L`OSSERVATORE ROMANO
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L`OSSERVATORE ROMANO
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVII n. 23 (47.457) Città del Vaticano domenica 29 gennaio 2017 . Ai consacrati Papa Francesco chiede di valorizzare la vita fraterna in comunità Incontra May e limita l’immigrazione da alcuni paesi Bisogna dire no alla cultura del provvisorio Trump non si ferma «Immersi nella cosiddetta cultura del frammento, del provvisorio, che può condurre a vivere “à la carte” e a essere schiavi delle mode», la vita consacrata sta subendo una “emorragia” «che indebolisce la stessa Chiesa». Per questo occorre valorizzare la vita fraterna in comunità, offrendo al mondo una testimonianza di «speranza e gioia». È quanto ha raccomandato Papa Francesco alla plenaria della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, ricevuta sabato 28. Preoccupato perché «le statistiche dimostrano» un numero crescente di “abbandoni” nelle congregazioni religiose, il Pontefice ha elencato i «fattori che condizionano la fedeltà in questo cambio di epoca, in cui risulta difficile assumere impegni seri e definitivi». E ha ricordato la vicenda di «un bravo ragazzo impegnato in parrocchia» che voleva «diventare prete, ma per dieci anni». Ecco allora come «il primo fattore che non aiuta a mantenere la fedeltà» sia «il contesto sociale» odierno segnato dalla «cultura del provvisorio», la quale «induce il bisogno di avere sempre delle “porte laterali” aperte su altre possibilità». Inoltre, ha aggiunto il Papa, «viviamo in società — ha commentato — dove le regole economiche sostituiscono quelle morali, dettano leggi e impongono sistemi di riferimento»; società in cui regna «la dittatura del denaro». Il secondo elemento individuato dal Pontefice riguarda «il mondo giovanile» considerato «non negativo», ma comunque «complesso, ricco e sfidante. Non mancano — ha spiegato — giovani generosi, solidali e impegnati». Però anche tra loro «ci sono molte vittime della logica della mondanità». Il terzo fattore in- dicato invece «proviene dall’interno della vita consacrata, dove accanto a tanta santità, non mancano situazioni di contro-testimonianza». Tra queste «la routine, la stanchezza, le divisioni interne, la ricerca di potere — gli arrampicatori — un servizio dell’autorità che a volte diventa autoritarismo e altre un “lasciar fare”». Ma il Papa non si è limitato a criticare, ha anche suggerito un itinerario incentrato sulla speranza e sulla gioia. Perché, ha aggiunto a braccio, è questo che «ci fa vedere come va una comunità. C’è speranza, c’è gioia? Va bene. Ma quando viene meno la speranza e non c’è gioia, la cosa è brutta». Da qui l’invito a curare la vita fraterna in comunità, dal cui rinnovamento dipendono «il risultato della pastorale vocazionale e la perseveranza dei fratelli e delle sorelle giovani e meno giovani». Infine il Papa ha rimarcato l’importanza dell’accompagnamento, suggerendo di investire «nel preparare accompagnatori qualificati». E in proposito ha sottolineato come «il carisma dell’accompagnamento, della direzione spirituale» sia “laicale”. «Prendetevi cura voi — ha esortato i presenti — dei membri della vostra congregazione. È difficile mantenersi fedeli camminando da soli, o camminando con la guida di fratelli e sorelle che non siano capaci di ascolto, o che non abbiano un’adeguata esperienza. Mentre — ha concluso — dobbiamo evitare qualsiasi modalità di accompagnamento che crei dipendenze, che protegga, controlli o renda infantili, non possiamo rassegnarci a camminare da soli, ci vuole un accompagnamento vicino, frequente e pienamente adulto». PAGINA 7 Per un duplice attentato compiuto nella parte orientale della città Decine di vittime civili a Mosul BAGHDAD, 28. Orrore senza fine in Iraq. Due attentatori suicidi a bordo di due autobombe si sono fatti esplodere ieri nella zona orientale di Mosul, da poco sottratta al controllo dei jihadisti del cosiddetto stato islamico (Is). Il duplice attacco — spiegano fonti della stampa locale — ha causato «decine di vittime tra i civili», anche se un bilancio ufficiale non è ancora disponibile. «Due esplosioni si sono verificare nel quartiere Rashidiya e nelle zone verdi vicine causando decine di vittime, la maggior parte civili» ha detto Saeed Mamuzini, funzionario del Kurdistan Democratic Party (Kdp) per gli affari di Mosul, con sede a Rudaw. L’attacco, uno dei più sanguinosi degli ultimi anni in Iraq, conferma l’alto livello di instabilità che ancora caratterizza Mosul e quindi tutte le difficoltà che le truppe di Baghdad stanno incontrando nella lotta contro i jihadisti dell’Is. L’offensiva su Mosul era stata lanciata il 17 ottobre scorso. Il governo iracheno aveva pronosticato la conclusione delle operazioni per la fine dell’anno, ma poi è stato costretto a cambiare versione più volte. «Sono necessari ancora tre mesi» ha dichiarato di recente Haydar Al Abadi, premier iracheno, mentre gli ufficiali sul terreno parlano di almeno sei mesi per concludere tutte le operazioni e controllare la città. La situazione è dunque instabile. Al momento, i governativi — supportati dalla coalizione internazionale a guida statunitense — hanno ripreso il controllo della parte est della città; y(7HA3J1*QSSKKM( +/!"!=!$!}! Yemen minacciato dalla carestia da poco è partita l’operazione per la riconquista dei quartieri occidentali. Tuttavia, valicare il fiume, penetrare e “ripulire” dai jihadisti la parte occidentale, col centro densamente abitato dai civili (si calcola ne siano rimasti circa 750.000) si annuncia impresa molto ardua. I ponti sul corso d’acqua sono stati distrutti dai miliziani dell’Is o danneggiati dalle bombe degli aerei della coalizione. L’urbanistica, poi, favorisce i jihadisti, permettendo il posizionamento di bombe, cecchini e mine. Gli analisti dicono che a Mosul ovest i jihadisti stanno combattendo soprattutto con droni e cecchini, e si servono di tunnel scavati per proteggersi e per sbucare alle spalle dei nemici. È aumentato poi il ricorso ad autobombe blindate, dunque difficili da fermare. Ne sono state lanciate circa 900 contro gli attaccanti di cui 260 contro le forze speciali del Servizio antiterrorismo iracheno (Ictf). Nel mese di dicembre, le perdite consistenti, anche tra le truppe d’élite, avevano indotto i comandi iracheni a una pausa di due settimane per riprendere respiro e studiare tattiche più consone agli ostacoli trovati. All’inizio del 2017 le manovre erano riprese con l’importante risultato di arrivare appunto al fiume, dopo aver liberato i palazzi dell’università (la seconda per importanza dell’Iraq) pieni di miliziani che — secondo le testimonianze — avevano trasformato le aule in centri studi per la produzione bellica (si teme persino di armi chimiche) e dove era stato installato un centro per pianificare la resistenza. Sullo sfondo delle operazioni militari, c’è il dramma degli sfollati e di quanti stanno cercando di tornare alle loro case nelle zone liberate. So- Le trasformazioni del collegio cardinalizio Scelti da tutto il mondo Un bambino denutrito in un ospedale di Sana’a (Epa) PAGINA 3 PAGINA 4 no migliaia gli iracheni che hanno fatto rientro nella parte orientale di Mosul secondo gli ultimi dati forniti dalla Mezzaluna rossa. Le condizioni di vita restano tuttavia molto precarie: nella città manca tutto, dall’elettricità ai beni alimentari e ai servizi medici. «Circa 5200 persone hanno lasciato i campi per sfollati di Al-Khazir e Hassan Sham e sono tornate nei quartieri orientali liberati della città» ha detto all’agenzia di stampa Anadolu Iyad Rafid, funzionario della Mezzaluna rossa. «Le squadre di soccorso hanno distribuito più di 800 pacchi alimentari ai residenti del distretto di al-Mithaq, a Mosul Est» ha reso noto Zaki Yakoub, direttore della Mezzaluna rossa nella provincia di Ninive, dove si trova Mosul. WASHINGTON, 28. «Le relazioni tra Stati Uniti e Gran Bretagna non sono mai state più forti». Con queste parole, ieri, il presidente statunitense, Donald Trump, ha salutato la visita a Washington del premier britannico, Theresa May. Tanti i temi sul tavolo del summit: dal commercio alla lotta al terrorismo islamico fino ai rapporti con la Nato e con l’Europa. Oggi Trump avrà colloqui telefonici con il presidente russo, Vladimir Putin, il cancelliere tedesco Angela Merkel, il presidente francese François Hollande e con il capo del governo nipponico Shinzo Abe. La conferenza stampa congiunta è durata soltanto 18 minuti, tanto è bastato per riassumere i nodi fondamentali di un’intesa storica, che oggi conosce un nuovo capitolo. Il risultato più concreto è stato un alleggerimento dei toni sull’Alleanza atlantica, organizzazione che Trump aveva definito «obsoleta». Ieri May ha rassicurato che il capo della Casa Bianca «appoggia al cento per cento la Nato», anche se «giustamente chiede che anche gli altri paesi membri facciano uno sforzo» per condividerne gli oneri economici. I due leader si sono detti concordi sulla necessità di ridare slancio all’economia. «Dobbiamo ridare prosperità ai nostri popoli» ha detto May. «Ci saranno dei punti su cui non saremo d’accordo con il presidente Trump. Ma la cosa fondamentale è che dialoghiamo» ha detto la leader tory. Unico punto di attrito, le relazioni con Mosca. Londra mantiene la sua linea: «Le sanzioni resteranno fino a quando il governo russo non avrà rispettato gli accordi di Minsk» ha detto May, facendo riferimento all’intesa siglata nel settembre 2014 per mettere fine al conflitto ucraino. Su questo punto Trump ha mostrato cautela, senza parlare di una cancellazione delle sanzioni. «Troppo presto per parlare delle sanzioni con la Russia» ha detto il presidente. «Non conosco Putin ma spero in una relazione fantastica». La giornata di ieri non è stata caratterizzata soltanto dall’incontro con May. In una visita al Pentagono, Trump ha firmato due ordini Vertice a Berlino Consolidati i rapporti tra Francia e Germania PAGINA 2 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: gli Eminentissimi Cardinali: — Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi; — Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore, con Sua Eccellenza Monsignor Krzysztof Jozef Nykiel, Reggente della Penitenzieria Apostolica; Sua Eccellenza Monsignor Giampiero Gloder, Arcivescovo titolare di Telde, Presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica. Il Santo Padre ha confermato nell’incarico di Membri dei Dicasteri della Curia Romana gli Eminentissimi Signori Cardinali: Blase Joseph Cupich, Arcivescovo di Chicago, nella Congregazione per i Vescovi; Dieudonné Nzapalainga, Arci- vescovo di Bangui, nella Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; Joseph William Tobin, Arcivescovo di Newark, nella Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica; Carlos Aguiar Retes, Arcivescovo di Tlalnepantla, nel Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Gokwe (Zimbabwe), presentata da Sua Eccellenza Monsignor Angel Floro Martínez, I.E.M.E.. Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Gokwe (Zimbabwe) il Reverendo Rudolf Nyandoro, finora Cancelliere della Diocesi di Masvingo. esecutivi. Nel primo ordine esecutivo, Trump ha disposto il rafforzamento delle forze armate. «Occorre — ha detto — sviluppare un piano per nuovi aerei, nuove navi, nuove risorse e strumenti per i nostri uomini e le nostre donne in uniforme». Fonti di stampa riferiscono che l’amministrazione sta valutando la possibilità di un’azione militare di terra in Siria. Il secondo provvedimento riguarda invece l’immigrazione: è stato bloccato per 120 giorni il programma che prevedeva l’ingresso di rifugiati negli Stati Uniti, programma varato da Barack Obama. L’ingresso sarà sospeso per i cittadini provenienti da sette paesi a mag- Trump e May alla Casa Bianca (Ansa) gioranza musulmana: Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen. Dopo questo periodo, sarà data priorità innanzitutto alle minoranze cristiane perseguitate. È stato inoltre tagliato di oltre la metà il numero dei rifugiati che gli Stati Uniti prevedevano di accettare in questo anno, portandolo a 50.000. E sull’immigrazione c’è stato oggi l’intervento dell’Onu che ha chiesto agli Stati Uniti «di mantenere la lunga tradizione di accoglienza e protezione nei confronti di coloro che fuggono dai conflitti». Come si legge in una nota congiunta dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni (Oim): «Le necessità di rifugiati e migranti nel mondo non sono mai state maggiori, e il programma di riallocazione degli Stati Uniti è tra i più importanti del mondo». Sul tema ci sono da registrare anche le parole del presidente iraniano, Hassan Rohani, il quale oggi ha dichiarato: «Questo è tempo di riconciliazione e convivenza, non di erigere muri tra le nazioni». Un riferimento indiretto al controverso progetto, lanciato da Trump nei giorni scorsi, di completare e rafforzare la barriera al confine tra Stati Uniti e Messico. Dopo una serie di dichiarazioni, ieri Trump e il presidente messicano, Enrique Peña Nieto, hanno avuto un lungo colloquio telefonico. Al termine, la Casa Bianca ha emesso una nota nella quale sottolinea che i due leader «concordano di dover lavorare insieme nell’ambito di un vasto dialogo su tutti gli aspetti delle relazioni bilaterali». Il vertice di martedì prossimo sembra confermato. I vescovi messicani e statunitensi Rispetto per i migranti PAGINA 6 L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 domenica 29 gennaio 2017 Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan (Afp) Sono 246 i migranti morti dall’inizio dell’anno Vertice a Berlino tra François Hollande e Angela Merkel Consolidati i rapporti tra Francia e Germania GINEVRA, 28. Sono 3829 i migranti e rifugiati giunti in Europa via mare dall’inizio del 2017 al 25 gennaio. Lo ha reso noto ieri a Ginevra l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), precisando che 246 sono le persone morte in mare nello stesso periodo. Circa i due terzi (2788) sono arrivati in Italia, il resto in Grecia (1041). Il totale di 3829 è molto inferiore ai 48.029 arrivi registrati nei primi 25 giorni del 2016, sottolinea l’Oim, precisando inoltre che nello stesso periodo lo scorso anno erano morti 210 migranti. Ma mentre l’anno scorso la stragrande maggioranza dei decessi erano registrati sulla rotta del mediterraneo orientale tra Turchia e Grecia (185), quest’anno il maggior numero di morti (221) è stato segnalato sulla tratta che collega Nord Africa e Italia. Intanto il parlamento sloveno ha approvato gli emendamenti alla legge sugli stranieri proposti dal governo e che prevedono l’introduzione di misure più severe e restrittive in fatto di asilo nel caso di una nuova emergenza migranti. Come riferiscono i media locali, a favore hanno votato 47 deputati, i contrari sono stati 18. Gli emendamenti consentono alla polizia, nel caso di arrivi massicci di rifugiati, di respingere ai confini anche gli eventuali richiedenti asilo e di rimpatriare nei paesi di provenienza quelli entrati illegalmente. La situazione appare particolarmente tesa in diverse aree dell’Europa orientale. In particolare ai valichi di confine in uscita dalla Serbia verso Croazia e Ungheria, dove si sono formate code chilometriche di camion e tir per i controlli molto accurati che polizia di frontiera e servizi doganali croati e ungheresi effettuano sui mezzi pesanti per scoprire eventuali migranti clandestini nascosti fra i carichi di merce. Un metodo al quale ricorrono sempre più spesso migranti e profughi della rotta balcanica per cercare di entrare nell’Unione europea. A Batrovci, al confine fra Serbia e Croazia la colonna di tir è di sei chilometri e l’attesa di almeno sette ore. A Horgos, per l’ingresso in Ungheria si aspetta da cinque a sei ore e la coda è di cinque chilometri. Per l’estradizione negata di otto soldati turchi Erdoğan accusa Atene ANKARA, 28. «La prima notte» dopo il fallito golpe del 15 luglio in Turchia «ho chiamato» le autorità greche. «Hanno detto che la questione sarebbe stata risolta in 15-20 giorni. Il ritardo nel loro rimpatrio ovviamente mina la fiducia» nelle relazioni bilaterali. Così il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, dopo che ieri la corte suprema di Atene ha negato l’estradizione degli otto militari turchi fuggiti nel paese dopo il putsch. Il governo di Alexis Tsipras ha replicato che «la sola autorità responsabile per il relativo giudizio è il sistema giudiziario greco indipendente, le cui decisioni sono vincolanti». Quindi non si placa la tensione tra i due paesi, anzi la Turchia potrebbe annullare l’accordo sulla riammissione dei migranti siglato con la Grecia e l’Unione europea a causa del rifiuto di Atene di estradare gli otto soldati turchi accusati da Ankara di aver preso parte al tentato golpe del 15 luglio. Lo ha sottolineato il ministro degli esteri turco, Mevlüt Çavusoğlu. «Prenderemo le misure necessarie, incluso l’annullamento dell’accordo sulla riammissione» dei migranti, ha dichiarato Çavusoğlu, commentando la vicenda. I soldati turchi sono stati processati dalle autorità greche per ingresso illegale nel paese, dopo essere atterrati con un elicottero all’aeroporto di Alexandroupolis il 16 luglio. Nel corso della prima udienza, che si è tenuta il 28 novembre, i soldati hanno domandato asilo politico, negando le accuse di coinvolgimento nel tentato golpe. La prima richiesta di estradizione è stata respinta dalla corte suprema greca, secondo la quale la vita degli otto militari sarebbe in pericolo in Turchia. La sentenza di ieri della corte suprema greca ha scatenato la reazione di Ankara. «Contestiamo questo verdetto che impedisce che queste persone compaiano davanti alla giustizia turca», ha sottolineato il mini- stero degli esteri turco in una nota. Non è la prima volta che la Turchia minaccia di non applicare l’accordo sulla riammissione dei migranti che arrivano in Grecia attraverso l’Egeo. Nei mesi scorsi anche il presidente Erdoğan aveva usato gli stessi toni per chiedere passi avanti nella liberalizzazione dei visti per i turchi che entrano nell’area Schengen. BERLINO, 28. Una stretta di mano per consolidare rapporti che devono diventare sempre più stretti. Questa la risposta che da Berlino il presidente francese, François Hollande, e il cancelliere tedesco, Angela Merkel, hanno suggerito all’Europa tutta, per affrontare le nuove sfide incarnate dalla Brexit e dall’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. «Sappiamo bene che il referendum nel Regno Unito rappresenta una forte censura nello sviluppo dell’Unione europea», ha detto Merkel. In quest’ottica, risulta quindi ancora più importante l’impegno assunto a Bratislava a consolidare unità e cooperazione fra gli altri 27 stati membri, «per affrontare — ha aggiunto il cancelliere tedesco — le sfide che ci attendono, e siamo dell’idea che solo insieme possiamo gestirle». «Oggi è più importante che mai che l’Europa sia un’Europa politica», ha dichiarato dal canto suo il presidente francese. L’Europa è minata anche da sfide interne, come il populismo, ha continuato Hollande. «E per combattere il populismo — ha concluso — bisogna rivolgersi al popolo, e bisogna dire al popolo Per preparare le elezioni anticipate di marzo Nuovo governo bulgaro SOFIA, 28. Il neo presidente bulgaro, Rumen Radev, ha firmato il decreto sulla nomina del governo ad interim, alla cui guida è stato designato Ognian Ghergikov, professore di giurisprudenza ed ex presidente del parlamento, che dovrà preparare le elezioni legislative anticipate, indette per il 26 marzo prossimo. Oggi, dopo lo scioglimento del parlamento, è prevista la presentazione ufficiale dei nuovi ministri. Nel suo discorso, Radev ha rilevato che il compito principale dell’esecutivo di transizione è quello di preparare il voto anticipato, in programma fra due mesi. Allo stesso tempo — ha aggiunto — il governo dovrà garantire la stabilità finanziaria, sociale ed economica del paese nonché la sicurezza dei cittadini. Ghergikov ha dichiarato che i successi del governo dimissionario di Bojko Borisov «saranno riconosciuti e arricchiti, mentre gli errori commessi saranno riparati». Il governo ad interim è composto da quattro vice premier e altri 15 ministri. Il generale Stefan Yanev ricoprirà l’incarico di vice premier e ministro della difesa. Il presidente bulgaro Rumen Radev (Afp) dove risiede il nostro interesse, dove è il valore e quale sia il senso delle decisioni prese in Europa». Merkel e Hollande si sono poi recati a Breitscheidplatz, il luogo in cui a Berlino il 19 dicembre scorso, il tunisino Anis Amri ha ucciso 12 persone con un camion, attaccando il mercatino di Natale. «Ogni prova che colpisce la Germania, tocca anche la Francia», ha precisato il capo dello stato francese. Una visita congiunta voluta per lanciare un messaggio di unità tra Parigi e Berlino nella lotta al terrorismo. «Solo stando uniti di fronte alla minaccia del terrorismo islamista possiamo allontanare questo pericolo», hanno dichiarato i due leader. In Francia, intanto, cresce l’attesa per il ballottaggio di domenica delle primarie del partito socialista, che designerà il candidato alle presidenziali di aprile. La sfida è tra l’ex premier, Manuel Valls, e l’ex ministro, Benoît Hamon. Al primo turno, domenica scorsa, Hamon, a sorpresa, ha vinto con il 36,2 per cento dei voti, riuscendo a sorpassare Arnaud Montebourg (17,6) e l’ex primo ministro (31,2 per cento. Un exploit inatteso, frutto di una rimonta simile a quella compiuta da François Fillon, a novembre, durante le primarie della destra. Il ballottaggio — indicano gli analisti politici — dovrebbe confermare i risultati di domenica scorsa, visto anche l’appoggio dato da Montebourg, che ha invitato i suoi sostenitori a votare per Hamon. In Germania, invece, è attesa per domenica la designazione finale dei vertici del partito socialdemocratico (Spd) di Martin Schulz — presidente del parlamento di Strasburgo dal 2012 fino a poche settimane fa — come sfidante ufficiale di Merkel alle prossime elezioni legislative tedesche del 24 settembre. Il suo compito sarà tutt’altro che facile. I sondaggi continuano a indicare la Cdu di Angela Merkel attorno al 33-35 per cento delle intenzioni di voto dei tedeschi, in netto calo rispetto al 41 per cento ottenuto nel 2013, ma sufficientemente in testa per guidare la corsa. La Spd resta ampiamente staccata e si muove attorno al 20 per cento, con i liberali al 7,5. Perfino una coalizione a sinistra con i Verdi e Die Linke non riuscirebbe a governare da sola. In diversi comuni tra Marche e Abruzzo Al centro immigrazione, crescita e sicurezza La Duma russa depenalizza le violenze domestiche I funerali delle vittime di Rigopiano Vertice dei paesi dell’Europa meridionale Picchiare moglie e figli non sarà più reato Macchine travolte dalla valanga nell’area dell’Hotel Rigopiano (Ansa) ROMA, 28. Saranno celebrati oggi in diversi comuni tra Marche e Abruzzo i funerali di sei delle ventinove vittime della valanga che il 18 gennaio scorso si è abbattuta sull’hotel Rigopiano, seppellendolo sotto la neve. A Pescara è stato indetto il lutto cittadino. L’inchiesta dalla procura di Pescara, che indaga per disastro col- poso e omicidio colposo plurimo, procede intanto senza sosta. Da alcuni verbali della commissione valanghe del comune di Farindola, istituita nel 1999, si evince che l’hotel Rigopiano è stato costruito su un versante montano conosciuto per essere «soggetto a slavine». E collegato da una viabilità provinciale d’inverno molto complessa. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio LISBONA, 28. Migranti, crescita, sicurezza. Su questi tre assi i paesi dell’Europa meridionale provano a rinsaldare un fronte comune. L’appuntamento, il secondo del gruppo, è in agenda per oggi a Lisbona: vi prendono parte i capi di governo di Italia, Portogallo, Francia, Spagna, Grecia, Cipro e Malta. Il tentativo è creare un asse in vista del vertice europeo del 3 febbraio a Malta, ma soprattutto della discussione sul futuro dell’Unione di fine marzo, a Roma, in occasione dell’anniversario della firma dei trattati. Il primo appuntamento del gruppo, lo scorso settembre ad Atene, fu bersaglio di un duro attacco del ministro dell’economia tedesco, Wolfgang Schäuble, che tacciò come «irresponsabile» il nascente «fronte anti-austerità». E non possono escludersi nuove frizioni, nel confronto sempre aperto sul rispetto dei parametri e sulle politiche economiche dell’Unione. Ma la crescita e un modello più attento allo sviluppo economico e sociale dei centri urbani e delle periferie si an- Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va nunciano temi centrali anche di questo summit. Si parlerà inoltre di sicurezza e contrasto al terrorismo internazionale. E un posto di rilievo avrà il tema immigrazione, in vista del vertice informale dell’Unione la prossima settimana a Malta in cui sarà presentato il piano della Commissione che punta a bloccare i flussi verso l’Italia con misure a breve e medio termine e un finanziamento da 200 milioni nel 2017. Un passo avanti — secondo numerosi analisti — date le molte critiche gli impegni disattesi da Bruxelles. Non è in agenda, infine, ma potrebbe essere oggetto di un primo confronto informale tra i leader socialisti presenti a Lisbona, il tema delle cariche al vertice dell’Unione. Intanto ieri il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni, che ha incontrato il presidente del governo spagnolo, Mariano Rajoy, è intervenuto a proposito della situazione economica e dei rapporti con l’Europa, sottolineando che «l'Italia ha bisogno di politiche espansive, non di manovre depressive». Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale MOSCA, 28. Nonostante le aspre critiche lanciate dagli attivisti per la difesa dei diritti umani, la Duma ha approvato ieri in via definitiva un controverso progetto di legge, con cui depenalizza in Russia le violenze domestiche, che diventano così un illecito amministrativo. Ben 380 deputati si sono espressi a favore della proposta e solo tre hanno votato contro. Per essere varata, la nuova legge, ha bisogno ora del via libera — scontato, indicano gli analisti — del senato e della firma del presidente, Vladimir Putin. Picchiare moglie e figli non sarà, dunque, più un reato. Il documento, infatti, rende la violenza domestica — definita in modo specifico come percosse contro un parente — una responsabilità civile, con possibilità di essere considerata reato penale, solo se chi l’ha commessa sia già stato condannato per lo stesso motivo. In caso contrario si va incontro solo a una multa. La corte suprema, ricordano gli osservatori, aveva già depenalizzato le percosse che non infliggono danni fisici, ma aveva lasciato fuori le Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 violenze contro i familiari, lasciando scontenti i parlamentari più conservatori, secondo i quali la nuova legge «renderà più forti le famiglie». In una nota, il segretario generale del consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, ha espresso la sua preoccupazione. A suo dire, l’adozione di una tale legge «rappresenterebbe un evidente passo indietro». Le vittime della violenza domestica in Russia sono per lo più le donne: secondo statistiche del 2015, una donna su cinque ha subito violenze; solo il 12 per cento di loro, però, si rivolge alla polizia. Secondo dati del 2013 pubblicati dal ministero dell’interno russo, il 40 per cento dei crimini violenti avvengono in casa e ogni anno sono 36.000 le donne che subiscono percosse dal marito. In 12.000 perdono la vita. Il 60-70 per cento delle vittime non chiede aiuto; il 97 per cento dei casi di violenza domestica non arriva in tribunale e più volte la stampa indipendente ha denunciato la mancanza di strumenti legali in grado di tutelare le donne. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO domenica 29 gennaio 2017 pagina 3 Lavrov e i rappresentanti dell’opposizione siriana moderata (Afp) Allarme delle Nazioni Unite per il sanguinoso conflitto Milioni di affamati nello Yemen Per una soluzione politica della crisi siriana L’Onu sostiene i risultati del summit di Astana DAMASCO, 28. I colloqui di pace di Astana hanno fornito un importante contributo per il raggiungimento di una soluzione politica della crisi in Siria. Ad affermarlo è l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria, Staffan de Mistura, attraverso un portavoce. Nonostante il rinvio — annunciato ieri dal ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov — dei prossimi colloqui a Ginevra, il palazzo di Vetro è pronto a collaborare con Russia, Turchia e Iran per cercare un rilancio del dialogo politico tra le parti in causa, ovvero il governo del presidente Assad e i ribelli moderati. In un comunicato, de Mistura ha sottolineato che le Nazioni Unite sono pronte «a contribuire a portare avanti il meccanismo messo a punto da Russia, Iran e Turchia per monitorare il rispetto della fine delle ostilità in Siria». La continuità della tregua è considerata un punto di partenza essenziale per la ripresa dei negoziati. Ieri Lavrov ha incontrato a Mosca i rappresentanti dell’opposizione moderata e ha annunciato il rinvio dei negoziati a Ginevra inizialmente previsti per l’8 febbraio. Tuttavia, il rinvio non equivale alla cancellazione totale. Lavrov ha detto che i colloqui riprenderanno quanto prima. In questi negoziati, ha specificato il capo della diplomazia russa, «le parti dovrebbero concentrarsi su temi concreti come l’elaborazione di una Costituzione», sulla base anche delle proposte fatte da Mosca, che ha presentato ben due bozze. «Speriamo — ha detto Lavrov — che tutti i siriani prenderanno dimestichezza con questa bozza come parte dei preparativi per l’incontro di Ginevra e che questa bozza stimoli la discussione pratica mirata alla ricerca di un accordo generale». Sul terreno, intanto, si continua a combattere. I miliziani del cosiddetto stato islamico (Is) hanno lanciato ieri un attacco contro le forze governative nel nord della Siria con l’obiettivo di interrompere i collegamenti tra Hama e Aleppo. Non è chiaro se i jihadisti abbiano o meno ottenuto il controllo di Khanaser, sottraendola all’esercito siriano. Nella regione di Wadi Barada, invece, 2500 miliziani hanno deposto le ar- mi dichiarando la resa nei confronti delle forze governative: qui la situazione nelle ultime ore è tornata alla calma. I combattimenti nell’area, e la distruzione dell’impianto idrico, avevano causato una grave scarsità d’acqua in tutta l’area di Damasco. La regione di Wadi Barada non era inclusa nel cessate il fuoco. NEW YORK, 28. Ancora una volta l’Onu lancia l’allarme per la situazione in Yemen, dove è in corso la «più grave crisi alimentare nel mondo». E dove «se non si interviene subito, si rischia la carestia». A ribadire la drammatica situazione nel paese già tra i più poveri al mondo è stato il capo degli affari umanitari delle Nazioni Unite, Stephen O’Brien, nel corso di una riunione del consiglio di sicurezza durante della quale è intervenuta anche l’Italia, chiedendo di ristabilire il cessate il fuoco. O’Brien ha spiegato che in Yemen «ci sono 2,2 milioni di bambini che soffrono la fame», e in generale la situazione è «particolarmente grave», con un minore di cinque anni che muore ogni 10 minuti per cause che si potrebbero prevenire. Inoltre, 10,3 milioni di persone hanno bisogno di assistenza immediata per sopravvivere. A causa dell’escalation del sanguinoso conflitto nel paese, i due terzi della popolazione ha bisogno di aiuti umanitari. L’inviato speciale dell’Onu nello Yemen, il diplomatico mauritano Ismail Ould Cheikh Ahmed, ha poi sottolineato che la pericolosa impennata di combattimenti e attacchi L’economia cinese conosce nuove difficoltà Se il Dragone vola sempre più basso PECHINO, 28. Anche il gigante cinese conosce la crisi. Il rallentamento dell’economia è ormai sotto gli occhi di tutti. Nel 2016 la crescita ha registrato una nuova frenata riportandosi ai livelli del 1990, ma rimanendo comunque all’interno del range prefissato dal governo cinese. Secondo il governo, nel corso dell’anno il prodotto interno lordo (pil) è cresciuto del 6,7 per cento (l’obiettivo era di mettere a segno una crescita compresa tra il 6,5 e il sette per cento). Più pessimiste le previsioni del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca mondiale. A preoccupare è soprattutto la fuga di capitali, che ormai ha raggiunto soglie preoccupanti, e l’alto indebitamento delle imprese. A conferma del declino cinese c’è un recente rapporto della Society for World Interbank Financial Telecommunication secondo cui lo yuan è sempre meno usato nelle transazioni internazionali. La fetta di pagamenti effettuati in renminbi, altro nome della valuta cinese, è infatti passata, a livello globale, dal 2,31 di dicembre 2015 (quando era in quinta posizione tra le valute usate nelle transazioni internazionali) all’1,68 per cento del dicembre 2016, segnando un declino del 29,5 per cento lo scorso anno. In un mese, tra novembre e dicembre 2016, il valore delle transazioni in yuan è sceso del 15,08 per cento, contro un declino generale di tutte le valute molto più contenuto, allo 0,67. Il declino dello yuan nei pagamenti internazionali, secondo gli autori del rapporto, è da imputare soprattutto a tre fattori: il rallentamento dell’economia cinese, che nel na, Ahmed Ouyahia, ha incontrato a Tunisi il leader islamista libico, Ali Al-Sallabi, della coalizione Fajr Libya. L’incontro è stato concertato direttamente dal presidente del Movimento della rinascita (Ennhadha), Rached Ghannouchi, e, secondo fonti locali, ha «consentito di fare passi avanti per quanto riguarda la soluzione della crisi libica». Il colloquio si inquadra nell’ambito degli sforzi della Tunisia alla ricerca di una soluzione politica alla crisi del paese vicino, e dell’iniziativa diplomatica tesa a tenere prossimamente a Tunisi un vertice dei ministri degli esteri di Tunisia, Algeria ed Egitto proprio sulla questione libica. In caso di successo di questo summit — la presidenza tunisina potrebbe lanciare l’iniziativa di un vertice a tre a Tunisi con Bouteflika, Al Sisi e Essebsi. 2016 ha segnato una crescita del 6,7 per cento nel 2016, ai minimi dal 1990; la volatilità della valuta, che ha avuto un deprezzamento di quasi il sette per cento sul dollaro, e le iniziative del governo centrale per frenare le fuoriuscite di capitali, che non hanno avuto finora gli effetti sperati. Riattivato il reattore nucleare di Yongbyon Timori per altri test nordcoreani WASHINGTON, 28. La Corea del Nord avrebbe riavviato negli ultimi giorni le attività del suo reattore nucleare di Yongbyon allo scopo di produrre plutonio, in base all’esame delle fotografie satellitari: lo ipotizza 38 North, think tank statunitense basato a Washington. «Le immagini dal 22 gennaio in poi mostrano un pennacchio di vapore, molto verosimilmente caldo, generato dallo sbocco del sistema di raffreddamento, un segnale che indica come il reattore sia molto probabilmente operativo», si legge nel rapporto sul sito web di 38 Monito di Haftar su eventuali attacchi alla mezzaluna petrolifera libica TRIPOLI, 28. Il generale Khalifa Haftar, comandante delle milizie che controllano la zona centroorientale della Libia, ha messo in guardia chiunque volesse tentare di attaccare gli impianti della mezzaluna petrolifera. Lo scrive il sito Libyàs Channel aggiungendo che «i guerriglieri criminali che tentassero di attaccare piattaforme e campi petroliferi» saranno inseguiti dalle forze dell’ordine e dai militari «fin nelle loro case». Il generale Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico (Lna) che sostiene il parlamento insediato a Tobruk, a settembre aveva strappato la mezzaluna petrolifera sul golfo della Sirte a una milizia guidata da Ibrahim Jadhran e legata a Tripoli, dove è insediato il premier appoggiato dall’Onu, Fayez Al Sarraj. Intanto il capo dell’ufficio della presidenza della Repubblica algeri- aerei ha «tragiche conseguenze per il popolo yemenita», con 18,2 milioni di persone colpite dall’emergenza cibo. Il consiglio di sicurezza ha quindi invitato tutte le parti a «consentire un accesso sicuro, rapido e senza ostacoli» a cibo, carburante e medicinali, ribadendo che nel paese c’è una «malnutrizione diffusa e acuta, sull’orlo della carestia». Il conflitto nello Yemen — il più trascurato dai media internazionali e più incompreso nel Vicino oriente — è iniziato nel 2014 quando i ribelli huthi scesi dalle loro roccaforti nel nord hanno occupato nel settembre dello stresso anno la capitale Sana’a e vasti territori del centro sud costringendo all’esilio il presidente eletto nel 2012 e riconosciuto dalla comunità internazionale, Abd Rabbo Mansour Hadi. Una coalizione guidata dall’Arabia Saudita è successivamente intervenuta in sostegno del presidente Hadi contro i ribelli huthi e i loro alleati, i miliziani dell’ex capo di stato Ali Abdullah Saleh al potere per oltre trent’anni. Secondo l’ultimo rapporto dell’Onu, nei tre anni di guerra almeno 10.000 civili sono morti, oltre 40.000 sono rimasti feriti e circa tre North, riconducibile allo Us-Korea Institute della Johns Hopkins University. Dalle analisi sullo Yongbyon Nuclear Scientific Research Center, distante una sessantina di chilometri dalla capitale Pyongyang, emerge poi che il vicino fiume, di solito gelato in questa parte dell’anno, scorre regolarmente nel punto di confluenza tra lo sbocco di raffreddamento e il fiume. Di recente Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone hanno aumentato il livello di allerta a causa di possibili nuove provocazioni da parte di Pyongyang. milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case. Le Nazioni Unite hanno cercato di portare intorno a un tavolo le parti in conflitto ma finora le tre sessioni di colloqui di pace (tra la Svizzera e il Kuwait) sono sempre falliti come le brevi tregue. Attualmente le linee del fronte sono tante: la provincia della capi- tale Sana’a, Taiz (terza città del paese assediata dai ribelli huthi, le regioni centrali (come Al Bayda e Mareb) e le aree adiacenti allo stretto del Bab El Mandeb, tra Mar Rosso e Oceano Indiano, snodo fondamentale per il commercio petrolifero internazionale, dove negli ultimi giorni si è infiammata la battaglia intorno alla citttà di Mokha. Incontro con il presidente Il cardinale Parolin in Madagascar Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, si è recato in visita nel Madagascar in occasione del cinquantesimo delle Relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Il porporato si recherà poi nella Repubblica del Congo, per la firma dell’Accordo Quadro sulle relazioni tra la Chiesa cattolica e lo Stato. Durante il viaggio, della durata complessiva di undici giorni, è prevista una breve tappa a Nairobi, in Kenya. Nella notte tra il 26 e il 27 gennaio il segretario di Stato è giunto all’aeroporto di Antananarivo, accompagnato da monsignor Gianfranco Gallone, officiale della sezione per i Rapporti con gli Stati. Ad attenderlo vi erano, oltre al nunzio apostolico Paolo Gualtieri, e il collaboratore don Ciprian Bejan-Piser, il primo ministro malgascio Oliver Solonandrasana Mahafali, accompagnato da molti ministri, tutti i vescovi della Conferenza episcopale e moltissimi fedeli, che all’esterno hanno intonato canti tradizionali di accoglienza. Nella mattinata del 27 gennaio, il porporato è stato ricevuto dal presidente della Repubblica, Hery Martial Rajaonarimanampianina, al palazzo presidenziale Iavoloha. Dopo i convenevoli previsti dal cerimoniale accuratamente preparato, il capo dello Stato ha avuto un cordiale colloquio privato con il cardinale. Dopo lo scambio dei doni, si è avuto l’incontro bilaterale tra il capo dello Stato — accompagnato dal primo ministro, dal vice-ministro degli Affari esteri e da altri officiali — e il cardinale Parolin, accompagnato dal nunzio, dal consiglio permanente della Conferenza episcopale, dal cardinale Maurice Piat, vescovo di Port-Louis (Mauritius). Il presidente ha espresso la propria riconoscenza per la visita, ricordando i buoni rapporti con la Santa Sede, che nel corso di questi 50 anni si sono rafforzati. Ha rammentato la visita resa a Papa Francesco nel giugno 2014 e ha espresso gratitudine per tutto ciò che la Chiesa cattolica fa nel Paese, soprattutto con i centri educativi, sanitari e caritativi. Ha riconosciuto il ruolo che essa svolge con le sue istituzioni, contribuen- do allo sviluppo sociale di tutti i cittadini, i quali devono essere educati secondo i valori tradizionali come credenti, per dare una stabilità morale, spirituale ed economica al Madagascar. Nel contempo, ha assicurato personale attenzione affinché le forze dell’ordine vigilino sull’incolumità delle istituzioni cristiane. Ha altresì manifestato fermo rigetto della violenza terroristica perpetrata dagli estremismi religiosi e ha auspicato un continuo dialogo con i presuli. Da ultimo, si è augurato che la celebrazione del cinquantenario delle relazioni diplomatiche serva a rendere sempre più saldi i legami con la Santa Sede e di lavorare affinché si giunga a stabilire, attraverso un Accordo Quadro, una più profonda collaborazione. Il cardinale Parolin, da parte sua, ha portato il saluto affettuoso del Papa, molto amato in Madagascar, soprattutto tra i giovani, e ha espresso gratitudine per l’accoglienza, straordinariamente calorosa, che gli è stata riservata. Ha manifestato la disponibilità della Santa Sede a continuare questa proficua collaborazione per tutelare, attraverso le istituzioni della Chiesa cattolica, i diritti dei più deboli e garantire l’assistenza necessaria a tutte le persone, in particolare, ai più poveri ed emarginati. Ha auspicato che attraverso la Chiesa locale si possa contribuire al benessere spirituale e sociale dei cittadini. Si è augurato che la propria visita sia un avanzamento vantaggioso per le buone relazioni esistenti, per giungere a un accordo che assicuri alle istituzioni della Chiesa pieno riconoscimento giuridico. È seguito il ricevimento ufficiale offerto dal presidente in onore del cardinale Parolin. Sono stati invitati il cardinale Piat, tutti i presuli malgasci, le autorità del governo, i rappresentanti delle istituzioni del paese, e i capi religiosi di altre confessioni cristiane. La giornata si è conclusa presso la sede del primo ministro dove, nel corso di una cerimonia, il cardinale segretario di Stato è stato insignito dell’alta onorificenza di grande officiale dell’Ordine nazionale del Madagascar. C0lpito anche chi commette violenze di genere L’Onu rafforza le sanzioni a Bangui NEW YORK, 28. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha prorogato le sanzioni dei confronti della Repubblica Centrafricana fino al 31 gennaio 2018, rafforzando l’embargo delle armi e il blocco dei viaggi. Su iniziativa dell’Italia, i Quindici hanno introdotto un nuovo criterio sanzionatorio: chi è coinvolto nella pianificazione, dirige o commette atti di violenza di genere sarà soggetto alle misure restrittive. È la prima volta che una risoluzione del Consiglio di sicurezza include la violenza di genere come criterio per applicare sanzioni. I Quindici hanno raccolto l’invito rivolto in questo senso dal rappresentante del segretario generale per la violenza di genere nei conflitti armati, Zainab Hawa Bangura. Lo scopo è quello di rafforzare la protezione in particolare di donne e ragazze nei conflitti. Intanto nella Repubblica Centrafricana ha chiuso il campo sfollati di Mpoko, all’aeroporto internazionale di Bangui, luogo simbolo della vio- lenta crisi che ha devastato il paese negli ultimi tre anni. Secondo Medici senza frontiere (Msf), che da oltre 20 anni fornisce assistenza medica e Caschi blu delle Nazioni Unite dislocati a Bangui umanitaria nel paese, i problemi non sono però risolti: una persona su quattro è ancora sfollata, all’interno o al di fuori dei confini nazionali, e più della metà della popolazione dipende dagli aiuti per sopravvivere. All’apice del conflitto scoppiato nel 2013, si legge in una nota di Msf, Mpoko ha ospitato fino a 100.000 persone, ammassate lungo le piste di atterraggio in cerca di protezione dalle forze internazionali. Ma secondo Msf a parte la presenza militare delle Nazioni Unite e della Francia, il paese non ha visto una mobilitazione di aiuti internazionali adeguata agli enormi bisogni della popolazione. Gli sfollati a Mpoko hanno vissuto in estrema precarietà. E le ultime 20.000 persone che lo hanno lasciato dovranno affrontare condizioni di insicurezza. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 l concistoro del 19 novembre 2016, con il quale sono entrati nel collegio dei cardinali 17 nuovi membri, ha riacceso l’attenzione su questo singolare organismo che da oltre nove secoli elegge il papa. Caratteristico della Chiesa romana, l’istituto cardinalizio viene fatto risalire all’età tardoantica. In quest’epoca il termine latino cardinalis aveva un’accezione prevalentemente liturgica, ed era usato per i membri del clero legati alle principali chiese di Roma, poi anche per alcuni ecclesiastici in altre diocesi, e non solo in Italia. In realtà la storia del cardinalato inizia ad assumere vera rilevanza dopo il Mille, con il movimento di riforma generato da un forte impulso della sede romana. Nel 1059 l’elezione papale, in cui per secoli erano intervenute diverse componenti della Chiesa romana, viene infatti riservata ai cardinali vescovi e solo molto più tardi, nel 1179, si estende agli altri ordini di cardinali, cioè ai cardinali preti e ai cardinali diaconi. Non è dunque forse un caso che la prima attestazione dell’espressione sacrum collegium compaia tra queste due date, in un documento sinodale francese del 1148. Entrata presto nell’uso corrente, molti secoli dopo la definizione di “sacro collegio” viene ratificata nel Codex iuris canonici del 1917, con un’aggiunta: domenica 29 gennaio 2017 I Bernardo da Chiaravalle è il primo a porre la questione dell’internazionalizzazione, come oggi si direbbe Questione che verrà poi dibattuta soprattutto a partire dagli inizi del Trecento i cardinali costituiscono «il senato del romano pontefice». Le due espressioni non verranno tuttavia recepite nel codice riformato dopo il Vaticano II e promulgato nel 1983, dove l’istituto è descritto più sobriamente come peculiare collegium, che “particolare” lo è davvero. Proprio negli anni in cui al collegio ormai denominato “sacro” veniva riservata l’elezione del papa, Bernardo da Chiaravalle, nel celebre De consideratione, rivolgendosi a Eugenio III, suo antico discepolo divenuto successore dell’apostolo Pietro, dedica un capitolo alla scelta dei cardinali, e si chiede “se Le trasformazioni del collegio cardinalizio Scelti da tutto il mondo dalle decisioni di Sisto V, che nel 1586 per il sacro collegio fissa il limite di settanta membri, mantenuto per quasi quattro secoli, e due anni più tardi riforma la curia romana, stabilendo un assetto rimasto di fatto inalterato sino al radicale aggiornamento voluto da Pio X nel 1908. La questione posta invece già all’esordio dell’istituzione cardinalizia da Bernardo da Chiaravalle comporta vari aspetti, di ordine politico e teologico, che convergono sulla questione decisiva del potere papale e sulle possibilità di condizionarlo, e non solo al momento dell’elezione in conclave. Così nel medioevo si discute sull’opportunità di creare cardinali tedeschi, ammessa con difficoltà e di fatto non verificatasi per oltre due secoli tra Duecento e Quattrocento. Sono più rari di un corvo bianco, si scrive nel 1519, e questo a causa di una sorta di bilanciamento visto come necessario tra imperium, appannaggio della nazione germanica, e sacerdotium, da lasciare quindi ad altre nationes. Nel 1294 si registra invece il più pesante intervento di un potere laico in tutta la storia del sacro collegio per l’influenza angioina sull’unica creazione cardinalizia effettuata da Celestino V nel suo brevissimo e infelice pontificato. Non è poi certo un caso che una prima internazionalizzazione del sacro collegio intervenga nell’età del conciliarismo con Eugenio IV, ovviamente ristretta in larghissima prevalenza ai diversi stati italiani, alla Francia e alla Spagna. Questa tendenza sarà poi mantenuta per tutta l’età moderna: in quest’epoca «la stabile maggioranza italiana nel collegio dei cardinali era una condizione indispensabile della libertà d’azione del papa» grazie a nomine «più affidabili di quelle straniere, che erano forzate», sintetizzerà senza giri di parole lo storico anglicano Owen Chadwick nel suo The Popes and the European Revolution. E l’allusione dello studioso è naturalmente alle creazioni volute dalle corone, soprattutto tra Cinquecento e Settecento. Si spiega così la schiacciante prevalenza degli italiani, in particolare di quelli provenienti dallo stato pontificio, nella scelta dei cardinali, tenacemente perseguita dai papi e garanzia, implicita o almeno sperata, per un governo meno influenzato Anticipiamo un articolo che esce da forze esterne. sul prossimo numero di «Vita e Bisogna però arPensiero», il bimestrale di cultura rivare al lunghissie dibattito dell’Università mo pontificato di cattolica del Sacro cuore. Pio IX perché il numero dei cardinali italiani cominci a decrescere. Se infatti dei 205 creati tra il 1800 e il 1846 dai suoi quattro predecessori ben 160 sono gli italiani (il 78 per cento), la percentuale con Mastai Ferretti scende al 58 per cento (71 su 123), e viene mantenuta da Leone XIII (85 su 147), per abbassarsi ancora al 53 per cento (83 su 158) con i loro tre successori tra il 1903 e il 1937, anno dell’ultima creazione cardinalizia di Pio XI. Ratti nel 1924 tiene un piccolo concistoro per due soli cardinali, ma entrambi statunitensi, ed è questa la prima creazione, sia pure minuscola, senza europei. Questa particolarità verrà ripetuta soltanto dall’ultimo concistoro di Benedetto XVI, alla fine del 2012, quando i sei cardinali non europei mo- non debbano essere scelti da tutto il mondo quelli che il mondo giudicheranno” (an non eligendi de toto orbe orbem iudicaturi). Bernardo è dunque il primo a porre la questione dell’internazionalizzazione, come oggi si direbbe; una questione che verrà poi dibattuta soprattutto a partire dagli inizi del Trecento, quindi negli anni del conciliarismo quattrocentesco e infine in età contemporanea, mentre con il trascorrere del tempo andrà sempre più a incrociarsi con le vicende e il nodo del potere papale. All’ecclesiologia medievale risale infatti la singolare definizione di “parte del corpo del papa” (pars corporis papae) per indicare l’insieme dei cardinali: è appunto il pontefice a sceglierli, anzi a crearli, termine tecnico che intende proprio sottolineare questa prerogativa sovrana — ma spesso condizionata da non poche variabili — nella selezione dei più stretti collaboratori del papa nel governo della Chiesa. E nel cuore del medioevo il sacro collegio si afferma come un organismo ristretto e influente che nel 1289 riesce a ottenere dal pontefice la metà delle entrate della sede romana. Non interessati anche per questo motivo ad aumentare di numero, i cardinali governano realmente insieme al pontefice grazie ai frequentissimi concistori. Tra alterne vicende, tuttavia, sin dagli inizi del Cinquecento questa forma particolare di esercizio della collegialità si stempera, per l’aumento progressivo del collegio e quindi per la parallela perdita d’importanza dei concistori a vantaggio delle congregazioni romane. Questa doppia tendenza viene sancita Vita e Pensiero La sepoltura di san Bernardo in una miniatura medievale streranno la necessità di bilanciare il precedente concistoro tenuto all’inizio dello stesso anno, dove ben due terzi dei 18 nuovi cardinali erano europei (tra loro, sette italiani). La rivoluzione in questo ambito avviene pochi mesi dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, quando il 24 dicembre 1945 Pio XII annuncia il suo primo concistoro per la creazione di cardinali, il più numeroso fino ad allora registrato e che il papa tiene il 18 febbraio: gli ecclesiastici rivestiti ma soprattutto a calare in maniera sensibile, sotto i due terzi, sono gli europei. All’inizio degli anni settanta a Montini — che secondo John F. Broderick dichiara pubblicamente i criteri delle sue creazioni cardinalizie come nessun altro predecessore aveva fatto — risalgono altre due misure radicalmente innovative nella storia del sacro collegio: l’esclusione dei cardinali ultraottantenni dal diritto di voto attivo in conclave e l’innalzamento del limite degli eletto- La prima pagina con la cronaca del concistoro del 18 febbraio 1946 della porpora romana da Pacelli sono ben 32, di cui soltanto quattro italiani. «Un’immagine viva dell’universalità della Chiesa» sottolinea il papa in quella vigilia di Natale, perché «come abbiamo veduto negli anni trascorsi del nostro pontificato confluire nell’eterna città, nonostante la guerra, uomini di ogni nazione e delle più lontane regioni, così avremo ora, cessato il conflitto mondiale, la consolazione — piacendo al Signore — di veder affluire intorno a noi nuovi membri del sacro collegio provenienti dalle cinque parti del mondo». E, quasi a prevenire le critiche per la drastica riduzione degli italiani, Pacelli aggiunge che l’Italia non «ne rimarrà diminuita, ché anzi splenderà agli occhi di tutti i popoli come partecipe» della grandezza e dell’universalità della Chiesa che l’ultimo papa romano definisce «soprannazionale»: madre che «non appartiene né può appartenere esclusivamente a questo o a quel popolo» e che «non è né può essere straniera in alcun luogo». Così, dopo un secondo concistoro nel 1953, alla fine del pontificato di Pio XII i cardinali italiani crolleranno al 27 per cento (14 su 52) mentre gli europei scenderanno sotto i due terzi. È dunque questo il vero inizio dell’internazionalizzazione del sacro collegio, continuata in proporzioni diverse dai suoi successori. Nelle creazioni di Giovanni XXIII — che oltrepassa il numero dei cardinali fissato da Sisto V quasi quattro secoli prima e moltiplica le nazionalità — gli italiani risalgono infatti al 42 per cento (22 su 52) e gli europei ben oltre i due terzi. Al pari di Pacelli, a innovare incisivamente per quanto riguarda il sacro collegio è Paolo VI, che crea ben 143 cardinali: tra loro 38 italiani, che tornano così a scendere e non superano il 27 per cento; ri, fissato a 120. Nei due conclavi del 1978 entrano così 111 elettori, e sono 115 in quello del 2005, con una sostanziale parità numerica — nei tre conclavi — tra europei e non europei, mentre in quello del 2013 tra gli elettori vi è un La Chiesa non appartiene né può appartenere a questo o a quel popolo né può essere straniera in alcun luogo dice Pacelli il 24 dicembre 1945 leggero aumento dei cardinali europei (60 su 115), conseguente alle scelte di Benedetto XVI. Primo papa non europeo da quasi tredici secoli, Francesco ha creato 44 cardinali elettori: tra loro, meno di un terzo sono europei, e cioè 14 (metà dei quali italiani, circa il 16 per cento). Così, all’indomani della terza creazione cardinalizia di Bergoglio, il 29 novembre 2016, gli elettori erano 120, cioè il numero massimo previsto dalla riforma di Paolo VI e solo episodicamente oltrepassato dai suoi successori. Tra i cardinali elettori i 66 non europei erano ormai in una maggioranza — già registrata per brevi periodi nell’ultimo quarantennio, ma più accentuata e destinata ad aumentare — a fronte dei 54 europei (tra questi, ben 25 italiani). Nel complesso, un quadro molto variegato e che anche nella composizione del collegio cardinalizio rispecchia ed esprime davvero, come ha detto il pontefice settant’anni dopo il primo concistoro di Pio XII, l’universalità della Chiesa. (g.m.v.) L’OSSERVATORE ROMANO domenica 29 gennaio 2017 pagina 5 Come ho detto ai miei studenti può anche darsi che il reale esista Io posso rifiutare di essere un ragazzo anzi un essere umano Ma comunque rifiuto qualcosa Mirò «Costruzione» (1930) Sul costruttivismo e l’essere cattolici Rendere giustizia al reale struttivismo: le soglie simboliche su cui si sono finora fondate le società umane (la diell’ambito del corso che ho stinzione uomo/animale, la differenza tra i tenuto quest’anno per gli stu- sessi, l’ordine delle generazioni e così via) denti che frequentano l’École sono puramente costruite? Oppure si fonNormale Supérieure, ho af- dano su qualcosa di reale? La moda intelfrontato la questione del co- lettuale vuole che tutto sia culturale, senza alcun riferimento alla natura o a un ordine delle cose. Non si nasce donna o uomo, lo si diviene, almeno se lo si desidera (alcuni, si ricorda, esitano sulla soglia del loro genere). E la differenza dell’essere umano dalle altre specie si deve soltanto a un orgoglio fuori luogo. Ma, come ho detto ai miei studenti, può anche darsi che il reale esista. Io posso rifiutare di essere un ragazzo, anzi un essere umano, ma comunque rifiuto qualcosa. Qualcosa che mi precede, con cui devo fare i conti. È proprio perché nasco donna che posso poi rifiutare di esserlo e che posso, al contrario, in un gesto di accoglienza, imparare ad accettarlo. È perché ricevo il mio corpo che posso leggerlo come un fardello da negare o risolverlo come un dono da scoprire. Sapevo bene che il mio discorso andava contro lo spirito dei tempi. Ho osato comunque dire la verità, per quanto possa apparire banale dire che le ragazze nascono con un utero e che gli animali, diversamente agli uomini, non si domandano se in fondo non sono che animali. Perciò me lo aspettavo: gentilmente, ma con fermezza, una delle mie allieve mi ha suggerito che, se la penso così, è perché sono cattolico. «Lei postula, El Greco, «Guarigione del cieco» (1570-1571, particolare) signore, un ordine del Shakespeare e il sogno dei detenuti di MARTIN STEFFENS N mondo che non esiste. Le scienze umane ci co, il cristiano non nutre la paura di credemostrano che tutto è costruito. Pertanto re che l’accettazione della verità dipenda ognuno può scegliere il suo genere o soste- interamente dal suo annuncio. Non ne fa una malattia se l’annuncio non sortisce efnere la presunta differenza delle specie». Cattolico, quindi reazionario: molti oggi fetto. Dite a questa casa: «Pace a questa capercorrono questa scorciatoia, senza dubbio sa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra per far tacere il buonsenso, ossia “il senso del reale”. Ci si può preoccupare Il cristiano s’impegna tanto più volentieri nella lotta per questo tipo di attacchi, ci si può indignare e in quanto essendo questo mondo già salvato protestare con tutta l’enervi lascerà sì delle piume gia del mondo. Ma l’anma non certo quelle che gli consentono di volare goscia, l’esasperazione o la smania di vincere non sono atteggiamenti che fanno avanzare il Regno. È meglio riflettere. E far notare, a chi vuole pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà ascoltare, che essere cattolici permette non su di voi» (Luca, 10, 5-6). solo di non abbracciare acriticamente tutte La mia allieva non ha dunque torto: dile mode del tempo, ma anche e soprattutto ventando cattolico, ho smesso di pensare di coltivare la pace e l’attenzione alle sfu- la mia libertà come potere di scegliere, a mature persino nel dissenso e nello scontro. partire dal nulla, ciò che sono. Ma se non Di fatto, personalmente, se non fossi catto- fossi cattolico, la cecità degli altri mi fareblico sarei peggiore! Non solo mi sembrereb- be venir voglia di cavare loro gli occhi, e be aberrante che si possa negare il reale, non di farli aprire loro, con amore e pama tale “negazionismo” mi esaspererebbe. zienza, consapevole anche dei miei propri Non avrei allora altra scelta che additare limiti. Combattere per la verità come cricon rabbia la follia dei miei contemporanei stiano è combattere con ancor più dinamio diventare io stesso folle. smo e coraggio in quanto v’investe la sua Ma Gesù ci dice: «abbiate fiducia; io ho reputazione, a volte persino la sua persovinto il mondo!» (Giovanni, 16, 33). Un cri- na, ma al contempo, essendo la guerra già stiano ha il dovere della verità. Ma, da una vinta, la sua gioia e il suo amore per il parte è la verità di una Buona Novella: se prossimo. Il cristiano s’impegna tanto più volentiesi può rendere giustizia al reale (intendo dire, al suo corpo ricevuto, al suo posto in ri nella lotta in quanto, essendo questo una generazione e in seno alla natura) è mondo già salvato, vi lascerà sì delle piuprima di tutto perché Dio è Creatore e me, ma non certo quelle che gli consentobuono; dall’altra, contrariamente al fanati- no di volare. Può passare anche attraverso il genio shakespeariano il processo di riabilitazione del detenuto, impegnato a valorizzare la propria creatività e i propri talenti. Lo testimonia l’iniziativa della compagnia Puntozero, composta per tre quarti da giovani attori detenuti che, al Piccolo Teatro di Milano, mette in scena, dal primo al 5 febbraio, Sogno di una notte di mezza estate con la regia di Giuseppe Scutellà. Ecco allora che il sogno di Shakespeare viene ricreato dai detenuti del carcere minorile di Beccaria, insieme con alcuni coetanei, con l’obiettivo di farlo diventare il loro sogno, proiettato verso un mondo dove il teatro svolge un ruolo significativo contribuendo a promuovere un profondo processo di crescita umana e culturale. «La commedia di Shakespeare in cui s’intrecciano fantastico e reale — afferma il regista che ha anche curato la coreografia — ci è sembrato potesse offrire un utile esercizio di fantasia che ha permesso agli attori di conoscere nuovi mondi. Del resto — aggiunge — come possiamo pensare di rinchiudere dei giovani e di chiedere loro di riflettere sul proprio agire senza dare loro gli strumenti necessari per farlo? E una volta reclusi, come si può pretendere che i giovani detenuti rielaborino il loro reato e si reinseriscano nella società senza indicare loro la strada?». D opo tante prove, affrontate con determinazione e passione, i detenuti hanno realizzato uno spettacolo, di due ore, che s’inserisce — rileva il regista — nel solco della scuola strehleriana dove la tradizione è di per sé sperimentalismo e dove la semplicità è il punto d’arrivo. In memoria di don Cirillo Perron Trionfo di Cecilia Bartoli e Antonio Pappano Il piccolo Giulio e il finto zio prete Compleanno romano per Amadeus Siamo nel dicembre 1943. A un bambino ebreo di soli sette anni — scrive Lucio Brunelli nel libro Caro Giulio. Corrispondenza di un’amicizia imprevista con Giulio Segre (Roma, Edizioni Istituto Il parroco di Courmayeur con poco tempo per capire decise che avrebbe corso il rischio di essere scoperto dai tedeschi San Gabriele, 2016) — una sera all’improvviso viene detto che non potrà più vedere per molto tempo i suoi genitori. Il piccolo «dovrà imparare da subito a chiamare zio un sacerdote, scordarsi il suo vero nome e apprenderne uno nuovo. Facendo attenzione a non confidare a nessuno, nemmeno ai suoi nuovi compagni di classe, il segreto della sua vera identità». Perché lui, Giulio, è un bambino ebreo e i genitori non hanno altra speranza di salvarlo dalla follia san- guinaria del nazismo che affidarlo al parroco di Cormaiore, come l’autarchia, anche linguistica, ha ribattezzato Courmayeur: don Cirillo Perron, sacerdote fino a un attimo prima sconosciuto alla famiglia Segre. «Il mestiere che faccio mi ha portato nella vita a incontrare tante persone e tante storie straordinarie. Una delle più belle e coinvolgenti è certamente la storia di Giulio Segre. Sembra la trama di un romanzo. Incredibile, drammatica, avvincente, ma con l’intensità e la bellezza della vita vera» chiosa Brunelli, vaticanista, dal 2014 direttore delle testate giornalistiche di Tv2000 e Radio InBlu. Ma torniamo nella Cormaiore del dicembre 1943. Don Cirillo, senza preavviso, senza troppo tempo per decidere, decide che sì, correrà il rischio di essere scoperto dai tedeschi e di subire rappresaglie. Ma come dire di no a quella famiglia spaventata? I Segre, valigie in mano, avevano provato a passare il confine con la Svizzera ma erano stati bloccati da un muro di neve di tre metri, finendo poi a Courmayeur, la porta di una canonica come unica speranza. Certo, dunque Giulio sarà il suo nipote preferito, bisognoso dell’aria buona di montagna per la lunga convalescenza prescritta dal medico dopo una brutta malattia ai bronchi. Questa la versione che don Cirillo fornirà a tutti. Compreso l’ufficiale tedesco che ha perso un bambino biondo come Giulio in un bombardamento in Germania, e si affeziona al supposto nipote ariano del parroco, gli porta giocattoli e caramelle. «Conobbi Giulio Segre — racconta Brunelli — di persona all’inizio del 2014 per una lunga intervista che realizzai per il Tg2 nella sua casa a Saluzzo. Intervista che fu trasmessa per il giorno della memoria, il 25 gennaio, in versione breve nel notiziario delle 20.30 e in versione più estesa nella rubrica Tg2Storie, nei soliti orari per nottambuli in cui si relegano spesso i programmi di qualità. Ricordo tutto, ogni dettaglio, di quelle poche ore passate insieme. La cordialità pie- montese, austera, senza fronzoli. Il fisico già minato da una malattia incurabile». Segre si era deciso a raccontare la sua storia, vincendo la sua naturale riservatezza, solo per saldare il suo debito di riconoscenza e far ottenere a don Cirillo la medaglia di Giusto fra le nazioni. In quell’occasione ricordò il giorno in cui, alcuni anni dopo la fine della guerra, tornò nella piccola frazione di Courmayeur dove la mamma aveva trovato alloggio nel 1944, non potendo resistere a lungo lontana dal suo bambino. Anche lei in quel periodo buio non aveva potuto rivelare ad alcuno la vera natura del legame con il bimbo, che si accontentava ogni tanto di vedere da lontano e raramente incontrare di nascosto. Ora che l’incubo era svanito si sentirono dire, con grande sorpresa, che tutti gli abitanti della frazione in realtà già allora avevano capito. «Qui lo sapevamo tutti. Ma la gente di montagna è abituata ad aiutare, e per questo nessuno ne ha mai parlato». (silvia guidi) Il mezzosoprano Cecilia Bartoli Sarebbe piaciuto a Mozart, nato a Salisburgo il 27 gennaio 1756, il concerto romano — perfetto nella scelta dei brani e davvero emozionante — organizzato per il suo compleanno dall’Accademia nazionale di Santa Cecilia. Con due protagonisti straordinari, Cecilia Bartoli e il direttore Antonio Pappano, che hanno interpretato un programma sacro e profano insieme all’orchestra e al coro dell’accademia diretto da Ciro Visco. Tra le composizioni eseguite, l’Exsultate, jubilate scritto a Milano nel 1773 e chiuso da un Alleluja reso prodigiosamente dal mezzosoprano, il celeberrimo e struggente Ave verum corpus del 1791, l’anno della morte, e il quarto movimento della sinfonia Jupiter, che ha concluso in modo trionfale la celebrazione mozartiana, arricchita da generosi bis concessi dai due grandi artisti. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 domenica 29 gennaio 2017 I vescovi messicani e statunitensi sulla decisione di erigere un muro al confine Rispetto per i migranti CITTÀ DEL MESSICO, 28. «Esprimiamo il nostro dolore e rifiuto per la costruzione di questo muro, e invitiamo rispettosamente a fare una riflessione più approfondita sui modi attraverso i quali si può garantire la sicurezza, lo sviluppo, la creazione di posti di lavoro e altre misure, necessarie ed eque, senza causare ulteriori danni a coloro che già soffrono, i più poveri e i più vulnerabili»: è quanto si legge in un comunicato, dal titolo Valor y respeto al migrante, diffuso ieri dalla Conferenza episcopale messicana in merito alla decisione, presa dal presidente statunitense Donald Trump, di dare inizio alla costruzione di un muro al confine con il Messico per frenare l’immigrazione illegale negli Stati Uniti. Nel documento — che porta la firma del vescovo di Cuautitlán, Guillermo Rodrigo Teodoro Ortiz Mondragón, presidente della Dimensione episcopale di mobilità umana, e del vescovo ausiliare di Monterrey, Alfonso Gerardo Miranda Guardiola, segreta- rio generale dell’episcopato — si sottolinea che la Chiesa in Messico continuerà a «sostenere in modo stretto e solidale i tanti nostri fratelli che vengono dal Centro e dal Sud America e che attraversano il nostro Paese verso gli Stati Uniti». Si invitano inoltre le autorità messicane a continuare nella ricerca di dialogo e di accordi con gli Stati Uniti, affinché «siano salvaguardati la dignità e il rispetto» di persone che cercano solo migliori opportunità di vita. «Rispettiamo il diritto del governo degli Stati Uniti di proteggere le sue frontiere e i suoi cittadini, ma non crediamo che un’applicazione rigorosa e intensiva della legge sia la maniera giusta per raggiungere i propri obiettivi, e che al contrario — viene evidenziato — tali azioni originano allarme e paura fra i migranti, disintegrando molte famiglie, senza ulteriore considerazione». Nel testo viene messo in rilievo il lavoro ventennale portato avanti dai vescovi della frontiera settentrionale del Messico con i Visita di una delegazione del Wcc Per sostenere il futuro dell’Iraq BAGHDAD, 28. «Un’importante opportunità per ascoltare ma anche un momento per mostrare la solidarietà e il sostegno delle chiese di tutto il mondo al popolo iracheno, in particolare a coloro che soffrono per la violenza estrema delle attività terroristiche». Così il segretario generale del World Council of Churches, Olav Fykse Tveit, a conclusione della visita che una delegazione dell’organismo ecumenico ha appena compiuto in Iraq. Cinque giorni, fra Baghdad e la regione del Kurdistan settentrionale, per valutare il futuro delle componenti più vulnerabili della società irachena. Numerosi gli incontri avuti dalla delegazione: dalla leadership politica a Baghdad, su tutti il presidente dell’Iraq, Fuad Masum, ai rappresentanti del governo regionale del Kurdistan a Erbil, dai parlamentari che rappresentano le minoranze ai leader delle altre comunità di fede, dai vertici delle missioni Onu a quelli delle chiese cristiane, tra cui il patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphaël I Sako. La delegazione del Wcc ha inteso perciò richiamare ancora una volta l’attenzione della comunità internazionale chiedendo una risposta davanti alle emergenze, al fine di sostenere gli sforzi per garantire sicurezza, stabilizzare e ricostruire le comunità coinvolte nello scontro con il cosiddetto stato islamico. vescovi della frontiera meridionale degli Stati Uniti, che ha permesso per esempio la creazione di comunità di fede seguite da diocesi confinanti come Matamoros e Brownsville o Laredo e Nuevo Laredo. «Ci duole che molte persone legate da relazioni familiari, di fede, lavoro o amicizia saranno bloccate ancora di più» da questa decisione. Si ricorda fra l’altro il recente intervento del vescovo di Austin, Joe Steve Vásquez, presidente del Comitato per la migrazione della Conferenza episcopale statunitense, che ha sottolineato come la costruzione del muro «metterà in pericolo le vite dei migranti», specialmente delle donne e dei bambini, vittime preferite di trafficanti e contrabbandieri. «Invece di costruire muri — ha detto monsignor Vásquez — noi vescovi continueremo a seguire l’esempio di Papa Francesco. Vogliamo costruire ponti tra le persone, ponti che ci permettano di rompere i muri dell’esclusione e dello sfruttamento». La barriera fra il Messico e gli Stati Uniti è una «pazzia» perché «non fermerà la migrazione forzata», ha dichiarato ieri il vescovo di Saltillo, José Raúl Vera López. Una migrazione «provocata dai governi, dai politici e da coloro che si occupano dell’economia mondiale». Per il cardinale arcivescovo di Newark, Joseph William Tobin, tale misura «è tutto il contrario di ciò che significa essere americano» e contribuirà a distruggere famiglie e comunità, mentre il cardinale arcivescovo di Boston, Sean Patrick O’Malley, ha ribadito che un cattolico non potrà che continuare a provare «compassione e misericordia» per coloro che fuggono da violenze e persecuzioni. Preoccupazione è stata espressa anche dalla Santa Sede attraverso il cardinale prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, Peter Kodwo Appiah Turkson, per «il segnale che si dà al mondo», con l’auspicio che altri paesi, anche in Europa, «non seguano questo esempio». Messaggio di Papa Francesco ai partecipanti A Washington in marcia per la vita versario della sentenza “Roe vs Wade”, con cui il 22 gennaio 1973 la corte suprema legalizzò l’interruzione di gravidanza. Ai partecipanti alla quarantaquattresima edizione, Papa Francesco ha dato il suo “caloroso” sostegno. In un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, e inviato al nunzio apostolico negli Stati WASHINGTON, 28. Decine di migliaia di americani hanno preso parte ieri, venerdì, a Washington, alla “March for life”, il tradizionale appuntamento — nato nel 1974 — promosso dai movimenti e dalle organizzazioni pro-life con il sostegno della Conferenza episcopale statunitense. L’evento si svolge nella capitale federale nell’anni- Messa in spagnolo a Montreal MONTREAL, 28. La mancanza di chiese dove si celebra messa nella lingua madre delle comunità immigrate e il crescente numero di residenti di origine latinoamericana nel quartiere canadese di Rivièredes-Prairies, a Montreal, ha spinto padre Couture Lauréot, parroco della chiesa di Saint-Joseph, a celebrare l’eucaristia in lingua spagnola. Il settantaduenne sacerdote ha motivato la sua scelta sottolineando quanto sia necessario per la Chiesa cattolica modernizzarsi e adattarsi al cambia- mento dei tempi. Secondo padre Couture, questa iniziativa è importante per avvicinare i fedeli, cercando di parlare la loro stessa lingua e celebrando la messa in spagnolo in un momento in cui proliferano le sette ed è alto il rischio di un allontanamento dalla fede. Si stima che nei quartieri di Rivière-des-Prairies, Pointeaux-Trembles e in generale nella parte orientale di Montreal vi siano poco più di diecimila persone di lingua spagnola. Uniti, arcivescovo Christoph Pierre, il Santo Padre ha affermato: «È così grande il valore di una vita umana ed è così inalienabile il diritto alla vita del bambino innocente che cresce nel seno di sua madre, che in nessun modo è possibile presentare come un diritto sul proprio corpo la possibilità di prendere decisioni nei confronti di tale vita, che è un fine in se stessa e che non può mai essere oggetto di dominio da parte di un altro essere umano». Papa Francesco, inoltre, si dice «fiducioso che questo evento, in cui molti cittadini americani manifestano a favore dei più indifesi dei nostri fratelli e sorelle, possa contribuire a una mobilitazione delle coscienze in difesa del diritto alla vita e a misure efficaci per garantire la sua adeguata protezione giuridica». Alla marcia di Washington, caratterizzata da numerosi striscioni che invitavano a «porre fine alla pratica dell’aborto» e a «scegliere la vita» hanno partecipato diverse autorità politiche. Come negli anni precedenti, la manifestazione è stata preceduta da una novena di preghiera e di pentimento e da una veglia notturna nel santuario dell’Immacolata Concezione, che è proseguita nella cripta con le confessioni, la recita del rosario, la preghiera notturna e l’esposizione del Santissimo Sacramento. La veglia e la marcia per la vita sono considerate dalla Chiesa negli Stati Uniti il momento culminante della novena di preghiera e penitenza che in questi giorni ha coinvolto migliaia di fedeli in tutte le diocesi del paese. Nel corso degli anni il numero delle adesioni alla marcia per la vita è progressivamente cresciuto fino a contare, per esempio nel 2010, circa 300.000 presenze. Diecimila giovani cattolici di Mangalore manifestano per la pace Uniti da valori comuni MANGALORE, 28. Più di diecimila giovani cattolici indiani, provenienti da tutto il paese, hanno percorso nei giorni scorsi le strade di Mangalore per invocare pace e serenità in Karnataka, lo stato segnato da violenze anticristiane a causa della presenza di gruppi e movimenti estremisti. Il lungo corteo ha pregato, riflettuto e manifestato pacificamente al termine dell’assemblea dell’India Catholic Youth Movement, che ha voluto in tal modo lanciare un messaggio di pace e armonia, nella diversità etnica e religiosa della nazione. «L’India — ha dichiarato a Fides padre Asis Parichha, sacerdote dell’arcidiocesi di Cuttack-Bhubaneswar, in Orissa — è una nazione che accoglie culture e identità diverse» e la manifestazione promossa dai giovani ha voluto dimostrare che insieme pace e dialogo sono possibili. Tra i numerosi partecipanti, l’arcivescovo di Bangalore, monsignor Bernard Blasius Moras, che ha presieduto una celebrazione eucaristica nella cattedrale della Madonna del Rosario. All’edizione di quest’anno hanno preso parte alcuni leader politici del Karnataka e anche il giudice cattolico Joseph Kurian, della corte suprema indiana, il quale ha rimarcato l’importanza di difendere «i diritti e i valori costituzionali che appartengono a ogni cittadino. Siamo nati in questa terra — ha detto — e siamo dunque anzitutto indiani, oltre che cristiani cattolici. Tutti gli indiani, a prescindere dal loro credo, sono depositari di diritti costitu- I pericoli della rete BANGALORE, 28. Un appello ai giovani affinché prestino attenzione a «non diventare schiavi della tecnologia» e a saper «distinguere il bene dal male nella vastità del mondo virtuale» è stato lanciato da monsignor Bernard Moras, arcivescovo di Bangalore. In un messaggio, diffuso in vista del prossimo sinodo dei vescovi che si terrà nel 2018 e che avrà per tema: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», il presule parla delle enormi possibilità di comunicazione e interscambio offerte dalla rete, sottolinenando allo stesso tempo i rischi che si celano nelle pagine internet, dietro le quali si possono nascondere adescatori e criminali, le cui vittime preferite sono minori e donne. zionali e hanno anche il dovere di rispettare la costituzione». Quindi, il giudice Kurian ha invitato i giovani a partecipare alla costruzione della nazione «per stabilire il regno di Dio sulla terra», e li ha esortati a essere «cittadini responsabili», nonché «promotori e protagonisti di un cambiamento». L’arcivescovo Moras, nel ricordare che «tutti abbiamo il diritto fondamentale di professare la nostra fede e nessuno può privarcene», ha affermato che «bisogna essere uniti, promuovere la giustizia e difendere i valori cristiani». Anche il vescovo di Mangalore, monsignor Aloysius Paul D’Souza, ha esortato i giovani a seguire la via di Gesù: «Portate la luce del Cristo nella vostra regione e fatela brillare con la vostra vita». Nei giorni scorsi, i gesuiti di Calcutta hanno invitato politici e autorità a superare ignoranza e pregiudizi e a educare i giovani a promuovere la pace e l’armonia sociale. «La pace è una necessità impellente del tempo in cui viviamo. Dobbiamo costruire relazioni e aiutare le persone non solo a tollerare — ha sottolineato il teologo gesuita indiano Michael Amaladoss, direttore dell’Istituto per il dialogo con le culture e le religioni al Loyola College di Chennai — ma a celebrare la differenza come dono creativo di Dio. Dobbiamo costruire una coalizione multireligiosa per contrastare ogni tipo di fondamentalismo in tutte le religioni. Dobbia- mo riconoscere — ha proseguito — che l’essenza di tutte le religioni è l’amore, il servizio, la pace e l’armonia. Riconoscere che ogni persona umana è dimora di un essere supremo porta al reciproco rispetto». A conclusione della marcia di Mangalore, i rappresentanti politici hanno ringraziato per la formazione di alta qualità che le scuole cattoliche di ogni ordine e grado garantiscono ai giovani indiani. «Servire Dio e servire la nazione — ha detto Oscar Fernandes, politico locale — sono complementari: i giovani usano i talenti ricevuti nelle scuole per servire l’umanità». † È spirato in pace all’età di 93 anni, nel Signore, l’Abate D ON EMILIO DUNOYER dei Canonici Regolari Lateranensi Ne danno l’annuncio i confratelli e la sorella. La Santa Messa di Esequie avrà luogo a Roma lunedì 30 gennaio 2017 alle ore 12.00 nella chiesa di San Giuseppe a via Nomentana. L’OSSERVATORE ROMANO domenica 29 gennaio 2017 pagina 7 Ai consacrati il Papa chiede di valorizzare la vita fraterna in comunità «Immersi nella cosiddetta cultura del frammento, del provvisorio, che può condurre a vivere “à la carte” e a essere schiavi delle mode», di fronte all’“emorragia” «che indebolisce la stessa Chiesa» i consacrati sono chiamati a valorizzare la vita fraterna in comunità. Lo ha raccomandato Papa Francesco ai membri della plenaria della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, ricevuti in udienza sabato mattina, 28 gennaio, nella Sala Clementina. Cari fratelli e sorelle, è per me motivo di gioia potervi ricevere oggi, mentre siete riuniti in Sessione Plenaria per riflettere sul tema della fedeltà e degli abbandoni. Saluto il Cardinale Prefetto e lo ringrazio per le parole di presentazione; e saluto tutti voi esprimendovi la mia riconoscenza per il vostro lavoro a servizio della vita consacrata nella Chiesa. Il tema che avete scelto è importante. Possiamo ben dire che in questo momento Inseriti nella riforma «Seguendo i suoi gesti, la sua parola, ma soprattutto la sua testimonianza quotidiana di supremo pastore della Chiesa, anche noi consacrati e consacrate ci inseriamo in questa riforma della Chiesa, cercando di costruirla insieme a lei». Lo ha detto il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, nel saluto a Papa Francesco. «Siamo convinti — ha aggiunto — che questo passaggio è necessario in questo momento della storia dell’umanità e della Chiesa». Dopo aver presentato i superiori e i membri del dicastero e sei superiore generali invitate, il porporato ha detto che in questi giorni è stato compiuto un lavoro interdicasteriale con la Congregazione per i vescovi per la revisione del documento Mutuae relationes. Ha poi spiegato che è stata approfondita la parte teologica partendo dalla comprensione della Chiesa, popolo di Dio in missione, alla luce del concilio Vaticano II. Al centro di questo cammino, ha sottolineato, «ci hanno guidato l’ecclesiologia e la spiritualità di comunione e le due dimensioni coessenziali della Chiesa: quella gerarchica e quella carismatica». Poi è stato presentato un sussidio canonico alla bozza del nuovo documento. Infine, è stato esaminato l’aspetto pastorale. Bisogna dire no alla cultura del provvisorio vere “à la carte” e ad essere schiavi delle mode. Questa cultura induce il bisogno di avere sempre delle “porte laterali” aperte su altre possibilità, alimenta il consumismo e dimentica la bellezza della vita semplice e austera, provocando molte volte un grande vuoto esistenziale. Si è diffuso anche un forte relativismo pratico, secondo il quale tutto viene giudicato in funzione di una autorealizzazione molte volte estranea ai valori del Vangelo. Viviamo in società dove le regole economiche sostituiscono quelle morali, dettano leggi e impongono i propri sistemi di riferimento a scapito dei valori della vita; una società dove la dittatura del denaro e del profitto propugna una visione dell’esistenza per cui chi non rende viene scartato. In questa situazione, è chiaro che uno deve prima lasciarsi evangelizzare per poi impegnarsi nell’evangelizzazione. A questo fattore del contesto socio-culturale dobbiamo aggiungerne altri. Uno di essi è il mondo giovanile, un mondo complesso, allo stesso tempo ricco e sfidante. Non negativo, ma complesso, sì, ricco e sfidante. Non mancano giovani molto generosi, solidali e impegnati a livello religioso e sociale; giovani che cercano una vera vita spirituale; giovani che hanno fame di qualcosa di diverso da quello che offre il mondo. Ci sono giovani meravigliosi e non sono pochi. Però anche tra i giovani ci sono molte vittime della logica della mondanità, che si può sintetizzare così: ricerca del successo a qualunque prezzo, del denaro facile e del piacere facile. Questa logica seduce anche molti giovani. Il nostro impegno non può essere altro che stare accanto a loro per contagiarli con la gioia del Vangelo e dell’appartenenza a Cristo. Questa cultura va evangelizzata se vogliamo che i giovani non soccombano. Un terzo fattore condizionante proviene dall’interno della stessa vita consacrata, dove accanto a tanta santità — c’è tanta santità nella vita consacrata! — non mancano situazioni di contro-testimonianza che rendono difficile la fedeltà. Tali situazioni, tra le altre, sono: la routine, la stanchezza, il peso della gestione delle strutture, le divisioni interne, la ricerca di potere — gli arrampicatori —, una maniera mondana di governare gli istituti, un servizio dell’autorità che a volte diventa autoritarismo e altre volte un “lasciar fare”. Se la vita consacrata vuole mantenere la sua missione profetica e il suo fascino, continuando ad essere scuola di fedeltà per i vicini e per i lontani (cfr. Ef 2, 17), deve mantenere la freschezza e la novità della centralità di Gesù, l’attrattiva della spiritualità e la forza della missione, mostrare la bellezza della sequela di Cristo e irradiare speranza e gioia. Speranza e gioia. Questo ci fa vedere come va una comunità, cosa c’è dentro. C’è speranza, c’è gioia? Va bene. Ma quando viene meno la speranza e non c’è gioia, la cosa è brutta. Un aspetto che si dovrà curare in modo particolare è la vita fraterna in comunità. Essa va alimentata dalla preghiera comunitaria, dalla lettura orante Paolo Veronese, «Le nozze di Cana» (particolare) la fedeltà è messa alla prova; le statistiche che avete esaminato lo dimostrano. Siamo di fronte ad una “emorragia” che indebolisce la vita consacrata e la vita stessa della Chiesa. Gli abbandoni nella vita consacrata ci preoccupano. È vero che alcuni lasciano per un atto di coerenza, perché riconoscono, dopo un discernimento serio, di non avere mai avuto la vocazione; però altri con il passare del tempo vengono meno alla fedeltà, molte volte solo pochi anni dopo la professione perpetua. Che cosa è accaduto? Come voi avete ben segnalato, molti sono i fattori che condizionano la fedeltà in questo che è un cambio di epoca e non solo un’epoca di cambio, in cui risulta difficile assumere impegni seri e definitivi. Mi raccontava un vescovo, tempo fa, che un bravo ragazzo con laurea universitaria, che lavorava in parrocchia, è andato da lui e ha detto: «Io voglio diventare prete, ma per dieci anni». La cultura del provvisorio. Il primo fattore che non aiuta a mantenere la fedeltà è il contesto sociale e culturale nel quale ci muoviamo. Viviamo immersi nella cosiddetta cultura del frammento, del provvisorio, che può condurre a vi- della Parola, dalla partecipazione attiva ai sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione, dal dialogo fraterno e dalla comunicazione sincera tra i suoi membri, dalla correzione fraterna, dalla misericordia verso il fratello o la sorella che pecca, dalla condivisione delle responsabilità. Tutto questo accompagnato da una eloquente e gioiosa testimonianza di vita semplice accanto ai poveri e da una mis- sione che privilegi le periferie esistenziali. Dal rinnovamento della vita fraterna in comunità dipende molto il risultato della pastorale vocazionale, il poter dire «venite e vedrete» (cfr. Gv 1, 39) e la perseveranza dei fratelli e delle sorelle giovani e meno giovani. Perché quando un fratello o una sorella non trova sostegno alla sua vita consacrata dentro la comunità, andrà a cercarlo fuori, con tutto ciò che questo comporta (cfr. La vita fraterna in comunità, 2 febbraio 1994, 32). La vocazione, come la stessa fede, è un tesoro che portiamo in vasi di creta (cfr. 2 Cor 4, 7); per questo dobbiamo custodirla, come si custodiscono le cose più preziose, affinché nessuno ci rubi questo tesoro, né esso perda con il passare del tempo la sua bellezza. Tale cura è compito anzitutto di ciascuno di noi, che siamo stati chiamati a seguire Cristo più da vicino con fede, speranza e carità, coltivate ogni giorno nella preghiera e rafforzate da una buona formazione teologica e spirituale, che difende dalle mode e dalla cultura dell’effimero e permette di camminare saldi nella fede. Su questo fondamento è possibile praticare i consigli evangelici e avere gli stessi sentimenti di Cristo (cfr. Fil 2, 5). La vocazione è un dono che abbiamo ricevuto dal Signore, il quale ha posato il suo sguardo su di noi e ci ha amato (cfr. Mc 10, 21) chiamandoci a seguirlo nella vita consacrata, ed è allo stesso tempo una responsabilità di chi ha ricevuto questo dono. Con la grazia del Signore, ciascuno di noi è chiamato ad assumere con responsabilità in prima persona l’impegno della propria crescita umana, spirituale e intellettuale e, al tempo stesso, a mantenere viva la fiamma della vocazione. Ciò comporta che a nostra volta teniamo fisso lo sguardo sul Signore, facendo sempre attenzione a camminare secondo la logica del Vangelo e non cedere ai criteri della mondanità. Tante volte le grandi infedeltà prendono avvio da piccole deviazioni o distrazioni. Anche in questo caso è importante fare nostra l’esortazione di san Paolo: «È ormai tempo di svegliarvi dal sonno» (Rm 13, 11). Parlando di fedeltà e di abbandoni, dobbiamo dare molta importanza all’accompagnamento. E questo vorrei sottolinearlo. È necessario che la vita consacrata investa nel preparare accompagnatori qualificati per questo ministero. E dico la vita consacrata, perché il carisma dell’accompagnamento spirituale, diciamo della direzione spirituale, è un carisma “laicale”. Anche i preti lo hanno; ma è “laicale”. Quante volte ho trovato suore che mi dicevano: «Padre, lei non conosce un sacerdote che mi possa dirigere?» — «Ma, dimmi, nella tua comunità non c’è una suora saggia, una donna di Dio?» — «Sì, c’è quella vecchietta che... ma...» — «Vai da lei!». Prendetevi cura voi dei membri della vostra congregazione. Già nella precedente Plenaria avete constatato tale esigenza, come risulta anche nel vostro recente documento Per vino nuovo otri nuovi (cfr. nn. 14-16). Non insisteremo mai abbastanza su questa necessità. È difficile mantenersi fedeli camminando da soli, o camminando con la guida di fratelli e sorelle che non siano capaci di ascolto attento e paziente, o che non abbiano un’adeguata esperienza della vita consacrata. Abbiamo bisogno di fratelli e sorelle esperti nelle vie di Dio, per poter fare ciò che fece Gesù con i discepoli di Emmaus: accompagnarli nel cammino della vita e nel momento del disorientamento e riaccendere in essi la fede e la speranza mediante la Parola e l’Eucaristia (cfr. Lc 24, 13-35). Questo è il delicato e impegnativo compito di un accompagnatore. Non poche vocazioni si perdono per mancanza di validi accompagnatori. Tutti noi consacrati, giovani e meno giovani, abbiamo bisogno di un aiuto adeguato per il momento umano, spirituale e vocazionale che stiamo vivendo. Mentre dobbiamo evitare qualsiasi modalità di accompagnamento che crei dipendenze. Questo è importante: l’accompagnamento spirituale non deve creare dipendenze. Mentre dobbiamo evitare qualsiasi modalità di accompagnamento che crei dipendenze, che protegga, controlli o renda infantili, non possiamo rassegnarci a camminare da soli, ci vuole un accompagnamento vicino, frequente e pienamente adulto. mento richiede, da parte dell’accompagnatore e della persona accompagnata, una fine sensibilità spirituale, un porsi di fronte a sé stesso e di fronte all’altro “sine proprio”, con distacco completo da pregiudizi e da interessi personali o di gruppo. In più occorre ricordare che nel discernimento non si tratta solamente di scegliere tra il bene e il male, ma tra il bene e il meglio, tra ciò che è buono e ciò che porta all’identificazione con Cristo. E continuerei a parlare, ma finiamo qui. Tutto ciò servirà ad assicurare un discernimento continuo che porti a scoprire il volere di Dio, a cercare in tutto ciò che più è gradito al Signore, come direbbe sant’Ignazio, o — con le parole di san Francesco d’Assisi — a «volere sempre ciò che a Lui piace» (cfr. FF 233). Il discerni- Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio ancora e invoco su di voi e sul vostro servizio come membri e collaboratori della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica la continua assistenza dello Spirito Santo, mentre di cuore vi benedico. Grazie. Per la festa di santa Martina Alla vigilia della memoria liturgica di santa Martina, nella chiesa barocca al Foro romano dedicata all’evangelista Luca e alla giovane martire romana e legata all’Accademia nazionale di San Luca, il 29 gennaio alle 18 nella cripta dov’è la confessio edificata da Pietro da Cortona saranno celebrati i primi vespri solenni della festa dal rettore della chiesa, il vescovo Giuseppe Sciacca, segretario del Supremo tribunale della Segnatura apostolica. E lunedì 30, giorno della festa, alle 18 sarà celebrato nella stessa chiesa dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura, un solenne pontificale. Per l’occasione verrà esposto alla venerazione dei fedeli il prezioso reliquiario con il capo della martire, custodito per volontà dello stesso Pietro da Cortona nell’antico conservatorio (oggi Ipab) di Santa Eufemia. Il cardinale Turkson denuncia le discriminazioni sociali Quando un lebbroso guarisce «È di troppo ogni nuovo caso di lebbra, è di troppo ogni forma residua di stigma per questa malattia, è di troppo ogni legge che discrimina i malati e ogni forma di indifferenza». Non usa giri di parole il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, nel messaggio per la sessantaquattresima Giornata mondiale di lotta alla lebbra, che si celebra domenica 29 gennaio. Eloquente il tema scelto per il 2017: «Eradicazione della lebbra e reinserimento delle persone colpite dall’hanseniasi: una sfida non ancora vinta». «La messa a punto di efficaci terapie farmacologiche — scrive il cardinale — e il forte impegno a livello planetario profuso da molti organismi e realtà nazionali e internazionali, con la Chiesa cattolica in prima linea», hanno consentito di compiere grandi passi avanti nella lotta alla lebbra. «Ma c’è ancora moltissimo da fare» rileva il porporato. Anzitutto «dobbiamo impegnarci tutti e a tutti i livelli perché, in tutti i Paesi, vengano modificate le politiche familiari, lavorative, scolastiche, sportive e di ogni altro genere che discriminano direttamente o indirettamente queste persone». E sta ai governi mettere «a punto piani attuativi che coinvolgano le persone malate». Inoltre — fa notare il cardinale Turkson nel messaggio — «è fondamentale rafforzare la ricerca scientifica per sviluppare nuovi farmaci e ottenere migliori strumenti diagnostici, così da aumentare le possibilità di diagnosi precoce». In larga parte infatti «i nuovi casi vengono identificati solamente quando l’infezione ha già provocato lesioni permanenti». Purtroppo, riconosce, «nelle aree più remote è difficile garantire l’assistenza necessaria a terminare la cura». C’è poi la grave questione del reinserimento «a pieno titolo» della «persona guarita nel tessuto sociale originario: nella famiglia, nella comunità, nella scuola e nell’ambiente di lavoro». Ed è «forse questo, oggi come oggi, l’ostacolo maggiore da superare per chi è stato segnato dall’hanseniasi e per chi opera in suo favore: le disabilità, i segni inconfondibili lasciati dalla malattia sono ancora oggi simili a dei marchi a fuoco». La paura, è la denuncia del cardinale, prevale ancora troppo spesso «sulla ragione e la mancanza di conoscenza della patologia da parte della comunità esclude i guariti che, a loro volta, a causa della sofferenza e delle discriminazioni subite, hanno perso il senso della dignità che gli è propria, inalienabile anche se il corpo presenta mutilazioni». Nomina episcopale nello Zimbabwe La nomina di oggi riguarda la Chiesa in Africa. Rudolf Nyandoro vescovo di Gokwe Nato l’11 ottobre 1968 a Gweru, allora diocesi di Gwelo, dopo gli studi primari è entrato nel seminario minore di Chikwingwizha. Ha seguito i corsi filosofici dal 1991 al 1994 nel seminario maggiore Saint Charles Lwanga di Chimanimani, in diocesi di Mutare. In seguito, è stato inviato al seminario maggiore di Chishawasha, nell’arcidiocesi di Harare, per completare la formazione teologica. Ordinato sacerdote il 19 dicembre 1998 e incardinato nella diocesi di Masvingo, è stato vicario parrocchiale a Mukaru Mission nel 1999 e amministratore della cattedrale dal 2000 al 2006. È stato rettore del seminario minore dal 2007 al 2009 e del Bondolfi Teachers’ College dal 2010 al 2015. Ha conseguito un dottorato in pastoral counselling nel 2015 presso la University of South Africa e dallo stesso anno era cancelliere della diocesi di Masvingo e docente al Bondolfi Teachers’ College.