il chimico italiano - Consiglio Nazionale dei Chimici

Transcript

il chimico italiano - Consiglio Nazionale dei Chimici
IL CHIMICO
Periodico di Informazione
dei Chimici Italiani
www.chimici.it
ITALIANO
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA 2 DCB – ROMA
Anno XIX n. 3-2008
IL CHIMICO: una professione
semplicemente unica
IL CLIMA E LA CHIMICA:
Torino 15 settembre 2008
ESERCIZIO ABUSIVO DELLA PROFESSIONE:
L’ORDINE PUÒ INTERVENIRE
I Nanotubi al Carbonio
RISPONDE IL CHIMICO FORENSE
Novità su Igiene & Sicurezza
nei luoghi di lavoro
”Il clima e la chimica”
Torino 15 settembre 2008
Enviroment Park, Via Livorno 58, TO
Orario 9-17.30
(Giornata di cultura generale aperta a tutti)
Programma
Ore 9,15
Registrazione partecipanti
Ore 9,30
Saluto Autorità
Presentazione giornata Dr. G. Geda – Presidente dell’Ordine dei Chimici del
Piemonte della Valle d’Aosta.
dalle ore 10,00 alle ore 13,00 interventi di:
Prof. E. Pellizzetti Rettore Università di Torino
Dott. L. Mercalli - Presidente SMI
Prof. L. Cerruti - Università Torino
Prof. L. Campanella - Presidente S.C.I.
Prof. E. Tiezzi - Università di Siena
Ore 13,10
Pausa pranzo
Ore 14,30
Tavola rotonda “Energia e limiti dello sviluppo”
Conduttore: Dott. L. Mercalli
Partecipanti: Presidente del Consiglio Nazionale dei Chimici, ricercatori, studiosi, rappresentanti politici a livello locale e nazionale.
Ore 17,00 – Chiusura lavori/ Aperitivo di saluto offerto dalla M&R o C.T.A.
Per maggiori informazioni: www.chimicipiemonte.it
Consiglio
Nazionale
dei Chimici
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
Bimestrale di informazioni professionali, tecniche, giuridiche
ed economiche dei Chimici d’Italia
In copertina:
Scorcio del mosaico della cappella personale del
Papa in Vaticano di Padre M.I. Rupnik
SOMMARIO n. 3
Spedizione in Abb. postale
Art. 2, comma 20/C - legge 662/96
Filiale di Roma
Editore
CONSIGLIO NAZIONALE DEI CHIMICI
Direzione, redazione e amministrazione
P.zza S. Bernardo, 106 - 00187 Roma
Tel. 06.47883819 - Fax 06.47885904
E-mail: [email protected]
Web: www.chimici.it
Direttore responsabile
ARMANDO ZINGALES
Direttore editoriale
ANTONIO RIBEZZO
Revisori delle bozze
ANTONIO DE PACE - CARLO BRESCIANI
DANIELA BIANCARDI - SERGIO CARNINI
Redazione
DANIELA BIANCARDI - CARLO BRESCIANI
ELIO CALABRESE - SERGIO CARNINI
ANTONIO DE PACE - SERGIO FACCHETTI
FERNANDO MAURIZI - DOMENICO MENCARELLI
TOMASO MUNARI - CARMELA OCCHIPINTI
ANTONIO RIBEZZO - GIUSEPPE RICCIO
LUCA SCANAVINI - FRANCO TAU
ARMANDO ZINGALES
• EDITORIALE
2
CHIMICO: una professione semplicemente unica!
• DAL CNC
Esercizio abusivo della professione: l’Ordine Professionale
può costituirsi parte civile
In ricordo del collega Elio Rimbaldi
2nd EuCheMS Chemistry Congress: chemical, the global science
3
4
5
• DAGLI ISCRITTI
I Nanotubi al Carbonio: tipologia e
proprietà elettroniche
Polveri e inquinamento atmosferico
I biosensori e il loro contributo all’analisi in diversi campi
Proposta di modello di scheda di caratterizzazione di base
Igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro:
le novità del testo unico
Acque reflue, rifiuti o risorsa? (Seconda Parte)
Insolita avventura di un Chimico Astronomo
e dei suoi Elementi “Fotochimici”
6
10
12
14
17
21
27
• IL CHIMICO FORENSE
Il caso n. 2 (ovvero arrotondamento si, arrotondamento no?)
31
In copertina: Scorcio del mosaico della cappella personale
del Papa in Vaticano di Padre M.I. Rupnik0
“Gli articoli e le note firmate esprimono soltanto l’opinione
dell’Autore e non impegnano il Consiglio Nazionale dei Chimici né il
Comitato di Redazione (CdR).
L’accettazione per la stampa dei contributi originali di interesse
scientifico e professionale nel campo della chimica è subordinato
all’approvazione del CdR, previa revisione di tre Referee, scelti dal
CdR tra gli esperti del settore. Quanto pubblicato nel Bollettino raccoglie gli atti ufficiali del Consiglio Nazionale dei Chimici”.
Coordinamento editoriale e stampa
Mailing Service s.r.l.
Autorizzazione del Tribunale di Roma
n. 0032 del 18 gennaio 1990
ASSOCIATO ALL’USPI
UNIONE STAMPA
PERIODICA ITALIANA
Una veste grafica e
una copertina molto significativa
Caro Collega,
avrai certamente notato un cambiamento del frontespizio della nostra rivista “Il Chimico Italiano”. Il
Consiglio Nazionale ed il Comitato di redazione hanno voluto dare ad essa una veste più moderna, più simbolica, più attraente che in qualche modo richiamasse quello che è l’oggetto della ricerca scientifica ma anche
dell’arte nel suo valore più alto e cioè la Natura, la sua scoperta e la sua interpretazione.
I quattro elementi della visione classica della natura, l’acqua, l’aria, la terra ed il fuoco, in un simbolismo attuale ed estremamente movimentato, sono espressi da accostamenti cromatici di grande effetto quasi
richiamassero i colori della chimica ed i movimenti della fisica. E tra questi elementi emergono prepotenti
figure ed immagini della liturgia e quelle tragiche che hanno insanguinato l’Europa del 20° secolo. L’Autore
di questi mosaici è il p. M. I. Rupnik, direttore del Centro di ricerche ecumeniche e di arte sacra “Aletti” di
Roma. La sua fama di grande artista, teologo ed autore di opere che hanno come tema la spiritualità della
scienza e dell’arte, ha da tempo superato i confini dell’Italia e dell’Europa. La sua opera più significativa rimane il mosaico della Cappella personale del Papa in Vaticano, la Redemptoris Mater, ultimato per il Giubileo del
2000 (la cosiddetta terza Cappella Sistina). Della sua arte la caratteristica più facilmente percepibile è il dinamismo delle figure ed il gran simbolismo, fatto ancora più pregevole, dato che la tecnica del mosaico, pur
nella sua veste moderna ed attuale, non si presta facilmente a rappresentare figure in movimento preferendo, per sua natura, la “classicità perfetta” e perciò statica.
Il Consiglio Nazionale dei Chimici ringrazia padre Rupnik per aver concesso di riportare sulla rivista “Il
Chimico Italiano” alcuni scorci della sua opera più importante.
Consigliere Carlo Bresciani
Ai sensi dell’art. 10 della Legge n. 675/1996 e s.m.i., informiamo i lettori che i loro dati sono conservati nel nostro archivio informatico e saranno
utilizzati da questa redazione e da enti e società esterne collegate solo per l’invio della rivista “IL CHIMICO ITALIANO” e di materiale promozionale relativo alla professione di chimico. Informiamo inoltre che, ai sensi dell’art. 13 della succitata Legge, i destinatari di “IL CHIMICO ITALIANO”
hanno la facoltà di chiedere, oltre che l’aggiornamento dei propri dati, la cancellazione del proprio nominativo dall’elenco in nostro possesso,
mediante comunicazione scritta a “IL CHIMICO ITALIANO” c/o Consiglio Nazionale dei Chimici - P.zza S. Bernardo, 106 - 00187 Roma.
1
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
EDITORIALE
CHIMICO: una professione semplicemente
unica!
di Antonio Ribezzo
Imitando una nota pubblicità, potremmo dire:
difficile e molto imitata.
Non si contano infatti i corsi di laurea che
rasentano, e spesso “copiano”, le nostre competenze.
Il risultato è quello di una proliferazione tanto
di competenze quanto di aspettative, spesso
restano solo tali, da parte di chi, evitando la
nostra facoltà, alla fine ritiene di poter “fare il
chimico”!
Certamente la nostra attività ha molteplici
applicazioni nelle quali il chimico mostra le sue
capacità, preparazione specifica e sintesi dando
grande prova di se.
La completezza degli studi seguiti, esaltano la
sua preparazione rendendo, quella del chimico,
una professione unica.
La mia può apparire una esaltazione eccessiva,
ma alla luce della lunga esperienza professionale e Ordinistica, ritengo di non esagerare
affatto.
Il chimico è, infatti, ricercatore nell’industria
del farmaco, dell’elettronica, della chimica fine,
è consulente nelle attività peritali poste al servizio della Magistratura civile e penale, nella
protezione ambientale e caratterizzazione dei
rifiuti, è tecnico specialista nelle analisi di ogni
specie ove possiede la specificità di “giurista di
settore”.
Nelle varie attività poste in essere egli parte
dalla peculiare conoscenza della materia e della
sua trasformazione ricercando ogni possibile
implicazione logica e tecnica, al fine di giungere al risultato più idoneo a risolvere la problematica oggetto della sua ricerca.
Avviene così nella interpretazione dei dati analitici ottenute da misure chimico-ambientali,
nella valutazione di possibili frodi alimentari,
nelle perizie tecnico-giuridiche.
In ogni settore della sua attività il chimico si
cimenta con i “numeri”, valutandone tanto la
2
precisione che l’accuratezza dei risultati ottenuti e lo specifico significato rispetto alle
norme di legge in vigore.
Da tale angolo visuale egli assume quindi sempre più la funzione di “giurista” del dato analitico.
Anche nell’insegnamento il chimico interviene
con dedizione e specificità.
Oltre che formatore egli deve saper alternare,
nell’insegnamento all’allievo, nozioni teoriche
di tecnica di laboratorio in modo da sviluppare
la coscienza critica e stimolare la capacità
costruttiva e di analisi dell’allievo.
Nello sviluppo di una sempre migliore dinamica motoristica in campo automobilistico, ivi
compresa la tenuta di strada dei pneumatici,
ma anche alle molteplici tipologie delle vernici,
essenziale è l’intervento dello specialista chimico.
E potrei continuare a lungo !
In definitiva la nostra è sì una professione antica ma che si rinnova adeguandosi ai tempi:
imitata ma sempre unica perchè scienza fra le
scienze primordiali.
L’amore per questa professione traspare dalle
mie parole proprio perché sono consapevole
del riconoscimento che noi tutti dobbiamo a
tanta parte che la chimica ha avuto, ed ancora
avrà, nello sviluppo dell’umanità intesa come
contributo al miglioramento della qualità della
vita sulla terra.
Sono certo che i risultati raggiunti nell’esercizio della nostra professione, anche se a volte
non sono direttamente ad essa collegabili dai
più, sono comunque sotto gli occhi di tutti.
Non c’è infatti più cieco di chi non vede ciò che
è evidente.
Ma tant’è, anche se a volte alcune notizie di
stampa informano distorcendo la realtà, resterà a tutti chiara la nostra opera da qui all’eternità.
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAL
CNC
Esercizio abusivo della professione,
l’ordine professionale può costituirsi
parte civile.
Di Luciana Becherini1
Con la sentenza n. 22144 depositata il 3 giugno 2008 la Corte di Cassazione ha ribadito
che l’Ordine professionale ha la facoltà di
costituirsi parte civile nel processo penale per
chiedere il risarcimento dei danni morali e
patrimoniali subiti per effetto dell’esercizio
abusivo della professione (art. 348 Cod. Pen.).
Nella specie la vicenda riguardava il caso di un
odontoiatra abusivo condannato in Appello a
oltre 3 mila euro di multa. Nel corso del procedimento si era costituito in giudizio anche il
Consiglio dell’Ordine dei Medici. Su tale aspetto si era concentrata una parte dei motivi di
ricorso presentati dalla difesa che adduceva il
difetto di legittimazione attiva dell’Ordine.
La Suprema Corte nelle proprie motivazioni
precisa che: “Se è vero che in tema di esercizio
arbitrario della professione il bene tutelato
dall’articolo 348 c.p. in via primaria è costituito dall’interesse generale a che determinate
professioni, richiedenti, tra l’altro, particolari
competenze tecniche vengano esercitate soltanto da soggetti che abbiano conseguito
una speciale abilitazione amministrativa, sicché deve ritenersi che l’eventuale lesione del
bene anzidetto riguardi in via diretta e immediata la pubblica amministrazione, con la
conseguenza che gli Ordini professionali non
sono abilitati a costituirsi parte civile all’unico fine di tutelare gli interessi morali della
categoria quando all’Ordine stesso non sia
derivato un danno, ciò non toglie tuttavia”,
sottolinea il Collegio, “che possano assumere
veste di danneggiati quei soggetti che, sia
pure in via mediata e di riflesso, abbiano subito a causa della violazione della norma penale in questione un danno tipicamente di
carattere patrimoniale”. Il danno patrimoniale
viene individuato dai giudici dalla Suprema
Corte con “il pregiudizio che è causato dalla
concorrenza sleale subita in un determinato
contesto territoriale dai professionisti iscritti
all’associazione di categoria, danno che va ad
aggiungersi a quello consistente nell’offesa
all’interesse circostanziato riferibile all’associazione professionale, in tal caso legittimata
a costituirsi parte civile nel procedimento
penale per ottenere il risarcimento o la riparazione non già del danno soltanto morale,
bensì anche patrimoniale”.
La Corte di Cassazione riconosce agli Ordini
professionali un’arma in più per difendere gli
interessi di categoria, quest’ultimi possono
infatti chiedere i danni patrimoniali e morali
a chi è accusato di esercizio abusivo della professione. Il Collegio ha chiarito che in questi
casi il tipo di danno sofferto dall’Ordine non è
tanto quello di un patimento morale quanto di
un danno patrimoniale per “concorrenza sleale subita su un certo territorio dai professionisti iscritti all’Associazione”. I danni non
patrimoniali, ha chiarito la Suprema Corte,
non possono essere chiesti autonomamente.
Da quanto sopra discende che l’Ordine deve
provare di aver subito un danno patrimoniale
“anche indirettamente”.
1 Ufficio Legislativo del C.N.C.
3
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAL
CNC
In ricordo del collega
Elio Rambaldi
Fernando Maurizi
Elio Rambaldi, lo conoscevo da oltre vent’anni, fin da quando eravamo in Via Sicilia.
Nel 2006 era ancora il Segretario del
Consiglio Nazionale dei Chimici ed era stato
nominato Cavaliere del Lavoro.
Era nato nel 1921, come mia madre, a
Cremona aveva iniziato la sua carriera di
Chimico tecnologo alimentare specializzato
nel settore dolciario e era il maggior esperto in materia, consulente delle industrie del
posto per le quali aveva formulato ricette
innovative su torrone e caramelle.
C’è da dire che Elio aveva prestato servizio
millitare come Chimico e durante la guerra
aveva completato gli studi universitari.
Mi legava a Lui, oltre il rapporto di appartenenza al CNC, anche l’amicizia che mi aveva
concesso dopo alcune esperienze professionali di lavoro insieme nel campo del ciocco-
lato in cui mi ero avvalso della sua esperienza per risolvere diversi problemi tecnici.
Ha svolto nel Consiglio Nazionale il ruolo di
Segretario in modo attento e puntuale,
infatti non mancava mai alle riunioni fissate a Roma o itineranti in altre parti d’Italia,
prendeva appunti e verificava con competenza soprattutto la parte economica delle
delibere, da esperto Tesoriere.
Si era ritirato da due anni dall’attività nella
sua Cremona prostrato dalla perdità della
moglie che spesso lo accompagnava negli
anni precedenti.
Ora l’ha raggiunta lassù.
Altro non riesco ad aggiungere il ricordo mi
assale emotivamente.
La Chimica applicata all’industria alimentare e noi tutti colleghi e amici abbiamo perso
il nostro “decano”.
Riscossione contributo 2008 al Consiglio Nazionale
Il presente avviso, già inserito sul numero 2/2008 di questa rivista, pubblicato sul bollettino ufficiale del
Consiglio Nazionale dei Chimici e sul sito www.chimici.it costituisce notifica agli iscritti a sensi di legge.
Il Consiglio Nazionale ha avviato le procedure per la riscossione del contributo dovuto dagli iscritti.
In queste settimane è stato inviato agli iscritti l’avviso di riscossione con scadenza 31 luglio 2008.
L’iimporto da versare per il 2008 è di 55,00 Euro, comprensivo di diritti di segreteria e rimborsi spese di esazione.
Per i pagamenti effettuati dopo il 31 luglio 2008 è dovuta, in aggiunta, la sanzione per ritardato pagamento, pari
a 10,00 Euro.
Il pagamento può avvenire secondo una delle seguenti modalità:
• Versamento su CC Postale mediante bollettino premarcato allegato all’avviso di pagamento;
• Versamento in CC Postale compilando un bollettino in bianco: CCP n. 42064022 – Consiglio Nazionale dei
Chimici, Roma;
Pagamento con Carta di Credito (Salvo Buon Fine) inviando al Consiglio Nazionale dei Chimici, anche mediante
fax il modulo di addebito allegato all’avviso di pagamento, ovvero inserendo i propri dati nel modulo disponibile
on-line sul sito www.chimici.it;
Versamento o bonifico (anche telematico) sul CC del CNC presso la Banca Nazionale del Lavoro, Agenzia Bissolati,
via Bissolati n. 2 – IBAN: IT30N0100503200000000048431.
Al momento del pagamento bisogna aver cura di rendere certa l’identificazione dell’iscritto (attraverso i suoi dati
anagrafici, oltre al codice iscritto riportato sopra l’indirizzo nell’avviso di riscossione ed il codice fiscale) e l’anno
di riferimento (contributo 2008).
Raccomandiamo a tutti la puntualità nell’adempimento: l’attività del Consiglio Nazionale dipende dalla disponibilità delle risorse necessarie.
Cogliamo l’occasione per comunicare che la riscossione dei contributi relativi agli anni 2001-2007 (iscritti morosi) è stata affidata ai Concessionari per la riscossione delle imposte, che provvederanno nei modi di legge.
Per informazioni sul tributo è possibile rivolgersi al Consiglio Nazionale dei Chimici: responsabile del procedimento è la signora Bruna Peri, Capo Ufficio Segreteria del Consiglio Nazionale dei Chimici.
4
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
I Nanotubi al Carbonio: topologia e
proprietà elettroniche
Riccardo Narizzano*a-b, Fulvia Rissoa-b
*e-mail:
[email protected]
a
Ordine Interprovinciale dei
Chimici della Liguria
b
ARPAL, Via Bombrini 8 16149
Genova
Abstract: Dopo una breve introduzione sulla topologia di fullereni, grafene e nanotubi al carbonio, vengono descritti alcuni
aspetti fondamentali delle proprietà elettroniche e delle caratteristiche strutture aggregate di
nanotubi al carbonio a parete
singola e multipla.
1 Dresselhaus, M. S.; Dresselhaus,
G.; Eklund, P. C. Science of
Fullerenes
and
Carbon
Nanotubes; Academic Press: New
York, 1996.
2 Rohlfing, E. A.; Cox, D. M.;
Kaldor, A. J. Chem. Phys. 1984, 81,
3322.
3 Kroto, H. W.; Heath, J. R.;
O’Brien, S. C.; Curl, S. C.; Smalley,
R. E. Nature 1985, 318, 162.
4 Ebbesen, T. W. Carbon
Nanotubes: Preparation and
Properties; CRC Press: Boca
Raton, FL, 1997.
5 Kiang, C. H.; Goddard, W. A.;
Beyers, R.; Bethune, D. S. Carbon
1995, 33, 903.
6 Ajayan, P. M.; Ebbesen, T. W.
Rep. Prog. Phys. 1997, 60, 1025.
7 Yakabson, B. I.; Smalley, R. E.
Am. Sci. 1997, July-August, 324.
8 Saito, R.; Dresselhaus, M. S.;
Dresselhaus,
G.
Physical
Properties of Carbon Nanotubes;
World Scientific: New York, 1998.
E’ ben noto come il carbonio possa legarsi in
modi diversi creando strutture con proprietà
completamente differenti, originando grafite
e diamante, fasi solide di puro carbonio. Il
motivo risiede nelle diverse ibridazioni che gli
atomi di carbonio possono assumere.
L’ibridazione sp3 è responsabile della forma
“isotropicamenete hard” diamante, mentre
l’ibridazione sp2 è responsabile della formazione della grafite, materiale nel quale si
hanno legami forti nel piano e legami deboli,
del tipo van der Waals, perpendicolari ad esso.
La grafite, quindi, è considerata un materiale
“soft” grazie alla capacità di scorrimento tra i
piani che la costituiscono. L’architettura dei
fullereni e dei nanotubi1 deriva da atomi di
carbonio con ibridazione sp2 legati tra di loro
e dalla presenza di un dato gruppo di “difetti”
topologici, che possono creare le uniche strutture a guscio chiuso al di fuori del piano definito dal foglio di grafite.
Nel caso di un numero infinito di atomi di carbonio (cioè quando gli effetti di bordo siano
trascurabili), la grafite è la fase solida termodinamicamente stabile del carbonio fino a
temperature elevatissime entro un normale
intervallo di pressione, mentre il diamante è la
forma solida cineticamente stabile. Quando si
ha a che fare con sistemi a numero finito di
atomi di carbonio, cioè quando la densità
degli atomi “di bordo”, senza quindi la possibiltià di saturare tutte le valenze, diventa alta,
la situazione energeticamente favorita è una
struttura che si richiude su se stessa eliminando quindi tutti gli atomi con legami incompleti. Gli esperimenti preliminari effettuati verso
la metà degli anni ’802, serviti come precursori della scoperte del fullerene3, suggerivano
che quando il numero di atomi di carbonio è
minore di poche centinaia, le strutture formate corrispondevano a catene lineari, anelli e
gusci chiusi. Questi ultimi, chiamati fullereni,
sono molecole di “tutto” carbonio con un
numero pari di atomi (partendo dal C28 osservato mediante spettrometria di massa) e con
legami nominali di tipo sp2 tra atomi adiacenti. Per formare delle strutture curve partendo
da un segmento planare di un reticolo esago-
nale di grafite, è necessario introdurre alcuni
“difetti” topologici nella struttura. Per produrre una struttura convessa bisogna quindi
introdurre una curvatura nel reticolo della
grafite, e questa può essere ottenuta creando
dei pentagoni. Come conseguenza particolare
(e curiosa) del principio di Eulero, servono solo
12 pentagoni per provvedere alla curvatura
necessaria per la completa chiusura del reticolo esagonale. Quindi, nel C60 e in tutti gli altri
fullereni si hanno un grande numero di esagoni (C2n con (n-10) esagoni) ma solamente 12
pentagoni. In altri termini si puo’ immaginare
ad un fullerene estremamente elongato costituito da 12 pentagoni e milioni di esagoni4,
originando un nanotubo al carbonio1,4,5,6,7,8,
come mostrato nella struttura di figura 1A,
cioè un lungo cilindro formato da un reticolo
esagonale a nido d’ape di atomi di carbonio,
con legate due porzioni di fullereni alle estremità (figura 1B). Il diametro del nanotubo
dipenderà dalle dimensioni del semi-fullerene
posizionato sulle estremità, ad esempio un
nanotubo basato su un C240 come quello di
figura 1B avrà un diametro di circa 1.2 nm. In
linea di principio, si può pensare che un foglio
di grafene (un singolo strato di grafite) si
ripieghi in un cilindro in modo tale che le
estremità aperte coincidano perfettamente,
formando una struttura senza “cuciture”
(figura 2.). Questa operazione porta ad un
tubo aperto alle estremità finali, il quale dovrà
essere chiuso su entrambi i lati, per cui in
qualche passo del processo di accrescimento si
dovrà avere una enucleazione dei pentagoni
per iniziare il meccanismo di chiusura.
Figura 1. Rappresentazione schematica di: (A) unità di base di
un nanotubo al carbonio. (B) un tubulo chiuso di fullerene.
In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 7 marzo 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 28 aprile 2008.
6
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
Figura 2. Schematizzazione della formazione di una struttura cilindrica partendo dal grafene.
L’avvolgimento del foglio di grafene in un cilindro non descrive però completamente la particolare struttura del nanotubo, infatti pur soddisfacendo la condizione in cui tutti gli atomi delle
opposte estremità si incontrino, l’avvolgimento
può avvenire in modi diversi. Ogni spostamento
traslazionale lungo le estremità prima della loro
chiusura porta ad una differente orientazione
del reticolo rispetto ad un asse arbitrario del
tubo. Questo nella struttura generale di un
nanotubo porta il motivo esagonale sulla superficie ad assumere un andamento ad elica, introducendo ellitticità nella struttura. Nella mappatura di un piano di grafene in un cilindro, le condizioni al contorno possono essere soddisfatte
solo se uno dei vettori del reticolo di Bravais del
foglio di grafene riproduce l’intera circonferenza
del cilindro9,10. Il reticolo è rappresentato in figura 3 dove a1 e a2 sono le i vettori del reticolo di
grafene e n e m due numeri interi.
Ch = naa1 + maa2
Figura 3. Rappresentazione di un foglio di grafene con i vettori del reticolo a1 e a2, e quello di avvolgimento Ch. Sono
indicati i casi limiti zigzag (n,0), e (n,n) armachair con le linee
tratterggiate. Il vettore di tralalazione T definisce la cella unitaria 1D.
Questa schematizzazione è di estrema importanza nella caratterizzazione delle proprietà dei
nanotubi, in quanto descrive la simmetria della
struttura del nanotubo. I nanotubi rappresentati
dagli indici traslazionali del reticolo di forma (n,
0) o (n, m) avranno due operazioni di simmetria,
mentre tutti gli altri avranno tre operazioni equivalenti. I nanotubi di tipo (n, 0) sono in generale
chiamati zigzag, mentre i tipi (n, m) sono chiamati armachair (sedia con poggiamani).
L’ellitticità dei nanotubi è stata indubbiamente la
scoperta più rilevante emersa dai primi studi di
Iijima11,12. Studi di diffrazione elettronica, e più
recentemente immagini ottenute mediante scanning tunneling microscopy, STM, ne hanno verificato la struttura ad elica.13,14,15. Questa sottile variazione della struttura ha una fondamentale importanza fin da quando i primi modelli teorici mostrarono che le proprietà dei nanotubi dipendono
strettamente dalla loro elitticità e diametro.
Nanotubi a Parete Singola e Multipla
I nanotubi al carbonio si possono dividere in due
categorie: i nanotubi a parete mutipla (MWNT) e
i nanotubi a parete singola (SWNT).
I MWNT, sono stati i primi ad essere scoperti e
sono simili a fibre di grafite cave16, con la differenza che essi presentano un più alto grado di perfezione strutturale. Sono costituiti da cilindri concentrici posti attorno ad un foro centrale comune,
con una distanza tra i diversi strati di circa 0,340
nm, leggermente maggiore del valore della
distanza interstrato tipica del cristallo singolo di
grafite (0,335 nm). Questa maggior distanza
interstrato nei MWNT è dovuta al fatto che questi
tubi presentano delle severe costrizioni geometriche nel formare i cilindri concentrici pur mantenendo le spaziature tipiche della grafite.
Presentano un diametro variabile che và tipicamente dai 2 ai 25 nm. La correlazione tridimensionale prevalente nel singolo cristallo di grafite, cioè
l’interazione di tipo ABAB, viene persa completamente nei nanotubi, e gli strati presentano un
disordine rotazionale l’uno rispetto all’altro. La
seconda varietà, i SWNT, sono riconducibili ad una
fibra ideale di fullerene. Questi sono infatti simili
per dimensioni e sono formati da un singolo strato che si estende da un capo all’altro12,17, sono in
possesso di una buona uniformità del diametro
che va da 1 a 2 nm. Essi si organizzano in grandi
fasci chiamati funi (ropes) che consistono in alcune decine di SWNT con una distanza intertubo di
circa 0,315 nm5,18,19.
Entrambe le varietà di nanotubi possono essere
viste come aggregati di unità singole (cilindri); i
MWNT consistono in assemblaggi concentrici e i
SWNT formano funi che consistono di unità di
nanotubi ad intimo impaccamento, ed entrambi
presentano una ampia distribuzione di lunghezze che arriva fino ad alcuni micron.
I nanotubi sono delle strutture completamente
distinte da tutte quelle fino ad ora conosciute.
Essi possono essere considerati dei veri sistemi
macromolecolari ad architettura completamente
9 (9) Mintmire, J. W.; Dunlap, B. I.;
Carter, C. T. Phys. Rev. Lett.11992,
68, 631.
10 Hamada, N.; Sawada, S.;
Oshiyama, A. Phys. Rev. Lett.
1992, 68, 1579.
11 Iijima, S. Nature 1991, 354, 56.
12 Iijima, S.; Ichihashi, T. Nature
1993, 363, 603.
13 Ge, M.; Sattler, K. Science
1993, 260, 515.
14 Wildoer, J. W. G.; Venema, L. C.;
Rinzler, A. G.; Smalley, R.
E.;Dekker, C. Nature 1998, 391,
59.
15 Odom, T.; Huang, J.; Kim, P.;
Lieber, C. Nature 1998 , 391,
62.Smalley, R. E. Phys. Rev. Lett.
1997, 79, 2065.
16
Dresselhaus,
M.
S.;
Dresselhaus, G.; Sugihara, K.;
Spain, I. L.; Goldberg, H. A.;
Graphite Fibers and Filaments;
Springer-Verlag: New York, 1988.
17 Bethune, D. S.; Kiang, C. H.; de
Vries, M. S.; Gorman, G.; Savoy, R.;
Vazquez, J.; Beyers, R. Nature
1993, 363, 605.
18 Thess, A.; Lee, R.; Nikolaev, P.;
Dai, H.; Petit, P.; Robert, J.; Xu, C.;
Lee, Y. H.; Kim, S. G.; Rinzler, A. G.;
Colbert, D. T.; Scuseria, G. E.;
Tomanek, D.; Fischer, J. E.;
Smalley, R. E. Science 1996, 273,
483.
19 Journet, C.; Maser, W. K.;
Bernier, P.; Loiseau, A.; Lamy de
laChappelle, M.; Lefrant, S.;
Deniard, P.; Lee, R.; Fischer, J. E.
Nature 1997, 388, 756.11998, 280,
1744.
7
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
20 Van Hove, L.; Phys. Rev. 1953,
89, 1189–1193.
21 Bassani, F.; Pastori Parravicini,
G.; Electronic States and Optical
Transitions in Solids. Pergamon
Press 1975.
22 Olk, C. H.; Heremans, J. P. J.
Mater. Res. 1994, 9, 259.
23 Carroll, D. L.; Redlich, P.;
Ajayan, P. M.; Charlier, J.-C.; Blase,
X.; De Vita, A.; Car, R. Phys. Rev.
Lett. 1997, 78, 2811.
24 Carroll, D. L.; Blase, X.; Charlier,
J.-C.; Curran, S.; Redlich, Ph.;
Ajayan, P. M.; Roth, S.; Ru¨ hle, M.
Phys. Rev. Lett. 1998, 81, 2332.
nota fino a livello atomico. Dato che la posizione degli atomi all’interno della struttura è nota
precisamente si possono usare modelli teorici
per predirne le proprietà chimico fisiche in modo
accurato.
Dopo la scoperta dei nanotubi, si è proceduto
alla loro caratterizzazione, usando metodi che
permettono l’ottenimento di informazioni strutturali. In particolare hanno dominato il campo le
microscopie atomiche e le tecniche spettroscopiche locali, in quanto queste consentono delle
risoluzioni spaziali compatibili con le dimensioni
dei nanotubi. Transmission electron microscopy
(TEM) e scanning tunneling microscopy/spectroscopy (STM/STS) hanno consentito l’ottenimento
di informazioni sulla struttura atomica ed elettronica, verificandone le dipendenze dal diametro e dalla ellitticità. L’evidenza conclusiva ottenuta da studi di STM/STS ha mostrato reticoli
risolti di nanotubi e le corrispondenti strutture
elettroniche sia metalliche che semiconduttive14,15. In aggiunta ed in contrasto rispetto alla
grafite appaiono nella densità locale degli stati
(DOS) dei nanotubi delle strutture ben spaziate e
simmetriche chiamate singolarità di Van Hove,
ciò è dovuto alla natura monodimensionale degli
stati di conduzione elettronica dei nanotubi20,21.
Figura 4. Proprietà elettroniche (DOS) dei SWNT [nanotubi
(10, 10) armchair e (12, 8) helical] in prossimità dell’energia
di Fermi.
I nanotubi presentano un processo di conduzione elettronica unico, dato che gli elettroni nella
direzione longitudinale sono confinati in un singolo piano del foglio di grafene. Calcoli teorici
hanno predetto che i tubi di tipo armchair presentino una conduzione di tipo esclusivamente
metallico, mentre quelli di tipo zigzag possano
avere un comportamento metallico o semiconduttivo1,7,8. La conduzione nei tubi armchair
avviene attraverso modalità senza gap in quanto
le bande di valenza e di conduzione si interseca-
8
no al valore dell’energia di Fermi. Nella maggior
parte dei tubi elicoidali, i quali contengono un
grande numero di atomi nella loro cella unitaria,
la struttura monodimensionale delle bande
mostra la formazione di gap in prossimità dell’energia di Fermi, portando a proprietà di tipo
semiconduttivo. Questo particolare comportamento elettronico si ha solo nel caso di nanotubi di piccolo diametro, infatti come esso aumenta, il bandgap (variando inversamente rispetto al
diametro dei tubi) tende a zero, portando alla
formazione di semiconduttori a bandgap zero
elettronicamente equivalenti al foglio planare di
grafene. La struttura elettronica dei più piccoli
tubi interni nei MWNT è superimposta da quelli
più esterni, più larghi e planari aventi quindi una
struttura più simile al grafene22,23. Dati sperimentali hanno inoltre mostrato che i difetti pentagonali presenti alle estremità possono indurre
carattere metallico23. Simile metallizzazione dei
nanotubi si è trovata anche mediante drogaggio
sostituzionale da parte di impurità come boro e
azoto24.
2.3. Proprietà Elettroniche
Cosa rende i nanotubi al carbonio dei materiali
così particolari è la combinazione delle dimensioni, struttura e topologia che conduce ad un
intero insieme di proprietà superiori. La costituzione di base del reticolo dei nanotubi è il legame covalente C-C (come nei piani di grafite), uno
dei più forti in natura. Il perfetto allineamento
del reticolo lungo l’asse del tubo e la topologia
forniscono ai nanotubi le proprietà, sul piano,
tipiche della grafite, come l’elevata conduttività
elettrica, l’eccellente forza e durezza, la specificità chimica e l’inerzia, assieme ad alcune inusuali proprietà, come la struttura elettronica dipendente da ellitticità ed elasticità del reticolo.
Inoltre le nanodimensioni provvedono a fornire
una elevata area superficiale, la quale può essere utile sia per le applicazioni chimiche che meccaniche. Delle rimarchevoli caratteristiche dei
nanotubi si è già discusso nei precedenti paragrafi, vedendo come le proprietà sia metalliche e
semiconduttive siano state predette teoricamente ed osservate sperimentalmente (figura 4)
determinandone la loro dipendenza dalla ellitticità del sistema. La sfida più eccitante ha riguardato lo studio delle proprietà di trasporto su
nanotubi singoli sia a parete multipla che singola. Misure sistematiche sui MWNT singoli hanno
mostrato un intero insieme di comportamenti
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
elettronici, che vanno dal metallico, al semiconduttivo fino al semimetallico25,26,27. La debole
magneto-resistenza nei nanotubi indica un limitatissimo libero cammino medio per gli elettroni
di conduzione, principalmente dovuto allo scattering dei difetti. Inoltre la composizione dei
MWNT con i vari cilindri a differente ellitticità
complica ogni semplice interpretazione dei meccanismi di trasporto basata su previsioni teoriche. Rimane comunque chiaro che le proprietà di
trasporto nei MWNT sono uniche, e in studi
recenti si è osservato un trasporto di elettroni di
tipo balistico a temperatura ambiente28 e l’effetto Aharnov-Bohm29 sui MWNT singoli. In contrasto, i SWNT sono dei sistemi ben definiti in termini di proprietà elettroniche. Misure delle proprietà di trasporto su SWNT30 singoli e in fasci
ottenute a temperature dell’ordine dei milliKelvin hanno mostrato che la conduzione avviene attraverso stati elettronici discreti ben separati, provando che gli SWNT singoli possono
essere considerati dei veri e propri fili quantistici. Studi teorici hanno mostrato che, contrariamente ai fenomeni di conduzione nelle ordinarie
applicazioni dei conduttori metallici, per gli elettroni di conduzione nei SWNT armchair il libero
cammino medio aumenta all’aumentare del diametro dei tubi grazie al disordine effettivo
mediato sulla loro circonferenza. Questo incremento potrebbe portare alle eccezionali proprietà balistiche di trasporto dovute alla localizzazione delle lunghezze fino ad alcuni micron31.
Interessanti esperimenti hanno dimostrato l’unicità del sistema elettronico nei fasci di SWNT32,
dove misure di conduttanza in funzione della
temperatura e del voltaggio sono in accordo con
le predizioni dei fenomeni di tunnelling all’interno di un liquido di Luttinger, il quale è fortemente correlato ad un sistema elettronico monodimensionale.
La conduttività elettrica dei nanotubi può essere
alterata modificando la struttura del reticolo di
atomi di carbonio. L’aggiunta di impurità come
boro e azoto in queste strutture ha dimostrato di
creare delle caratteristiche metalliche nella densità
elettronica degli stati24. Il drogaggio dei fasci di
SWNT mediante alogeni o metalli alcalini che agiscono da intercalanti andando negli interstizi tra i
nanotubi nei fasci promuovendo un trasferimento
elettronico tra tubo e drogante, produce un incremento della conduttività di un ordine di grandezza33,34. Il nanotubo drogato può essere considerato
come una nuova generazione di metalli sintetici. I
nanotubi sia a parete singola che multipla possono
inoltre essere funzionalizzati35,36,37, ottenendo
materiali ibridi con ulteriori nuove e interessanti
proprietà opotoelettroniche38,39,40.
Oltre le inusuali proprietà elettriche dei nanotubi si
hanno proprietà meccaniche altrettanto affascinanti che rendono questi materiali tra i più duri e
rigidi conosciuti. I nanotubi al carbonio vengono
anche usati in materiali compositi allo scopo di
aumentare le proprietà meccaniche, termiche e
elettriche del materiale massivo finale.
la redazione de
Il Chimico Italiano
Invita i propri lettori ad inviare
contributi scritti di argomenti
tecnico-scientifico o di attualità
per la professione.
25 Langer, L.; Bayot, V.; Grivei, E.;
Issi, J.-P.; Heremans, J. P.; Olk, C.
H.;
Stockman,
L.;
Van
Haesendonck, C.; Bruynseraede, Y.
Phys. Rev. Lett. 1996, 76, 479.
26 Ebbesen, T. W.; Lezec, H.; Hiura,
H.; Bennett, J. W.; Ghaemi, H. F.;
Thio, T. Nature 1996, 382, 54.
27 Kasumov, A. Yu; Khodos, I. I.;
Ajayan, P. M.; Colliex, C. Europhys.
Lett. 1996, 34, 429.
28 Frank, S.; Poncharal, P.; Wang,
Z. L.; de Heer, W. A. Science 1998,
280, 1744.
29 Batchtold, A.; Strunk, C.;
Salvetat, J. P.; Bonard, J. M.; Forro,
L.;
Nussbaumer,
T.;
Schonenberger, C. Nature 1999,
397, 673.
30 Tans, S. J.; Devoret, M. H.; Dai,
H.; Thess, A.; Smalley, R. E.;
Geerlings, L. J.; Dekker: C. Nature
1997, 386, 474.
31 White, C. T.; Todorov, T. N.
Nature 1998, 393, 240.
32 Bockrath, M.; Cobden, D. H.;
Lu, J.; Rinzler, A. G.; Smalley, R. E.;
Balents, L.; McEuen, P. L. Nature
1999, 397, 598.
33 Rao, A. M.; Eklund, P. C.;
Bandow, S.; Thess, A.; Smalley, R.
E. Nature 1997, 388, 257.
34 Lee, R. S.; Kim, H. J.; Fischer, J.
E.; Thess, A.; Smalley, R. E. Nature
1997, 388, 255.
35 V. Georgakilas, K. Kordatos, M.
Prato, D. M. Guldi, M. Holzinger,
A. Hirsch, J. Am. Chem. Soc., 2002,
124, 760-761.
36 Star, A., Liu, Y., Grant, K.,
Ridvan, K., Stoddart, J.F.,
Steuerman, D.W., Diehl, M.R.,
Boukai, A., Heath, J.R.,
Macromolecules, 2003 36, 553.
37 R. Narizzano, C. Nicolini;
Macromol. Rapid Commun.
2005, 26, 381-385.
38 D.W. Steuerman, A. Star, R.
Narizzano, H. Choi, R.S. Ries, C.
Nicolini, J.F. Stoddart, and J.R.
Heath; J. Phys. Chem. B; 2002,
106(12); 3124-3130.
39 G. M. A. Rahman, D. M. Guldi,
R. Cagnoli, A. Mucci, L.
Schenetti, L. Vaccari, M. Prato, J.
Amer. Chem. Soc., 2005 , 127,
10051-10057.
40 C. Gadermaier, E. Menna, M.
Meneghetti, W. J. Kennedy, Z. V.
Vardeny, G. Lanzani, nano lett.;
2006, 6(2); 301-305
Le norme per la pubblicazione si trovano sul sito
www.chimici.it nella ribrica “La rivista on-line”
9
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
Polveri e inquinamento atmosferico
di Luigi Campanella
Considerazioni generali sulle polveri.
L’atmosfera è uno strato che difende la vita sulla
terra assorbendo sia i raggi cosmici ed eliminando il loro effetto sugli organismi terrestri sia i
raggi emessi della terra durante la notte consentendole quindi di mantenere una temperatura
stabile (intorno ai 10 - 20 °C) idonea allo sviluppo della vita. D’altra parte l’atmosfera serve
anche come un “deposito” per molte sostanze di
origine naturale ed antropica che si trovano allo
stato di “vapore” o di “aerosol” e che hanno un
effetto negativo sulla salute umana.
Il deposito secco ambientale è una fonte importante di informazione e di monitoraggio ed è
una matrice essenziale per gli studi che sono
legati ad essa. La caratterizzazione chimica dei
composti nel deposito secco atmosferico è un
dato essenziale per la valutazione della qualità
dell’atmosfera e dei tipi di inquinamento dell’aria. Le particelle si formano dalla polverizzazione delle sostanze combustibili, dalla dissoluzione e lavorazione dei metalli, dal trasporto,
dalle eruzioni vulcaniche, dalle polveri della
terra, dagli aerosol di origine marina.
La classificazione del particolato in aria sulla
base del diametro delle particelle si articola in:
1 Sabbia: particelle grandi (diametro maggiore
di 76) che cadono con l’accelerazione che
deriva dalla forza di gravità, e si possono
vedere.
2 Fumo: particelle molto piccole (diametro
maggiore di 1μ e minore di 76μ) che si trovano nell’aria in forma di sospensione e si possono identificare tramite microscopio elettronico.
3 Polveri: particelle piccole (diametro maggiore
di 1μ e minore di 76μ) che possono restare
sospese in aria e si possono identificare con
microscopio normale.
Le particelle nell’aria hanno una composizione
chimica molto diversa, alla quale partecipano
sali, ossidi, composti dell’azoto e dello zolfo ma
anche i metalli. La composizione risultante dell’aria di un ambiente è una funzione metereologica che dipende dal fattore di ventilazione
(indice dello spessore dello strato di mescolamento, della velocità del vento e della densità
dell’aria). Gli elementi più tipici nelle particelle
per concentrazioni maggiori di 1μg/m3 sono Al,
C, Na e Si, mentre a valori più bassi si trovano Cd,
Co, Cr, Ni, Li, Mn, Sn. In generale il rapporto degli
elementi nella composizione delle particelle in
aria riflette il rapporto all’origine.
Negli ultimi anni lo studio degli aerosol atmosferici è molto avanzato per merito delle determinazioni sempre più affidabili della massa totale
delle particelle e di quella dei vari composti in
essi contenuti. È stato determinato che alcuni
metalli tossici come As, Cd, Pb, Zn, Hg, Co, Cr, e i
loro composti durante lo stato di sospensione in
aria modificano leggermente le proprie dimensioni. Questo fatto rappresenta un evento di
grande interesse per la salute umana, sia perché
le particelle piccole (diametro aerodinamico più
piccolo di 2.5μm) possono essere inalate sia perché esse persistono in atmosfera dove possono
subire reazioni chimiche e trasportarsi a grandi
distanze dalla loro fonte. La presenza di particolato nell’aria influenza molto la terra non solo
per l’effetto inquinante ma anche per quello
negativo sulla salute umana e per quello catalitico per molte reazioni chimiche indesiderabili
che avvengono in atmosfera. D’altra parte, le
particelle servono come punto di coagulo, una
sorta di embrione per le condensazioni dei vapori atmosferici, il che è una strada naturale per
rimuovere le polveri dall’atmosfera. Oggi più che
mai lo studio dei composti nell’aria è di grande
interesse sia per la determinazione del livello di
inquinamento sia per l’eliminazione o la diminuzione del grado di pericolosità di questi inquinanti.
Gli elementi in traccia più importanti nelle polveri che esistono sulla crosta terrestre sono: Fe,
Mn, Zn, Pb, Cr, Ni, Cu, Co, Hg e Cd. La quantità di
questi elementi varia da 0.2 μg/g per il Cd fino a
550 μg/g per il Mg.
Queste quantità cambiano molto riflettendo così
i vari tipi di materiali esistenti sulla terra. Gli
aerosoli oceanici contengono soltanto quantità
in traccia di Fe, Mn, V, Pb e Zn, quantità che
variano da 0.009μg/g di V fino a 5μg/g Fe.
Un’altra fonte naturale del particolato sono le
piante: sono stati effettuati studi legati alla pre-
In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 21 marzo 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 28 aprile 2008.
10
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
senza di Zn e Hg nelle foglie di varie piante e
inoltre è stato evidenziata anche la presenza di
V, Mn, Fe, Co, Ni, Cu, Zn, As, Pb, Cd e Sn negli
alberi coniferi. Anche la lava dei vulcani contiene metalli quali: Fe, Mn, V, Zn, Co, As, Sn, Cd.
Come fonte antropica di particolato devono
essere anche ricordate le centrali
termiche, le cui ceneri contengono concentrazioni significative di Fe, Zn, Pb, V, Mn, Cr, Cu, Ni,
As, Cd. Così anche i forni dell’industria pesante
producono ceneri nelle quali sono stati ritrovati
Fe, Zn e in piccole quantità Cr, Cu, Mn, Ni e Pb.
Da questi studi è emerso che gli elementi più
importanti sono legati alle particelle di dimensione maggiore.
Un’altra fonte antropica di emissione dei metalli
pesanti tossici è il traffico. Dalle analisi effettuale sui campioni di polvere di strada sono stati
identificati elementi come: Pb, Ni, Zn e Cd i quali
sono il risultato della emissione dai tubi di scarico delle automobili. Il Pb è stato a lungo un
metallo presente a concentrazione molto alta in
atmosfera come risultato dell’aggiunta di tetraalchile di Pb alle benzine, per l’innalzamento del
loro numero di ottano. Il Ni si trova ai livelli di
traccia nell’olio dei motori per autovetture; Zn e
Cd si trovano invece come componenti degli
accumulatori anche se a concentrazioni sempre
più ridotte.
Le tecniche analitiche che si usano oggi, sono in
grado di dare un’informazione non solo sulla
concentrazione totale dei metalli, ma anche sulla
composizione specifica cioè sulla natura delle
varie specie presenti. Spesso in mancanza di
queste informazioni viene accettato che molti
elementi di origine antropica (in particolare da
ceneri) si trovino presenti come ossidi. Le polveri emesse dai forni delle combustioni possono
contenere elementi anche in forma di cloruro.
Gli elementi legati in forma di polvere sulla crosta terrestre o nelle polverizzazioni meccaniche
(le particelle più grandi) sono in genere in forma
di solfito, silicato, carbonato e altri composti
minerali. D’altra parte è stato verificato che alcuni metalli hanno un legame forte con il solfato
nei campioni di polvere e che gli ossidi di Fe, Mn
e Pb assorbono SO2. Se supponiamo che gli elementi come As, Cd, Mn, Pb, V e Zn siano volatili
alle temperature alte che si producono durante
la combustione delle sostanze infiammabili fossili e condensino uniformemente sulla superficie
delle particelle delle polveri nell’aria dove la
temperatura è minore di quella di combustione,
si comprende come le fonti antropiche di emissione degli elementi in traccia siano considerate
più importanti (dal punto di vista della tossicità)
delle fonti naturali. Spesso può avvenire una
coagulazione da cui deriva un’azione sinergica
tra le particelle dell’ambiente (sia di origine
naturale che antropica) e altri composti identificati come composti di As, Cu e Zn che si trovano
in forma di strati agglomerati di argilla o minerali. Alcuni composti metallici presenti in traccia
nella polvere di strada possono derivare dalle
fonti antropiche o dalla crosta terrestre; sono
stati trovati Pb, Zn e Cd aggregati come carbonati a ossidi di Fe e Mn. Invece il Cu è legato di
solito con la fase organica e meno con quella
carbonato. Queste “associazioni” influenzano sia
gli spostamenti come anche la degradazione
ambientale che ovviamente risente anche delle
relative trasformazioni subite dalle particelle con
il passare del tempo, fra le quali la solfatazione e
la nitrazione degli ossidi metallici sono le più
importanti.
11
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
I biosensori e il loro contributo
all’analisi in diversi campi
Prof. Luigi Campanella*, D. Lelo* *.
e-mail corresponding authors:
* [email protected]
** [email protected]
Dipartimento di chimica, Università degli studi di Roma ”La
Sapienza”, P.le A. Moro 5, Italia.
I bisensori sono dispositivi in grado di rilevare in
tempi molto brevi, la presenza di specifiche
sostanze e di permetterne il dosaggio sfruttando
molecole o sistemi molecolari di origine vegetale o animale fissati su elettrodi o fibre ottiche. I
biosensori attualmente in uso derivano dall’interazione tra due settori disciplinarmente abbastanza diversi: da un lato quello della fabbricazione di microcircuiti e fibre ottiche e dall’altro
quello della Chimica e della Biologia, capaci
insieme di fornire minuscoli elettrodi o sensori
ottici e sistemi biomolecolari capaci di riconoscere una certa sostanza. Applicazioni nel campo
della ricerca e della Medicina di Laboratorio,
sono gia’in corso e di notevole importanza per i
vantaggi che possono apportare al settore. Esse
consentono di ottenere dati analitici in qualche
minuto e addirittura di poterne eseguire una
registrazione in continuo. Si puó immaginare
come la diffusione di tali dispositivi possa consentire di valutare modificazioni della omeostasi
biochimica non solo durante il verificarsi di una
particolare situazione patologica (per esempio
aritmie) ma anche prima che essa si verifichi se il
biosensore era già in funzione per il monitoraggio. Oltre al beneficio della rapidità di indagini ed
a quello dell’analisi in vivo, anche altre caratteristiche possono essere ottenute nei biosensori,
come quella della elevata sensibilità analitica
nonché della selettività e specificità.
I biosensori possono servire molto in campo
microbiologico, in chimica ambientale, nel
campo del controllo alimentare per valutare la
genuità e per rilevare i livelli di contaminazione.
L’origine dei biosensori risale agli anni cinquanta, quando Clark inventò un elettrodo atto a
misurare la tensione di ossigeno nel sangue dei
pazienti. Nel 1962 egli riuscì anche ad ottenere
misure di glicemia con un elettrodo di ossigeno
che si giovava dell’enzima glucosio-ossidasi che
ossidando il glucosio consuma ossigeno. Poi
Guilbault, nel 1969, costruì un apparecchio per
la misura della concentrazione dell’urea nei
liquidi dell’organismo, trasformando la stessa, ad
opera della ureasi, in biossido di carbonio e
ammoniaca: la rivelazione finale era basata sul
rilevamento potenziometrico degli ioni ammonio prodotti.
Nei decenni successivi sono stati numerossisimi i
biosensori basati sull’impiego di un centinaio di
enzimi diversi. Piú recentemente sono stati utilizzati anche preparati di tessuto che eseguono
complesse successioni di reazione sensibili ad
aminoacidi o ad altre biomolecole
(per esempio polpa di banana per misurare la
concentrazione di dopamina, foglie di cetriolo
per dosare la cisteina, fegato di coniglio per
dosare la guanina e addirittura un piccolo organo di senso, l’antennula di un granchio, per
determinare la concentrazione di numerosi farmaci ed inquinanti, un recettore di membrana di
acetilcolina per rilevare diversi tipi di gas nervini).
Un problema tecnologico importante nel caso
dei biosensori è la stabilizzazione della molecola
che fa parte del sensore e la sua immobilizzazione su una superficie per consentire la conservazione dell’attività per tempi relativamente lunghi. La stabilizzazione può avvenire anche utilizzando membrane: molto usati in medicina sono
a 5 o 6 membrane stratificate ciascuna con proprietà diverse e contenenti i reagenti diversi. I
progressi delle biotecnologie e in particolar
modo l’industria dei semiconduttori hanno contribuito a migliorare questi dispositivi. Così vengono costruiti su di un chip, elettrodi idonei a
misurare componenti del tessuto nervoso, e
transistori rivestiti di concanavalina A con funzione simile a quella degli anticorpi perché capaci di legare particolari e specifiche sostanze.
Quindi si sono sviluppati sempre più tecniche
generali che combinano insieme sistemi biochimici e circuiti integrati. Oggi si tende sempre di
più alla miniaturizzazione dei biosensori: attualmente se ne costruiscono tipi monouso, o “usa e
getta” a basso costo, e con diametro di pochi
centesimi di millimetro. Vengono prodotti anche
biosensori in grado di misurare molti indici contestualmente, in modo da poter rilevare più funzioni biochimiche e fisiologiche. I sensori biochimici a fibre ottiche per analisi cliniche di labora-
In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 3 aprile 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 28 aprile 2008.
12
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
torio sono in via di grande sviluppo. E’ stato ad
esempio costruito un dispositivo per il dossaggio
di glucosio, basato su una tecnica di immuno
fluorescenza, in cui il glucosio spiazza destrano
marcato con fluoresceina all’interno della fibra
ottica, producendo con segnale fluorescente che
è proporzionale alla quantità di glucosio. Negli
ultimi tempi sono sempre più numerose le applicazioni dei biosensori per rilevare sia inquinamento alimentare che ambientale, specialmente
su sistemi idrici. Per esempio esistono sensori
che misurano la concentrazione di xantina e di
altri composti, per valutare la freschezza del
pesce e altri ancora per misurare la qualità della
carne bovina. Per conseguire sensibilità molto
piú elevate si tende ad ottenere classi di sensori
in cui la biomolecola che rivela il composto è la
stessa adatta poi a fornire anche la risposta. Un
esempio è dato dai biosensori a elettrodo.
L’utilizzo di biosensori punta alla qualità dell’analisi, a tempi minimi di risposta, costi modesti ed altre caratteristiche necessarie e indispensabili come possibilità di trasporto per eseguire
analisi dirette in campo. Così l’esperienza insegna l’utilizzo di tipologie specifiche di biosensori nelle analisi e anche la combinazione di essi in
diversi campi come:
1. Alimentare (controllo di qualità di alimenti
come un fattore determinante per la salute
umana), per esempio determinazione dei
pesticidi nel latte e negli ortofrutticoli.
2. Ambientale, controllo di suoli, acque, edifici e
anche nel campo dei Beni Culturali e artistici con utilizzo dei sistemi biologici come i lieviti per determinare la tossicità delle sostanze inquinanti in particolar modo metalli,
inquinamento dell’aria (particolate matter),
analisi dei carburanti (benzine) con produzione da biomasse, farmaci dispersi nell’ambiente, alterazioni superficiali e degradazione
di reperti artistici.
3. Sistemi enzimatici e immunosensoristici:
come per la determinazione dello “stress
ossidativo” da eccesso di radicali liberi che
causano invecchiamento delle cellule.
Si tratta di problemi molto attuali in una visione
della società molto attenta alla salute e all’igene
della popolazione.
Insegnare l’importanza di tali sistemi di controllo, l’attuazione, l’ampliamento e l’uso di essi è
una necessità del nostro tempo in cui lo sviluppo tecnologico ha assunto la tempestività e la
velocità di risposta come uno dei principali
obiettivi.
Cravatte e sciarpe del “Chimico”
Sono disponibili le cravatte e le sciarpe in seta con la tavola periodica degli elementi.
Per effettuare gli ordini inviare una e.mail a: [email protected]
I colori disponibili sono pubblicati sul sito www.chimici.it
13
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
Proposta di modello di scheda di
caratterizzazione di base di un rifiuto
Domenico Mencarelli
PROPOSTA DI MODELLO DI SCHEDA DI CARATTE RIZZAZIONE DI BASE
L’art. 1 - c. 166 L. 244/07 consente, fino al 31/12/08,
l’ammissibilità in discarica secondo i criteri di cui
alla Delibera del C.I. del 27/07/1984. Sono escluse
dalla proroga le discariche di 2a Cat. Tipo A e quelle
per inerti ove si conferisce cemento - amianto.
La proroga ha attenuto solo i criteri di ammissibilità (art.5 – 6 – 7 – 8 del D.M. 03/08/05) e non quelli relativi alla caratterizzazione di base (art. 2), che è
obbligatoria per la classificazione dei rifiuti, pericolosi e non. Detta scheda deve essere redatta secondo criteri tecnici dettagliati ed elencati nell’allegato 1 al decreto stesso e descrive compiutamente il
rifiuto dalla sua origine. Essa può giudicarsi del
tutto esaustiva per il suo conferimento a discarica,
anche senza la presentazione di idoneo rapporto di
prova, per una ampia serie di rifiuti i cui CER (vedasi D.M. All.1 - Punto 4), saranno elencati in una
“lista positiva”, compresi i rifiuti di cui all’Art. 6 - c.
1 - lett. b) del Decreto stesso.
In attesa di detta “lista positiva” potrebbe già
comunque individuarsi un possibile elenco di
CER, facendo espressamente riferimento al Punto
1.1.1. della Delibera del C.I. sopra citata, il cui
elenco consentì nel passato di redigere relazioni
di “assimilabilità” agli RSU di rifiuti speciali non
pericolosi prodotti da Commercio, Artigianato,
Industria, per il conferimento ad impianti di
discarica di 1° Cat. (Punto 4.2.2. della Delibera).
Ciò quando il Chimico poteva “stimare che detti
rifiuti (“assimilabili”) non potessero arrecare agli
impianti di discarica selezionati impatti maggiori
di quelli apportati, negli stessi impianti, dagli RSU
stessi” (come testualmente recita il Punto 1.1.1.).
Il presente articolo intende pertanto proporre un
primo modello di scheda di caratterizzazione di
base del rifiuto speciale non pericoloso, con riferimento al D.Lgs. 36/03 e D.M. 03/08/2005, da
compilarsi per ogni rifiuto speciale non pericoloso (ovviamente suscettibile di modifiche ed integrazioni gradite da parte dei Colleghi).
Viene inoltre proposto nel seguito anche un
primo abbozzo di ”lista positiva” di rifiuti da
ammettere in discarica senza “caratterizzazione
analitica”. Infatti si ribadisce che in base all’art. 6.
c. 1 del D.M. 2005 non sono necessarie caratterizzazioni analitiche (e dunque non sono fissati
né parametri né limiti) per i seguenti rifiuti:
• RSU non pericolosi e rifiuti di altra origine
ma di analoga composizione;
• Rifiuti non pericolosi compresi in una lista
positiva da emanarsi con apposito DMA.
Prima di proporre un modello è opportuno ricordare i requisiti fondamentali per la caratterizzazione di base (ALL. 1 D.M. 03/08/2005):
a) fonte ed origine;
b) informazioni sul processo produttivo;
c) descrizione del trattamento di Legge o
dichiarazione che spieghi perché tale trattamento è giudicato non necessario;
d) dati sulla composizione dei rifiuti e del percolato, laddove presente;
e) aspetto (odore – colore – morfologia, etc.);
f) CER e relativa denominazione;
g) proprietà che li rendono pericolosi (solo per i
pericolosi);
h) informazioni che dimostrano che non rientrano tra le esclusioni di cui all’Art. 6 - c. 1
del D.M. 36/03;
i) le categorie di discarica (Delibera del C.I. del
27/07/84) cui sono ammissibili;
j) se necessario, le precauzioni supplementari
da prendere in discarica;
k) un controllo diretto ad accertare se sia possibile riciclare o recuperare i rifiuti.
Ne consegue un possibile modello di SCHEDA DI
CARATTERIZZAZIONE DI BASE (D.Lgs. 36/03 —
D.M. 03/08/2005) così articolato:
1. Produttore
• Ragione sociale — sede legale — sedi unità
produttive.
• Classificazione rifiuto:
- CER;
- Descrizione CER.
2. Caratteristiche merceologiche ed organolettiche
• Aspetto;
• Morfologia;
In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 22 aprile 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 28 aprile 2008.
14
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
•
•
•
•
•
Granulometria;
Compattezza;
Colore;
Odore;
Stato fisico: solido polverulento — solido non
polverulento — fangoso palabile.
• Degradabilità: stabile — biodegradabile —
decomponibile — fermentescibile, ecc.
3. Sostanza secca
Specificare se:
• >25% peso oppure <25% peso;
4. Rispetto dei requisiti di norma per l’ammissibilità in discarica
Fare riferimento all’art. 6 - c. 1 e 2 D.Lgs. 36/03 e
art. 6 c. 5 D.M. 03/08/2005, illustrando le ragioni
del rispetto. Indicare se, in base all’art. 6 e 2 del
D.M. risulti la necessità di effettuazione di caratterizzazione analitica.
5. Descrizione del trattamento subito
Dettagliare il processo (art. 7 - c. 1 - D.Lgs. 36/03)
od in alternativa dettagliare le motivazioni tecniche (di carattere chimico – fisico - biologico) che
giustifichino la mancata effettuazione, in quanto
non necessaria.
6. Processo produttivo
a) descrizione delle fasi e degli impianti che le
realizzano;
b) caratteristiche delle materie prime, sottoprodotti e prodotti finiti, residui e scarti;
c) eventuale produzione annua prevedibile o
calcolabile o già consolidata statisticamente.
7. Precauzioni in fase di abbancamento
Descrivere e motivare le eventuali precauzioni in
caso di:
• rifiuto fermentescibile; instabile; con emissi020103 scarti di tessuti vegetali
020104 rifiuti plastici (esclusi imballaggi) compreso polistirolo
020110 rifiuti metallici
020304 scarti inutilizzabili per il consumo e
trasformazione (industria, preparazione e trattamento frutta – verdura
- cereali)
vità di particolari polveri, gas, vapori; reattivo etc., al fine di indicare gli eventuali interventi per la difesa dell’operatore e dell’ambiente (adozioni di mezzi di protezione confinamenti - cartellonistica - segnaletica),
in omaggio alla vigente normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
8. Conclusioni
Con riferimento a:
• D.Lgs. n° 152/06 e s.m.i.;
• Decisione 2000/532 CE ed s.m.i.;
• Delibera del CI. del 27.07.1984;
• Art. 6 del D.M.:
a) classificare il rifiuto e definire sito e modalità di smaltimento;
b) specificare se sia stata o meno redatta la
caratterizzazione analitica ed evidenziare
tutti gli eventuali parametri critici, derivabili dalla caratterizzazione chimica, di cui
all’All. 1 - c. 1 - lett. d) del D.M.
PROPOSTA DI LISTA POSITIVA DI CER DI RIFIUTI
SOLIDI E FANGOSI PALABILI AMMISSIBILI IN
DISCARICA SENZA CARATTERIZZAZIONE ANALI TICA (D.M. 03/08/2005 - ALL. 1 - PUNTO 4)
Per una sua prima redazione di massima, ovviamente in attesa della lista ufficiale e legale, e
sempre comunque con preghiera di aggiunte,
suggerimenti, o correzioni, si è ritenuto opportuno richiamare quanto testualmente recitato
dalla noma emarginata: ”I rifiuti siano elencati in
una lista positiva, compresi quelli individuati dal
Decreto 03.08.2005 - art. 6 - lett. b)”. Trattasi di
rifiuti speciali non pericolosi con caratteristiche
merceologiche analoghe a quelle degli RSU o
comunque costituiti da manufatti e materiali
simili a quelli elencati al Punto 1.1.1. della
Delibera del C.I. 27/07/84 a titolo puramente
esemplificativo e non esaustivo.
020601 scarti inutilizzabili per il consumo e la
trasformazione (industria dolciaria e
della panificazione)
030101 scarti di corteccia e sughero (lavorazione legno)
030105 segatura, trucioli, residui da taglio, legno
030301 scarti di corteccia e legno (da lavorazione carta e cartone) - legno non
lavorato né trattato
15
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
040108 cuoio conciato (scarti – cascami –
ritagli - polveri)
150103 imballaggi in legno
150109 imballaggi in materiale tessile
040109 rifiuti da confezionamento di pelli,
pellicce, etc.
160117 materiali ferrosi (derivanti da smantellamento veicoli fuori uso)
170201 legno (da demolizione e costruzione)
040221 rifiuti da fibre tessili grezze (non
trattate né lavorate)
040222 rifiuti da fibre tessili lavorate
070213 rifiuti plastici (da P.F.F.U. di plastiche,
gomme sintetiche, fibre artificiali) +
polistirolo
090107 carte e pellicole per fotografia (con
Ag o composti di Ag)
090108 idem c.s. (senza Ag e suoi composti)
101201 scarti di mescole non sottoposte a
trattamento termico
101208 scarti di ceramiche, mattoni, mattonelle, materiali edili (sottoposti a
trattamento termico)
150101 imballaggi in carta e cartone
150102 imballaggi in plastica;
150104 imballaggi in metallo (fusti, fustini,
latte, lattine, contenitori vari vuoti e
puliti o comunque contenenti un
residuo pellicolare discontinuo inodoro, di fondo e di parete, di resina
indurita ed essiccata)
150105 imballaggi in materiali compositi
150106 imballaggi in materiali misti
150107 imballaggi in vetro
N.B.: Gli imballaggi in materiali compositi, misti e vetro,
debbono contenere un residuo secco < 1% in peso del
rifiuto totale e ci si deve garantire che non appartengono
agli imballaggi etichettati T+
16
170203 plastica (idem c.s.)
170405 ferro ed acciaio (idem c.s.)
170411 cavi diversi da quelli di cui alle voci
170410 (idem c.s.)
170904 rifiuti misti dalla attività di costruzione e demolizione, diversi da quelli di cui alle voci 170901-170902170903 (con dichiarazione, nella
caratterizzazione di base, che non
contengono sostanze pericolose)
191201 carta e cartone (da trattamento
meccanico dei rifiuti)
191202 metalli ferrosi (da trattamento meccanico dei rifiuti)
191204 plastica e gomma (da trattamento
meccanico dei rifiuti)
N.B.: per i tre rifiuti 19…. nella caratterizzazione di base il
detentore deve fornire esplicita assicurazione che non
contengano sostanze e preparati pericolosi
191205 vetro (da trattamento meccanico dei
rifiuti)
191207 legno diverso da quello di cui alla
voce 191206 (da trattamento meccanico dei rifiuti)
191208 prodotti tessili (da trattamento meccanico dei rifiuti)
191209 minerali (sabbia, rocce) (da trattamento meccanico dei rifiuti)
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
Igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro:
le novità del testo unico
Fernando Maurizi e Robero Montali
INTRODUZIONE
In attuazione della legge delega 123/2007(1) è
stato pubblicato il dlgs. 9 Aprile 2008 n. 81(2) in
materia di tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro (noto come Testo Unico) che ha
abrogato, accorpandole a sé, numerose norme di
settore, tra cui lo stesso dlgs. 626/94, ed ha
introdotto numerose novità tra le quali questa
nota descrive in sintesi le più significative.
Il decreto, molto corposo e complesso, consiste
di 306 articoli, 13 titoli e 51 allegati e raccoglie,
oltre a tutte le disposizioni contenute nel dlgs.
626/94, molte altre norme di settore, tra cui in
particolare la direttiva cantieri (ex dlgs. 494/96),
la norma sulla segnaletica di sicurezza (ex dlgs.
493/96), la norma vibrazioni (ex dlgs. 187/2005),
e le antiche ma pur sempre valide norme di prevenzione infortuni contenute nei DPR 547/55,
303/56, 164/56.
Restano invece vigenti il dlgs. 334/99(3) e succ.
agg. e mod. sui rischi da incidenti rilevanti,, il DM
16/03/98(4) relativo alle modalità con cui i fabbricanti per le attività industriali a rischio di incidente rilevante devono procedere all’informazione, all’addestramento e all’equipaggiamento di
coloro che lavorano in situ, e il Dlgs. 151/2001(5)
in materia di tutela e sostegno della maternità e
della paternità.
La norma, salvo le disposizioni per le quali è
espressamente prevista diversa decorrenza, è in
vigore dal 15 Maggio 2008.
LE NOVITA RISPETTO AL PREGRESSO
Tra le principali novità sono senz’altro da segnalare le seguenti:
• Viene notevolmente ampliato il campo di
applicazione, rispetto al precedente dlgs.
626/94, che viene ora esteso a tutti i lavoratori compresi gli atipici (dai distaccati, ai somministrati, a quelli a distanza fino a quelli
autonomi) e cioè in sostanza a tutti coloro
che svolgano una attività lavorativa in azienda, indipendentemente dalla tipologia contrattuale
• Vengono rafforzati i diritti dei RLS ma anche
RSLT) e di comparto o di
di quelli territoriali (R
•
•
•
•
sito. Nelle aziende, fino a 15 dipendenti il rappresentante per la sicurezza è eletto direttamente dai lavoratori al loro interno. I RLST
hanno ora diritto ad una formazione particolare sui rischi specifici secondo specifico percorso formativo (min. 64 hr iniziali entro 3
mesi dalla nomina + 8 hr di aggiornamento
annuale)
L’oobbligo della formazione viene esteso oltre
che ai RLS ed ai RLST anche ai preposti
L’obbligo di formazione viene esteso anche al
datore di lavoro e al RSPP. In particolare il
datore di lavoro che intende svolgere i compiti di RSPP, deve frequentare corsi di formazione di durata minima di 16 ore e massima di
48 ore. Egli è altresì tenuto a frequentare
corsi di aggiornamento e l’obbligo si applica
anche a coloro che abbiano già frequentato i
corsi di cui al DM 16 gennaio 1997(6) e agli
esonerati dalla frequenza dei corsi ai sensi
dell’art. 95 dell’abrogato dlgs. 626/94.
Viene introdotto l’obbligo della tessera di
riconoscimento per tutti i lavoratori delle
aziende in appalto o subappalto e per quelli
autonomi, tessera che deve essere munita di
fotografia e generalità del lavoratore e dell’indicazione del datore di lavoro
Con riferimento ai principali obblighi previsti
per il datore di lavoro e precisamente quelli
di:
a) Effettuare la valutazione del rischio
b) Redigere il documento di valutazione
dei rischi (DVR)
c) Nominare il RSPP (che risponde ora
direttamente al datore di lavoro indipendentemente dal tipo di contratto di
lavoro)
d) Nominare il medico competente
e) Predisporre un libretto sanitario sul
rischio personale di ciascun lavoratore
- viene eliminata la possibilità di delega, da
parte del datore di lavoro, degli obblighi di
cui ai punti a), b) c)
- viene eliminato l’obbligo da parte del
datore di lavoro di comunicare all’organo
Riassunto: Una panoramica di
sintesi delle principali novità in
materia di tutela della sicurezza e
della salute nei luoghi di lavoro
introdotte dal recente decreto
legislativo n. 81/2008 che abroga
tra l’altro il dlgs. 626/94
Abstract: A short outline of the
new issued legislative decree
April 9th 2008, nr. 81, regarding
the protection of the health and
safety at the work place, and
repealing the legislative decree n.
626/94
1)
Legge n. 123 del 03/08/2007Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e
delega al Governo per il riassetto e
la riforma della normativa in
materia.
(2)
Decreto legislativo 9 aprile
2008, n. 81 Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007,
n. 123, in materia di tutela della
salute e della sicurezza nei luoghi
di lavoro.
(3)
Decreto legislativo 17 Agosto
1999 n. 334 - Attuazione della
direttiva 96/82/CE relativa al
controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose
(4)
Decreto Ministeriale 16 Marzo
1998 – Modalità con le quali i
fabbricanti per le attività industriali a rischio di incidente rilevante devono procedere all’informazione, all’addestramento e
all’equipaggiamento di coloro
che lavorano in situ.
(5)
Decreto legislativo 26 Marzo
2001 n. 151 - Testo unico delle
disposizioni legislative in materia
di tutela e sostegno della maternita’ e della paternita’, a norma
dell’articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53.
In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 22 aprile 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 28 aprile 2008.
17
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
(6)
Decreto Ministeriale 16 gennaio 1997 - Individuazione dei
contenuti minimi della formazione dei lavoratori, dei rappresentanti per la sicurezza e dei datori
di lavoro che possono svolgere
direttamente i compiti propri del
responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
(7)
Decreto legislativo 19 Giugno
1999 n. 229 - Norme per la
razionalizzazione del Servizio
sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419.
di vigilanza il nominativo del RSPP ed
introdotta invece la possibilità di delegare
la nomina del medico competente il quale
adesso può essere nominato anche dal
dirigente
- vengono confermati i limiti e le condizioni di ammissibilità della delega di funzioni
da parte del datore di lavoro già peraltro
previste non solo nella giurisprudenza di
settore ma anche in quella in materia di
tutela ambientale.
- Viene introdotto l’obbligo di comunicare
annualmente all’INAIL i nominativi dei RLS
- Viene ribadito l’obbligo di vigilare affinché
i lavoratori per i quali vige l’obbligo della
sorveglianza sanitaria non siano adibiti
alla mansione lavorativa specifica senza il
prescritto giudizio di idoneità
• In caso di appalti viene introdotto l’obbligo di
elaborare il Documento Unico di Valutazione
dei RIschi (DUVRI) che deve indicare le misure adottate per eliminare i rischi dovuti
anche alle singole interferenze delle singole
attività oggetto dell’appalto o esterne ad esso
ma tuttavia presenti nel sito produttivo. Il
DUVRI dovrà essere allegato entro il
31/12/2008 ai contratti stipulati prima del
25.08.2007 ed ancora in corso alla data del
31.12.2008 ed inoltre i costi associati alla
sicurezza dovranno essere obbligatoriamente
indicati separatamente nei contratti, pena la
loro nullità. Ai dati inerenti tali costi possono
accedere le OSL.
• Viene notevolmente “rrafforzata” la figura del
medico competente e la funzione della sorve glianza sanitaria. In tal senso per poter svolgere le funzioni di medico competente è
necessario possedere uno dei seguenti titoli o
requisiti:
- specializzazione in medicina del lavoro o
in medicina preventiva dei lavoratori e
psicotecnica;
- docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene
industriale o in fisiologia e igiene del lavoro o in clinica del lavoro;
- Oltre alla laurea in medicina e chirurgia
aver svolto alla data di entrata in vigore
del decreto attività di medico del lavoro
per almeno quattro anni,
18
- specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale.
Il medico competente deve inoltre partecipare al “programma di educazione continua in
medicina previsto dal dlgs. 229/99(7) e s.m.i.
Nello specifico i medici in possesso dei titoli e
dei requisiti richiesti verranno iscritti in appositi elenchi istituiti presso il M. della Salute.
Per quanto attiene invece alla sorveglianze
sanitaria viene ora espressamente previsto
che questa è eseguita, dal medico competente oltre che nei casi previsti da specifiche
direttive comunitarie anche qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta
correlata ai rischi lavorativi.
Questa deve comprendere:
a) visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro
cui il lavoratore è destinato ;
b) visita medica periodica per controllare lo
stato di salute dei lavoratori ed esprimere il
giudizio di idoneità alla mansione specifica.
La periodicità di tali accertamenti, ove non
prevista da specifica normativa, è stabilita,
di norma, in una volta l’anno
o con
cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del
rischio. L’organo di vigilanza, può disporre
contenuti e periodicità differenti rispetto a
quelli indicati dal medico competente purché lo motivi
c) visita medica su richiesta del lavoratore,
qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue
condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa
svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;
d) visita medica in occasione del cambio della
mansione onde verificare l’idoneità alla
mansione specifica;
e) visita medica alla cessazione del rapporto
di lavoro (nei casi previsti per legge)
Le visite sono a cura e spese del datore di
lavoro, e comprendono gli esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio
ritenuti necessari dal medico competente. Nei
casi ed alle condizioni previste possono essere altresì finalizzate alla verifica di assenza di
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti.
Gli esiti della visita medica devono essere
allegati alla cartella sanitaria e di rischio predisposta su formato cartaceo o informatizzato.
Il medico competente, in base ai risultati delle
visite mediche, deve esprimere uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:
a) idoneità;
b) idoneità parziale, temporanea, o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
c) inidoneità temporanea;
d) inidoneità permanente.
ed informarne per iscritto il datore di lavoro e
il lavoratore.
A giudizio del medico competente è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di
comunicazione del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori
accertamenti, la conferma, la modifica o la
revoca del giudizio stesso.
• Vengono introdotti, o meglio definiti e rafforzati, nuovi obblighi in merito alla valuta zione del rischio che in ogni caso diverranno
effettivi dal 29.07.2008. Tra questi:
- l’obbligo di monitorare anche lo stress da
lavoro i rischi delle lavoratrici in gravidanza,
i rischi connessi alle differenze di genere, di
età, di provenienza da altri Paesi;
- l’obbligo di valutare i rischi nella scelta delle
attrezzature di lavoro e degli agenti chimici utilizzati nonché nella sistemazione dei
luoghi di lavoro
- l’obbligo da parte del datore di lavoro di
consegnare, su richiesta, al rappresentane
per la sicurezza, copia del DVR e del registro
infortuni
- l’obbligo di individuare chiaramente nel
DVR le procedure per l’attuazione delle
misure da realizzare, nonché i ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono
provvedere, a cui devono essere assegnati
unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri
I datori di lavoro che occupano fino a 10
lavoratori possono più semplicemente adempiere all’obbligo della valutazione del rischio
mediante procedure standard che saranno
definite con apposito decreto ministeriale
(entro il 31 dicembre 2010).
Fino ad allora, e comunque non oltre il 30
giugno 2012, essi potranno auto-certificare
di aver effettuato la valutazione rischi.
I datori di lavoro che occupano oltre 10 e fino
50 lavoratori, parimenti, potranno avvalersi
delle procedure standard ma, finché queste
non verranno approvate, dovranno osservare
le disposizioni ordinarie.
In ogni caso, la semplificazione (procedura
standard) non è applicabile nelle aziende industriali, nelle centrali termoelettriche, negli
impianti e installazioni nucleari o negli stabilimenti di rifiuti radioattivi, e nelle strutture di
ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50
lavoratori. E se occupano fino a 50 lavoratori
nemmeno in quelle esercenti attività che
espongono i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, connessi all’esposizione ad amianto e,
infine, ai lavori edili o di ingegneria civile.
A conclusione della valutazione, il DVR deve
in sintesi contenere:
- La data certa di elaborazione
- La relazione sulla valutazione di «tutti» i
rischi per la sicurezza e la salute durante
l’attività lavorativa, con la specificazione dei
criteri adottati per la valutazione stessa
- L’indicazione delle misure di prevenzione e
protezione adottate e dei dispositivi di protezione individuale(DPI) adottati
- il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel
tempo dei livelli di sicurezza
- L’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare nonché dei
ruoli dell’organizzazione aziendale che vi
debbono provvedere ed a cui devono essere
assegnati unicamente soggetti in possesso
di adeguate competenze e poteri
- L’indicazione del nominativo del RSPP, del
RLS o di quello territoriale e del medico
competente che ha partecipato alla valutazione del rischio
- L’ individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi
specifici che richiedono una riconosciuta
capacita professionale, specifica esperienza
adeguata formazione e addestramento
19
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
• Da ultimo, vengono inasprite le sanzioni che
prevedono ora, in particolare per il datore di
lavoro che non provveda alla valutazione del
rischio ed alla stesura del relativo DVR, la pena
dell’arresto o l’ammenda da 5 a 15 mila euro e
per il datore di lavoro che non provveda alla
nomina dell’RSPP, la pena dell’arresto da 4 a 8
mesi o l’ammenda da 5 a 15 mila euro
La sanzione penale è più severa se la violazione è commessa in aziende a rischio elevato
(soggette a Seveso, Centrali termoelettriche,
Impianti nucleari, Aziende di esplosivi,
Industrie estrattive con più di 50 dipendenti,
Aziende che espongano ad agenti chimici,
biologici, da atmosfere esplosive, canceroge-
ni, mutageni, o connesse ad esposizione ad
amianto.
Al fine di favorire l’adeguamento alle nuove
disposizioni è previsto tuttavia che al datore
di lavoro inadempiente che provveda a regolarizzare la propria posizione non venga
applicata la sanzione penale ma solo la pecuniaria.
Nella fattispecie le sanzioni sono contemplate
sia nel titolo I del decreto (disposizioni generali)
che in ciascun titolo specifico da II a XI (disposizioni speciali) e laddove il reato sia punito da
entrambe, prevale sempre la sanzione di cui alla
disposizione speciale.
Campi elettromagnetici
Fernando Maurizi e Roberto Montali
In un articolo di recente apparso su questa rivista (Cfr. “Recepita la direttiva comunitaria sui
rischi da campi elettromagnetici: il dlgs. 626/94
si arricchisce” in “Il Chimico Italiano” n. 2/2008),
si era parlato a proposito di campi elettromagnetici, del recepimento della direttiva comunitaria di settore (2004/40/CE) avvenuto con il
dlgs. n. 257/2007 (trasposto letteralmente all’interno del dlgs. 626/94 come nuovo titolo V ter)
che prevedeva tra l’altro l’obbligo di applicare le
relative disposizioni a partire dal 30.04.2008.
La presente nota evidenzia il nuovo scenario
normativo creatosi a livello nazionale a seguito
della emanazione sia della direttiva 2008/46/CE
del 23 aprile 2008, che del recente dlgs. n.
81/2008 del 09.04.2008, noto quest’ultimo come
“testo unico in materia di sicurezza”
In sintesi, poiché la direttiva 2008/46/CE, modificando testualmente la citata 2000/40/CE, ha
spostato i tempi di recepimento della stessa al
30/04/2012 e poiché parallelamente il dlgs. n.
81/2008 ha espressamente abrogato l’intero
20
dlgs. 626/94, incluso quindi lo stesso titolo V ter,
per una corretta interpretazione della norma ad
oggi applicabile, occorre, rileggerla tutta alla
luce del nuovo testo unico.
In particolare va detto che, anche se il contenuto del 257/2007 è confluito nel Capo IV del
Titolo VIII - Agenti fisici - del decreto 81/2008,
titolo che entrerà in vigore il 30 aprile 2012, la
valutazione dei rischi da campi elettromagnetici
va comunque effettuata:
ai sensi del Capo I “Disposizioni generali sugli
agenti fisici” del titolo VIII, che entra in vigore subito ma che sarà sanzionabile solo a
fine luglio (90 giorni dopo la pubblicazione
del decreto n. 81/08),
ed in particolare ai sensi dell’articolo 181
(valutazione dei rischi da agenti fisici), anche
attraverso il richiamo al più generale art. 28
(oggetto della val. dei rischi), fermo restando
che, per quanto detto, sarà sanzionabile
l’omessa valutazione del rischio ma non il
superamento dei valori limite.
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
Acque reflue, rifiuti o risorsa?
(seconda parte)
di Domenico Petruzzelli1 e Valentina Petruzzelli
Il quadro di riferimento normativo sul riutilizzo
delle acque
Le norme sulla composizione e le modalità di
applicazione delle acque reflue trattate in agricoltura hanno fatto a lungo riferimento alla
delibera del Comitato Interministeriale per la
Tutela delle Acque dagli Inquinamenti (CITAI) del
4.2.1977. Essa rimandava ai parametri qualitativi delle acque della Legge n. 319/76, con qualche
considerazione aggiuntiva sulla salinità.
Venivano, altresì, fornite solo generiche raccomandazioni sulle concentrazioni massime tollerabili delle sostanze biologicamente attive, tossiche, persistenti e/o bioaccumulabili, con l’obiettivo che il contenuto delle sostanze organiche
residue non biodegradabili persistenti e dei solidi in sospensione nel refluo non alterassero le
normali funzioni agronomiche e pedologiche del
terreno. Pertanto, con l’unica eccezione del contenuto salino e della carica batterica, non venivano stabiliti ulteriori limiti se non per la presenza cumulativa di metalli tossici, per i quali venivano indicati i valori limite riportati nella Tab. A
della Legge n. 319/76.
Grande attenzione veniva rivolta al rischio sanitario associato alla eventuale presenza nei liquami di organismi patogeni. In particolare, venivano imposti limiti diversi alla presenza dei batteri
coliformi (microrganismi non patogeni presenti
nella flora batterica intestinale umana, adottati
come indicatori di inquinamento di origine fecale) in funzione del tipo di coltura irrigata e specificatamente:
• per le colture agricole destinate al consumo
crudo, le acque reflue non dovevano contenere colibatteri in numero superiore a 2 colonie
per 100 cm3 (si consideri che comunemente in
una acqua reflua sono presenti agenti biologici per più di 1.000.000 di colonie per 100 cm3)
• nel caso in cui il raccolto subisse delle lavorazioni prima del consumo e nel caso di irrigazione di pascoli per il bestiame o di prati
accessibili al pubblico, la presenza di carica
microbica poteva essere aumentata di dieci
volte rispetto ai citati valori limite
• nel caso di irrigazione “a pioggia” per le coltu-
re che non venissero a contatto con l’acqua
reflua o con il terreno (es., colture arboree)
risultava sufficiente una depurazione sommaria delle acque reflue, limitato ad esempio al
solo trattamento primario.
1
Dipartimento di ingegneria civile
ed ambientale, Politecnico di
Bari, Via E. Orabona, 4 - 70125
Bari
Tab. 3: Impianti di trattamento terziario di
acque reflue da destinare ai fini irrigui in Puglia
Impianto
Potenzialità Condizioni
(m3/giorno)
Altamura (BA)
17.321
Andria (BA)
30.300
Ascoli Satriano (FG)
785
Bari Orientale
143.000
Barletta (BA)
36.000
Bitonto (BA)
14.400
Casarano (LE)
6.500
Castellaneta (TA)
4.320
Castellaneta Marina (TA)
10.800
Cerignola (FG)
16.821
Conversano (BA)
6.150
Deliceto (FG)
585
Fasano (BR)
13.000
Foggia
73.000
Foggia-ASI
7.259
Grottaglie-Monteiasi (TA)
9.532
Lecce-Idume
20.170
Lizzano (TA)
4.100
Lucera I (FG)
4.320
Lucera II (FG)
4.248
Manduria (TA)
8.736
Manfredonia (FG)
19.091
Margherita di Savoia (FG)
4.320
Massafra (TA)
11.367
Mesagne (BR)
8.854
Molfetta (BA)
24.000
Monopoli (BA)
12.840
Ostuni (BR)
8.640
Ruvo-Terlizzi (BA)
11.391
S.Giorgio Jonico (TA)
4.226
S.Severo
19.440
Taranto Bellavista
50.000
Taranto Gennarini
103.700
A = appaltato; C = costruito;
P = progettato; F = finanziato
A
A
P
C
F
P
L
A
A
C
F
P
A
A
P
P
C
A
C
C
P
C
A
C
A
C
C
C
C
P
C
A
A
In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 7 gennaio 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 19 marzo 2008.
21
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
Il Piano di Risanamento Acque (P.R.A.) della
Regione Puglia (L.R. n. 24/83) recepiva le indicazioni in materia fissate dalla Legge n. 319/76 e
della Delibera CITAI 4.2.1977. Cautelativamente,
tuttavia, in occasione del primo grande intervento di riutilizzo irriguo dei reflui municipali trattati (Progetto Integrato per il Disinquinamento
del Golfo di Manfredonia, (D.G.R. 1648/84), la
Regione Puglia fissava ulteriori limiti ancora più
restrittivi, anche in considerazione delle continue emergenze sanitarie (es., emergenza colera)
a cui l’ambito regionale doveva fronteggiare con
frequenza.
Questi limiti hanno costituito di fatto per molti
anni il quadro normativo di riferimento per le
Pubbliche Amministrazioni Regionali che, in base
ai quali, hanno predisposto interventi in materia
(es., progetti e realizzazioni per il riutilizzo irriguo delle acque reflue degli impianti di trattamento gestiti da AQP - Acquedotto Pugliese,
S.p.A.) di Andria, Bari Orientale, Ruvo, Terlizzi,
Molfetta, Bitonto, Taranto Gennarini, Matera,
Lecce-Idume, Lucera ed altri (v. Tab. 3) (Liberti L,
Petruzzelli D. et. al, 2000).
Ancora oggi, la Regione Puglia è all’avanguardia
in ambito nazionale in materia di riutilizzo delle
acque reflue ai fini irrigui. In base ad una indagine condotta presso il Politecnico di Bari, fra gli
impianti costruiti, appaltati o progettati, risulta
oggi possibile riutilizzare in agricoltura più del
30% delle acque reflue trattate in tutto l’ambito
regionale. Di fatto, però, in base a disposizioni
normative potenzialmente correlabili alle perduranti emergenze sanitarie, da associare a peculiari abitudini alimentari (il tifo è ancora endemico in tutto l’ambito regionale pugliese), la adozione estensiva delle pratiche irrigue basate sull’uso delle acque reflue trattate è tuttora drasticamente limitata.
In base ad una delle citate ordinanze imposte in
occasione delle emergenze sanitarie locali veniva vietato di fatto lo spandimento al suolo di
reflui di ogni provenienza ed origine se non “sterilizzate”, ovvero in completa assenza di qualsiasi organismo biologico, situazione di difficile
realizzazione pratica finanche per le acque ad
uso potabile e solo giustificabile per i fluidi ad
uso ospedaliero!
Tab. 4: Alcuni dati del comparto oleario pugliese
Superficie coltivata ad olivo
Addetti
Frantoi in attività
Potenzialità frantoi
Sistema molitura
Rifornimento idrico
Lavorazione olive
Produzione olio
Resa media olio
Produzione totale AV
Smaltimento AV
AV=Acque Vegetazione
22
376.000 ha (22% totale superficie coltivata)
8.000 (3% settore agroalimentare)
1.750 (7% totale aziende agroalimentari)
<10 t /d olive 77%
10-20 t /d olive 18%
>20 t /d olive 5%
discontinuo 65% (77% in Provincia di Bari)
continuo 25% (52% in Provincia di Brindisi)
misto 10%
acquedotto 73% (80% in Provincia di Bari)
pozzi 23%
altre fonti 4% (9% in Provincia di Taranto)
1.4 Mt/a olive (41% totale nazionale)
0.2-0.3 Mt/a olio (40% totale nazionale)
0.4 m3olio/tolive
0.2 m3sansa/tolive
0.5-1 m3AV/tolive
800.000 m3/stagione olearia
terreno 54% (83% Provincia di Lecce)
fogna 30%
sottosuolo 10% (60% Provincia Taranto)
depuratore 4% (trattamento termico)
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
La attuale normativa, basata sul recente Testo
Unico Ambientale (D.Lgs. n. 152 dello
03.04.2006), promuove e disciplina il risparmio
idrico imponendo, a coloro che gestiscono o utilizzano la risorsa idrica, la adozione delle misure
necessarie al risparmio idrico eliminando gli
sprechi, riducendo i consumi, incrementando il
riciclo e il riutilizzo mediante utilizzazione delle
migliori tecnologie disponibili. In particolare, per
favorire il riutilizzo delle acque reflue trattate o
usate in altri cicli produttivi, sono previste incentivazioni tariffarie per le utenze industriali in
funzione delle quantità re-immesse in ciclo. Ai
fini agronomici e per la tutela dei suoli vengono
definite delle zone vulnerabili (ad es. dalla presenza dei nitrati, da prodotti fitosanitari), nonché delle aree di salvaguardia delle risorse idriche ed in base a queste vengono stabiliti i quantitativi massimi di acque reflue applicabili
(m3/ha) al fine di contenere gli impatti ambientali alle risorse agricole, pedologiche ed idriche
sotterranee.
Il “Regolamento recante le norme tecniche per il
riutilizzo delle acque reflue” (D.M.A. n. 185 del
12.06.2003), in attuazione di quanto riportato
all’art. 26, comma 2 del precedente D.Lgs. 152/99,
e a maggior ragione in ottemperanza di quanto
riportato nel più recente “Codice Ambiente”,
ovvero il Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/06),
inquadra in ambito nazionale le problematiche
relative al riutilizzo delle acque reflue.
A livello internazionale, le normative emanate o
proposte nei diversi Paesi fanno riferimento ai
soli limiti batteriologici. Per le caratteristiche
chimiche e fisiche delle acque reflue da destinare al reimpiego irriguo non vengono, in genere,
fissati limiti numerici specifici anche se esistono
linee guida proposte dalla FAO (la
Organizzazione Mondiale per la Alimentazione) e
dalla U.S.E.P.A. (la Agenzia Americana per la
Protezione Ambientale) e le corrispondenti organizzazioni in ambito Comunitario Europeo che
impongono limiti massimi di accettabilità per la
presenza di metalli tossici e della salinità totale
delle acque. Problema, quest’ultimo, particolarmente avvertito in Paesi che applicano ormai da
anni tale pratica irrigua quali Israele e Sud Africa
(v. Tabb. 1 e 2).
Oltre gli aspetti prettamente tecnologici e normativi, perdurano ingiustificati aspetti “emozionali” sulla accettabilità dei reflui, sia pure trattati ai massimi livelli depurativi possibili, finanche
per utilizzazioni socioeconomiche diverse (es.
irriguo, industriale) rispetto a quello potabile.
Le opzioni tecnologiche
Sul piano tecnologico e in base alla normativa
vigente è necessario pertanto effettuare trattamenti specifici mirati (di affinamento dei reflui o
trattamenti quaternari, cfr.§ 3) compatibili con la
destinazione d’uso dell’acqua da riciclare.
A titolo di esempio, i trattamenti di affinamento
delle acque reflue da destinare alla irrigazione
devono assicurare i seguenti obiettivi qualitativi
rispetto allo scarico in mare o in corpi idrici
superficiali (Asano T., 2000):
• ulteriore riduzione dei solidi in microdispersione colloidale (dimensioni medie particelle < 1
micron)
• ulteriore riduzione del contenuto delle sostanze organiche biopersistenti
• ulteriore riduzione della carica batterica
mediante disinfezione “spinta”
• rimozione specifica dei sottoprodotti di disinfezione (es., composti cloroderivati, clorati,
bromati), a potenziale effetto mutageno, risultanti dalla stessa operazione di disinfezione
spinta, specie se condotta con cloro
Il conseguimento di livelli di depurazione così
elevati, specie batteriologici, richiede innanzitutto la rimozione spinta dei solidi in microdispersione, specie nel caso siano previsti sistemi di
irrigazione a goccia, ove la presenza di solidi, sia
pure di piccole dimensioni, contribuisce all’intasamento dei sistemi di distribuzione irrigua.
Tale obiettivo viene raggiunto mediante operazioni di separazione selettiva solido/liquido (es.,
chiarificazione e filtrazione spinta su membrane), anche per evitare che la carica batterica
annidata sopra e all’interno delle cavità dei solidi in microdispersione, non raggiungibile con i
normali trattamenti di disinfezione, torni a contaminare acque apparentemente disinfettate
(riattivazione microbica).
La ulteriore rimozione delle sostanze organiche
non biodegradabili persistenti residue (es., farmaci, cosmetici, detergenti), potenziali “precursori”
di formazione dei sottoprodotti di disinfezione,
può essere conseguita per trattamento su carboni attivi e/o su resine, sebbene tale operazione,
ancorché necessaria, risulti abbastanza onerosa
sia sul piano impiantistico che gestionale.
Per quanto esposto, la disinfezione spinta rap-
23
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
presenta l’unità di processo base negli schemi
intensivi di affinamento delle acque reflue. Il
metodo tradizionalmente più usato si basa sul
dosaggio di cloro gassoso o di ipoclorito di
sodio. Come accennato, la operazione di clorazione, oltre a richiedere personale specializzato,
può comportare problemi collaterali legati alla
formazione di sottoprodotti organici cloro-derivati pericolosi per l’uomo e con effetti avversi
sulle colture. In realtà recenti acquisizioni in
campo agronomico sembrano ridimensionare gli
effetti negativi derivanti dalla presenza di cloroderivati nelle acque irrigue, sebbene i metodi di
disinfezione fisica basati sull’uso di radiazioni
ultraviolette possano rappresentare, in linea di
principio, una più sicura soluzione.
E’ bene ricordare, a questo punto, che le operazioni di chiarificazione, filtrazione, trattamento
su carboni attivi e disinfezione spinta rappresentano la base tecnologica dei processi di potabilizzazione delle acque da destinare al consumo
umano.
Considerazioni generali sul riuso delle acque
reflue
L’analisi effettuata indica che gli aspetti qualitativi ed igienico-sanitari del riutilizzo delle acque
reflue vengono in parte sovrastimati. Si consideTab. 5: Programma Puglia 2 per il trattamento
delle acque di vegetazione
Comune
Bitonto (BA)
Intervento
depuratore (potenziamento)
+ piattaforma
Maglie (LE)
depuratore consortile
Copertino (LE)
depuratore consortile
S. Cesario (LE)
depuratore consortile
Presicce (LE)
depuratore consortile
+ piattaforma
Melendugno (LE) depuratore consortile
+ piattaforma
Supersano (LE)
depuratore consortile
+ piattaforma
Gallipoli (LE)
depuratore consortile
+ piattaforma
Marciano (LE)
depuratore consortile
Vernole (LE)
depuratore consortile
Lizzanello (LE)
depuratore consortile
Castro (LE)
depuratore consortile
Martina Franca (TA) depuratore (potenziamento)
+ piattaforma
24
ri che spesso le acque superficiali (fiume, lago) e
sotterranee utilizzate per la irrigazione presentano livelli di contaminazione salina e/o microbiologica di 2 o 3 ordini di grandezza superiori ai
limiti di legge vigenti in materia.
Ciò ha finora limitato, con forti penalizzazioni
sul piano economico, la realizzazione e diffusione su larga scala di impianti di riutilizzo di acque
reflue trattate, pratica in uso con successo già da
diversi decenni in altri paesi del mondo (Tab. 1).
Il riutilizzo delle acque reflue depurate appare
ormai indifferibile, soprattutto nel Mezzogiorno
d’Italia, sia alla luce dei recenti andamenti meteoclimatici sfavorevoli con le ricorrenti e perduranti
emergenze idriche, sia per la crescente domanda
idrica a scopo potabile, irriguo, industriale, destinata a raddoppiarsi nel XXI secolo.
Attualmente appare largamente condiviso il
bisogno di norme tecniche specifiche, definite
in ambito locale (es., regionale), che fissino realisticamente limiti di accettabilità più idonei,
soprattutto batteriologici, per il riutilizzo irriguo dei reflui depurati. In proposito il D.Lgs.
152/06 impone la definizione di standards qualitativi delle acque dei corpi idrici e all’uopo
vengono istituite zone vulnerabili ed aree di
salvaguardia e, su questa base, vengono fissati
i limiti massimi di accettabilità per il riutilizzo
irriguo dei reflui.
Va infine sottolineato che la programmazione, realizzazione e gestione di un sistema di affinamento
e reimpiego irriguo di acque reflue richiede la stretta collaborazione con gli enti preposti alla distribuzione dell’acqua (enti acquedottistici, enti irrigazione, ecc.) per stabilire congiuntamente necessità,
potenzialità, fattori specifici di influenza sugli schemi di impianto di trattamento, sui costi, sui diritti di
irrigazione, ecc. Tale condizione risulta particolarmente favorevole nelle aree del Sud-Est italiano
ove una unica Società di gestione del ciclo integrato della risorsa idrica (potabilizzazione, distribuzione, raccolta e trattamento reflui si identifica
nell’Acquedotto Pugliese S.p.A, recentemente privatizzato, che opera da oltre un secolo al servizio
delle regioni Puglia, Basilicata e parte della
Campania e Molise.
Si ritiene pertanto opportuno il più elevato livello di trasferimento di conoscenze ed esperienze
fra le Istituzioni formative (Università, Enti di
Ricerca) e le Amministrazioni (Regioni, Province,
Comuni, Acquedotti) e possibilmente fare ricorso
a forme consortili di gestione degli impianti.
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
Appendice
Trattamento e recupero di acque reflue della
industria agroalimentare
L’Italia vanta numerose ed importanti attività produttive nel settore zootecnico ed agroalimentare.
Nel Centro-Nord è sviluppata la zootecnia con relativa lavorazione delle carni e attività di trasformazione di frutta, cereali, latte, bevande, mentre al
Sud predomina la produzione agricola primaria e la
relativa lavorazione agroalimentare, con particolare sviluppo della industria olearia e casearia.
Nel 2002 in Puglia il settore agroalimentare contava circa 35.000 aziende per complessivi 325.000
addetti e un fatturato annuo superiore ai 3 M€.
I vari comparti del settore zoo-agro-alimentare
producono acque reflue che, a parte peculiari
differenze di volume e composizione, appaiono
accomunate da due fattori caratterizzanti ai fini
della depurazione e/o del recupero di energia e
dei prodotti:
• la presenza dominante di inquinanti organici
biodegradabili
• la elevata concentrazione (fino a 100-150
volte la concentrazione di un tipico scarico
municipale), che richiede rese di depurazione
particolarmente spinte per il rispetto dei limiti imposti dalla normativa vigente, conseguibili solo attraverso più stadi di trattamento in
serie già illustrati.
Tali caratteristiche giustificano il ricorso privilegiato a sistemi di depurazione biologica in condizioni
anaerobie, ovvero in assenza di aria, per l’evidente
risparmio energetico, rispetto ai corrispondenti
metodi aerobi e per gli interessanti recuperi di
materia ed energia (biogas) conseguibili. I processi
di degradazione anaerobica della sostanza organica portano, infatti, alla formazione di metano
(50%), oltre che di anidride carbonica (50%), che
costituiscono i componenti essenziali del citato
biogas. Si tratta, pertanto, di una miscela gassosa
dotata di buon potere calorifico che può essere
vantaggiosamente utilizzata come combustibile
non convenzionale. Al trattamento anaerobico dei
reflui consegue una degradazione biologica non
distruttiva della sostanza organica in grado di fornire sensibili ritorni economici attraverso il recupero di sottoprodotti di pregio.
Si discutono, di seguito, le problematiche connesse al trattamento delle acque reflue del comparto oleario (acque di vegetazione) e di alcune
recenti applicazioni di trattamento depurativo
anaerobico per il recupero e la valorizzazione del
siero di latte dalla industria casearia.
Le acque reflue del comparto oleario
La Puglia copre il 40% della produzione nazionale e
il 10% di quella mondiale di olio di oliva (Tab. 4). Di
conseguenza, assieme alla Andalusia (Spagna), è la
regione più esposta al mondo all’impatto ambientale delle acque di vegetazione, prodotte in ragione
di circa 1-3 m3/m3 di olio prodotto a seconda che
venga utilizzato il metodo tradizionale di molitura
a freddo (pressatura) o quello continuo per estrazione in acqua calda seguito da centrifugazione
(metodo di estrazione continua Alfa-Laval).
Mediamente vengono prodotte circa 800.000 m3 di
acque di vegetazione all’anno (500.000 m3 nelle
sole province di Bari e Lecce), pari in termini di
inquinamento equivalente ad una popolazione di
circa 10 milioni di abitanti, ovvero 2,5 volte l’intera
popolazione regionale (Tab. 4).
La corretta gestione del problema è reso particolarmente difficile dalla:
• composizione particolarmente complessa di
questi reflui che richiede metodi ed impianti di
depurazione sofisticati e costosi, in parte
ancora da ottimizzare
• caratteristiche socio-economiche del settore
(dispersione territoriale e dimensione mediopiccola delle aziende, basso valore aggiunto
della produzione, modesto contenuto tecnologico delle attività) che scoraggiano soluzioni
affidate ai singoli produttori, richiedendo
impianti di depurazione consortili a prevalente partecipazione pubblica.
In considerazione di quanto sopra il comparto
oleario è l’unico a livello nazionale che ha beneficiato di esoneri, deroghe e proroghe normative
alle leggi vigenti in materia di protezione delle
acque dagli inquinamenti.
Per prima in Italia, la Regione Puglia ha affrontato
il problema con il proprio Piano Regionale delle
Acque (PRA Puglia approvato con L.R. 24/83),
disponendo inizialmente lo scarico diretto o controllato in pubbliche fognature in archi temporali
definiti o l’accumulo in vasche in attesa della realizzazione di apposite piattaforme depurative.
La Regione Puglia ha iniziato a finanziare i necessari interventi nel settore (Progetto Puglia 2)
potenziando alcuni impianti esistenti e realizzando tre piattaforme centralizzate di depurazione
ad Andria, S. Severo e Torremaggiore (Tab. 5).
Nelle more e in aderenza alle nuove disposizioni
25
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
di legge che venivano approvati (L. 119/87), la
Regione consentiva lo sversamento controllato
sul suolo agricolo, previa autorizzazione
Comunale, stabilendo al contempo i quantitativi
massimi aerali applicabili con uniformità e senza
ruscellamento ad una distanza minima dai centri abitati e su suoli in cui il livello di falda acquifera sotterranea fosse abbastanza profonda
rispetto al piano campagna.
Diverse sono le tecnologie oggi applicate per il
trattamento delle acque di vegetazione con
alterno successo. Esse spaziano dai trattamenti
biologici anaerobici, previa eventuale diluizione
con acque reflue civili, ai processi termici di evaporazione-distillazione, ai trattamenti di ultrafiltrazione su membrane, nonché a trattamenti
chimici vari basati sull’aggiunta di reattivi specifici (agenti coagulanti, ossidanti, ecc.).
Le ricorrenti gravi disfunzioni che tuttora si registrano in molti depuratori comunali in corrispondenza delle campagne olearie (novembremarzo), indicano che in gran parte le acque di
vegetazione vengono ancora smaltite abusivamente nelle fogne pubbliche mentre, nei centri
già dotati di piattaforma di trattamento consortili, risulta talvolta scarso il conferimento da
parte dei produttori, a titolo ovviamente oneroso (20-50 €/m3 di acque di vegetazione, corrispondenti a 15-50 €/t di olio prodotto a seconda del sistema di lavorazione).
Acque reflue del comparto caseario
Notevole rilievo hanno nella Regione Puglia le
acque reflue dalla produzione casearia, settore
anch’esso caratterizzato da aziende di medio-piccole dimensioni ed elevata dispersione territoriale.
Anche in questo caso le caratteristiche delle
acque reflue rendono particolarmente conveniente la adozione di trattamenti depurativi
basati su processi biologici anaerobici, in quanto
la degradazione della elevata concentrazione di
sostanze organiche presente in questi scarichi
consente il recupero del potenziale energetico
sotto forma di biogas.
Attraverso opportuna segregazione degli scarichi è
possibile separare le acque di lavaggio diluite, da
avviare al riciclo dopo gli opportuni trattamenti
depurativi, dalle correnti concentrate ricche di
sostanze organiche che possono essere convenientemente recuperate sotto diverse forme (mangimistica, produzione di proteine animali, caseina, ecc.).
E’ possibile, pertanto, separare le acque di lavaggio
26
dal cosiddetto siero di latte che, per l’elevato valore nutritivo, ricco di zuccheri e proteine, è conveniente sottoporre tali reflui a trattamenti di recupero delle citate materie prime.
Ancora più interessante può risultare il recupero
selettivo dal siero di latte di sostanze ad impiego farmaceutico o cosmetico, utilizzando processi di separazione selettiva su membrane
(ultrafiltrazione, osmosi inversa, elettrodialisi) o
basati sull’uso polimeri selettivi (scambio ionico).
Su tali basi sono stati progettati, ad opera della
Comunità Montana della Murgia Sud Orientale,
tre centri pilota per il trattamento e il recupero
del siero di latte, rispettivamente a Gioia del
Colle (BA), Noci (BA) e Martina Franca (TA).
Questi progetti consentiranno di disporre di
importanti strutture per la valorizzazione di tipici reflui agroalimentari del territorio regionale.
Bibliografia
Asano T., Mujeriego R., The role of advanced
treatment in wastewater reclamation and reuse.
Water Science and Technology. Vol. 45, 2000.
Bonomo L., Nurizzo C., Acclamtion for reclamation. Water Quality International 6, (1998).
Bonomo L., Nurizzo C., Advanced wastewater treatment recycling and reuse, 2nd Int.Conf. on
Wastewater Reuse, March 5-10, 1998, Milano, Italia.
Comitato Interministeriale per la Tutela delle
Acque dagli Inquinamenti (CITAI) del 4.2.1977,
G.U. n. 48 del 21.02.1977.
Decreto Legislativo n.152/1999 dell’11.05.1999
G.U. Repubblica Italiana n.124 del 29.05.1999.
Decreto Legislativo n. 152/2006 del 03.04.2006,
G.U. Repubblica Italiana n. 88 del 14.04.2006
Decreto di Giunta della Regione Puglia n. 1648
del 05.03.1984.
Decreto del Ministero dell’Ambiente n. 185 del
12.06.2003, G.U. n. 169 del 23.07.2003.
Legge n. 319 del 10.05.1976, G.U. Repubblica
Italiana del 29.05.1976.
Legge Regione Puglia n. 24 del 19.12.1983, BURP
n. 132 del 31.12.1983.
Liberti L., Notarnicola M., Stellacci M.G.,
Petruzzelli D., Recent trends of municipal wastewater reclamation and reuse in the Apulia
region. Proc. Int.Conference “Disinfection 2000:
Disinfection of Wastes in the New Millennium”,
New Orleans, LA, USA, March 15-18, 2000.
Metcalf-Eddy, “Ingegneria delle Acque Reflue.
Trattamento e Riuso”, McGraw-Hill Pub. Co., IV
Ed., Milano, Italia, 2006.
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
L’insolita avventura di un Chimico
Astronomo e dei suoi Elementi “Fotochimici”
Marco Fontania1 e Mariagrazia Costab
Colui che ritiene che la storia delle false scoperte degli elementi chimici si possa liquidare con
poche pagine e sopratutto possa venir trattata
come un mero elenco di strafalcioni di scienziati, incompetenti o dilettanti, commetterebbe un
errore di valutazione.
Inoltre le false scoperte portano con loro un fattore da non sottovalutare: finiscono presto per
essere dimenticate. I nomi dati provvisoriamente
ai presunti elementi diventano nuovamente liberi di essere “riciclati” per altre scoperte, che a loro
volta possono essere reali o fallaci.
Il caso più eclatante è stato quello delle “molteplici” scoperte del nettunio, che prima di ottenere la consacrazione ufficiale da Edwin M.
McMillan (1907-1991) e Philip H. Abelson (19132004) negli anni quaranta del XX secolo2, dovette subire l’umiliazione di ben tre annunci fasulli:
la prima3 nel 1858, la seconda4 nel 1877 e infine
la terza circa un decennio dopo5.
LA “LUCE” COME MEZZO DI INDAGINE CHIMICA
Tra la fine del 1859 e l’inizio del 1860, mentre in
Italia si assisteva alla fine della millenaria frammentazione politica, ad Heidelberg il chimico
Robert Bunsen (1811-1899) e il fisico Gustav
Kirchhoff (1824-1887) misero a punto un metodo di analisi spettro-chimica al tempo stesso
pratico ed efficace, a livello qualitativo, per la
ricerca degli elementi chimici6. Essi erano giunti
alla conclusione, dopo lunghe ed accurate ricer-
che, che una riga spettrale fosse una caratteristica univoca di uno specifico elemento.
Fu così che la luce convogliata da uno spettro in
emissione o in assorbimento diveniva un valido e
insostituibile strumento di indagine in possesso
della comunità dei chimici. Non solo l’analisi
spettrale semplificava notevolmente il lavoro di
laboratorio, era al tempo stesso più sensibile di
qualsiasi analisi chimica per via umida, ma
richiedeva anche una minore quantità di materia da esaminare.
Sir William Crookes (1832-1919) fiutò che questa scoperta avrebbe avuto un grande futuro
nell’analisi di minerali o per la ricerca di nuovi
elementi e riferendosi esplicitamente al lavoro di
Bunsen scrisse: “With so delicate a reaction as
the one just described, of an almost infinite sensibility, and applicable to all metals, the presence of elements, existing in so small quantities as
to entirely escape ordinary analysis, may rendered visible”7.
Crookes aveva già manifestato interesse nella
ricerca di elementi ancora sconosciuti. Infatti un
paio di anni prima aveva intrattenuto una fitta
corrispondenza con l’anziano astronomo John
Herschel, quando questi annunciò di aver scoperto un’intera famiglia di elementi “fotochimici”8.
La parte del discorso inaugurale che John
Herschel tenne a Leeds davanti all’Associazione
Britannica per l’Avanzamento dello Scienze,
quella inerente la scoperta di cinque nuovi elementi, fu riportata per intero sulle pagine del
Photographic News9. Crookes era così interessato al lavoro di Herschel che costui gli scrisse
alcune lettere per metterlo debitamente al corrente delle sue ricerche. Crookes fu onorato da
questa gentilezza e non perse occasione per
magnificarne le scoperte: “The grandeur of such
discovery impressed us no less photographers
than as chemists”. L’intera corrispondenza fu
pubblicata sulle pagine del Photographic News e
comprendeva lettere datate otto, tredici, quindici e ventitrè ottobre 1858.
UNA NUOVA FAMIGLIA DI ELEMENTI DA UNA VECCHIA FAMIGLIA DI ASTRONOMI
L’inglese John Frederick William Herschel, nato a
Slough il 7 marzo 1792, fu un astronomo, un
a
Dipartimento di Chimica Organica dell’Università di Firenze
Laboratorio di Ricerca Educativa
in Didattica Chimica e Scienze
Integrate; Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze.
b
1
E-mail: [email protected]
McMillan E., Abelson P., Physical
Review, (1940), 57, 1185
3
James F., J. STOR, (1984), 39(1),
65
4
Hermann R., Chem. News,
(1877), 197
5
Voronkov M. G., Abzaevak A., The
Chemistry of organic germanium,
tin and lead compounds, edited Z.
Rapport (2002), John Wiley and
Sons Ltd., Vol. 2, chapter 1, 3
6
Bunsen R., Chim. Pherm., (1859),
III, 257; Phil. Mag., (1860), 18, 513
7
Crookes W., Chem. News, (1860),
2, 281
8
Herschel J. F. W., Reprints British
Association for the Advancement
of Science. Part 2, (1858), 41
9
Crookes W., Photographic News,
(1858), I, 49
2
Fig. 1 - Ritratto di John Herschel risallente al 1861, eseguito dalla figlia
Margaret Louisa (1834-1861) ed attualmente conservato presso il National
Maritime Museum (UK)
In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 6 marzo 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 28 aprile 2008.
27
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
10
Crookes W., Photographic
News, (1858), 1(8), 86
Herschel J., Photographic News,
(1859), 2(46), 230
11
Fig. 2 - Spettroscopio di Kirchhoff e Bunsen ripreso da:
Annalen der Physik und der Chemie (Poggendorff) Vol. 110
(1860).
chimico e un matematico. Fu il primo a utilizzare il calendario giuliano nell’astronomia, portò
importanti contributi al miglioramento dei procedimenti fotografici del periodo (dagherrotipia
e calotipia), scoprendo la proprietà del tiosolfato
di sodio per il fissaggio dell’immagine. Coniò
inoltre i termini fotografia, negativo e positivo.
John Herschel era figlio di William Herschel
(1838-1822) e nipote di Caroline Lucretia
Herschel (1750-1848), entrambi famosi astronomi. Inizialmente abbracciò la carriera giuridica.
Successivamente si dedicò all’astronomia e
quando il padre si ritirò per motivi di età, egli
avocò a sé la direzione dell’osservatorio astronomico. Scoprì che le nubi di Magellano sono formate da stelle e pubblicò diversi cataloghi. Nel
1831 fu elevato al titolo cavaliere dell’Ordine
Reale Guelfo; nel 1848 venne nominato presidente della Royal Astronomical Society e nel
1850 coniatore di Sua Maestà.
Il 29 ottobre 1858 William Crookes pubblicò l’intera corrispondenza che aveva intrattenuto con
Herschel10. La parte che attrasse maggiormente
l’editore era l’annuncio della scoperta di cinque
nuovi elementi ed in particolare di quello che poi
avrebbe preso l’effimero nome di junonium:
“[He] mentions the great value of photography
as a chemical test, in affording evidence of the
presence, in certain solutions, of a peculiar
metal – having many of the characters of arsenic, but differing from it in others, and strikingly
contrasted with it in its powerful photographic
properties, which are of singular intensity – surpassing iodine, and almost equalling bromine”.
La ragione per la quale Herschel pensava di aver
scoperto così tanti nuovi elementi era dovuta al
fatto che aveva preparato un certo numero di
pellicole sensibili alla luce che, se esposte ai
raggi solari, producevano cinque reazioni distin-
28
te, mai osservate prima. Questi insoliti fenomeni, uniti ad una certa dose di ingenuità, gli fecero ritenere che, depositate sulle pellicole, potessero trovarsi anche cinque nuovi elementi. Egli
si sbilanciò ad ipotizzare che comprendessero
una nuova classe di elementi detti “fotochimici”,
i cui nomi sarebbero stati: junonium, vestium,
neptunium, astaeum e hebeium. Ma Herschel si
spinse ben oltre: inviò un campione di carta
imbevuto in una soluzione di junoniato di sodio
a Crookes, invitando il collega a confrontare
quale diverso comportamento avesse questo
composto, nei confronti della luce, rispetto ad
un foglio imbevuto di ioduro o bromuro di
potassio, di nitrato o arseniato d’argento. Sia
Crookes che Herschel affrontarono poi il lato
chimico del problema: isolare lo junonium, il
vestium, il neptunium, l’astaeum e l’hebeium,
ma ovviamente le loro ricerche non sortirono
alcun successo. Data la complessità della materia trattata e la scarsità di informazioni chimiche ricavabile dagli scritti di Herschel, non è
facile orientarsi su quale elemento già noto (o
miscela di elementi già noti) potesse aver tratto
in inganno l’astronomo. Già un anno dopo il
sensazionale annuncio tuttavia John Herschel
parve non credere più nella sua scoperta e riportò11: “Junonium (if it be really a distinct body)
equals bromine in [ist spetrum]”. Herschel
dovette rendersi conto molto presto che l’esistenza dell’intera famiglia di elementi “fotochimici” era a rischio. Col passare dei mesi i nuovi
elementi restarono elusivi e impalpabili. Forse
anche egli stesso aveva cessato di credervi, ma
non arrivò mai ad affermare apertamente che lo
junonium, il vestium, il neptunium, l’astaeum e
l’hebeium fossero miscele di elementi già noti.
Se Herschel non era in grado di difendere per
intero la sua scoperta, era deciso almeno a
difendere ad oltranza l’esistenza di uno degli
ipotetici elementi. Al contrario di ogni aspettativa, negli anni a venire non abbandonò l’infruttuosa ricerca di isolare lo junonium e questa
convinzione la trascrisse come solenne impegno
al termine del suo lavoro: “We shall have great
pleasure in communicating the results of our
experiment to our readers in a future number
[of the Phographic News]”. Peccato però che si
sia dimenticato di dire in quale fascicolo.
John W. F. Herschel non si limitò solo all’ambito
della nascente “fotochimica” ma egli dette un
notevole contributo anche alla matematica e
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
DAGLI
ISCRITTI
all’epistemologia. Se non fu il primo, certamente
fu tra i primi a distinguere in modo chiaro e sensato tra leggi naturali e teorie generali, intendendo per queste ultime un piano di precise
concordanze tra le leggi fisiche e, anche tra queste e quelle chimiche. Inoltre, avendo egli assegnato un ruolo importante alla creazione di ipotesi, fu anche il primo a parlare di falsificazione
delle teorie, ovvero della necessità da parte dello
scienziato e del ricercatore, di mettere in campo
tutte le possibili obiezioni e registrare meticolosamente tutti i fatti che avrebbero potuto smentire una data teoria.
La passione per battezzare nuovi oggetti o rinominare scoperte altrui, doveva essere molto forte
in John Herschel: infatti oltre ad aver introdotto
la parola fotografia, dette il nome a sette lune di
Saturno e a quattro lune del pianeta scoperto
dal suo illustre genitore, Urano. Ormai anziano,
negli ultimi anni di vita, divenne padre per la
dodicesima volta. Dei suoi figli solamente
William James Herschel (1833-1917), il terzogenito, seguì le sue orme affermandosi nel campo
dell’astronomia. Al momento della morte, avvenuta l’undici maggio 1871 Herschel, sebbene
figlio di un astronomo tedesco, godeva in
Inghilterra di un così alto prestigio che gli furono tributati funerali di stato. Le sue spoglie mortali furono traslate, nell’Abbazia di Westminster,
accanto agli altri uomini illustri del Paese.
Avviso
Utilizzate il logo della professione!
Il chimico iscritto all’Albo può richiedere, tramite l’Ordine territoriale, la concessione d’utilizzo del logo della professione.
La diffusione del logo è importante per caratterizzare presso il pubblico la figura
professionale del chimico, collegandola ad un elemento simbolico facilmente individuabile sui documenti, a garanzia che essi rappresentano il frutto delle competenze culturali, professionali e deontologiche di un chimico iscritto all’Albo.
L’uso del logo della professione non è alternativo al timbro-sigillo, ma lo integra
sul piano dell’immagine.
Attenzione!: proprio per rendere tracciabile la catena di affidamento per l’utilizzo
del logo, il singolo iscritto NON può utilizzarlo senza aver prima ottenuto la concessione d’utilizzo, tramite l’Ordine territoriale, dal Consiglio Nazionale dei
Chimici, che è titolare dei diritti sul marchio.
Le modalità per ottenere la concessione di utilizzo si trovano sul sito www.chimici.it nella rubrica “servizi per gli iscritti”
29
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
IL CHIMICO
FORENSE
Il caso n. 2 (ovvero: arrotondamento si,
arrotondamento no?)
di Sergio Carnini
Precedenti:
Il Chimico Italiano n. 2/2006
Il Chimico Italiano n. 1/2007
Riassunto: Il legale rappresentante di una tinto-stamperia di tessuti ha scelto il patteggiamento
in Tribunale in seguito all’accusa
di inquinamento ambientale per
superamento del limite stabilito
per lo Zinco nello scarico idrico
dell’Azienda
Dati: risultato analitico 1,74 mg/l
(limite di legge 1 mg/l).
Quesito: Tenuto conto dello
scopo dell’analisi, delle varie
interpretazioni circa il modo di
esprimere il limite, dei significati
delle varie serie numeriche e
quant’altro, il risultato contestato
supera, oppure no, il limite e perché?
Hanno inviato contributi alla discussione i
Colleghi:
dr.ssa Donatella Dainese
Ordine prov. di Modena
dr.ssa Sara Bellomi
Ordine prov. di Venezia
dr.i Matteo Betti e Miria Borgheresi
Ordine regionale della Toscana
dr. Fabrizio Cattaruzza
Ordine interregionale del Lazio, Abruzzi e Molise
dr. Fabrizio Fulignoli
Ordine interregionale del Lazio, Abruzzi e Molise
dr. Maurizio Lunardelli
Ordine interpr. dei Chimici della Lombardia
dr. Bruno Barolo
Non iscritto
Cari Colleghi,
ringrazio, innanzitutto, per le numerose partecipazioni al dibattito che tratta principalmente
della refertazione dei dati analitici aventi una
finalità legale. Mi scuso anche per il ritardo.
Ho apprezzato sia gli interventi favorevoli alla
mia impostazione sia quelli discordanti. Questi
ultimi favoriscono l’approfondimento della
questione. Lo scopo è una conclusione, il più
possibile condivisa, che possa avere peso in
ambito redazionale legislativo. Non è detto che
leggi imprecise, carenti od ambigue non possano essere perfezionate e corrette..
Al quesito pubblicato alla fine del precedente
articolo risponderei così: 2 . 10 3 ml/l di Zn (limite = 1 mg/l). Nella risposta alla Collega Dainese
sono esposte delle considerazioni in proposito.
1. INTERVENTO della COLLEGA dr.ssa DONATELLA
DAINESE
Caro Collega,
innanzitutto rispondo al quesito finale pubblicato a pag. 14, sezione Il Chimico Forense, de Il
Chimico Italiano n. 1 genn/feb 2007; dunque
esprimerei il risultato finale in questo modo: 2,3
.103 mg/l di Zn (limite 1 mg/l).
Mi permetto di puntualizzare, dopo aver letto
30
attentamente l’intervento quanto segue:
1. in tema di danno ambientale, la fissazione
del limite è a garanzia di riconoscimento
della responsabilità oggettiva;
2. il Chimico che firma il certificato d’analisi
contestualmente attesta la propria diligenza,
prudenza e perizia nell’espletamento dell’incarico;
3. il livello della prestazione professionale
richiesto è quello del mercato (bat.)
Ciò premesso, per garantire il rispetto del limite di
una cifra significativa, esempio dello Zn, il
Chimico deve essere in grado di determinare sperimentalmente la prima cifra decimale, dopo la
virgola; è quindi buona prassi che egli riporti sul
certificato il dato sperimentale 1,7 mg/l di Zn.
Il dato 1,74 mg/l, analiticamente avvalorabile,
perderebbe di significato nel contesto impiantistico.
Concludo osservando che 1 ed 1,7, in virtù dell’assiomatica di Peano, non sono lo stesso
numero e a questo punto sarà l’Autorità giudiziaria a decidere.
Saluto cordialmente. Donatella Dainese (Ordine
dei Chimici di Modena)
RISPOSTA
Cara Dainese, concordo sulla possibilità di
disporre di un margine di sicurezza analitica
(almeno di un fattore 10 rispetto al limite).
Propongo, tuttavia, per facilitare la lettura al
Giudice, di sostituire il decimale 7 con un asterisco che riporti al seguente avviso: “il metodo
consente una precisione almeno dieci volte
maggiore di quella esplicitata nel risultato. Tale
dato viene espresso utilizzando una sola cifra
significativa della serie dei numeri interi, per
omogeneità con l’espressione del limite di
norma.
Sul modo di considerare i numeri 1 e 1,7 ritornerò
più avanti. Per ora mi limito a sottolineare che essi
appartengono a due serie numeriche differenti, la
serie dei numeri interi e la serie dei numeri frazionari.
2. INTERVENTO della COLLEGA dr.ssa SARA BELLOMI
Domanda n. 1
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
IL CHIMICO
FORENSE
Perché, una volta definito il n° di cifre
significative ai fini del controllo normativo,
utilizza sul risultato analitico la troncatura
anziché l’arrotondamento? Il dato analitico conserva il suo significato oltre le cifre
imposte, essendo acquisito con metodo
“addirittura” più sensibile di quanto strettamente richiesto dalla verifica di conformità di legge. Di conseguenza l’esito repertato in tabella (il proseguimento non è
pervenuto)
Domanda n° 2
Perché il limite 319 tab. A per lo Stagno
viene interpretato come 20 ±10 (2x10)
anziché 20 ± 1?
Accettando il mio punto di vista l’esito
repertato andrebbe riportato come segue:
Arsenico
0.6
Boro
0
Cadmio
0.00
CromoVI
0.1
Stagno
33
Anche se faccio la seguente considerazione: vista la povertà dell’informazione tecnica che ne consegue (quella legale non
può essere invece più inequivocabilmente
espressa) ne deriva che i Laboratori di
prova avrebbero 2 o 3 alternative:
1. inserimento nel rapporto di Prova in “scrittura
scientifica”(per intenderci con le cifre significative determinate dal metodo e dalla stima
dell’incertezza di misura) di una colonna supplementare detta “esito normativo” (nota:
pochi laboratori saranno entusiasti all’idea di
dover ulteriormente miniaturizzare i caratteri
già in uso vista la messe di informazioni che
ormai affolla un RdP per accontentare Enti
formatori, accreditanti clienti e gestori...)
2. redazione a richiesta (o in caso di dibattimento) di un allegato al Rapporto di Prova
detto “giudizio di conformità) riportante le
sole informazioni necessarie alla elaborazione dello stesso giudizio
3. redazione di un rapporto di prova in “scrittura scientifica” per tutti i parametri con concentrazione distanti dai limiti di conformità
ed in “scrittura legale” per i soli parametri
prossimi al limite di conformità (es. entro il 10
% o entro l’incertezza di misura)
Il nostro laboratorio sta discutendo la fattibilità
informatica di quest’ultima opzione. In effetti va
ricordato che tutti gli operatori di settore si possono trovare anche ad affrontare il problema dell’implementazione di certe varianti redazionali,
visto che il rapporto di prova (quando si viaggia
sulle decine di migliaia di rapporti di prova anno)
non li fa più la segretaria alla dattiloscrivente ma
un sistema informatico LIMS più o meno rigido e
modificabile magari solo in outsourcing.
Senza polemica (è il mio senso dell’umorismo), ma
con vivo interesse per la problematica e per la chiarezza d’impostazione trovata finalmente nell’articolo del dr. Carnini, speriamo che se ne discuta.
RISPOSTA
Cara Collega, grazie per il tuo interessante e
costruttivo intervento. Con piacere aggiungo il
mio contributo. Vediamo i singoli punti.
Domanda n. 1- …perché la troncatura e non l’arrotondamento?
Premesso che per arrotondamento, debba intendersi il metodo che ben conosciamo e che tutti
applichiamo in determinate situazioni, discutiamo sulle due seguenti operazioni: arrotondamento in diminuzione ed arrotondamento in
aumento. Intendo sostenere che, per gli scopi
legali accompagnati da eventuale sanzione, la
prima è legittima e la seconda produce, invece,
un risultato in parte irreale e del tutto arbitrario.
• Nell’arrotondamento in diminuzione (ipotizziamo di arrotondare ad una cifra significativa il risultato 1,44 ± 0,01, e quindi 1,44 → 1,4
→ 1), la cifra del risultato finale è certa perché il metodo, più sensibile del richiesto, produce due cifre significative certe. Il risultato 1
è in difetto ma oggettivo.
• Nell’arrotondamento in aumento (ipotizziamo di arrotondare ad una cifra significativa il
risultato del nostro caso n. 2:1,74 ± 0,01 →
1,7 → 2 ) si osserva che la cifra decimale 7 è
sicuramente certa. L’incremento di 0,3, invece, aggiunto a 1,7 per arrotondare a due, è
sicuramente abusivo perché si riferisce ad una
quantità certamente in eccesso ed inesistente, avulsa dalla realta.
Quindi penso che il metodo dell’arrotondamento
vada riservato, per esempio, alle operazioni aritmetiche.
Ad esempio:
volendo eseguire la somma di più dati con un
numero differente di cifre significative, o meglio
con un numero differente di cifre frazionarie,
arrotondo tutti i dati fino ad ottenere un nume-
31
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
IL CHIMICO
FORENSE
ro di cifre frazionarie ugule a quello del dato più
impreciso, poi eseguo la somma.
Esempio: 6,78 + 6,234 + 6,789 + 6,2389 = 6,78
+ 6,23 + 6,79 + 6,24 = 26,04
Nel caso di un sistema accompagnato da eventuale sanzione, propongo di agire solo per arrotondamento in diminuzione o, per usare un termine più efficace, per troncatura poiché, ripeto,
l’arrotondamento in aumento produce un
numero certamente falso.
Domanda n. 2
[20 contiene una sola cifra significativa. 20 ± 1
introdurrebbe una seconda cifra significativa!
(19<risultato>21)] Quindi (2±1) x10
Ottime le tre alternative. Per applicare la prima
forse si potrebbe stampare il referto in modalità
orizzontale. Anch’io seguirei la terza. Mi tieni
informato degli sviluppi, se possibile? Grazie
3. INTERVENTO dei COLLEGHI dr.ssa MIRIA
BORGHERESI e dr. MATTEO BETTI
Spettabile Collega Sergio Carnini,
il caso riportato nella rubrica ‘Il chimico forense’ di
gennaio/febbraio scorsi permette di riflettere sul
senso di un’analisi chimica e del suo risultato, sia
in termini sperimentali che sociali e morali. Le
considerazioni a riguardo sono molte e esulano
dallo scopo di questa e-mail.
Tutto è metro, peso e misura; tuttavia, è necessario non impiegare due pesi e due misure. Con il
numero di cifre significative del limite riportato il
Legislatore indica, più o meno consapevolmente
ma univocamente, la precisione con cui il dato
deve essere trascritto. Quindi, impiegando uno
strumento che fornisca un valore con più cifre
significative del limite imposto, sarà formalmente
corretto riadattare il dato alla precisione richiesta.
Su questo siamo d’accordo con lei.
Tuttavia non possiamo concordare sul fatto che
considerando più o meno cifre significative debba
necessariamente cambiare l’esito dell’analisi. Le
sue argomentazioni non ci sembrano convincenti
quando scrive di non riportare le cifre significative non richieste dal limite del legislatore semplicemente elidendole senza compiere nessuna
approssimazione in difetto o in eccesso (approssimazione da compiersi per rapportarsi con la
minore precisione richiesta dal legislatore stesso).
Il valore di 1,74 mg/l di cui lei scrive a nostro
avviso deve essere trascritto nel certificato di
analisi come 2 mg/l per almeno tre motivi:
32
1- togliere cifre significative non vuol dire cancellare meccanicamente dei numeri: in questo modo si perdono infatti informazioni
fornite dallo strumento;
2- quando la cifra da escludere è maggiore o
uguale a cinque si approssima per eccesso la
precedente;
3- il dato così è moralmente più corretto e solleva il chimico da pre-interpretazioni e
aggiustamenti personali che non deve assolutamente fare.
Considerando che le strumentazioni normalmente usate in laboratorio devono consentire
una precisione maggiore rispetto a quella dei
valori limite imposti, vorremmo perciò chiederle
una sua opinione in merito al problema dell’approssimazione del dato analitico e alla sua possibilità di confronto con i limiti vigenti.
Cordiali saluti,
Miria Borgheresi,
Ordine dei Chimici della Toscana
Matteo Betti,
Ordine dei Chimici della Toscana.
RISPOSTA
Cari Colleghi, grazie per la partecipazione. La mia
opinione, ben lungi dall’essere dogma scientifco,
l’ho già espressa nelle risposte precedenti,
soprattutto riguardo al problema dell’approssimazione. Spero di rileggervi nel prosieguo della
discussione, se ci sarà.
4. INTERVENTO del COLLEGA FABRIZIO
CATTARUZZA
Leggendo il periodico n. 1-2007, di cui apprezzo la
nuova veste grafica e lo sforzo di contenere i costi,
mi sono trovato a leggere con interesse l’intervento del chimico forense a pag. 12. Leggendo tale
articolo in cui si parlava di cifre significative e
poneva giustamente dubbi sulla correttezza della
giurisprudenza nell’esprimere dei valori senza
tenere molto in considerazione il rigore scientifico
nell’esprimere un determinato valore considerando
anche l’incertezza associata a tale valore. Questo
articolo ha però suscitato in me dei dubbi, nonostante le definizioni riportate siano corrette, secondo me si è però omesso di parlare dell’arrotondamento nell’esprimere le cifre significative.
Regole per l’arrotondamento
1 Per semplicità, nei calcoli intermedi mantenere
tutti le cifre e arrotondare i valori finali al
numero richiesto (corretto) di cifre significative.
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
IL CHIMICO
FORENSE
2 L’arrotondamento va effettuato, di norma,
prendendo in considerazione solamente la
prima cifra oltre l’ultima significativa (chiamiamola “extra”).
- se tale cifra è minore o uguale a 4, il valore
dell’ultima cifra significativa rimane inalterato.
- se è maggiore di 5, il valore dell’ultima cifra
significativa deve essere incrementato di
una unità.
-se è 5 seguito da un numero maggiore di
zero si opera come il caso precedente. Se il
cinque è seguito da un certo numero di zeri,
caso estremamente particolare, il valore precedente viene arrotondato al numero pari
più vicino.
- se è 5 seguito solo da un certo numero di
zeri senza altre cifre, caso estremamente
particolare, il valore precedente viene arrotondato al numero pari più vicino.
Esempi:
Arrotondare 12.5364 a 3 cifre significative
12.5364
Il risultato dell’arrotondamento: 12.5
Arrotondare 12.5776 a 3 cifre significative
12.5776
Il risultato dell’arrotondamento: 12.6
Arrotondare 1.5556 a 3 cifre significative 1.5552
Il risultato dell’arrotondamento: 1.56
Il mio quesito ora è: nel caso del numero 1.74,
l’autore nella sua discussione approssima correttamente tale valore ad 1? Ed anche nella
tabella riportata a pag. 14 sono corretti gli arrotondamenti (es: 0.5833 in 0.5)?
Cordiali saluti
Dr. Fabrizio Cattaruzza
Università degli Studi di Trieste
RISPOSTA
Caro Collega Cattaruzza,
Grazie per il tuo intervento. Credo che troverai,
come ho trovato io, di che riflettere dopo aver
letto interventi e risposte. Credo che i “Farmacisti” si muovano con più dimestichezza in
questo campo rispetto a noi Chimici.
5. INTERVENTO del COLLEGA dr. FULIGNOLI
A proposito del Caso n. 2 non si può che essere in
pieno accordo con quanto contenuto nel paragrafo “la difesa” e sono sconcertato che possa esistere della “giurisprudenza di parare contrario”! Le
questioni scientifiche non possono essere oggetto
di alcuna giurisprudenza!
E’ anche molto interessante il modo di presentare il
referto del collega dell’ASL di Castellanza!
Non ho capito il “quesito finale”: dove sta il
tranello?
Grazie
Fabrizio Fulignoli
n. 311 dell’Ordine di Roma
Caro Fulignoli,
considerato il tuo numero di iscrizione
all’Ordine di Roma, leggo il tuo intervento con
deferenza e con rafforzata convinzione
riguardo alla mia opinione rispetto all’argomento in discussione...
Per il quesito finale: “...come rispettare l’uso di una
cifra significativa nel risultato analitico 2345 mg/l
(limite 1 mg/l) la mia interpretazione è questa:
considerato che lo scopo dell’analisi non è
quello scientifico, ma quello di confronto con
il limite di legge e tenuto conto che il problema dell’arrotondamento perde di importanza
poiché il dato è molto lontano dal limite,
tengo la prima cifra significativa (2) e successivamente per rispettare l’ordine di grandezza
del risultato ottenuto aggiungo 103. Quindi 2
.103 mg/l. Ricordo che gli zeri dopo l’ultima
cifra significativa (es. 2000) non sono cifre
significative.
Ancora grazie per la cortesia e tanti auguri di
ogni bene.
6.- INTERVENTO del COLLEGA dr. LUNARDELLI
Spettabile Redazione
Mi riferisco all’articolo in oggetto, comparso sul
primo numero di quest’anno della pubblicazione
il Chimico che ricevo come iscritto all’ordine
della Lombardia.
Pratico, anche se come dipendente di una multinazionale farmaceutica, la pratica del chimico,
oramai da molti anni, operando nel settore della
Qualità.
Francamente sono rimasto allibito dall’intervento del dr. Carnini e mi chiedo come sia possibile
dichiarare cose del genere.
E’ infatti noto a tutti coloro che praticano qualunque attività tecnico-scientifica, ma arrivo a dire
anche solo commerciale, il concetto dell’arrotondamento.
Tutti i valori attribuibili a grandezze misurabili,
una volta che sia stato definito il numero di cifre
33
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
IL CHIMICO
FORENSE
significative da adottare nell’espressione del loro
valore, vengono scritti arrotondando alla cifra
superiore se il valore misura più della metà nella
parte non considerata significativa, o arrotondando alla cifra inferiore se la parte non significativa è inferiore alla metà.
Negli esempi fatti, se il risultato espresso con
precisione eccessiva è 0,5833, ed il limite è 0,5,
il risultato da valutare e riportare sui documenti sarà 0,6; se il risultato espresso con precisione eccessiva è 0,05 ed il limite è 0,2, il
risultato da valutare e riportare sui documenti
ufficiali sarà 0,1.
In generale, da 0 a 4 si arrotonda alla cifra significativa inferiore, da 5 a 9 si arrotonda alla cifra
significativa superiore.
Qualunque sistema di calcolo automatico con
cifre significative fisse (tipo tabelle excel), arrotonda i risultati in questo modo.
Sbaglia l’analista ad usare un numero di cifre
significative non autorizzate senza applicare il
corretto arrotondamento, ma sbaglia anche chi
pretende di arrotondare i risultati in un modo
piuttosto conveniente alla sua causa. Bene ha
fatto quel Cliente a patteggiare: speriamo piuttosto che riduca l’inquinamento.
Ancora un commento su un altro punto dell’articolo. In più occasioni si parla di modesto esubero
dello zinco. Come professionista, ho più volte avuto
a che fare nella mia carriera, e tutt’ora mi capita,
con le autorità ispettive. Fossero queste Italiane
(Ministero della Salute) o Americane (FDA), in tutti
i casi se un risultato è fuori, è fuori! Non c’è modestia che tenga. L’atteggiamento tollerante di chi
tenta di giustificare un fuori limite, perchè questo
è stato superato per poco, non è accettato mai
dagli ispettori che vengono a verificare periodicamente l’industria farmaceutica. Ma tale atteggiamento va esteso in tutti i settori per una corretta e
seria gestione delle regole.
Andando a passeggio sui monti, uscire di strada
per un centimetro o per un metro, se siamo fuori
dalle tolleranze, non salva l’incauto alpinista: si
precipita sia in un caso che nell’altro.
Quindi, almeno noi tecnici, applichiamo la dovuta precisione (seppure arrotondata nei termini
previsti dalla legge) ed evitiamo giustificazioni
poco scientifiche del tipo quasi goal!
Resto ovviamente a disposizione per analizzare
la controdeduzione del Collega.
Cordialmente
Maurizio Lunardelli
34
RISPOSTA
Caro Lunardelli, grazie per il tuo contributo. A
questo punto, ed anche con l’intervento successivo, ci sarà tanta carne al fuoco da indurre
molte riflessioni e chiarimenti di dubbi.
7. INTERVENTO del dr. Chimico BRUNO BAROLO
A PROPOSITO DEL CASO N. 2 - Il Chimico – n. 1
gen/feb 2007
Un amico, chimico anche lui, mi passa una fotocopia dell’articolo chiedendomene un parere,
visto che da quasi vent’anni per incarico di
Federchimica mi occupo di procedimenti di
misura, di espressione dei risultati, di precisione.
L’articolo parla di un’azienda nelle cui acque di
scarico è stata riscontrata una concentrazione di
zinco di 1,74 mg/l. Il valore massimo consentito
dal decreto è 1 mg/l. L’azienda viene accusata di
inquinamento ed accetta il patteggiamento.
Siccome 1,74 è chiaramente superiore a 1 si
direbbe che il problema deve considerarsi concluso, e che non vi è più nulla da obiettare. Ma
l’Autore è il CTP (Consulente Tecnico di Parte)
dell’azienda, e in questa veste molto lodevolmente cerca un argomento che ribalti il giudizio.
A tale scopo scatena la sua fantasia e alcune
sue personali convinzioni.
Invita ad inviare dei commenti: i punti che
richiederebbero un commento sono molto
numerosi, a causa della fantasia troppo sfrenata dell’Autore, e pertanto mi devo limitare a
quelli più pesanti.
Per comodità ricordo che i dati da prendere in
considerazione sono:
• il limite ammesso è 1 mg/l
• l’emissione misurata è stata 1,74 mg/l.
“L’elemento centrale - dice l’Autore - nasce dal
modo differente con cui sono espressi il dato
sperimentale ed il limite di riferimento”. Non che
siano espressi in unità di misura diverse, ma solo
perché è diverso il numero di “cifre significative”
(cs) di cui i due dati sono composti. Queste cs
formano il pilastro portante delle sue argomentazioni. L’Autore precisa che in pratica non sono
cs solo gli zeri che precedono la prima cs, come
ad esempio in 0,0174. Però dimentica (o ignora)
che “non significativo” non vuole dire “assenza
di valore”: gli zeri, qualunque sia la loro posizione, hanno sempre un significato, anche, e talvolta soprattutto, nei decimali. Se dico che la temperatura è 0,0°C (nessuna cs) dico che fa freddo
e che l’acqua può gelare. Se dico che un certo
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
IL CHIMICO
FORENSE
peso è 0,034 g gli zeri hanno esattamente lo
stesso significato che avrebbero le cifre 1 e 2 se
il peso fosse 1,234 g.
La differenza nel numero di cs è, per l’Autore
importantissima, in quanto, secondo una sua
sconcertante affermazione “è impossibile confrontare due valori se hanno un numero diverso
di cifre significative”. Ossia è impossibile confrontare per esempio 0,997 (3 cs) con 1,017 (4 cs).
Affermazione stupefacente: vuol forse dire che è
impossibile dire quale dei due è il maggiore?
Le cs sono poi determinanti quando l’Autore tira in
ballo una formula per calcolare, dice lui, l’errore.
Dagli esempi si deduce che la formula è 1/n x 100,
dove n è il dato del quale calcolare l’errore. Con
questa formula calcola l’errore sia del limite di
legge, sia del valore trovato. Ottiene i seguenti
risultati:
• per il valore limite: 1/1 x 100, quindi l’errore è
il 100%
• per il valore calcolato: 1/174 x 100, quindi l’errore è 0,57%.
Ne consegue, sempre secondo l’Autore, che
avendo il 100% di errore il valore 1 dovrebbe
essere scritto 1+1, ossia 2, e quindi il valore
riscontrato di 1,74 rientra comodamente nel
limite di legge. La sensazione, leggendo, è di
navigare in un vuoto assoluto di rigore e coerenza matematica e logica.
Per esempio non si riesce a capire perché nel calcolo dell’errore del valore misurato a denominatore non compare il valore vero (1,74) ma il valore senza la virgola (174), che è 100 volta maggiore. Di conseguenza l’errore calcolato è 100
volte inferiore. Infatti se nella formula si inserisce 1,74 l’errore risulta 57%.
Ma questa formula, sbucata non si sa da dove
(l’Autore non ama citare l’origine delle sua affermazioni) ha poteri magici. La formula fornisce l’errore espresso in %: si vuole sapere qual è la dimensione quantitativa di questo errore espresso in
mg/l. Nulla di più semplice: basta moltiplicare il
dato preso in considerazione per la percentuale del
relativo errore. Già sappiamo che per il valore limite è 1. Se lo calcoliamo sul valore 1,74 (con la virgola) risulta ancora 1. Se il dato fosse 174 l’errore
sarebbe lo 0,57 ed espresso in mg/l sarebbe 1.
Prendiamo un altro valore a caso, per esempio 14.
L’errore percentuale è 1/14 x 100 ossia 7,14%. Il
7,14% di 14 è di nuovo 1. Se ci si diverte a calcolare l’errore su un valore qualsiasi risulta sempre 1. È
evidente che la formula è totalmente fasulla:
infatti il calcolo dell’errore di un qualsiasi dato n,
espresso nella sua stessa unità di misura, è 1/n x
100 x n, e basta una facile verifica algebrica per
scoprire che il risultato della formula è comunque
1, qualunque sia il valore n. Ricordo un prestigiatore che mostrava un mazzo di carte assolutamente
normale, ma dopo qualche manipolazione senza
apparentemente nulla di sospetto e qualche formula magica il mazzo risultava composto solo da
assi di quadri. Scoppiava l’applauso.
Un secondo commento è l’assurdità di voler
calcolare l’errore del valore limite, ossia di un
dato che non può assolutamente essere afflitto da alcun errore. Perché è un dato “secco”
stabilito dal legislatore. È come voler attribuire
un errore a un numero estratto al lotto o alla
lotteria di capodanno.
Il terzo commento è che, essendo 1,74 mg/l un
dato sperimentale, l’errore dal quale può essere
affetto, o, per utilizzare il termine appropriato, la
sua precisione, dipende dal procedimento seguito e dalla precisione che offrono gli strumenti
utilizzati. Quindi varia caso per caso ed è assurdo pensare di riuscire a calcolarlo secondo un
formula matematica uguale per tutti.
Sicuramente l’Autore, quale CTP, come prima
cosa avrà esaminato il procedimento di determinazione dello zinco nelle acque di scarico.
Quando una legge stabilisce un valore limite
dice anche come determinarlo. O descrive il procedimento (magari come allegato), o cita l’organismo autorizzato ad eseguire la determinazione (il quale, in caso di contestazione, è tenuto a
fornire la descrizione del procedimento), o cita
una norma emanata da un ente autorizzato e
riconosciuto. Se non fornisce nessuna di questa
indicazioni, si segue la norma, che per definizione è riconosciuta valida ed autorevole a tutti gli
effetti. In proposito l’Autore, al solito, non fornisce alcuna indicazione.
Se il decreto non cita nulla, si utilizza la norma.
Nel caso in esame potrebbe essere la ISO 8288
(ricordo che l’ISO è un ente mondiale riconosciuto
in oltre 150 Paesi). Questa norma si occupa di
qualità dell’acqua e descrive il procedimento per la
determinazione di alcuni metalli, fra i quali lo
zinco, per assorbimento atomico alla fiamma con
tre diversi metodi spettrometrici. Se l’Autore ha
una certa confidenza con le norme, saprà che la
maggior parte precisa anche come misurare sperimentalmente la precisione del risultato, facendo
ripetere più volte la stessa misura sullo stesso pro-
35
Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008
IL CHIMICO
FORENSE
dotto o allo stesso operatore (e si ha la Ripetibilità)
o a operatori diversi
(Riproducibilità): l’insieme dei due valori indica
la precisione della misurazione espressa come
scarto fra i valori misurati. Nella maggior parte
dei casi lo scarto massimo varia fra il 2% e il 5%.
Non sono noti casi di misurazioni con un “errore”, ossia con uno scarto alla ripetibilità così
basso come 0,57%.
In altro punto dell’articolo l’Autore afferma che
se il decreto specifica un valore limite di 1, senza
decimali, significa che i decimali devono essere
trascurati. Pertanto, dice, quel valore di 1,74
deve diventare 1, quindi entro il limite richiesto.
Anzitutto non risulta affatto che il decreto dica
di non esprimere i decimali. Anche questa è
un’affermazione gratuita dell’Autore. Poi dimentica che quando i decimali non sono richiesti
non si deve tout court cancellarli, ma occorre
arrotondare il valore. È un’operazione molto
semplice e diffusa: occorre adottare il numero
intero più vicino, superiore o inferiore. Un esempio lo fornisce addirittura il Fisco, che per certi
redditi non vuole i decimali; spiega come si deve
operare e fornisce anche gli esempi numerici:
• 55,50 diventa 56;
• 65,62 diventa 66;
• 65,49 diventa 65
Quindi, se si aboliscono i decimali, 1,74 arrotondato diventa 2. L’Autore, inventandosi la regola non
richiesta sui decimali, non si accorge di peggiorare
la situazione: infatti 2 è ancora più distante dal
valore limite che 1,74. Comunque se l’Autore avesse dimestichezza con le norme tecniche saprebbe
che il numero dei decimali da utilizzare è indicato
dalla norma stessa, al paragrafo “Espressione dei
risultati”. Faccio un esempio: “Per valori superiori
all’1% riportare il risultato al più vicino 0,1% (ossia
con un decimale); per valori inferiori o uguali
all’1% riportare il risultato al più vicino 0,01%
(ossia con due decimali)”. La citazione è tratta dalla
recentissima ISO 11980-2 (novembre 2006), sui
valori limiti per il contenuto di sostanze organiche
volatili in alcuni tipi di pitture e vernici.
Ma a un certo punto dell’articolo c’è un colpo di
scena: l’Autore svela che il decreto edizione 2006
specifica un valore limite non di 1 mg/l ma di 1,0
mg/l. Questa informazione da il contributo decisivo al crollo totale del fragile e fantasioso
castello di difesa del CTP. Per esempio dimostra
36
che non è affatto vero che i decimali devono
essere aboliti, e che con nessun stratagemma si
riesce a dimostrare che il valore di 1,74 rientra in
quello limite di 1.0.
Due sole sono le informazioni riportate nell’articolo con le quali si può essere da’accordo. Una
l’ha detta all’Autore il Giudice titolare: le argomentazioni del CTP sono affascinanti, ma la
legge dice in contrario (concordi con questo giudizio il contrario lo dicono anche la matematica
e la logica). L’altra è la decisione dell’azienda di
non opporsi alla sentenza, riconoscendo che non
esistono argomenti validi da utilizzare, ed accettare il patteggiamento come il danno minore.
Bruno Barolo
RISPOSTA
Caro dr. Barolo, grazie per le autorevoli osservazioni presentate. Ti assicuro che ancora mi fanno
riflettere. Il ritardo nel proseguimento di questa
discussione è dovuto in parte a questo motivo.
Inoltre sono stato occupato a raccogliere pareri
in varie università italiane. Là sono stato confortato. Ho imparato inoltre, studiando Galileo, che
occorre perseverare nella ricerca e non bloccarsi
dinnanzi a leggi o norme, vuoi scientifiche vuoi
religiose, che possono essere ambigue, imprecise
o addirittura fasulle. Si possono modificare.
Devo, infine ed a malincuore, correggere una tua
affermazione rispetto “…al colpo di scena”. Se
rileggi bene il mio articolo si afferma che, finalmente, i due limiti 1 e 1,0 - citati nello stesso
decreto per due differenti tabelle, la 3 e la 4 se
non erro citando a memoria, denotano che i due
numeri 1 e 1,0 sono differenti ed hanno differente potere. Quindi non ho mai sostenuto che,
come affermi, i decimali vanno aboliti, ma che i
decimali del risultato devono essere tanti quanti
quelli del limite (es. limite 1) e che, comunque,
vanno richiesti dal limite stesso (es. limite 1,0).
La fonte della formula incriminata - l’ho citata in
una risposta - è: Sacco-Freni (Univ. Di Milano)
STECHIOMETRIA - ed. Guadagni (MI).
Doppiamente grazie per l’aiuto. Mi spiace solo un
poco per il tono astioso. Sono disponibilissimo a
cambiare opinione, se trovo motivazioni convincenti. E la norma non lo è. Potrebbe essere sbagliata. Altrimenti non progrediremmo mai e cercheremmo ancora di fermare il sole nel cielo.
www.chimici.it