece lo
scontro politico: il parlamento di
Tobruk ha bollato la riapertura
dell’ambasciata italiana nella capita-
Il premier libico Fayez Al Sarraj (Ansa)
le libica, quattro giorni fa, come
una «nuova occupazione» e «il ritorno militare» dell’Italia a Tripoli.
La risposta di Roma, seppure su
un piano informale, non si è fatta
attendere: il sedicente “governo” di
Tobruk guidato dal premier Al Thani non è un’entità riconosciuta dalla
comunità internazionale e mira solo
a creare tensioni attraverso «strumentalizzazioni» che i media possano montare, hanno spiegato fonti
italiane. Gli stessi ambienti sottolineano come l’unica autorità legittima e riconosciuta in Libia sia il
consiglio presidenziale di Tripoli
sotto la guida del premier Fayez Al
Sarraj, sostenuto dall’O nu.
TUNISI, 14. Festa nazionale oggi in
Tunisia per la ricorrenza del sesto
anniversario della rivoluzione del 14
gennaio. Previste cerimonie in molte
città per ricordare il giorno della
cacciata dell’ex presidente Zine Ben
Adibine Ben Ali, costretto alla fuga
in seguito all’insurrezione popolare
che diede il via alla cosiddetta “primavera araba”.
E in occasione della festa nazionale il presidente della Repubblica,
Béji Caïd Essebsi, ha concesso un
provvedimento di clemenza, dopo
essersi consultato con il ministro
della giustizia che riguarda 3706
persone. Lo rende noto un comunicato della presidenza tunisina.
Esclusi dal provvedimento i condannati per reati gravi. Il 53 per cento
dei detenuti in Tunisia si trova in
carcere, secondo l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti
umani, per reati legati alla droga.
A sei anni da quei giorni tumultuosi, la Tunisia rimane l’unico paese tra quelli interessati dalle rivendicazioni di piazza per una maggior
dignità e libertà ad aver superato la
transizione democratica ed essersi
Attentato suicida nel nord-est della Nigeria
ABUJA, 14. Tre donne kamikaze si sono fatte esplodere a
un posto di controllo nella città nordorientale nigeriana
di Madagali, uccidendo almeno sei persone tra le quali
due combattenti dei gruppi di autodifesa civile. Lo hanno riferito alcuni testimoni alle agenzie di stampa.
Due delle tre attentatrici hanno compiuto l’attentato
suicida tenendo ognuna un bambino in fasce legato
dietro le spalle, ha reso noto l’agenzia nigeriana per le
emergenze (Nema). «Finora si registrano nove morti,
incluse le tre donne e i bambini, mentre altre quattordici persone hanno subito ferite di varia gravità», ha detto Saad Bello, coordinatore della Nema per gli stati di
Adamawa, dove sorge Madagali, e Taraba.
Le autorità sospettano che l’attacco sia attribuibile al
gruppo fondamentalista Boko Haram che da ieri è impegnato in violenti scontri con l’esercito nel quale sono
morti almeno dieci miliziani. I combattimenti sono iniziati dopo che i miliziani del gruppo terroristico hanno
sferrato dalle rive del Lago Ciad un vasto attacco contro i militari dislocati a Kangarwa, nello stato nord
orientale di Borno.
La scorsa settimana altre tre donne si erano fatte saltare in aria nella stessa città, mentre a dicembre dello
scorso anno, sempre a Madagali ma nel mercato, due
attentatrici fecero una strage uccidendo 57 persone e ferendone 177, tra cui 120 bambini.
dotato di istituzioni democratiche
stabili, ma molti problemi di allora
rimangono ancora da risolvere.
Tra i principali problemi la mancanza di occupazione e lo sviluppo
nelle zone marginalizzate, ai quali si
è aggiunto negli anni successivi il
terrorismo. Proprio per dare un segnale di vicinanza ai cittadini, il
presidente tunisino si recherà per
l’occasione a Gafsa, città industriale
nel centro sud del paese, che ebbe
un ruolo importante nella rivoluzione tunisina. Gafsa infatti fu teatro
nel 2008 della prima rivolta contro
l’ex presidente Ben Ali che fu violentemente repressa dalla polizia.
zione e porre fine a questo fenomeno drammatico.
L’Africa può sperare in un futuro senza
violenza?
I conflitti hanno diverse cause.
Nella regione dei Grandi Laghi, si
tratta spesso di cause economiche e
nel nostro paese, come detto, sono
legati allo sfruttamento minerario
per la raccolta di componenti preziosi per l’informatica. Bisogna fare
emergere una classe politica che abbia a cuore l’interesse comune, e
questo è possibile solo attraverso
l’educazione. Bisogna poter contare
su uomini politici onesti, che lavorino per il proprio paese e non per se
stessi. Solo così si potrà giungere a
un vero stato di diritto, con una giustizia solida ed equa. E solo così potrà nascere un sistema che possa
funzionare e proteggere i più fragili,
in particolare le donne e i bambini.
Insomma, si tratterebbe di seguire
gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa e noi lavoriamo in
questo senso. Per il futuro e per dare
vita a una nuova società congolese.
Accordo
tra governo
e militari
in Costa d’Avorio
YAMOUSSOUKRO, 14. Dopo giorni
di tensione è stato raggiunto un
accordo tra il governo della Casto d’Avorio e le unità militari
che la scorsa settimana si sono
ammutinate per il mancato pagamento degli stipendi arretrati.
L’intesa, ha annunciato il ministro della difesa Alain-Richard
Donwahi, «è soddisfacente per
entrambe le parti». Conferme in
questo senso sono giunte anche
da un rappresentante dei militari.
I soldati chiedevano il pagamento di circa 20.000 dollari ciascuno per stipendi arretrati e premi
non conferiti.
L’Ua chiede al presidente del Gambia
di lasciare il potere
BANJUL, 14. L’Unione africana
(Ua) ha chiesto di fare un passo
indietro al presidente uscente del
Gambia, Yahya Jammeh, restio a
lasciare il potere dopo essere stato
sconfitto da Adama Barrow nelle
elezioni del dicembre scorso.
Il mandato di Jammeh, che ha
guidato il Gambia per ventidue
anni trasformandolo nel 2015 in
una Repubblica islamica, scade il
prossimo 19 gennaio, ma il capo di
stato ha detto esplicitamente di
non essere intenzionato a cedere il
posto ammonendo la comunità internazionale a non interferire nella
vita politica del paese.
In un intervento televisivo, Jammeh ha attaccato «le interferenze
straniere nelle elezioni e negli affari interni» chiedendo di attendere
il riesame dei risultati del voto da
parte della corte suprema, atteso
per maggio.
Ma l’Ua ha assunto una posizione ferma e molto chiara sottolineando che nel caso Jammeh non
lasci il potere in modo pacifico nei
tempi previsti ci saranno «pesanti
conseguenze». «A partire dal 19
gennaio — si legge in un documento approvato dal consiglio per
la pace e la sicurezza dell’Ua —
cesseremo di riconoscere Jammeh
come legittimo presidente della
Repubblica del Gambia». Nello
stesso testo viene rivolto un appello all’esercito e alle forze di sicurezza gambiane affinché «si mettano a disposizione delle autorità
democraticamente elette».
Intanto a Banjul, capitale del
piccolo stato anglofono dell’Africa
occidentale, è giunta una delegazione di mediatori, guidata dal
presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, che tenterà di condurre una transizione pacifica.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
Clint Eastwood racconta nel suo ultimo film come il 15 gennaio 2009 si evitò un disastro aereo
di EMILIO RANZATO
l 15 gennaio 2009 il comandante Chesley Sullenberger,
per i colleghi semplicemente
Sully (Tom Hanks), salva se
stesso e 155 passeggeri da un
disastro aereo optando per una manovra fuori dal protocollo che si conclude con un clamoroso ma riuscito ammaraggio nel fiume Hudson di New
York, dopo che il velivolo che pilotava aveva perso l’uso di entrambi i
motori a causa dello scontro con uno
stormo di uccelli. Acclamato subito
come un eroe dall’opinione pubblica,
Sullenberger viene messo sotto inchiesta per la sua procedura anomala,
anche perché alcune simulazioni realizzate con il computer hanno dimostrato che seguendo le regole sarebbe
riuscito a portare in salvo l’aereo atterrando negli aeroporti più vicini. Il
nuovo paladino degli americani, però,
durante il dibattimento saprà dimostrare la decisiva incidenza del fattore
umano in simili circostanze.
I
Tom Hanks incarna la figura di un comandante
che fa valere le ragioni dell’umanesimo
e del libero arbitrio contro il determinismo
che nasce da meccanismi
incapaci di comprendere la necessità del dialogo
Clint Eastwood dirige con la consueta asciuttezza un racconto che ha
il carattere placido del suo protagonista, a dispetto della drammaticità
dell’argomento. Sully viene definito
un eroe da chi lo circonda, ma ha
l’aria stanca e disillusa di tanti antieroi del regista. Un’attitudine dimessa
e dolente che in questo caso serve anche a introdurre con discrezione, ma
non troppo velatamente, una riflessione e un bilancio definitivo sui fatti
dell’11 settembre 2001, di cui l’episodio del volo US Airways rappresenta
chiaramente una sorta di catartico
contraltare positivo. Decisive, benché
azzardate, sono allora le scene in cui
Sully immagina di vedere il proprio
La catarsi
nelle acque dell’Hudson
aereo schiantarsi fra i grattacieli di
Manhattan, per poi svegliarsi sano e
salvo nel proprio letto.
Questo atteggiamento di stampo
psicanalitico, consistente nel voler rivivere un’esperienza traumatica per
superarla, è già ben noto al cinema
americano. Negli anni ottanta, per
esempio, film come Fratelli nella notte,
I guerrieri della palude silenziosa, la serie dei Rambo — spesso grossolani ma
basati su un assunto insospettabilmente profondo — facevano rivivere
al pubblico statunitense la tragedia
ancora fresca del Vietnam attraverso
un suo immaginario sviluppo, che poteva anche implicare lo scenario di nuove tensioni e nuovi conflitti intrisi
del sapore del riscatto. Un filone in cui significativamente
lo stesso Eastwood in qualche modo si inserì con Firefox (1982). La vicenda di Sully segue un itinerario simile,
anche se più pacifico: poteva
esserci un altro aereo contro
un grattacielo, e invece c’è un aereo
sulle acque dell’Hudson. Acque quel
giorno gelide, ma che sul piano simbolico evocano invece una potente
immagine positiva. È un liquido amniotico che sa di rinascita.
Questa è l’idea principale su cui si
basa il film e la sceneggiatura firmata
da Todd Komarnicki. Forse anche
l’unica idea strettamente creativa, nel
senso che per il resto il racconto vuole essere una cronaca fedele dei fatti
di quel giorno e della successiva inchiesta. È bello anche il modo in cui
il protagonista farà valere le ragioni
dell’essere umano contro la freddezza
dei regolamenti e delle simulazioni
computerizzate. Ma questo è un meri-
to che va ascritto più che altro al vero
Sully, e che gli autori si limitano a riportare. Pur con il pregio di non
spettacolarizzare la vicenda e di non
cadere nella tentazione di una retorica
che era dietro l’angolo.
Sully, insomma, non è e non vuole
essere il miglior film di Eastwood, e,
preso da solo, potrebbe risultare una
semplice opera di transizione. Ma inquadrandolo invece nel contesto
dell’intera filmografia del regista, e
della poetica che la sottende, appare
al contrario come un significativo
punto di arrivo. Come accennato,
Sully è, nei suoi presupposti, un tipico personaggio eastwoodiano, ovvero
l’individualista che finisce per scontrarsi con un sistema, che può essere
istituzionale, sociale o culturale, in
certi casi anche morale. La persona
che, magari anche sbagliando, fa valere le ragioni dell’umanesimo e del
libero arbitrio contro il determinismo
che nasce inevitabilmente
da meccanismi ormai
incapaci,
anche
solo per dimensioni, di accogliere e comprendere le necessità
del singolo.
Si tratta di una tematica di abissale importanza, tanto da forgiare buona parte della
storia dell’America e, di
conseguenza, del suo cinema. Tutto il noir e tutto il western degli anni
quaranta e cinquanta parlano proprio di questo, della dicotomia fra
individuo e società. Che può portare
a una dialettica feconda, come talvolta capita nel western romantico, o a
La Lady di ferro e il caffè di Churchill
E l’Iron Lady scalzò Winston
Churchill. Nell’ultima edizione
dell’autorevole Oxford Dictionary of
National Biography ha dato più spazio
a Margaret Thatcher rispetto al
longevo statista e stratega che guidò il
paese durante la seconda guerra
mondiale, che fu due volte primo
ministro, e che nel 1953 vinse il Nobel
per la letteratura per i suoi scritti
storici. Nel dare notizia della
sorprendente gerarchia, «The
Guardian» sottolinea anche che
l’estensione della voce riservata a
Thatcher risulta seconda soltanto a
quelle di Elisabetta I e di Shakespeare.
Ma precede in questa classifica, oltre a
Churchill, anche la regina Vittoria ed
Enrico VIII. Particolarmente
dettagliata, dunque, è la rivisitazione
della vicenda biografica e politica, tra
le oltre sessantamila voci del
monumentale dizionario biografico,
della prima donna inglese a ricoprire
la carica di primo ministro. Non
mancano naturalmente, in questa
lunga trattazione enciclopedica, alcune
delle più celebri citazioni attribuite
alla Lady di ferro. «Essere potenti è
come essere una donna: se hai bisogno
di dimostrarlo vuol dire che non lo
sei» sentenziò il primo ministro in più
di un’occasione. Sebbene, a dire il
vero, è proprio nell’ambito degli
aforismi e delle battute al vetriolo che
Churchill non teme confronti.
«Winston, se fossi tua moglie, ti
metterei il veleno nel caffè» tuonò,
durante una seduta parlamentare, la
sua acerrima nemica Nancy Astor. «Se
fossi tuo marito, lo berrei» replicò
gelidamente Churchill. Devono
passare quattro anni dalla morte prima
che una personalità del Regno Unito
sia posta al vaglio degli editori
chiamati a decidere la sua idoneità a
entrare nell’Oxford Dictionary (la cui
prima edizione risale al 1885 e che dal
2004 è consultabile on line). Era l’8
aprile 2013 quando Thatcher morì.
Dunque, ancora prima della scadenza,
le si sono aperte le porte del
prestigioso repertorio. (gabriele nicolò)
insanabili disfunzioni, sia sul piano
privato che su quello sociale, come
viceversa accade puntualmente nel
cinema nero.
Alla fine della Hollywood classica,
western e noir di fatto scompariranno fondendosi nel poliziesco moderno. O rivivendo, rielaborati su un piano più ludico, nel western all’italiana.
Non a caso, i territori cinematografici in cui Eastwood si
formerà come attore, e a
cui anni più tardi renderà omaggio dedicando
Gli spietati (1993) a Sergio Leone e
Don Siegel. Film come Per un pugno
di dollari di Leone conferiranno al
suo antieroe i connotati cinematografici, dunque una forma. Film come
Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è
tuo di Siegel ne delineeranno il difficile rapporto con la società e il potere, dunque il contenuto. Nel frattempo, poi, il cinema di Martin Scorsese,
Abel Ferrara e William Friedkin provvederà a fare delle moderne metropoli
il teatro di un vuoto morale in cui
eroi e criminali si confonderanno,
dando alla nascente poetica eastwoodiana ulteriore slancio.
La filmografia dell’Eastwood regista procederà inizialmente lungo questo binario, ovvero con l’intento di
plasmare e far evolvere una propria figura di antieroe, guardando però
spesso ai modelli e ai maestri. Ecco
allora la deriva del pistolero proveniente dallo spaghetti-western, il cui
esito ultimo non poteva che essere la
trasfigurazione fantastica. Sono infatti
praticamente degli spettri i protagonisti de Lo straniero senza nome (1973) e
Il cavaliere pallido (1985), anche se fra
i due viene realizzato il più classico e
fordiano Il texano dagli occhi di ghiaccio (1976). Nel frattempo il regista
porta avanti, con risultati meno originali, anche l’altra sua matrice, quella
del poliziesco, con L’uomo nel mirino
(1977) e Coraggio... fatti ammazzare
(1983). Ma sottilmente, sta cominciando a cercare una via del tutto personale, paventando già la figura di un
solitario disorientato e sottilmente
alienato, detentore di un codice morale che però mal si sposa con il resto
della società e che viene regolarmente
domenica 15 gennaio 2017
messo in crisi dai rapporti interpersonali e sentimentali. Come vagamente
si accenna anche nell’opera prima
Brivido nella notte (1971), ancora un
po’ imparentato con Siegel, e in
Breezy (1973), commedia dai risvolti
problematici.
Con Gunny (1986) arriva il primo
passo importante verso la completa
maturità autoriale. La miscela del registro leggero con quello drammatico,
una rappresentazione della guerra impossibile da leggere in maniera univoca, spingono per la prima volta lo
spettatore nel vivo della poetica eastwoodiana. Le scelte morali sono dettate dall’urgenza del momento, della
situazione contingente, nell’ormai piena disillusione di poter aspirare a valori assoluti. Il nuovo livello qualitativo viene quindi confermato subito
dopo da un film molto diverso, Bird
(1988), sul grande musicista jazz
Charlie Parker.
Le tematiche ormai peculiari del regista verranno invece portate al massimo grado di drammaticità con quella che può essere definita la trilogia
sulla confusione morale della metropoli. La brutale e impunita giustizia
privata ai danni di un innocente in
Mystic river (2003), l’eutanasia in Million dollar baby (2004), la missione dichiaratamente suicida in Gran Torino
(2008), possono turbare più d’uno
spettatore. Ma sono azioni che non
vengono certo esaltate. Sono atti di
disperazione di un individuo al centro di un deserto
morale ormai
completo.
Nel dittico bellico Flags of our fathers (2006) e Lettere da Iwo Jima
(2008), entrambi sulla nota battaglia
fra americani e giapponesi durante la
seconda guerra mondiale, ma raccontata da opposti punti di vista, la disperazione è passata, rimane la consapevolezza che gli eroi non esistono.
Un concetto che viene parzialmente
contraddetto da American sniper
(2014), con cui si torna, meno brillantemente, all’ambiguità di Gunny, almeno fino a una caduta finale nella
retorica. Laddove con lo spensierato e
sottovalutato Jersey boys (2014), sul famoso gruppo vocale dei Four seasons,
il regista aveva appena dato ancora
una volta prova di grande vitalità narrativa.
Con Sully un certo grado di ambiguità sul fondo rimane. Si parla di
eroismo ma l’espressione offerta dal
volto del sempre ottimo Hanks sembra voler respingere per tutto il film
quel termine. Anche perché sull’aereo
c’era anche il protagonista. Si dovrebbe dunque parlare più che altro di
istinto di sopravvivenza. Eppure Eastwood vuole farne una figura per certi
versi ancora più salvifica ed emblematica. Come già detto, non conta tanto
il gesto in sé, quanto ciò che simboleggia, per New York e per l’America
intera. Con quest’ultimo film, dunque, il grande regista americano va a
chiudere un cerchio. Facendo del suo
tipico antieroe, se non un eroe, un individuo pronto a riconciliarsi con la
società, all’interno della quale ha finalmente trovato un posto e una funzione.
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 15 gennaio 2017
pagina 5
Copertina del libro
«Our Bodies, Ourselves» (edizione del 1976)
Intervista alla filosofa Sylviane Agacinski
Di fronte
ai propri limiti
di EUGÉNIE BASTIÉ
VINCENT TREMOLET
DE
VILLERS
Oggi tutti si appellano ciecamente al
progressismo mentre molti progressi tecnici possono essere accompagnati da terribili alienazioni sociali. Ad affermarlo, in
un’intervista uscita su «Le Figaro» del 9
gennaio che pubblichiamo integralmente,
è la filosofa laica Sylviane Agacinski, che
sulla differenza sessuale e sull’utero in affitto ha posizioni vicine a quelle della
Chiesa.
«La querelle del femminismo, che ha fatto
versare molto inchiostro, al momento è pressoché chiusa; non parliamone più» scrive Simone de Beauvoir come introduzione a «Il
secondo sesso». Settant’anni dopo la sua
pubblicazione, ha la sensazione che il femminismo sia ancora una lotta fondamentale
nella nostra società?
Certo! Il femminismo è un movimento
storico profondo, che ha già cambiato radicalmente il volto delle nostre società.
Proseguirà finché certe ideologie e istituzioni si sforzeranno di mantenere le donne in qualsiasi forma di assoggettamento,
come scrisse nel 1869 John Stuart-Mill,
mostrando che non occorre essere donna
per essere femminista.
Lei è progressista?
Oggi tutti si appellano ciecamente al
progressismo, mentre molti progressi tecnici possono essere accompagnati da terribili alienazioni sociali. Inoltre, quando
una forma di dominazione scompare, come la famiglia patriarcale, o perde la propria legittimità, come il sistema della prostituzione organizzata, finalmente riconosciuto in Francia come una violenza fatta
alle donne, ne compaiono altre. Si vedono per esempio “progressisti” perorare la
In «Corps en miettes», lei evoca una nuova
minaccia per le donne, quella della presa di
possesso del loro corpo da parte della tecnica
e del mercato. Eppure negli anni settanta lo
slogan femminista era «il mio corpo mi appartiene», soprattutto per difendere il diritto
all’IVG. Se una donna ha il diritto di abortire, perché non dovrebbe avere quello di prestare il proprio grembo?
Lo slogan lanciato da alcune femministe americane era: Our bodies, ourselves,
ossia “il nostro corpo, noi stesse”. È stato
tradotto con la formula ambigua «il mio
corpo mi appartiene». Ma, contrariamente a ciò che dicono i liberali-libertari, noi
non siamo proprietari del nostro corpo.
Merleau-Ponty
giustamente
scriveva:
«Non ho un corpo, sono il mio corpo».
La maternità coinvolge l’insieme dell’esistenza, la vita fisica e personale delle
donne, e per questo vogliono assumerlo,
oppure no, liberamente, controllando la
propria fecondità grazie alla contraccezione e all’IVG. Al contrario, chiedere a una
donna di affittare il proprio corpo, per il
tempo di una gravidanza, e di partorire
un figlio che dovrà abbandonare ad altri
fin dalla nascita, è fare della sua vita uno
strumento di produzione. Quelle che accettano un simile contratto dicono sempre
che lo fanno per motivi economici. A essere scandaloso è che alcuni stati tollerino
o legalizzino simili mercati e che la Corte
europea dei diritti dell’uomo chiuda un
occhio su questa commercializzazione
della persona umana, sia
della donna che del bambino. È ora che cessi la vergognosa
indulgenza
verso
quanti praticano un turismo
procreativo. La quasi totalità delle associazioni femministe comunque continuerà
a interpellare i politici al riguardo.
L’aggettivo “etico” purtroppo serve spesso a indicare che si vogliono limitare
i danni di una pratica ingiusta. Se una pratica sociale è
contraria ai diritti umani,
non può essere etica. È come se si dicesse: si può accettare una schiavitù etica.
Io credo profondamente alla funzione civilizzatrice del
diritto.
Lotta contro gli stereotipi,
campagne contro le molestie
sessuali, abc dell’uguaglianza
a scuola, cambiamento di linguaggio: si ha a volte l’impressione che una parte delle
femministe, soprattutto negli
Stati Uniti, cerchino di “rieducare” gli uomini...
Qual è l’origine della gerarchia dei sessi?
Per
quanto
riguarda
l’uguaglianza, c’era, e c’è ancora, molto
da fare. Quando ho preso il diploma di
maturità, ci è stato distribuito un opuscolo sulle “carriere femminili”: parrucchiera,
hostess di volo, nel migliore dei casi studi
letterari o giuridici. Nel campo delle tradizioni, la Francia resta fortunatamente
legata alla libertà e poco incline al puritanesimo. Sarebbe veramente triste perseguire la seduzione con il pretesto di lottare contro le molestie sessuali. Non è questo il punto: nel primo caso si cerca di
suscitare il desiderio nell’altro, nel secondo lo si ignora e lo si offende.
In parte una relativa disparità delle forze fisiche e l’asimmetria dei rapporti sessuali. Che la maternità naturale sia certa e
il padre progenitore incerto ha portato a
costruire la paternità su un legame coniugale stabile tra un uomo e una donna.
Come diceva sant’Agostino, a differenza
In «Femmes entre sexe et genre», lei dice che
il genere, così come lo teorizza Judith Butler,
non esaurisce la differenza tra i sessi. Ma se
non tutto è cultura, in che cosa consiste allora, in sostanza, la differenza tra un uomo e
una donna?
“libertà” di affittare una donna per “produrre” un bambino su ordinazione...
È dunque una lotta permanente che non
avrà mai fine?
Credo che ci sia nella diversità dei sessi
una fonte di contrasti, di conflitti, che girano attorno alla sessualità, al desiderio,
alla genitorialità, alla procreazione, e che
potrebbero non avere fine. Ma il conflitto
non è necessariamente negativo e l’alterità
è una fonte di attrazione e di solidarietà.
Un servizio su «France 2» ha mostrato ultimamente alcuni locali di periferia dove le
donne non avevano diritto di cittadinanza.
Il ritorno di forme patriarcali provenienti
dalla cultura islamica la preoccupa?
delle donne, gli uomini devono sposarsi
per «conoscere i propri figli». Attribuendosi l’esclusività di una partner, potevano
anche appropriarsi della sua progenie.
Quanto alla donne, trovavano forse un
vantaggio in questa esclusività riconosciuta che le proteggeva dalla violenza degli
altri uomini? Sono ipotesi poco romantiche ma plausibili.
Lei non crede dunque alla
possibilità di una “GPA etica”?
La filosofa francese
zione” di cui ha bisogno. La cosa peggiore, in queste divagazioni, è che si dimenticano i diritti del bambino. Di fatto si
tratta di stabilire uno stato civile sulla base di una transazione commerciale, come in
California. È il tracollo del diritto delle
persone, equiparate a beni scambiabili.
La dualità dei sessi caratterizza gli esseri viventi in generale, proprio come la nascita, la crescita, l’invecchiamento e la
morte. È il ruolo degli individui nella generazione (o riproduzione) a fondare la
distinzione tra i due sessi. Aristotele diceva senza mezzi termini: il maschio genera
al di fuori di sé, la femmina procrea dentro di sé. Quindi, con rarissime eccezioni
(quando il sesso è incerto), si nasce maschio o femmina, prima di diventare uomo o donna nella pubertà. Al tempo stesso, tutte le società umane stabiliscono
rapporti convenzionali tra gli uomini e le
donne. Attribuiscono loro status, ruoli,
caratteristiche psicologiche, estetiche, intellettuali, morali e così via, che sono variabili culturalmente e storicamente. Perciò la nozione di “sesso sociale”, o genere, è preziosa per analizzare il senso di
queste variazioni. A maggior ragione perché si osserva una gerarchia dei generi —
maschile e femminile — in tutte le culture,
come mostra Françoise Héritier. In Métaphysique des sexes mi sono proposta di descrivere la costruzione di questa gerarchia
alle origini della nostra civiltà, nella teologia cristiana e nella filosofia. Ma decostruire la gerarchia dei generi non consente di dissolvere la differenza sessuale.
di mettere la potenza tecnologica alla
portata di tutti, senza preoccuparsi delle
conseguenze. Si sa che la GPA, con alcune
condizioni restrittive, è possibile in Gran
Bretagna. Ebbene, lo scorso 14 dicembre,
durante un dibattito
alla Camera dei
Lord, alcuni suoi
membri
hanno
chiesto al governo britannico di
riconoscere ai
single, come a
tutte le coppie, il diritto
Certo. Il rinascere di un patriarcato che
si credeva superato fa parte delle spiacevoli sorprese che la storia ci riserva. I discorsi ingenui sulla mescolanza delle culture mostrano i loro limiti quando alcuni
gruppi, qui e là, rifiutano proprio questa
mescolanza e si appellano a usanze contrarie al nostro diritto e ai nostri costumi:
autorità maschile nella famiglia, cuore del
patriarcato, e segregazione delle donne
dallo spazio pubblico. Bisogna tuttavia fare attenzione a non additare solo il fattore
religioso. Anzitutto perché la segregazione
delle donne ha caratterizzato fin dall’Antichità le culture mediterranee. Tertulliano
ci insegna che il velo integrale, «che lasciava vedere solo un occhio» era imposto
alle pagane già nel II secolo, molto prima
della nascita dell’islam. Poi perché la cultura patriarcale è stata inizialmente solidale con tutti i monoteismi, senza eccezioni,
e ha regnato a lungo in Occidente. Infine, l’autorità maschile, ammorbidita
dai costumi, ha regnato in tutti gli
ambiti. È stata consustanziale
alla democrazia antica e moderna — bisogna rileggere
Tocqueville al riguardo —
senza dimenticare la
Repubblica francese,
Secondo lei, perché è importante difendere la
differenza sessuale?
Non c’è bisogno di difendere l’umanità
sessuata. È un dato di fatto. Persino la diversità delle sessualità lo conferma, perché tutti gli orientamenti sessuali presuppongono che vi sia l’altro sesso; altrimenti
non si potrebbe nemmeno parlare di eterosessualità, di omosessualità, di bisessualità e di transessualità. Una coppia non è
mai sessualmente neutra, è mista, gay o
lesbica. È stato importante che la diversità delle sessualità sia stata riconosciuta e
rispettata, grazie all’apertura del matrimonio a tutte le coppie, ma questa evoluzione non neutralizza minimamente l’alterità
sessuale e il suo ruolo nella procreazione.
Lei ha criticato la mono-genitorialità e insistito sulla difesa della filiazione. Perché?
La genitorialità come relazione educativa e affettiva non è in discussione. L’interrogativo riguarda la parentela, ossia
l’istituzione di legami di filiazione. Finora
la struttura della filiazione (paterna e materna) è dipesa dalla struttura bilaterale e
asimmetrica della generazione sessuata
(genitore-genitrice) anche nel caso dell’adozione. È l’unica ragione per cui i genitori sono due. Si tratta allora di sapere
se l’istituzione deve cancellare l’origine
duale, eterogenea, della vita umana abbandonando la filiazione, duale, padremadre. Una simile cancellazione per i
nuovi nati significherebbe che non sono
più «figli dell’uno e dell’altro sesso», per
riprendere la formula di Giustiniano (Digesto, libro L, titolo XVI, 163). Fare come
se i genitori fossero sessualmente indifferenti è negare le condizioni reali della
nascita, che resta dipendente dai due
sessi, ed è creare diversi regimi di filiazione. È anche rischiare che il bambino non
sia più messo di fronte alla propria differenziazione sessuale, e dunque ai propri
limiti.
Il “diritto al figlio” che lei critica non è la
conseguenza logica di un femminismo libertario e individualista?
Di un individualismo, certamente, ma
non specificamente femminista. Il principio del “diritto al figlio” esprime il sogno
Jean Raoux, «Jeune vestale ranimant le feu sacré» (particolare, circa 1730)
di fondare una famiglia ricorrendo a una
“madre surrogata”. E tutto ciò in nome
dell’“uguaglianza” tra una persona e...
due persone. Al di là di ogni ragionevole
considerazione, si passa qui sotto silenzio
l’utilizzazione di terze persone che devono fornire a chiunque, a un prezzo ragionevole, le cellule o il grembo di “sostitu-
a lungo e ferocemente refrattaria all’uguaglianza civile e politica dei due sessi. In
altre parole, la gerarchia dei sessi è molto
più profonda dei sistemi nei quali s’insinua. Tra l’apparizione di forme moderne
di alienazione e il ritorno di forme arcaiche, per il femminismo c’è ancora molto
da fare!
Una festa lunga un anno per Monteverdi
«Sì dolce è ‘l tormento / ch’in seno mi sta
/ ch’io vivo contento / per cruda beltà»:
un’aria che ha attraversato i secoli grazie
alla musica di Claudio Monteverdi,
affascinando generazioni di artisti dal XVI
secolo ai giorni nostri, dall’interpretazione
rarefatta e luminosa del controtenore
francese Philippe Jaroussky al jazz poetico
di Paolo Fresu e Uri Cane. Solo uno dei
tanti esempi possibili del genio di un
artista amato e stimato anche dai
contemporanei, tanto da guadagnarsi
l’appellativo di “padre del melodramma”.
Per tutto il 2017, a 450 anni dalla sua
nascita, Cremona ricorderà il suo
compositore più insigne. Fulcro delle
celebrazioni sarà un festival musicale a lui
dedicato, occasione di alta formazione e
perfezionamento musicale all’Accademia
Stauffer e all’Istituto Monteverdi. Durante
tutto l’anno la città lombarda sarà sede nei
prossimi mesi di mostre ispirate al
compositore, con due appuntamenti
principali: tra aprile e giugno, al Museo
del violino, un’esposizione di liuteria al
tempo di Monteverdi e, da settembre, al
Museo civico, un percorso di arte
figurativa. Non mancheranno seminari,
giornate di studio e momenti di
formazione appositamente pensati per le
scuole e per i non specialisti, concerti
diffusi e installazioni a tema. Sul sito
www.monteverdi450.it è in rete il
programma. (silvia guidi)
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
domenica 15 gennaio 2017
Appello dei presuli venezuelani
Serve l’impegno
di tutti
Nel dossier di Caritas Italiana sulla povertà rurale nel mondo
Il dramma dei bambini ad Haiti
ROMA, 14. Tre quarti degli 800
milioni di persone che vivono in
stato di povertà assoluta nel mondo si trovano in aree rurali. È
quanto emerge dal primo dossier
2017 di Caritas italiana sulla povertà rurale nel mondo dal titolo:
«Ripartire dalla terra. Dalla povertà rurale a nuove politiche per
lo sviluppo». Un focus particolare Caritas italiana lo dedica ad
Haiti, a sette anni dallo spaventoso sisma che ha causato 230.ooo
vittime e dove tre mesi fa un uragano ha ulteriormente aggravato
la situazione. Nel paese caraibico,
centinaia di migliaia di bambini
vivono una situazione drammatica, nonostante il sostegno delle
Ong e degli enti caritativi, in particolare Caritas italiana.
«Il passaggio di Matthew
nell’ottobre dello scorso anno —
ha dichiarato a Radio Vaticana
Marta Da Costa, unica operatrice
Caritas italiana ad Haiti — ha
portato molti problemi legati a
carenze alimentari, che hanno
causato malnutrizione; oltre a
questo, ci sono grandi problemi
sociali legati anche a violenze familiari e scolastiche. Ci sono difficoltà grandi che i bambini haitiani vivono quotidianamente».
Secondo l’Unicef sono seicentomila i piccoli che necessitano di
assistenza umanitaria.
Finora ad Haiti sono stati finanziati 205 progetti di solidarietà, per un importo di quasi ventiquattro milioni di euro e in diversi ambiti e nelle zone più colpite
dal sisma, ma si è comunque intervenuti in tutte e dieci le diocesi. «Gli aiuti continuano e spero
che in qualche modo possano
continuare ancora. La situazione
del paese non è semplice. Non a
caso — ha spiegato Da Costa — è
uno degli stati più poveri del
mondo. Ci sono innumerevoli bisogni e difficoltà, tanto a livello
infrastrutturale quanto a livello
sociale. Vi sono zone ancora completamente isolate, dove non ci
sono strade, non arriva l’acqua,
non ci sono neanche scuole e la
maggior parte della gente vive di
pura sussistenza». L’operatrice
della Caritas si sofferma, in parti-
colare, su come l’ente ha operato
in un paese terribilmente colpito
dalle calamità naturali. «L’idea
che abbiamo portato avanti è
quella
dell’accompagnamento.
Caritas italiana non si trova ad
Haiti per sostituirsi agli haitiani,
ma cerchiamo di accompagnarli
in una prospettiva di lungo periodo e con interventi volti al raggiungimento dell’autonomia. Siamo intervenuti dopo il terremoto,
chiaramente con una prima emergenza che riguardava i bisogni
primari, immediati e tuttora abbiamo in atto progetti che riguardano formazione, inclusione sociale, progetti a livello idrico-sanitario, progetti anche di ricostruzione e, ovviamente, nelle zone
rurali in cui siamo molto presenti,
progetti legati all’agricoltura e
all’allevamento».
Il focus su Haiti evidenza, inoltre, come «la maggior parte degli
haitiani vive di sussistenza e le prime fonti di sostentamento sono
agricoltura e allevamento. Lo sviluppo in ambito rurale richiede interventi multisettoriali accompa-
I vescovi statunitensi sull’immigrazione cubana
Per un trattamento umano
WASHINGTON, 14. D isappunto
per la decisione dell’amministrazione Obama di revocare la politica delle “porte aperte” verso gli
immigrati clandestini cubani è
stata espressa dalla Conferenza
episcopale statunitense. In una
dichiarazione diffusa anche dal
sito in rete dell’episcopato, monsignor Joe Steve Vasquez, vescovo di Austin e presidente della
commissione sulle migrazioni, si
è detto «deluso» per un provvedimento che improvvisamente
cancella una norma che è stata
un «modello di trattamento umano» del fenomeno migratorio.
Il provvedimento dell’amministrazione statunitense, varato a
pochi giorni dal cambio della
guardia alla Casa Bianca, pone
fine alla cosiddetta norma dei
“piedi asciutti - piedi bagnati”
(wet foot dry foot) che concede
automaticamente la residenza
agli immigrati cubani che arrivano negli Stati Uniti senza visto.
«Con effetto immediato, i cittadini di Cuba che cercheranno di
entrare illegalmente e che non
siano qualificati per avere assistenza umanitaria saranno soggetti al rimpatrio a Cuba, secondo le leggi degli Stati Uniti», ha
spiegato il presidente Barack
Obama in una nota, sottolineando come «con questa misura
tratteremo i migranti cubani allo
stesso modo in cui trattiamo i
migranti di altri Paesi».
Fu il presidente Bill Clinton a
introdurre questo “regime speciale” 22 anni fa. Ma dopo la storica svolta che ha portato alla ripresa delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cuba, per
Obama la norma era oramai divenuta obsoleta: «Appartiene ad
un’altra era», ha spiegato.
L’abrogazione della regola del
wet foot dry foot era stata una delle richieste principali di Cuba al
tavolo dei negoziati con Washington.
Resta però il disappunto
dell’episcopato statunitense. «Anche se abbiamo accolto favorevolmente la normalizzazione delle
relazioni con Cuba — osserva
monsignor Vasquez — la violazione dei diritti umani fondamentali
rimane una realtà per alcuni cubani e la politica del wet foot dry
foot è uno strumento per assicurare rifugio negli Stati Uniti». Ricordando il contributo importante fornito negli ultimi decenni dagli immigrati cubani all’intera società statunitense, il presule ha
poi espresso preoccupazione perché, a suo dire, la cancellazione
della normativa «renderà più difficile la ricerca di protezione da
parte della popolazione vulnerabile di Cuba, come i richiedenti
asilo, i bambini e le vittime della
tratta».
Di qui anche l’impegno, assunto a nome dell’intero episcopato, a lavorare con l’attuale e
poi con la nuova amministrazione «al fine di garantire un trattamento umano per le popolazioni
vulnerabili che, da Cuba e altrove, cercano rifugio negli Stati
Uniti».
gnati da politiche inclusive». Secondo l’ente caritativo, «è fondamentale coinvolgere i più emarginati con investimenti mirati che
possano migliorare gli effetti di
una rapida trasformazione strutturale in termini di equità nella distribuzione dei benefici da essa generati». Dal dossier Caritas emerge che solo a un quinto delle comunità rurali e delle popolazioni
indigene del mondo vengono riconosciuti titoli di proprietà della
terra. Inoltre, si registra un incremento di episodi di espropri forzati, violenze e omicidi nei territori
in cui queste popolazioni abitano
e da cui traggono sostentamento.
«Papa Francesco — ricorda la Caritas — in più occasioni ha sottolineato la centralità della “Madre
Terra”, ad esempio nell’enciclica
Laudato si’. Oggi possiamo dire
che i potenti si sono dimenticati
delle zone periferiche del pianeta.
Lo scandalo della povertà — si
legge — esiste in tante zone ma
sembra lasciare indifferenti coloro
che reggono i destini dei popoli.
Certamente non è facile trovare
delle soluzioni al problema della
povertà. Per passare dalle parole
ai fatti è necessario essere coscienti che il Creato non è appannaggio di una minoranza ma è eredità comune a tutta l’umanità. Si
calcola che nel 2050 il mondo necessiterà del 60 per cento di cibo
in più rispetto ad ora, mentre la
riduzione della povertà sembra
seguire un processo più lento».
CARACAS, 14. I presuli del Venezuela tornano a esprimere
profonda preoccupazione per
la grave situazione nel paese e
sottolineano che «il 2016 è finito in malo modo, con grande
disperazione. L’attuale realtà
venezuelana è estremamente
critica. Una grande oscurità
copre il nostro paese. Stiamo
vivendo situazioni drammatiche». Nell’esortazione pastorale intitolata «Gesù Cristo luce
e cammino per il Venezuela»
la Conferenza episcopale riunita nei giorni scorsi a Caracas,
in occasione della centosettesima assemblea plenaria ordinaria sottolinea la «grave carenza
di cibo e di medicine. Mai prima d’ora abbiamo visto tanti
nostri fratelli rovistare nella
spazzatura per cercare cibo!».
Uno studio dell’Università
centrale del Venezuela stima
che nel 2017 il tasso di denutrizione dei bambini in età scolare aumenterà del tre per cento
rispetto al 2016, e raggiungerà
tra i 350.000 e i 380.000 minori. Inoltre, si prevede che la
mancanza di generi alimentari
si aggraverà, a causa della semina insufficiente del 2016 e
della mancanza di risorse per
importare cibo. «Il deterioramento della salute pubblica,
l’alta malnutrizione nei bambini, l’ideologizzazione dell’istruzione, l’alto tasso di inflazione
e la conseguente perdita del
potere di acquisto, la corruzione diffusa e l’impunità — sottolineano i vescovi venezuelani —
dipingono un quadro a tinte
fosche che peggiora ogni giorno che passa».
Attualmente, nel paese vivono 3.200.000 bambini al di
sotto dei cinque anni. Tra questi, il dodici per cento soffrirà
di denutrizione acuta grave nel
2017 se non si interverrà al più
presto. La mancanza di cibo e
di medicine, inoltre, colpirà
anche le donne incinte, le persone anziane, i malati psichiatrici e i detenuti. C’è il rischio
che possa registrarsi una mag-
giore propensione alle malattie
perché il sistema immunitario
non avrà difese. La grave crisi
economica che affligge il Venezuela è caratterizzata da livelli
di inflazione altissimi, da una
forte caduta del prodotto interno lordo, oltre che dalla gravissima emergenza alimentare
in genere legata alla penuria di
prodotti di prima necessità. Il
paese, infatti, produce solo il
trenta per cento degli alimenti
necessari e per importare
quanto manca servirebbero 900
milioni di dollari al mese solo
per quest’anno.
L’episcopato esprime profonda preoccupazione anche
per «l’odio e la violenza politica, gli alti tassi di criminalità e
di insicurezza, con conseguenze oppressive e distruttive» che
«generano una cultura della
morte». Durante i lavori della
conferenza, il presidente, vescovo di Cumaná, monsignor
Diego Rafael Padrón Sánchez,
ha ricordato «i 29.000 decessi
per morte violenta» e gli oltre
120 prigionieri politici detenuti. Il presule ha citato alcuni
fatti accaduti nelle ultime settimane: «il massacro di Barlovento, commesso da gruppi
paramilitari, saccheggi e atti di
vandalismo a Cumaná, Ciudad
Bolívar e altre città, l’aggressione al monastero trappista di
Mérida».
I vescovi, nella lettera, hanno ricordato il tentativo della
Santa Sede di favorire il dialogo tra le parti, rammaricandosi
del fatto che al momento non
sono arrivati i risultati di questo sforzo. Di qui, l’appello affinché tutte le parti in causa
intervengano per «intraprendere azioni che portino al superamento della crisi nel paese»,
per «riattivare l’apparato produttivo, garantendo lo stato di
diritto e la ricostruzione del
tessuto sociale», per «promuovere onestà e responsabilità
nella vita pubblica e promuovere la riconciliazione tra le
persone».
Ritrovato in Messico il corpo senza vita di padre Joaquín Hernández Sifuentes
Ucciso un altro prete
impegnato nella lotta alla droga
CITTÀ DEL MESSICO, 14. Un altro prete, impegnato nella difficile lotta al narcotraffico, è stato
ucciso in Messico. Padre Joaquín
Hernández Sifuentes, di cui non
si avevano notizie dal 3 gennaio
scorso, è stato trovato morto a
Parras, nel Coahuila, giovedì
notte. La notizia del ritrovamento del corpo è stata data dal vescovo di Saltillo, monsignor José
Raúl Vera López. Secondo le
prime ricostruzioni della polizia,
il religioso sarebbe morto a causa delle percosse ricevute. Due
uomini sono attualmente detenuti, accusati di essere gli autori
dell’omicidio.
Durante un incontro con i
giornalisti, monsignor Vera López ha ringraziato le autorità per
il lavoro svolto e ha riferito che
non si hanno ancora dettagli certi su quanto accaduto: in particolare sul momento, il luogo e i
motivi per cui il sacerdote è stato assassinato. In ogni caso, «la
Chiesa — ha sottolineato il presule — può concedere il perdono
per i presunti assassini del sacerdote, ma dovrà pesare su di loro
la giustizia da parte delle autorità». Il presule ha rivolto parole
di conforto ai familiari della vittima: «Abbraccio la mamma,
Juanita, i fratelli e le sorelle per
le sofferenze provate». Monsignor Vera López ha ricordato
che da quando è vescovo di Saltillo, è la prima volta che vive
una situazione del genere, e ha
invitato i cittadini a rendersi
conto che anche i membri del
clero possono diventare vittime
di qualsiasi reato, come tutta la
società.
La Chiesa diocesana, alla notizia del ritrovamento del cadavere, ha deciso subito di riunirsi
per pregare, riflettendo sulla difficoltà e i rischi nell’annuncio
della parola del Vangelo in una
terra che sta soffrendo molto e
che sta assistendo a un’escalation
di violenza. «Viviamo — ha ricordato il vescovo di Saltillo — in
un ambiente deteriorato, in una
società frammentata dove i sacerdoti non vivono sotto una campana di vetro».
Lunedì il corpo di padre Joaquín Hernández Sifuentes sarà
portato nella cattedrale di Saltillo, dove la comunità si riunirà
per dargli l’ultimo saluto.
Dal 2006 a oggi — riferisce il
sito del «Sismografo» — sono
stati assassinati in Messico trentasette sacerdoti. Solo nel corso
dell’ultimo anno sono stati uccisi
tre preti e quattro seminaristi.
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 15 gennaio 2017
pagina 7
Aveva novantaquattro anni
È morto
il cardinale Agustoni
Domenica il Papa in visita alla parrocchia romana di Santa Maria a Setteville
Magi di periferia
di MAURIZIO FONTANA
Venerdì 13 gennaio è morto il cardinale svizzero Gilberto Agustoni, prefetto emerito del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Nato il 26 luglio 1922 a
Schaffhausen, nella diocesi di Basel, era stato ordinato sacerdote il 20 aprile
1946. Eletto il 18 dicembre 1986 alla chiesa titolare di Caorle, con il titolo personale di arcivescovo, era stato nominato segretario della Congregazione per il
clero. Il 6 gennaio 1987 aveva ricevuto l’ordinazione episcopale. Il 2 aprile 1992
era stato nominato pro-prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Nel concistoro del 26 novembre 1994 Giovanni Paolo II lo aveva creato e
pubblicato cardinale diacono dei Santi Urbano e Lorenzo a Prima Porta, diaconia poi elevata pro hac vice a titolo presbiterale. Ricevuta la porpora era divenuto prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, ricoprendo
l’incarico fino al 5 ottobre 1998. Le esequie saranno celebrate martedì 17 gennaio
alle ore 10 all’altare della cattedra nella basilica di San Pietro e presiedute dal
cardinale decano Angelo Sodano.
Insigne giurista, già segretario del
cardinale
Alfredo
Ottaviani,
Gilberto Agustoni dal 1° luglio 1950
ha messo la sua esperienza a servizio diretto della Santa Sede. Uomo
austero, tracciò un proprio profilo
spirituale nella riflessione del 12
novembre 2000, alla preghiera
vespertina giubilare in piazza San
Pietro, indicando come prioritarie le
dimensioni dell’umiltà, del perdono
e della penitenza che portano alla
Il cordoglio
del Pontefice
Appresa la notizia della morte del cardinale
Agustoni, il Pontefice ha espresso il proprio
cordoglio in un telegramma inviato alla signora
Luisa Santandrea, nipote del porporato svizzero.
Nell’apprendere la triste notizia della scomparsa del suo caro zio Cardinale Gilberto
Agustoni, desidero esprimere a Lei e ai familiari la mia partecipazione al lutto che colpisce quanti conobbero e stimarono il compianto porporato, per tanti anni sincero e
solerte collaboratore della Santa Sede in particolare come prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, offrendo una
testimonianza di zelo sacerdotale e di fedeltà
al vangelo. Mentre elevo fervide preghiere al
Signore Gesù affinché, per intercessione della Vergine Maria, voglia donare al defunto
Cardinale il premio eterno promesso ai suoi
fedeli discepoli, invio di cuore a Lei, alle religiose figlie di Santa Maria di Leuca, che lo
hanno assistito, e a quanti ne piangono la
dipartita la benedizione apostolica.
FRANCISCUS
PP.
conversione, e mettendo in guardia
dalla ricerca di successo e guadagno
che «prima di essere un problema
economico
è
un
problema
dell’anima».
Dal padre, funzionario statale originario del Ticino, e dalla madre,
nativa di una cittadina sulle rive del
lago di Costanza, aveva ricevuto
un’educazione cristiana rigorosa, insieme alla sorella e ai quattro fratelli, due dei quali divennero presbiteri. Volendo farsi sacerdote, entrò
giovanissimo nel seminario diocesano di Lugano seguendo i passi del
fratello maggiore Luigi. Terminato il
liceo, il vescovo Angelo Giuseppe
Jelmini lo inviò a Roma dove iniziò
a studiare filosofia alla Pontificia
università San Tommaso d’Aquino.
A causa della guerra il vescovo lo ri-
chiamò in Svizzera per farlo laureare in teologia all’Università di Friburgo.
Sacerdote dal 1946, ordinato nella
cattedrale di Lugano, è stato vice
assistente generale dell’Azione cattolica occupandosi della formazione
degli studenti nelle varie sedi universitarie svizzere. E ha anche elaborato itinerari formativi, soprattutto per gli scout.
Nel 1950, a Roma, iniziò a collaborare con monsignor Alfredo Ottaviani (1890-1979), dal 1953 pro-segretario della Congregazione del
Sant’Uffizio, che subito apprezzò la
preparazione teologica del giovane
sacerdote e dovette insistere con
monsignor Jelmini, che aveva su di
lui altri progetti, per ottenere il permesso di trattenerlo a Roma come
suo segretario. Agustoni stesso ricordava come Ottaviani avesse chiesto a Pio XII «la licenza di assumere
un sacerdote non ancora trentenne
presso un Dicastero dalle competenze particolarmente gravi e delicate,
soprattutto prima della riforma avvenuta dopo il concilio Vaticano
II». E il cardinale Ottaviani ha poi
seguito con attenzione il percorso di
formazione del suo collaboratore:
per completare la sua preparazione
nelle scienze teologiche lo incoraggiò a intraprendere gli studi di diritto alla Pontificia università Lateranense.
Nel frattempo Agustoni continuava a prestare il suo servizio al
Sant’Uffizio, fino a diventarne capo
ufficio. In quegli anni fu anche nominato commissario presso la Congregazione per la disciplina dei Sacramenti per la trattazione delle
cause matrimoniali. Subito dopo il
concilio Vaticano II divenne consultore del Consilium ad exsequendam
Constitutionem de Sacra Liturgia,
«fungendo in tale veste — come ebbe a ricordare — anche da collegamento tra i due Dicasteri che erano
massimamente coinvolti nella difficile e storica impresa del rinnovamento liturgico post-conciliare». In seguito venne nominato consultore
della Congregazione per il culto divino, istituita da Paolo VI.
Nel maggio 1970 divenne prelato
uditore del Tribunale della Rota
Romana. Un ufficio portato avanti
fino al 18 dicembre 1986, quando
Giovanni Paolo II lo elesse arcivescovo e nominò segretario della
Congregazione per il clero, conferendogli poi personalmente l’ordina-
Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice
Cappella papale per le esequie
NOTIFICAZIONE
†
Il cardinale Dominique Mamberti, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, il segretario monsignor Giuseppe Sciacca, i prelati, gli
officiali, i collaboratori del dicastero annunciano il
passaggio alla vita eterna di Sua Eminenza reverendissima
il cardinale
GILBERTO AGUSTONI
prefetto emerito
Mentre, con grata memoria ne ricordano il serio e
competente ministero lungamente svolto a servizio
della Santa Sede, lo raccomandano all’amore misericordioso del Signore Gesù che ha promesso generosa ricompensa ai suoi servi fedeli.
Città del Vaticano, 14 gennaio 2017
zione episcopale il 6 gennaio 1987,
nella basilica Vaticana. Christus spes
gloriae il suo motto episcopale.
Monsignor Agustoni ha svolto la
sua attività alla Congregazione per
il clero in un momento particolarmente significativo per due avvenimenti di grande portata ecclesiale.
Anzitutto la preparazione e la celebrazione, nel 1990, dell’ottava Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sulla formazione del
clero. E inoltre la collaborazione
con la commissione per la redazione
del nuovo Catechismo della Chiesa
cattolica, istituita da Giovanni Paolo
II e presieduta dal cardinale Joseph
Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. La
Congregazione per il clero venne
chiamata a dare un contributo — ricordava Agustoni — «per la sua
competenza specifica, istituzionale
nel campo della catechesi». In particolare, proprio al segretario del Dicastero era stato chiesto di coordinare la collaborazione con la commissione. Inoltre, sempre nella veste
di segretario della Congregazione
per il clero, è stato membro di diritto del Consiglio internazionale per
la catechesi.
Agustoni ha poi svolto una parte
attiva anche nella elaborazione della
Costituzione apostolica Pastor bonus
sulla Curia romana (28 giugno
1988) e del Regolamento generale
della Curia romana, approvato da
Giovanni Paolo II nel febbraio 1992.
Nel maggio 1991 fu nominato
membro del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Un anno
dopo, il 2 aprile 1992, ne divenne
pro-prefetto, succedendo al cardinale Achille Silvestrini; e come tale
venne nominato anche pro-presidente della Corte di Cassazione della
Città del Vaticano. Con la porpora
cardinalizia, il 9 novembre 1994, divenne prefetto del Supremo tribunale, incarico che ha mantenuto fino
al 1998.
Prese parte a quattro assemblee
del Sinodo dei vescovi. Dopo l’assise del 1990, intervenne ai due sinodi
del 1994: alla prima assemblea speciale per l’Africa — con una relazione sulla «retta amministrazione della giustizia nella Chiesa» — e alla
nona assemblea generale ordinaria
dedicata alla vita consacrata. Nel
1997 partecipò all’assemblea speciale
per l’America. Più volte inviato speciale del Papa, nella Curia romana
ha fatto parte di diversi Dicasteri.
Martedì 17 gennaio 2017, alle ore
10, all’Altare della Cattedra della
Basilica Vaticana, avranno luogo le
Esequie del Signor Cardinale Gilberto Agustoni, del titolo dei Santi
Urbano e Lorenzo a Prima Porta.
La Liturgia Esequiale sarà celebrata dal Signor Cardinale Angelo
Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio, insieme con gli Em.mi
Signori Cardinali e gli Ecc.mi Arcivescovi e Vescovi.
Al termine della Celebrazione
Eucaristica, il Santo Padre Francesco presiederà il rito dell’Ultima
Commendatio e della Valedictio.
I Signori Cardinali, gli Ecc.mi
Arcivescovi e Vescovi che desiderano concelebrare vorranno trovarsi
alle ore 9.30 nella sagrestia della
Basilica Vaticana per indossare le
vesti sacre, portando con sé: i Signori Cardinali la mitra bianca damascata, gli Ecc.mi Arcivescovi e
Vescovi la mitra bianca semplice.
***
Coloro che, in conformità al
Motu Proprio “Pontificalis Domus”, fanno parte della Cappella
Pontificia e intendono partecipare
al Sacro Rito, indossando il proprio abito corale completo, sono
pregati di trovarsi per le ore 9.30
presso l’Altare della Cattedra per
occupare il posto che sarà loro indicato.
Città del Vaticano, 14 gennaio
2017
Per mandato del Santo Padre
Mons. Guido Marini
Maestro delle Celebrazioni
Liturgiche Pontificie
«Il nostro esempio sono i magi. Loro non cercavano cose:
cercavano il Signore». Don
Luigi Tedoldi ama sintetizzare
così il programma pastorale
della parrocchia di Santa Maria a Setteville, nel comune di
Guidonia ma in diocesi di Roma, che domenica 15 gennaio
accoglie Papa Francesco. «La
gente cerca sempre tante cose
— incalza con entusiasmo il sacerdote che qui è per tutti don
Gino — cerca la pace, ma la
pace non la troveremo mai se
non troviamo il Signore. Ecco
il nostro costante impegno:
cerchiamo il Signore, portiamo il Signore. Corriamo al
Signore come fecero i magi e i
pastori. Allora avremo la pace
in famiglia, la riconciliazione
quando si litiga, la carità, un
cuore indulgente e caritatevole».
Nell’estrema periferia orientale della diocesi di Roma, segnata da una fame di lavoro
che mina giorno dopo giorno
la solidità delle famiglie, il primo impegno, secondo il settantenne don Gino, è quello
di «creare un ambiente cristiano». La parrocchia, dice, «non
è una onlus, o una agenzia sociale. Noi annunciamo Cristo
crocifisso e risorto. È lui che
ha il potere di aprire i cuori,
anche a livello sociale».
È in questo fazzoletto di
terra, abitato da circa cinquemila persone raccolte in una
decina di palazzoni, che Papa
Francesco riprenderà, dopo la
pausa dell’anno giubilare, le
visite alle parrocchie della sua
diocesi. Era già venuto in questa borgata il 16 marzo 2014,
per incontrare i parrocchiani
di Santa Maria dell’O razione.
Il vescovo di Roma torna per
incontrare un suo sacerdote
malato, don Giuseppe Berardino, viceparroco di Santa
Maria a Setteville. Il prete
quarantasettenne è da due anni colpito da una grave forma
di sclerosi laterale amiotrofica.
«È stata questa — ci spiega
don Gino — una vicenda che
ha colpito moltissimo l’intera
comunità. Tutto è cominciato
con una caduta a un campo
estivo con i ragazzi: in due
mesi è rimasto completamente
paralizzato». Don Giuseppe
prestava servizio in parrocchia
già da dodici anni, era ed è
amatissimo da tutti. «Aveva la
fila al confessionale, e spesso
dovevo chiedere ai parrocchiani di non soffocarlo». A testimonianza di questo legame,
oggi, ad assisterlo, oltre a due
infermieri, ci sono una ventina
di giovani sposi che ogni sabato e domenica si alternano
accanto a lui: «Nei suoi confronti c’è grande riconoscenza
e gratitudine».
Don Gino parla con molta
partecipazione di questo legame, è evidente che per lui è
espressione dello stile che da
ventuno anni cerca di dare alla
sua comunità. La parrocchia è
di giovane costituzione. Nasce
nel 1973 quando il cardinale
D ell’Acqua chiamò dei preti
piemontesi a prendersi cura
della scarsa popolazione che
viveva, in pieno clima di
abusivismo
selvaggio,
in
un’area molto vasta, oggi divisa in tre parrocchie. Gli abitanti sono per lo più famiglie
provenienti soprattutto dal
sud Italia. Con loro, ci racconQuesto rapporto personale
ta il parroco, «insieme ai miei è una delle vie che la parrocvalidissimi collaboratori, ab- chia ha per entrare in contatto
biamo portato avanti anno do- con la realtà al di fuori delle
po anno un lavoro paziente. sue mura, per “toccare la carChe ha portato frutti: pensi ne” del piccolo centro di Setche una parrocchia così picco- teville. «Il tessuto sociale della
la ha tre preti ordinati e cin- parrocchia — ci spiega don
Gino — è caratterizzato da una
que seminaristi!».
emergenza,
All’attività pastorale parteci- fondamentale
pano attivamente anche otto quella del lavoro. Il lavoro
comunità neocatecumenali. Da precario porta alla difficoltà a
queste, ad esempio, provengo- pagare il mutuo o le bollette.
no le dodici coppie che si im- E su questo versante la parrocpegnano a seguire il post-cre- chia interviene in maniera
sima: in tutto 120 ragazzi che massiccia. Facciamo anche
ogni settimana si ritrovano un’opera di distribuzione di
nelle case di queste famiglie a viveri, ma il lavoro più preziofare un percorso formativo cri- so che portiamo avanti, è prostiano. È questo un aspetto al prio l’individuazione di coppie
quale don Gino tiene molto: che hanno difficoltà nella ge«Ai ragazzi proponiamo anche momenti ricreativi, ma l’80 per
cento del cammino è
formativo. Bisogna insistere su questo. A livello pastorale c’è chi vorrebbe
maggiormente
puntare sull’aspetto ludico. Ma i ragazzi hanno
millecinquecento
possibilità di svago che
la parrocchia non potrà
mai dare. Noi non possiamo competere nel
campo ricreativo. Possiamo invece governare
la loro ricreazione se li
formiamo. E i ragazzi si
entusiasmano». Inoltre,
continua, «questo accompagnamento postcresima ci consente di
seguire al meglio quanto indicato da Papa
Edmund Lewandowski, «I tre re» (1949)
Francesco riguardo la
formazione dei giovani
e l’accompagnamento nelle lo- stione economica della casa,
ro scelte vocazionali. Nascono giovani in cerca di lavoro,
così matrimoni cristiani». Un donne e uomini licenziati, esolavoro prezioso, così come dati». Bisogna tener conto,
quello delle 11 coppie che si poi, che qui la parrocchia è
dedicano invece ai genitori anche l’unico luogo di aggregazione se si fa eccezione per
la piazza e i bar dove è purtroppo grave il pericolo dello
spaccio. «In parrocchia — aggiunge il sacerdote — abbiamo
realizzato un centro ricreativo
per proteggere i nostri ragazzi.
Ma ripeto, il momento ricreativo funziona perché prima c’è
quello formativo». Papa Francesco, dopo la visita a don
Giuseppe, nel pomeriggio di
che hanno bambini da battezzare. «Molti di loro non sono
neanche sposati. Facciamo gli
incontri prima del sacramento,
poi continuiamo con un incontro al mese, una giornata
intera che chiamiamo “Tobia e
Sara”». Ogni anno a Santa
Maria a Setteville si celebrano
un’ottantina di battesimi.
domenica
incontrerà
tutti
questi ragazzi e con loro anche le famiglie dei bambini
battezzati nel 2016, una trentina di malati e gli operatori pastorali. Quindi, dopo aver
confessato alcuni parrocchiani,
celebrerà la messa per tutta la
comunità.
Nomina episcopale
in India
La nomina di oggi riguarda la Chiesa siro-malabarese.
Thomas Tharayil
ausiliare dell’arcieparchia
di Changanacherry
Nato a Changanacherry il 2 febbraio 1972, è entrato
nel seminario minore di Kurichy e ha completato gli
studi istituzionali a Saint Thomas Apostolic Seminary,
Vadavathoor. Ordinato presbitero il 1° gennaio 2000, ha
conseguito la licenza e il dottorato in psicologia a Roma presso l’Università Gregoriana. È stato segretario
dell’arcivescovo Powathil, vice-parroco di diverse comunità, professore in vari seminari e collegi, e attualmente
era direttore dell’Istituto di formazione Danahalaya.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
domenica 15 gennaio 2017
Papa Francesco denuncia i mali di una globalizzazione irresponsabile
Quando si ignora la miseria
I rischi paventati da Giovanni Paolo
II
si sono ampiamente verificati
«Coloro che causano o permettono lo scarto degli altri» diventano essi stessi «macchine senza
anima, accettando implicitamente il principio che anche loro, prima o poi, verranno scartati.
È un boomerang». Parlando a una delegazione della Global Foundation, ricevuta sabato
mattina 14 gennaio nella Sala Clementina, Papa Francesco ha messo in guardia da una
«società che ha messo al centro il dio denaro» e ha invitato a usare «intelligenza» e
«risorse» per «risanare i mali prodotti da una globalizzazione irresponsabile».
Cari Amici,
Sono lieto di trovarmi con voi in questa
nuova edizione della “Tavola Rotonda” di
Roma della Global Foundation, nella quale
vi riunite, ispirati dal motto della stessa
Fondazione — “Insieme ci impegniamo
per il bene comune globale” (“Together we
strive for the global common good”) —, per
individuare le vie giuste, capaci di condur-
re ad una globalizzazione “cooperativa”
cioè positiva, opposta alla globalizzazione
dell’indifferenza. La finalità è quella di assicurare che la comunità globale, formata
dalle istituzioni, dalle aziende e dai rappresentanti della società civile, possa raggiungere effettivamente gli obiettivi e obblighi internazionali solennemente dichiarati e assunti, come ad esempio quelli
dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e gli Obiettivi di Sviluppo sostenibile.
Anzitutto vorrei ribadire che è inaccettabile, perché disumano, un sistema economico mondiale che scarta uomini, donne e bambini, per il fatto che questi sembrano non essere più utili secondo i criteri
di redditività delle aziende o di altre organizzazioni. Proprio questo scarto delle
persone costituisce il regresso e la disumanizzazione di qualsiasi sistema politico ed
economico: coloro che causano o permettono lo scarto degli altri — rifugiati, bambini abusati o schiavizzati, poveri che
muoiono per la strada quando fa freddo —
diventano essi stessi come macchine senza
anima, accettando implicitamente il principio che anche loro, prima o poi, verranno
scartati — è un boomerang questo! Ma è
la verità: prima o poi loro verranno scartati — quando non saranno più utili ad una
società che ha messo al centro il dio
denaro.
Nel 1991, san Giovanni Paolo II, di
fronte al crollo di sistemi politici oppressivi e alla progressiva integrazione dei mercati che ormai chiamiamo abitualmente
globalizzazione, avvertiva il rischio che si
diffondesse ovunque l’ideologia capitalistica. Essa avrebbe comportato una scarsa o
nulla considerazione per i fenomeni
dell’emarginazione, dello sfruttamento e
dell’alienazione umana, ignorando le moltitudini che vivono ancora in condizioni
di miseria materiale e morale, e affidandone fideisticamente la soluzione unicamente
al libero sviluppo delle forze del mercato.
Il mio Predecessore, domandandosi se un
tale sistema economico fosse il modello da
proporre a coloro che cercavano la via del
vero progresso economico e sociale, giunse
a una risposta nettamente negativa. Questa non è la via (cfr. Centesimus annus, 42).
Purtroppo, i rischi paventati da san
Giovanni Paolo II si sono ampiamente verificati. Tuttavia, nello stesso tempo si sono sviluppati e attuati tanti sforzi di individui e di istituzioni per risanare i mali
prodotti da una globalizzazione irresponsabile. Madre Teresa di Calcutta, che ho
avuto la gioia di proclamare Santa alcuni
mesi fa e che è un simbolo e un’icona dei
nostri tempi, in qualche modo rappresenta
e riassume tali sforzi. Lei si è chinata sulle
persone sfinite, lasciate morire ai margini
della strada, riconoscendo in ciascuna di
esse la dignità data da Dio. Ha accolto
ogni vita umana, quella non nata e quella
abbandonata e scartata, e ha fatto sentire
la sua voce ai potenti della terra perché riconoscessero i crimini della povertà creata
da loro stessi (cfr. Omelia per la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, 4 settembre 2016).
Questo è il primo atteggiamento che
può portare ad una globalizzazione solidale e cooperativa. Occorre, innanzitutto,
che ognuno, personalmente, non sia indifferente alle ferite dei poveri, ma impari a
com-patire con coloro che soffrono per le
persecuzioni, la solitudine, lo spostamento
forzato o per la separazione dalle loro famiglie; con coloro che non hanno accesso
alle cure sanitarie; con coloro che patiscono la fame, il freddo o il caldo.
Questa compassione farà sì che gli operatori economici e politici possano usare
la loro intelligenza e le loro risorse non
solo per controllare e monitorare gli effetti
della globalizzazione, ma anche per aiutare i responsabili nei diversi ambiti politici
— regionali, nazionali e internazionali — a
correggerne l’orientamento ogni volta che sia
necessario. La politica e l’economia, infatti, dovrebbero comprendere l’esercizio della virtù della prudenza.
La Chiesa è sempre fiduciosa, perché
conosce le grandi potenzialità dell’intelligenza umana che si lascia aiutare e guidare da Dio e anche la buona volontà di
piccoli e grandi, poveri e ricchi, imprenditori e lavoratori. Pertanto vi incoraggio a
portare avanti il vostro impegno, sempre
guidati dalla Dottrina sociale della Chiesa,
promuovendo una globalizzazione cooperativa insieme con tutti gli attori coinvolti
— società civile, governi, organismi internazionali, comunità accademiche e scientifiche e altri — ed auguro ogni successo al
vostro lavoro.
Vi ringrazio della vostra attenzione e vi
assicuro la mia preghiera; e vi prego di
portare il mio personale saluto, insieme
con la mia benedizione, alle vostre famiglie e ai vostri collaboratori. Grazie.
Intervista al cardinale presidente del nuovo dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale
Per dare voce ai minori migranti
di NICOLA GORI
Di fronte alla drammatica «situazione dei
migranti minorenni racchiusi nei centri di
detenzione e nei campi di permanenza obbligatori, dove si trovano segregati, senza
possibilità di frequentare normalmente la
scuola, e con il rischio di essere reclutati
dalla criminalità organizzata, urge trovare
alternative che rispettino l’importanza
dell’unità della famiglia». È l’appello lanciato dal cardinale Peter Kodwo Appiah
Turkson, alla vigilia della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, dedicata
quest’anno proprio ai «migranti minorenni, vulnerabili e senza voce». In questa intervista al nostro giornale il porporato
parla anche del nuovo dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale da
lui presieduto.
Domenica 15 ricorre la 103a Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Non c’è il
rischio di celebrare solo i morti in mare?
Questa giornata ha, certamente, tra le
sue finalità, il ricordo e la denuncia degli
accadimenti dell’ultimo anno. Non possiamo dimenticare, infatti, tutti coloro che,
volendo scappare da morte sicura o cercando un futuro migliore, hanno perso la
vita o soffrono pene indicibili. Se guardiamo il solo contesto mediterraneo, le statistiche parlano di oltre cinquemila migranti
morti in mare durante il viaggio verso
l’Europa nel 2016. Ci troviamo di fronte al
peggior bilancio annuale mai registrato in
termini di perdite di vite umane. E tra loro numerosi sono, purtroppo, i bambini;
ricordiamo il caso del piccolo Aylan nel
settembre 2015. Da allora nel mare sono
morti più di 400 minori. Eppure, dobbiamo sforzarci di allargare lo sguardo, ed essere consapevoli delle realtà che affliggono anche gli altri continenti. Ad esempio,
in America sono molti i bambini che sono
costretti a muoversi da un Paese all’altro.
Secondo l’Agenzia Onu per i rifugiati
(Unhcr), più della metà dei rifugiati nel
mondo ha una età inferiore a 18 anni, e i
dati indicano anche che, nel 2015, la cifra
di bambini non accompagnati che hanno
cercato rifugio è arrivata quasi a 100.000.
Quindi, ci troviamo davanti a un problema attuale e urgente, che coinvolge tutto
il pianeta e che richiede la nostra attenzione e il nostro impegno. Per questo, invitiamo tutti i cristiani a prendere consapevolezza della sfida sociale e pastorale che
rappresenta la situazione dei minori migranti e rifugiati. Questa giornata mondiale, però, è anche un’occasione per sottolineare tanti elementi positivi. Il movimento
migratorio rappresenta esso stesso una ric-
chezza: a livello di risorse umane; per il
beneficio economico che apporta; e nel
suo aspetto culturale. E questi sono solo
alcuni degli aspetti positivi che la migrazione porta con sé. Da parte di chi accoglie, poi, non possiamo dimenticare tutte
quelle risposte generose e creative messe
in atto sia dalla società civile sia dalla
Chiesa.
mi tempi è intervenuto più volte sul dramma
dei bambini, anche migranti, che da soli devono affrontare abusi o violenze nei loro confronti. Cosa si può fare per arginare questo
fenomeno?
È vero. Le statistiche evidenziano questo triste incremento. Se, per esempio,
parliamo della situazione italiana, constatiamo che i minori non accompagnati
sbarcati nel paese sono addirittura radMinori migranti e rifugiati e seconde generadoppiati, passando da 12.360 nel 2015 a
zioni costituiscono un elemento importante
25.772 nel 2016. Ed essere soli li rende inedella crescita delle nostre società. Quali struvitabilmente più vulnerabili, e li fa cadere
menti abbiamo per integrarli?
vittime della tratta per scopi indegni. Di
Benedetto XVI ha voluto dedicare ben fronte a ciò, il Pontefice leva continuadue messaggi ai giovani migranti, nel mente la propria voce per denunciare que2008 e nel 2010. Egli rifletteva sulle sfide sta drammatica situazione, ad esempio,
che i giovani devono affrontare nei luoghi nella recente Lettera ai vescovi nella Festa
di arrivo, e rivolgeva la sua attenzione, in dei Santi Innocenti e nel discorso al corpo
modo particolare, al supporto della fami- diplomatico dello scorso 9 gennaio. Nel
messaggio del 2017, il
Papa incoraggia la protezione e la difesa dei
minori migranti, partendo dalla conoscenza dei
fattori che contribuiscono a creare uno stato di
vulnerabilità, come la
mancanza dei mezzi di
sopravvivenza, il basso
livello di alfabetizzazione, e l’ignoranza delle
leggi, della cultura e
della lingua. Spesso si
vuole rispondere con
politiche d’immigrazione più restrittive, controlli più severi alle
frontiere e lottando
contro la criminalità organizzata. È necessario
però affrontare le cause
Una bambina nel campo profughi di Gevgelija in Macedonia (Reuters)
più profonde del fenomeno. Papa Francesco
glia e della scuola. Papa Francesco, oggi, ribadisce che anche una collaborazione
approfondisce tale riflessione e pone l’ac- sempre più stretta tra immigrati e comunicento sulla sollecitudine della Chiesa per i tà che li accolgono aiuta ad arginare il fe«fanciulli che sono tre volte indifesi per- nomeno. E tante persone, ricordiamolo
ché minori, perché stranieri e perché iner- sempre, si spendono già quotidianamente,
mi, quando, per varie ragioni, sono forzati mettendo instancabilmente le loro vite al
a vivere lontani dalla loro terra d’origine e servizio di questi bambini.
separati degli affetti familiari». La tutela
dei loro diritti in base all’ordinamento Questo aumento esponenziale del numero dei
giuridico internazionale è di fondamentale minori stranieri non accompagnati trova la
importanza. Il principio del superiore in- necessaria accoglienza?
teresse del bambino è sancito dall’articolo
Nel suo messaggio, una delle quattro
3 della Convenzione sui diritti dell’Infanzia direttrici indicate dal Pontefice come ridel 1989. Perciò, le autorità dei Paesi che sposta al fenomeno della migrazione miaccolgono hanno l’obbligo di garantirli.
norenne è proprio la necessità d’integrazione. Questa è, per molti, un periodo di
Secondo le statistiche il numero dei minori instabilità, nel quale si deve fare una transtranieri non accompagnati è quasi raddop- sizione dalla cultura e società di origine a
piato in un anno. Papa Francesco negli ulti- una nuova vita nel Paese di arrivo. Tanti
sperimentano la cosiddetta «difficoltà della duplice appartenenza». Per tale motivo,
il Papa richiama alla necessità dell’«adozione di adeguate politiche di accoglienza,
di assistenza e di inclusione», e dell’«inserimento sociale dei minori migranti, o
programmi di rimpatrio sicuro e assistito».
Il Canada, nel 1996, è diventato il primo
tra i Paesi che hanno introdotto direttive
specificamente mirate ai minorenni richiedenti asilo, ma molti altri governi affrontano con difficoltà la questione e le loro
azioni oscillano tra l’adozione di rigide
misure di controllo e sforzi tesi a seguire
l’articolo 22 della Convenzione sui diritti
dell’Infanzia, che richiede ai Paesi firmatari
di fornire una protezione e un’assistenza
adeguata ai bambini. In tale contesto, il
Pontefice ha voluto rivolgere una particolare attenzione alla situazione dei migranti
minorenni racchiusi nei centri di detenzione e campi di permanenza obbligatori,
dove si trovano segregati, senza possibilità
di frequentare normalmente la scuola, e
con il rischio di essere reclutati dalla criminalità organizzata. Urge trovare alternative che rispettino l’importanza dell’unità
della famiglia. In più, come nota Papa
Francesco, rimane fondamentale la creazione di iniziative di cooperazione tendenti a ridurre le cause dell’emigrazione. Per
quanto detto, e in vista dell’integrazione
dei migranti e rifugiati minorenni, è logicamente fondamentale avere una legislazione specifica che venga incontro alle loro specifiche problematiche. Favorire il ricongiungimento familiare o, nel caso in
cui non sia possibile, promuovere la loro
accoglienza da parte di famiglie, evitando
così per quanto possibile i campi e altri
centri, sarebbe un buon inizio. Punto importante è anche quello dell’integrazione
scolastica nel sistema educativo nazionale,
offrendo specifici itinerari formativi d’integrazione adatti alle loro esigenze, in modo
da garantire la loro preparazione e dotarli
delle basi necessarie per un corretto inserimento nel nuovo mondo sociale, culturale
e professionale. E non possiamo dimenticare il bisogno che il passaggio dal paese
di partenza al paese di arrivo sia sicuro,
per esempio attraverso corridoi umanitari.
Questa è la prima Giornata mondiale che si
celebra dall’istituzione del nuovo Dicastero
per la promozione dello sviluppo umano integrale, entrato nelle sue funzioni dal 1° gennaio. Quali sono state le priorità della vostra
attività in queste prime settimane?
Il Dicastero sta prendendo forma, riunione dopo riunione, con la necessità di
dare un profilo unitario a quelle che erano
le funzioni di quattro diversi Pontifici
Barcone di migranti sul Mediterraneo (Afp)
consigli: Giustizia e pace, Pastorale dei
migranti e degli itineranti, Cor Unum e
Operatori sanitari. Dal motuproprio Humanam progressionem (17 agosto 2016)
all’entrata in vigore del Dicastero (1° gennaio 2017) abbiamo avuto tempi un po’
stretti per la riorganizzazione. Per questo
abbiamo chiesto una proroga al Papa, che
ce l’ha concessa, fino a Pasqua. Nel nuovo
Dicastero è previsto un ufficio di ricerca e
studio; un ufficio che si occuperà dell’applicazione pratica dei progetti; un ufficio
che si occuperà in maniera sistematica della comunicazione, del rapporto con il
mondo, per dialogare non solo con i nostri usuali interlocutori, ma per uscire
Lo sfruttamento senza scrupoli
fa molto male ai bambini trattati
come merce e resi schiavi.
Dio benedica quelli che li liberano
@M_RSezione
(@Pontifex_it)
all’incontro con tutti e attuare la sfida di
promuovere il bene della società. Il tema
migratorio ha assunto un peso sempre più
grave al giorno d’oggi. La creazione di
una Sezione per i migranti e i rifugiati dimostra tutta l’attenzione del Papa alla delicata questione del fenomeno migratorio.
Tale Sezione si avvarrà della collaborazione di esperti in materia e manterrà contatti specifici con gli organismi internazionali
dell’ambito migratorio. La Chiesa, sotto la
guida del Papa, è sempre più chiamata a
offrire gesti concreti di prossimità e di
umanità, elementi essenziali di quello sviluppo a cui milioni di bambini hanno diritto.