il chimico italiano - Consiglio Nazionale dei Chimici
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IL CHIMICO Periodico di Informazione dei Chimici Italiani www.chimici.it ITALIANO POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA 2 DCB – ROMA Anno XIX n. 3-2008 IL CHIMICO: una professione semplicemente unica IL CLIMA E LA CHIMICA: Torino 15 settembre 2008 ESERCIZIO ABUSIVO DELLA PROFESSIONE: L’ORDINE PUÒ INTERVENIRE I Nanotubi al Carbonio RISPONDE IL CHIMICO FORENSE Novità su Igiene & Sicurezza nei luoghi di lavoro ”Il clima e la chimica” Torino 15 settembre 2008 Enviroment Park, Via Livorno 58, TO Orario 9-17.30 (Giornata di cultura generale aperta a tutti) Programma Ore 9,15 Registrazione partecipanti Ore 9,30 Saluto Autorità Presentazione giornata Dr. G. Geda – Presidente dell’Ordine dei Chimici del Piemonte della Valle d’Aosta. dalle ore 10,00 alle ore 13,00 interventi di: Prof. E. Pellizzetti Rettore Università di Torino Dott. L. Mercalli - Presidente SMI Prof. L. Cerruti - Università Torino Prof. L. Campanella - Presidente S.C.I. Prof. E. Tiezzi - Università di Siena Ore 13,10 Pausa pranzo Ore 14,30 Tavola rotonda “Energia e limiti dello sviluppo” Conduttore: Dott. L. Mercalli Partecipanti: Presidente del Consiglio Nazionale dei Chimici, ricercatori, studiosi, rappresentanti politici a livello locale e nazionale. Ore 17,00 – Chiusura lavori/ Aperitivo di saluto offerto dalla M&R o C.T.A. Per maggiori informazioni: www.chimicipiemonte.it Consiglio Nazionale dei Chimici Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 Bimestrale di informazioni professionali, tecniche, giuridiche ed economiche dei Chimici d’Italia In copertina: Scorcio del mosaico della cappella personale del Papa in Vaticano di Padre M.I. Rupnik SOMMARIO n. 3 Spedizione in Abb. postale Art. 2, comma 20/C - legge 662/96 Filiale di Roma Editore CONSIGLIO NAZIONALE DEI CHIMICI Direzione, redazione e amministrazione P.zza S. Bernardo, 106 - 00187 Roma Tel. 06.47883819 - Fax 06.47885904 E-mail: [email protected] Web: www.chimici.it Direttore responsabile ARMANDO ZINGALES Direttore editoriale ANTONIO RIBEZZO Revisori delle bozze ANTONIO DE PACE - CARLO BRESCIANI DANIELA BIANCARDI - SERGIO CARNINI Redazione DANIELA BIANCARDI - CARLO BRESCIANI ELIO CALABRESE - SERGIO CARNINI ANTONIO DE PACE - SERGIO FACCHETTI FERNANDO MAURIZI - DOMENICO MENCARELLI TOMASO MUNARI - CARMELA OCCHIPINTI ANTONIO RIBEZZO - GIUSEPPE RICCIO LUCA SCANAVINI - FRANCO TAU ARMANDO ZINGALES • EDITORIALE 2 CHIMICO: una professione semplicemente unica! • DAL CNC Esercizio abusivo della professione: l’Ordine Professionale può costituirsi parte civile In ricordo del collega Elio Rimbaldi 2nd EuCheMS Chemistry Congress: chemical, the global science 3 4 5 • DAGLI ISCRITTI I Nanotubi al Carbonio: tipologia e proprietà elettroniche Polveri e inquinamento atmosferico I biosensori e il loro contributo all’analisi in diversi campi Proposta di modello di scheda di caratterizzazione di base Igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro: le novità del testo unico Acque reflue, rifiuti o risorsa? (Seconda Parte) Insolita avventura di un Chimico Astronomo e dei suoi Elementi “Fotochimici” 6 10 12 14 17 21 27 • IL CHIMICO FORENSE Il caso n. 2 (ovvero arrotondamento si, arrotondamento no?) 31 In copertina: Scorcio del mosaico della cappella personale del Papa in Vaticano di Padre M.I. Rupnik0 “Gli articoli e le note firmate esprimono soltanto l’opinione dell’Autore e non impegnano il Consiglio Nazionale dei Chimici né il Comitato di Redazione (CdR). L’accettazione per la stampa dei contributi originali di interesse scientifico e professionale nel campo della chimica è subordinato all’approvazione del CdR, previa revisione di tre Referee, scelti dal CdR tra gli esperti del settore. Quanto pubblicato nel Bollettino raccoglie gli atti ufficiali del Consiglio Nazionale dei Chimici”. Coordinamento editoriale e stampa Mailing Service s.r.l. Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 0032 del 18 gennaio 1990 ASSOCIATO ALL’USPI UNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA Una veste grafica e una copertina molto significativa Caro Collega, avrai certamente notato un cambiamento del frontespizio della nostra rivista “Il Chimico Italiano”. Il Consiglio Nazionale ed il Comitato di redazione hanno voluto dare ad essa una veste più moderna, più simbolica, più attraente che in qualche modo richiamasse quello che è l’oggetto della ricerca scientifica ma anche dell’arte nel suo valore più alto e cioè la Natura, la sua scoperta e la sua interpretazione. I quattro elementi della visione classica della natura, l’acqua, l’aria, la terra ed il fuoco, in un simbolismo attuale ed estremamente movimentato, sono espressi da accostamenti cromatici di grande effetto quasi richiamassero i colori della chimica ed i movimenti della fisica. E tra questi elementi emergono prepotenti figure ed immagini della liturgia e quelle tragiche che hanno insanguinato l’Europa del 20° secolo. L’Autore di questi mosaici è il p. M. I. Rupnik, direttore del Centro di ricerche ecumeniche e di arte sacra “Aletti” di Roma. La sua fama di grande artista, teologo ed autore di opere che hanno come tema la spiritualità della scienza e dell’arte, ha da tempo superato i confini dell’Italia e dell’Europa. La sua opera più significativa rimane il mosaico della Cappella personale del Papa in Vaticano, la Redemptoris Mater, ultimato per il Giubileo del 2000 (la cosiddetta terza Cappella Sistina). Della sua arte la caratteristica più facilmente percepibile è il dinamismo delle figure ed il gran simbolismo, fatto ancora più pregevole, dato che la tecnica del mosaico, pur nella sua veste moderna ed attuale, non si presta facilmente a rappresentare figure in movimento preferendo, per sua natura, la “classicità perfetta” e perciò statica. Il Consiglio Nazionale dei Chimici ringrazia padre Rupnik per aver concesso di riportare sulla rivista “Il Chimico Italiano” alcuni scorci della sua opera più importante. Consigliere Carlo Bresciani Ai sensi dell’art. 10 della Legge n. 675/1996 e s.m.i., informiamo i lettori che i loro dati sono conservati nel nostro archivio informatico e saranno utilizzati da questa redazione e da enti e società esterne collegate solo per l’invio della rivista “IL CHIMICO ITALIANO” e di materiale promozionale relativo alla professione di chimico. Informiamo inoltre che, ai sensi dell’art. 13 della succitata Legge, i destinatari di “IL CHIMICO ITALIANO” hanno la facoltà di chiedere, oltre che l’aggiornamento dei propri dati, la cancellazione del proprio nominativo dall’elenco in nostro possesso, mediante comunicazione scritta a “IL CHIMICO ITALIANO” c/o Consiglio Nazionale dei Chimici - P.zza S. Bernardo, 106 - 00187 Roma. 1 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 EDITORIALE CHIMICO: una professione semplicemente unica! di Antonio Ribezzo Imitando una nota pubblicità, potremmo dire: difficile e molto imitata. Non si contano infatti i corsi di laurea che rasentano, e spesso “copiano”, le nostre competenze. Il risultato è quello di una proliferazione tanto di competenze quanto di aspettative, spesso restano solo tali, da parte di chi, evitando la nostra facoltà, alla fine ritiene di poter “fare il chimico”! Certamente la nostra attività ha molteplici applicazioni nelle quali il chimico mostra le sue capacità, preparazione specifica e sintesi dando grande prova di se. La completezza degli studi seguiti, esaltano la sua preparazione rendendo, quella del chimico, una professione unica. La mia può apparire una esaltazione eccessiva, ma alla luce della lunga esperienza professionale e Ordinistica, ritengo di non esagerare affatto. Il chimico è, infatti, ricercatore nell’industria del farmaco, dell’elettronica, della chimica fine, è consulente nelle attività peritali poste al servizio della Magistratura civile e penale, nella protezione ambientale e caratterizzazione dei rifiuti, è tecnico specialista nelle analisi di ogni specie ove possiede la specificità di “giurista di settore”. Nelle varie attività poste in essere egli parte dalla peculiare conoscenza della materia e della sua trasformazione ricercando ogni possibile implicazione logica e tecnica, al fine di giungere al risultato più idoneo a risolvere la problematica oggetto della sua ricerca. Avviene così nella interpretazione dei dati analitici ottenute da misure chimico-ambientali, nella valutazione di possibili frodi alimentari, nelle perizie tecnico-giuridiche. In ogni settore della sua attività il chimico si cimenta con i “numeri”, valutandone tanto la 2 precisione che l’accuratezza dei risultati ottenuti e lo specifico significato rispetto alle norme di legge in vigore. Da tale angolo visuale egli assume quindi sempre più la funzione di “giurista” del dato analitico. Anche nell’insegnamento il chimico interviene con dedizione e specificità. Oltre che formatore egli deve saper alternare, nell’insegnamento all’allievo, nozioni teoriche di tecnica di laboratorio in modo da sviluppare la coscienza critica e stimolare la capacità costruttiva e di analisi dell’allievo. Nello sviluppo di una sempre migliore dinamica motoristica in campo automobilistico, ivi compresa la tenuta di strada dei pneumatici, ma anche alle molteplici tipologie delle vernici, essenziale è l’intervento dello specialista chimico. E potrei continuare a lungo ! In definitiva la nostra è sì una professione antica ma che si rinnova adeguandosi ai tempi: imitata ma sempre unica perchè scienza fra le scienze primordiali. L’amore per questa professione traspare dalle mie parole proprio perché sono consapevole del riconoscimento che noi tutti dobbiamo a tanta parte che la chimica ha avuto, ed ancora avrà, nello sviluppo dell’umanità intesa come contributo al miglioramento della qualità della vita sulla terra. Sono certo che i risultati raggiunti nell’esercizio della nostra professione, anche se a volte non sono direttamente ad essa collegabili dai più, sono comunque sotto gli occhi di tutti. Non c’è infatti più cieco di chi non vede ciò che è evidente. Ma tant’è, anche se a volte alcune notizie di stampa informano distorcendo la realtà, resterà a tutti chiara la nostra opera da qui all’eternità. Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAL CNC Esercizio abusivo della professione, l’ordine professionale può costituirsi parte civile. Di Luciana Becherini1 Con la sentenza n. 22144 depositata il 3 giugno 2008 la Corte di Cassazione ha ribadito che l’Ordine professionale ha la facoltà di costituirsi parte civile nel processo penale per chiedere il risarcimento dei danni morali e patrimoniali subiti per effetto dell’esercizio abusivo della professione (art. 348 Cod. Pen.). Nella specie la vicenda riguardava il caso di un odontoiatra abusivo condannato in Appello a oltre 3 mila euro di multa. Nel corso del procedimento si era costituito in giudizio anche il Consiglio dell’Ordine dei Medici. Su tale aspetto si era concentrata una parte dei motivi di ricorso presentati dalla difesa che adduceva il difetto di legittimazione attiva dell’Ordine. La Suprema Corte nelle proprie motivazioni precisa che: “Se è vero che in tema di esercizio arbitrario della professione il bene tutelato dall’articolo 348 c.p. in via primaria è costituito dall’interesse generale a che determinate professioni, richiedenti, tra l’altro, particolari competenze tecniche vengano esercitate soltanto da soggetti che abbiano conseguito una speciale abilitazione amministrativa, sicché deve ritenersi che l’eventuale lesione del bene anzidetto riguardi in via diretta e immediata la pubblica amministrazione, con la conseguenza che gli Ordini professionali non sono abilitati a costituirsi parte civile all’unico fine di tutelare gli interessi morali della categoria quando all’Ordine stesso non sia derivato un danno, ciò non toglie tuttavia”, sottolinea il Collegio, “che possano assumere veste di danneggiati quei soggetti che, sia pure in via mediata e di riflesso, abbiano subito a causa della violazione della norma penale in questione un danno tipicamente di carattere patrimoniale”. Il danno patrimoniale viene individuato dai giudici dalla Suprema Corte con “il pregiudizio che è causato dalla concorrenza sleale subita in un determinato contesto territoriale dai professionisti iscritti all’associazione di categoria, danno che va ad aggiungersi a quello consistente nell’offesa all’interesse circostanziato riferibile all’associazione professionale, in tal caso legittimata a costituirsi parte civile nel procedimento penale per ottenere il risarcimento o la riparazione non già del danno soltanto morale, bensì anche patrimoniale”. La Corte di Cassazione riconosce agli Ordini professionali un’arma in più per difendere gli interessi di categoria, quest’ultimi possono infatti chiedere i danni patrimoniali e morali a chi è accusato di esercizio abusivo della professione. Il Collegio ha chiarito che in questi casi il tipo di danno sofferto dall’Ordine non è tanto quello di un patimento morale quanto di un danno patrimoniale per “concorrenza sleale subita su un certo territorio dai professionisti iscritti all’Associazione”. I danni non patrimoniali, ha chiarito la Suprema Corte, non possono essere chiesti autonomamente. Da quanto sopra discende che l’Ordine deve provare di aver subito un danno patrimoniale “anche indirettamente”. 1 Ufficio Legislativo del C.N.C. 3 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAL CNC In ricordo del collega Elio Rambaldi Fernando Maurizi Elio Rambaldi, lo conoscevo da oltre vent’anni, fin da quando eravamo in Via Sicilia. Nel 2006 era ancora il Segretario del Consiglio Nazionale dei Chimici ed era stato nominato Cavaliere del Lavoro. Era nato nel 1921, come mia madre, a Cremona aveva iniziato la sua carriera di Chimico tecnologo alimentare specializzato nel settore dolciario e era il maggior esperto in materia, consulente delle industrie del posto per le quali aveva formulato ricette innovative su torrone e caramelle. C’è da dire che Elio aveva prestato servizio millitare come Chimico e durante la guerra aveva completato gli studi universitari. Mi legava a Lui, oltre il rapporto di appartenenza al CNC, anche l’amicizia che mi aveva concesso dopo alcune esperienze professionali di lavoro insieme nel campo del ciocco- lato in cui mi ero avvalso della sua esperienza per risolvere diversi problemi tecnici. Ha svolto nel Consiglio Nazionale il ruolo di Segretario in modo attento e puntuale, infatti non mancava mai alle riunioni fissate a Roma o itineranti in altre parti d’Italia, prendeva appunti e verificava con competenza soprattutto la parte economica delle delibere, da esperto Tesoriere. Si era ritirato da due anni dall’attività nella sua Cremona prostrato dalla perdità della moglie che spesso lo accompagnava negli anni precedenti. Ora l’ha raggiunta lassù. Altro non riesco ad aggiungere il ricordo mi assale emotivamente. La Chimica applicata all’industria alimentare e noi tutti colleghi e amici abbiamo perso il nostro “decano”. Riscossione contributo 2008 al Consiglio Nazionale Il presente avviso, già inserito sul numero 2/2008 di questa rivista, pubblicato sul bollettino ufficiale del Consiglio Nazionale dei Chimici e sul sito www.chimici.it costituisce notifica agli iscritti a sensi di legge. Il Consiglio Nazionale ha avviato le procedure per la riscossione del contributo dovuto dagli iscritti. In queste settimane è stato inviato agli iscritti l’avviso di riscossione con scadenza 31 luglio 2008. L’iimporto da versare per il 2008 è di 55,00 Euro, comprensivo di diritti di segreteria e rimborsi spese di esazione. Per i pagamenti effettuati dopo il 31 luglio 2008 è dovuta, in aggiunta, la sanzione per ritardato pagamento, pari a 10,00 Euro. Il pagamento può avvenire secondo una delle seguenti modalità: • Versamento su CC Postale mediante bollettino premarcato allegato all’avviso di pagamento; • Versamento in CC Postale compilando un bollettino in bianco: CCP n. 42064022 – Consiglio Nazionale dei Chimici, Roma; Pagamento con Carta di Credito (Salvo Buon Fine) inviando al Consiglio Nazionale dei Chimici, anche mediante fax il modulo di addebito allegato all’avviso di pagamento, ovvero inserendo i propri dati nel modulo disponibile on-line sul sito www.chimici.it; Versamento o bonifico (anche telematico) sul CC del CNC presso la Banca Nazionale del Lavoro, Agenzia Bissolati, via Bissolati n. 2 – IBAN: IT30N0100503200000000048431. Al momento del pagamento bisogna aver cura di rendere certa l’identificazione dell’iscritto (attraverso i suoi dati anagrafici, oltre al codice iscritto riportato sopra l’indirizzo nell’avviso di riscossione ed il codice fiscale) e l’anno di riferimento (contributo 2008). Raccomandiamo a tutti la puntualità nell’adempimento: l’attività del Consiglio Nazionale dipende dalla disponibilità delle risorse necessarie. Cogliamo l’occasione per comunicare che la riscossione dei contributi relativi agli anni 2001-2007 (iscritti morosi) è stata affidata ai Concessionari per la riscossione delle imposte, che provvederanno nei modi di legge. Per informazioni sul tributo è possibile rivolgersi al Consiglio Nazionale dei Chimici: responsabile del procedimento è la signora Bruna Peri, Capo Ufficio Segreteria del Consiglio Nazionale dei Chimici. 4 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI I Nanotubi al Carbonio: topologia e proprietà elettroniche Riccardo Narizzano*a-b, Fulvia Rissoa-b *e-mail: [email protected] a Ordine Interprovinciale dei Chimici della Liguria b ARPAL, Via Bombrini 8 16149 Genova Abstract: Dopo una breve introduzione sulla topologia di fullereni, grafene e nanotubi al carbonio, vengono descritti alcuni aspetti fondamentali delle proprietà elettroniche e delle caratteristiche strutture aggregate di nanotubi al carbonio a parete singola e multipla. 1 Dresselhaus, M. S.; Dresselhaus, G.; Eklund, P. C. Science of Fullerenes and Carbon Nanotubes; Academic Press: New York, 1996. 2 Rohlfing, E. A.; Cox, D. M.; Kaldor, A. J. Chem. Phys. 1984, 81, 3322. 3 Kroto, H. W.; Heath, J. R.; O’Brien, S. C.; Curl, S. C.; Smalley, R. E. Nature 1985, 318, 162. 4 Ebbesen, T. W. Carbon Nanotubes: Preparation and Properties; CRC Press: Boca Raton, FL, 1997. 5 Kiang, C. H.; Goddard, W. A.; Beyers, R.; Bethune, D. S. Carbon 1995, 33, 903. 6 Ajayan, P. M.; Ebbesen, T. W. Rep. Prog. Phys. 1997, 60, 1025. 7 Yakabson, B. I.; Smalley, R. E. Am. Sci. 1997, July-August, 324. 8 Saito, R.; Dresselhaus, M. S.; Dresselhaus, G. Physical Properties of Carbon Nanotubes; World Scientific: New York, 1998. E’ ben noto come il carbonio possa legarsi in modi diversi creando strutture con proprietà completamente differenti, originando grafite e diamante, fasi solide di puro carbonio. Il motivo risiede nelle diverse ibridazioni che gli atomi di carbonio possono assumere. L’ibridazione sp3 è responsabile della forma “isotropicamenete hard” diamante, mentre l’ibridazione sp2 è responsabile della formazione della grafite, materiale nel quale si hanno legami forti nel piano e legami deboli, del tipo van der Waals, perpendicolari ad esso. La grafite, quindi, è considerata un materiale “soft” grazie alla capacità di scorrimento tra i piani che la costituiscono. L’architettura dei fullereni e dei nanotubi1 deriva da atomi di carbonio con ibridazione sp2 legati tra di loro e dalla presenza di un dato gruppo di “difetti” topologici, che possono creare le uniche strutture a guscio chiuso al di fuori del piano definito dal foglio di grafite. Nel caso di un numero infinito di atomi di carbonio (cioè quando gli effetti di bordo siano trascurabili), la grafite è la fase solida termodinamicamente stabile del carbonio fino a temperature elevatissime entro un normale intervallo di pressione, mentre il diamante è la forma solida cineticamente stabile. Quando si ha a che fare con sistemi a numero finito di atomi di carbonio, cioè quando la densità degli atomi “di bordo”, senza quindi la possibiltià di saturare tutte le valenze, diventa alta, la situazione energeticamente favorita è una struttura che si richiude su se stessa eliminando quindi tutti gli atomi con legami incompleti. Gli esperimenti preliminari effettuati verso la metà degli anni ’802, serviti come precursori della scoperte del fullerene3, suggerivano che quando il numero di atomi di carbonio è minore di poche centinaia, le strutture formate corrispondevano a catene lineari, anelli e gusci chiusi. Questi ultimi, chiamati fullereni, sono molecole di “tutto” carbonio con un numero pari di atomi (partendo dal C28 osservato mediante spettrometria di massa) e con legami nominali di tipo sp2 tra atomi adiacenti. Per formare delle strutture curve partendo da un segmento planare di un reticolo esago- nale di grafite, è necessario introdurre alcuni “difetti” topologici nella struttura. Per produrre una struttura convessa bisogna quindi introdurre una curvatura nel reticolo della grafite, e questa può essere ottenuta creando dei pentagoni. Come conseguenza particolare (e curiosa) del principio di Eulero, servono solo 12 pentagoni per provvedere alla curvatura necessaria per la completa chiusura del reticolo esagonale. Quindi, nel C60 e in tutti gli altri fullereni si hanno un grande numero di esagoni (C2n con (n-10) esagoni) ma solamente 12 pentagoni. In altri termini si puo’ immaginare ad un fullerene estremamente elongato costituito da 12 pentagoni e milioni di esagoni4, originando un nanotubo al carbonio1,4,5,6,7,8, come mostrato nella struttura di figura 1A, cioè un lungo cilindro formato da un reticolo esagonale a nido d’ape di atomi di carbonio, con legate due porzioni di fullereni alle estremità (figura 1B). Il diametro del nanotubo dipenderà dalle dimensioni del semi-fullerene posizionato sulle estremità, ad esempio un nanotubo basato su un C240 come quello di figura 1B avrà un diametro di circa 1.2 nm. In linea di principio, si può pensare che un foglio di grafene (un singolo strato di grafite) si ripieghi in un cilindro in modo tale che le estremità aperte coincidano perfettamente, formando una struttura senza “cuciture” (figura 2.). Questa operazione porta ad un tubo aperto alle estremità finali, il quale dovrà essere chiuso su entrambi i lati, per cui in qualche passo del processo di accrescimento si dovrà avere una enucleazione dei pentagoni per iniziare il meccanismo di chiusura. Figura 1. Rappresentazione schematica di: (A) unità di base di un nanotubo al carbonio. (B) un tubulo chiuso di fullerene. In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 7 marzo 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 28 aprile 2008. 6 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI Figura 2. Schematizzazione della formazione di una struttura cilindrica partendo dal grafene. L’avvolgimento del foglio di grafene in un cilindro non descrive però completamente la particolare struttura del nanotubo, infatti pur soddisfacendo la condizione in cui tutti gli atomi delle opposte estremità si incontrino, l’avvolgimento può avvenire in modi diversi. Ogni spostamento traslazionale lungo le estremità prima della loro chiusura porta ad una differente orientazione del reticolo rispetto ad un asse arbitrario del tubo. Questo nella struttura generale di un nanotubo porta il motivo esagonale sulla superficie ad assumere un andamento ad elica, introducendo ellitticità nella struttura. Nella mappatura di un piano di grafene in un cilindro, le condizioni al contorno possono essere soddisfatte solo se uno dei vettori del reticolo di Bravais del foglio di grafene riproduce l’intera circonferenza del cilindro9,10. Il reticolo è rappresentato in figura 3 dove a1 e a2 sono le i vettori del reticolo di grafene e n e m due numeri interi. Ch = naa1 + maa2 Figura 3. Rappresentazione di un foglio di grafene con i vettori del reticolo a1 e a2, e quello di avvolgimento Ch. Sono indicati i casi limiti zigzag (n,0), e (n,n) armachair con le linee tratterggiate. Il vettore di tralalazione T definisce la cella unitaria 1D. Questa schematizzazione è di estrema importanza nella caratterizzazione delle proprietà dei nanotubi, in quanto descrive la simmetria della struttura del nanotubo. I nanotubi rappresentati dagli indici traslazionali del reticolo di forma (n, 0) o (n, m) avranno due operazioni di simmetria, mentre tutti gli altri avranno tre operazioni equivalenti. I nanotubi di tipo (n, 0) sono in generale chiamati zigzag, mentre i tipi (n, m) sono chiamati armachair (sedia con poggiamani). L’ellitticità dei nanotubi è stata indubbiamente la scoperta più rilevante emersa dai primi studi di Iijima11,12. Studi di diffrazione elettronica, e più recentemente immagini ottenute mediante scanning tunneling microscopy, STM, ne hanno verificato la struttura ad elica.13,14,15. Questa sottile variazione della struttura ha una fondamentale importanza fin da quando i primi modelli teorici mostrarono che le proprietà dei nanotubi dipendono strettamente dalla loro elitticità e diametro. Nanotubi a Parete Singola e Multipla I nanotubi al carbonio si possono dividere in due categorie: i nanotubi a parete mutipla (MWNT) e i nanotubi a parete singola (SWNT). I MWNT, sono stati i primi ad essere scoperti e sono simili a fibre di grafite cave16, con la differenza che essi presentano un più alto grado di perfezione strutturale. Sono costituiti da cilindri concentrici posti attorno ad un foro centrale comune, con una distanza tra i diversi strati di circa 0,340 nm, leggermente maggiore del valore della distanza interstrato tipica del cristallo singolo di grafite (0,335 nm). Questa maggior distanza interstrato nei MWNT è dovuta al fatto che questi tubi presentano delle severe costrizioni geometriche nel formare i cilindri concentrici pur mantenendo le spaziature tipiche della grafite. Presentano un diametro variabile che và tipicamente dai 2 ai 25 nm. La correlazione tridimensionale prevalente nel singolo cristallo di grafite, cioè l’interazione di tipo ABAB, viene persa completamente nei nanotubi, e gli strati presentano un disordine rotazionale l’uno rispetto all’altro. La seconda varietà, i SWNT, sono riconducibili ad una fibra ideale di fullerene. Questi sono infatti simili per dimensioni e sono formati da un singolo strato che si estende da un capo all’altro12,17, sono in possesso di una buona uniformità del diametro che va da 1 a 2 nm. Essi si organizzano in grandi fasci chiamati funi (ropes) che consistono in alcune decine di SWNT con una distanza intertubo di circa 0,315 nm5,18,19. Entrambe le varietà di nanotubi possono essere viste come aggregati di unità singole (cilindri); i MWNT consistono in assemblaggi concentrici e i SWNT formano funi che consistono di unità di nanotubi ad intimo impaccamento, ed entrambi presentano una ampia distribuzione di lunghezze che arriva fino ad alcuni micron. I nanotubi sono delle strutture completamente distinte da tutte quelle fino ad ora conosciute. Essi possono essere considerati dei veri sistemi macromolecolari ad architettura completamente 9 (9) Mintmire, J. W.; Dunlap, B. I.; Carter, C. T. Phys. Rev. Lett.11992, 68, 631. 10 Hamada, N.; Sawada, S.; Oshiyama, A. Phys. Rev. Lett. 1992, 68, 1579. 11 Iijima, S. Nature 1991, 354, 56. 12 Iijima, S.; Ichihashi, T. Nature 1993, 363, 603. 13 Ge, M.; Sattler, K. Science 1993, 260, 515. 14 Wildoer, J. W. G.; Venema, L. C.; Rinzler, A. G.; Smalley, R. E.;Dekker, C. Nature 1998, 391, 59. 15 Odom, T.; Huang, J.; Kim, P.; Lieber, C. Nature 1998 , 391, 62.Smalley, R. E. Phys. Rev. Lett. 1997, 79, 2065. 16 Dresselhaus, M. S.; Dresselhaus, G.; Sugihara, K.; Spain, I. L.; Goldberg, H. A.; Graphite Fibers and Filaments; Springer-Verlag: New York, 1988. 17 Bethune, D. S.; Kiang, C. H.; de Vries, M. S.; Gorman, G.; Savoy, R.; Vazquez, J.; Beyers, R. Nature 1993, 363, 605. 18 Thess, A.; Lee, R.; Nikolaev, P.; Dai, H.; Petit, P.; Robert, J.; Xu, C.; Lee, Y. H.; Kim, S. G.; Rinzler, A. G.; Colbert, D. T.; Scuseria, G. E.; Tomanek, D.; Fischer, J. E.; Smalley, R. E. Science 1996, 273, 483. 19 Journet, C.; Maser, W. K.; Bernier, P.; Loiseau, A.; Lamy de laChappelle, M.; Lefrant, S.; Deniard, P.; Lee, R.; Fischer, J. E. Nature 1997, 388, 756.11998, 280, 1744. 7 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI 20 Van Hove, L.; Phys. Rev. 1953, 89, 1189–1193. 21 Bassani, F.; Pastori Parravicini, G.; Electronic States and Optical Transitions in Solids. Pergamon Press 1975. 22 Olk, C. H.; Heremans, J. P. J. Mater. Res. 1994, 9, 259. 23 Carroll, D. L.; Redlich, P.; Ajayan, P. M.; Charlier, J.-C.; Blase, X.; De Vita, A.; Car, R. Phys. Rev. Lett. 1997, 78, 2811. 24 Carroll, D. L.; Blase, X.; Charlier, J.-C.; Curran, S.; Redlich, Ph.; Ajayan, P. M.; Roth, S.; Ru¨ hle, M. Phys. Rev. Lett. 1998, 81, 2332. nota fino a livello atomico. Dato che la posizione degli atomi all’interno della struttura è nota precisamente si possono usare modelli teorici per predirne le proprietà chimico fisiche in modo accurato. Dopo la scoperta dei nanotubi, si è proceduto alla loro caratterizzazione, usando metodi che permettono l’ottenimento di informazioni strutturali. In particolare hanno dominato il campo le microscopie atomiche e le tecniche spettroscopiche locali, in quanto queste consentono delle risoluzioni spaziali compatibili con le dimensioni dei nanotubi. Transmission electron microscopy (TEM) e scanning tunneling microscopy/spectroscopy (STM/STS) hanno consentito l’ottenimento di informazioni sulla struttura atomica ed elettronica, verificandone le dipendenze dal diametro e dalla ellitticità. L’evidenza conclusiva ottenuta da studi di STM/STS ha mostrato reticoli risolti di nanotubi e le corrispondenti strutture elettroniche sia metalliche che semiconduttive14,15. In aggiunta ed in contrasto rispetto alla grafite appaiono nella densità locale degli stati (DOS) dei nanotubi delle strutture ben spaziate e simmetriche chiamate singolarità di Van Hove, ciò è dovuto alla natura monodimensionale degli stati di conduzione elettronica dei nanotubi20,21. Figura 4. Proprietà elettroniche (DOS) dei SWNT [nanotubi (10, 10) armchair e (12, 8) helical] in prossimità dell’energia di Fermi. I nanotubi presentano un processo di conduzione elettronica unico, dato che gli elettroni nella direzione longitudinale sono confinati in un singolo piano del foglio di grafene. Calcoli teorici hanno predetto che i tubi di tipo armchair presentino una conduzione di tipo esclusivamente metallico, mentre quelli di tipo zigzag possano avere un comportamento metallico o semiconduttivo1,7,8. La conduzione nei tubi armchair avviene attraverso modalità senza gap in quanto le bande di valenza e di conduzione si interseca- 8 no al valore dell’energia di Fermi. Nella maggior parte dei tubi elicoidali, i quali contengono un grande numero di atomi nella loro cella unitaria, la struttura monodimensionale delle bande mostra la formazione di gap in prossimità dell’energia di Fermi, portando a proprietà di tipo semiconduttivo. Questo particolare comportamento elettronico si ha solo nel caso di nanotubi di piccolo diametro, infatti come esso aumenta, il bandgap (variando inversamente rispetto al diametro dei tubi) tende a zero, portando alla formazione di semiconduttori a bandgap zero elettronicamente equivalenti al foglio planare di grafene. La struttura elettronica dei più piccoli tubi interni nei MWNT è superimposta da quelli più esterni, più larghi e planari aventi quindi una struttura più simile al grafene22,23. Dati sperimentali hanno inoltre mostrato che i difetti pentagonali presenti alle estremità possono indurre carattere metallico23. Simile metallizzazione dei nanotubi si è trovata anche mediante drogaggio sostituzionale da parte di impurità come boro e azoto24. 2.3. Proprietà Elettroniche Cosa rende i nanotubi al carbonio dei materiali così particolari è la combinazione delle dimensioni, struttura e topologia che conduce ad un intero insieme di proprietà superiori. La costituzione di base del reticolo dei nanotubi è il legame covalente C-C (come nei piani di grafite), uno dei più forti in natura. Il perfetto allineamento del reticolo lungo l’asse del tubo e la topologia forniscono ai nanotubi le proprietà, sul piano, tipiche della grafite, come l’elevata conduttività elettrica, l’eccellente forza e durezza, la specificità chimica e l’inerzia, assieme ad alcune inusuali proprietà, come la struttura elettronica dipendente da ellitticità ed elasticità del reticolo. Inoltre le nanodimensioni provvedono a fornire una elevata area superficiale, la quale può essere utile sia per le applicazioni chimiche che meccaniche. Delle rimarchevoli caratteristiche dei nanotubi si è già discusso nei precedenti paragrafi, vedendo come le proprietà sia metalliche e semiconduttive siano state predette teoricamente ed osservate sperimentalmente (figura 4) determinandone la loro dipendenza dalla ellitticità del sistema. La sfida più eccitante ha riguardato lo studio delle proprietà di trasporto su nanotubi singoli sia a parete multipla che singola. Misure sistematiche sui MWNT singoli hanno mostrato un intero insieme di comportamenti Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI elettronici, che vanno dal metallico, al semiconduttivo fino al semimetallico25,26,27. La debole magneto-resistenza nei nanotubi indica un limitatissimo libero cammino medio per gli elettroni di conduzione, principalmente dovuto allo scattering dei difetti. Inoltre la composizione dei MWNT con i vari cilindri a differente ellitticità complica ogni semplice interpretazione dei meccanismi di trasporto basata su previsioni teoriche. Rimane comunque chiaro che le proprietà di trasporto nei MWNT sono uniche, e in studi recenti si è osservato un trasporto di elettroni di tipo balistico a temperatura ambiente28 e l’effetto Aharnov-Bohm29 sui MWNT singoli. In contrasto, i SWNT sono dei sistemi ben definiti in termini di proprietà elettroniche. Misure delle proprietà di trasporto su SWNT30 singoli e in fasci ottenute a temperature dell’ordine dei milliKelvin hanno mostrato che la conduzione avviene attraverso stati elettronici discreti ben separati, provando che gli SWNT singoli possono essere considerati dei veri e propri fili quantistici. Studi teorici hanno mostrato che, contrariamente ai fenomeni di conduzione nelle ordinarie applicazioni dei conduttori metallici, per gli elettroni di conduzione nei SWNT armchair il libero cammino medio aumenta all’aumentare del diametro dei tubi grazie al disordine effettivo mediato sulla loro circonferenza. Questo incremento potrebbe portare alle eccezionali proprietà balistiche di trasporto dovute alla localizzazione delle lunghezze fino ad alcuni micron31. Interessanti esperimenti hanno dimostrato l’unicità del sistema elettronico nei fasci di SWNT32, dove misure di conduttanza in funzione della temperatura e del voltaggio sono in accordo con le predizioni dei fenomeni di tunnelling all’interno di un liquido di Luttinger, il quale è fortemente correlato ad un sistema elettronico monodimensionale. La conduttività elettrica dei nanotubi può essere alterata modificando la struttura del reticolo di atomi di carbonio. L’aggiunta di impurità come boro e azoto in queste strutture ha dimostrato di creare delle caratteristiche metalliche nella densità elettronica degli stati24. Il drogaggio dei fasci di SWNT mediante alogeni o metalli alcalini che agiscono da intercalanti andando negli interstizi tra i nanotubi nei fasci promuovendo un trasferimento elettronico tra tubo e drogante, produce un incremento della conduttività di un ordine di grandezza33,34. Il nanotubo drogato può essere considerato come una nuova generazione di metalli sintetici. I nanotubi sia a parete singola che multipla possono inoltre essere funzionalizzati35,36,37, ottenendo materiali ibridi con ulteriori nuove e interessanti proprietà opotoelettroniche38,39,40. Oltre le inusuali proprietà elettriche dei nanotubi si hanno proprietà meccaniche altrettanto affascinanti che rendono questi materiali tra i più duri e rigidi conosciuti. I nanotubi al carbonio vengono anche usati in materiali compositi allo scopo di aumentare le proprietà meccaniche, termiche e elettriche del materiale massivo finale. la redazione de Il Chimico Italiano Invita i propri lettori ad inviare contributi scritti di argomenti tecnico-scientifico o di attualità per la professione. 25 Langer, L.; Bayot, V.; Grivei, E.; Issi, J.-P.; Heremans, J. P.; Olk, C. H.; Stockman, L.; Van Haesendonck, C.; Bruynseraede, Y. Phys. Rev. Lett. 1996, 76, 479. 26 Ebbesen, T. W.; Lezec, H.; Hiura, H.; Bennett, J. W.; Ghaemi, H. F.; Thio, T. Nature 1996, 382, 54. 27 Kasumov, A. Yu; Khodos, I. I.; Ajayan, P. M.; Colliex, C. Europhys. Lett. 1996, 34, 429. 28 Frank, S.; Poncharal, P.; Wang, Z. L.; de Heer, W. A. Science 1998, 280, 1744. 29 Batchtold, A.; Strunk, C.; Salvetat, J. P.; Bonard, J. M.; Forro, L.; Nussbaumer, T.; Schonenberger, C. Nature 1999, 397, 673. 30 Tans, S. J.; Devoret, M. H.; Dai, H.; Thess, A.; Smalley, R. E.; Geerlings, L. J.; Dekker: C. Nature 1997, 386, 474. 31 White, C. T.; Todorov, T. N. Nature 1998, 393, 240. 32 Bockrath, M.; Cobden, D. H.; Lu, J.; Rinzler, A. G.; Smalley, R. E.; Balents, L.; McEuen, P. L. Nature 1999, 397, 598. 33 Rao, A. M.; Eklund, P. C.; Bandow, S.; Thess, A.; Smalley, R. E. Nature 1997, 388, 257. 34 Lee, R. S.; Kim, H. J.; Fischer, J. E.; Thess, A.; Smalley, R. E. Nature 1997, 388, 255. 35 V. Georgakilas, K. Kordatos, M. Prato, D. M. Guldi, M. Holzinger, A. Hirsch, J. Am. Chem. Soc., 2002, 124, 760-761. 36 Star, A., Liu, Y., Grant, K., Ridvan, K., Stoddart, J.F., Steuerman, D.W., Diehl, M.R., Boukai, A., Heath, J.R., Macromolecules, 2003 36, 553. 37 R. Narizzano, C. Nicolini; Macromol. Rapid Commun. 2005, 26, 381-385. 38 D.W. Steuerman, A. Star, R. Narizzano, H. Choi, R.S. Ries, C. Nicolini, J.F. Stoddart, and J.R. Heath; J. Phys. Chem. B; 2002, 106(12); 3124-3130. 39 G. M. A. Rahman, D. M. Guldi, R. Cagnoli, A. Mucci, L. Schenetti, L. Vaccari, M. Prato, J. Amer. Chem. Soc., 2005 , 127, 10051-10057. 40 C. Gadermaier, E. Menna, M. Meneghetti, W. J. Kennedy, Z. V. Vardeny, G. Lanzani, nano lett.; 2006, 6(2); 301-305 Le norme per la pubblicazione si trovano sul sito www.chimici.it nella ribrica “La rivista on-line” 9 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI Polveri e inquinamento atmosferico di Luigi Campanella Considerazioni generali sulle polveri. L’atmosfera è uno strato che difende la vita sulla terra assorbendo sia i raggi cosmici ed eliminando il loro effetto sugli organismi terrestri sia i raggi emessi della terra durante la notte consentendole quindi di mantenere una temperatura stabile (intorno ai 10 - 20 °C) idonea allo sviluppo della vita. D’altra parte l’atmosfera serve anche come un “deposito” per molte sostanze di origine naturale ed antropica che si trovano allo stato di “vapore” o di “aerosol” e che hanno un effetto negativo sulla salute umana. Il deposito secco ambientale è una fonte importante di informazione e di monitoraggio ed è una matrice essenziale per gli studi che sono legati ad essa. La caratterizzazione chimica dei composti nel deposito secco atmosferico è un dato essenziale per la valutazione della qualità dell’atmosfera e dei tipi di inquinamento dell’aria. Le particelle si formano dalla polverizzazione delle sostanze combustibili, dalla dissoluzione e lavorazione dei metalli, dal trasporto, dalle eruzioni vulcaniche, dalle polveri della terra, dagli aerosol di origine marina. La classificazione del particolato in aria sulla base del diametro delle particelle si articola in: 1 Sabbia: particelle grandi (diametro maggiore di 76) che cadono con l’accelerazione che deriva dalla forza di gravità, e si possono vedere. 2 Fumo: particelle molto piccole (diametro maggiore di 1μ e minore di 76μ) che si trovano nell’aria in forma di sospensione e si possono identificare tramite microscopio elettronico. 3 Polveri: particelle piccole (diametro maggiore di 1μ e minore di 76μ) che possono restare sospese in aria e si possono identificare con microscopio normale. Le particelle nell’aria hanno una composizione chimica molto diversa, alla quale partecipano sali, ossidi, composti dell’azoto e dello zolfo ma anche i metalli. La composizione risultante dell’aria di un ambiente è una funzione metereologica che dipende dal fattore di ventilazione (indice dello spessore dello strato di mescolamento, della velocità del vento e della densità dell’aria). Gli elementi più tipici nelle particelle per concentrazioni maggiori di 1μg/m3 sono Al, C, Na e Si, mentre a valori più bassi si trovano Cd, Co, Cr, Ni, Li, Mn, Sn. In generale il rapporto degli elementi nella composizione delle particelle in aria riflette il rapporto all’origine. Negli ultimi anni lo studio degli aerosol atmosferici è molto avanzato per merito delle determinazioni sempre più affidabili della massa totale delle particelle e di quella dei vari composti in essi contenuti. È stato determinato che alcuni metalli tossici come As, Cd, Pb, Zn, Hg, Co, Cr, e i loro composti durante lo stato di sospensione in aria modificano leggermente le proprie dimensioni. Questo fatto rappresenta un evento di grande interesse per la salute umana, sia perché le particelle piccole (diametro aerodinamico più piccolo di 2.5μm) possono essere inalate sia perché esse persistono in atmosfera dove possono subire reazioni chimiche e trasportarsi a grandi distanze dalla loro fonte. La presenza di particolato nell’aria influenza molto la terra non solo per l’effetto inquinante ma anche per quello negativo sulla salute umana e per quello catalitico per molte reazioni chimiche indesiderabili che avvengono in atmosfera. D’altra parte, le particelle servono come punto di coagulo, una sorta di embrione per le condensazioni dei vapori atmosferici, il che è una strada naturale per rimuovere le polveri dall’atmosfera. Oggi più che mai lo studio dei composti nell’aria è di grande interesse sia per la determinazione del livello di inquinamento sia per l’eliminazione o la diminuzione del grado di pericolosità di questi inquinanti. Gli elementi in traccia più importanti nelle polveri che esistono sulla crosta terrestre sono: Fe, Mn, Zn, Pb, Cr, Ni, Cu, Co, Hg e Cd. La quantità di questi elementi varia da 0.2 μg/g per il Cd fino a 550 μg/g per il Mg. Queste quantità cambiano molto riflettendo così i vari tipi di materiali esistenti sulla terra. Gli aerosoli oceanici contengono soltanto quantità in traccia di Fe, Mn, V, Pb e Zn, quantità che variano da 0.009μg/g di V fino a 5μg/g Fe. Un’altra fonte naturale del particolato sono le piante: sono stati effettuati studi legati alla pre- In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 21 marzo 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 28 aprile 2008. 10 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI senza di Zn e Hg nelle foglie di varie piante e inoltre è stato evidenziata anche la presenza di V, Mn, Fe, Co, Ni, Cu, Zn, As, Pb, Cd e Sn negli alberi coniferi. Anche la lava dei vulcani contiene metalli quali: Fe, Mn, V, Zn, Co, As, Sn, Cd. Come fonte antropica di particolato devono essere anche ricordate le centrali termiche, le cui ceneri contengono concentrazioni significative di Fe, Zn, Pb, V, Mn, Cr, Cu, Ni, As, Cd. Così anche i forni dell’industria pesante producono ceneri nelle quali sono stati ritrovati Fe, Zn e in piccole quantità Cr, Cu, Mn, Ni e Pb. Da questi studi è emerso che gli elementi più importanti sono legati alle particelle di dimensione maggiore. Un’altra fonte antropica di emissione dei metalli pesanti tossici è il traffico. Dalle analisi effettuale sui campioni di polvere di strada sono stati identificati elementi come: Pb, Ni, Zn e Cd i quali sono il risultato della emissione dai tubi di scarico delle automobili. Il Pb è stato a lungo un metallo presente a concentrazione molto alta in atmosfera come risultato dell’aggiunta di tetraalchile di Pb alle benzine, per l’innalzamento del loro numero di ottano. Il Ni si trova ai livelli di traccia nell’olio dei motori per autovetture; Zn e Cd si trovano invece come componenti degli accumulatori anche se a concentrazioni sempre più ridotte. Le tecniche analitiche che si usano oggi, sono in grado di dare un’informazione non solo sulla concentrazione totale dei metalli, ma anche sulla composizione specifica cioè sulla natura delle varie specie presenti. Spesso in mancanza di queste informazioni viene accettato che molti elementi di origine antropica (in particolare da ceneri) si trovino presenti come ossidi. Le polveri emesse dai forni delle combustioni possono contenere elementi anche in forma di cloruro. Gli elementi legati in forma di polvere sulla crosta terrestre o nelle polverizzazioni meccaniche (le particelle più grandi) sono in genere in forma di solfito, silicato, carbonato e altri composti minerali. D’altra parte è stato verificato che alcuni metalli hanno un legame forte con il solfato nei campioni di polvere e che gli ossidi di Fe, Mn e Pb assorbono SO2. Se supponiamo che gli elementi come As, Cd, Mn, Pb, V e Zn siano volatili alle temperature alte che si producono durante la combustione delle sostanze infiammabili fossili e condensino uniformemente sulla superficie delle particelle delle polveri nell’aria dove la temperatura è minore di quella di combustione, si comprende come le fonti antropiche di emissione degli elementi in traccia siano considerate più importanti (dal punto di vista della tossicità) delle fonti naturali. Spesso può avvenire una coagulazione da cui deriva un’azione sinergica tra le particelle dell’ambiente (sia di origine naturale che antropica) e altri composti identificati come composti di As, Cu e Zn che si trovano in forma di strati agglomerati di argilla o minerali. Alcuni composti metallici presenti in traccia nella polvere di strada possono derivare dalle fonti antropiche o dalla crosta terrestre; sono stati trovati Pb, Zn e Cd aggregati come carbonati a ossidi di Fe e Mn. Invece il Cu è legato di solito con la fase organica e meno con quella carbonato. Queste “associazioni” influenzano sia gli spostamenti come anche la degradazione ambientale che ovviamente risente anche delle relative trasformazioni subite dalle particelle con il passare del tempo, fra le quali la solfatazione e la nitrazione degli ossidi metallici sono le più importanti. 11 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI I biosensori e il loro contributo all’analisi in diversi campi Prof. Luigi Campanella*, D. Lelo* *. e-mail corresponding authors: * [email protected] ** [email protected] Dipartimento di chimica, Università degli studi di Roma ”La Sapienza”, P.le A. Moro 5, Italia. I bisensori sono dispositivi in grado di rilevare in tempi molto brevi, la presenza di specifiche sostanze e di permetterne il dosaggio sfruttando molecole o sistemi molecolari di origine vegetale o animale fissati su elettrodi o fibre ottiche. I biosensori attualmente in uso derivano dall’interazione tra due settori disciplinarmente abbastanza diversi: da un lato quello della fabbricazione di microcircuiti e fibre ottiche e dall’altro quello della Chimica e della Biologia, capaci insieme di fornire minuscoli elettrodi o sensori ottici e sistemi biomolecolari capaci di riconoscere una certa sostanza. Applicazioni nel campo della ricerca e della Medicina di Laboratorio, sono gia’in corso e di notevole importanza per i vantaggi che possono apportare al settore. Esse consentono di ottenere dati analitici in qualche minuto e addirittura di poterne eseguire una registrazione in continuo. Si puó immaginare come la diffusione di tali dispositivi possa consentire di valutare modificazioni della omeostasi biochimica non solo durante il verificarsi di una particolare situazione patologica (per esempio aritmie) ma anche prima che essa si verifichi se il biosensore era già in funzione per il monitoraggio. Oltre al beneficio della rapidità di indagini ed a quello dell’analisi in vivo, anche altre caratteristiche possono essere ottenute nei biosensori, come quella della elevata sensibilità analitica nonché della selettività e specificità. I biosensori possono servire molto in campo microbiologico, in chimica ambientale, nel campo del controllo alimentare per valutare la genuità e per rilevare i livelli di contaminazione. L’origine dei biosensori risale agli anni cinquanta, quando Clark inventò un elettrodo atto a misurare la tensione di ossigeno nel sangue dei pazienti. Nel 1962 egli riuscì anche ad ottenere misure di glicemia con un elettrodo di ossigeno che si giovava dell’enzima glucosio-ossidasi che ossidando il glucosio consuma ossigeno. Poi Guilbault, nel 1969, costruì un apparecchio per la misura della concentrazione dell’urea nei liquidi dell’organismo, trasformando la stessa, ad opera della ureasi, in biossido di carbonio e ammoniaca: la rivelazione finale era basata sul rilevamento potenziometrico degli ioni ammonio prodotti. Nei decenni successivi sono stati numerossisimi i biosensori basati sull’impiego di un centinaio di enzimi diversi. Piú recentemente sono stati utilizzati anche preparati di tessuto che eseguono complesse successioni di reazione sensibili ad aminoacidi o ad altre biomolecole (per esempio polpa di banana per misurare la concentrazione di dopamina, foglie di cetriolo per dosare la cisteina, fegato di coniglio per dosare la guanina e addirittura un piccolo organo di senso, l’antennula di un granchio, per determinare la concentrazione di numerosi farmaci ed inquinanti, un recettore di membrana di acetilcolina per rilevare diversi tipi di gas nervini). Un problema tecnologico importante nel caso dei biosensori è la stabilizzazione della molecola che fa parte del sensore e la sua immobilizzazione su una superficie per consentire la conservazione dell’attività per tempi relativamente lunghi. La stabilizzazione può avvenire anche utilizzando membrane: molto usati in medicina sono a 5 o 6 membrane stratificate ciascuna con proprietà diverse e contenenti i reagenti diversi. I progressi delle biotecnologie e in particolar modo l’industria dei semiconduttori hanno contribuito a migliorare questi dispositivi. Così vengono costruiti su di un chip, elettrodi idonei a misurare componenti del tessuto nervoso, e transistori rivestiti di concanavalina A con funzione simile a quella degli anticorpi perché capaci di legare particolari e specifiche sostanze. Quindi si sono sviluppati sempre più tecniche generali che combinano insieme sistemi biochimici e circuiti integrati. Oggi si tende sempre di più alla miniaturizzazione dei biosensori: attualmente se ne costruiscono tipi monouso, o “usa e getta” a basso costo, e con diametro di pochi centesimi di millimetro. Vengono prodotti anche biosensori in grado di misurare molti indici contestualmente, in modo da poter rilevare più funzioni biochimiche e fisiologiche. I sensori biochimici a fibre ottiche per analisi cliniche di labora- In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 3 aprile 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 28 aprile 2008. 12 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI torio sono in via di grande sviluppo. E’ stato ad esempio costruito un dispositivo per il dossaggio di glucosio, basato su una tecnica di immuno fluorescenza, in cui il glucosio spiazza destrano marcato con fluoresceina all’interno della fibra ottica, producendo con segnale fluorescente che è proporzionale alla quantità di glucosio. Negli ultimi tempi sono sempre più numerose le applicazioni dei biosensori per rilevare sia inquinamento alimentare che ambientale, specialmente su sistemi idrici. Per esempio esistono sensori che misurano la concentrazione di xantina e di altri composti, per valutare la freschezza del pesce e altri ancora per misurare la qualità della carne bovina. Per conseguire sensibilità molto piú elevate si tende ad ottenere classi di sensori in cui la biomolecola che rivela il composto è la stessa adatta poi a fornire anche la risposta. Un esempio è dato dai biosensori a elettrodo. L’utilizzo di biosensori punta alla qualità dell’analisi, a tempi minimi di risposta, costi modesti ed altre caratteristiche necessarie e indispensabili come possibilità di trasporto per eseguire analisi dirette in campo. Così l’esperienza insegna l’utilizzo di tipologie specifiche di biosensori nelle analisi e anche la combinazione di essi in diversi campi come: 1. Alimentare (controllo di qualità di alimenti come un fattore determinante per la salute umana), per esempio determinazione dei pesticidi nel latte e negli ortofrutticoli. 2. Ambientale, controllo di suoli, acque, edifici e anche nel campo dei Beni Culturali e artistici con utilizzo dei sistemi biologici come i lieviti per determinare la tossicità delle sostanze inquinanti in particolar modo metalli, inquinamento dell’aria (particolate matter), analisi dei carburanti (benzine) con produzione da biomasse, farmaci dispersi nell’ambiente, alterazioni superficiali e degradazione di reperti artistici. 3. Sistemi enzimatici e immunosensoristici: come per la determinazione dello “stress ossidativo” da eccesso di radicali liberi che causano invecchiamento delle cellule. Si tratta di problemi molto attuali in una visione della società molto attenta alla salute e all’igene della popolazione. Insegnare l’importanza di tali sistemi di controllo, l’attuazione, l’ampliamento e l’uso di essi è una necessità del nostro tempo in cui lo sviluppo tecnologico ha assunto la tempestività e la velocità di risposta come uno dei principali obiettivi. Cravatte e sciarpe del “Chimico” Sono disponibili le cravatte e le sciarpe in seta con la tavola periodica degli elementi. Per effettuare gli ordini inviare una e.mail a: [email protected] I colori disponibili sono pubblicati sul sito www.chimici.it 13 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI Proposta di modello di scheda di caratterizzazione di base di un rifiuto Domenico Mencarelli PROPOSTA DI MODELLO DI SCHEDA DI CARATTE RIZZAZIONE DI BASE L’art. 1 - c. 166 L. 244/07 consente, fino al 31/12/08, l’ammissibilità in discarica secondo i criteri di cui alla Delibera del C.I. del 27/07/1984. Sono escluse dalla proroga le discariche di 2a Cat. Tipo A e quelle per inerti ove si conferisce cemento - amianto. La proroga ha attenuto solo i criteri di ammissibilità (art.5 – 6 – 7 – 8 del D.M. 03/08/05) e non quelli relativi alla caratterizzazione di base (art. 2), che è obbligatoria per la classificazione dei rifiuti, pericolosi e non. Detta scheda deve essere redatta secondo criteri tecnici dettagliati ed elencati nell’allegato 1 al decreto stesso e descrive compiutamente il rifiuto dalla sua origine. Essa può giudicarsi del tutto esaustiva per il suo conferimento a discarica, anche senza la presentazione di idoneo rapporto di prova, per una ampia serie di rifiuti i cui CER (vedasi D.M. All.1 - Punto 4), saranno elencati in una “lista positiva”, compresi i rifiuti di cui all’Art. 6 - c. 1 - lett. b) del Decreto stesso. In attesa di detta “lista positiva” potrebbe già comunque individuarsi un possibile elenco di CER, facendo espressamente riferimento al Punto 1.1.1. della Delibera del C.I. sopra citata, il cui elenco consentì nel passato di redigere relazioni di “assimilabilità” agli RSU di rifiuti speciali non pericolosi prodotti da Commercio, Artigianato, Industria, per il conferimento ad impianti di discarica di 1° Cat. (Punto 4.2.2. della Delibera). Ciò quando il Chimico poteva “stimare che detti rifiuti (“assimilabili”) non potessero arrecare agli impianti di discarica selezionati impatti maggiori di quelli apportati, negli stessi impianti, dagli RSU stessi” (come testualmente recita il Punto 1.1.1.). Il presente articolo intende pertanto proporre un primo modello di scheda di caratterizzazione di base del rifiuto speciale non pericoloso, con riferimento al D.Lgs. 36/03 e D.M. 03/08/2005, da compilarsi per ogni rifiuto speciale non pericoloso (ovviamente suscettibile di modifiche ed integrazioni gradite da parte dei Colleghi). Viene inoltre proposto nel seguito anche un primo abbozzo di ”lista positiva” di rifiuti da ammettere in discarica senza “caratterizzazione analitica”. Infatti si ribadisce che in base all’art. 6. c. 1 del D.M. 2005 non sono necessarie caratterizzazioni analitiche (e dunque non sono fissati né parametri né limiti) per i seguenti rifiuti: • RSU non pericolosi e rifiuti di altra origine ma di analoga composizione; • Rifiuti non pericolosi compresi in una lista positiva da emanarsi con apposito DMA. Prima di proporre un modello è opportuno ricordare i requisiti fondamentali per la caratterizzazione di base (ALL. 1 D.M. 03/08/2005): a) fonte ed origine; b) informazioni sul processo produttivo; c) descrizione del trattamento di Legge o dichiarazione che spieghi perché tale trattamento è giudicato non necessario; d) dati sulla composizione dei rifiuti e del percolato, laddove presente; e) aspetto (odore – colore – morfologia, etc.); f) CER e relativa denominazione; g) proprietà che li rendono pericolosi (solo per i pericolosi); h) informazioni che dimostrano che non rientrano tra le esclusioni di cui all’Art. 6 - c. 1 del D.M. 36/03; i) le categorie di discarica (Delibera del C.I. del 27/07/84) cui sono ammissibili; j) se necessario, le precauzioni supplementari da prendere in discarica; k) un controllo diretto ad accertare se sia possibile riciclare o recuperare i rifiuti. Ne consegue un possibile modello di SCHEDA DI CARATTERIZZAZIONE DI BASE (D.Lgs. 36/03 — D.M. 03/08/2005) così articolato: 1. Produttore • Ragione sociale — sede legale — sedi unità produttive. • Classificazione rifiuto: - CER; - Descrizione CER. 2. Caratteristiche merceologiche ed organolettiche • Aspetto; • Morfologia; In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 22 aprile 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 28 aprile 2008. 14 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI • • • • • Granulometria; Compattezza; Colore; Odore; Stato fisico: solido polverulento — solido non polverulento — fangoso palabile. • Degradabilità: stabile — biodegradabile — decomponibile — fermentescibile, ecc. 3. Sostanza secca Specificare se: • >25% peso oppure <25% peso; 4. Rispetto dei requisiti di norma per l’ammissibilità in discarica Fare riferimento all’art. 6 - c. 1 e 2 D.Lgs. 36/03 e art. 6 c. 5 D.M. 03/08/2005, illustrando le ragioni del rispetto. Indicare se, in base all’art. 6 e 2 del D.M. risulti la necessità di effettuazione di caratterizzazione analitica. 5. Descrizione del trattamento subito Dettagliare il processo (art. 7 - c. 1 - D.Lgs. 36/03) od in alternativa dettagliare le motivazioni tecniche (di carattere chimico – fisico - biologico) che giustifichino la mancata effettuazione, in quanto non necessaria. 6. Processo produttivo a) descrizione delle fasi e degli impianti che le realizzano; b) caratteristiche delle materie prime, sottoprodotti e prodotti finiti, residui e scarti; c) eventuale produzione annua prevedibile o calcolabile o già consolidata statisticamente. 7. Precauzioni in fase di abbancamento Descrivere e motivare le eventuali precauzioni in caso di: • rifiuto fermentescibile; instabile; con emissi020103 scarti di tessuti vegetali 020104 rifiuti plastici (esclusi imballaggi) compreso polistirolo 020110 rifiuti metallici 020304 scarti inutilizzabili per il consumo e trasformazione (industria, preparazione e trattamento frutta – verdura - cereali) vità di particolari polveri, gas, vapori; reattivo etc., al fine di indicare gli eventuali interventi per la difesa dell’operatore e dell’ambiente (adozioni di mezzi di protezione confinamenti - cartellonistica - segnaletica), in omaggio alla vigente normativa in materia di sicurezza sul lavoro. 8. Conclusioni Con riferimento a: • D.Lgs. n° 152/06 e s.m.i.; • Decisione 2000/532 CE ed s.m.i.; • Delibera del CI. del 27.07.1984; • Art. 6 del D.M.: a) classificare il rifiuto e definire sito e modalità di smaltimento; b) specificare se sia stata o meno redatta la caratterizzazione analitica ed evidenziare tutti gli eventuali parametri critici, derivabili dalla caratterizzazione chimica, di cui all’All. 1 - c. 1 - lett. d) del D.M. PROPOSTA DI LISTA POSITIVA DI CER DI RIFIUTI SOLIDI E FANGOSI PALABILI AMMISSIBILI IN DISCARICA SENZA CARATTERIZZAZIONE ANALI TICA (D.M. 03/08/2005 - ALL. 1 - PUNTO 4) Per una sua prima redazione di massima, ovviamente in attesa della lista ufficiale e legale, e sempre comunque con preghiera di aggiunte, suggerimenti, o correzioni, si è ritenuto opportuno richiamare quanto testualmente recitato dalla noma emarginata: ”I rifiuti siano elencati in una lista positiva, compresi quelli individuati dal Decreto 03.08.2005 - art. 6 - lett. b)”. Trattasi di rifiuti speciali non pericolosi con caratteristiche merceologiche analoghe a quelle degli RSU o comunque costituiti da manufatti e materiali simili a quelli elencati al Punto 1.1.1. della Delibera del C.I. 27/07/84 a titolo puramente esemplificativo e non esaustivo. 020601 scarti inutilizzabili per il consumo e la trasformazione (industria dolciaria e della panificazione) 030101 scarti di corteccia e sughero (lavorazione legno) 030105 segatura, trucioli, residui da taglio, legno 030301 scarti di corteccia e legno (da lavorazione carta e cartone) - legno non lavorato né trattato 15 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI 040108 cuoio conciato (scarti – cascami – ritagli - polveri) 150103 imballaggi in legno 150109 imballaggi in materiale tessile 040109 rifiuti da confezionamento di pelli, pellicce, etc. 160117 materiali ferrosi (derivanti da smantellamento veicoli fuori uso) 170201 legno (da demolizione e costruzione) 040221 rifiuti da fibre tessili grezze (non trattate né lavorate) 040222 rifiuti da fibre tessili lavorate 070213 rifiuti plastici (da P.F.F.U. di plastiche, gomme sintetiche, fibre artificiali) + polistirolo 090107 carte e pellicole per fotografia (con Ag o composti di Ag) 090108 idem c.s. (senza Ag e suoi composti) 101201 scarti di mescole non sottoposte a trattamento termico 101208 scarti di ceramiche, mattoni, mattonelle, materiali edili (sottoposti a trattamento termico) 150101 imballaggi in carta e cartone 150102 imballaggi in plastica; 150104 imballaggi in metallo (fusti, fustini, latte, lattine, contenitori vari vuoti e puliti o comunque contenenti un residuo pellicolare discontinuo inodoro, di fondo e di parete, di resina indurita ed essiccata) 150105 imballaggi in materiali compositi 150106 imballaggi in materiali misti 150107 imballaggi in vetro N.B.: Gli imballaggi in materiali compositi, misti e vetro, debbono contenere un residuo secco < 1% in peso del rifiuto totale e ci si deve garantire che non appartengono agli imballaggi etichettati T+ 16 170203 plastica (idem c.s.) 170405 ferro ed acciaio (idem c.s.) 170411 cavi diversi da quelli di cui alle voci 170410 (idem c.s.) 170904 rifiuti misti dalla attività di costruzione e demolizione, diversi da quelli di cui alle voci 170901-170902170903 (con dichiarazione, nella caratterizzazione di base, che non contengono sostanze pericolose) 191201 carta e cartone (da trattamento meccanico dei rifiuti) 191202 metalli ferrosi (da trattamento meccanico dei rifiuti) 191204 plastica e gomma (da trattamento meccanico dei rifiuti) N.B.: per i tre rifiuti 19…. nella caratterizzazione di base il detentore deve fornire esplicita assicurazione che non contengano sostanze e preparati pericolosi 191205 vetro (da trattamento meccanico dei rifiuti) 191207 legno diverso da quello di cui alla voce 191206 (da trattamento meccanico dei rifiuti) 191208 prodotti tessili (da trattamento meccanico dei rifiuti) 191209 minerali (sabbia, rocce) (da trattamento meccanico dei rifiuti) Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI Igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro: le novità del testo unico Fernando Maurizi e Robero Montali INTRODUZIONE In attuazione della legge delega 123/2007(1) è stato pubblicato il dlgs. 9 Aprile 2008 n. 81(2) in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (noto come Testo Unico) che ha abrogato, accorpandole a sé, numerose norme di settore, tra cui lo stesso dlgs. 626/94, ed ha introdotto numerose novità tra le quali questa nota descrive in sintesi le più significative. Il decreto, molto corposo e complesso, consiste di 306 articoli, 13 titoli e 51 allegati e raccoglie, oltre a tutte le disposizioni contenute nel dlgs. 626/94, molte altre norme di settore, tra cui in particolare la direttiva cantieri (ex dlgs. 494/96), la norma sulla segnaletica di sicurezza (ex dlgs. 493/96), la norma vibrazioni (ex dlgs. 187/2005), e le antiche ma pur sempre valide norme di prevenzione infortuni contenute nei DPR 547/55, 303/56, 164/56. Restano invece vigenti il dlgs. 334/99(3) e succ. agg. e mod. sui rischi da incidenti rilevanti,, il DM 16/03/98(4) relativo alle modalità con cui i fabbricanti per le attività industriali a rischio di incidente rilevante devono procedere all’informazione, all’addestramento e all’equipaggiamento di coloro che lavorano in situ, e il Dlgs. 151/2001(5) in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità. La norma, salvo le disposizioni per le quali è espressamente prevista diversa decorrenza, è in vigore dal 15 Maggio 2008. LE NOVITA RISPETTO AL PREGRESSO Tra le principali novità sono senz’altro da segnalare le seguenti: • Viene notevolmente ampliato il campo di applicazione, rispetto al precedente dlgs. 626/94, che viene ora esteso a tutti i lavoratori compresi gli atipici (dai distaccati, ai somministrati, a quelli a distanza fino a quelli autonomi) e cioè in sostanza a tutti coloro che svolgano una attività lavorativa in azienda, indipendentemente dalla tipologia contrattuale • Vengono rafforzati i diritti dei RLS ma anche RSLT) e di comparto o di di quelli territoriali (R • • • • sito. Nelle aziende, fino a 15 dipendenti il rappresentante per la sicurezza è eletto direttamente dai lavoratori al loro interno. I RLST hanno ora diritto ad una formazione particolare sui rischi specifici secondo specifico percorso formativo (min. 64 hr iniziali entro 3 mesi dalla nomina + 8 hr di aggiornamento annuale) L’oobbligo della formazione viene esteso oltre che ai RLS ed ai RLST anche ai preposti L’obbligo di formazione viene esteso anche al datore di lavoro e al RSPP. In particolare il datore di lavoro che intende svolgere i compiti di RSPP, deve frequentare corsi di formazione di durata minima di 16 ore e massima di 48 ore. Egli è altresì tenuto a frequentare corsi di aggiornamento e l’obbligo si applica anche a coloro che abbiano già frequentato i corsi di cui al DM 16 gennaio 1997(6) e agli esonerati dalla frequenza dei corsi ai sensi dell’art. 95 dell’abrogato dlgs. 626/94. Viene introdotto l’obbligo della tessera di riconoscimento per tutti i lavoratori delle aziende in appalto o subappalto e per quelli autonomi, tessera che deve essere munita di fotografia e generalità del lavoratore e dell’indicazione del datore di lavoro Con riferimento ai principali obblighi previsti per il datore di lavoro e precisamente quelli di: a) Effettuare la valutazione del rischio b) Redigere il documento di valutazione dei rischi (DVR) c) Nominare il RSPP (che risponde ora direttamente al datore di lavoro indipendentemente dal tipo di contratto di lavoro) d) Nominare il medico competente e) Predisporre un libretto sanitario sul rischio personale di ciascun lavoratore - viene eliminata la possibilità di delega, da parte del datore di lavoro, degli obblighi di cui ai punti a), b) c) - viene eliminato l’obbligo da parte del datore di lavoro di comunicare all’organo Riassunto: Una panoramica di sintesi delle principali novità in materia di tutela della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro introdotte dal recente decreto legislativo n. 81/2008 che abroga tra l’altro il dlgs. 626/94 Abstract: A short outline of the new issued legislative decree April 9th 2008, nr. 81, regarding the protection of the health and safety at the work place, and repealing the legislative decree n. 626/94 1) Legge n. 123 del 03/08/2007Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia. (2) Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. (3) Decreto legislativo 17 Agosto 1999 n. 334 - Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose (4) Decreto Ministeriale 16 Marzo 1998 – Modalità con le quali i fabbricanti per le attività industriali a rischio di incidente rilevante devono procedere all’informazione, all’addestramento e all’equipaggiamento di coloro che lavorano in situ. (5) Decreto legislativo 26 Marzo 2001 n. 151 - Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita’ e della paternita’, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53. In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 22 aprile 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 28 aprile 2008. 17 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI (6) Decreto Ministeriale 16 gennaio 1997 - Individuazione dei contenuti minimi della formazione dei lavoratori, dei rappresentanti per la sicurezza e dei datori di lavoro che possono svolgere direttamente i compiti propri del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. (7) Decreto legislativo 19 Giugno 1999 n. 229 - Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419. di vigilanza il nominativo del RSPP ed introdotta invece la possibilità di delegare la nomina del medico competente il quale adesso può essere nominato anche dal dirigente - vengono confermati i limiti e le condizioni di ammissibilità della delega di funzioni da parte del datore di lavoro già peraltro previste non solo nella giurisprudenza di settore ma anche in quella in materia di tutela ambientale. - Viene introdotto l’obbligo di comunicare annualmente all’INAIL i nominativi dei RLS - Viene ribadito l’obbligo di vigilare affinché i lavoratori per i quali vige l’obbligo della sorveglianza sanitaria non siano adibiti alla mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità • In caso di appalti viene introdotto l’obbligo di elaborare il Documento Unico di Valutazione dei RIschi (DUVRI) che deve indicare le misure adottate per eliminare i rischi dovuti anche alle singole interferenze delle singole attività oggetto dell’appalto o esterne ad esso ma tuttavia presenti nel sito produttivo. Il DUVRI dovrà essere allegato entro il 31/12/2008 ai contratti stipulati prima del 25.08.2007 ed ancora in corso alla data del 31.12.2008 ed inoltre i costi associati alla sicurezza dovranno essere obbligatoriamente indicati separatamente nei contratti, pena la loro nullità. Ai dati inerenti tali costi possono accedere le OSL. • Viene notevolmente “rrafforzata” la figura del medico competente e la funzione della sorve glianza sanitaria. In tal senso per poter svolgere le funzioni di medico competente è necessario possedere uno dei seguenti titoli o requisiti: - specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica; - docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia e igiene del lavoro o in clinica del lavoro; - Oltre alla laurea in medicina e chirurgia aver svolto alla data di entrata in vigore del decreto attività di medico del lavoro per almeno quattro anni, 18 - specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale. Il medico competente deve inoltre partecipare al “programma di educazione continua in medicina previsto dal dlgs. 229/99(7) e s.m.i. Nello specifico i medici in possesso dei titoli e dei requisiti richiesti verranno iscritti in appositi elenchi istituiti presso il M. della Salute. Per quanto attiene invece alla sorveglianze sanitaria viene ora espressamente previsto che questa è eseguita, dal medico competente oltre che nei casi previsti da specifiche direttive comunitarie anche qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta correlata ai rischi lavorativi. Questa deve comprendere: a) visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato ; b) visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali accertamenti, ove non prevista da specifica normativa, è stabilita, di norma, in una volta l’anno o con cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio. L’organo di vigilanza, può disporre contenuti e periodicità differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente purché lo motivi c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica; d) visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla mansione specifica; e) visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro (nei casi previsti per legge) Le visite sono a cura e spese del datore di lavoro, e comprendono gli esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente. Nei casi ed alle condizioni previste possono essere altresì finalizzate alla verifica di assenza di Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti. Gli esiti della visita medica devono essere allegati alla cartella sanitaria e di rischio predisposta su formato cartaceo o informatizzato. Il medico competente, in base ai risultati delle visite mediche, deve esprimere uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica: a) idoneità; b) idoneità parziale, temporanea, o permanente, con prescrizioni o limitazioni; c) inidoneità temporanea; d) inidoneità permanente. ed informarne per iscritto il datore di lavoro e il lavoratore. A giudizio del medico competente è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso. • Vengono introdotti, o meglio definiti e rafforzati, nuovi obblighi in merito alla valuta zione del rischio che in ogni caso diverranno effettivi dal 29.07.2008. Tra questi: - l’obbligo di monitorare anche lo stress da lavoro i rischi delle lavoratrici in gravidanza, i rischi connessi alle differenze di genere, di età, di provenienza da altri Paesi; - l’obbligo di valutare i rischi nella scelta delle attrezzature di lavoro e degli agenti chimici utilizzati nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro - l’obbligo da parte del datore di lavoro di consegnare, su richiesta, al rappresentane per la sicurezza, copia del DVR e del registro infortuni - l’obbligo di individuare chiaramente nel DVR le procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché i ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri I datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori possono più semplicemente adempiere all’obbligo della valutazione del rischio mediante procedure standard che saranno definite con apposito decreto ministeriale (entro il 31 dicembre 2010). Fino ad allora, e comunque non oltre il 30 giugno 2012, essi potranno auto-certificare di aver effettuato la valutazione rischi. I datori di lavoro che occupano oltre 10 e fino 50 lavoratori, parimenti, potranno avvalersi delle procedure standard ma, finché queste non verranno approvate, dovranno osservare le disposizioni ordinarie. In ogni caso, la semplificazione (procedura standard) non è applicabile nelle aziende industriali, nelle centrali termoelettriche, negli impianti e installazioni nucleari o negli stabilimenti di rifiuti radioattivi, e nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori. E se occupano fino a 50 lavoratori nemmeno in quelle esercenti attività che espongono i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, connessi all’esposizione ad amianto e, infine, ai lavori edili o di ingegneria civile. A conclusione della valutazione, il DVR deve in sintesi contenere: - La data certa di elaborazione - La relazione sulla valutazione di «tutti» i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, con la specificazione dei criteri adottati per la valutazione stessa - L’indicazione delle misure di prevenzione e protezione adottate e dei dispositivi di protezione individuale(DPI) adottati - il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza - L’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere ed a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri - L’indicazione del nominativo del RSPP, del RLS o di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio - L’ individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacita professionale, specifica esperienza adeguata formazione e addestramento 19 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI • Da ultimo, vengono inasprite le sanzioni che prevedono ora, in particolare per il datore di lavoro che non provveda alla valutazione del rischio ed alla stesura del relativo DVR, la pena dell’arresto o l’ammenda da 5 a 15 mila euro e per il datore di lavoro che non provveda alla nomina dell’RSPP, la pena dell’arresto da 4 a 8 mesi o l’ammenda da 5 a 15 mila euro La sanzione penale è più severa se la violazione è commessa in aziende a rischio elevato (soggette a Seveso, Centrali termoelettriche, Impianti nucleari, Aziende di esplosivi, Industrie estrattive con più di 50 dipendenti, Aziende che espongano ad agenti chimici, biologici, da atmosfere esplosive, canceroge- ni, mutageni, o connesse ad esposizione ad amianto. Al fine di favorire l’adeguamento alle nuove disposizioni è previsto tuttavia che al datore di lavoro inadempiente che provveda a regolarizzare la propria posizione non venga applicata la sanzione penale ma solo la pecuniaria. Nella fattispecie le sanzioni sono contemplate sia nel titolo I del decreto (disposizioni generali) che in ciascun titolo specifico da II a XI (disposizioni speciali) e laddove il reato sia punito da entrambe, prevale sempre la sanzione di cui alla disposizione speciale. Campi elettromagnetici Fernando Maurizi e Roberto Montali In un articolo di recente apparso su questa rivista (Cfr. “Recepita la direttiva comunitaria sui rischi da campi elettromagnetici: il dlgs. 626/94 si arricchisce” in “Il Chimico Italiano” n. 2/2008), si era parlato a proposito di campi elettromagnetici, del recepimento della direttiva comunitaria di settore (2004/40/CE) avvenuto con il dlgs. n. 257/2007 (trasposto letteralmente all’interno del dlgs. 626/94 come nuovo titolo V ter) che prevedeva tra l’altro l’obbligo di applicare le relative disposizioni a partire dal 30.04.2008. La presente nota evidenzia il nuovo scenario normativo creatosi a livello nazionale a seguito della emanazione sia della direttiva 2008/46/CE del 23 aprile 2008, che del recente dlgs. n. 81/2008 del 09.04.2008, noto quest’ultimo come “testo unico in materia di sicurezza” In sintesi, poiché la direttiva 2008/46/CE, modificando testualmente la citata 2000/40/CE, ha spostato i tempi di recepimento della stessa al 30/04/2012 e poiché parallelamente il dlgs. n. 81/2008 ha espressamente abrogato l’intero 20 dlgs. 626/94, incluso quindi lo stesso titolo V ter, per una corretta interpretazione della norma ad oggi applicabile, occorre, rileggerla tutta alla luce del nuovo testo unico. In particolare va detto che, anche se il contenuto del 257/2007 è confluito nel Capo IV del Titolo VIII - Agenti fisici - del decreto 81/2008, titolo che entrerà in vigore il 30 aprile 2012, la valutazione dei rischi da campi elettromagnetici va comunque effettuata: ai sensi del Capo I “Disposizioni generali sugli agenti fisici” del titolo VIII, che entra in vigore subito ma che sarà sanzionabile solo a fine luglio (90 giorni dopo la pubblicazione del decreto n. 81/08), ed in particolare ai sensi dell’articolo 181 (valutazione dei rischi da agenti fisici), anche attraverso il richiamo al più generale art. 28 (oggetto della val. dei rischi), fermo restando che, per quanto detto, sarà sanzionabile l’omessa valutazione del rischio ma non il superamento dei valori limite. Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI Acque reflue, rifiuti o risorsa? (seconda parte) di Domenico Petruzzelli1 e Valentina Petruzzelli Il quadro di riferimento normativo sul riutilizzo delle acque Le norme sulla composizione e le modalità di applicazione delle acque reflue trattate in agricoltura hanno fatto a lungo riferimento alla delibera del Comitato Interministeriale per la Tutela delle Acque dagli Inquinamenti (CITAI) del 4.2.1977. Essa rimandava ai parametri qualitativi delle acque della Legge n. 319/76, con qualche considerazione aggiuntiva sulla salinità. Venivano, altresì, fornite solo generiche raccomandazioni sulle concentrazioni massime tollerabili delle sostanze biologicamente attive, tossiche, persistenti e/o bioaccumulabili, con l’obiettivo che il contenuto delle sostanze organiche residue non biodegradabili persistenti e dei solidi in sospensione nel refluo non alterassero le normali funzioni agronomiche e pedologiche del terreno. Pertanto, con l’unica eccezione del contenuto salino e della carica batterica, non venivano stabiliti ulteriori limiti se non per la presenza cumulativa di metalli tossici, per i quali venivano indicati i valori limite riportati nella Tab. A della Legge n. 319/76. Grande attenzione veniva rivolta al rischio sanitario associato alla eventuale presenza nei liquami di organismi patogeni. In particolare, venivano imposti limiti diversi alla presenza dei batteri coliformi (microrganismi non patogeni presenti nella flora batterica intestinale umana, adottati come indicatori di inquinamento di origine fecale) in funzione del tipo di coltura irrigata e specificatamente: • per le colture agricole destinate al consumo crudo, le acque reflue non dovevano contenere colibatteri in numero superiore a 2 colonie per 100 cm3 (si consideri che comunemente in una acqua reflua sono presenti agenti biologici per più di 1.000.000 di colonie per 100 cm3) • nel caso in cui il raccolto subisse delle lavorazioni prima del consumo e nel caso di irrigazione di pascoli per il bestiame o di prati accessibili al pubblico, la presenza di carica microbica poteva essere aumentata di dieci volte rispetto ai citati valori limite • nel caso di irrigazione “a pioggia” per le coltu- re che non venissero a contatto con l’acqua reflua o con il terreno (es., colture arboree) risultava sufficiente una depurazione sommaria delle acque reflue, limitato ad esempio al solo trattamento primario. 1 Dipartimento di ingegneria civile ed ambientale, Politecnico di Bari, Via E. Orabona, 4 - 70125 Bari Tab. 3: Impianti di trattamento terziario di acque reflue da destinare ai fini irrigui in Puglia Impianto Potenzialità Condizioni (m3/giorno) Altamura (BA) 17.321 Andria (BA) 30.300 Ascoli Satriano (FG) 785 Bari Orientale 143.000 Barletta (BA) 36.000 Bitonto (BA) 14.400 Casarano (LE) 6.500 Castellaneta (TA) 4.320 Castellaneta Marina (TA) 10.800 Cerignola (FG) 16.821 Conversano (BA) 6.150 Deliceto (FG) 585 Fasano (BR) 13.000 Foggia 73.000 Foggia-ASI 7.259 Grottaglie-Monteiasi (TA) 9.532 Lecce-Idume 20.170 Lizzano (TA) 4.100 Lucera I (FG) 4.320 Lucera II (FG) 4.248 Manduria (TA) 8.736 Manfredonia (FG) 19.091 Margherita di Savoia (FG) 4.320 Massafra (TA) 11.367 Mesagne (BR) 8.854 Molfetta (BA) 24.000 Monopoli (BA) 12.840 Ostuni (BR) 8.640 Ruvo-Terlizzi (BA) 11.391 S.Giorgio Jonico (TA) 4.226 S.Severo 19.440 Taranto Bellavista 50.000 Taranto Gennarini 103.700 A = appaltato; C = costruito; P = progettato; F = finanziato A A P C F P L A A C F P A A P P C A C C P C A C A C C C C P C A A In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 7 gennaio 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 19 marzo 2008. 21 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI Il Piano di Risanamento Acque (P.R.A.) della Regione Puglia (L.R. n. 24/83) recepiva le indicazioni in materia fissate dalla Legge n. 319/76 e della Delibera CITAI 4.2.1977. Cautelativamente, tuttavia, in occasione del primo grande intervento di riutilizzo irriguo dei reflui municipali trattati (Progetto Integrato per il Disinquinamento del Golfo di Manfredonia, (D.G.R. 1648/84), la Regione Puglia fissava ulteriori limiti ancora più restrittivi, anche in considerazione delle continue emergenze sanitarie (es., emergenza colera) a cui l’ambito regionale doveva fronteggiare con frequenza. Questi limiti hanno costituito di fatto per molti anni il quadro normativo di riferimento per le Pubbliche Amministrazioni Regionali che, in base ai quali, hanno predisposto interventi in materia (es., progetti e realizzazioni per il riutilizzo irriguo delle acque reflue degli impianti di trattamento gestiti da AQP - Acquedotto Pugliese, S.p.A.) di Andria, Bari Orientale, Ruvo, Terlizzi, Molfetta, Bitonto, Taranto Gennarini, Matera, Lecce-Idume, Lucera ed altri (v. Tab. 3) (Liberti L, Petruzzelli D. et. al, 2000). Ancora oggi, la Regione Puglia è all’avanguardia in ambito nazionale in materia di riutilizzo delle acque reflue ai fini irrigui. In base ad una indagine condotta presso il Politecnico di Bari, fra gli impianti costruiti, appaltati o progettati, risulta oggi possibile riutilizzare in agricoltura più del 30% delle acque reflue trattate in tutto l’ambito regionale. Di fatto, però, in base a disposizioni normative potenzialmente correlabili alle perduranti emergenze sanitarie, da associare a peculiari abitudini alimentari (il tifo è ancora endemico in tutto l’ambito regionale pugliese), la adozione estensiva delle pratiche irrigue basate sull’uso delle acque reflue trattate è tuttora drasticamente limitata. In base ad una delle citate ordinanze imposte in occasione delle emergenze sanitarie locali veniva vietato di fatto lo spandimento al suolo di reflui di ogni provenienza ed origine se non “sterilizzate”, ovvero in completa assenza di qualsiasi organismo biologico, situazione di difficile realizzazione pratica finanche per le acque ad uso potabile e solo giustificabile per i fluidi ad uso ospedaliero! Tab. 4: Alcuni dati del comparto oleario pugliese Superficie coltivata ad olivo Addetti Frantoi in attività Potenzialità frantoi Sistema molitura Rifornimento idrico Lavorazione olive Produzione olio Resa media olio Produzione totale AV Smaltimento AV AV=Acque Vegetazione 22 376.000 ha (22% totale superficie coltivata) 8.000 (3% settore agroalimentare) 1.750 (7% totale aziende agroalimentari) <10 t /d olive 77% 10-20 t /d olive 18% >20 t /d olive 5% discontinuo 65% (77% in Provincia di Bari) continuo 25% (52% in Provincia di Brindisi) misto 10% acquedotto 73% (80% in Provincia di Bari) pozzi 23% altre fonti 4% (9% in Provincia di Taranto) 1.4 Mt/a olive (41% totale nazionale) 0.2-0.3 Mt/a olio (40% totale nazionale) 0.4 m3olio/tolive 0.2 m3sansa/tolive 0.5-1 m3AV/tolive 800.000 m3/stagione olearia terreno 54% (83% Provincia di Lecce) fogna 30% sottosuolo 10% (60% Provincia Taranto) depuratore 4% (trattamento termico) Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI La attuale normativa, basata sul recente Testo Unico Ambientale (D.Lgs. n. 152 dello 03.04.2006), promuove e disciplina il risparmio idrico imponendo, a coloro che gestiscono o utilizzano la risorsa idrica, la adozione delle misure necessarie al risparmio idrico eliminando gli sprechi, riducendo i consumi, incrementando il riciclo e il riutilizzo mediante utilizzazione delle migliori tecnologie disponibili. In particolare, per favorire il riutilizzo delle acque reflue trattate o usate in altri cicli produttivi, sono previste incentivazioni tariffarie per le utenze industriali in funzione delle quantità re-immesse in ciclo. Ai fini agronomici e per la tutela dei suoli vengono definite delle zone vulnerabili (ad es. dalla presenza dei nitrati, da prodotti fitosanitari), nonché delle aree di salvaguardia delle risorse idriche ed in base a queste vengono stabiliti i quantitativi massimi di acque reflue applicabili (m3/ha) al fine di contenere gli impatti ambientali alle risorse agricole, pedologiche ed idriche sotterranee. Il “Regolamento recante le norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue” (D.M.A. n. 185 del 12.06.2003), in attuazione di quanto riportato all’art. 26, comma 2 del precedente D.Lgs. 152/99, e a maggior ragione in ottemperanza di quanto riportato nel più recente “Codice Ambiente”, ovvero il Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/06), inquadra in ambito nazionale le problematiche relative al riutilizzo delle acque reflue. A livello internazionale, le normative emanate o proposte nei diversi Paesi fanno riferimento ai soli limiti batteriologici. Per le caratteristiche chimiche e fisiche delle acque reflue da destinare al reimpiego irriguo non vengono, in genere, fissati limiti numerici specifici anche se esistono linee guida proposte dalla FAO (la Organizzazione Mondiale per la Alimentazione) e dalla U.S.E.P.A. (la Agenzia Americana per la Protezione Ambientale) e le corrispondenti organizzazioni in ambito Comunitario Europeo che impongono limiti massimi di accettabilità per la presenza di metalli tossici e della salinità totale delle acque. Problema, quest’ultimo, particolarmente avvertito in Paesi che applicano ormai da anni tale pratica irrigua quali Israele e Sud Africa (v. Tabb. 1 e 2). Oltre gli aspetti prettamente tecnologici e normativi, perdurano ingiustificati aspetti “emozionali” sulla accettabilità dei reflui, sia pure trattati ai massimi livelli depurativi possibili, finanche per utilizzazioni socioeconomiche diverse (es. irriguo, industriale) rispetto a quello potabile. Le opzioni tecnologiche Sul piano tecnologico e in base alla normativa vigente è necessario pertanto effettuare trattamenti specifici mirati (di affinamento dei reflui o trattamenti quaternari, cfr.§ 3) compatibili con la destinazione d’uso dell’acqua da riciclare. A titolo di esempio, i trattamenti di affinamento delle acque reflue da destinare alla irrigazione devono assicurare i seguenti obiettivi qualitativi rispetto allo scarico in mare o in corpi idrici superficiali (Asano T., 2000): • ulteriore riduzione dei solidi in microdispersione colloidale (dimensioni medie particelle < 1 micron) • ulteriore riduzione del contenuto delle sostanze organiche biopersistenti • ulteriore riduzione della carica batterica mediante disinfezione “spinta” • rimozione specifica dei sottoprodotti di disinfezione (es., composti cloroderivati, clorati, bromati), a potenziale effetto mutageno, risultanti dalla stessa operazione di disinfezione spinta, specie se condotta con cloro Il conseguimento di livelli di depurazione così elevati, specie batteriologici, richiede innanzitutto la rimozione spinta dei solidi in microdispersione, specie nel caso siano previsti sistemi di irrigazione a goccia, ove la presenza di solidi, sia pure di piccole dimensioni, contribuisce all’intasamento dei sistemi di distribuzione irrigua. Tale obiettivo viene raggiunto mediante operazioni di separazione selettiva solido/liquido (es., chiarificazione e filtrazione spinta su membrane), anche per evitare che la carica batterica annidata sopra e all’interno delle cavità dei solidi in microdispersione, non raggiungibile con i normali trattamenti di disinfezione, torni a contaminare acque apparentemente disinfettate (riattivazione microbica). La ulteriore rimozione delle sostanze organiche non biodegradabili persistenti residue (es., farmaci, cosmetici, detergenti), potenziali “precursori” di formazione dei sottoprodotti di disinfezione, può essere conseguita per trattamento su carboni attivi e/o su resine, sebbene tale operazione, ancorché necessaria, risulti abbastanza onerosa sia sul piano impiantistico che gestionale. Per quanto esposto, la disinfezione spinta rap- 23 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI presenta l’unità di processo base negli schemi intensivi di affinamento delle acque reflue. Il metodo tradizionalmente più usato si basa sul dosaggio di cloro gassoso o di ipoclorito di sodio. Come accennato, la operazione di clorazione, oltre a richiedere personale specializzato, può comportare problemi collaterali legati alla formazione di sottoprodotti organici cloro-derivati pericolosi per l’uomo e con effetti avversi sulle colture. In realtà recenti acquisizioni in campo agronomico sembrano ridimensionare gli effetti negativi derivanti dalla presenza di cloroderivati nelle acque irrigue, sebbene i metodi di disinfezione fisica basati sull’uso di radiazioni ultraviolette possano rappresentare, in linea di principio, una più sicura soluzione. E’ bene ricordare, a questo punto, che le operazioni di chiarificazione, filtrazione, trattamento su carboni attivi e disinfezione spinta rappresentano la base tecnologica dei processi di potabilizzazione delle acque da destinare al consumo umano. Considerazioni generali sul riuso delle acque reflue L’analisi effettuata indica che gli aspetti qualitativi ed igienico-sanitari del riutilizzo delle acque reflue vengono in parte sovrastimati. Si consideTab. 5: Programma Puglia 2 per il trattamento delle acque di vegetazione Comune Bitonto (BA) Intervento depuratore (potenziamento) + piattaforma Maglie (LE) depuratore consortile Copertino (LE) depuratore consortile S. Cesario (LE) depuratore consortile Presicce (LE) depuratore consortile + piattaforma Melendugno (LE) depuratore consortile + piattaforma Supersano (LE) depuratore consortile + piattaforma Gallipoli (LE) depuratore consortile + piattaforma Marciano (LE) depuratore consortile Vernole (LE) depuratore consortile Lizzanello (LE) depuratore consortile Castro (LE) depuratore consortile Martina Franca (TA) depuratore (potenziamento) + piattaforma 24 ri che spesso le acque superficiali (fiume, lago) e sotterranee utilizzate per la irrigazione presentano livelli di contaminazione salina e/o microbiologica di 2 o 3 ordini di grandezza superiori ai limiti di legge vigenti in materia. Ciò ha finora limitato, con forti penalizzazioni sul piano economico, la realizzazione e diffusione su larga scala di impianti di riutilizzo di acque reflue trattate, pratica in uso con successo già da diversi decenni in altri paesi del mondo (Tab. 1). Il riutilizzo delle acque reflue depurate appare ormai indifferibile, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, sia alla luce dei recenti andamenti meteoclimatici sfavorevoli con le ricorrenti e perduranti emergenze idriche, sia per la crescente domanda idrica a scopo potabile, irriguo, industriale, destinata a raddoppiarsi nel XXI secolo. Attualmente appare largamente condiviso il bisogno di norme tecniche specifiche, definite in ambito locale (es., regionale), che fissino realisticamente limiti di accettabilità più idonei, soprattutto batteriologici, per il riutilizzo irriguo dei reflui depurati. In proposito il D.Lgs. 152/06 impone la definizione di standards qualitativi delle acque dei corpi idrici e all’uopo vengono istituite zone vulnerabili ed aree di salvaguardia e, su questa base, vengono fissati i limiti massimi di accettabilità per il riutilizzo irriguo dei reflui. Va infine sottolineato che la programmazione, realizzazione e gestione di un sistema di affinamento e reimpiego irriguo di acque reflue richiede la stretta collaborazione con gli enti preposti alla distribuzione dell’acqua (enti acquedottistici, enti irrigazione, ecc.) per stabilire congiuntamente necessità, potenzialità, fattori specifici di influenza sugli schemi di impianto di trattamento, sui costi, sui diritti di irrigazione, ecc. Tale condizione risulta particolarmente favorevole nelle aree del Sud-Est italiano ove una unica Società di gestione del ciclo integrato della risorsa idrica (potabilizzazione, distribuzione, raccolta e trattamento reflui si identifica nell’Acquedotto Pugliese S.p.A, recentemente privatizzato, che opera da oltre un secolo al servizio delle regioni Puglia, Basilicata e parte della Campania e Molise. Si ritiene pertanto opportuno il più elevato livello di trasferimento di conoscenze ed esperienze fra le Istituzioni formative (Università, Enti di Ricerca) e le Amministrazioni (Regioni, Province, Comuni, Acquedotti) e possibilmente fare ricorso a forme consortili di gestione degli impianti. Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI Appendice Trattamento e recupero di acque reflue della industria agroalimentare L’Italia vanta numerose ed importanti attività produttive nel settore zootecnico ed agroalimentare. Nel Centro-Nord è sviluppata la zootecnia con relativa lavorazione delle carni e attività di trasformazione di frutta, cereali, latte, bevande, mentre al Sud predomina la produzione agricola primaria e la relativa lavorazione agroalimentare, con particolare sviluppo della industria olearia e casearia. Nel 2002 in Puglia il settore agroalimentare contava circa 35.000 aziende per complessivi 325.000 addetti e un fatturato annuo superiore ai 3 M€. I vari comparti del settore zoo-agro-alimentare producono acque reflue che, a parte peculiari differenze di volume e composizione, appaiono accomunate da due fattori caratterizzanti ai fini della depurazione e/o del recupero di energia e dei prodotti: • la presenza dominante di inquinanti organici biodegradabili • la elevata concentrazione (fino a 100-150 volte la concentrazione di un tipico scarico municipale), che richiede rese di depurazione particolarmente spinte per il rispetto dei limiti imposti dalla normativa vigente, conseguibili solo attraverso più stadi di trattamento in serie già illustrati. Tali caratteristiche giustificano il ricorso privilegiato a sistemi di depurazione biologica in condizioni anaerobie, ovvero in assenza di aria, per l’evidente risparmio energetico, rispetto ai corrispondenti metodi aerobi e per gli interessanti recuperi di materia ed energia (biogas) conseguibili. I processi di degradazione anaerobica della sostanza organica portano, infatti, alla formazione di metano (50%), oltre che di anidride carbonica (50%), che costituiscono i componenti essenziali del citato biogas. Si tratta, pertanto, di una miscela gassosa dotata di buon potere calorifico che può essere vantaggiosamente utilizzata come combustibile non convenzionale. Al trattamento anaerobico dei reflui consegue una degradazione biologica non distruttiva della sostanza organica in grado di fornire sensibili ritorni economici attraverso il recupero di sottoprodotti di pregio. Si discutono, di seguito, le problematiche connesse al trattamento delle acque reflue del comparto oleario (acque di vegetazione) e di alcune recenti applicazioni di trattamento depurativo anaerobico per il recupero e la valorizzazione del siero di latte dalla industria casearia. Le acque reflue del comparto oleario La Puglia copre il 40% della produzione nazionale e il 10% di quella mondiale di olio di oliva (Tab. 4). Di conseguenza, assieme alla Andalusia (Spagna), è la regione più esposta al mondo all’impatto ambientale delle acque di vegetazione, prodotte in ragione di circa 1-3 m3/m3 di olio prodotto a seconda che venga utilizzato il metodo tradizionale di molitura a freddo (pressatura) o quello continuo per estrazione in acqua calda seguito da centrifugazione (metodo di estrazione continua Alfa-Laval). Mediamente vengono prodotte circa 800.000 m3 di acque di vegetazione all’anno (500.000 m3 nelle sole province di Bari e Lecce), pari in termini di inquinamento equivalente ad una popolazione di circa 10 milioni di abitanti, ovvero 2,5 volte l’intera popolazione regionale (Tab. 4). La corretta gestione del problema è reso particolarmente difficile dalla: • composizione particolarmente complessa di questi reflui che richiede metodi ed impianti di depurazione sofisticati e costosi, in parte ancora da ottimizzare • caratteristiche socio-economiche del settore (dispersione territoriale e dimensione mediopiccola delle aziende, basso valore aggiunto della produzione, modesto contenuto tecnologico delle attività) che scoraggiano soluzioni affidate ai singoli produttori, richiedendo impianti di depurazione consortili a prevalente partecipazione pubblica. In considerazione di quanto sopra il comparto oleario è l’unico a livello nazionale che ha beneficiato di esoneri, deroghe e proroghe normative alle leggi vigenti in materia di protezione delle acque dagli inquinamenti. Per prima in Italia, la Regione Puglia ha affrontato il problema con il proprio Piano Regionale delle Acque (PRA Puglia approvato con L.R. 24/83), disponendo inizialmente lo scarico diretto o controllato in pubbliche fognature in archi temporali definiti o l’accumulo in vasche in attesa della realizzazione di apposite piattaforme depurative. La Regione Puglia ha iniziato a finanziare i necessari interventi nel settore (Progetto Puglia 2) potenziando alcuni impianti esistenti e realizzando tre piattaforme centralizzate di depurazione ad Andria, S. Severo e Torremaggiore (Tab. 5). Nelle more e in aderenza alle nuove disposizioni 25 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI di legge che venivano approvati (L. 119/87), la Regione consentiva lo sversamento controllato sul suolo agricolo, previa autorizzazione Comunale, stabilendo al contempo i quantitativi massimi aerali applicabili con uniformità e senza ruscellamento ad una distanza minima dai centri abitati e su suoli in cui il livello di falda acquifera sotterranea fosse abbastanza profonda rispetto al piano campagna. Diverse sono le tecnologie oggi applicate per il trattamento delle acque di vegetazione con alterno successo. Esse spaziano dai trattamenti biologici anaerobici, previa eventuale diluizione con acque reflue civili, ai processi termici di evaporazione-distillazione, ai trattamenti di ultrafiltrazione su membrane, nonché a trattamenti chimici vari basati sull’aggiunta di reattivi specifici (agenti coagulanti, ossidanti, ecc.). Le ricorrenti gravi disfunzioni che tuttora si registrano in molti depuratori comunali in corrispondenza delle campagne olearie (novembremarzo), indicano che in gran parte le acque di vegetazione vengono ancora smaltite abusivamente nelle fogne pubbliche mentre, nei centri già dotati di piattaforma di trattamento consortili, risulta talvolta scarso il conferimento da parte dei produttori, a titolo ovviamente oneroso (20-50 €/m3 di acque di vegetazione, corrispondenti a 15-50 €/t di olio prodotto a seconda del sistema di lavorazione). Acque reflue del comparto caseario Notevole rilievo hanno nella Regione Puglia le acque reflue dalla produzione casearia, settore anch’esso caratterizzato da aziende di medio-piccole dimensioni ed elevata dispersione territoriale. Anche in questo caso le caratteristiche delle acque reflue rendono particolarmente conveniente la adozione di trattamenti depurativi basati su processi biologici anaerobici, in quanto la degradazione della elevata concentrazione di sostanze organiche presente in questi scarichi consente il recupero del potenziale energetico sotto forma di biogas. Attraverso opportuna segregazione degli scarichi è possibile separare le acque di lavaggio diluite, da avviare al riciclo dopo gli opportuni trattamenti depurativi, dalle correnti concentrate ricche di sostanze organiche che possono essere convenientemente recuperate sotto diverse forme (mangimistica, produzione di proteine animali, caseina, ecc.). E’ possibile, pertanto, separare le acque di lavaggio 26 dal cosiddetto siero di latte che, per l’elevato valore nutritivo, ricco di zuccheri e proteine, è conveniente sottoporre tali reflui a trattamenti di recupero delle citate materie prime. Ancora più interessante può risultare il recupero selettivo dal siero di latte di sostanze ad impiego farmaceutico o cosmetico, utilizzando processi di separazione selettiva su membrane (ultrafiltrazione, osmosi inversa, elettrodialisi) o basati sull’uso polimeri selettivi (scambio ionico). Su tali basi sono stati progettati, ad opera della Comunità Montana della Murgia Sud Orientale, tre centri pilota per il trattamento e il recupero del siero di latte, rispettivamente a Gioia del Colle (BA), Noci (BA) e Martina Franca (TA). Questi progetti consentiranno di disporre di importanti strutture per la valorizzazione di tipici reflui agroalimentari del territorio regionale. Bibliografia Asano T., Mujeriego R., The role of advanced treatment in wastewater reclamation and reuse. Water Science and Technology. Vol. 45, 2000. Bonomo L., Nurizzo C., Acclamtion for reclamation. Water Quality International 6, (1998). Bonomo L., Nurizzo C., Advanced wastewater treatment recycling and reuse, 2nd Int.Conf. on Wastewater Reuse, March 5-10, 1998, Milano, Italia. Comitato Interministeriale per la Tutela delle Acque dagli Inquinamenti (CITAI) del 4.2.1977, G.U. n. 48 del 21.02.1977. Decreto Legislativo n.152/1999 dell’11.05.1999 G.U. Repubblica Italiana n.124 del 29.05.1999. Decreto Legislativo n. 152/2006 del 03.04.2006, G.U. Repubblica Italiana n. 88 del 14.04.2006 Decreto di Giunta della Regione Puglia n. 1648 del 05.03.1984. Decreto del Ministero dell’Ambiente n. 185 del 12.06.2003, G.U. n. 169 del 23.07.2003. Legge n. 319 del 10.05.1976, G.U. Repubblica Italiana del 29.05.1976. Legge Regione Puglia n. 24 del 19.12.1983, BURP n. 132 del 31.12.1983. Liberti L., Notarnicola M., Stellacci M.G., Petruzzelli D., Recent trends of municipal wastewater reclamation and reuse in the Apulia region. Proc. Int.Conference “Disinfection 2000: Disinfection of Wastes in the New Millennium”, New Orleans, LA, USA, March 15-18, 2000. Metcalf-Eddy, “Ingegneria delle Acque Reflue. Trattamento e Riuso”, McGraw-Hill Pub. Co., IV Ed., Milano, Italia, 2006. Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI L’insolita avventura di un Chimico Astronomo e dei suoi Elementi “Fotochimici” Marco Fontania1 e Mariagrazia Costab Colui che ritiene che la storia delle false scoperte degli elementi chimici si possa liquidare con poche pagine e sopratutto possa venir trattata come un mero elenco di strafalcioni di scienziati, incompetenti o dilettanti, commetterebbe un errore di valutazione. Inoltre le false scoperte portano con loro un fattore da non sottovalutare: finiscono presto per essere dimenticate. I nomi dati provvisoriamente ai presunti elementi diventano nuovamente liberi di essere “riciclati” per altre scoperte, che a loro volta possono essere reali o fallaci. Il caso più eclatante è stato quello delle “molteplici” scoperte del nettunio, che prima di ottenere la consacrazione ufficiale da Edwin M. McMillan (1907-1991) e Philip H. Abelson (19132004) negli anni quaranta del XX secolo2, dovette subire l’umiliazione di ben tre annunci fasulli: la prima3 nel 1858, la seconda4 nel 1877 e infine la terza circa un decennio dopo5. LA “LUCE” COME MEZZO DI INDAGINE CHIMICA Tra la fine del 1859 e l’inizio del 1860, mentre in Italia si assisteva alla fine della millenaria frammentazione politica, ad Heidelberg il chimico Robert Bunsen (1811-1899) e il fisico Gustav Kirchhoff (1824-1887) misero a punto un metodo di analisi spettro-chimica al tempo stesso pratico ed efficace, a livello qualitativo, per la ricerca degli elementi chimici6. Essi erano giunti alla conclusione, dopo lunghe ed accurate ricer- che, che una riga spettrale fosse una caratteristica univoca di uno specifico elemento. Fu così che la luce convogliata da uno spettro in emissione o in assorbimento diveniva un valido e insostituibile strumento di indagine in possesso della comunità dei chimici. Non solo l’analisi spettrale semplificava notevolmente il lavoro di laboratorio, era al tempo stesso più sensibile di qualsiasi analisi chimica per via umida, ma richiedeva anche una minore quantità di materia da esaminare. Sir William Crookes (1832-1919) fiutò che questa scoperta avrebbe avuto un grande futuro nell’analisi di minerali o per la ricerca di nuovi elementi e riferendosi esplicitamente al lavoro di Bunsen scrisse: “With so delicate a reaction as the one just described, of an almost infinite sensibility, and applicable to all metals, the presence of elements, existing in so small quantities as to entirely escape ordinary analysis, may rendered visible”7. Crookes aveva già manifestato interesse nella ricerca di elementi ancora sconosciuti. Infatti un paio di anni prima aveva intrattenuto una fitta corrispondenza con l’anziano astronomo John Herschel, quando questi annunciò di aver scoperto un’intera famiglia di elementi “fotochimici”8. La parte del discorso inaugurale che John Herschel tenne a Leeds davanti all’Associazione Britannica per l’Avanzamento dello Scienze, quella inerente la scoperta di cinque nuovi elementi, fu riportata per intero sulle pagine del Photographic News9. Crookes era così interessato al lavoro di Herschel che costui gli scrisse alcune lettere per metterlo debitamente al corrente delle sue ricerche. Crookes fu onorato da questa gentilezza e non perse occasione per magnificarne le scoperte: “The grandeur of such discovery impressed us no less photographers than as chemists”. L’intera corrispondenza fu pubblicata sulle pagine del Photographic News e comprendeva lettere datate otto, tredici, quindici e ventitrè ottobre 1858. UNA NUOVA FAMIGLIA DI ELEMENTI DA UNA VECCHIA FAMIGLIA DI ASTRONOMI L’inglese John Frederick William Herschel, nato a Slough il 7 marzo 1792, fu un astronomo, un a Dipartimento di Chimica Organica dell’Università di Firenze Laboratorio di Ricerca Educativa in Didattica Chimica e Scienze Integrate; Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze. b 1 E-mail: [email protected] McMillan E., Abelson P., Physical Review, (1940), 57, 1185 3 James F., J. STOR, (1984), 39(1), 65 4 Hermann R., Chem. News, (1877), 197 5 Voronkov M. G., Abzaevak A., The Chemistry of organic germanium, tin and lead compounds, edited Z. Rapport (2002), John Wiley and Sons Ltd., Vol. 2, chapter 1, 3 6 Bunsen R., Chim. Pherm., (1859), III, 257; Phil. Mag., (1860), 18, 513 7 Crookes W., Chem. News, (1860), 2, 281 8 Herschel J. F. W., Reprints British Association for the Advancement of Science. Part 2, (1858), 41 9 Crookes W., Photographic News, (1858), I, 49 2 Fig. 1 - Ritratto di John Herschel risallente al 1861, eseguito dalla figlia Margaret Louisa (1834-1861) ed attualmente conservato presso il National Maritime Museum (UK) In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 6 marzo 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 28 aprile 2008. 27 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI 10 Crookes W., Photographic News, (1858), 1(8), 86 Herschel J., Photographic News, (1859), 2(46), 230 11 Fig. 2 - Spettroscopio di Kirchhoff e Bunsen ripreso da: Annalen der Physik und der Chemie (Poggendorff) Vol. 110 (1860). chimico e un matematico. Fu il primo a utilizzare il calendario giuliano nell’astronomia, portò importanti contributi al miglioramento dei procedimenti fotografici del periodo (dagherrotipia e calotipia), scoprendo la proprietà del tiosolfato di sodio per il fissaggio dell’immagine. Coniò inoltre i termini fotografia, negativo e positivo. John Herschel era figlio di William Herschel (1838-1822) e nipote di Caroline Lucretia Herschel (1750-1848), entrambi famosi astronomi. Inizialmente abbracciò la carriera giuridica. Successivamente si dedicò all’astronomia e quando il padre si ritirò per motivi di età, egli avocò a sé la direzione dell’osservatorio astronomico. Scoprì che le nubi di Magellano sono formate da stelle e pubblicò diversi cataloghi. Nel 1831 fu elevato al titolo cavaliere dell’Ordine Reale Guelfo; nel 1848 venne nominato presidente della Royal Astronomical Society e nel 1850 coniatore di Sua Maestà. Il 29 ottobre 1858 William Crookes pubblicò l’intera corrispondenza che aveva intrattenuto con Herschel10. La parte che attrasse maggiormente l’editore era l’annuncio della scoperta di cinque nuovi elementi ed in particolare di quello che poi avrebbe preso l’effimero nome di junonium: “[He] mentions the great value of photography as a chemical test, in affording evidence of the presence, in certain solutions, of a peculiar metal – having many of the characters of arsenic, but differing from it in others, and strikingly contrasted with it in its powerful photographic properties, which are of singular intensity – surpassing iodine, and almost equalling bromine”. La ragione per la quale Herschel pensava di aver scoperto così tanti nuovi elementi era dovuta al fatto che aveva preparato un certo numero di pellicole sensibili alla luce che, se esposte ai raggi solari, producevano cinque reazioni distin- 28 te, mai osservate prima. Questi insoliti fenomeni, uniti ad una certa dose di ingenuità, gli fecero ritenere che, depositate sulle pellicole, potessero trovarsi anche cinque nuovi elementi. Egli si sbilanciò ad ipotizzare che comprendessero una nuova classe di elementi detti “fotochimici”, i cui nomi sarebbero stati: junonium, vestium, neptunium, astaeum e hebeium. Ma Herschel si spinse ben oltre: inviò un campione di carta imbevuto in una soluzione di junoniato di sodio a Crookes, invitando il collega a confrontare quale diverso comportamento avesse questo composto, nei confronti della luce, rispetto ad un foglio imbevuto di ioduro o bromuro di potassio, di nitrato o arseniato d’argento. Sia Crookes che Herschel affrontarono poi il lato chimico del problema: isolare lo junonium, il vestium, il neptunium, l’astaeum e l’hebeium, ma ovviamente le loro ricerche non sortirono alcun successo. Data la complessità della materia trattata e la scarsità di informazioni chimiche ricavabile dagli scritti di Herschel, non è facile orientarsi su quale elemento già noto (o miscela di elementi già noti) potesse aver tratto in inganno l’astronomo. Già un anno dopo il sensazionale annuncio tuttavia John Herschel parve non credere più nella sua scoperta e riportò11: “Junonium (if it be really a distinct body) equals bromine in [ist spetrum]”. Herschel dovette rendersi conto molto presto che l’esistenza dell’intera famiglia di elementi “fotochimici” era a rischio. Col passare dei mesi i nuovi elementi restarono elusivi e impalpabili. Forse anche egli stesso aveva cessato di credervi, ma non arrivò mai ad affermare apertamente che lo junonium, il vestium, il neptunium, l’astaeum e l’hebeium fossero miscele di elementi già noti. Se Herschel non era in grado di difendere per intero la sua scoperta, era deciso almeno a difendere ad oltranza l’esistenza di uno degli ipotetici elementi. Al contrario di ogni aspettativa, negli anni a venire non abbandonò l’infruttuosa ricerca di isolare lo junonium e questa convinzione la trascrisse come solenne impegno al termine del suo lavoro: “We shall have great pleasure in communicating the results of our experiment to our readers in a future number [of the Phographic News]”. Peccato però che si sia dimenticato di dire in quale fascicolo. John W. F. Herschel non si limitò solo all’ambito della nascente “fotochimica” ma egli dette un notevole contributo anche alla matematica e Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 DAGLI ISCRITTI all’epistemologia. Se non fu il primo, certamente fu tra i primi a distinguere in modo chiaro e sensato tra leggi naturali e teorie generali, intendendo per queste ultime un piano di precise concordanze tra le leggi fisiche e, anche tra queste e quelle chimiche. Inoltre, avendo egli assegnato un ruolo importante alla creazione di ipotesi, fu anche il primo a parlare di falsificazione delle teorie, ovvero della necessità da parte dello scienziato e del ricercatore, di mettere in campo tutte le possibili obiezioni e registrare meticolosamente tutti i fatti che avrebbero potuto smentire una data teoria. La passione per battezzare nuovi oggetti o rinominare scoperte altrui, doveva essere molto forte in John Herschel: infatti oltre ad aver introdotto la parola fotografia, dette il nome a sette lune di Saturno e a quattro lune del pianeta scoperto dal suo illustre genitore, Urano. Ormai anziano, negli ultimi anni di vita, divenne padre per la dodicesima volta. Dei suoi figli solamente William James Herschel (1833-1917), il terzogenito, seguì le sue orme affermandosi nel campo dell’astronomia. Al momento della morte, avvenuta l’undici maggio 1871 Herschel, sebbene figlio di un astronomo tedesco, godeva in Inghilterra di un così alto prestigio che gli furono tributati funerali di stato. Le sue spoglie mortali furono traslate, nell’Abbazia di Westminster, accanto agli altri uomini illustri del Paese. Avviso Utilizzate il logo della professione! Il chimico iscritto all’Albo può richiedere, tramite l’Ordine territoriale, la concessione d’utilizzo del logo della professione. La diffusione del logo è importante per caratterizzare presso il pubblico la figura professionale del chimico, collegandola ad un elemento simbolico facilmente individuabile sui documenti, a garanzia che essi rappresentano il frutto delle competenze culturali, professionali e deontologiche di un chimico iscritto all’Albo. L’uso del logo della professione non è alternativo al timbro-sigillo, ma lo integra sul piano dell’immagine. Attenzione!: proprio per rendere tracciabile la catena di affidamento per l’utilizzo del logo, il singolo iscritto NON può utilizzarlo senza aver prima ottenuto la concessione d’utilizzo, tramite l’Ordine territoriale, dal Consiglio Nazionale dei Chimici, che è titolare dei diritti sul marchio. Le modalità per ottenere la concessione di utilizzo si trovano sul sito www.chimici.it nella rubrica “servizi per gli iscritti” 29 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 IL CHIMICO FORENSE Il caso n. 2 (ovvero: arrotondamento si, arrotondamento no?) di Sergio Carnini Precedenti: Il Chimico Italiano n. 2/2006 Il Chimico Italiano n. 1/2007 Riassunto: Il legale rappresentante di una tinto-stamperia di tessuti ha scelto il patteggiamento in Tribunale in seguito all’accusa di inquinamento ambientale per superamento del limite stabilito per lo Zinco nello scarico idrico dell’Azienda Dati: risultato analitico 1,74 mg/l (limite di legge 1 mg/l). Quesito: Tenuto conto dello scopo dell’analisi, delle varie interpretazioni circa il modo di esprimere il limite, dei significati delle varie serie numeriche e quant’altro, il risultato contestato supera, oppure no, il limite e perché? Hanno inviato contributi alla discussione i Colleghi: dr.ssa Donatella Dainese Ordine prov. di Modena dr.ssa Sara Bellomi Ordine prov. di Venezia dr.i Matteo Betti e Miria Borgheresi Ordine regionale della Toscana dr. Fabrizio Cattaruzza Ordine interregionale del Lazio, Abruzzi e Molise dr. Fabrizio Fulignoli Ordine interregionale del Lazio, Abruzzi e Molise dr. Maurizio Lunardelli Ordine interpr. dei Chimici della Lombardia dr. Bruno Barolo Non iscritto Cari Colleghi, ringrazio, innanzitutto, per le numerose partecipazioni al dibattito che tratta principalmente della refertazione dei dati analitici aventi una finalità legale. Mi scuso anche per il ritardo. Ho apprezzato sia gli interventi favorevoli alla mia impostazione sia quelli discordanti. Questi ultimi favoriscono l’approfondimento della questione. Lo scopo è una conclusione, il più possibile condivisa, che possa avere peso in ambito redazionale legislativo. Non è detto che leggi imprecise, carenti od ambigue non possano essere perfezionate e corrette.. Al quesito pubblicato alla fine del precedente articolo risponderei così: 2 . 10 3 ml/l di Zn (limite = 1 mg/l). Nella risposta alla Collega Dainese sono esposte delle considerazioni in proposito. 1. INTERVENTO della COLLEGA dr.ssa DONATELLA DAINESE Caro Collega, innanzitutto rispondo al quesito finale pubblicato a pag. 14, sezione Il Chimico Forense, de Il Chimico Italiano n. 1 genn/feb 2007; dunque esprimerei il risultato finale in questo modo: 2,3 .103 mg/l di Zn (limite 1 mg/l). Mi permetto di puntualizzare, dopo aver letto 30 attentamente l’intervento quanto segue: 1. in tema di danno ambientale, la fissazione del limite è a garanzia di riconoscimento della responsabilità oggettiva; 2. il Chimico che firma il certificato d’analisi contestualmente attesta la propria diligenza, prudenza e perizia nell’espletamento dell’incarico; 3. il livello della prestazione professionale richiesto è quello del mercato (bat.) Ciò premesso, per garantire il rispetto del limite di una cifra significativa, esempio dello Zn, il Chimico deve essere in grado di determinare sperimentalmente la prima cifra decimale, dopo la virgola; è quindi buona prassi che egli riporti sul certificato il dato sperimentale 1,7 mg/l di Zn. Il dato 1,74 mg/l, analiticamente avvalorabile, perderebbe di significato nel contesto impiantistico. Concludo osservando che 1 ed 1,7, in virtù dell’assiomatica di Peano, non sono lo stesso numero e a questo punto sarà l’Autorità giudiziaria a decidere. Saluto cordialmente. Donatella Dainese (Ordine dei Chimici di Modena) RISPOSTA Cara Dainese, concordo sulla possibilità di disporre di un margine di sicurezza analitica (almeno di un fattore 10 rispetto al limite). Propongo, tuttavia, per facilitare la lettura al Giudice, di sostituire il decimale 7 con un asterisco che riporti al seguente avviso: “il metodo consente una precisione almeno dieci volte maggiore di quella esplicitata nel risultato. Tale dato viene espresso utilizzando una sola cifra significativa della serie dei numeri interi, per omogeneità con l’espressione del limite di norma. Sul modo di considerare i numeri 1 e 1,7 ritornerò più avanti. Per ora mi limito a sottolineare che essi appartengono a due serie numeriche differenti, la serie dei numeri interi e la serie dei numeri frazionari. 2. INTERVENTO della COLLEGA dr.ssa SARA BELLOMI Domanda n. 1 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 IL CHIMICO FORENSE Perché, una volta definito il n° di cifre significative ai fini del controllo normativo, utilizza sul risultato analitico la troncatura anziché l’arrotondamento? Il dato analitico conserva il suo significato oltre le cifre imposte, essendo acquisito con metodo “addirittura” più sensibile di quanto strettamente richiesto dalla verifica di conformità di legge. Di conseguenza l’esito repertato in tabella (il proseguimento non è pervenuto) Domanda n° 2 Perché il limite 319 tab. A per lo Stagno viene interpretato come 20 ±10 (2x10) anziché 20 ± 1? Accettando il mio punto di vista l’esito repertato andrebbe riportato come segue: Arsenico 0.6 Boro 0 Cadmio 0.00 CromoVI 0.1 Stagno 33 Anche se faccio la seguente considerazione: vista la povertà dell’informazione tecnica che ne consegue (quella legale non può essere invece più inequivocabilmente espressa) ne deriva che i Laboratori di prova avrebbero 2 o 3 alternative: 1. inserimento nel rapporto di Prova in “scrittura scientifica”(per intenderci con le cifre significative determinate dal metodo e dalla stima dell’incertezza di misura) di una colonna supplementare detta “esito normativo” (nota: pochi laboratori saranno entusiasti all’idea di dover ulteriormente miniaturizzare i caratteri già in uso vista la messe di informazioni che ormai affolla un RdP per accontentare Enti formatori, accreditanti clienti e gestori...) 2. redazione a richiesta (o in caso di dibattimento) di un allegato al Rapporto di Prova detto “giudizio di conformità) riportante le sole informazioni necessarie alla elaborazione dello stesso giudizio 3. redazione di un rapporto di prova in “scrittura scientifica” per tutti i parametri con concentrazione distanti dai limiti di conformità ed in “scrittura legale” per i soli parametri prossimi al limite di conformità (es. entro il 10 % o entro l’incertezza di misura) Il nostro laboratorio sta discutendo la fattibilità informatica di quest’ultima opzione. In effetti va ricordato che tutti gli operatori di settore si possono trovare anche ad affrontare il problema dell’implementazione di certe varianti redazionali, visto che il rapporto di prova (quando si viaggia sulle decine di migliaia di rapporti di prova anno) non li fa più la segretaria alla dattiloscrivente ma un sistema informatico LIMS più o meno rigido e modificabile magari solo in outsourcing. Senza polemica (è il mio senso dell’umorismo), ma con vivo interesse per la problematica e per la chiarezza d’impostazione trovata finalmente nell’articolo del dr. Carnini, speriamo che se ne discuta. RISPOSTA Cara Collega, grazie per il tuo interessante e costruttivo intervento. Con piacere aggiungo il mio contributo. Vediamo i singoli punti. Domanda n. 1- …perché la troncatura e non l’arrotondamento? Premesso che per arrotondamento, debba intendersi il metodo che ben conosciamo e che tutti applichiamo in determinate situazioni, discutiamo sulle due seguenti operazioni: arrotondamento in diminuzione ed arrotondamento in aumento. Intendo sostenere che, per gli scopi legali accompagnati da eventuale sanzione, la prima è legittima e la seconda produce, invece, un risultato in parte irreale e del tutto arbitrario. • Nell’arrotondamento in diminuzione (ipotizziamo di arrotondare ad una cifra significativa il risultato 1,44 ± 0,01, e quindi 1,44 → 1,4 → 1), la cifra del risultato finale è certa perché il metodo, più sensibile del richiesto, produce due cifre significative certe. Il risultato 1 è in difetto ma oggettivo. • Nell’arrotondamento in aumento (ipotizziamo di arrotondare ad una cifra significativa il risultato del nostro caso n. 2:1,74 ± 0,01 → 1,7 → 2 ) si osserva che la cifra decimale 7 è sicuramente certa. L’incremento di 0,3, invece, aggiunto a 1,7 per arrotondare a due, è sicuramente abusivo perché si riferisce ad una quantità certamente in eccesso ed inesistente, avulsa dalla realta. Quindi penso che il metodo dell’arrotondamento vada riservato, per esempio, alle operazioni aritmetiche. Ad esempio: volendo eseguire la somma di più dati con un numero differente di cifre significative, o meglio con un numero differente di cifre frazionarie, arrotondo tutti i dati fino ad ottenere un nume- 31 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 IL CHIMICO FORENSE ro di cifre frazionarie ugule a quello del dato più impreciso, poi eseguo la somma. Esempio: 6,78 + 6,234 + 6,789 + 6,2389 = 6,78 + 6,23 + 6,79 + 6,24 = 26,04 Nel caso di un sistema accompagnato da eventuale sanzione, propongo di agire solo per arrotondamento in diminuzione o, per usare un termine più efficace, per troncatura poiché, ripeto, l’arrotondamento in aumento produce un numero certamente falso. Domanda n. 2 [20 contiene una sola cifra significativa. 20 ± 1 introdurrebbe una seconda cifra significativa! (19<risultato>21)] Quindi (2±1) x10 Ottime le tre alternative. Per applicare la prima forse si potrebbe stampare il referto in modalità orizzontale. Anch’io seguirei la terza. Mi tieni informato degli sviluppi, se possibile? Grazie 3. INTERVENTO dei COLLEGHI dr.ssa MIRIA BORGHERESI e dr. MATTEO BETTI Spettabile Collega Sergio Carnini, il caso riportato nella rubrica ‘Il chimico forense’ di gennaio/febbraio scorsi permette di riflettere sul senso di un’analisi chimica e del suo risultato, sia in termini sperimentali che sociali e morali. Le considerazioni a riguardo sono molte e esulano dallo scopo di questa e-mail. Tutto è metro, peso e misura; tuttavia, è necessario non impiegare due pesi e due misure. Con il numero di cifre significative del limite riportato il Legislatore indica, più o meno consapevolmente ma univocamente, la precisione con cui il dato deve essere trascritto. Quindi, impiegando uno strumento che fornisca un valore con più cifre significative del limite imposto, sarà formalmente corretto riadattare il dato alla precisione richiesta. Su questo siamo d’accordo con lei. Tuttavia non possiamo concordare sul fatto che considerando più o meno cifre significative debba necessariamente cambiare l’esito dell’analisi. Le sue argomentazioni non ci sembrano convincenti quando scrive di non riportare le cifre significative non richieste dal limite del legislatore semplicemente elidendole senza compiere nessuna approssimazione in difetto o in eccesso (approssimazione da compiersi per rapportarsi con la minore precisione richiesta dal legislatore stesso). Il valore di 1,74 mg/l di cui lei scrive a nostro avviso deve essere trascritto nel certificato di analisi come 2 mg/l per almeno tre motivi: 32 1- togliere cifre significative non vuol dire cancellare meccanicamente dei numeri: in questo modo si perdono infatti informazioni fornite dallo strumento; 2- quando la cifra da escludere è maggiore o uguale a cinque si approssima per eccesso la precedente; 3- il dato così è moralmente più corretto e solleva il chimico da pre-interpretazioni e aggiustamenti personali che non deve assolutamente fare. Considerando che le strumentazioni normalmente usate in laboratorio devono consentire una precisione maggiore rispetto a quella dei valori limite imposti, vorremmo perciò chiederle una sua opinione in merito al problema dell’approssimazione del dato analitico e alla sua possibilità di confronto con i limiti vigenti. Cordiali saluti, Miria Borgheresi, Ordine dei Chimici della Toscana Matteo Betti, Ordine dei Chimici della Toscana. RISPOSTA Cari Colleghi, grazie per la partecipazione. La mia opinione, ben lungi dall’essere dogma scientifco, l’ho già espressa nelle risposte precedenti, soprattutto riguardo al problema dell’approssimazione. Spero di rileggervi nel prosieguo della discussione, se ci sarà. 4. INTERVENTO del COLLEGA FABRIZIO CATTARUZZA Leggendo il periodico n. 1-2007, di cui apprezzo la nuova veste grafica e lo sforzo di contenere i costi, mi sono trovato a leggere con interesse l’intervento del chimico forense a pag. 12. Leggendo tale articolo in cui si parlava di cifre significative e poneva giustamente dubbi sulla correttezza della giurisprudenza nell’esprimere dei valori senza tenere molto in considerazione il rigore scientifico nell’esprimere un determinato valore considerando anche l’incertezza associata a tale valore. Questo articolo ha però suscitato in me dei dubbi, nonostante le definizioni riportate siano corrette, secondo me si è però omesso di parlare dell’arrotondamento nell’esprimere le cifre significative. Regole per l’arrotondamento 1 Per semplicità, nei calcoli intermedi mantenere tutti le cifre e arrotondare i valori finali al numero richiesto (corretto) di cifre significative. Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 IL CHIMICO FORENSE 2 L’arrotondamento va effettuato, di norma, prendendo in considerazione solamente la prima cifra oltre l’ultima significativa (chiamiamola “extra”). - se tale cifra è minore o uguale a 4, il valore dell’ultima cifra significativa rimane inalterato. - se è maggiore di 5, il valore dell’ultima cifra significativa deve essere incrementato di una unità. -se è 5 seguito da un numero maggiore di zero si opera come il caso precedente. Se il cinque è seguito da un certo numero di zeri, caso estremamente particolare, il valore precedente viene arrotondato al numero pari più vicino. - se è 5 seguito solo da un certo numero di zeri senza altre cifre, caso estremamente particolare, il valore precedente viene arrotondato al numero pari più vicino. Esempi: Arrotondare 12.5364 a 3 cifre significative 12.5364 Il risultato dell’arrotondamento: 12.5 Arrotondare 12.5776 a 3 cifre significative 12.5776 Il risultato dell’arrotondamento: 12.6 Arrotondare 1.5556 a 3 cifre significative 1.5552 Il risultato dell’arrotondamento: 1.56 Il mio quesito ora è: nel caso del numero 1.74, l’autore nella sua discussione approssima correttamente tale valore ad 1? Ed anche nella tabella riportata a pag. 14 sono corretti gli arrotondamenti (es: 0.5833 in 0.5)? Cordiali saluti Dr. Fabrizio Cattaruzza Università degli Studi di Trieste RISPOSTA Caro Collega Cattaruzza, Grazie per il tuo intervento. Credo che troverai, come ho trovato io, di che riflettere dopo aver letto interventi e risposte. Credo che i “Farmacisti” si muovano con più dimestichezza in questo campo rispetto a noi Chimici. 5. INTERVENTO del COLLEGA dr. FULIGNOLI A proposito del Caso n. 2 non si può che essere in pieno accordo con quanto contenuto nel paragrafo “la difesa” e sono sconcertato che possa esistere della “giurisprudenza di parare contrario”! Le questioni scientifiche non possono essere oggetto di alcuna giurisprudenza! E’ anche molto interessante il modo di presentare il referto del collega dell’ASL di Castellanza! Non ho capito il “quesito finale”: dove sta il tranello? Grazie Fabrizio Fulignoli n. 311 dell’Ordine di Roma Caro Fulignoli, considerato il tuo numero di iscrizione all’Ordine di Roma, leggo il tuo intervento con deferenza e con rafforzata convinzione riguardo alla mia opinione rispetto all’argomento in discussione... Per il quesito finale: “...come rispettare l’uso di una cifra significativa nel risultato analitico 2345 mg/l (limite 1 mg/l) la mia interpretazione è questa: considerato che lo scopo dell’analisi non è quello scientifico, ma quello di confronto con il limite di legge e tenuto conto che il problema dell’arrotondamento perde di importanza poiché il dato è molto lontano dal limite, tengo la prima cifra significativa (2) e successivamente per rispettare l’ordine di grandezza del risultato ottenuto aggiungo 103. Quindi 2 .103 mg/l. Ricordo che gli zeri dopo l’ultima cifra significativa (es. 2000) non sono cifre significative. Ancora grazie per la cortesia e tanti auguri di ogni bene. 6.- INTERVENTO del COLLEGA dr. LUNARDELLI Spettabile Redazione Mi riferisco all’articolo in oggetto, comparso sul primo numero di quest’anno della pubblicazione il Chimico che ricevo come iscritto all’ordine della Lombardia. Pratico, anche se come dipendente di una multinazionale farmaceutica, la pratica del chimico, oramai da molti anni, operando nel settore della Qualità. Francamente sono rimasto allibito dall’intervento del dr. Carnini e mi chiedo come sia possibile dichiarare cose del genere. E’ infatti noto a tutti coloro che praticano qualunque attività tecnico-scientifica, ma arrivo a dire anche solo commerciale, il concetto dell’arrotondamento. Tutti i valori attribuibili a grandezze misurabili, una volta che sia stato definito il numero di cifre 33 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 IL CHIMICO FORENSE significative da adottare nell’espressione del loro valore, vengono scritti arrotondando alla cifra superiore se il valore misura più della metà nella parte non considerata significativa, o arrotondando alla cifra inferiore se la parte non significativa è inferiore alla metà. Negli esempi fatti, se il risultato espresso con precisione eccessiva è 0,5833, ed il limite è 0,5, il risultato da valutare e riportare sui documenti sarà 0,6; se il risultato espresso con precisione eccessiva è 0,05 ed il limite è 0,2, il risultato da valutare e riportare sui documenti ufficiali sarà 0,1. In generale, da 0 a 4 si arrotonda alla cifra significativa inferiore, da 5 a 9 si arrotonda alla cifra significativa superiore. Qualunque sistema di calcolo automatico con cifre significative fisse (tipo tabelle excel), arrotonda i risultati in questo modo. Sbaglia l’analista ad usare un numero di cifre significative non autorizzate senza applicare il corretto arrotondamento, ma sbaglia anche chi pretende di arrotondare i risultati in un modo piuttosto conveniente alla sua causa. Bene ha fatto quel Cliente a patteggiare: speriamo piuttosto che riduca l’inquinamento. Ancora un commento su un altro punto dell’articolo. In più occasioni si parla di modesto esubero dello zinco. Come professionista, ho più volte avuto a che fare nella mia carriera, e tutt’ora mi capita, con le autorità ispettive. Fossero queste Italiane (Ministero della Salute) o Americane (FDA), in tutti i casi se un risultato è fuori, è fuori! Non c’è modestia che tenga. L’atteggiamento tollerante di chi tenta di giustificare un fuori limite, perchè questo è stato superato per poco, non è accettato mai dagli ispettori che vengono a verificare periodicamente l’industria farmaceutica. Ma tale atteggiamento va esteso in tutti i settori per una corretta e seria gestione delle regole. Andando a passeggio sui monti, uscire di strada per un centimetro o per un metro, se siamo fuori dalle tolleranze, non salva l’incauto alpinista: si precipita sia in un caso che nell’altro. Quindi, almeno noi tecnici, applichiamo la dovuta precisione (seppure arrotondata nei termini previsti dalla legge) ed evitiamo giustificazioni poco scientifiche del tipo quasi goal! Resto ovviamente a disposizione per analizzare la controdeduzione del Collega. Cordialmente Maurizio Lunardelli 34 RISPOSTA Caro Lunardelli, grazie per il tuo contributo. A questo punto, ed anche con l’intervento successivo, ci sarà tanta carne al fuoco da indurre molte riflessioni e chiarimenti di dubbi. 7. INTERVENTO del dr. Chimico BRUNO BAROLO A PROPOSITO DEL CASO N. 2 - Il Chimico – n. 1 gen/feb 2007 Un amico, chimico anche lui, mi passa una fotocopia dell’articolo chiedendomene un parere, visto che da quasi vent’anni per incarico di Federchimica mi occupo di procedimenti di misura, di espressione dei risultati, di precisione. L’articolo parla di un’azienda nelle cui acque di scarico è stata riscontrata una concentrazione di zinco di 1,74 mg/l. Il valore massimo consentito dal decreto è 1 mg/l. L’azienda viene accusata di inquinamento ed accetta il patteggiamento. Siccome 1,74 è chiaramente superiore a 1 si direbbe che il problema deve considerarsi concluso, e che non vi è più nulla da obiettare. Ma l’Autore è il CTP (Consulente Tecnico di Parte) dell’azienda, e in questa veste molto lodevolmente cerca un argomento che ribalti il giudizio. A tale scopo scatena la sua fantasia e alcune sue personali convinzioni. Invita ad inviare dei commenti: i punti che richiederebbero un commento sono molto numerosi, a causa della fantasia troppo sfrenata dell’Autore, e pertanto mi devo limitare a quelli più pesanti. Per comodità ricordo che i dati da prendere in considerazione sono: • il limite ammesso è 1 mg/l • l’emissione misurata è stata 1,74 mg/l. “L’elemento centrale - dice l’Autore - nasce dal modo differente con cui sono espressi il dato sperimentale ed il limite di riferimento”. Non che siano espressi in unità di misura diverse, ma solo perché è diverso il numero di “cifre significative” (cs) di cui i due dati sono composti. Queste cs formano il pilastro portante delle sue argomentazioni. L’Autore precisa che in pratica non sono cs solo gli zeri che precedono la prima cs, come ad esempio in 0,0174. Però dimentica (o ignora) che “non significativo” non vuole dire “assenza di valore”: gli zeri, qualunque sia la loro posizione, hanno sempre un significato, anche, e talvolta soprattutto, nei decimali. Se dico che la temperatura è 0,0°C (nessuna cs) dico che fa freddo e che l’acqua può gelare. Se dico che un certo Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 IL CHIMICO FORENSE peso è 0,034 g gli zeri hanno esattamente lo stesso significato che avrebbero le cifre 1 e 2 se il peso fosse 1,234 g. La differenza nel numero di cs è, per l’Autore importantissima, in quanto, secondo una sua sconcertante affermazione “è impossibile confrontare due valori se hanno un numero diverso di cifre significative”. Ossia è impossibile confrontare per esempio 0,997 (3 cs) con 1,017 (4 cs). Affermazione stupefacente: vuol forse dire che è impossibile dire quale dei due è il maggiore? Le cs sono poi determinanti quando l’Autore tira in ballo una formula per calcolare, dice lui, l’errore. Dagli esempi si deduce che la formula è 1/n x 100, dove n è il dato del quale calcolare l’errore. Con questa formula calcola l’errore sia del limite di legge, sia del valore trovato. Ottiene i seguenti risultati: • per il valore limite: 1/1 x 100, quindi l’errore è il 100% • per il valore calcolato: 1/174 x 100, quindi l’errore è 0,57%. Ne consegue, sempre secondo l’Autore, che avendo il 100% di errore il valore 1 dovrebbe essere scritto 1+1, ossia 2, e quindi il valore riscontrato di 1,74 rientra comodamente nel limite di legge. La sensazione, leggendo, è di navigare in un vuoto assoluto di rigore e coerenza matematica e logica. Per esempio non si riesce a capire perché nel calcolo dell’errore del valore misurato a denominatore non compare il valore vero (1,74) ma il valore senza la virgola (174), che è 100 volta maggiore. Di conseguenza l’errore calcolato è 100 volte inferiore. Infatti se nella formula si inserisce 1,74 l’errore risulta 57%. Ma questa formula, sbucata non si sa da dove (l’Autore non ama citare l’origine delle sua affermazioni) ha poteri magici. La formula fornisce l’errore espresso in %: si vuole sapere qual è la dimensione quantitativa di questo errore espresso in mg/l. Nulla di più semplice: basta moltiplicare il dato preso in considerazione per la percentuale del relativo errore. Già sappiamo che per il valore limite è 1. Se lo calcoliamo sul valore 1,74 (con la virgola) risulta ancora 1. Se il dato fosse 174 l’errore sarebbe lo 0,57 ed espresso in mg/l sarebbe 1. Prendiamo un altro valore a caso, per esempio 14. L’errore percentuale è 1/14 x 100 ossia 7,14%. Il 7,14% di 14 è di nuovo 1. Se ci si diverte a calcolare l’errore su un valore qualsiasi risulta sempre 1. È evidente che la formula è totalmente fasulla: infatti il calcolo dell’errore di un qualsiasi dato n, espresso nella sua stessa unità di misura, è 1/n x 100 x n, e basta una facile verifica algebrica per scoprire che il risultato della formula è comunque 1, qualunque sia il valore n. Ricordo un prestigiatore che mostrava un mazzo di carte assolutamente normale, ma dopo qualche manipolazione senza apparentemente nulla di sospetto e qualche formula magica il mazzo risultava composto solo da assi di quadri. Scoppiava l’applauso. Un secondo commento è l’assurdità di voler calcolare l’errore del valore limite, ossia di un dato che non può assolutamente essere afflitto da alcun errore. Perché è un dato “secco” stabilito dal legislatore. È come voler attribuire un errore a un numero estratto al lotto o alla lotteria di capodanno. Il terzo commento è che, essendo 1,74 mg/l un dato sperimentale, l’errore dal quale può essere affetto, o, per utilizzare il termine appropriato, la sua precisione, dipende dal procedimento seguito e dalla precisione che offrono gli strumenti utilizzati. Quindi varia caso per caso ed è assurdo pensare di riuscire a calcolarlo secondo un formula matematica uguale per tutti. Sicuramente l’Autore, quale CTP, come prima cosa avrà esaminato il procedimento di determinazione dello zinco nelle acque di scarico. Quando una legge stabilisce un valore limite dice anche come determinarlo. O descrive il procedimento (magari come allegato), o cita l’organismo autorizzato ad eseguire la determinazione (il quale, in caso di contestazione, è tenuto a fornire la descrizione del procedimento), o cita una norma emanata da un ente autorizzato e riconosciuto. Se non fornisce nessuna di questa indicazioni, si segue la norma, che per definizione è riconosciuta valida ed autorevole a tutti gli effetti. In proposito l’Autore, al solito, non fornisce alcuna indicazione. Se il decreto non cita nulla, si utilizza la norma. Nel caso in esame potrebbe essere la ISO 8288 (ricordo che l’ISO è un ente mondiale riconosciuto in oltre 150 Paesi). Questa norma si occupa di qualità dell’acqua e descrive il procedimento per la determinazione di alcuni metalli, fra i quali lo zinco, per assorbimento atomico alla fiamma con tre diversi metodi spettrometrici. Se l’Autore ha una certa confidenza con le norme, saprà che la maggior parte precisa anche come misurare sperimentalmente la precisione del risultato, facendo ripetere più volte la stessa misura sullo stesso pro- 35 Il Chimico Italiano • n. 3 mag/giu 2008 IL CHIMICO FORENSE dotto o allo stesso operatore (e si ha la Ripetibilità) o a operatori diversi (Riproducibilità): l’insieme dei due valori indica la precisione della misurazione espressa come scarto fra i valori misurati. Nella maggior parte dei casi lo scarto massimo varia fra il 2% e il 5%. Non sono noti casi di misurazioni con un “errore”, ossia con uno scarto alla ripetibilità così basso come 0,57%. In altro punto dell’articolo l’Autore afferma che se il decreto specifica un valore limite di 1, senza decimali, significa che i decimali devono essere trascurati. Pertanto, dice, quel valore di 1,74 deve diventare 1, quindi entro il limite richiesto. Anzitutto non risulta affatto che il decreto dica di non esprimere i decimali. Anche questa è un’affermazione gratuita dell’Autore. Poi dimentica che quando i decimali non sono richiesti non si deve tout court cancellarli, ma occorre arrotondare il valore. È un’operazione molto semplice e diffusa: occorre adottare il numero intero più vicino, superiore o inferiore. Un esempio lo fornisce addirittura il Fisco, che per certi redditi non vuole i decimali; spiega come si deve operare e fornisce anche gli esempi numerici: • 55,50 diventa 56; • 65,62 diventa 66; • 65,49 diventa 65 Quindi, se si aboliscono i decimali, 1,74 arrotondato diventa 2. L’Autore, inventandosi la regola non richiesta sui decimali, non si accorge di peggiorare la situazione: infatti 2 è ancora più distante dal valore limite che 1,74. Comunque se l’Autore avesse dimestichezza con le norme tecniche saprebbe che il numero dei decimali da utilizzare è indicato dalla norma stessa, al paragrafo “Espressione dei risultati”. Faccio un esempio: “Per valori superiori all’1% riportare il risultato al più vicino 0,1% (ossia con un decimale); per valori inferiori o uguali all’1% riportare il risultato al più vicino 0,01% (ossia con due decimali)”. La citazione è tratta dalla recentissima ISO 11980-2 (novembre 2006), sui valori limiti per il contenuto di sostanze organiche volatili in alcuni tipi di pitture e vernici. Ma a un certo punto dell’articolo c’è un colpo di scena: l’Autore svela che il decreto edizione 2006 specifica un valore limite non di 1 mg/l ma di 1,0 mg/l. Questa informazione da il contributo decisivo al crollo totale del fragile e fantasioso castello di difesa del CTP. Per esempio dimostra 36 che non è affatto vero che i decimali devono essere aboliti, e che con nessun stratagemma si riesce a dimostrare che il valore di 1,74 rientra in quello limite di 1.0. Due sole sono le informazioni riportate nell’articolo con le quali si può essere da’accordo. Una l’ha detta all’Autore il Giudice titolare: le argomentazioni del CTP sono affascinanti, ma la legge dice in contrario (concordi con questo giudizio il contrario lo dicono anche la matematica e la logica). L’altra è la decisione dell’azienda di non opporsi alla sentenza, riconoscendo che non esistono argomenti validi da utilizzare, ed accettare il patteggiamento come il danno minore. Bruno Barolo RISPOSTA Caro dr. Barolo, grazie per le autorevoli osservazioni presentate. Ti assicuro che ancora mi fanno riflettere. Il ritardo nel proseguimento di questa discussione è dovuto in parte a questo motivo. Inoltre sono stato occupato a raccogliere pareri in varie università italiane. Là sono stato confortato. Ho imparato inoltre, studiando Galileo, che occorre perseverare nella ricerca e non bloccarsi dinnanzi a leggi o norme, vuoi scientifiche vuoi religiose, che possono essere ambigue, imprecise o addirittura fasulle. Si possono modificare. Devo, infine ed a malincuore, correggere una tua affermazione rispetto “…al colpo di scena”. Se rileggi bene il mio articolo si afferma che, finalmente, i due limiti 1 e 1,0 - citati nello stesso decreto per due differenti tabelle, la 3 e la 4 se non erro citando a memoria, denotano che i due numeri 1 e 1,0 sono differenti ed hanno differente potere. Quindi non ho mai sostenuto che, come affermi, i decimali vanno aboliti, ma che i decimali del risultato devono essere tanti quanti quelli del limite (es. limite 1) e che, comunque, vanno richiesti dal limite stesso (es. limite 1,0). La fonte della formula incriminata - l’ho citata in una risposta - è: Sacco-Freni (Univ. Di Milano) STECHIOMETRIA - ed. Guadagni (MI). Doppiamente grazie per l’aiuto. Mi spiace solo un poco per il tono astioso. Sono disponibilissimo a cambiare opinione, se trovo motivazioni convincenti. E la norma non lo è. Potrebbe essere sbagliata. Altrimenti non progrediremmo mai e cercheremmo ancora di fermare il sole nel cielo. www.chimici.it