l`osservatore romano

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l`osservatore romano
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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLVII n. 30 (47.464)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
lunedì-martedì 6-7 febbraio 2017
.
All’indomani dell’appello in favore della vita lanciato all’Angelus il Papa incontra una delegazione ecumenica tedesca
Forze curde attaccano la città siriana controllata dall’Is
Abbiamo lo stesso battesimo
Scatta
l’offensiva su Raqqa
E in un videomessaggio per il Super Bowl ribadisce l’importanza di una cultura dell’incontro
Un invito a «inoltrarsi su percorsi
nuovi» per giungere all’unità tra tutti i cristiani è stato rivolto dal Papa
alla delegazione ecumenica della
Chiesa evangelica in Germania, ricevuta in udienza lunedì mattina, 6
febbraio. «Abbiamo lo stesso Battesimo: dobbiamo camminare insieme,
senza stancarci!» ha esortato il Pontefice.
Del resto, la presenza all’incontro
del cardinale Marx, presidente della
Conferenza episcopale tedesca, ha
testimoniato proprio «una collaborazione di lunga data ed espressione
di un rapporto ecumenico maturato
negli anni». Da qui l’esortazione del
Pontefice ad «andare avanti su questa strada benedetta di comunione
fraterna, proseguendo con coraggio
e decisione verso un’unità sempre
più piena».
E in proposito il Papa considera
significativo che nel «500° anniversario della Riforma, cristiani evangelici
e cattolici colgano l’occasione della
commemorazione
comune
degli
eventi storici del passato per mettere
nuovamente Cristo al centro dei loro
rapporti». Anche perché, ha fatto
notare, «ciò che animava e inquietava i riformatori era, in fondo, indicare la strada verso Cristo». Ed è, ha
aggiunto, anche «quello che deve
starci a cuore oggi, dopo aver nuovamente intrapreso, grazie a Dio,
una strada comune». Ecco quindi
che «quest’anno di commemorazio-
y(7HA3J1*QSSKKM( +/!z!$!"!_!
Mezzo milione
di rohingya
trasferiti
su un’isola
DACCA, 6. Circa mezzo milione di
rifugiati della minoranza etnica
musulmana dei rohingya, fuggiti
dal Myanmar, dove sono sistematicamente perseguitati, ed attualmente residenti in Bangladesh,
saranno al più presto possibile
trasferiti dalla zona di Cox’s
Bazar, sull’isola di Thengar Char,
nella baia del Bengala. Il distretto
di Cox’s Bazar, attualmente disabitato, sarà attrezzato con tutte le
infrastrutture socio-sanitarie necessarie. Lo riferisce il portale di
notizie BdNews24.
Il progetto, ha reso noto Abul
Hassan Mahmood Ali, alto responsabile del ministero degli
esteri bengalese, è stato presentato ieri da rappresentanti del governo di Dacca ad un gruppo di
60 diplomatici accreditati e a responsabili di organizzazioni internazionali umanitarie e di assistenza sociale. Le violenze e le vessazioni in Myanmar contro i rohingya — definiti dalle Nazioni Unite il popolo più perseguitato al
mondo — non si sono fermate
neanche con l’arrivo al governo
del premio Nobel per la pace
(1991) Aung San Suu Kyi.
Secondo fonti ministeriali a
Dacca, il progetto sarebbe stato
ben accolto e incoraggiato dai diplomatici stranieri, che hanno offerto tutto il possibile aiuto per il
suo successo.
In base ai rapporti dell’O nu,
quasi 70.000 persone sono fuggite
nelle ultime settimane dal Myanmar verso il Bangladesh dall’inizio di vaste operazioni di rastrellamento dell’esercito governativo
di Naypyidaw. Si calcola che siano circa un milione i rohingya in
Myanmar, soprattutto nello stato
nordoccidentale del Rakhine, al
confine con il Bangladesh, di cui
oltre 100.000 vivono da quattro
anni in squallidi e fatiscenti campi di sfollati sorti dopo un’esplosione di violenze settarie.
ne offre l’opportunità di compiere
un ulteriore passo in avanti, guardando al passato senza rancori».
Attualizzando la riflessione, il Papa ha evidenziato come le attuali
«differenze in questioni di fede e di
morale, che tuttora sussistono, rimangono sfide sul percorso verso la
visibile unità, alla quale anelano i
nostri fedeli». E in particolare «il
dolore è avvertito dagli sposi che appartengono a confessioni diverse».
Perciò bisogna impegnarsi «con preghiera insistente e con tutte le forze,
a superare gli ostacoli ancora esistenti».
In precedenza, in occasione del
“Super Bowl”, la finale del campionato della lega professionistica di
football americano, giocata domenica sera, il Pontefice aveva ribadito
l’importanza dello sport «per costruire una cultura di incontro». E
all’Angelus aveva lanciato un appello per la tutela di ogni persona in
occasione della giornata per la vita
celebrata dalla Chiesa in Italia.
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Nella letteratura spirituale
Riforma e terapia
Curtis Verdun, «L’incontro»
MARCELLO SEMERARO
A PAGINA
4
Oltre cento morti causati da una serie di valanghe
Villaggi seppelliti in Afghanistan
KABUL, 6. Oltre cento persone sono
morte in Afghanistan a causa di una
serie di valanghe che hanno letteralmente distrutto diversi villaggi del
paese. Le valanghe, causate dalla neve che si sta sciogliendo dopo diversi giorni di intense precipitazioni,
hanno ucciso cinquanta persone in
un villaggio nel nord-est. Altre 54
sono morte nel nord e nel centro del
paese.
L’ondata di freddo e l’emergenza
maltempo hanno colpito in particolare le zone settentrionali con fortissime nevicate, piogge e temperature
record che hanno provocato anche la
chiusura dell’aeroporto internazionale di Kabul.
Per far fronte all’emergenza le autorità locali hanno invitato la popolazione a non spostarsi, proclamando anche una giornata di festa nazionale per evitare che le persone si
rechino in ufficio.
Il ministro del Lavoro e degli Affari sociali, Nasrin Oriakhail, ha
confermato che la misura è dovuta
all’enorme quantità di neve caduta
nelle ultime 24 ore che ha causato
l’interruzione di moltissime vie di
comunicazione. Quasi tutto il paese
è coperto da un denso manto nevoso
che riguarda perfino province, come
quella meridionale di Kandahar, dove da 25 anni non nevicava in questa
stagione. L’Authority afghana per la
gestione dei disastri naturali (Andma) sta valutando anche altre misure eccezionali per fronteggiare la
situazione.
Le province più colpite dalle bufere sono quelle orientali di Badakhshan, Nangahar e Parwan, a nord
di Kabul, dov’è stato chiuso il Salang Pass. Polizia e militari hanno
soccorso automobilisti e passeggeri
di almeno 250 veicoli intrappolati
dalla bufera lungo la strada che collega Kabul a Kandahar.
Anche i talebani che combattono
contro il governo centrale hanno reso noto di essere impegnati nel soccorso dei civili in difficoltà. In una
notizia pubblicata sul portale internet «La voce della Jihad», gli insorti
sostengono che loro militanti sono
intervenuti nella provincia meridionale di Zabul per portare aiuto a decine di passeggeri di veicoli bloccati
dalla neve.
Citando un esempio del loro intervento, i talebani hanno indicato
che nel distretto di Hassan Karez
«molta gente è stata aiutata a ritornare a casa propria e a molte perso-
ne sono stati offerti alloggio, cibo e
generi di prima necessità».
Il maltempo si è abbattuto anche
sul vicino Pakistan. È di almeno nove morti il bilancio della valanga che
si è registrata nella località turistica
di Shershal, nel distretto settentrionale pakistano di Chitral, nei pressi
del confine afghano. Tra le vittime
accertate ci sono 4 donne e 3 bambini. Tre feriti gravi sono stati inoltre
ricoverati all’ospedale di Peshawar.
La valanga ha travolto e completamente distrutto 4 abitazioni in cui
vivevano 19 famiglie. Molte persone
erano state sgomberate dalla zona a
causa del maltempo ma alcune erano
rimaste sul posto, ha spiegato un
rappresentante dell’autorità locale.
La visita «ad limina» dei vescovi
della Chiesa patriarcale
di Alessandria dei copti
A colloquio con Giorgia
Alla ricerca
di un senso più grande
ELENA BUIA RUTT
A PAGINA
5
Nella mattina di lunedì 6 febbraio, Papa Francesco ha ricevuto in udienza i presuli
della Chiesa patriarcale di Alessandria dei copti, in visita «ad limina Apostolorum»
Truppe curde in rotta per Raqqa (Reuters)
DAMASCO, 6. Non conosce sosta la
lotta contro l’avanzata dei jihadisti
in Siria. Le forze curde sostenute
dagli Stati Uniti hanno annunciato
ieri l’avvio di una nuova fase
dell’offensiva contro Raqqa, la città
nel nordest della Siria considerata
una delle maggiori roccaforti dei
jihadisti del cosiddetto stato islamico (Is). In un comunicato le forze
curde affermano che l’obiettivo è
«accerchiare Raqqa con il sostegno
crescente della coalizione internazionale a guida statunitense». I
caccia di Washington «garantiscono copertura aerea all’avanzata delle nostre forze o con l’assistenza di
unità speciali alle nostre forze nella
battaglia sul campo».
Raqqa è sotto il controllo dell’Is
dal 2014 e si ritiene che nella città
vivano più di 200.000 civili. È uno
snodo strategico essenziale.
Citato dai media curdi, il portavoce delle forze militari, Jihan
Sheikh Ahmed, ha spiegato che
l’obiettivo della nuova fase dell’offensiva è «liberare dalla presenza
dell’Is i villaggi a est di Raqqa».
Le operazioni per la riconquista
della città sono iniziate lo scorso
novembre, ma sono andate avanti a
fasi alterne. Il sostegno degli Stati
Uniti alle forze curde è oggetto di
tensioni con la Turchia. Ankara ritiene che le forze curde siano legate al Pkk (Partito dei lavoratori del
Kurdistan, organizzazione che i
turchi considerano terroristica).
E intanto, i combattimenti proseguono in molte altre zone della Siria non comprese nel cessate il fuoco. Nel nord della Siria militari
turchi hanno colpito ieri 59 obietti-
vi dell’Is e ucciso 51 jihadisti del
gruppo. Lo ha annunciato lo stato
maggiore turco in una nota che riferisce delle ultime 24 ore di operazioni. Stando a quanto reso noto,
tra i 51 jihadisti uccisi ci sono anche quattro importanti esponenti. I
jet turchi hanno distrutto 56 edifici
utilizzati dai jihadisti e tre strutture
di comando. L’operazione militare
turca in Siria, chiamata “Scudo
dell’Eufrate”, è stata lanciata lo
scorso agosto.
Sul piano politico, nel frattempo, mentre ad Astana si riuniscono
i rappresentanti russi, turchi e iraniani, per cercare di prolungare la
tregua in atto nel paese, il leader
dell’Is, Abu Bakr Al Baghdadi, è
arrivato ieri nella città siriana di
Merkadeh, a sud della provincia di
Hasaka, per partecipare «a un incontro molto importante dei leader
del gruppo» secondo quanto riferiscono diversi media internazionali.
Negli ultimi due giorni i jihadisti
hanno intensificato le misure di sicurezza «senza precedenti» in tutta
l’area. La notizia non è stata tuttavia confermata dal Pentagono.
Sul piano interno, il presidente
siriano Bashir Al Assad ha firmato
l’estensione fino al 30 giugno 2017
del decreto che prevede l’amnistia
per miliziani e ribelli che decidono
di arrendersi e consegnare le armi.
Lo riferisce l’agenzia iraniana
Mehr, precisando che l’amnistia riguarda anche rapitori che accettano
di rilasciare i loro ostaggi. Il decreto era stato emanato alla fine di luglio 2016 e prevedeva inizialmente
una scadenza di tre mesi.
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza:
l’Eminentissimo
Cardinale
Theodore Edgar McCarrick,
Arcivescovo emerito di Washington (Stati Uniti d’America);
Sua
Beatitudine
Ibrahim
Isaac Sedrak, Patriarca di Alessandria dei Copti, con il Vescovo di Curia, Sua Eccellenza
Monsignor Youhanna Golta,
Vescovo titolare di Andropoli,
in visita «ad limina Apostolorum»;
le Loro Eccellenze i Monsignori:
— Kyrillos William, Vescovo
di Assiut dei Copti, in visita
«ad limina Apostolorum»;
— Antonios Aziz Mina, Vescovo emerito di Guizeh dei
Copti, in visita «ad limina Apostolorum»;
— Makarios Tewfik, Vescovo
di Ismayliah dei Copti, in visita
«ad limina Apostolorum»;
— Emmanuel Ayad Bishay,
Vescovo di Luqsor dei Copti, in
visita «ad limina Apostolorum»;
— Botros Fahim Awad Hanna, Vescovo di Minya dei Copti, in visita «ad limina Apostolorum»;
— Youssef Aboul El Kher,
Vescovo di Sohag dei Copti, in
visita «ad limina Apostolorum».
Il Santo Padre ha accettato la
rinuncia al governo pastorale
del Vicariato Apostolico di Tripoli, in Libia, presentata da
Sua Eccellenza Monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli,
O.F.M.. Gli succede Sua Eccellenza Monsignor George Bugeja, O.F.M., Coadiutore del medesimo Vicariato Apostolico.
Il Provvedimento è stato reso
noto in data 5 febbraio.
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lunedì-martedì 6-7 febbraio 2017
Migranti intercettati in mare
dalle forze libiche (Reuters)
Dopo che la corte di appello federale ha confermato la sospensione del provvedimento sugli ingressi di stranieri
Trump attacca i giudici
WASHINGTON, 6. «Non posso semplicemente credere che un giudice
abbia potuto mettere così a rischio il
nostro Paese. Se dovesse succedere
qualcosa date la colpa a lui e al sistema giudiziario. La gente inizia a
riversarsi qui. È un male». Ha usato
queste parole, ieri, il presidente degli
Stati Uniti, Donald Trump, per
commentare la decisione della corte
di appello federale di San Francisco
che stabilisce il blocco dell’ordine
esecutivo sull’immigrazione.
La corte, infatti, ha respinto il ricorso del dipartimento di giustizia
contro la sospensione del provvedimento decisa da un giudice federale
di Seattle. Il presidente Trump ha
aggiunto di aver comunque «dato
ordine alla sicurezza interna di verificare molto attentamente le persone
che arrivano nel nostro paese. I tribunali stanno rendendo il lavoro
molto più difficile».
L’ordine esecutivo bloccato stabilisce la sospensione degli arrivi da
sette paesi islamici: Somalia, Siria,
Sudan, Iraq, Iran, Yemen e Libia.
Era stato firmato da Trump il 27
gennaio scorso, sette giorni dopo il
suo insediamento. Dopo le numerose critiche e le manifestazioni di protesta, l’ordine è stato sospeso dal
giudice federale James Robart. Il dipartimento della Giustizia ha dunque presentato appello contro la sentenza, affermando che quest’ultima
«viola la separazione costituzionale
dei poteri, ferisce l’interesse pubblico ostacolando l’applicazione di un
ordine esecutivo emanato da chi,
eletto, è rappresentante responsabile
dello stato in materie quali immigrazione e affari esteri».
La corte di appello federale ha
chiesto all’amministrazione di presentare oggi argomenti a sostegno
del provvedimento. La battaglia giudiziaria si annuncia molto complessa
e lunga. E non è da escludere che il
caso arrivi alla Corte suprema. Il vicepresidente, Mike Pence, ha dichiarato: «Il popolo americano è ormai
abituato a questo presidente che parla in maniera diretta». E poi ha annunciato: «Combatteremo questa
battaglia per proteggere il nostro
paese».
Intanto, sabato scorso si sono tenute diverse manifestazioni di protesta contro l’ordine esecutivo. A Washington un gruppo di dimostranti
si è radunato nel centro della città e
ha marciato verso la sede della Corte
Porto Rico vota
per entrare
negli Stati Uniti
SAN JUAN, 6. Porto Rico si appresta
a votare sulla possibilità di diventare
il cinquantunesimo membro a tutti
gli effetti degli Stati Uniti d’America. L’11 giugno si terrà un referendum nell’isola caraibica, che al momento è un paese libero associato
agli Stati Uniti. Già nel 2012, in
realtà, i cittadini si erano espressi
per l’adesione. Il governatore Ricardo Rossello ha approvato ieri un referendum che però resta «non vincolante» per determinare il futuro politico del paese. I cittadini saranno
chiamati a dire se vogliono l’adesione o se la rifiutano per mantenere la
libera associazione o optare addirittura per l’indipendenza. Se la maggioranza sceglierà la seconda opzione, si tornerà al voto in ottobre.
Se prevarrà la scelta dell’adesione,
in ogni caso servirà un voto favorevole del Congresso americano per
far entrare Porto Rico nella federazione. Il piccolo paese, che soffre
una disastrosa crisi economica, potrebbe tra le altre cose ottenere più
fondi federali.
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Il presidente statunitense Donald Trump (Afp)
Suprema a Capitol Hill. Anche le
grandi compagnie del settore hightech (da Facebook a Microsoft, da
Apple a Google) hanno presentato
un’azione legale per opporsi al provvedimento. E poco dopo l’intervento
della corte di appello federale, l’Iran
ha deciso di revocare il divieto di
iscrizione degli atleti statunitensi ai
mondiali di lotta in programma a
Kermanshah il 16 e 17 febbraio.
Ma non è solo l’immigrazione a
tenere banco in queste prime fasi
dell’amministrazione Trump. Un al-
tro punto cruciale è il nuovo rapporto con Mosca. Ieri, in un’intervista
alla Fox News, Trump ha dichiarato:
«Io rispetto Putin. Rispetto molte
persone, ma non vuol dire che andrò
d’accordo con lui, si vedrà. È un leader del suo paese. Io dico che è meglio andare d’accordo con la Russia
che non andarci d’accordo».
Legato a doppio filo al tema dei
rapporti con la Russia, c’è quello
della collaborazione con l’Europa e
della considerazione della Nato. Tema sul quale il presidente Trump si
è espresso più di una volta, spesso
in modo esplicito, come quando definì l’alleanza atlantica «obsoleta».
Ieri Trump ha avuto un lungo colloquio telefonico con il segretario della Nato, Jens Stoltenberg. L’inquilino della Casa Bianca ha assicurato
che parteciperà al vertice dei leader
Nato che si terrà in Europa a fine
maggio. Come riferisce un comunicato, il presidente ha espresso un
«deciso sostegno alla Nato» ma ha
sollecitato i paesi europei che ne
fanno parte a dare un maggiore contributo finanziario.
Revocato il decreto salva-corrotti anche se la consulta si deve ancora pronunciare
A Bucarest vince la protesta
BUCAREST, 6. Non si ferma la protesta in Romania e, anche dopo il
ritiro del contestato decreto “salvacorrotti”, decine di migliaia di persone sono tornate oggi in piazza a
manifestare contro il governo del
premier socialdemocratico, Sorin
Grindeanu, che non intende rassegnare le dimissioni.
A Bucarest, come previsto, sono
affluite colonne di autobus con dimostranti provenienti da ogni angolo del paese. «Il ritiro del decreto è
solo una prima vittoria, noi continueremo a lottare per l’affermazione di Romania veramente democratica, non corrotta e fondata sullo
stato di diritto», hanno detto gli organizzatori della protesta.
«Resteremo in piazza fino a
quando il governo non se ne andrà.
Non era il governo che volevamo. I
corrotti non li vogliamo», hanno
aggiunto. Sventolando bandiere tricolori della Romania, i dimostranti
hanno chiesto le dimissioni del premier. Ma stamane, parlando alla tv
privata Antenu 3, Grindeanu ha
detto che non ha intenzione di dimettersi «per soddisfare la piazza».
Ad alimentare l’insoddisfazione
del movimento di protesta c'è l’intenzione di Grindeanu — in carica
da poco più di un mese dopo il voto di dicembre — di presentare a
breve in parlamento un nuovo disegno di legge in fatto di norme sulla
corruzione. E in parlamento la coalizione di governo di centrosinistra
ha la maggioranza. Intanto, per la
prima volta dall’inizio dell’ondata
di proteste, alcune centinaia di persone hanno manifestato a sostegno
del governo, in polemica con il capo dello stato, Klaus Iohannis,
schierato sin dall’inizio in appoggio
alla protesta popolare e per il ritiro
del controverso decreto, che depenalizzava l’abuso d’ufficio e altri
reati di corruzione. Sulle legittimità
della revoca del decreto si pronun-
cerà nei prossimi giorni la Corte costituzionale, chiamata in causa dallo stesso Iohannis.
La delicata situazione e le nuove
tensioni politiche in Romania sono
seguite
con
preoccupazione
dall’Unione europea, che nei giorni
scorsi ha lanciato un duro monito
alle autorità di Bucarest a non fare
«passi indietro» nella lotta fondamentale a corruzione e criminalità.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Gaetano Vallini
BRUXELLES, 6. Primi massicci interventi in mare delle forze libiche.
Sono oltre 900 i migranti tratti in
salvo nella giornata di ieri in diverse operazioni della guardia costiera
italiana, ma anche la Libia fa sapere di aver salvato, e riportato indietro sulle proprie coste, almeno 500
persone in tre giorni. Si tratta dei
primi interventi messi in atto da
Tripoli dopo il memorandum d’intesa firmato con l’Italia per fermare
il flusso sulla rotta mediterranea.
Molti migranti stanno sbarcando
in queste ore in diversi porti sulle
coste italiane. Seicento a Vibo Valentia, in Calabria; cinquecento ad
Augusta, in Sicilia. Si tratta di persone tratte in salvo al largo delle
coste italiane su barconi di fortuna
ieri e l’altro ieri. Tra di loro — dicono i media — sono stati individuati
e arrestati due scafisti.
La stessa cosa avviene sulle coste
libiche per quanti sono stati individuati dalle forze navali di Tripoli.
Oggi oltre 120 migranti sono stati
tratti in salvo. Tra di loro ci sono
dieci donne e un bambino piccolo.
Si aggiungono agli altri 400 bloccati negli ultimi tre giorni. Per questi ultimi resta la preoccupazione
sulle condizioni di vita che ritrova-
no in Libia. L’intesa con l’Italia è
stata promossa dal vertice europeo
di Malta di venerdì scorso, ma con
la promessa di contribuire a migliorare le condizioni di vita in
centri che attualmente sono di vera
e propria detenzione.
I fronti preoccupanti in tema di
migrazioni restano diversi. Un profugo è stato travolto da un treno
lungo la ferrovia che porta in Francia, nel disperato tentativo di attraversare il confine. È il secondo migrante, in tre mesi, che muore in
questo modo in territorio italiano.
In Grecia, dopo le manifestazioni di piazza di tanti cittadini della
capitale per le precarie condizioni
di vita nei campi di accoglienza, da
ieri circa duecento rifugiati ospitati
nel campo profughi di Ellinikò, a
sud di Atene, hanno iniziato uno
sciopero della fame. Le tensioni
scatenate dalle proteste hanno richiesto l’intervento della polizia
che si è schierata nel campo profughi che ospita circa 1300 persone.
Mancano beni di prima necessità e
acqua calda. I media locali hanno
fatto sapere che i rifugiati chiedono
l’intervento immediato nel campo
del ministro greco per l’immigrazione, Yannis Muzalas.
Frexit e niente Nato
Manifestanti riuniti nei pressi della sede centrale del governo a Bucarest (Ansa)
Servizio vaticano: [email protected]
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PARIGI, 6. Francia fuori dall’Europa e dalla Nato. È quanto ha promesso ieri il leader del Front National, Marine Le Pen, nel suo primo comizio in vista delle presidenziali francesi del 23 aprile e del 7
maggio. «Se verrò eletta convocherò entro sei mesi un referendum
sulla “Frexit”» ovvero l’uscita del
paese dall’Unione europea. Le Pen
ha anche sottolineato di volere che
«Parigi lasci il comando integrato
dell’alleanza atlantica per provvedere da sola alla sua difesa». Inoltre, ha spiegato di voler abbandonare la moneta unica e ripristinare
il franco come moneta nazionale.
Elezioni parlamentari
nel Liechtenstein
ta a causa della costruzione di
questo breve tratto di muro a ridosso del ponte, nel settore serbo
della città. I serbi sostengono che
si tratta di una sistemazione logistica per favorire il passeggio nella
zona pedonale a ridosso del ponte, gli albanesi affermano, invece,
che il muro serbo è un segnale
ostile e inammissibile e ne chiedono il suo abbattimento.
Il Kosovo ha dichiarato l’indipendenza dalla Serbia nel 2008,
mai riconosciuta da Belgrado.
caporedattore
segretario di redazione
Ora intervengono
anche le forze di Tripoli
Marine Le Pen lancia la corsa all’Eliseo
Rimosso il muro della discordia
a Kosovska Mitrovica
PRISTINA, 6. Si è svolta senza i temuti incidenti la rimozione del
controverso tratto di muro a ridosso del ponte sull’Ibar, realizzato
nei mesi scorsi nel settore nord di
Kosovska Mitrovica, la città kosovara divisa in due settori, uno a
nord abitato dai serbi e uno a sud
con popolazione albanese.
L’abbattimento del muro fa seguito all’accordo tra il governo kosovaro e la parte serba, con la mediazione di Unione europea e Stati Uniti. Negli ultimi tempi la tensione fra le due comunità era sali-
Operativa l’intesa firmata con l’Italia sui migranti
VADUZ, 6. Nelle elezioni parlamentari del Liechtenstein i partiti di
opposizione hanno guadagnato voti. A perdere consensi è stato il
partito Fortschrittliche Bürgerpartei
(Fbp), del premier, Adrian Hasler,
che ha perso 4,8 punti percentuali
di voto, anche se con il 35,2 per
cento rimane la forza politica maggiore del Principato. La Vaterländische Union (VuU), partner di coalizione della Fbp al governo di Vaduz, ha raggiunto il 33,7 per cento
dei suffragi (più 0,2 punti percentuali rispetto al 2013).
Segreteria di redazione
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
A uscirne vincenti sono stati ancora una volta i partiti dell’opposizione, Unabhängigen (Du, indipendenti) e la Freie Liste (Fl). Da
quattro anni in parlamento, Du ha
ricevuto il 18,4 per cento dei voti,
più 3,1 per cento rispetto alle elezioni del 2013. Fl ha invece raggiunto il 12,6 per cento, 1,5 punti
percentuali in più rispetto a quattro anni fa. Nel nuovo parlamento
siedono tre donne, due in meno in
confronto al 2013. La partecipazione al voto è stata del 77,8 per cento
degli aventi diritto.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
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Davanti a migliaia di militanti
riuniti nella città di Lione, Le Pen
ha poi affermato che «il presidente
degli Stati Uniti Trump e la Brexit
(l’uscita del Regno Unito dall’Europa, ndr) hanno indicato la via da
seguire». Ha quindi usato parole di
condanna per «l’ultraliberismo» e
«il fondamentalismo islamico» che
ha definito «i due totalitarismi che
minacciano la Francia». Mali, questi, causati da «una globalizzazione
senza regole» contro cui l’unica soluzione è «il patriottismo».
Netto il giudizio sull’Unione europea che — ha detto — «è un fallimento». Se verrà eletta all’Eliseo,
Le Pen condurrà un negoziato con
Bruxelles per recuperare quattro
sovranità: monetaria, legislativa,
territoriale e di bilancio. E se l’esito delle trattative, di «non più di
sei mesi», non dovesse soddisfarla,
ha promesso che si schiererà a favore di una Frexit in tempi rapidi.
«In cinque anni voglio rimettere la
Francia in ordine» ha affermato,
avvertendo che «leggi e valori saranno soltanto francesi».
Tra gli altri punti del suo programma ci sono: «Stop all’immigrazione di massa, agli aiuti medici
di stato, abrogazione dello ius soli,
precedenza ai francesi nell’accesso
al lavoro».
E sempre a Lione, intanto, ieri
ha aperto la campagna elettorale
anche Emmanuel Macron, ex ministro dell’economia di François Hollande e leader del partito indipendente «En marche!».
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lunedì-martedì 6-7 febbraio 2017
pagina 3
Una bimba di circa nove anni
che sta per subire mutilazioni genitali
Netanyahu chiede il rinvio della regolarizzazione retroattiva di migliaia di case
Scontro
sugli insediamenti
TEL AVIV, 6. È scontro sugli insediamenti all’interno del governo israeliano. Mentre in Cisgiordania la
tensione resta alta, il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha respinto ieri l’ultimatum del ministro
dell’educazione, Naftali Bennett,
esponente di Focolare ebraico (formazione politica molto vicina al
movimento dei coloni), per l’approvazione in tempi brevi della regolarizzazione retroattiva di migliaia di
case negli insediamenti.
«Sono impegnato nella gestione
dello stato e mi dedico all’interesse
nazionale e agisco solo sulla sua base» ha dichiarato Netanyahu. Se la
legge venisse approvata, sarebbero
regolarizzati tra i 2500 e i 4000 alloggi tra i quali figurano — secondo
l’associazione Peace Now — anche
circa 797 strutture in 55 avamposti.
Secondo fonti di stampa, Netanyahu ha chiesto alla coalizione di
governo il rinvio dell’approvazione
della norma, ma la richiesta sarebbe
stata respinta da Bennett. La propo-
sta di rinvio è stata avanzata anche
in vista dell’incontro del 15 febbraio
tra Netanyahu e Trump.
La questione degli insediamenti
rappresenta uno dei punti centrali
del contenzioso tra israeliani e palestinesi. Questi ultimi chiedono il
blocco totale dei lavori edilizi israeliani in Cisgiordania, considerandolo una condizione imprescindibile
per l’avvio dei negoziati. Gli israeliani, dal canto loro, chiedono lo
stop degli attacchi e un rafforzamento della sicurezza. La tensione,
su questo tema, si è particolarmente
elevata nelle ultime settimane.
All’inizio di gennaio il governo
israeliano ha dato il via libera alla
costruzione di 143 nuove case nel
quartiere ebraico di Gilo a Gerusalemme est, territorio che i palestinesi rivendicano quale capitale di un
loro futuro stato autonomo. Gli alloggi — secondo altre fonti sarebbero 153 — erano stati già deliberati e
bloccati tempo fa su pressione della
Teheran e Mosca
rafforzano
la collaborazione
militare
Missile
dei ribelli huthi
colpisce
una base saudita
MOSCA, 6. Collaborazione militare rafforzata tra Iran e Russia. La
commissione per la difesa e la sicurezza russa visiterà l’Iran il
prossimo marzo per discutere
della vendita di armamenti e della situazione in Siria. Lo riferisce
l’agenzia iraniana Mehr. La visita
comincerà il primo marzo, durerà
sei giorni e sarà guidata dal presidente della commissione russa,
Viktor Ozerov.
La visita — riferiscono i media
— arriva pochi mesi dopo l’attuazione di un contratto per la fornitura all’Iran dei sistemi missilistici russi S-300, rafforzando di
fatto la cooperazione nel campo
degli armamenti tra i due paesi.
«Attualmente entrambi i paesi
vogliono espandere la collaborazione nel settore della difesa, con
l’Iran pronto per l’acquisto di altri tipi di armi dalla Russia per la
sua marina e aeronautica» ha
spiegato l’analista politico iraniano Bahman Shoeib in un’intervista. Shoeib ha inoltre sottolineato
che «la cooperazione tecnica e
militare tra Teheran e Mosca non
si limita alla fornitura del sistema
missilistico S-300», ma va molto
oltre. Negli ultimi mesi, i due
Paesi hanno avuto colloqui per
discutere la fornitura all’Iran di
caccia russi e armamenti leggeri.
SANA’A, 6. Ancora violenza nello
Yemen. I ribelli huthi hanno colpito nella notte una base militare
alla periferia di Riad, capitale
dell’Arabia Saudita. Il missile,
uno scud modificato, ha percorso
circa mille chilometri prima di
raggiungere l’obiettivo. Le autorità saudite non hanno confermato
la notizia. Non è chiaro se ci sono
vittime o feriti.
Fonti vicine agli huthi sostengono che il razzo ha colpito la base
militare di Mazahimiyah, a ovest
della capitale saudita. Secondo le
stesse fonti, Riad avrebbe dichiarato lo stato di emergenza. Nel
confermare stamane l’attacco, gli
huthi hanno minacciato «qualcosa
di ancora più grande» in arrivo. I
ribelli hanno cacciato il presidente
Hadi dalla capitale nel febbraio
2015 e occupato la metà settentrionale dello Yemen. Riad guida una
coalizione di paesi a maggioranza
sunnita che appoggia il tentativo
di Hadi di riconquistare i territori
perduti. Il presidente, però, controlla soltanto parte del sud, Aden
e la zona circostante. Nella parte
orientale dello Yemen intere province sono finite sotto il controllo
di Al Qaeda. La guerra, e il blocco imposto dalla coalizione, hanno provocato una catastrofe umanitaria, con 14 milioni di persone
che soffrono la fame.
Haftar esclude
il dialogo con Al Sarraj
TRIPOLI, 6. Il generale Khalifa
Haftar, uomo forte della Cirenaica,
non sembra avere intenzione di negoziare con i suoi rivali sul controllo della Libia. Haftar non intende
quindi incontrare il premier di Tripoli, sostenuto dalle Nazioni Unite, Fayez Al Sarraj.
È quanto avrebbe detto lo stesso
generale all’ambasciatore francese
in Libia, Brigitte Qormi, secondo
quanto riferito dal quotidiano panarabo, stampato a Londra, «Al
Hayat». Qormi ha consigliato ad
Haftar di aprire un dialogo con la
controparte e di non ricorrere
all’uso delle armi.
La questione libica è stata uno
degli argomenti affrontati nel colloquio telefonico tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il
capo del governo italiano, Paolo
Gentiloni. «Il presidente Trump ha
parlato con il primo ministro italia-
no Paolo Gentiloni per discutere il
rafforzamento della cooperazione
bilaterale rispetto a una serie di interessi condivisi, compresa sicurezza e antiterrorismo», ha riferito la
Casa Bianca confermando che
Trump parteciperà al summit del
G7 a Taormina a maggio. Il presidente, continua la nota, «aspetta di
incontrare il primo ministro in
quell’occasione».
I capi di governo, prosegue la
Casa Bianca, «hanno parlato di Libia, del flusso di migranti e profughi verso l’Europa, così come delle
priorità dell’Italia e del prossimo
summit del G7 in Italia. Il presidente Trump ha ribadito l’impegno
degli Stati Uniti rispetto alla Nato
e ha sottolineato l’importanza per
tutti gli alleati dell’Alleanza Atlantica di condividere l’onere monetario della spesa per la difesa».
passata amministrazione statunitense di Barack Obama.
La questione degli insediamenti
sarà il punto centrale anche del colloquio, oggi, tra Netanyahu e il premier britannico Theresa May. Ma
non solo. Netanyahu intende anche
affrontare il nodo del nucleare iraniano. Per il premier, il recente test
missilistico iraniano «ha violato le
risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’O nu».
Intanto, riesplode la violenza al
confine con la striscia di Gaza. Le
sirene di allarme sono risuonate
questa mattina nella città di Ashqelon in seguito al lancio da Gaza di
un razzo che è esploso poi in una
zona aperta senza provocare danni
né vittime.
Hamas ha poi reso noto che uno
dei responsabili del suo braccio armato, Muhammad Walid Al Koka,
è morto in una esplosione avvenuta
nella notte di sabato nel nord della
striscia in circostanze ancora da
chiarire.
Duecento milioni di donne nel mondo subiscono mutilazioni genitali
Vittime nel fisico e nello spirito
NEW YORK, 6. Almeno 200 milioni di donne nel mondo sono vittime della pratica delle mutilazioni genitali.
È quanto emerge oggi nella giornata mondiale indetta
dall’Onu per combattere una piaga culturale ancora radicata in almeno trenta paesi, per la maggior parte africani. Come conseguenza dei flussi migratori degli ultimi decenni, tale fenomeno è divenuto una triste realtà
anche in Europa, dove si contano almeno 550.000 vittime. In Italia, paese di approdo dei migranti provenienti
dal Mediterraneo, ci sono almeno 50.000 donne straniere maggiorenni che hanno subito tali mutilazioni. E sol-
tanto tra le donne immigrate che hanno ottenuto la cittadinanza italiana, ce ne sono almeno 14.000 che denunciano le stesse violenze. Sono le donne somale ad
essere più colpite (83,5 per cento), seguite da quelle che
provengono dalla Nigeria (79,4), dal Burkina Faso
(71,6), dall’Egitto (60,6), dall’Eritrea (52,1 per cento).
Ma nel mondo sta crescendo anche il numero di donne
che si ribellano a questa disumana pratica. Sono sempre
di più le africane che portano avanti nel continente dure battaglie per sradicare una mentalità che porta atroci
sofferenze nel fisico e nello spirito.
Arrestati oltre 760 affiliati all’Is
Blitz antiterrorismo in Turchia
ANKARA, 6. In Turchia è in corso da
ieri una vasta operazione antiterrorismo delle forze di sicurezza, coordinate dai servizi segreti.
Finora sono state tratte in arresto
oltre 760 persone, per presunti legami con il cosiddetto stato islamico
(Is). Lo rendono noto stamane fonti
del ministero dell’interno. Solo nella
capitale, sono stati arrestati 60 terro-
risti, 18 ad Istanbul, tutti sospettati
di fare parte di un rete di cellule
jihadiste dedite alla propaganda e al
reclutamento.
Le operazioni sono state condotte
in 29 province e in diverse città alla
frontiera con la Siria.
Nei raid sono stati sequestrati ingenti quantitativi di armi e munizioni e documenti.
Secondo l’intelligence, l’Is starebbe preparando nuovi attacchi nel
paese, dopo quelli dei mesi scorsi, tra
cui la strage di Capodanno a Istanbul, che ha provocato 39 morti e decine di feriti. L’attentatore, Abdulgadir Masharipov, cittadino uzbeko affiliato allo stato islamico, è stato catturato il 16 gennaio dalla polizia dopo due settimane di fuga.
Forze antiterrorismo turche in azione a Istanbul (Ap)
Elezioni presidenziali in Angola ad agosto
Dos Santos lascia il governo dopo 37 anni
LUANDA, 6. «Sono pronto a raccogliere la sfida: una sfida grande quella di succedere al presidente José
Eduardo dos Santos. Grande e, benché difficile, non impossibile». Ha
mostrato decisione e sicurezza João
Lourenço, ministro della difesa e vicepresidente del Movimento popolare di liberazione dell’Angola (Mpla),
all’indomani
dell’ufficializzazione
della sua candidatura alla presidenza
della Repubblica del paese africano,
in vista delle elezioni del prossimo
mese di agosto.
«Abbiamo molto da fare perché il
partito possa raggiungere l’obiettivo
di vincere le elezioni — ha sottolineato Lourenço — a partire dal consolidamento della democrazia e dal rafforzamento della nostra economia,
ma penso che il mio volto sia abbastanza conosciuto e 7 mesi siano sufficienti» per convincere gli angolani.
Nonostante alle ultime elezioni del
2012 il suo partito abbia ottenuto il
71,84 per cento dei voti, Lourenço rimane cauto. «Sono uno dei giocatori
in campo e intendo giocare la partita
ad armi pari, tale e quale agli altri»
candidati, questo non esclude che
«io sia positivamente ottimista», ha
detto il ministro della difesa.
Venerdì, con un discorso al Comitato centrale del Mpla, la forza politica che ha portato il paese all’indipendenza nel 1975, il presidente dos
Santos, 75 anni, ha annunciato l’intenzione di porre fine, con il prossimo appuntamento elettorale alla sua
carriera politica, dopo 37 anni alla
guida dell’Angola. «Il paese avanza
quando le sue istituzioni si rafforzano — ha detto dos Santos — e creano
le condizioni per una crescita del settore produttivo, dell’impiego e della
ricchezza nazionali». Il presidente
uscente ha inoltre tenuto a sottoli-
neare che con la scelta dei nuovi candidati è stato «tenuto insieme il principio del rinnovamento con quello
della continuità».
Secondo la costituzione angolana
il capolista del partito che vince le
elezioni politiche diventa presidente
della Repubblica e capo del governo,
il numero due in lista è il suo vice.
Per il Movimento popolare di liberazione dell’Angola al fianco di Lourenço, come suo vice, sarà schierato
Bornito de Sousa, 63 anni, attuale
ministro per l’Amministrazione del
territorio, considerato l’uomo politico
più moderno del paese.
Da parte sua dos Santos, fino al
prossimo congresso, resterà presidente del Mpla. Giunto al potere nel
1979 alla morte di Agostinho Neto,
padre dell’indipendenza angolana,
dos Santos è un importante punto di
riferimento politico per avere condotto il paese durante la guerra civile.
Il terribile prezzo
della guerra
in Afghanistan
KABUL, 6. Il rapporto della missione di assistenza delle Nazioni
Unite in Afghanistan (Unama)
denuncia che lo scorso anno
3512 bambini sono rimasti vittime della guerra o di esplosivi e
mine abbandonati dalle parti
dopo i combattimenti. I morti
tra i più piccoli sono stati 923 e
i feriti 2589. Si tratta del numero più alto registrato nel conflitto, iniziato nel 2001 con l’attacco alle Torri gemelle. La guerra
nel 2016 ha causato migliaia di
vittime tra i civili tra i quali si
contano 3398 morti e 7920 feriti,
un aumento del tre per cento rispetto all’anno precedente.
Lo scorso anno, inoltre, è stato registrato un aumento del 66
per cento delle vittime civili
causate da esplosivi presenti
massicciamente sul territorio a
causa dei numerosi bombardamenti. «I bambini sono stati uccisi, accecati, azzoppati o hanno
inavvertitamente causato la morte di loro amici, giocando con
esplosivi lasciati indietro dalle
parti coinvolte nel conflitto», ha
spiegato l’Alto commissario per
i diritti umani delle Nazioni
Unite Zeid Ra’ad al Hussein.
Inoltre è salito a 200, il doppio
del 2015, il numero dei bambini
vittime di raid sferrati sia da afghani, sia da statunitensi.
Legislative
algerine
in maggio
ALGERI, 6. Il presidente della
Repubblica algerina, Abdelaziz
Bouteflika, ha firmato ieri il decreto che fissa al 4 maggio prossimo la data delle votazioni per
l’elezione dei membri delle due
camere del parlamento: il Consiglio della nazione (Camera alta,
con un terzo dei membri di nomina presidenziale) e l’Assemblea nazionale del popolo (Camera bassa).
Saranno chiamati alle urne
circa 23 milioni di elettori in oltre 4700 seggi. A gestire le operazioni sarà l’Alta commissione
indipendente per la sorveglianza
delle elezioni (Hiise). Una delle
grandi incognite del voto del
prossimo maggio sarà l’affluenza
alle urne, pari al 43,14 per cento
alle consultazioni del 2012.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
lunedì-martedì 6-7 febbraio 2017
Hieronymus Bosch
«Sette peccati capitali» (1500-1525)
Nella letteratura spirituale
Riforma e terapia
titolato De suavitate et efficacia in gubernatione coniungendis), prima di dare inizio a una ben nutrita serie di
malattie — ne sono elencate addirittura sedici — l’autore si diffonde
sull’importanza di comporre nel governo mitezza e fermezza: fortiter in
re, suaviter in modo direbbe un gesuita ispirandosi alle Costituzioni (IX,
727).
Parlando nel 2014 di un «catalogo
delle malattie», il Papa disse esplicitamente di volersi rifare all’«esempio
dei Padri del deserto». Classici in
camenti delle divine scritture, se infine la bruciatura della scomunica o
quella delle piaghe della verga, e vede che a nulla approdano le sue industrie, adoperi anche, ciò che ancor
vale di più, preghiera propria e di
tutti i monaci per lui, perché il Signore che tutto può operi la salute
del fratello infermo. Ma se neppure
in tal modo quello guarirà, allora
l’abate si serva ormai del ferro
dell’amputazione».
Anche Giovanni Climaco nel suo
Sermone al pastore paragona l’igumeno al medico e perciò gli
prescrive di avere «impiastri, polveri disseccanCicerone già descriveva
ti, colliri, pozioni, spugne, rimedi contro la
le malattie dell’animo umano
nausea, lancette da salas- resto. Curare
nes para religiosos,
Poi trattate dagli autori monastici
so, cauteri, unguenti, le ferite, curare le
Buenos Aires, Ediciosonniferi, bisturi, ben- ferite... E bisogna
e in età moderna
nes Diego de Torres,
de». E subito dopo (cfr. cominciare dal basso».
1982, pagine 123) riferiva losoprattutto nella tradizione ignaziana
11-13) spiega per quali
ro quanto il padre Pedro de RiIn tema, però, di “riforma
malattie dell’anima tutto terapeutica” in rapporto alla curia
badeneyra aveva annotato circa il
ciò deve servire.
romana l’antecedente più calzante è ta diagnosi dei mali che travagliano «modo di governare di sant’Ignamateria sono Evagrio Pontico (345Insomma, ce n’è abbastanza per quello di san Giovanni Leonardi la Chiesa per poter così essere in zio» spiegando come per colui che
399) e Giovanni Cassiano (360 circa inserire nell’alveo di una solida tra- (1541-1609), grande figura di riforma- grado di prescrivere a ciascuno di es- tratta con il prossimo sia molto ne- 435). Il primo nel suo Trattato pra- dizione ascetica che affonda le sue
tore la cui opera risulta essere per al- si il rimedio più appropriato». È un cessario averne cura alla maniera di
tico e il secondo nelle sue Istituzioni radici nei monaci del deserto
cuni versi affine a quella di Papa testo, questo, che è stato citato pure un buon medico, e che non si spacenobitiche ne elencano otto: ingordi- quell’immagine della Chiesa come
France sco. Si tratta del «memoria- da Benedetto XVI nella sua catechesi venti delle sue infermità, né provi
gia, fornicazione, avarizia, collera, ospedale da campo di cui Francesco
del 7 ottobre 2009.
ripugnanza delle sue piaghe, e che
tristezza, acedia, vanagloria e super- parlò nella notissima intervista rila- le» da lui scritto a Papa Paolo V per
Bisogna ricordare che prima di
bia. Si dirà, in ogni caso, che per la sciata nell’estate del 2013: «Io vedo la riforma generale della Chiesa, essere ammesso agli ordini sacri nel soffra con pazienza e con mansuetudine le sue debolezze e inadeguaconservato
nell’archivio
dell’o
rd
i
n
e
gran parte degli autori ascetici questi con chiarezza che la cosa di cui la
suo
paese
di
origine
Giovanni
Leotezze, e per questa ragione lo guardei chierici regolari della Madre di
elenchi erano fatti risalire a due
Chiesa ha più bisogno oggi è la ca- Dio da lui fondato. Dopo avere sot- nardi era stato farmacista. France- di non come un figlio di Adamo o
“passioni madri” che sono l’ingordipacità di curare le ferite e di riscal- tolineato che quanti vogliono impe- sco, come si sa ha compiuto gli stu- come un vaso fragile di vetro o di
gia, intesa come radicale avidità condi
da
perito
chimico,
ma
non
è
prodare
il
cuore
dei
fedeli,
la
vicinanza,
argilla, ma come una immagine di
gnarsi alla riforma dei costumi degli
cernente le facoltà irrazionali (thymós
ed epithymía), e la superbia, che s’at- la prossimità. Io vedo la Chiesa co- uomini debbono loro stessi essere babilmente per questo che oggi egli Dio, acquistato col sangue di Gesù
tacca alla parte razio- me un ospedale da campo dopo una «specchi di ogni virtù e come lucer- parla di medicine e di ospedali da Cristo. Secondo il modello ignazianale (noús). Ma già battaglia. È inutile chiedere a un fe- ne poste sul candelabro», scrive: campo. Ritengo che la ragione sia no, dunque, vero ministro di Dio è
Cicerone, nel De fini- rito grave se ha il colesterolo e gli «Chi vuole operare una seria riforma da ritrovarsi piuttosto nel carisma el que trata con los prójimos para cubus bonorum et malo- zuccheri alti! Si devono curare le sue religiosa e morale deve fare anzitut- ignaziano. In una meditazione det- rarlos, “colui che tratta con il prossirum (I, 59), aveva ini- ferite. Poi potremo parlare di tutto il to, come un buon medico, un’atten- tata ai gesuiti Bergoglio (Meditacio- mo per curarlo”.
ziato così il suo cataanimi
autem
logo:
morbi sunt cupiditates
inmensae
et
inanes
(“malattie dell’animo
sono le cupidigie smiTra Sturzo e Dossetti
surate e vane”).
Alla radice di tutto
e causa di ogni male
vi è l’amore di sé, che
i padri chiamano philautía. Noi potremmo
e di studiare non solo la storia della ChieLa memoria del Vangelo nella storia conanche renderlo con
di PIETRO MARIA FRAGNELLI
sa, ma anche la storia della civiltà e della tribuisce a liberarsi dai miti del tempo. Da
“narcisismo”.
San
el 2014, in occasione del cento- società civile, quella che noi chiamiamo tal memoria rinasce un autentico amore per
Massimo il Confessore
settantesimo anniversario di fon- “storia mondana”. [...] Se si ha un po’ di la nostra polis, Trapani. Abbiamo bisogno
la indica come la somdazione della diocesi di Trapani, senso storico si relativizzano, giustamente e di ritrovare modelli credibili di amore alla
ma di tutte le passioni
abbiamo celebrato un primo con liberazione, anche tante cose che devo- città. Tra gli altri cito don Luigi Sturzo, che
e descrive analiticaconvegno storico, che ha definito le fonti e no essere evidentemente superate, che pos- si rifaceva a tante personalità spirituali:
mente il processo che
il metodo per elaborare una storia della sono essere state convinzioni solide ma non Contardo Ferrini, Giuseppe Toniolo, Giuavendola come princinostra Chiesa. Un anno dopo, sempre in sufficientemente rapportate al nucleo essen- seppe Moscati, Ludovico Necchi, Bartolo
pio prende le mosse
Longo, Pier Giorgio Frassati. Sturzo è «teoccasione della festa della dedicazione del- ziale del kerygma, dell’Evangelo».
dall’ingordigia e si
Ma penso anche a Martin Buber, filosofo stimone di quella che qualche studioso ha
la cattedrale, un secondo momento di apconclude nella superprofondimento storico con la pubblicazione e mistico ebraico, che guardava al rapporto chiamato la “carità politica”. Ricordando il
bia (cfr. Centurie sulla
del primo quaderno per la storia della tra la storia e la Parola di Dio: «È la parola magistero di Pio XI, don Sturzo afferma che
carità 3, 56-57). È il
Chiesa di Trapani, che ha riconsegnato i più sovraccarica di tutto il linguaggio uma- “la politica è un ramo dell’amore del prossimedesimo
processo
testi del primo convegno. Il significativo ti- no, nessun’altra è tanto insudiciata e lacera- mo”. Essa non è una cosa sporca, né tanto
cui fece riferimento
tolo di Tabernacolo della memoria. La Chiesa ta, proprio per questo non devo rinunciare meno un male in se stessa. Piuttosto è “un
anche
Francesco
locale tra storia e teologia trae spunto dall’at- ad essa. Generazioni di uonell’omelia tenuta a
tenzione di Papa Paolo VI verso gli archivi mini hanno scaricato il peSanta Marta il 26 setSan Benedetto assistito dall’angelo con il libro della «Regola»
storici della Santa Sede. È certo che l’ispi- so della loro vita angustiatembre scorso, quando
trasmesso all’abate Giovanni (914-934)
razione del Papa risale alla frequentazione ta su questa Parola e l’hanindicò nella cupidigia,
con don Giuseppe De Luca (1898-1962), il no schiacciata al suolo.
nella vanità e nella supromotore dell’«Archivio della storia della Ora giace nella polvere e
perbia la radice di tutpietà». A questo infaticabile erudito, inna- porta tutti i loro fardelli.
2014. Come ogni corpo umano — te le malattie spirituali: alla radice
morato di Cristo e della Chiesa, amico di Generazioni di uomini
disse il Papa — la curia «è esposta però c’è la «vanità» descritta come
storici e letterati, filosofi e politici di ogni hanno lacerato questo noanche alle malattie, al malfunziona- «osteoporosi dell’anima».
indirizzo si deve il rinnovamento dei gran- me e sono morti per quemento, all’infermità». Francesco, in
L’analogia fra le malattie del cordi studi non solo di erudizione filologica, sta idea, e il nome di Dio
verità, ne parlò non soltanto come po e della psiche e le malattie
porta tutte le loro impronma anche di spiritualità popolare.
malattie, ma pure come «tentazioni» dell’anima, o spirituali, in rapporto
Si tratta di fare nostra la lezione che te digitali e il loro sanche indeboliscono il servizio al Si- alla responsabilità di chi presiede la
grandi maestri del Novecento ci hanno gue».
gnore. Propose perciò come orizzon- comunità è poi un classico nelle reIl secondo convegno
consegnato circa la presenza del «Vangelo
te, nell’ultimo periodo di prepara- gole monastiche. Nelle Regole diffuse
nella storia». Penso in particolare a Giu- storico dedicato alla figura
zione al Natale, la celebrazione del (30), ad esempio, san Basilio osserva
seppe Dossetti, «il cui sguardo era rivolto del vescovo Francesco Raisacramento della riconciliazione.
che colui che presiede deve essere
ti
e soprattutto alla sua
al passato per rendere più acuta l’analisi
Bisogna innanzi tutto accennare convinto «che aver cura di molti sidell’oggi e la prefigurazione dell’avvenire». lettera pastorale Perché si
brevemente all’opera di padre Clau- gnifica servire molti. E come dunque
abbia
la pace contro «l’imIl monaco di Montesole, prossimo alla
dio Acquaviva (1543-1615), che fu il chi presta le proprie cure a molti feFrancesco Maria Raiti, vescovo di Trapani (1906-1932), a Custonaci
morte, raccomandava di «immergersi nella mane bufera», l’inumana,
quinto preposito generale della riti e raschia via l’infezione da ogni
«bestiale guerra», ha prestoria,
conoscerla
profondamente.
Non
poCompagnia di Gesù. Le Industriae piaga usando i rimedi adatti al tipo
tete fare a meno di conoscerla, di studiarla; ceduto un momento eccle(pubblicate nel 1600 Apud Philippum di malattia che incontra, non trova
siale forte che abbiamo
Iunctam, famosa officina di Firenze) in questo una occasione di vanto ma
vissuto subito dopo in cattedrale: l’ordina- bene”: “un atto di amore per la collettività”,
furono scritte dal generale per i su- piuttosto di umiltà, di lotta e comzione di tre diaconi permanenti. Eventi di- che nulla ha e deve avere a che fare con la
periori della Compagnia al fine di battimento, così a maggior ragione
stinti eppure sintonici a ricordarci che la lotta faziosa, con la guerra tra i partiti, con
aiutarli ad rectam gubernationem, os- colui al quale è stato affidato il comdiaconia della Carità, della Parola e dell’al- i risentimenti tra le persone, con l’odio di
sia “per il buon governo” e anche pito di guarire le infermità della cotare ha bisogno di essere supportata e sti- classe. [...] Ma affinché la politica sia una
per la crescita delle comunità. Inte- munità».
molata anche dalla “diaconia della memo- sorta di carità, è necessario comprendere e
Similmente scrive san Benedetto
ressante da notare è l’uso dell’espresria”, che continueremo ad elaborare insie- praticare l’amore come un valore anche posione cura animarum — Acquaviva al- nel capitolo XXVII della sua Regola:
me per ritrovare il Vangelo nella storia e litico, come lasciava intendere lo stesso don
terna il termine cura con curatio, che «Con ogni premurosa diligenza
portare la storia nel Vangelo. La generosità Sturzo quando nel 1925 lanciava la “crociata
intende come l’esercizio effettivo l’abate deve curarsi dei fratelli colpeÈ quasi per intero dedicato agli anni del
nel servizio ai poveri di oggi si qualifica e dell’amore nella politica”, dando vigore stodella cura — in senso non ammini- voli, perché non hanno bisogno del
primo conflitto mondiale il secondo dei
rafforza se sostenuta dalla memoria Dei, rico alla devozione del Sacro Cuore propastrativo, ma spirituale.
medico i sani ma gli infermi. Deve
«Quaderni per la storia della Chiesa di
dalla capacità di guardare indietro, quasi a gandata in quegli anni da predicatori come
La cura delle malattie dell’anima è perciò comportarsi del tutto come
Trapani» intitolato Oltre “l’inutile strage”.
cogliere umilmente le spalle di Dio, che padre Matteo Crawley. L’amore è una forza
poi trattata in analogia con la cura un sapiente medico». La figura del
Il vescovo Raiti, Trapani e la grande guerra
continuamente ci apre al futuro consegnan- anche politica, nella misura in cui “non
delle malattie del corpo; infatti, su- sapiens medicus era cara a san Benee curato dal vescovo Pietro Maria
dosi nel volto di Cristo. Dalla “diaconia consiste né nelle parole, né nelle moine”,
bito si legge nel proemio la seguente detto, che v’insiste anche nel capitoFragnelli (Trapani, Il Pozzo di Giacobbe,
della memoria” di questo secondo conve- ma si traduce nelle opere della verità, nella
affermazione: «La cura dell’anima, lo successivo nel caso che il colpevo2016, pagine 102, euro 10), con un
gno auspichiamo nasca un triplice frutto. giustizia, nella difesa della libertà di tutti,
che è molto più importante e più le non si corregga, o monti in supercontributo, tra gli altri, dell’arcivescovo
Anzitutto la riscoperta della nostra identità nel rispetto dei diritti altrui e nella fedeltà
difficile della cura del corpo, esige bia: «L’abate faccia come un esperto
Santo Marcianò, ordinario militare per
antropologica, frantumata dall’attuale cul- ai propri doveri, nel sacrificio di sé per gli
una sollecitudine e un’abilità ancora medico: se ha usato i lenitivi, se gli
l’Italia. Pubblichiamo quasi per intero il
altri» (Massimo Naro).
tura narcisistica.
testo del vescovo di Trapani.
maggiori». Nel capitolo secondo (in- unguenti delle esortazioni, se i medidi MARCELLO SEMERARO
el discorso per gli auguri natalizi del 22 dicembre scorso Francesco è tornato a riflettere, come nei precedenti
due anni, sulla riforma della curia
romana. Al termine ha ricordato che
dopo il discorso del 2014, quando
aveva parlato delle «malattie curiali», un partecipante gli aveva domandato «Dove devo andare, in farmacia o a confessarmi?» e che egli
aveva risposto «Mah, tutt’e due».
Ha riferito poi che, salutando il cardinale Brandmüller, questi aveva
detto «Acquaviva». E il Papa ha
proseguito nella spiegazione: «Io, al
momento, non ho capito, ma poi,
pensando, pensando, ho ricordato
che Acquaviva, quinto generale della
Compagnia di Gesù, aveva scritto
un libro che noi studenti leggevamo
in latino. I padri spirituali ce lo facevano leggere, si chiamava così: Industriae pro Superioribus ejusdem Societatis ad curandos animae morbos,
cioè le malattie dell’anima». Aggiungendo subito dopo che aveva deciso
di farne dono natalizio a tutti i presenti.
L’episodio merita di essere commentato, perché aiuta a mettere meglio a fuoco l’altro livello che, insieme con quelli ecclesiologico e istituzionale, Francesco intende quando
fa uso della parola “riforma”. Intendo il livello spirituale, che fu dominante nel discorso del 22 dicembre
N
A scuola dalla storia
N
Oltre l’inutile strage
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 6-7 febbraio 2017
pagina 5
La cantante Giorgia
A colloquio con la cantante italiana Giorgia ospite al festival di Sanremo
Alla ricerca
di un senso più grande
di ELENA BUIA RUTT
n una carriera musicale in
continua ascesa, iniziata a Sanremo nel lontano 1994, ha
venduto sette milioni di dischi, ha vinto i premi più
prestigiosi, ha duettato con i mostri
sacri della musica mondiale, ha cantato due volte per Giovanni Paolo II.
Nata nel 1971, Giorgia (al secolo
Giorgia Todrani), che sarà ospite del
sessantasettesimo festival della canzone italiana nella serata dell’8 febbraio, è una delle cantanti più note e
apprezzate dal pubblico italiano e
sulla scena internazionale.
Oronero (Michroponica, distribuito
da Sony Music), il suo decimo album, recentemente uscito, contiene
quindici canzoni capaci di restituire
l’immagine di una donna che con
I
autenticità si pone in ricerca, che
con sincerità si interroga, che con
umiltà si mostra. I testi, scarni, sobri, essenziali, sono quasi tutti scritti
dalla stessa Giorgia, che con noi ne
ripercorre il sofferto cammino esperienziale. In tutte le canzoni di questo album, il dolore infatti sembra
essere lo sfondo di partenza, il grado
zero da cui iniziare una tenace risalita volta alla conquista delle vette
della chiarezza e della fiducia.
Per non pensarti è una canzone incentrata su un lutto ancora insuperabile, la morte di una persona cara,
che si spera di incontrare nuovamen-
te, in un’altra vita. La morte, la finitezza, sono misteri che pongono domande: «La perdita è uno dei temi
della condizione umana — riflette
Giorgia — forse il più difficile da
elaborare e comunque resta razionalmente ingiustificabile. Ma per assurdo, i momenti di lutto, di un dolore
che appare infinito sono anche occasioni per accedere a risorse personali
ancora sconosciute. Il decidere di sopravvivere e passarci attraverso richiede l’apertura di porte nuove, lo
svelamento di risposte diverse da
quelle in cui credevamo fino a poco
prima. È uno di quei momenti in cui
ci si avvinghia all’anima per ascoltare attraverso di lei l’eco di chi non
c’è, e sentire che la morte non è una
fine ma un passaggio».
Eppure in Amore quanto basta
Giorgia canta il desiderio di sentirsi
«libera da ogni strappo che ho addosso», facendo i conti con un passato il cui peso rischia di diventare
insopportabile, compromettendo il
presente, paralizzando il futuro. Gli
errori, gli sbandamenti, i dolori della
propria vita divengono pietre miliari
di un cammino duro, ma necessario,
volto alla costruzione di un’individualità finalmente decisa a spiccare
il volo: «Il passato, o meglio le
esperienze fatte, ovviamente aiutano
a definirci. Voltarsi indietro e guardare può rafforzare, ma può anche
essere l’inizio di una libertà nuova:
libertà da ciò che si è stati prima,
una libertà comunque all’insegna del
cambiamento. Il sentirsi “liberi dagli
strappi addosso” è questo: corrisponde cioè a quei rari momenti di
grazia in cui il passato diventa spinta e non àncora. Davvero rari!». Il
cambiamento, al centro di Credimi si
cambia, ha come suo motore l’amore:
«Sempre si cambia per amore —
commenta Giorgia — ma non necessariamente per amore verso qualcun
altro, bensì per uno stato di amore
cellulare direi, che non ha pretese e
non ha giudizio, ma che ci appartiene intimamente». Un amore disinteressato, fraterno, smisurato, che non
è solo un sentimento, ma una virtù,
uno stato spirituale: un amore gratuito da parte di chi dona se stesso,
senza prevedere o pretendere nulla
in cambio, ed è perciò incondizionato e assoluto. Una postura esistenziale che richiede un atteggiamento, non sempre scontato, di ascolto e di apertura: «Credimi si cambia /
Ogni cosa che sfiori ti cambia / Ogni voce che sogni
nel buio/ Ti parla». Continua Giorgia: «A volte abbiamo il coraggio di morire
e rinascere nel percorso di
una vita, di distruggere e ricostruire la nostra personalità, a volte riusciamo, nel
caos della vita quotidiana, a
coltivare la nostra vita interiore, a volte intuiamo di essere parte di un tutto, a volte, cioè in quelle occasioni
che generano terreno fertile
per la capacità di credere,
riusciamo ad affidarci, senza
pretesa o condizioni. È in
quel momento che guardiamo alla realtà relativizzandola all’insegna di un senso
più grande». Il bisogno di
affidamento diviene centrale
per mettersi radicalmente in gioco,
rompendo così le chiusure di un ego
barricato in se stesso, nelle proprie
sterili ma coriacee convinzioni, incapace dunque di aprirsi per accogliere
l’altro. «La parola “credo” — spiega
Giorgia — con le sue implicazioni è
forse una delle più difficili da pronunciare in questo tempo, dove i valori cambiano di continuo e in cui a
volte vale tutto e niente vale. La capacità di credere, di provare fede in
sé, nell’altro, nell’oltre, è invece una
conquista. Nel mio caso, questo è un
passaggio fondamentale con cui mi
confronto ogni giorno; un passaggio
che richiede un processo di rinascita,
frutto della conoscenza e anche della
messa in discussione di sé: e come
ogni nascere, porta con sé un’immancabile sofferenza».
Giorgia è mamma di un bambino
di 7 anni, che ogni giorno accompagna e riprende a scuola, insieme al
suo compagno, senza delegare mai a
tate o nonni. Più che mai, dopo la
nascita di suo figlio, la necessità di
ridefinire i propri desideri e scopi le
si è rivelata pressante: «Quando arriva un figlio, tutto si scompone, le
priorità cambiano radicalmente e bisogna dunque reimpostarsi come
persona. Un figlio lo richiede, perché sa arrivare nei punti più fragili e
incerti di te; bisogna riprogrammare
anche la vita di coppia, che non sarà
più quella di prima, ma sarà una vita rinnovata, spesa nel grande privilegio di assistere alla crescita di una
persona nuova». Di nuovo ricorre
nelle parole di Giorgia, come anche
nei suoi testi, l’intuizione di un «arretramento personale» come possibilità di crescita e di maturazione. La
nascita di un figlio o la volontà di
vivere un rapporto di coppia solido
e duraturo (come in Scelgo ancora
te), la costringe a ridefinire la portata della propria libertà, constatando
come questa si realizzi solo in relazione alla libertà delle persone amate: «Sono cresciuta con due genitori
folgorati da un amore passionale e
contraddittorio, che a volte si trasformava in una guerra; da qui ho
capito invece che l’amore richiede
impegno, volontà, scambio alla pari.
In un’ottica forse molto femminile,
penso che ci si debba rinnamorare di
continuo della stessa persona, e che
non si debba mai darla per scontata:
il tempo che passa è un valore aggiunto al rapporto solo se diviene
un’occasione quotidiana di rinnovare
la promessa, e a volte ciò non è facile mentre la vita corre».
In tutto l’album di Giorgia si dispiega a gran voce una critica allo
stile e ai ritmi di vita della società
attuale basata su falsi valori,
sull’egoismo,
sull’avere
anziché
sull’essere, come nella canzone Vanità: «Vanità racconta appunto le cose
vane, le illusioni a cui ci appendiamo per sentirci accettati o integrati
in una società che vive di modelli di
inconscio collettivo, e ne siamo vittime anche senza accorgercene, tanto
che anche la spiritualità viene travolta dalle “esigenze del mercato” o diventa strumento di potere: l’amore
viene facilmente confuso con altro,
ma poiché continua a essere chiamato amore, diventa un imbroglio». Il
titolo dell’album, Oronero, ben stigmatizza il concetto che ciò che nasce
come risorsa può diventare invece
veleno: «Così come il petrolio è risorsa per la terra, ma usato male diventa potere, guerra e morte, così la
relazione con gli altri, che nasce come scambio gratuito, diventa veleno
se, nell’illusione di elevare noi stessi,
giudichiamo l’altro, lo distruggiamo». Come acrobati dà voce alla reazione di Giorgia a questo stato di
cose: qui la percezione di una precarietà esistenziale è unita alla fiducia
nelle proprie forze e il bene provato
è frutto di un entrare in relazione
(«Sarò sole e vento tra la gente che
si sente sola»). Il proprio talento artistico, lungi da essere vissuto come
vanità e autoreferenzialità, viene
messo al servizio delle altre persone:
«Avere un dono comporta responsabilità e libertà. Responsabilità di sviluppare questo dono, farlo progredire, e libertà di esprimersi. Per questo
ogni lavoro interiore influisce sulla
mia espressione artistica e la alimenta. Comunque quando compongo,
non mi fermo a pensare a un probabile influsso sui pensieri degli altri,
altrimenti mi blocco dalla paura di
sbagliare e sbagliare è inevitabile!
Spero solamente, con tutte le mie
forze, di riuscire ogni tanto a provocare un’emozione, e questo si può
definire dono, il dono di cui si è tramite, non proprietari».
Le canzoni di Giorgia nascono nei
modi più vari: «Parto da un beat di
basso e batteria e ci faccio sopra una
melodia, oppure riadatto canzoni in
inglese, oppure lavoro su basi di altri, o ancora su accordi di pianoforte
che suono d’istinto. Lavoro anche
col mio compagno e con lui c’è una
grande sinergia». Eppure esiste un
momento in cui il potere creativo e
la spinta comunicativa delle sue canzoni raggiungono l’apice: «La vera
magia succede quando in qualche
misterioso modo ci si ritrova connessi con l’alto, per cui si diventa strumenti di qualcosa di già scritto che
va colto con un volo d’anima senza
la mente, e allora sai che nella canzone c’è qualcosa che dev’essere raccontata. Per parlare di noi, di come
soffriamo i sentimenti, del tempo
che viviamo, dell’ansia che condividiamo, e della speranza che, anche
davanti alle peggiori brutture, l’essere umano possa ritrovare se stesso».
La Civiltà Cattolica
parlerà spagnolo
Varcherà l’Atlantico con un’edizione iberoamericana, e dunque
sarà pubblicata in spagnolo, la
storica rivista dei gesuiti italiani
«La Civiltà Cattolica». A presentare l’iniziativa a Roma saranno,
il 9 febbraio alle 18 nella sede
dell’ambasciata di Spagna presso
la Santa Sede, il gesuita Antonio
Spadaro, direttore della testata,
Raimund Herder, editore della
nuova pubblicazione, e la giornalista Elisabetta Piqué. Fondata
nel 1850 a Napoli, «La Civiltà
Cattolica» è sempre stata scritta
da gesuiti. Dagli anni del concilio
Vaticano II, la rivista è stata diretta da Roberto Tucci, Bartolomeo
Sorge e GianPaolo Salvini.
Un progetto di catechismo teatrale
di SILVIA GUIDI
eatro, scuola di incarnazione,
luogo privilegiato in cui «le
parole si alzano in piedi» (Fabrizio Gifuni) diventano tridimensionali e si tramutano in esperienza
concreta sia per chi recita che per chi
guarda e ascolta; uno strumento comunicativo tanto semplice quanto efficace.
Non è certo una scoperta recente nella
storia della Chiesa: dai dialoghi di Rosvita, monaca dell’abbazia di Gander-
T
Il lavoro in scena è un habitat ideale
per favorire tra i ragazzi
una vera dinamica di gruppo
Se sono fieri dello spettacolo
inviteranno anche i loro amici
sheim nella Sassonia del X secolo, che
recitava i suoi testi ad alta voce per
l’edificazione delle consorelle, al teatro
dei gesuiti nel Seicento, dai presepi viventi che vengono allestiti in tutto il
mondo durante l’Avvento alle rappresentazioni contemporanee di testi profondamente drammatici e profondamente cristiani come L’annuncio a Maria di
Paul Claudel o il Miguel Mañara di
Oscar Milosz, una mise-en-scène ispirata
dalla fede è sempre stata considerata
uno strumento pedagogico di forte impatto. Superando nei secoli diffidenze,
Impresari per conto di Dio
perplessità, divieti, aperture eccessive e
acritiche, le mode più disparate e i più
vari corsi e ricorsi storici ma mai sparendo del tutto dall’orizzonte dell’evangelizzazione cristiana.
La stessa celebrazione della Messa, in
fondo, è un concreto “fare memoria” di
un fatto del passato, una sacra rappresentazione sui generis in cui il personaggio evocato si rende materialmente
incontrabile nel sacramento dell’eucaristia. Come amava dire monsignor Lorenzo Albacete, portoricano di origine
ma neworkese di adozione, «non c’è Living Theatre più vivente di questo». E
nessuna performance sperimentale di
estrema avanguardia raggiungerà mai la
forza di provocazione di un Dio che si
è fatto uomo e ha accettato di farsi, letteralmente, mangiare dai suoi.
Fedeli a questo metodo, antico ma
sempre efficace, gli operatori della Missio Luxembourg hanno cercato un modo concreto per rilanciarlo. È nato così
il progetto Ad gentes: un kit “chiavi in
mano” per allestire una commedia musicale, dalle tracce audio alle locandine
personalizzabili, dai testi delle canzoni
al vademecum per i formatori che accompagnano e guidano i ragazzi. Un
canovaccio, l’avrebbero chiamato i teatranti del passato, ma in versione 2.0,
disponibile in molte lingue diverse, pensato e accuratamente progettato nei particolari per far riflettere i ragazzi su te-
mi come il perdono, il battesimo, la
condivisione, e insieme far fiorire la loro
creatività. Tre i punti fermi da tenere
presenti durante il percorso: la motivazione al lavoro, l’attenzione a calamitare
costantemente idee, energie e interesse,
una modalità di realizzazione che non
perda mai di vista la formazione umana
integrale secondo la visione cristiana
dell’uomo e infine l’apertura al mondo,
ovvero la disponibilità a partecipare a
un gesto esplicitamente missionario, per
gli attori come per gli spettatori.
«Credo che questo progetto — scrive
Grégory Turpin, cantante pop molto famoso in Francia, nel sito della Missio
Luxembourg — risponda davvero a una
esigenza attuale. I nostri giovani vogliono poter apprendere tutto sviluppando i
loro talenti artistici. E questo è un habitat ideale per creare una dinamica di
gruppo e rinforzare i legami di amicizia.
Vogliamo davvero che durante le repliche i ragazzi siano sempre più motivati
e fieri del loro spettacolo per invitare i
loro amici. E, così facendo, essere, di
fatto, missionari».
Un anno di spettacoli in Francia, in
Lussemburgo e in Polonia, in occasione
dell’ultima giornata mondiale della gioventù, ha dimostrato che l’idea, sul capo, funziona. In Argentina, molti gruppi sono già al lavoro sui testi tradotti in
spagnolo, mentre già molte parrocchie
usano il kit per far allestire la commedia
musicale dai ragazzi che si preparano
alla cresima. In cantiere c’è una trasferta
di tutto il gruppo in Bénin, Paese africano francofono, prevista per luglio,
grazie alla disponibilità del vescovo di
Djougou Paul Kouassivi Vieira.
«La musica — spiega l’abate Maurice
Réporté, direttore nazionale della Mis-
sio Luxembourg — è un mezzo eccellente per raggiungere i giovani e anche i
meno giovani. Lo spettacolo presenta
temi che hanno un posto importante
nella vita quotidiana delle persone nei
cinque continenti. E permette ai ragazzi
di mettere in gioco i loro talenti e di essere testimoni del Vangelo in modo
semplice ma autentico». Un’occasione
anche per i catechisti, chiamati a diventare impresari “per conto di Dio”.
Una foto tratta da uno degli spettacoli del progetto Ad gentes
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
lunedì-martedì 6-7 febbraio 2017
Conclusa la visita del segretario di Stato nel paese africano
WASHINGTON, 6. «Moralmente
ingiusto» e «religiosamente pericoloso». Così il board of directors della Catholic Theological
Society of America definisce,
chiedendone il ritiro, il recente
discusso ordine esecutivo con
cui il presidente statunitense
Donald Trump ha imposto un
severo di giro di vite alla normativa sull’immigrazione che, come
è noto, presenta ferree limitazioni degli ingressi da alcuni paesi
a maggioranza islamica. Un’altra voce autorevole dunque,
quella dell’associazione nazionale dei teologi cattolici, che si aggiunge a quelle dei tanti presuli,
della Conferenza episcopale e di
numerose organizzazioni religiose, in particolare ebraiche. Voci
che si sono levate contro un
provvedimento, in queste ore
anche al centro di scontro legale
nelle aule di giustizia, considerato fortemente lesivo della dignità umana e contro il quale si sono verificate imponenti proteste
di piazza.
Per la Catholic Theological
Society, una delle maggiori organizzazioni teologiche mondiali, che conta oltre 1300 membri,
l’ordine esecutivo della Casa
Bianca si presenta in palese
«contrasto con i valori religiosi
ed etici contenuti nella tradizione cattolica», perché, viene sottolineato, «la nostra fede ci
chiama ad accogliere lo straniero». L’importanza di questo dovere, ricordano i teologi statuni-
Pace e unità
per la Repubblica del Congo
Teologi statunitensi sul blocco all’immigrazione
Ingiusto
e pericoloso
tensi, è rimarcato dal fatto che
questo «comando» compare in
non meno di trentasei occasioni
nell’antico Testamento, mentre
nel nuovo Testamento (Matteo,
25, 40 e 45) è Gesù stesso a
identificarsi con la condizione
dello straniero. «La nostra fede
biblica ci chiama a trattare rifugiati e migranti in modo molto
diverso rispetto a quanto fa l’ordine esecutivo», avvertono i teologi. Non solo, «i nostri doveri
verso i rifugiati e gli altri immi-
Critiche anche dall’episcopato di Inghilterra e Galles
La scelta di Washington
mette a rischio i cristiani
LONDRA, 6. Il divieto di ingresso per
i rifugiati di alcuni paesi islamici deciso dal presidente degli Stati Uniti
Donald Trump, «non migliorerà la
sicurezza nel paese e potrebbe mettere a rischio i cristiani in Medio
oriente»: è quanto afferma l’arcivescovo di Westminster e presidente
della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, cardinale Vincent
Gerard Nichols. Secondo il porporato, tale divieto è sostenuto dalla
«falsa idea» che islam e cristianesimo siano in conflitto. In un’intervista rilasciata alla Bbc Radio Four’s
Lettera pastorale
sugli abusi sessuali
in Australia
SYDNEY, 6. La Chiesa in Australia
prova vergogna, si scusa ed è profondamente scossa e umiliata dal
risultato dell’indagine condotta
dalla Royal Commission in merito
ai numerosi casi di abusi sessuali
perpetrati da membri del clero e
da laici. Sarebbero 572 preti, di
cui 384 diocesani, 597 religiosi e
96 religiose accusati di aver commesso abusi ai danni di minori a
partire dal 1950. Le cifre sono state rese note dall’arcivescovo di
Sydney, Anthony Colin Fisher, il
quale, di fronte alla gravità di
queste accuse, verificate in parte
anche da uffici ecclesiastici, ha
diffuso una lettera pastorale nella
quale, oltre appunto a dirsi «scosso» e «umiliato» dai risultati
dell’indagine, avverte come le
prossime settimane «saranno traumatiche per tutte le persone coinvolte, specialmente per le vittime.
Nonostante ciò che sarà — ha affermato il presule — rimango determinato a fare tutto ciò che è
necessario per assistere chi è stato
ferito dalla Chiesa e a lavorare per
una cultura di maggiore trasparenza, affidabilità e sicurezza per tutti i bambini». Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente della
Conferenza episcopale australiana,
l’arcivescovo Denis J. Hart, attraverso un messaggio nel quale ha
ricordato come «Papa Francesco
ha invitato tutta la Chiesa a trovare il coraggio necessario per adottare tutte le misure necessarie» affinché «tali crimini non possano
mai essere ripetuti».
Westminster, il cardinale si è detto
convinto che «il divieto potrebbe
aumentare la determinazione dei terroristi a colpire obiettivi statunitensi.
Credo che, a lungo andare, la sicurezza non sia garantita dalla paura
ma dal miglioramento dei rapporti,
dall’apertura e non dalla chiusura».
Il cardinale Nichols riconosce che
uno dei doveri principali di un politico è quello di proteggere il proprio
paese da ogni minaccia violenta, ma,
ha specificato, «penso che la questione sia come si esercita questo dovere».
grati gravemente a rischio si basano anche sulla convinzione
che ogni uomo, donna e bambino è creato a immagine e somiglianza di Dio e ha una dignità
che deve essere rispettata da tutti». Tanto più, quando coloro
che bussano alle frontiere sono
persone che fuggono dalla guerra o dalla persecuzione: in questi casi vi è un «dovere di fornire assistenza». Un dovere a cui
in passato gli Stati Uniti generalmente non si sono mai sottratti tanto da guadagnarsi l’appellativo di “madre degli esuli”
(the mother of exiles). In questo
senso, avvertono i teologi, il decreto presidenziale contravviene
non solo i valori della fede cristiana ma anche quelli degli Stati Uniti. E tutto ciò, mettono in
guardia, potrebbe avere «un impatto negativo duraturo sulle relazioni degli Stati Uniti con i
popoli del mondo». Così, pur
riconoscendo innegabili esigenze
di sicurezza e di controllo delle
frontiere, si ricorda che «i confini nazionali non potranno mai
costituire dei limiti assoluti ai
nostri doveri morali verso altri
esseri umani». Tanto più, viene
osservato, che l’ordine esecutivo
del presidente Trump costituisce
anche una severa minaccia al
dialogo interreligioso: «Il decreto rischia di minare i nostri sforzi per migliorare la comprensione reciproca tra cristiani e musulmani».
Con l’atto di consacrazione della
Repubblica del Congo alla Vergine
Maria, al termine della messa celebrata sabato 4 febbraio nella basilica
nazionale di Sant’Anna a Brazzaville, si è conclusa la visita del cardinale Pietro Parolin nel paese africano.
La solenne cerimonia è stata trasmessa in diretta televisiva su tutto
il territorio. Insieme con il segretario di Stato hanno concelebrato il
nunzio apostolico, l’arcivescovo
Francisco Escalante Molina, tutti i
vescovi del paese e 150 sacerdoti. Alla presenza di circa tremila fedeli,
che gremivano l’interno e l’esterno
dell’enorme chiesa, la messa è stata
celebrata col formulario della Madonna patrona del paese. Hanno
partecipato il presidente Denis Sassou N’Guesso; il primo ministro
Clemente Mouamba, con il governo; il presidente del senato, quello
dell’Assemblea parlamentare, senatori, deputati, il prefetto di Brazzaville, il corpo diplomatico e autorità
militari.
L’omelia del porporato è stata
più volte interrotta da applausi, soprattutto quando ha fatto riferimento alla giustizia e alla pace. Commentando le letture (Ebrei 13, 15.2021; 1 Corinzi 13, 1-9; Marco 6, 30-34)
il celebrante ha infatti esortato a
«vivere in pace e nel dialogo; a coltivare la tenerezza di Dio, la sua
compassione e non il risentimento e
l’odio, la condivisione e non l’egoismo, l’unità e non la divisione o il
tribalismo, la solidarietà e non l’indifferenza». Il Congo, ha aggiunto,
è un paese benedetto con incredibili
risorse naturali e umane, ma ha anche bisogno di tanto amore, un
amore come quello di Cristo «capace di resistere alla tentazione dell’indifferenza, e che considera il bene
altrui come il proprio». Perché, ha
concluso, «il buon cristiano è prima
di tutto uno che si impegna ogni
giorno a camminare con Dio e in
armonia con lui, facendo del bene e
fuggendo dal male».
È seguito il pranzo offerto dall’arcivescovo di Brazzaville, monsignor
Anatole Milandou, presso la propria
residenza. In serata il cardinale Parolin è stato accompagnato all’aeroporto Maya-Maya, da dove è ripar-
Messaggio dei vescovi filippini
Contro la droga con giustizia e verità
MANILA, 6. «Il Signore non gode
della morte del malvagio». Richiamandosi a un celebre passo del profeta Ezechiele, i vescovi delle Filippine hanno rinnovato la loro contrarietà alle brutali modalità di contrasto al traffico e al consumo di
droghe, che rischiano di trasformare
il paese, soprattutto nelle sue aree
più povere e depresse, in una sorta
di «regno del terrore». È quanto si
sostiene nella lettera pastorale, letta
domenica in tutte le chiese, che interviene nell’acceso dibattito sulla
liceità delle esecuzioni extragiudiziali — che in sei mesi hanno procurato la morte di circa settemila persone fra presunti spacciatori e con-
sumatori di droga — come pure
sull’introduzione della pena capitale, sostenuta apertamente dal presidente Rodrigo Duterte. Una presa
di posizione che ricalca quanto già
espresso in numerose altre occasioni
dallo stesso episcopato. Solo pochi
giorni fa, riuniti a Manila per la
consueta assemblea plenaria, i presuli hanno ribadito senza mezzi termini, e suscitando la reazione risentita degli organi governativi, che
«affrontare la violenza con la violenza non risolverà nulla».
Nel documento letto nel corso
delle celebrazioni domenicali e firmato dal presidente dell’episcopato,
l’arcivescovo di Lingayen-Dagupan,
Socrates B. Villegas, i presuli filippini esprimono dunque forte preoccupazione per le modalità di questa
campagna antidroga. Certo, affermano, «questo traffico di droghe illegali deve essere fermato e superato», tuttavia «la soluzione non sta
nell’uccisione dei tossicodipendenti
e dei presunti spacciatori». Allo
stesso tempo, viene espressa preoccupazione anche per un certo silenzio dell’opinione pubblica — «è
considerato come normale, e, ancora peggio, come qualcosa che deve
essere fatto» — che rischia di assecondare comportamenti fortemente
lesivi della dignità umana. «Anche
noi, come molti nostri connazionali
vogliamo il cambiamento. Ma il
cambiamento deve essere guidato
dalla verità e dalla giustizia», avvertono i vescovi.
Di qui anche il richiamo preciso,
in sette punti, di alcune fondamentali norme etiche. «Insegnamenti —
affermano — che sono radicati nel
nostro essere umani, nel nostro essere filippini e nel nostro essere cristiani». In primo luogo l’intangibilità della vita umana. «La vita di
ogni persona — ribadiscono — viene
da Dio. È lui che la dona, ed è solo
lui che la può riprendere. Nemmeno il governo ha il diritto di uccidere la vita, perché è solo amministratore e non il proprietario della vita». E se la possibilità di redimersi
e di cambiare vita «è sempre possibile per ogni persona», i presuli ricordano anche che «ogni persona
ha diritto a essere considerata innocente fino a prova contraria».
tito alla volta di Roma dopo la cerimonia di congedo allestita dal Protocollo del ministero degli affari
esteri.
Si è così conclusa la permanenza
del porporato nel paese africano,
che nella mattinata di venerdì 3,
scortato da un corteo ufficiale della
presidenza della Repubblica, era
stato accompagnato al palazzo del
popolo per incontrare il capo dello
stato. Dopo la solenne accoglienza,
secondo un cerimoniale prestabilito,
è seguito l’incontro col presidente
durato un’ora e mezza. Il cardinale
era accompagnato dal nunzio, dal
desiderio di accelerare il processo di
beatificazione del cardinale Emile
Biayenda (1927-1977). Il cardinale
Parolin, ha risposto al saluto ripercorrendo le tappe fondamentali delle relazioni diplomatiche e il raggiungimento della firma dell’Accordo quadro. Nel tardo pomeriggio
ha visitato la cattedrale di Brazzaville, accolto dall’arcivescovo. L’edificio era gremito di fedeli, presenti
tutti i vescovi congolesi, sacerdoti e
religiose. Dopo un momento di preghiera, il cardinale Parolin ha impartito la benedizione eucaristica e
ha sostato presso la tomba del car-
Il segretario di Stato in preghiera sulla tomba del cardinale Emile Biayenda
vescovo presidente della Conferenza
episcopale Daniel Mizonzo, dall’arcivescovo di Brazzaville e da monsignor Gianfranco Gallone, officiale
della Segreteria di Stato. Erano presenti inoltre il primo ministro, con i
ministri dell’interno, Raymond Zéphirin Mboulou, e degli affari esteri
Jean-Claude Gakosso, e il segretario
generale della Presidenza, Jean Baptiste Ondaye. Durante il colloquio,
sono stati affrontati vari argomenti
di politica internazionale, con riferimento alla situazione in Libia, in
Centrafrica e nella Repubblica democratica del Congo. Sono stati
evidenziati i buoni rapporti esistenti
tra la Chiesa cattolica locale e le autorità dello Stato, rafforzati ora dalla stipula dell’Accordo quadro. Si è
accennato ai quarant’anni delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede e alle istituzioni ecclesiastiche
che lavorano a beneficio della popolazione, in particolare in campo
educativo e sanitario. Il presidente
si è pure soffermato sul conflitto
nella regione del Pool e sulla politica del governo per riportare stabilità
e ordine pubblico e permettere alla
popolazione di vivere tranquillamente. Ha elogiato l’attività del
Pontefice e della Santa Sede per ciò
che fanno per promuovere la pace e
la composizione dei conflitti. Infine,
ha chiesto ufficialmente al cardinale
Parolin che il Papa visiti il Congo
nel suo prossimo viaggio in Africa.
Dopo l’udienza, si è svolta la cerimonia ufficiale della firma dell’Accordo quadro, trasmessa anch’essa
in diretta dalla televisiva nazionale.
È seguito il pranzo ufficiale offerto
dal capo dello stato. Durante il saluto pronunciato dal primo ministro
è stata rivolta al segretario di Stato
la richiesta di reiterare a Papa Francesco i saluti, l’affetto e la devozione di tutto il popolo congolese. Nel
contempo il premier ha espresso il
†
Sua Eminenza il Cardinale Arciprete Agostino Vallini e il Capitolo Lateranense annunciano l’ingresso nella Gerusalemme
Celeste di
Monsignor
OTTAVIO PETRONI
Canonico Lateranense
e, mentre ne ricordano il generoso Ministero sacerdotale, lo affidano alla divina
Misericordia.
Le esequie saranno celebrate martedì 7
febbraio alle ore 15.30 nella Basilica Papale di San Giovanni in Laterano.
dinale Biayenda. Quindi si è recato
nell’antico palazzo episcopale dove
ha visitato le stanze in cui visse il
servo di Dio.
La serata si è conclusa con la visita alla casa gestita dalle suore Minime dei poveri, che accoglie 70 persone anziane indigenti. Le religiose,
a turno, giornalmente fanno la questua nella capitale per poterle sfamare. Tra gli assistiti anche due sacerdoti gravemente ammalati. Il cardinale si è intrattenuto con ciascuno
degli ospiti; e prima di lasciare l’istituto, ricordando le parole del Papa,
ha detto che gli anziani sono come
le radici di un albero: se vengono
esclusi dalla società essa muore. Poi
ha ringraziato le suore per questo
meritorio e prezioso ministero
d’amore.
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 6-7 febbraio 2017
pagina 7
La statua
di Justus Takayama Ukon
a Takatsuki
Presentate la giornata del malato e la Carta per gli operatori sanitari
La cura è un diritto per tutti
«Nuove linee guida chiare per i
problemi etici più scottanti che
si devono affrontare nel mondo
della salute, in armonia con gli
insegnamenti di Cristo e con il
magistero della Chiesa». Ecco
che cosa contiene la nuova Carta degli operatori sanitari presentata lunedì mattina, 6 febbraio,
dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale.
Occasione per illustrarla nei dettagli è stata la presentazione,
nella Sala stampa della Santa
Sede,
della
venticinquesima
giornata mondiale del malato,
che si terrà l’11 febbraio prossimo a Lourdes.
A prendere la parola, anche a
nome del cardinale presidente
Peter Kodwo Appiah Turkson, è
stato monsignor Jean-Marie Mate Musivi Mupendawatu, segretario delegato del dicastero. Con
lui Antonio Gioacchino Spagnolo, professore di bioetica e direttore dell’Institute of bioethics
and medical humanities all’Uni-
Summit alla Casina Pio
IV
Contro
le nuove schiavitù
Il dramma del traffico di organi e il cosiddetto “turismo dei trapianti” sono al
centro del summit che si tiene martedì 7
e mercoledì 8 febbraio nella Casina Pio
IV, sede della Pontificia accademia delle
scienze, che lo ha organizzato.
L’iniziativa si inserisce nel cammino di
riflessione su uno dei temi cari al magistero di Papa Francesco, il quale, denunciando le «nuove forme di schiavitù del
XXI secolo», ha posto in stretto collegamento la tratta delle persone con il traffico di organi. All’incontro partecipano
specialisti provenienti da oltre venti paesi
dei cinque continenti: funzionari statali,
pubblici ministeri, magistrati, ricercatori
e giornalisti che da anni si occupano del
tema, divenuto una vera e propria emergenza sociale. Basti considerare che esso
versità Cattolica, tra i redattori
della nuova Carta, e Alessandro
de Franciscis, presidente dell’ufficio delle constatazioni mediche
di Lourdes, che ha parlato
dell’attualità del messaggio spirituale del santuario, presentando anche il programma della
giornata, istituita da Giovanni
Paolo II nel 1992 e giunta quest’anno a festeggiare il suo giubileo d’argento che, per volontà
di Francesco, sarà celebrato in
forma straordinaria sul tema:
«Stupore per quanto Dio compie: “Grandi cose ha fatto per
me l'Onnipotente...” (Luca 1,
49)». A presiedere le celebrazioni tra il 10 e il 13 febbraio, in veste di legato pontificio, il segretario di Stato cardinale Pietro
Parolin, con l’obiettivo — ha
puntualizzato monsignor Mupendawatu — di dare «un nuovo
slancio alla diffusione di una
cultura rispettosa della vita, della salute e dell’ambiente», che
tuteli tutte le persone, «soprattutto le più deboli».
Un fondamentale contributo
a questo progetto arriva proprio
dalla nuova Carta per gli operatori sanitari, che «è il risultato di
un’opera di revisione e attualizzazione» del precedente documento, pubblicato nel 1995.
Quel vademecum venne «rapidamente tradotto in diciannove
lingue e, per quasi venti anni,
ha costituito il testo base per gli
operatori sanitari». È evidente,
ha fatto presente monsignor
Mupendawatu, che «far arrivare
in tipografia la nuova Carta ha
richiesto diversi anni di lavoro a
un gruppo qualificato di esperti». E presto saranno pronte anche le traduzioni in più lingue.
La Carta «è un valido compendio di dottrina e di prassi,
un testo in cui si è dunque operata una revisione e un aggiornamento». E così «anche i temi
già a suo tempo affrontati vengono illustrati in un linguaggio
più accessibile e attuale, e contengono
un
aggiornamento
scientifico e contenutistico», oltre a essere «accompagnati da
una rivisitazione delle note teologiche del documento».
Tra le novità, il coinvolgimento diretto anche di amministratori e legislatori sulle questioni
centrali della salute; e poi l’introduzione del concetto di «giustizia sanitaria», con la denuncia
della mancanza di assistenza ai
più poveri e la poca attenzione
per le malattie rare e neglette.
Tutti hanno diritto a essere curati: questo il messaggio centrale.
Dal punto di vista dottrinale,
ha spiegato ancora il segretario
delegato, «la nuova Carta riafferma la sacralità della vita e la
sua indisponibilità in quanto
dono di Dio». Gli operatori sanitari «sono ministri della vita
in quanto ne sono servi e sono
chiamati ad amarla e accompagnarla nel percorso esistenziale
del generare, vivere e morire, trinomio tematico dell’indice». E
così ecco presentate tutte le questioni scottanti, a cominciare da
aborto e eutanasia. In sostanza,
ha poi spiegato il professor Spagnolo, «la Carta è stata aggiornata con i pronunciamenti del
magistero e i documenti, usciti
dopo il 1994, tenendo conto delle conquiste della ricerca biomedica e delle nuove realtà sociosanitarie». Divenendo quindi
«un aggiornato strumento per
una seria preparazione e formazione continua, sul piano etico,
degli operatori sanitari».
Dalla spada alla croce
di TONI WITWER*
È stato il più grande “missionario
giapponese” del Cinquecento, il
laico Justus Takayama Ukon che
il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, beatifica il 7 febbraio
a Osaka in rappresentanza di Papa Francesco. Egli infatti ha vissuto la fede cristiana non come
qualcosa di “straniero” ma proprio
da giapponese: da principe di altissimo rango, ha aiutato a inculturare il cristianesimo per mezzo
del suo esempio di vita fino alla
morte in esilio.
Hikogorō, questo il suo nome
giapponese, nacque probabilmente
nel 1552 a Takayama — l’antica sede dell’omonima famiglia cui apparteneva — tre anni dopo l’arrivo
del cristianesimo, introdotto dal
gesuita Francesco Saverio. Apparteneva alla classe alta, i daimyō, signori feudali, governanti che erano al secondo posto dopo lo shogun nel Giappone medievale e
della prima età moderna. I Takayama, che possedevano vaste proprietà, accettarono la presenza dei
missionari e sostennero le loro attività, proteggendoli.
Dal 1558 la famiglia viveva nella
fortezza Sawa, divenuta un centro
cristiano dopo la conversione del
padre Dario. Un missionario
Messa per san Biagio
Martiri contemporanei
Di fronte alle «grandi questioni
della vita», sia personali sia collettive, non basta «esprimersi come se si mettesse un “mi piace”
su una foto»; occorre invece una
testimonianza concreta e coraggiosa, come è stata quella degli
antichi martiri e come è quella
dei martiri contemporanei.
La celebrazione della memoria
liturgica di san Biagio, il 3 febbraio, è stata occasione per il
cardinale Leonardo Sandri di ricordare quanti «nelle terre provate dell’Oriente, soffrono violenza e versano il loro sangue
per il nome di Gesù»; ma anche
per richiamare quei testimoni
che, «compiendo il loro dovere
quotidiano con abnegazione, sono giunti persino a perdere la vita», come, per esempio, «gli
figura nell’agenda dell’O rganizzazione
mondiale della sanità da circa trent’anni.
Al termine dei lavori, suddivisi in sei
gruppi su base territoriale (America,
Africa, Europa, Mediterraneo orientale,
Pacifico occidentale e sud est asiatico),
verrà redatta una dichiarazione. «Il traffico di organi — sottolinea la Pontificia
accademia — viola i principi di giustizia,
uguaglianza e rispetto della dignità umana». Esso «è diventato anche una forma
di schiavitù che sfrutta i lavoratori in
condizioni di povertà, le popolazioni migranti, i rifugiati in fuga dai genocidi
commessi nei loro paesi di origine, i prigionieri giustiziati e i minori. In una parola: i diseredati e gli esclusi».
Secondo statistiche presentate al Papa
nel 2014, sono circa un milione gli interventi di trapianti di organi effettuati, ma
di questi quelli davvero necessari sono
appena il 10 per cento (120.000). La
maggior parte riguarda i reni, che costituiscono il 75 per cento del commercio
illegale, seguiti da fegato, cuore, polmoni, pancreas e intestino.
In Giappone la beatificazione di Justus Takayama Ukon
eroici soccorritori dei nostri
fratelli e sorelle provati dai terremoti e da altre calamità naturali». Avvenimenti sismici che, tra
l’altro, hanno toccato pesantemente la stessa chiesa romana
della diaconia dei Santi Biagio e
Carlo ai Catinari, costringendo il
porporato a celebrare la messa in
un locale allestito ad aula liturgica.
La riflessione del prefetto della
Congregazione per le Chiese
orientali ha preso le mosse dalla
testimonianza del martire Biagio
«che ha sopportato atroci torture
e violenze prima del colpo mortale», con una resistenza «animata dalla fede» in Dio che «non
delude mai».
Seguendo l’esempio del santo
guaritore, ha detto il porporato,
Lutto nell’episcopato
Monsignor Carmelo Cassati, arcivescovo emerito di Trani-BarlettaBisceglie, è morto il 3 febbraio. Il compianto presule era nato in Tricase, nella diocesi di Ugento - Santa Maria di Leuca, il 6 aprile 1924,
ed era stato ordinato sacerdote dei missionari del Sacro Cuore di Gesù il 17 dicembre 1949. Inviato in Brasile e in Perú, in quest’ultimo
paese era divenuto segretario del nunzio apostolico, poi cardinale,
Giovanni Panico. Tornato in missione in Brasile nel 1970, il 27 aprile
di quell’anno era stato eletto alla Chiesa titolare di Nova Germania e
nel contempo nominato ausiliare del prelato di Pinheiro. Aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 28 giugno e il 17 giugno
1975 era divenuto prelato di Pinheiro, rinunciando alla Sede titolare
di Nova Germania il 26 maggio 1978. Rientrato in Italia per motivi
di salute, il 12 febbraio 1979 gli era stata assegnata la diocesi lucana
di Tricarico. Successivamente, il 7 settembre 1985, era stato trasferito
alle diocesi pugliesi di Lucera e di San Severo. A seguito della riorganizzazione territoriale della Chiesa italiana, il 30 settembre 1986
aveva rinunciato a Lucera, mantenendo la guida di San Severo fino
al 1990, anno in cui, il 15 dicembre, era stato promosso a Trani-Barletta-Bisceglie. Il 13 novembre 1999 aveva rinunciato al governo pastorale dell’arcidiocesi. Le esequie sono state celebrate nel pomeriggio di lunedì 6 febbraio, alle ore 16, nella chiesa parrocchiale della
Natività di Maria Vergine in Tricase, dall’arcivescovo Francesco Cacucci, presidente della Conferenza episcopale pugliese.
occorre chiedersi «dove stiano le
nostre radici, su quale roccia
stiamo decidendo ogni giorno di
appoggiare la nostra vita, a quale
sorgente cerchiamo con tutte le
nostre forze di abbeverarci».
Anche perché, ha concluso,
«intorno a noi c’è tanta confusione, a livello internazionale e
locale, tante voci che insinuano
per dividere o per offendere, e
forse troppo poche per incoraggiare e costruire».
istruiva nella fede la famiglia e
suoi sudditi. Justus ricevette il
battesimo a dodici anni, insieme
alla madre, ai fratelli e ad altre 150
persone. Tuttavia, crebbe comunque con la mentalità del guerriero
e nel 1573 si batté in duello uccidendo l’avversario e riportando ferite che lo costrinsero a letto. Durante la convalescenza poté riflettere sul senso profondo della vita.
Intanto, a causa di conflitti, la
famiglia dovette porsi al servizio
di Wada Koremasa e si trasferì a
Takatsuki. Dopo la rinuncia del
padre al dominio, Justus divenne
sovrano di Takatsuki. Nel 1574 si
sposò con Justa: ebbero cinque figli e cinque nipoti.
La sua fede fu messa a dura
prova quando, a causa di un conflitto tra signori, fece qualcosa di
impensabile per un guerriero: invece di gettarsi nella battaglia,
cercò di limitare le perdite il più
possibile e di negoziare la pace.
Presentandosi disarmato all’avversario, Ukon rinunciò a se stesso e
si affidò completamente a Dio.
Il prendere coscienza della situazione in cui si trovava e l’aver
sperimentato la propria impotenza
gli permisero di approfondire la
fiducia nel Signore e lo resero in
modo crescente capace di rinunciare alla propria posizione,
all’onore e alla vita stessa. Lo trasformarono da guerriero abituato
a lottare come un eroe, in un uomo disposto a offrire se stesso per
gli altri, capace di amare secondo
l’esempio di Cristo. Grazie a questa seconda conversione Justus Takayama Ukon divenne un “missionario” che sapeva convincere non
solo con le parole e le opere, ma
anche con la condotta di vita,
dando onore al proprio nome
“Giusto”. Al punto che i giapponesi chiamarono il cristianesimo la
“legge di Takayama”.
Per favorire la crescita della fede, si impegnò nella fondazione
di seminari per la formazione di
missionari e catechisti nativi, prima ad Azuchi, poi nella residenza
di Takatsuki e infine a Osaka. La
maggioranza dei seminaristi venivano dalle famiglie dei suoi sudditi. Tra loro san Paolo Miki e compagni martiri, la cui memoria si
celebra il 6 febbraio.
Il cardinale Ribat ha preso possesso
del titolo
di San Giovanni Battista de’ Rossi
Nella mattina di domenica, 5
febbraio, il cardinale John
Ribat, arcivescovo di Port
Moresby in Papua Nuova Guinea, ha solennemente preso possesso del titolo di San Giovanni
Battista de’ Rossi.
Davanti alla chiesa
romana in via Cesare
Baronio il porporato è
stato accolto dal parroco, monsignor Mario
Pecchielan, che gli ha
presentato il crocifisso
per il bacio e la venerazione. Il rito è stato
preceduto da una processione ispirata ai ritmi tradizionali dei popoli dell’Oceania, animata dai missionari del
Sacro Cuore di Gesù,
confratelli del cardinale
Ribat, e dai suoi connazionali residenti a
Roma. All’interno della
chiesa parrocchiale il
porporato ha presieduto l’Eucaristia. Hanno
concelebrato il vescovo di Bereina, monsignor Rochus Josef Tatamai, e una ventina di sacerdoti, tra i quali il parroco. Ha diretto il rito monsignor Massimiliano Matteo Boiardi, cerimoniere pontificio.
Grazie alle attività missionarie e
sociali di Justus, il numero dei cristiani nel dominio di Takatsuki,
con circa 30.000 abitanti, aumentò
da 600 nel 1576 a 25.000 nel 1583:
in pratica la maggioranza del popolo. A lui si deve anche la fondazione della chiesa nella città di
O saka.
Particolarmente grande fu l’influsso di Justus sulla conversione
di amici e nobili. Nella cerimonia
del tè, che approfondisce il legame dell’amicizia e, quindi, il livello orizzontale, egli includeva la
dimensione verticale che conduce
all’unione con Dio e in lui.
Il trasferimento di Justus in un
altro feudo aprì nuove possibilità
di evangelizzazione cosicché, dal
1585 al 1587, furono battezzate alcune migliaia di persone. Ma
l’editto di proibizione della religione cristiana, per cui nel 1587 fu
ordinata l’espulsione dei missionari dal Giappone, interruppe la sua
feconda attività. A Justus fu richiesto di abbandonare la fede;
ma egli preferì lasciare il feudo e
subire l’espulsione. Si rifugiò
nell’isola di Shodoshima e un anno più tardi fu consegnato alla
custodia di Maeda Toshiie, al servizio del quale rimase per i successivi 25 anni. A motivo dei meriti nelle battaglie, nel 1592 Justus
fu riabilitato. Dopo la morte di
Maeda Toshiie, servì il figlio Maeda Toshinaga. Ritiratosi dopo il
1600 secondo l’usanza giapponese,
egli non portava più il titolo nobile Ukon-no-tayu ma il nome
Tōhaku o Minami-no-bō, il nome
del maestro della cerimonia del tè.
Su desiderio di Justus, nel 1603
venne eretta la nuova residenza
dei gesuiti a Kanazawa ed egli
continuò a promuovere le attività
missionarie nelle province del
nord fino al 1614.
Il 14 febbraio di quell’anno, infatti, Justus Takayama e i suoi
amici cristiani furono esiliati anche da Kanazawa: se non avessero
abbandonato la fede cristiana, sarebbero stati deportati. L’espulsione dalla patria e il cammino faticoso in esilio a Manila fecero ulteriormente progredire Ukon nella
fede. Malgrado tutte le sofferenze
e le difficoltà, l’ultimo anno della
sua vita fu decisivo per trasformarlo in un “vero martire”, come
lo venerano i cristiani giapponesi.
Durante questo tempo egli nutrì
la speranza del martirio per morte
violenta. Era certo che sarebbe
stato ucciso e aspettava la fine con
grande serenità. La navigazione
verso le Filippine e l’esilio a Manila furono il tempo in cui Dio gli
fece capire la differenza tra il desiderio attivo del martirio e l’essere
esposto passivamente a condizioni
che solo lentamente conducono
alla morte. Ukon comprese che
Dio gli chiedeva l’offerta della vita, nella forma del “martirio prolungato” dell’esilio. Sfinito dopo
le fatiche del cammino e la navigazione di 43 giorni da Nagasaki
a Manila, morì il 3 febbraio 1615,
quaranta giorni dopo l’arrivo.
*Postulatore generale dei gesuiti
Possesso
cardinalizio
Il cardinale albanese Ernest Simoni prenderà possesso della diaconia di Santa Maria della Scala, sabato 11 febbraio. Ne dà comunicazione l’Ufficio delle Celebrazioni
liturgiche del Sommo Pontefice
specificando che la celebrazione
avrà luogo alle 18 nella chiesa romana di piazza della Scala, 23.
L’OSSERVATORE ROMANO
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lunedì-martedì 6-7 febbraio 2017
Messa a Santa Marta
Due meraviglie
Con la certezza che «Dio lavora
sempre», non bisogna aver paura di
vivere il dono dell’amore e della libertà, mettendo da parte una volta
per tutte le false sicurezze che vengono dalle rigidità. È il suggerimento spirituale proposto dal Papa nella
messa celebrata lunedì mattina 6
febbraio nella cappella della Casa
Santa Marta.
Per la sua meditazione, Francesco
ha preso le mosse dal salmo 103, nel
quale, ha fatto notare, «abbiamo lodato il Signore» dicendo: «Sei tanto
grande, Signore, mio Dio! Sei tanto
grande!». Un salmo che, ha affermato, «è stato un canto di lode: lodiamo il Signore per le cose che abbiamo sentito in ambedue le letture,
per la creazione, tanto grande; e,
nella seconda lettura, per la ri-creazione, ancora più meravigliosa della
creazione, che fa Gesù». Il riferimento è appunto ai testi proposti
dalla liturgia della parola, tratti dal
libro della Genesi (1, 1-19) e dal vangelo di Marco (6, 53-56). Il Papa ha
spiegato che «il Padre lavora» e lo
stesso «Gesù dice: “Mio Padre opera
e anch’io opero”. È un modo di dire
“lavoro”, ad instar laborantis, come
uno che lavora, come precisa
sant’Ignazio negli esercizi» (cfr.
Esercizi spirituali 236).
E così «il Padre lavora per fare
questa meraviglia della creazione —
ha proseguito Francesco — e per fare
col Figlio questa meraviglia della ricreazione; per fare quel passaggio
dal caos al cosmo, dal disordine
all’ordine, dal peccato alla grazia».
E «questo è il lavoro del Padre e per
questo noi abbiamo lodato il Padre,
il Padre che lavora».
«Ma perché Dio ha voluto creare
il mondo?»: questa fa parte delle
«domande difficili», ha riconosciuto
il Papa. Confidando anche che,
«una volta, un bambino mi ha messo in difficoltà perché mi ha fatto
questa domanda: dimmi, padre, cosa
faceva Dio prima di creare il mondo,
si annoiava?». Sicuramente «i bambini sanno fare le domande — ha aggiunto il Papa — e fanno le domande giuste e ti mettono in difficoltà».
Per rispondere a quel bambino, ha
raccontato Francesco, «il Signore mi
ha aiutato e ho detto la verità: Dio
amava, nella sua pienezza amava;
nella sua comunicazione, fra le tre
Persone, amava e non aveva bisogno
di più». È una risposta che, ha proseguito il Pontefice, suscita un’altra
domanda: ma se Dio «non aveva bisogno, perché ha creato il mondo?».
Ma questa è una questione, ha confidato ancora Francesco, posta non
da un bambino ma che «si facevano
i primi teologi, i grandi teologi, i
primi». Dunque, perché Dio «ha
creato il mondo?». La risposta da
dare è questa: «Semplicemente per
condividere la sua pienezza, per avere qualcuno al quale dare e col quale
condividere la sua pienezza». In una
parola, «per dare».
«La stessa domanda — ha detto
ancora il Papa — possiamo farla nella ri-creazione: perché lui ha inviato
suo Figlio per questa opera di ricreazione?». Lo ha fatto «per condividere, per ri-sistemare». E «così
nella prima creazione, come nella seconda, lui fa del caos un cosmo, del
brutto un bello, dell’errore un vero,
del cattivo un buono». Proprio
«questo è il lavoro di creazione che
è di Dio e lo fa artigianalmente». E
«in Gesù si vede chiaramente: col
suo corpo dà la vita totalmente».
Tanto che «quando Gesù dice: “Il
Padre sempre opera e anche io opero sempre”, i dottori della legge si
scandalizzarono e volevano ucciderlo
perché non sapevano ricevere le cose
di Dio come dono», ma «soltanto
come giustizia», arrivando persino a
pensare: i comandamenti «sono pochi, facciamone di più!».
Così, ha proseguito Francesco,
«invece di aprire il cuore al dono, si
sono nascosti, hanno cercato rifugio
nella rigidità dei comandamenti, che
loro avevano moltiplicato fino a cinquecento o più: non sapevano ricevere il dono». Del resto, ha detto il
Pontefice, «il dono soltanto si riceve
con la libertà», ma «questi rigidi
avevano paura della libertà che Dio
ci dà; avevano paura dell’amore». E
per questo volevano uccidere Gesù,
«perché ha detto che il Padre ha fatto questa meraviglia come dono: ricevere il dono del Padre!».
«Sei grande Signore, Ti voglio
tanto bene, perché mi hai dato que-
sto dono, mi hai salvato, mi hai
creato»: questa, ha affermato il Papa, «è la preghiera di lode, la preghiera di gioia, la preghiera che ci
dà l’allegria della vita cristiana». E
«non quella preghiera chiusa, triste,
della persona che mai sa ricevere un
dono perché ha paura della libertà
che sempre porta con sé un dono».
E così, alla fine, «sa fare soltanto il
dovere, ma il dovere chiuso: schiavi
del dovere, ma non dell’amore». Invece «quando tu diventi schiavo
dell’amore sei libero: è una bella
schiavitù, ma questi non capivano».
Ecco dunque, ha affermato Francesco, le «due meraviglie del Signore: la meraviglia della creazione e la
meraviglia della redenzione, della ricreazione; quella dell’inizio del mondo e quella, dopo la caduta dell’uomo, di ripristinare il mondo e per
questo ha inviato il Figlio: è bello!».
Certo, «possiamo domandarci come
io ricevo queste meraviglie, come io
ricevo questo che Dio mi ha dato —
la creazione — come un dono». E
«se lo ricevo come un dono, amo la
creazione, custodisco il creato perché
è stato un dono».
Insomma, ha insistito Francesco, è
opportuno domandarsi «come io ricevo la redenzione, il perdono che
Dio mi ha dato, il farmi figlio con
suo Figlio, con amore, con tenerezza, con libertà». Senza mai nascondermi «nella rigidità dei comandamenti chiusi che sempre, sempre, sono più sicuri — fra virgolette — ma
non ti danno gioia, perché non ti
fanno libero». Ognuno di noi — è il
suggerimento del Papa — «può domandarsi come vive queste due meraviglie: la meraviglia della creazione
e l’ancora più meraviglia della ricreazione». Con la speranza «che il
Signore ci faccia capire questa cosa
grande e ci faccia capire quello che
lui faceva prima di creare il mondo:
amava. Ci faccia capire il suo amore
verso di noi e noi possiamo dire —
come abbiamo detto oggi — “Sei
tanto grande, Signore, grazie, grazie!”». E «andiamo avanti così».
Il Pontefice a una delegazione ecumenica tedesca
Abbiamo lo stesso battesimo
Un invito a «inoltrarsi su percorsi nuovi» per giungere all’unità tra i
cristiani è stato rivolto dal Papa alla delegazione ecumenica della Chiesa
evangelica in Germania, ricevuta in udienza lunedì mattina, 6 febbraio, nella
Biblioteca privata del Palazzo Apostolico vaticano. Ecco le sue parole.
Cari fratelli e sorelle,
con piacere vi do il benvenuto e vi
saluto cordialmente. Ringrazio il
Vescovo regionale Bedford-Strohm
per le sue gentili parole — ein
Mann mit Feuer im Herzen —; e
sono contento della presenza del
Cardinale Marx: che il Presidente
della Conferenza episcopale tedesca accompagni la delegazione
della Chiesa Evangelica in Germania è frutto di una collaborazione
di lunga data ed espressione di un
rapporto ecumenico maturato negli anni. Vi auguro di andare
avanti su questa strada benedetta
di comunione fraterna, proseguendo con coraggio e decisione verso
un’unità sempre più piena. Abbiamo lo stesso Battesimo: dobbiamo
camminare insieme, senza stancarci!
È significativo che, in occasione
del 500° anniversario della Riforma, cristiani evangelici e cattolici
colgano l’occasione della comme-
morazione comune degli eventi
storici del passato per mettere
nuovamente Cristo al centro dei
loro rapporti. Proprio «la questione su Dio», su «come poter avere
un Dio misericordioso» era «la
passione profonda, la molla della
vita e dell’intero cammino» di Lutero (cfr. Benedetto XVI, Incontro
con i Rappresentanti della Chiesa
Evangelica in Germania, 23 settembre 2011). Ciò che animava e inquietava i Riformatori era, in fondo, indicare la strada verso Cristo.
È quello che deve starci a cuore
anche oggi, dopo aver nuovamente intrapreso, grazie a Dio, una
strada comune. Quest’anno di
commemorazione ci offre l’opportunità di compiere un ulteriore
passo in avanti, guardando al passato senza rancori, ma secondo
Cristo e nella comunione in Lui,
per riproporre agli uomini e alle
donne del nostro tempo la novità
radicale di Gesù, la misericordia
Videomessaggio per il Super Bowl
Una cultura dell’incontro
In occasione del Super Bowl, la finale del campionato di football
statunitense giocata il 5 febbraio a Houston, in Texas, il Papa ha
inviato un videomessaggio di cui pubblichiamo il testo in una
traduzione italiana.
I grandi eventi sportivi come il Super Bowl sono altamente
simbolici dimostrando che è possibile costruire una cultura di
incontro e un mondo di pace.
Prendere parte ad attività sportive ci fa andare oltre la nostra
visione personale della vita — e in modo sano — ci fa imparare
il significato del sacrificio, crescere nel rispetto e fedeltà alle regole.
Possa il Super Bowl di quest’anno essere un segno di pace,
amicizia e solidarietà per il mondo. Grazie!
senza limiti di Dio: proprio ciò
che i Riformatori ai loro tempi volevano stimolare. Il fatto che la loro chiamata al rinnovamento abbia
suscitato sviluppi che hanno portato a divisioni tra i cristiani, è stato certamente tragico. I credenti
non si sono più sentiti fratelli e
sorelle nella fede, ma avversari e
concorrenti; per troppo tempo
hanno alimentato ostilità e si sono
accaniti in lotte, fomentate da interessi politici e di potere, talvolta
senza nemmeno farsi scrupolo
nell’usare violenza gli uni contro
gli altri, fratelli contro fratelli. Oggi, invece, rendiamo grazie a Dio
perché finalmente, «deposto tutto
ciò che è di peso», fraternamente
«corriamo con perseveranza nella
corsa che ci sta davanti, tenendo
fisso lo sguardo su Gesù» (Eb 12,
1-2).
Vi sono grato perché, con questo sguardo, avete intenzione di
accostarvi insieme, con umiltà e
franchezza, a un passato che ci addolora, e di condividere presto un
importante gesto di penitenza e di
riconciliazione: una funzione ecumenica, intitolata “Risanare la memoria — testimoniare Gesù Cristo”. Cattolici ed Evangelici in
Germania, potrete così rispondere,
nella preghiera, alla forte chiamata
che insieme avvertite nel Paese originario della Riforma: purificare
in Dio la memoria per essere rinnovati interiormente e inviati dallo
Spirito a portare Gesù all’uomo di
oggi. Con questo segno e con altre iniziative ecumeniche previste
quest’anno — come il comune pellegrinaggio in Terra Santa, il congresso biblico congiunto per presentare insieme le nuove traduzioni della Bibbia e la giornata ecumenica dedicata alla responsabilità
sociale dei cristiani — avete in animo di dare una configurazione
concreta alla “Festa di Cristo” che,
in occasione della commemorazione della Riforma, intendete celebrare insieme. La riscoperta delle
comuni sorgenti della fede, il risanamento della memoria nella pre-
ghiera e nella carità e la collaborazione concreta nel diffondere il
Vangelo e servire i fratelli siano
impulsi a procedere ancora più
speditamente nel cammino.
È grazie alla comunione spirituale rinsaldatasi in questi decenni
di cammino ecumenico, che possiamo oggi deplorare insieme il
fallimento di entrambi a riguardo
dell’unità nel contesto della Riforma e degli sviluppi successivi. Al
tempo stesso, nella realtà dell’unico Battesimo che ci rende fratelli e
sorelle e nel comune ascolto dello
Spirito, sappiamo, in una diversità
ormai riconciliata, apprezzare i doni spirituali e teologici che dalla
Riforma abbiamo ricevuto. A
Lund, il 31 ottobre scorso, ho ringraziato il Signore di questo e ho
chiesto perdono per il passato; per
l’avvenire desidero confermare la
nostra chiamata senza ritorno a testimoniare insieme il Vangelo e a
proseguire nel cammino verso la
piena unità. Facendolo insieme,
nasce anche il desiderio di inoltrarsi su percorsi nuovi. Sempre di
più impariamo a chiederci: questa
iniziativa, possiamo condividerla
con i nostri fratelli e le nostre sorelle in Cristo? Possiamo fare insieme un altro tratto di strada?
Le differenze in questioni di fede e di morale, che tuttora sussistono, rimangono sfide sul percorso verso la visibile unità, alla quale anelano i nostri fedeli. Il dolore
è avvertito specialmente dagli sposi che appartengono a confessioni
diverse. In modo avveduto occorre
che ci impegniamo, con preghiera
insistente e con tutte le forze, a
superare gli ostacoli ancora esistenti, intensificando il dialogo
teologico e rafforzando la collaborazione tra noi, soprattutto nel servizio a coloro che maggiormente
soffrono e nella custodia del creato minacciato. La chiamata urgente di Gesù all’unità (cfr. Gv 17, 21)
ci interpella, come pure l’intera famiglia umana, in un periodo in
cui sperimenta gravi lacerazioni e
nuove forme di esclusione e di
emarginazione. Anche per questo
la nostra responsabilità è grande!
Nella speranza che questo incontro accresca ulteriormente la
comunione tra noi, chiedo allo
Spirito Santo, artefice e rinnovatore di unità, di fortificarvi nel cammino comune con la consolazione
che viene da Dio (cfr. 2 Cor 1, 4) e
di indicarvi le sue vie profetiche e
audaci. Invoco di cuore la benedizione di Dio su tutti voi e sulle
vostre comunità e vi chiedo, per
favore, di ricordarmi nella preghiera. Vi ringrazio tanto e vi vorrei
invitare ora a pregare insieme il
Padre Nostro.
All’Angelus il Papa invoca una società accogliente verso tutte le persone
«Ogni vita è sacra»: lo ha ribadito con
forza il Pontefice ricordando, all’Angelus del
5 febbraio, la celebrazione in Italia della
giornata per la vita. In precedenza,
Francesco aveva commentato il vangelo
domenicale per i fedeli presenti numerosi in
piazza San Pietro.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
In queste domeniche la liturgia ci propone il cosiddetto Discorso della montagna,
nel Vangelo di Matteo. Dopo aver presentato domenica scorsa le Beatitudini,
oggi mette in risalto le parole di Gesù
che descrivono la missione dei suoi discepoli nel mondo (cfr. Mt 5, 13-16). Egli
utilizza le metafore del sale e della luce e
le sue parole sono dirette ai discepoli di
ogni tempo, quindi anche a noi.
Gesù ci invita ad essere un riflesso della sua luce, attraverso la testimonianza
delle opere buone. E dice: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5, 16). Queste parole sottolineano
che noi siamo riconoscibili come veri discepoli di Colui che è la Luce del mondo, non nelle parole, ma dalle nostre opere. Infatti, è soprattutto il nostro comportamento che — nel bene e nel male — lascia un segno negli altri. Abbiamo quindi
un compito e una responsabilità per il
dono ricevuto: la luce della fede, che è in
Ogni vita è sacra
noi per mezzo di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo, non dobbiamo trattenerla come se fosse nostra proprietà. Siamo
invece chiamati a farla risplendere nel
mondo, a donarla agli altri mediante le
opere buone. E quanto ha bisogno il
mondo della luce del Vangelo che trasforma, guarisce e garantisce la salvezza a chi
lo accoglie! Questa luce noi dobbiamo
portarla con le nostre opere buone.
La luce della nostra fede, donandosi,
non si spegne ma si rafforza. Invece può
venir meno se non la alimentiamo con
l’amore e con le opere di carità. Così
l’immagine della luce s’incontra con quella del sale. La pagina evangelica, infatti,
ci dice che, come discepoli di Cristo, siamo anche «il sale della terra» (v. 13). Il
sale è un elemento che, mentre dà sapore,
preserva il cibo dall’alterazione e dalla
corruzione — al tempo di Gesù non c’erano i frigoriferi! — . Pertanto, la missione
dei cristiani nella società è quella di dare
“sapore” alla vita con la fede e l’amore
che Cristo ci ha donato, e nello stesso
tempo di tenere lontani i germi inquinanti dell’egoismo, dell’invidia, della maldicenza, e così via. Questi germi rovinano il
tessuto delle nostre comunità, che devono
invece risplendere come luoghi di accoglienza, di solidarietà, di riconciliazione.
Per adempiere a questa missione, bisogna
che noi stessi per primi siamo liberati
dalla degenerazione corruttrice degli influssi mondani, contrari a Cristo e al
Vangelo; e questa purificazione non finisce mai, va fatta continuamente, va fatta
tutti i giorni!
Ognuno di noi è chiamato ad essere
luce e sale nel proprio ambiente di vita
quotidiana, perseverando nel compito di
rigenerare la realtà umana nello spirito
del Vangelo e nella prospettiva del regno
di Dio. Ci sia sempre di aiuto la protezione di Maria Santissima, prima discepola di Gesù e modello dei credenti che
vivono ogni giorno nella storia la loro vocazione e missione. La nostra Madre ci
aiuti a lasciarci sempre purificare e
illuminare dal Signore, per diventare a
nostra volta “sale della terra” e “luce del
mondo”.
Al termine della preghiera mariana, dopo
aver ricordato la giornata per la vita, il
Papa ha salutato i vari gruppi di fedeli.
Cari fratelli e sorelle,
oggi, in Italia, si celebra la Giornata per
la Vita, sul tema «Donne e uomini per la
vita nel solco di Santa Teresa di Calcut-
ta». Mi unisco ai Vescovi italiani nell’auspicare una coraggiosa azione educativa
in favore della vita umana. Ogni vita è
sacra! Portiamo avanti la cultura della vita come risposta alla logica dello scarto e
al calo demografico; stiamo vicini e insieme preghiamo per i bambini che sono in
pericolo d’interruzione della gravidanza,
come pure per le persone che stanno alla
fine della vita — ogni vita è sacra! — perché nessuno sia lasciato solo e l’amore difenda il senso della vita. Ricordiamo le
parole di Madre Teresa: «La vita è bellezza, ammirala; la vita è vita, difendila!»,
sia col bambino che sta per nascere, sia
con la persona che è vicina a morire: ogni
vita è sacra!
Saluto tutti quelli che lavorano per la
vita, i docenti delle Università romane e
quanti collaborano per la formazione delle nuove generazioni, affinché siano capaci di costruire una società accogliente e
degna per ogni persona.
Saluto tutti i pellegrini, le famiglie, i
gruppi parrocchiali e le associazioni provenienti da diverse parti del mondo. In
particolare, saluto i fedeli di Vienna, Granada, Melilla, Acquaviva delle Fonti e
Bari; così come gli studenti di Penafiel
(Portogallo) e Badajoz (Spagna).
A tutti auguro una buona domenica.
Per favore, non dimenticatevi di pregare
per me. Buon pranzo e arrivederci!