Un`esperienza di insegnamento - "E. Fermi"

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Un`esperienza di insegnamento - "E. Fermi"
ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITA' DI BOLOGNA: SEDE DI BOLOGNA
SCUOLA DI SPEC.NE PER L’INSEGNAMENTO SECONDARIO
INDIRIZZO Fisico-Informatico-Matematico
CLASSE A047
SEDE Bologna
Direttore della Scuola: Prof. Roberto Greci
Direttore Sezione di Bologna: Prof. Antonio Genovese
UN’ ESPERIENZA DI INSEGNAMENTO-APPRENDIMENTO DELLA MATEMATICA
IN UNA CLASSE SECONDA DI UN LICEO SCIENTIFICO:
EQUIVALENZE TRA FIGURE PIANE
TESI DI SPECIALIZZAZIONE
Presentata dalla Dott.ssa
Il Supervisore
Veronica Alessandrella
Prof. Fabrizio Monari
Relatore Chiar.mo Prof.
Bruno D’Amore
Anno accademico 2006/2007
Indice
Introduzione............................................................................................................. 1
Capitolo 1 - Il quadro teorico - didattico ................................................................. 3
1.1 Approccio cognitivista................................................................................... 3
1.2 Registri e rappresentazioni ............................................................................ 5
1.2.1 Gestione registri semiotici ...................................................................... 6
1.2.2 Aspetti figurali e concettuali .................................................................. 7
1.2.3 Immagini mentali.................................................................................... 9
1.3 Forme di conoscenza ................................................................................... 10
1.3.1 L’intuizione .......................................................................................... 10
1.3.2 La dimostrazione .................................................................................. 12
1.4 Il linguaggio................................................................................................. 14
1.5 Il laboratorio ................................................................................................ 16
Capitolo 2 - L’esperienza in classe........................................................................ 19
2.1 Fase 1: conoscenza della classe ................................................................... 19
2.2 Fase 2: introduzione al concetto di equiestensione ..................................... 21
2.3 Fase 3: i teoremi belli! ................................................................................. 23
2.4 Fase 4: il laboratorio .................................................................................... 30
2.5 Fase 5: la verifica......................................................................................... 32
2.5.1 Il linguaggio......................................................................................... 33
2.5.2 Osservazione dei disegni ..................................................................... 34
2.5.3 La dimostrazione ................................................................................. 36
Capitolo 3- La valutazione .................................................................................... 39
3.1 Valutazione dell’azione didattica in aula..................................................... 40
3.1.1 Utilizzo strumenti didattici ................................................................... 40
3.1.2 Coinvolgimento classe.......................................................................... 40
3.2 Valutazione segmento curricolare ............................................................... 41
3.3 Valutazione del lavoro svolto dagli studenti ............................................... 42
Conclusioni............................................................................................................ 49
Bibliografia............................................................................................................ 51
Allegato n. 1 - Progetto di tirocinio..................................................................... 55
Allegato n. 2 - Analisi del testo di un problema.................................................. 81
Allegato n. 3 - Schemi delle lezioni .................................................................... 85
Allegato n. 4 - Test iniziale ................................................................................. 91
Allegato n. 5 - Introduzione all’equiestensione................................................... 93
Allegato n. 6 - Il gioco del tangram..................................................................... 95
Allegato n. 7 - Congruenza, equiestensione ed equiscomponibilità.................... 97
Allegato n. 8 - Macro Cabrì................................................................................. 99
Allegato n. 9 - Assegnazione di un problema insolito....................................... 101
Allegato n. 10 - Alcuni problemi proposti........................................................... 103
Allegato n. 11 - Svolgimento del primo problema .............................................. 105
Allegato n. 12 - Svolgimento del secondo problema .......................................... 107
Allegato n. 13 - Un altro svolgimento del secondo problema............................. 109
Allegato n. 14 - La verifica finale: fila 1 ............................................................. 111
Allegato n. 15 - La verifica finale: fila 2 ............................................................. 113
Allegato n. 16 - Il punteggio assegnato a ciascun quesito della verifica finale... 115
Allegato n. 17 - I TEPs proposti.......................................................................... 117
Allegato n. 18 - Il cartellone finale...................................................................... 119
Introduzione
L’amore per una disciplina, il suo studio approfondito sono fattori
essenziali per il raggiungimento del titolo di laurea. Essi tuttavia
costituiscono un patrimonio necessario, ma non più sufficiente per un buon
insegnante, giacché nell’insegnamento l’attenzione si sposta dal voler
acquisire competenze al far acquisire le stesse.
Un insegnante di Matematica necessita dunque non solo di forti
competenze disciplinari ma anche, in uguale misura, di una conoscenza
approfondita della Didattica della Matematica, “disciplina di ricerca che
studia le condizioni dell’apprendimento in situazioni reali d’aula (…)
quando il traguardo cognitivo in gioco è specifico della Matematica”
(D’Amore, Fandiño Pinilla, 2003).
Solo una simile formazione può aiutare l’insegnante ad interpretare
correttamente gli eventi dell’aula, quando i poli della terna insegnanteallievo-sapere interagiscono tra di loro.
Di tale disciplina avevo una conoscenza prettamente teorica, essendo il
tirocinio attivo la mia prima vera esperienza in campo didattico.
Parafrasando Confucio, l’esperienza è una lampada appesa dietro alla
schiena che illumina soltanto la strada già fatta. Mi attendeva quindi un
percorso alquanto buio, per la cui copertura l’unica “bussola” a mia
disposizione era rappresentata da quanto appreso nei due anni di
specializzazione.
E’ stato il tirocinio a farmi comprendere l’importanza rivestita
dall’ingegneria didattica 1 nell’insegnamento. L’obiettivo che mi sono
quindi posta, nella stesura della tesi, è appunto quello di testimoniare come
un’analisi ed una progettazione attente della lezione siano essenziali per
l’apprendimento dei ragazzi. Con questo non si intende sminuire il ruolo
fondamentale rivestito dall’esperienza dell’insegnante, ma, proprio come
comunemente accade in ogni ambito lavorativo, anche nell’insegnamento
non è possibile pensare all’ingresso in aula senza aver effettuato un’analisi
1
Il termine ingegneria didattica indica un insieme di sequenze di classe concepite, organizzate ed
articolate nel trascorrere del tempo in forma coerente da parte dell’insegnante-ingegnere allo scopo
di realizzare un progetto di apprendimento per una certa popolazione di allievi (DouadyL’ingégnerie didatique. Cahier de DIDIREM, 19 Paris
1
a priori e, dopo l’attuazione del “progetto”, un’analisi a posteriori dei
risultati conseguiti.
Il presente lavoro, partendo dall’esperienza di tirocinio maturata in una
classe del secondo anno di liceo scientifico sulla tematica dell’equivalenza
tra figure piane, si sviluppa in tre capitoli:
il primo considera il quadro teorico-didattico considerato nella
stesura e successiva realizzazione del progetto;
il secondo, attraverso la descrizione degli avvenimenti salienti,
cerca di fornire una visione completa delle modalità con le quali è stato
attuato il tirocinio e delle riflessioni che ne sono scaturite;
il terzo è riservato ad un’attenta e partecipata valutazione del
lavoro svolto.
2
Capitolo 1 - Il quadro teorico - didattico
E’ opinione comune che la geometria, ed in particolare quella del biennio
delle scuole superiori, sia costituita esclusivamente da un insieme di
teoremi e dimostrazioni. Tale impianto è tuttavia l’approdo di un percorso
già iniziato alla scuole medie, ove allo studente è richiesto uno studio
operativo basato sull’intuizione e sull’applicazione di regole. Le
conoscenze geometriche sono cioè un insieme di “fatti” e di “regole” da
ricordare all’occorrenza, ma non necessitanti di ulteriori spiegazioni. E’
dunque con il passaggio alle superiori che ai ragazzi viene proposto un
metodo essenzialmente deduttivo.
Pur svolgendo il tirocinio in una classe del secondo anno, come tale già
avviata all’uso del predetto metodo fin dal precedente anno del corso di
studi, sono emerse perduranti difficoltà da parte degli studenti
nell’affrontare uno studio della disciplina improntato al differente approccio
deduttivo caratteristico del corso.
A tale difficoltà ero preparata, avendo avuto modo di confrontarmi con
un’ampia letteratura sull’argomento, sia ai fini del superamento di alcuni
esami del corso di specializzazione sia per acquisire strumenti utili
all’interpretazione degli episodi che avrei presumibilmente vissuto in aula.
Proprio all’accennato fine interpretativo quindi ho cercato di utilizzare
l’ampio quadro teorico-didattico della Didattica della Matematica.
1.1 Approccio cognitivista
La scelta di considerare in primo luogo l’aspetto formativo per lo
studente non è stata casuale.
La stesura stessa del progetto è stata subordinata ad una riflessione circa
le teorie sull’apprendimento. Condividere un approccio costruttivista
piuttosto
che
uno
comportamentista
avrebbe
caratterizzato
inequivocabilmente il lavoro. La scelta andava dunque fatta a priori!
Se in una visione costruttivista l’allievo diventa costruttore della propria
conoscenza attraverso l’interazione con l’ambiente, in quella
comportamentista l’apprendimento è visto come un fenomeno riproduttivo,
un processo esogeno. In quest’ultima ottica, l’insegnamento si basa
3
sull’esposizione alla lavagna ed agli studenti è richiesta la riproduzione di
quanto esposto.
Solo sposando una visione costruttivista, a mio avviso, si ha la speranza
che la matematica non venga più vista come una disciplina arida, bensì
come una disciplina viva in cui all’allievo viene offerto un ruolo da
protagonista, invitandolo a pensare in modo razionale, a porsi domande ed a
cercare di rispondere senza preoccuparsi delle soluzioni offerte dalla
matematica ufficiale.
La base teorica da cui sono partita quindi nella stesura del mio progetto
può essere sintetizzata nell’idea secondo la quale: “L’istruzione influenza
ciò che l’allievo apprende, ma non determina tale apprendimento. L’allievo,
cioè, non si limita a recepire passivamente la conoscenza, ma la rielabora
costantemente in modo autonomo” ( D’Amore, 1999).
In quest’ottica, l’allievo, messo in condizioni adeguate, riesce a costruire,
in modo attivo, una propria conoscenza, interagendo con l’ambiente (primo
“assioma” teoria costruttivista) ed organizzando poi le sue costruzioni
mentali (secondo “assioma”). In particolare, nel processo di costruzione del
concetto, è essenziale l’interazione fra i soggetti in apprendimento
(l’ambiente viene esteso alla classe, ai piccoli gruppi di lavoro), mentre
quest’ultimo trova le condizioni ottimali per realizzarsi in una zona di
sviluppo potenziale, collocata tra il livello di risoluzione autonoma di
problemi e quello di risoluzione mediante l’aiuto di un adulto.
In ambito geometrico condividere una teoria costruttivista ha implicato
la rinuncia a lezioni articolate in una sequenza di teoremi e dimostrazioni
proposte alla lavagna. Una simile impostazione infatti non avrebbe di certo
stimolato processi di assimilazione, rielaborazione ed appropriazione
endogena. Le lezioni, viceversa, sono state organizzate in modo tale che
l’allievo potesse, dopo un’esperienza concretamente vissuta (tangram,
quesiti posti sotto forma di rompicapo, laboratorio informatico), elaborare
congetture, argomentarle e formalizzarle, giungendo così all’enunciato di
un teorema.
Un approccio costruttivista è stato seguito non solo nella speranza di una
“riappacificazione” dell’allievo con la matematica, ma con la ragionevole
convinzione che esso potesse aiutare lo sviluppo ed il raffinamento delle
capacità di ragionamento del ragazzo, indispensabili per il suo futuro
accesso nella società (effetto meno immediato, ma certo più importante).
4
Nella seguente tabella si è cercato di schematizzare per ciascuna attività,
i contenuti geometrici che ad essa sono correlati (Arrigo, 2001):
Competenza
Sviluppo in Geometria
Analisi
Interpretazione di una figura geometrica
Sintesi
Impostazione di un iter risolutivo, la traduzione in
termini matematici di un testo scritto in lingua
Riflessione
metacognitiva
Riflessione sui procedimenti adottati per la risoluzione
di un problema , in particolar modo di quelli che hanno
portato al successo
Intuizione
Capacità divergente non acquisibile con lo studio ma
sicuramente raffinabile attraverso esso
Invenzione
Capacità sviluppabile chiedendo ai ragazzi di inventare
nuovi problemi, rappresentare in modo differente un
oggetto matematico
1.2 Registri e rappresentazioni
La realizzazione di un tirocinio in geometria ha imposto la riflessione su
argomenti chiave quali il rapporto fra semiotica e noetica, la distinzione fra
disegno e figura, la costruzione di immagini mentali, alla luce delle
possibili misconcezioni 2 che ne possono scaturire.
Al fine di una compiuta esposizione dell’accennata riflessione, occorre
precisare anticipatamente che per oggetto istituzionale/personale
matematico si intende
“un emergente del sistema di pratiche
sociali/personali associate ad un campo di problemi” (Godino, Batanero,
1994).
Si comprende quindi come uno stesso oggetto possa assumere un
significato istituzionale ed uno personale differenti fra loro.
L’odierno processo didattico si pone come obiettivo quello di far
coincidere il significato personale con quello che la comunità scientifica ha
accettato come pertinente e corretto.
2
“Una misconcezione è un concetto errato e dunque costituisce genericamente un evento da evitare; essa
però non va vista sempre come una situazione del tutto negativa: non è escluso che per raggiungere la
costruzione di un concetto, si renda necessario passare attraverso una misconcezione momentanea, ma in
corso di sistemazione”. (D’Amore 1999)
5
Poiché ogni concezione è in evoluzione storico-critica perenne, è
impossibile valutare il raggiungimento di questo limite; sarebbe quindi più
corretto parlare di oggetto acquisito dalla comunità scientifica fino ad ora.
“L’oggetto è qualche cosa di ideale, di astratto, punto culminante di un
processo perennemente in atto, del quale abbiamo solo un’idea limitata
all’evoluzione storica ed allo stato attuale” (Bagni, D’Amore, 2005).
1.2.1 Gestione registri semiotici
Un aspetto importante delle misconcezioni in geometria riguarda le
diverse rappresentazioni degli enti primitivi ed in generale di tutti gli
“oggetti” geometrici.
A tale proposito pare inevitabile fare riferimento alla teoria proposta da
Duval, secondo la quale l’acquisizione concettuale di un oggetto passa
necessariamente attraverso l’acquisizione di una o più rappresentazioni
semiotiche.
Le rappresentazioni mentali, secondo Duval, sono il risultato di un
processo di interiorizzazione delle rappresentazioni semiotiche. La
disponibilità di più sistemi semiotici permette differenti rappresentazioni di
uno stesso oggetto, il che arricchisce le capacità cognitive dei soggetti e le
loro rappresentazioni mentali. Riflettendo sull’affermazione di Duval
secondo cui “non c’è noetica senza semiotica”, è possibile puntualizzare
quanto segue:
ogni concetto matematico ha rinvii a “non oggetti” e dunque la
concettualizzazione non si basa sulla realtà concreta;
ogni concetto matematico deve servirsi di rappresentazioni, non
esistendo “oggetti” utili a manifestarli; la concettualizzazione deve
necessariamente passare attraverso registri rappresentativi che, soprattutto
se sono a carattere linguistico, non sono univoci;
in matematica si parla molto più spesso di “oggetti” che non di
“concetti” in quanto in matematica si studiano preferibilmente oggetti
piuttosto che concetti 3 .
Da tali riflessioni si intuisce che l’attenzione non va posta tanto sul
concetto, quanto sulla coppia (segno, oggetto) ed è per tale motivo
3
D’Amore B. Le basi filosofiche, pedagogiche, epistemologiche e concettuali della Didattica. Pitagora
Bologna
6
didatticamente importante soffermarsi sui segni utilizzati nella
rappresentazione dell’oggetto matematico.
Ridurre il segno ai simboli convenzionali che individuano direttamente
l’oggetto può portare a misconcezioni, in quanto l’alunno sarà indotto a
confondere gli oggetti matematici con le loro rappresentazioni semiotiche.
La costruzione della conoscenza matematica è legata alla capacità di
utilizzare differenti registri di rappresentazione semiotica di un concetto
ovvero alla capacità di rappresentare l’oggetto in un certo registro, di
trattare le informazioni ricavate e di convertirle da un dato registro ad un
altro 4 .
La pluralità di registri permette all’allievo non solo di distinguere fra
l’oggetto stesso e la sua rappresentazione, ma anche di ottenere un numero
esaustivo di informazioni sull’oggetto. Infatti ciascuna rappresentazione
può fornire informazioni differenti sullo stesso oggetto, evidenziando
ciascuna un aspetto dello stesso. Una corretta gestione dei registri semiotici
è un aspetto da considerare costantemente non solo in riferimento alle
misconcezioni, ma anche per evitare che l’allievo rinunci alla devoluzione 5 .
Tale rinuncia potrebbe scaturire da una difficoltà di rappresentare,
trattare, convertire le varie rappresentazioni semiotiche della quale l’allievo
potrebbe farsi pieno carico, ma che al contrario potrebbe dipendere
dall’assenza di una didattica specifica. Di fronte a simili difficoltà il
ragazzo potrebbe decidere di delegare alla scuola il compito di selezionare
per lui i saperi significativi (scolarizzazione dei saperi), rendendo
impossibile l’attuazione di un approccio costruttivista.
1.2.2 Aspetti figurali e concettuali
Oltre alla gestione dei differenti registri semiotici, nello studio della
geometria, occorre considerare anche le misconcezioni frutto di uno
squilibrio fra componente concettuale e figurale di un determinato oggetto
geometrico.
Una figura geometrica può essere sì descritta con proprietà concettuali,
ma non può limitarsi ad esse, includendo anche rappresentazioni mentali di
4
Rappresentazione, Trattamento, Conversione sono caratteristiche proprie della semiotica
Per “devoluzione” si intende l’atto con il quale l’insegnante delega allo studente di farsi carico diretto della
responsabilità della costruzione del proprio sapere. Quando l’allievo accetta l’apprendimento è possibile; in
altri casi lo studente non accetta di impegnarsi personalmente, ed allora l’apprendimento è impossibile.
5
7
proprietà spaziali 6 . Le figure geometriche, quindi, rappresentano
costruzioni mentali che possiedono simultaneamente proprietà concettuali e
figurali. Vincoli psicologici impediscono l’integrazione fra proprietà
spaziali (forme, posizione, grandezze) e qualità concettuali (astrattezza,
generalità, perfezione). Ciononostante la loro armonizzazione deve essere
fra gli obiettivi didattici di un insegnante. Quest’ultimo deve aver presente
che la “fusione fra concetto e figura”, con la predominanza dei primi sui
secondi, non è un processo naturale e necessita quindi di una particolare
attenzione.
La rappresentazione figurale è ciò che contraddistingue i concetti
geometrici da altri concetti matematici, ma la sola rappresentazione figurale
non è sufficiente per la formazione del concetto geometrico; solo con un
atto mentale, un disegno può essere interpretato e può arrivare a
condividere con il concetto che rappresenta anche la generalità (D’Amore,
1999). Se ciò non avviene, c’è il rischio che la rappresentazione iconica
venga identificata con il concetto geometrico (D’Amore, 2003), ossia che
l’aspetto figurale sia troppo forte e porti a cancellare gli indispensabili
vincoli concettuali.
La confusione fra “figura” e “disegno” è assai diffusa: spesso il termine
figura viene utilizzato sia per indicare l’ente matematico astratto ed ideale
sia una sua specifica rappresentazione grafica, vale a dire il disegno della
figura stessa.
Credo che tale confusione abbia indotto in errore alcuni studenti quando,
nella risoluzione del test iniziale, non hanno riconosciuto alcuni quadrilateri
particolari (parallelogrammo, trapezio) solo perché disegnati in posizioni
differenti da quelle usualmente rappresentate nei libri di testo.
E’ bene quindi sottoporre sempre il disegno ad un controllo concettuale
al fine di comprendere il modello mentale che lo studente si è costruito in
relazione ad un concetto geometrico.
Riflettendo sull’importanza del disegno, non è possibile non considerare
le quattro forme di comprensione cognitiva collegate al modo in cui una
persona guarda il disegno di una figura geometrica: percettiva, sequenziale,
discorsiva e operativa.
6
La tematica sull’armonizzazione degli aspetti figurali e concettuali è stata introdotta da Efraim Fischbein
nel 1963, affermandosi solo più tardi con un importante articolo dello stesso, pubblicato nel 1993
8
La comprensione percettiva riguarda ciò che una persona riconosce a una
prima occhiata quando guarda una figura geometrica; la componente
sequenziale viene coinvolta per descrivere la costruzione di una figura;
quella discorsiva fa riferimento alle proprietà matematiche assegnate o
ricavate da altre proprietà; quella operativa infine dipende dai diversi modi
di modificare una figura.
La prima fase, quella percettiva, assume fondamentale rilievo quando si
esamina l’aspetto figurale. Essa implica la costruzione di un’immagine
interna a partire da stimoli esterni. Tale rappresentazione figurale è
estremamente soggettiva ed è importante evidenziare nel corso di una
lezione, la varietà di interpretazioni e gli “inganni” che si possono celare
nelle rappresentazioni iconiche. Un simile lavoro educa gli studenti a
guardare con occhio critico l’aspetto figurale conferendo maggiore
importanza a quello concettuale.
Ho potuto constatare durante il tirocinio, quanto la prima
“interpretazione” che il ragazzo attribuisce al disegno, influenzi poi il
successivo svolgimento del relativo esercizio. E’ capitato, infatti, che i
ragazzi incontrassero difficoltà nell’esecuzione di un problema, avendo
inizialmente interpretato il disegno fatto alla lavagna come un unico
quadrilatero e non come l’unione di n figure differenti fra loro.
1.2.3 Immagini mentali
L’elaborazione di dati, figurali o proposizionali, che l’individuo ha
acquisito su un determinato concetto, accompagnata dalle esperienze
personali e dalle influenze culturali, dà vita ad immagini mentali. L’insieme
di tutte le immagini mentali che uno studente ha costruito in relazione ad
uno stesso concetto costituiscono un modello mentale.
E’ importante comprendere le immagini mentali che un ragazzo sta
costruendo per evitare un eventuale conflitto cognitivo. Esso si verifica
allorquando, nelle successive sollecitazioni, il modello venutosi a creare
entra in contrasto con le nuove immagini.
L’esplicitazione di tali modelli non è una cosa semplice né immediata.
Ogni qualvolta infatti una persona tenta di comunicare il proprio modello
mentale relativo ad un concetto, lo traduce in un modello esterno. Questo
9
rappresenta “la proposta comunicativa consapevole in una qualche forma di
linguaggio, proposta fatta per necessità di comunicare” (D’amore, 1999).
L’insegnante, quindi, deve essere consapevole che un’esposizione dello
studente non rappresenta l’immagine mentale che egli si è costruito, ma
soltanto una sua traduzione, condizionata peraltro dalle clausole del
contratto didattico.
Alla luce di quanto detto, ho deciso, al termine del mio tirocinio, di
assegnare ai ragazzi alcuni TEPs, in considerazione del fatto che tale
tecnica di indagine consente al ragazzo di svincolarsi più facilmente
dall’idea dell’insegnante valutatore e di esprimere con maggiore libertà la
propria immagine mentale.
1.3 Forme di conoscenza
Tutte le lezioni di tirocinio, come era naturale che fosse, sono state
precedute da uno studio dell’argomento da trattare. La domanda che mi
sono costantemente posta era quale fosse il giusto approccio da utilizzare,
quale strumento aiutasse i ragazzi a comprendere ed in futuro a
padroneggiare l’argomento.
Guidata da un’ampia letteratura in materia di didattica della matematica,
il dilemma è usualmente approdato alla scelta fra il privilegiare l’intuizione
ovvero la rigidità del binomio definizione/dimostrazione.
1.3.1 L’intuizione
Com’è noto la riflessione sull’intuizione come forma di conoscenza trova
le sue origini in tempi remoti nel campo filosofico ed è rinvenibile già negli
scritti di Platone ed Aristotele.
In campo psicologico, Fischbein affida all’intuito uno dei tre livelli 7
caratterizzanti qualsiasi attività in campo matematico. In particolare, egli
distingue fra l’intuizione di anticipazione e quella di accettazione. La prima
può essere identificata in una sorta di congettura preliminare che precede la
vera e propria risoluzione. L’intuizione di accettazione, invece, è costituita
7
Livello formale riguarda la struttura logico deduttiva della disciplina
Livello algoritmico riguarda gli strumenti utilizzati (operazioni, definizioni, teoremi)
Livello intuitivo riguarda la dinamica che porta il ragazzo ad accettare un enunciato come cosa evidente e
certa.
10
da un insieme di rappresentazioni, relazioni, interpretazioni che lo studente
considera evidenti.
Per Fischbein le intuizioni di accettazione contengono sempre “un
elemento di fede”, un atto di fiducia verso il libro, l’insegnante (grado di
fiducia banale), verso le proprie competenze o convinzioni.
Ad ogni modo tali intuizioni nascono da un’elaborazione interna della
persona e non da forme di convincimento esterne.
Le conoscenze umane possono quindi essere suddivise in conoscenze
immediate e conoscenze mediate. Solo le prime scaturiscono tuttavia
dall’intuizione, mentre per le seconde l’essere umano cerca una forma di
evidenza, le rielabora per cercare di trasformarle in conoscenze vicine a
quelle prodotte dalle intuizioni. A livello matematico il tentativo della
persona di associare significati intuitivi a concetti astratti, genera modelli.
In questa costruzione bisogna prestare la dovuta attenzione, in quanto non
sempre il modello intuitivo rende piena ragione del concetto da cui è
scaturito.
L’intuizione va quindi “guidata”, facendo anche uso di diagrammi,
schemi che fissino in qualche forma, da subito, il concetto intuitivo anche
senza ricorrere ad ulteriori spiegazioni. Essa va educata e stimolata,
rivestendo una notevole importanza in una fase, antecedente alla
dimostrazione, costituita da congetture, tentativi che via via si perfezionano.
Questa attività preliminare è affidata alla capacità di intuizione, prima
ancora che di organizzazione razionale della dimostrazione, ed è di
fondamentale importanza nella persuasione dell’alunno. Tale finalità
persuasiva non può essere lasciata alla sola dimostrazione che, come
osservato da Speranza (1992), “non dà il massimo convincimento”.
Alla luce di tali riflessioni, ho cercato nelle varie lezioni di anteporre
sempre alla dimostrazione attività che consentissero ai ragazzi di maturare
opinioni e successivamente di convincersi di quanto enunciato. Le attività
svolte in laboratorio informatico, piuttosto che quelle svolte in classe con
l’uso del tangram, sono servite sia a sollecitare l’interesse degli alunni
sull’argomento sia a “rendere visibile” le proprietà enunciate.
Se quindi l’intuizione permette di “vedere” un determinato concetto, di
convincersi della sua universalità, quale finalità ha la dimostrazione?
11
1.3.2 La dimostrazione
“Siamo stati educati nell’ideale aristotelico-euclideo nel quale la
matematica viene presentata secondo lo schema enunciati-dimostrazioni.
Siamo arrivati a far coincidere con questo stile la sostanza della razionalità
matematica”(Speranza, 1992).
Basta sfogliare un qualsiasi testo di matematica per convincersi che
l’affermazione appena enunciata risulta ancor oggi fondamentale
nell’impostazione dei corsi di matematica.
La visione dello studio matematico come sequenza di teoremi e
dimostrazioni è ancor più evidente nell’ambito geometrico. Di certo
nessuno può negare l’importanza delle dimostrazioni ma è altrettanto
impensabile perseguire una loro impostazione puramente formalistica nella
quale cioè lo studente funge da spettatore senza essere coinvolto sul piano
della sua produzione, e della riflessione su cosa si intenda per “dimostrare”.
Un simile approccio renderà l’allievo capace di ripetere la dimostrazione
proposta dall’insegnante ma non di produrne delle proprie in modo
autonomo.
Affinché il ragazzo acquisisca padronanza nello svolgimento della
dimostrazione occorre altresì considerare il passaggio cognitivo da una
forma di ragionamento naturale (adottato fino alle scuole medie) ad una
deduttiva. Nell’introduzione al nucleo fondante “Argomentare,
Congetturare, Dimostrare”, presente in ‘La matematica per il
cittadino’(UMI 2003), si ribadisce la necessità, nelle scuole superiori, di
“supportare gli studenti nell’evoluzione che li porta dall’argomentare al
dimostrare”, mettendo così in evidenza l’importanza e la difficoltà insite in
tale passaggio.
Per comprendere tale difficoltà è importante sottolineare la differenza
che intercorre tra la spiegazione, l’argomentazione e la dimostrazione. La
spiegazione fornisce uno o più ragioni per rendere comprensibile un dato. Il
ragionamento ha per scopo la modifica del valore epistemico di un
enunciato-bersaglio e la determinazione del suo valore di verità; fra le varie
forme di ragionamento possiamo distinguere l’argomentazione e la
dimostrazione. “Affinché un ragionamento sia una dimostrazione è
necessario che sia un ragionamento valido. L’argomentazione, al contrario,
12
è un ragionamento che non obbedisce a vincoli di validità, ma a vincoli di
pertinenza” (Duval, 1996).
Inoltre è bene sottolineare che “lo sviluppo dell’argomentazione, anche
nelle sue forme più elaborate, non apre la via verso la dimostrazione”
(Duval, 1996), anzi tale passaggio crea rottura cognitiva. Attraverso lo
studio dell’inferenza e del concatenamento 8 , Duval evidenzia altresì le
differenze notevoli che intercorrono fra l’argomentare ed il dimostrare,
individuando nel primo una maggiore somiglianza con il linguaggio
naturale. Poiché il ragionamento deduttivo si esprime all’interno dello
stesso discorso naturale, gli studenti confondono queste due forme distinte
di ragionamento. E’ quindi necessario esplicitare agli studenti la vera natura
della dimostrazione portandoli alla scoperta che:
ogni proposizione ha due valori uno logico (vero/falso) ed uno
epistemico;
non è detto che due proposizioni vere abbiano per questo lo stesso
valore epistemico 9 ;
in matematica ci si occupa delle proposizioni vere apodittiche (la
cui certezza è cioè dovuta a conclusioni necessarie).
D’altro canto, all’insegnante non deve sfuggire la difficoltà che i ragazzi
incontrano nell’aderire alla logica aristotelica come modello della
dimostrazione naturale. Di fronte ad un’esposizione “scorretta” dello
studente, basata su deduzioni che tengono presente fin dall’inizio la tesi cui
si vuol giungere, egli dovrebbe innanzitutto domandarsi quale sia il quadro
logico che il ragazzo sta assumendo come riferimento. Recenti ricerche
hanno evidenziato, infatti, come “talvolta il comportamento argomentativodimostrativo di uno studente, in situazione spontanea, è più empiricamente
vicino alla nyaya 10 che non alla logica aristotelica” (D’Amore, 2005b).
Se quindi la dimostrazione racchiude in sé tante difficoltà, perché
perseguirla?
8
Per Inferenza si intende il passo singolo del ragionamento, per Concatenamento la transizione che porta da
un passo di ragionamento al successivo
9
Per valore epistemico si intende il grado di certezza o di convinzione attribuito ad una proposizione
10
La nyaya (dottrina filosofica indiana) distingueva nel suo sillogismo cinque elementi assertivi:
L’asserzione (pratijna) (non è dimostrata; è l’enunciazione di quel che si vuol dimostrare);
La ragione (hetu);
La proposizione generale o enunciato (udaharana), seguita da un esempio;
L’applicazione (upanaya), detta anche seconda asserzione;
La conclusione (nigamana).
13
Molti autori (fra cui Bachelard) hanno attribuito alla dimostrazione la
funzione di convincere se stessi, altri (fra cui Doise e Mugny) l’hanno
considerata come il fatto sociale di convincere membri dello stesso gruppo.
Già con il tirocinio di osservazione ho notato che tali teorie non calzavano
con la realtà della classe e con le necessità dei ragazzi. Per convincere gli
studente erano necessarie argomentazioni pertinenti. Solo dopo tale
passaggio ha senso affrontare la dimostrazione con l’obiettivo di spiegare
perché l’enunciato vale all’interno di un sistema di conoscenze più o meno
ben argomentato (Paola, 2000). Proprio tali riflessioni mi hanno indotto a
modificare il piano delle attività di laboratorio previste nel progetto.
Inizialmente infatti avevo manifestato l’intenzione di portare i ragazzi in
laboratorio informatico per verificare il teorema di Pitagora dopo aver
affrontato in aula la sua dimostrazione. Una riflessione condotta
congiuntamente al supervisore ed alla tutor ha tuttavia evidenziato come
l’utilità del laboratorio fosse proprio quella di convincere i ragazzi e come
dunque tale attività dovesse precedere la dimostrazione. Onde evitare una
stasi nell’attività didattica abbiamo quindi ritenuto di rinviare lo
svolgimento delle esperienze di laboratorio alla verifica del II teorema di
Euclide, facendo precedere la stesse alla dimostrazione in aula di
quest’ultimo.
1.4 Il linguaggio
Fra gli ostacoli di natura didattica, quelli derivanti dal linguaggio
rivestono uno spessore notevole.
Può sorprendere quanto il problema sia sentito, non solo nello studio
della matematica, tanto da spingere lo studioso R. Flesh ad elaborare una
formula di leggibilità dei testi letterari. La facilità di un testo per Flesh può
essere espressa dalla quantità seguente:
F = 206.85 − 0.59 x − 1.015 y
dove x = numero di sillabe per 100 parole ed y = numero di parole per
frase.
L’applicazione ai testi matematici di tale formula può essere faticosa, ma
alcune prove aiutano a comprendere come effettivamente lo stesso
problema, posto in forme diverse, presenti un differente grado di difficoltà.
14
Nella scelta del linguaggio da utilizzare in aula si è di fronte al paradosso
del linguaggio specifico:
il linguaggio adoperato in aula deve favorire, e non ostacolare,
l’apprendimento degli allievi (a tal fine la comunicazione deve avvenire in
lingua comune);
la matematica ha un suo linguaggio e fra gli obiettivi dell’insegnante
deve esserci quello di far acquisire agli studenti tale linguaggio specifico.
Il paradosso si fa evidente soprattutto nelle scuole secondarie superiori
dove ai ragazzi è espressamente richiesta una padronanza del linguaggio
specifico, non solo esplicativo ma anche formale.
Seguendo Laborde, un discorso matematico deve rispondere a
caratteristiche di precisione, concisione, universalità, ma spesso i ragazzi,
nel tentativo di ripetere frasi quanto più simili a quelle pronunciate
dall’insegnante, ne producono altre completamente prive di senso.
Ho avuto modo di riscontrare tale fenomeno quando, alla mia richiesta di
enunciare un dato teorema, uno studente ha risposto asserendo che ‘un
parallelogramma è equivalente ad un rettangolo avente base ed altezza
congruente’. Sollecitato a completare l’enunciato, l’alunno è rimasto
sorpreso, non riuscendo a comprendere l’origine della mia richiesta.
Per stabilire se un testo matematico è davvero comprensibile, bisogna
considerare le caratteristiche linguistiche che Laborde ha proposto come
variabili redazionali: grado di esplicitazione ottenuto dall’impaginazione,
dalla punteggiatura e dalle strutture sintattiche impiegate; complessità
sintattica; densità dell’enunciato; ordine delle informazioni fornite;
differenza tra la forma in cui le informazioni sono date e quella in cui le si
deve trattare nella risoluzione; grado di esplicitazione degli oggetti
intermedi utili alla risoluzione del problema (Laborde, 1995). Nel valutare
il grado di difficoltà di un problema assegnato, quindi, sarebbe consigliabile
esaminare anche tali variabili.
Ho peraltro sperimentato personalmente le difficoltà derivanti dal
linguaggio. Mi è capitato infatti di ricercare alcuni quesiti su libri diversi da
quelli di testo e di trovare difficoltà nel tradurre in linguaggio matematico
uno di essi, salvo poi ritrovare lo stesso esercizio nel libro di testo, ove una
esposizione più lineare ne facilitava enormemente l’interpretazione ed il
successivo svolgimento. Un’analisi delle relative variabili redazionali e
15
l’applicazione della formula di Flesh ai testi dei due quesiti (vedi allegato n.
2) hanno confermato le mie difficoltà.
1.5 Il laboratorio
La stesura del progetto è stata realizzata con l’intento di conferire quanto
più spazio possibile alle attività di laboratorio, inteso, in accordo con quanto
riportato nell’UMI 2003, “non come luogo fisico diverso dalla classe, ma
come insieme strutturato di attività volte alla costruzione di significati degli
oggetti matematici”. Le attività di laboratorio non dovevano dunque
esaurirsi nell’utilizzo di software, bensì estendersi a lavori in aula,
utilizzando il tangram, cartoncini opportunamente tagliati e colorati,
manipolazione di oggetti.
Simili attività hanno aiutato nell’intento di mostrare una matematica
differente, potendo altresì risultare utili nello stimolare l’interazione tra gli
studenti, nonché tra studenti ed insegnanti.
Inoltre, con le attività di laboratorio, la devoluzione scatta
necessariamente, in quanto l’insegnante ha il solo compito di stimolare
mentre al ragazzo è lasciata tutta la responsabilità di costruzione. In
laboratorio, più che altrove, “lo studente deve implicarsi, farsi carico
personale della costruzione non solo del sapere ma anche dell’oggetto
attraverso il quale il sapere concretamente transita” (D’Amore, 2005a).
Le relative attività devono essere caratterizzate dalla realizzazione,
dall’ideazione di qualcosa, di un oggetto concreto di contenuto matematico.
In particolare, l’impostazione che ho dato all’attività di laboratorio
informatico si è basata sull’utilizzo di software al fine di esplorare e
verificare importanti teoremi di geometria, obiettivo rinvenibile nei
programmi P.N.I. per il biennio.
Naturalmente occorre considerare che, dopo l’iniziale entusiasmo per la
nuova attività, l’interesse dei ragazzi potrebbe calare, rientrando anche
questa nella routine scolastica. E’ per questo motivo che la figura del
docente deve rimanere centrale.
Il software deve essere utilizzato come uno strumento finalizzato
all’apprendimento, che va opportunamente gestito ed organizzato. Fra i
software utilizzabili ho posto l’attenzione su quello di geometria dinamica
Cabrì (Cahier de BRuillon Interectif), attraverso il quale, utilizzando la
16
tecnica del trascinamento, l’attenzione si sposta dal prodotto al processo
utilizzato per ottenerlo. Le figure del Cabrì dunque possono essere
considerate “la controparte esterna di ciò che a livello mentale è un concetto
figurale” (Mariotti,1998).
Già nella costruzione delle figure, i concetti geometrici devono essere
esplicitati e ordinati nella sequenza di comandi che realizza la procedura di
costruzione. Con tali operazioni, il ragazzo esplora l’universo della
geometria elementare scoprendone le proprietà. Quanto detto non deve
indurre di certo a pensare che il software possa sopperire al disegno con
riga e compasso oppure al calcolo dell’area di una figura geometrica,
disegnata su un foglio, attraverso la misurazione delle lunghezze e degli
angoli.
Se il rifiuto dell’innovazione costituisce un errore, è egualmente grave
sostituire il vecchio con il nuovo. Come in tutti i processi, un periodo di
assestamento è inevitabile, ma bisogna lavorare alla ricerca di un giusto
equilibrio. Una buona strada per il concretizzarsi di tale obiettivo, sarebbe
sicuramente l’individuazione dei pregi e dei limiti dell’uso del software
geometrico rispetto all’utilizzo degli strumenti da disegno tradizionali. In
particolare è possibile affermare che il software geometrico:
costringe a rispettare regole precise nella costruzione delle figure;
è più coinvolgente;
facilita la formulazione di congetture;
Va però osservato che attraverso il suo utilizzo:
si riduce ulteriormente la manualità;
l’evidenza visiva rischia di far perdere interesse per il metodo
ipotetico-deduttivo;
la visualizzazione delle figure geometriche sullo schermo di un
calcolatore rischia di accentuare ancor più la frattura fra la struttura
granulare della materia e le nozioni di ”infinito”, “illimitato”, “continuo”
(Villani, 2003).
A queste considerazioni, aggiungerei, anche in base a quanto osservato
durante il tirocinio, che i ragazzi possono confondere, nell’utilizzo del
software, la dimostrazione con l’argomentazione. Va quindi richiamata la
loro attenzione sul fatto che l’attività di laboratorio serve come palestra nel
congetturare ed argomentare, ma che la dimostrazione ha altre
17
caratteristiche e che tali operazioni mentali sono tutte necessarie, non
potendo l’una sostituire le altre.
18
Capitolo 2 - L’esperienza in classe
L’attuazione del progetto non ha subito rilevanti modifiche rispetto alla
sua progettazione, salvo che per la variazione dell’oggetto riguardante
l’attività di laboratorio informatico e per alcune lezioni aggiuntive dedicate
all’esercitazione, espressamente richieste dalla tutor.
Mentre nell’ allegato n. 3 sono riportati gli schemi dettagliati di ciascuna
lezione, di seguito sono presentate, suddivise nelle analoghe fasi del
progetto, alcune considerazioni sullo svolgimento delle lezioni.
2.1 Fase 1: conoscenza della classe
La prima ora di tirocinio attivo è stata riservata alla mia presentazione ed
alla esecuzione di un test volto ad accertare le competenze possedute dai
ragazzi relativamente ai concetti che gli stessi avrebbero dovuto
successivamente utilizzare nella trattazione dell’equiestensione.
Quanto alla presentazione, ho ritenuto opportuno dedicare alla stessa
tutto il tempo necessario a chiarire il mio ruolo, ritenendo che fosse giusto
far comprendere ai ragazzi il motivo di questa momentanea “sostituzione”.
E’ mia ferma convinzione, del resto, che tra gli aspetti più piacevoli
dell’insegnamento vi sia proprio il rapporto quotidiano con i ragazzi e che
questo vada coltivato fin dal primo giorno. Credo inoltre che
nell’insegnamento la comunicazione vada sviluppata non solo sul piano
razionale ma anche su quello affettivo: “Non si apprende da chi non si ama”
(D’Amore, 2004).
Alla presentazione del progetto e del tirocinio, la classe ha risposto con
entusiasmo, ponendo ulteriori domande sul tirocinio e pensando addirittura
che il test da affrontare fosse riferito alla loro vita personale.
Questo breve colloquio iniziale è servito altresì a “rompere il giaccio”,
consentendomi di superare l’ inevitabile impaccio iniziale.
Il test proposto (allegato n. 4) si è svolto in un’atmosfera rilassata grazie
alla quale i ragazzi hanno azzardato anche risposte a domande che
anticipavano gli argomenti da trattare nel corso del tirocinio ed inserite nel
questionario al solo fine di “testare” le loro reminiscenze dalle scuole
medie. Naturalmente, ne sono consapevole, sull’effervescenza con cui i
19
ragazzi hanno affrontato il test, molto ha influito la dichiarata assenza di
una specifica valutazione collegata allo stesso.
Il primo quesito richiedeva di disegnare il quadrilatero la cui definizione
era data in scrittura simbolica. La maggior parte dei ragazzi, in
corrispondenza della definizione di parallelogramma ha disegnato un
rettangolo, in quella di rombo un quadrato ed in quella di trapezio un
trapezio isoscele.
Ho potuto quindi desumere che i ragazzi erano in grado di distinguere fra
parallelogramma e trapezio, ma che tendevano inconsapevolmente ad
aggiungere proprietà non espresse nelle ipotesi verbali. Poiché alla mia
richiesta di enunciare le definizioni dei tre quadrilateri che costituivano
l’esatta risposta, i ragazzi hanno risposto correttamente, ho potuto fin da
subito constatare la loro difficoltà nell’utilizzo della scrittura simbolica, a
cui gli studenti non ricorrono mai in modo spontaneo. Era evidente inoltre
che gli studenti avevano imparato le definizioni imitando il più possibile il
linguaggio dell’insegnante, senza far proprio, tuttavia, il significato sotteso
allo stesso. Mi sono prefissa quindi l’obiettivo di proporre le definizioni
anche in un linguaggio autenticamente naturale affinché i ragazzi facessero
propri i relativi concetti. A conferma di quanto accennato, ho riscontrato
altresì che tutti gli alunni sono stati in grado di dare una definizione corretta
di congruenza, salvo poi rifugiarsi in affermazioni del tipo “si vede ad
occhio”, quando, nel successivo quesito, si chiedeva di individuare, fra
cinque figure, quelle fra loro congruenti.
Relativamente alla seconda domanda, alla mia richiesta di tracciare
l’altezza di un dato triangolo, Debora fornisce la seguente risposta
Nel test iniziale ho fatto diffusamente ricorso ai disegni in quanto essi
possono essere utilizzati per intuire il modello mentale di un concetto che
l’allievo si è costruito. L’immagine iniziale che Debora ha costruito in
relazione alle altezze di un triangolo, confermata da molteplici esempi, si è
trasformata in modello intuitivo rivelatosi poi modello parassita, secondo il
20
quale le altezze devono cadere sempre all’interno del triangolo. Ho quindi
proposto un’immagine generica di altezza, che ha permesso a Debora di
ampliare l’immagine che possedeva. Il conflitto cognitivo che nasce tra
l’immagine precedente e quella successiva, determina la costruzione di una
successione di immagini, fino a quella più definitiva detta modello, “che
racchiude il massimo delle informazioni e che si dimostra stabile rispetto ad
un buon numero di ulteriori sollecitazioni” (D’Amore, 1999) .
L’ultima domanda del test era finalizzata a comprendere il grado di
conoscenza del software Cabrì posseduto dai ragazzi, al fine di organizzare
correttamente le successive attività in laboratorio. Ho potuto così constatare
che quasi tutti gli studenti avevano già utilizzato nel corso delle scuole
medie tale programma, anche se non ricordavano l’argomento specifico per
la cui trattazione il software era stato impiegato.
2.2 Fase 2: introduzione al concetto di equiestensione
La lezione è iniziata con l’introduzione del concetto di estensione
illustrando altresì l’utilità di tale concetto nella vita quotidiana e
l’evoluzione storica che esso ha avuto fin dall’Antico Egitto (allegato n. 5).
Alla domanda “Cosa si intende per estensione”, Francesco ha risposto
con sicurezza “l’area di una figura”. Tale intervento ha riscosso il consenso
di tutta la classe, tanto che la mia non piena approvazione ha creato
sbigottimento. Mi è sembrato allora opportuno evidenziare come
l’affermazione di Francesco non fosse del tutto sbagliata, sottolineando
tuttavia come l’area sia la caratteristica comune a tutte le superfici aventi la
medesima estensione. L’osservazione dell’alunno ha così fornito
l’occasione per introdurre il concetto di estensione come relazione
d’equivalenza.
Alla mia affermazione che ogni superficie piana è equivalente a se stessa,
Anush ha commentato “è ovvio! perché dirlo” . L’intervento mi ha
sinceramente colto di sorpresa, ed avrebbe meritato forse un maggiore
approfondimento teso ad evidenziare l’importanza e la non immediatezza
della proprietà riflessiva.
Al fine di proporre in modo accattivante il concetto di figure
equiscomponibili, mi è parso utile fare ricorso al gioco del tangram. La
classe è stata divisa in cinque gruppi, a ciascuno dei quali è stato assegnato
21
un tangram ed una figura da costruire (allegato n. 6). Inizialmente i ragazzi
sono rimasti favorevolmente sorpresi: una geometria spiegata non alla
lavagna ma utilizzando i riferimenti storici ed il gioco non rientrava nella
loro comune esperienza.
Il tangram si è rivelato un mezzo efficace non solo per l’introduzione del
concetto di equiscomponibilità, ma anche per l’accostabilità tra figure piane
e per l’acquisizione di competenze nel lavorare “concretamente” con figure
geometriche. Nel gioco del tangram l’aspetto creativo, dialogico e
costruttivo può prevalere su quello matematico, ma ciò non va visto come
un fattore negativo (Sbaragli, 2001). Anzi questa attività è servita a
risvegliare l’interesse nei ragazzi ed a rendere meno passivo il loro
atteggiamento nei confronti del lavoro scolastico.
La situazione creata era prettamente a-didattica: dopo l’attività di gruppo,
i ragazzi, interrogati sulle caratteristiche che avevano tutte le figure
costruite con il tangram, hanno individuato l’equiscomponibilità e
l’equiestensione. Beatrice ha voluto però sottolineare che le figure costruite
non potevano ritenersi tutte congruenti fra loro.
Alla mia richiesta di individuare, data un disegno rappresentante un arco
di luna ed un quadrato (allegato n. 7), le proprietà che accomunavano tali
figure, i ragazzi si sono affannati nel fornire una serie di “soluzioni” la cui
casualità era tuttavia evidente.
E’ emerso in tal modo che nel contratto didattico i ragazzi avevano
inserito la clausola secondo la quale, in una gamma di opzioni, ne esiste
almeno una esatta. Un simile esercizio di riconoscimento di sicuro stride
con la natura scientifica della matematica. Le caratteristiche di un qualsiasi
modello devono infatti essere attribuite per definizione o per deduzione
logica, non certo sulla base di impressioni percettive (Maier, 1998). Tale
attività era tuttavia necessaria affinché i ragazzi scoprissero, attraverso una
libera discussione, le relazioni di implicazione che legano il concetto di
congruenza, equiscomponibilità ed equiestensione.
E’ seguita una lezione in laboratorio informatico, nel corso del quale ai
ragazzi sono state presentate alcune macro sviluppate con Cabrì (allegato n.
8). Purtroppo il verificarsi di alcuni imprevisti ha ritardato l’accesso al
laboratorio, imponendo ritmi più serrati alla sperimentazione. Non è stato
possibile quindi concedere ai ragazzi il tempo necessario ad una piena
familiarizzazione con i modelli. I ragazzi hanno tuttavia accolto il mio
22
invito a visitare il sito web anche da casa, dimostrandomi successivamente
di aver effettivamente continuato tale osservazione.
Ciascuna macro presentava un quadrilatero, dal quale, trascinando
opportunamente un punto, era possibile ottenere un’altra figura. In questo
modo i ragazzi hanno potuto “vedere” in anticipo alcune proprietà che
avrebbero poi costituito oggetto di specifica dimostrazione.
Nella successiva lezione, Cristian è stato chiamato alla lavagna al fine di
dimostrare l’equivalenza fra un rettangolo ed un triangolo sotto particolari
ipotesi.
Lo studente ha seguito il seguente ragionamento: “Disegno le due figure
sovrapposte, il pezzetto che fuoriesce di una delle due figure lo sposto fino
a sovrapporlo al pezzetto che fuoriesce dalla seconda figura, dimostro che i
due pezzetti sono congruenti ”. Non è difficile ritrovare nello sviluppo
logico di Cristian un condizionamento operato dalle macro viste in
laboratorio, sebbene avessi più volte ribadito che l’attività di laboratorio
non poteva sostituire la dimostrazione. Ciò a conferma che, per quanto i
modelli vengano scelti con attenzione, essi non potranno mai rappresentare
un concetto geometrico in modo completo. Per generare idee appropriate ai
concetti, ciascun modello deve essere elaborato mentalmente (Maier, 1998).
In questa elaborazione è importante la comunicazione fra l’insegnante e lo
studente. Solo attraverso gli strumenti linguistici, l’insegnante può capire
come i ragazzi interpretano i modelli e quali siano le loro idee concettuali.
Cristian ha avuto difficoltà a convincersi che la sovrapposizione fosse
un’ipotesi aggiunta di sua iniziativa e che essa non poteva risultare scontata
ma al contrario giustificata. Mi sono stupita per come i ragazzi, in generale,
abbiano trovato più difficoltà a convincersi della necessità di
proprietà/passaggi apparentemente scontati, piuttosto che a persuadersi di
passaggi più problematici di una dimostrazione.
2.3 Fase 3: i teoremi belli!
I teoremi di Euclide e di Pitagora erano già stati studiati dai ragazzi alle
scuole medie, sia pure come formule da applicare senza preoccuparsi della
relativa dimostrazione. L’agevole risoluzione degli esercizi che ne
scaturiva, ne aveva dunque lasciato un ricordo piacevole, tanto da
23
giustificare l’apprezzamento riservato agli stessi di cui si è dato atto nel
titolo del presente paragrafo.
Il progetto inizialmente prevedeva una presentazione sulla vita di
Euclide, ho preferito tuttavia che fossero i ragazzi a ricercare informazioni
biografiche sul matematico. Facendo tesoro delle teorie costruttiviste, ho
ritenuto giusto non proporre lezioni già confezionate nelle quali agli allievi
sia riservato il semplice ruolo di spettatori. Nelle presentazioni della
precedente fase ho sempre invitato i ragazzi a ricercare approfondimenti,
aneddoti che ampliassero quanto da me riferito, ma la tattica non si è
rivelata vincente. E’ come se, una volta presentato l’argomento, i ragazzi
non avessero più stimoli per ricercare approfondimenti. Con la
presentazione dei dati biografici di Euclide ho allora invertito lo schema,
ottenendo i risultati tanto attesi.
Qualcuno invero si è limitato a stampare le pagine del primo sito web
riportante le informazioni richieste, ma la maggior parte dei ragazzi ha
sviluppato una ricerca approfondita. Alla mia richiesta di presentare i lavori
svolti, si è scatenata una vera e propria gara a chi avesse raccolto più
informazioni. Si sono stupiti per la diversità delle date di nascita trovate da
ciascuno (ce n’erano almeno due differenti) e per l’esistenza di altre
geometrie oltre a quella euclidea. E’ stato veramente interessante notare
come i ragazzi vivano la lezione, adattandosi allo schema che l’insegnante
propone. Se quest’ultimo offre tutte le informazioni, loro le raccolgono,
accontentandosi dei dati acquisiti. Viceversa, qualora gli si fornisca
l’opportunità di diventare protagonisti della lezione, essi si impegnano,
raggiungendo i risultati attesi.
Con la spiegazione del primo teorema di Euclide ho introdotto, in
coerenza con il libro di testo e sotto espressa richiesta della tutor, la
notazione Q(c1), R(p1,i) per indicare, dato un triangolo rettangolo,
rispettivamente il quadrato avente per lato il cateto c1 ed il rettangolo avente
la base congruente alla proiezione p1 del primo cateto sull’ipotenusa e
l’altezza congruente all’ipotenusa i. Il passaggio dal disegno all’uso di
questa simbologia è risultato molto difficoltoso per i ragazzi.
Invitata alla lavagna, a Giulia è stato chiesto di considerare un trapezio
rettangolo con la diagonale minore perpendicolare al lato obliquo e di
dimostrare che il quadrato costruito su tale diagonale fosse equivalente al
24
rettangolo con base ed altezza rispettivamente congruenti alla base
maggiore ed a quella minore.
Risulta evidente dal testo come l’esercizio richiedesse semplicemente
l’applicazione del teorema poco prima illustrato al triangolo ABC formato
dalla diagonale, dalla base maggiore e dal lato obliquo.
Giulia era sicura di dover applicare il primo teorema di Euclide, in
coerenza con quella clausola del contratto didattico secondo la quale
l’esercizio deve riguardare un argomento spiegato durante la lezione
(clausola che anche la sottoscritta aveva rispettato in pieno). Ha però
iniziato a disegnare quadrati e rettangoli su tutti i lati dei possibili triangoli
rettangoli che individuava nel disegno. L’immagine riportata di seguito,
analoga al disegno eseguito da Giulia alla lavagna, evidenzia la complessità
raggiunta da quello finale
E’ chiaro come Giulia abbia fatto ricorso al disegno non come
atteggiamento spontaneo in grado di facilitare il ragionamento ma come
strumento da cui ricavare la soluzione. Fin dall’inizio del biennio nelle ore
di geometria si usa rappresentare in modo figurato il testo del problema ed i
successivi passi di risoluzione. Alla mia richiesta di non riportare sul
disegno i quadrati ed i rettangoli, ma di utilizzare l’opportuna
nomenclatura, Giulia ha guardato la professoressa-tutor, quasi volesse da lei
l’approvazione necessaria per rompere la clausola del contratto didattico.
Gli esercizi relativi al nuovo argomento non richiedevano più
l’attenzione sul disegno, imponendo di lavorare in modo più “algebrico”
25
sui simboli rappresentanti le figure. Ad aumentare la difficoltà contribuiva
sicuramente la conversione da un registro geometrico ad uno algebrico,
chiesta agli alunni per la prima volta.
I ragazzi sapevano lavorare con le espressioni algebriche, sapevano
interpretare un esercizio di geometria, ma hanno incontrato difficoltà nel
passare dall’uno all’altro. Su tale punto mi sono soffermata, alla luce della
teoria di Duval, secondo la quale se a livello matematico è importante la
funzione del trattare le rappresentazioni di un concetto all’interno di un dato
registro, a livello cognitivo è da accordare importanza alla conversione di
una rappresentazione da un dato registro all’altro. Tale funzione è
condizione necessaria per la padronanza della comprensione.
Nel corso della lezione successiva, i ragazzi hanno lamentato talune
difficoltà nello svolgimento degli esercizi assegnati come compito per casa.
Essendo quattro gli esercizi da rivedere, è stato possibile adottare due
tecniche differenti:
per alcuni esercizi, ho chiamato alla lavagna il ragazzo che
aveva denunciato difficoltà di risoluzione;
per i restanti, invece, ho chiamato i ragazzi che li avevano
risolti correttamente.
Certamente sarebbe stato possibile risparmiare tempo, qualora avessi
personalmente svolto gli esercizi alla lavagna, ma questa soluzione si
sarebbe rivelata sicuramente meno proficua.
Ho preferito, a costo di pianificare ex-novo l’organizzazione della
lezione, coinvolgere maggiormente i ragazzi nella risoluzione dei compiti
assegnati, nella speranza di un miglioramento della loro comprensione.
Invitando alla lavagna i ragazzi che avevano trovato difficoltà, ho
riscontrato l’importanza che riveste, di fronte a situazioni di difficoltà e di
errore dello studente, l’intervento dell’insegnante mediante un approccio
positivo all’errore medesimo.
La costruzione del sapere da parte dell’allievo è dinamica e si serve
degli errori affinché l’attività venga orientata nella direzione esatta.
Nello svolgimento degli esercizi da parte dei ragazzi che non avevano
avuto nessuna difficoltà, ho voluto invece applicare il metodo della
comunicazione intenzionale 11 . Al ragazzo chiamato alla lavagna ho quindi
11
Il metodo della comunicazione intenzionale pone l’allievo nel ruolo di insegnante con lo scopo di far
apprendere ad un altro allievo uno specifico argomento ed è basato sulla convinzione che la responsabilità di
26
spiegato che non doveva solo riscrivere la risoluzione dell’esercizio, ma
spiegare altresì ai suoi amici la logica seguita.
Assegnando il compito di Alunno-Docente ad un ragazzo, è stato dunque
possibile:
costruire un chiaro momento di devoluzione;
costruire una situazione a-didattica;
organizzare una lezione in cui l’interazione avviene fra pari.
Ad Elisa ho chiesto, ad esempio, di dimostrare che, dato un trapezio
isoscele con diagonali perpendicolari ai lati obliqui, il quadrato costruito su
una diagonale è equivalente al rettangolo i cui lati sono congruenti alla base
maggiore e alla semisomma delle basi del trapezio.
L’esercizio che Elisa aveva svolto correttamente a casa, era tuttavia privo
di giustificazioni e svolto in maniera disordinata:
Invitata al predetto chiarimento, Elisa ha incominciato a riflettere
riguardando l’esercizio svolto sul suo quaderno e solo, dopo qualche
minuto, ha incominciato a spiegare ai suo compagni.
Alla lavagna, contrariamente allo stile utilizzato a casa, ha disegnato con
molta attenzione il trapezio, chiedendomi i gessetti colorati per evidenziare
alcune caratteristiche. Poi ha spiegato:
“Il triangolo ACB è rettangolo e quindi posso utilizzare il primo teorema
di Euclide sul cateto AC. Posso allora dire che il quadrato costruito su AC
è equivalente al rettangolo avente i lati congruenti ad AB (che coincide con
comunicare ad altri le proprie conoscenze possa migliorare sia l’apprendimento che la motivazione ad
apprendere (Maurizi - Minazzi - Arrigo 2005).
27
la base maggiore del trapezio) ed ad AK (proiezione di AC su AB). Ma
essendo ABCD un trapezio isoscele, posso dire che:
AH = KB =
AB − DC
,
2
AK = HK + AH = DC +
AB − DC AB + DC
=
2
2
e quindi ho dimostrato quanto richiesto ”
L’intera classe ha seguito la spiegazione di Elisa con molta attenzione.
Tale episodio dimostra, a mio avviso, come il metodo della
comunicazione intenzionale abbia aiutato non solo i ragazzi che avevano
trovato difficoltà nella risoluzione del problema, ma anche la stessa Elisa,
che ha così potuto migliorare il proprio apprendimento e la propria
motivazione ad apprendere.
Dopo la trattazione del teorema di Pitagora, approfittando anche di un
precedente intervento della tutor relativo alla misura dei segmenti, ho
voluto assegnare fra gli esercizi da svolgere a casa, un problema
“particolare”. La consegna si differenziava già nella forma: a ciascun
ragazzo sono stati dati tre quadrati di carta spillati ad una fascetta sulla
quale era specificata la consegna (allegato n. 9).
Il problema richiedeva di costruire un quadrato equivalente alla somma
dei tre quadrati dati. Questo problema, insieme ad un altro tratto dal libro
“Pitagora si diverte” (allegato n. 10), sono stati assegnati con l’intento di far
uscire i ragazzi dalla routine scolastica, “un esercizio standard (…) di
geometria (…) non genera quella vivace curiosità necessaria a far sì che,
volendo risolvere a tutti i costi il problema, il ragazzo ricorra a tutti i mezzi
a sua disposizione anche non contemplati ufficialmente nelle “sacre”
clausole didattiche” (D’Amore, 1995).
Molti ragazzi sono riusciti nella consegna colorando ed incollando in
modo opportuno su un cartoncino i tre quadrati (allegato n. 11). Altri, non
riuscendo, hanno preferito chiedere agli amici qualche suggerimento per la
soluzione, piuttosto che venir meno alla consegna. “La risoluzione di un
problema è un atto individuale o sociale che si indirizza ad un individuo
(…) allo scopo di mostrare la propria capacità (…)) (D’Amore, 1995).
Il secondo problema “fuori dagli standard” richiedeva invece il calcolo
delle aree (dal punto di vista numerico) ottenute dalla partizione di un
quadrato considerato come appezzamento di terreno in cui erano piantati
28
alberi da frutta. E’ bastata questa fantasiosa ambientazione per far scattare
tre distinti protocolli:
alcuni ragazzi (allegato n. 12 per protocollo completo) hanno
utilizzato figure “allegoriche” per individuare i punti chiave del problema,
risolvendo poi correttamente lo stesso;
altri (allegato n. 13 per protocollo completo) hanno utilizzato
massicciamente figure “allegoriche”, ma non sono riusciti a tradurre
correttamente il testo in una rappresentazione figurale (i punti non erano sul
quadrato e/o erano disposti in un ordine differente a quello richiesto);
altri ancora hanno utilizzato la figura come supporto alla
soluzione (‘figura risolutiva’), affrontando la risoluzione come in un
normale problema di geometria.
29
In tutte le consegne, però, emerge la clausola e.g.f. (esigenza della
giustificazione formale), in quanto da tutti il procedimento è stato scritto in
un linguaggio formale, seguendo tutte le indicazioni date nel corso delle
varie lezioni in vista della verifica finale.
2.4 Fase 4: il laboratorio
Nel laboratorio informatico è stato chiesto ai ragazzi di rappresentare,
attraverso l’uso del software Cabrì, un triangolo rettangolo, di costruire
sull’altezza relativa all’ipotenusa un quadrato, e sull’ipotenusa un
rettangolo avente i lati congruenti alle proiezione dei cateti su di essa.
Si richiedeva inoltre di calcolare le aree dei due quadrilateri tramite il
comando ‘Area’ e, successivamente, di inserire in una tabella tutti i valori
automaticamente calcolati al variare dei quadrilateri mediante la tecnica del
trascinamento. L’obiettivo era quello di verificare il secondo teorema di
Euclide.
L’esplicita richiesta della tutor, ripetuta nel corso del biennio, di
disegnare seguendo sempre la costruzione riga e compasso, ha agevolato i
ragazzi che non hanno trovato difficoltà nel disegnare un triangolo
rettangolo (triangolo iscritto in una semicirconferenza). La costruzione dei
quadrilateri ha invece richiesto alcuni tentativi.
Nella costruzione del quadrato sul quaderno, i ragazzi sicuramente
approfittano del sotterfugio dei quadretti. Con Cabrì sono stati costretti a
ricordare la costruzione attraverso il disegno di circonferenze e parallele.
Leonardo, dopo vari tentativi, ha disegnato il quadrato tracciando tre
segmenti della stessa lunghezza dell’altezza. Applicando il test di
trascinamento, è stato evidenziato che la sua figura non rispettava né la
congruenza dei lati né quella degli angoli.
Ho quindi chiesto di spiegare la tecnica utilizzata.
Leonardo: “Partendo da un estremo dell’altezza ho tracciato un altro
lato della stessa lunghezza. Ho fatto lo stesso per gli altri lati”
Tutor : “Come fai ad essere sicuro che è un quadrato?”
Leonardo : “Ho fatto attenzione che tutti i lati avessero la stessa
lunghezza ” .
E’ evidente come Leonardo abbia tentato di “contare i quadretti” anche
sul monitor del computer.
30
L’uso di Cabrì ha permesso di focalizzare quindi l’attenzione sul
processo, piuttosto che sul prodotto, in quanto i ragazzi hanno dovuto
evidenziare la sequenza logica utilizzata.
Fino a quando ha costruito il quadrato sul foglio, Leonardo ha potuto
avvantaggiarsi di tecniche non rispondenti “a logiche euclidee”. Con l’uso
del software proposto ha dovuto esplicitare ed ordinare la sequenza di
comandi con la quale ha realizzato la costruzione. Tale esternalizzazione è
stata resa necessaria dal movimento, componente essenziale del significato
di una figura di Cabrì. Nel trovare poi i valori da inserire nella tabella,
Giulia ha esclamato ad alta voce: “La mia figura è corretta, ma qualche
valore non coincide! ” quasi fosse riuscita a confutare lo stesso Euclide.
L’episodio mi ha permesso di sottolineare come la nostra attività in
laboratorio fosse basata sulla verifica del teorema, ma come tale attività
dovesse mirare alla sua dimostrazione. Questa è infatti essenziale per
spiegare in modo formale la veridicità di un enunciato all’interno di una
teoria.
La dimostrazione infatti non va pensata come strumento per convincere
gli studenti, che raramente sono restii a convincersi di una supposta verità
geometrica.
“Laddove la dimostrazione formale venga presentata solo come un modo
per dimostrare qualcosa della cui verità gli alunni sono già convinti è
probabile che essa rimanga un’attività priva di significato” (Hanna G.,
Jahnke H. N. citazione tratta da D’Amore, 1999).
Per la lezione successiva avevo chiesto di preparare una relazione
sull’esperienza di laboratorio. Non avevo ritenuto necessario né fornire una
griglia né imporre una lunghezza della relazione. Ancora una volta mi sono
dovuta scontrare con l’insuccesso di non aver organizzato nei dettagli
l’attività richiesta. A parte alcune lodevoli eccezioni, la maggior parte dei
ragazzi si è limitata alla redazione di poche righe tese ad esprimere il
proprio consenso all’attività e l’invito a ripeterla con maggiore frequenza.
In particolare Cristian ha sottolineato: “quando si usa Cabrì è come
studiare e giocare contemporaneamente ”.
Daniele, invece : “Mi è piaciuto molto perché è un programma fatto bene
e carino(…). E’ utile per vedere e capire molto meglio i teoremi”.
A parte il sorriso indotto dal giudizio bonario di Daniele, tali riflessioni
hanno confermato a mio avviso, quanto il laboratorio possa essere uno
31
strumento per “riappacificare” gli allievi con la matematica (Arrigo, 2001).
Nello svolgimento di tale attività le conoscenze geometriche non vengono
presentate in modo strutturato ed organizzato, ma elaborate ed assimilate
dall’allievo allorquando compaiono nella risoluzione dei problemi.
2.5 Fase 5: la verifica
Come previsto dal progetto, una delle ultime fasi è stata dedicata alla
verifica. Se per gli studenti essa ha rappresentato un campo di prova circa le
conoscenze acquisite, per me è stato uno strumento utile a misurare
l’efficacia della mia didattica.
La verifica era articolata in otto quesiti. Nella fase di preparazione del
compito, ho concordato con la tutor il punteggio da assegnare a ciascun
quesito, in modo che il voto finale complessivo scaturisse dalla somma di
essi.
Sono stati predisposti due compiti distinti (allegati n. 14, 15), composti
però da esercizi di analoga difficoltà. Questo per rispettare lo schema
solitamente seguito dalla tutor di suddividere la classe in due file differenti.
Il primo quesito richiedeva il completamento di una definizione e
dell’enunciato di due teoremi al fine di accertare se gli studenti avessero
acquisito i concetti chiave unitamente alla capacità di esprimerli
correttamente.
Il secondo quesito era dedicato invece all’enunciato del primo (secondo)
teorema di Euclide.
Il terzo ed il quarto quesito richiedevano di classificare taluni quadrilateri
date opportune ipotesi. In entrambi i quesiti, le figure si sovrapponevano
solo per una parte, quindi si chiedeva di dimostrare l’equivalenza dei
quadrilateri formati dalle parti complementari. In particolare nel terzo
quesito lo svolgimento implicava l’uso del teorema di equivalenza sui
parallelogrammi e l’applicazione delle proprietà della somma e della
differenza di figure equiestese. La risoluzione del quarto invece imponeva
di ragionare soprattutto sulla congruenza dei triangoli.
Il quinto quesito richiedeva di dimostrare l’equivalenza fra due dei
quattro triangoli in cui un rettangolo viene diviso dalle sue diagonali.
L’alunno, svolgendo tale esercizio, avrebbe manifestato le competenze
32
acquisite nell’individuare fra i tre lati di un triangolo quello che, visto come
base, dava maggiori informazioni .
Il sesto e l’ottavo quesito consistevano nella dimostrazione
dell’equivalenza fra quadrilateri, lavorando non sul disegno bensì
sull’espressione composta dalla nomenclatura Q(c1), R(p1,i).
Con il settimo quesito infine bisognava esplicitare in base a quali teoremi
erano vere alcune equivalenze, sfruttando così la competenza di
conversione da un dato registro semiotico ad un altro.
L’analisi che segue, scaturisce da un esame attento dei vari elaborati,
compiuta utilizzando come chiave di lettura proprio i concetti di didattica
della matematica discussi nel precedente capitolo.
2.5.1 Il linguaggio
Nella preparazione del compito finale avevo immaginato che la prima
domanda sarebbe risultata di facile svolgimento, cosicché i ragazzi
sarebbero stati incoraggiati anche nella risoluzione degli altri esercizi
Con meraviglia ho dovuto constatare invece la loro difficoltà nel
trascrivere correttamente le definizione e gli enunciati richiesti.
Molte risposte erano connotate da scarsa precisione, ovvero inficiate
dell’omissione di termini essenziali. Molti, ad esempio, hanno confuso la
congruenza con la coincidenza di segmenti, altri, nell’enunciare i teoremi,
hanno parlato di base ed altezze senza specificare il quadrilatero di
appartenenza.
Cristian ha affermato che: “Un parallelogramma è equivalente ad un
rettangolo avente stessa base e stessa altezza”.
Mentre Debora scrive: “Ogni triangolo è equivalente ad un
parallelogramma avente l’altezza congruente e la base congruente alla
metà di quella del triangolo”.
Nell’enunciare il secondo teorema di Euclide invece Filippo sembra non
considerare che un triangolo possiede tre altezze, affermando che “In ogni
triangolo rettangolo il quadrato costruito sull’altezza è equivalente al
rettangolo…”
Quanto sopra a conferma della difficoltà che i ragazzi incontrano
nell’acquisizione del linguaggio specifico della geometria, e della
33
conseguente tendenza ad imitare il linguaggio dell’insegnante e/o del libro
di testo.
E’ opportuno precisare che tante volte gli stessi ragazzi, chiamati alla
lavagna, non hanno commesso le stesse imprecisioni perché aiutati dal
registro figurale. Questo a conferma che la lingua naturale è un registro di
rappresentazione semiotica più complesso degli altri (Alongi, 2006).
Non rinvenibile in nessun concetto di didattica della matematica, ma
imputabile semplicemente al frequente uso del cellulare da parte dei
ragazzi, è la modalità espositiva di Elsa :“ in tr. rett. h relativa a ip”. Quasi
stesse scrivendo un SMS ad un amico, piuttosto che affrontando una
verifica di matematica.
L’influenza del linguaggio quotidiano si è rilevata altresì in altre forme.
Nello svolgimento del terzo esercizio, volendo studiare il rettangolo
HPQK ed il triangolo ABC,
Debora scrive:
L’uso dei verbi partire, terminare rivela un utilizzo di termini propri della
geometria all’interno di modi di dire tratti dalla lingua comune.
2.5.2 Osservazione dei disegni
Se in alcuni esercizi da una semplice osservazione del disegno
emergevano le caratteristiche della figura, nel quinto i due triangoli,
componenti una delle due metà in cui un rettangolo viene diviso dalle due
diagonali, andavano attentamente studiati.
Inoltre il disegno non era riportato esplicitamente nel testo e la
risoluzione poteva essere svolta in modi differenti a seconda dell’analisi
fatta sulla figura.
34
Molti ragazzi hanno disegnato un rettangolo con base sul lato maggiore
ed hanno iniziato ad esplicitare una serie di congruenze ed equivalenze. Il
loro ragionamento era frutto di un osservazione statica del disegno, quasi
che non fosse possibile vederlo da un’altra ottica.
Riporto di seguito due protocolli presi ad esempio delle due diverse
tipologie di svolgimento adottate:
Protocollo 1:
Filippo riesce ad individuare il giusto lato da considerare come base per
entrambi i triangoli e la relativa altezza
Protocollo 2
Daniele dimostra la congruenza fra quattro triangolo per arrivare
all’equivalenza richiesta
35
Dal primo protocollo si comprende come Filippo non abbia confuso il
disegno con la figura riuscendo ad individuare il giusto lato da considerare
come base per entrambi i triangoli e la relativa altezza. Da una simile
lettura, lo svolgimento diventa una agevole applicazione di un teorema
sull’equivalenza.
La rigidità di Daniele e il suo approccio iconografico al disegno, gli
impediscono di individuare una semplice risoluzione, rimanendo vincolato
alla ricerca di congruenze fra triangoli.
2.5.3 La dimostrazione
Con un certo compiacimento, la tutor ed io abbiamo potuto notare che in
molti compiti i ragazzi erano riusciti a produrre una corretta sequenza
logico-deduttiva nello svolgimento dei vari esercizi.
Non credo sia necessario soffermarsi sugli esiti positivi, quanto
evidenziare le difficoltà di dimostrazione manifestata da taluni alunni.
Per alcuni la dimostrazione è un insieme di informazioni un po’ trascritte
ed un po’ disegnate. In tali casi, il ragazzo disegna correttamente altezze e
congruenze, ma non sente la minima necessità di spiegare la logica
utilizzata in tale costruzione.
Nel quinto esercizio, ad esempio, Leonardo, come molti altri, esegue il
seguente disegno:
36
Utilizzando poi nella dimostrazione i segmenti OH ed OK, ma non
dichiarando mai esplicitamente che tali segmenti sono stati costruiti
pensando alla altezze rispettivamente dei triangoli AOD ed AOB.
In altri casi emerge proprio una difficoltà nell’impostare e seguire
logicamente un ragionamento deduttivo.
Nel terzo esercizio, alla richiesta di dimostrare l’equivalenza fra i
quadrilateri AGCD e EFBG
Debora scrive : “Considero il triangolo DEC e il parallelogramma
EFBC. Essi sono equivalenti poiché hanno la stessa altezza, BC ≅DC
perché lati di un quadrato. DE ≅ 2 EF ⇒ EF =
1
DE . Quindi DEC
2
equivalente EFBC.”
Debora dimostra la tesi attraverso uno pseudo-ragionamento insensato
utilizzando un linguaggio ascoltato in aula, di cui imita la mera forma priva
di contenuto
Di particolare rilievo mi sembra poi l’abbandono della geometria da
parte di Giovanni, nel vano tentativo di ritrovare nell’algebra una soluzione
per il sesto esercizio.
Alla richiesta di dimostrare che il quadrato costruito sull’altezza di un
triangolo equilatero è equivalente ai 3/4 del quadrato costruito su un lato,
Giovanni, non riuscendo a ritrovare alcun procedimento geometrico che
l’aiutasse nella risoluzione, ha tentato uno svolgimento algebrico:
37
Lo svolgimento suscita qualche perplessità non avendo molto senso né in
geometria né in algebra. Giovanni ha provato ad utilizzare il teorema di
Pitagora sotto forma di formula. Non avendo le lunghezze dei lati ha
utilizzato il rapporto esplicitato nel testo.
38
Capitolo 3- La valutazione
Alla scelta metodologica, all’organizzazione e realizzazione di una
trasposizione didattica, è giusto che segua una valutazione della coerenza e
dell’efficacia di quanto realizzato.
In un passato non molto remoto, l’idea di valutazione era ricondotta alla
semplice assegnazione del voto che esprimeva un giudizio sull’allievo.
Oggi, viceversa, essa ha acquisito un significato molto più ampio, essendo
vista come “strumento tramite il quale l’insegnante sprona l’allievo e sé
stesso a sviluppare meglio il processo di insegnamento-apprendimento,
aiutando in questo l’allievo a non essere solo attore in dipendenza del
contratto didattico” (Fandiño Pinilla, 2002). Attraverso la valutazione,
quindi, l’insegnante si pone tre macro obiettivi (Fandiño Pinilla, 2004):
misurare l’efficacia della propria azione didattica (giudizio
sull’ingegneria didattica);
misurare l’opportunità delle scelte di un dato segmento
curricolare;
misurare lo stato cognitivo di ogni singolo allievo, traendo
indicazioni sulla congruenza fra “curricolo auspicato” e “curricolo
effettivo”.
Tali obiettivi sicuramente non sono indipendenti, ma strettamente legati
l’uno all’altro:
Dallo schema proposto emerge il forte legame che unisce le tre tipologie
di valutazioni. E’ quindi difficile sviluppare una riflessione, effettuando una
netta distinzione fra di esse. Di seguito tenterò di analizzare in modo
separato i tre oggetti di valutazione più per ordine espositivo che per una
reale possibilità di separazione della riflessione personale.
39
3.1 Valutazione dell’azione didattica in aula
La riflessione sul mio operato verte principalmente sulla modalità di
utilizzo dei vari strumenti didattici a mia disposizione e sul rapporto con la
classe.
3.1.1 Utilizzo strumenti didattici
Nell’organizzazione delle lezioni, ho ritenuto opportuno focalizzare
l’attenzione su una molteplicità di strumenti che è possibile utilizzare
(software, cartelloni, ecc.), sottovalutando tuttavia il ruolo assolto dalla
lavagna. Utilizzare tale strumento con ordine ed attenzione avrebbe
sicuramente facilitato gli studenti durante lo svolgimento della lezione.
Un poco disordinata e con una grafia non sempre agevolmente leggibile,
al termine di ciascuna lezione ho dovuto constatare di aver utilizzato la
lavagna in modo non chiaro, non avendo prestato attenzione né
all’organizzazione grafica né all’ordine sequenziale della trascrizione.
Un uso più ragionato della stessa, avrebbe permesso ai ragazzi, ancora
privi di un’apprezzabile abilità nel prendere appunti, di ripercorrere tutti i
passaggi di una dimostrazione o di seguire lo svolgimento della lezione con
maggiore facilità.
3.1.2 Coinvolgimento classe
Al nostro primo incontro, la professoressa-tutor ha espresso il desiderio
di affidarmi, per il tirocinio attivo, la II C, classe che manifestava una certa
pigrizia nello studio della Matematica. La mia presenza avrebbe dovuto
contribuire a rompere la routine delle lezioni, ad interrompere quell’azione
di scolarizzazione del sapere che i ragazzi, sia pur inconsapevolmente,
stavano attuando.
Fra gli obiettivi del tirocinio c’era quindi quello di cambiare le abitudini
degli studenti, infondendo il gusto per la sperimentazione e l’esplorazione.
Devo ammettere che i ragazzi non hanno avuto difficoltà ad entrare in
uno schema differente di lezione, manifestando fin dall’inizio il desiderio
di approfondire alcuni argomenti trattati e di mettersi in gioco in prima
persona. Naturalmente non tutti i ragazzi hanno vissuto le lezioni con lo
stesso grado di attenzione e partecipazione. Progettare una lezione che
40
riuscisse a catturare l’attenzione di ventuno ragazzi aventi carattere, indole
ed aspettative differenti, è stato per me un lavoro di notevole impegno, della
cui riuscita non posso dirmi sempre certa.
Avrei voluto coinvolgere maggiormente ragazzi assorbiti, soprattutto
nell’ultima ora del sabato, più dai loro problemi adolescenziali che da
quelli geometrici.
Le attività di laboratorio sono state invece animate da notevole
partecipazione. Sia per quanto riguarda le attività condotte nel laboratorio
informatico, per il cui svolgimento è stato necessario anche uno
spostamento fisico dall’aula ad un nuovo ambiente, sia per le altre attività in
aula, l’atmosfera è stata estremamente coinvolgente, tanto da indurre ad una
partecipazione attiva anche quei ragazzi che, per indole più silenziosa, sono
restii ad intervenire.
In questo clima estremamente positivo, le situazioni a-didattiche che si
sono presentate hanno permesso il realizzarsi di lezioni dinamiche,
dialogate e costruttive.
3.2 Valutazione segmento curricolare
Una differente valutazione dei tempi per l’esecuzione di alcune delle
attività descritte nel progetto avrebbe probabilmente contribuito ad una
trasposizione didattica più efficace. Mi riferisco, in particolare, ai tempi
dedicati alle dimostrazioni ed alle attività svolte nel laboratorio informatico.
Sotto il primo profilo, credo di aver ecceduto nella presentazione delle
dimostrazioni di teoremi, a discapito della discussione in classe di problemi
nei quali fossero i ragazzi in prima persona a lavorare sulla situazione
proposta ed a suggerire strategie risolutive.
Un eccesso di ottimismo, unito all’inesperienza, mi aveva fatto sperare
che la presentazione delle varie dimostrazioni desse agli studenti uno
schema logico da poter poi sfruttare al momento della risoluzione degli
esercizi.
Purtroppo tale aspettativa si è dovuta scontrare con la difficoltà dei
ragazzi a svolgere autonomamente le dimostrazioni, nonché con le varie
problematiche caratterizzanti la natura stessa della dimostrazione (sulle
quali si veda più ampiamente il paragrafo 1.3.2).
41
Ho potuto riscontrare personalmente che “i ragazzi riescono ad imparare
ed a ripetere le dimostrazioni proposte dall’insegnate, ma sono, per la
grande
maggioranza,
incapaci
di
produrre
dimostrazioni
autonomamente”(Mariotti, 1998).
Per quanto riguarda l’attività di laboratorio informatico, a mio avviso,
essa produce il massimo dei benefici allorquando allo studente è lasciato il
giusto tempo “per esplorare”.
Ritmi serrati, invece, mi hanno costretta talvolta ad indirizzare qualche
ragazzo sulla giusta strada ma, ne sono profondamente convinta, il valore di
una soluzione autonomamente trovata non può essere paragonata a quello di
una soluzione in qualche modo suggerita.
I tempi ristretti in laboratorio sono dipesi comunque non esclusivamente
dalla mia personale organizzazione delle attività, ma anche da taluni
imprevisti. La partenza dei ragazzi per la gita scolastica, la necessità di
procedere alla verifica di algebra (che ha comportato alcune lezioni
aggiuntive sui radicali), unitamente alla necessità di concludere l’argomento
di geometria entro i tempi previsti dal progetto, hanno determinato una sia
pur lieve riduzione dei tempi trascorsi in laboratorio.
3.3 Valutazione del lavoro svolto dagli studenti
Sarebbe limitativo identificare la valutazione del lavoro degli studenti
con il voto assegnato allo svolgimento del compito in classe o
all’interrogazione. Non si valuta esclusivamente per dare un voto e questa
convinzione dovrebbe essere chiara non solo al corpo docente, ma anche ai
ragazzi ed alle rispettive famiglie.
“La valutazione non è ristretta ad un punto o ad una certa azione, ma è
attuata lungo tutto l’arco del processo di insegnamento-apprendimento (…).
La valutazione è continua e globale”. (Fandiño Pinilla, 2002).
Entrando ancor più nel dettaglio, per effettuare una valutazione in
Matematica occorre considerare due macro destinazioni:
valutazione di conoscenze;
valutazione di competenze.
La prima può essere effettuata anche attraverso un test di controllo, in
quanto la conoscenza “fotografa” situazioni statiche, rilevando solo se c’è
congruenza tra quanto atteso e quanto è stato di fatto ottenuto. La
42
competenza, viceversa, non è ricavabile da una “fotografia”, perché implica
il coinvolgimento di questioni “affettive”, quali ad esempio
l’atteggiamento, la volizione, il desiderio di far uso delle conoscenze
possedute e di completare quelle che si rilevano insufficienti.(Fandiño
Pinilla, 2004).
Proprio per ottenere quante più informazioni possibile sulle competenze
di ognuno, durante tutto il tirocinio ho prestato particolare attenzione al
comportamento dei ragazzi in aula ed al loro approccio alla geometria.
Si è rivelata particolarmente utile ascoltare le loro idee, i loro dubbi non
limitando mai i miei interventi alla semplice correzione di errori, ma
utilizzando gli stessi come spunto per una discussione più approfondita.
Una simile attività permetteva altresì di comprendere, per ogni allievo, il
grado di implicazione personale raggiunta nel processo di apprendimento.
Con un certo compiacimento ho potuto verificare che la classe si è resa
disponibile ad accettare uno schema di lezione meno rigido e più aperto alla
riflessione (anche non prettamente matematica).
L’autoproporsi degli studenti per lo svolgimento di problemi alla
lavagna, così come la richiesta degli stessi di conoscere la dimostrazione
originale, o almeno supposta tale, del teorema di Pitagora, hanno indotto ad
approfondimenti anche non auspicati. Devo ammettere comunque che
talvolta i ragazzi non hanno dato il giusto peso ad alcune attività di
laboratorio.
Dopo aver assegnato il problema proposto sotto forma di quadrati
cartacei e poi quello ambientato in un frutteto (allegato n. 10), taluni
studenti mi hanno chiesto di svolgere qualche esercizio in più a casa,
aggiungendo però: “qualche esercizio vero!”. Siffatta osservazione rivela
che esercizi e lezioni estranei agli schemi usuali sono stati percepiti da
alcuni allievi come più gradevoli, ma meno utili ai fini dell’apprendimento
della matematica. Tale giudizio è probabilmente imputabile al modo in cui
l’insegnamento di questa disciplina viene percepito dagli studenti. Non tutti
però hanno condiviso questo atteggiamento perplesso di fronte alla predetta
tipologia di problemi; il secondo di questi, infatti, è stato proposto per
esplicita richiesta di una ragazza entusiasta del primo.
Ritornando alla chiave di lettura fornita inizialmente allo schema che
evidenzia le tre tipologie di valutazioni, il peso dato dai ragazzi ad alcune
attività di laboratorio dipende sicuramente da una clausola del contratto
43
didattico, ma coinvolge altresì una riflessione sul mio operato, evidenziando
una personale difficoltà nel far loro comprendere gli obiettivi raggiungibili
tramite quelle stesse attività.
Fra i mezzi utilizzati per la valutazione figurano anche una prova
tradizionale finale ed i TEPs.
Quanto alla prima metodologia, la scelta dei quesiti è stata dettata dal
desiderio di accertare il raggiungimento, da parte dei ragazzi, di determinati
obiettivi cognitivi. A tale scopo ho utilizzato i seguenti criteri:
criteri di realizzazione: essere capaci di scrivere correttamente
una definizione o l’enunciato di un teorema (quesito n. 1, 2), utilizzare
correttamente il disegno (quesiti n. 3, 4), saper giustificare il
comportamento seguito per giungere alla soluzione.
criteri di risultato: saper scegliere la risoluzione più immediata ed
economica (quesito n. 5), saper evidenziare i teoremi che giustificano
determinati passaggi logici (quesito n. 7), saper condurre la dimostrazione
di un teorema secondo un approccio deduttivo.
criteri di comprensione: essere capaci di tradurre l’enunciato in
un registro grafico, saper esporre il risultato ottenuto, aver compreso i
teoremi di equivalenza e il loro utilizzo nella sequenza logica di una
dimostrazione.
Ad ogni quesito è stato assegnato un punteggio (allegato n. 16),
considerando anche un voto di penalizzazione in caso di mancato
commento, figura ed altre imprecisioni.
Durante la correzione l’attenzione è stata posta non tanto sul prodotto,
quanto sul processo di svolgimento. L’andamento dei risultati è stato più
che soddisfacente. Di seguito vengono presentati alcuni istogrammi al fine
di evidenziare graficamente le maggiori difficoltà incontrate dagli studenti e
la votazione complessiva riportata:
44
Quesiti 1 (punteggio max 6), 2 (punteggio max 4):
7
6
6
5
5
Tra 5 e 6
4
4
Tra 6 e 7
3
2
Tra 7 e 8
2
2
Tra 8 e 9
1
10
10
Tra 9 e
10
0
Tra 8 e 9
Tra 9 e 10
Tra 7 e 8
1
Tra 6 e 7
Range n.
5
6
6
6
7
4
7
8
5
8
9
2
9 10 2
10
1
≥
< 20
Tra 5 e 6
Voto
Tra 5 e 6
Tra 6 e 7
Tra 7 e 8
Tra 8 e 9
Tra 9 e 10
10
L’istogramma conferma la difficoltà degli studenti ad esprimere
correttamente le definizioni ed gli enunciati dei teoremi richiesti nei
rispettivi quesiti (solo un ragazzo ha raggiunto il massimo del punteggio)
Quesiti 6 (punteggio max 5) , 8 (punteggio max 6):
7
5
5
5
non svolto
4
Tra 2 e 4
3
Tra 4 e 6
Tra 6 e 8
2
1
1
1
1
1
Tra 8 e 10
Tra 10 e 11
11
Tra 10 e 11
Tra 8 e 10
Tra 6 e 8
Tra 4 e 6
0
Tra 2 e 4
n.
5
6
5
1
1
1
1
20
6
non svolto
Voto
Range
non svolto
0 0
Tra 2 e 4
2 4
Tra 4 e 6
4 6
Tra 6 e 8
6 8
Tra 8 e 10
8 10
Tra 10 e 11 10 11
11 11
≥ <
6
11
L’istogramma evidenzia la difficoltà dei ragazzi nel lavorare utilizzando
la nomenclatura Q(c1), R(p1,i), come implicitamente necessario per la
risoluzione del quesito.
A parte tali osservazioni, come già detto, gli esiti della verifica sono stati
più che soddisfacenti.
45
Istogramma Voti
9
6
Tra 4 e 6
3
2
Tra 6 e 7
Tra 7 e 8
Tra 8 e 9
Tra 8 e 9
10
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
Tra 7 e 8
n.
6
9
2
3
20
Tra 6 e 7
Range
4
6
6
7
7
8
8
9
≥
<
Tra 4 e 6
Voto
Tra 4 e 6
Tra 6 e 7
Tra 7 e 8
Tra 8 e 9
Oltre ad illustrare le medie raggiunte, però, ritengo significativo
soffermarmi anche sul comportamento tenuto dai ragazzi al momento della
consegna dei compiti corretti.
A tale riguardo, occorre preliminarmente precisare che:
i voti scaturiti dalla verifica erano per tutti gli alunni superiori
alla loro media (per qualcuno risultava coincidente, ma per nessuno era
inferiore);
anche la tutor aveva avuto modo di apprezzare l’esito del
compito e di condividere con me i voti attribuiti.
Il giorno della consegna al mio entusiasmo la classe ha risposto con
insoddisfazione e non curanza.
Nessun ragazzo ha contestato gli errori evidenziati, e del resto a qualsiasi
richiesta di spiegazione ho dato ampio spazio, ciononostante il clima di
insoddisfazione è stato evidente.
Credo che una simile reazione sia imputabile all’idea dei ragazzi di
essere avvantaggiati da una correzione fatta dalla tirocinante nonché
dall’opinione, ampiamente diffusa (e confermata nei successivi TEPs), che
l’argomento fosse di facile comprensione.
Quanto sottolineato acquista maggior peso, considerando che “ogni
studente si deve sentire parte non solo del processo di insegnamentoapprendimeno, ma pure del processo di valutazione. La coerenza implica
uno sviluppo efficace, il riconoscimento di valori diversi, la professionalità
46
del docente. Infine, è importante che tutti abbiano fiducia nel processo di
valutazione, perché venga riconosciuto come prodotto esterno nel quale si
configura l’etica delle intenzioni didattiche” (Fandiño Pinilla, 2002).
Al termine del percorso, ho proposto ai ragazzi alcuni TEPs (allegato n.
17), ovvero “produzioni nelle quali lo studente, messo nelle condizioni di
volersi esprimere in modo comprensibile e con linguaggio personale,
accetta di liberarsi da condizionamenti linguistici e fa uso di espressioni
spontanee” (D’Amore, Maier, 2002).
Il primo TEP richiedeva di raccontare ad un amico le lezioni
sull’equiestensione da un punto di vista emotivo. I restanti invece
richiedevano di spiegare ad un bimbo un teorema ed un concetto
matematico emersi durante le lezioni di tirocinio.
Per tutti ho avuto l’accortezza di scegliere come destinatario delle
risposte una persona che non fosse l’insegnante stesso. Questo aspetto è di
fondamentale importanza affinché il ragazzo si senta libero di esprimersi in
modo informale.
Riporto di seguito alcune risposte accompagnate da mie brevi riflessioni.
Alcune risposte circa il primo TEP:
- “le lezioni di tirocinio sono sempre state piacevoli e chiare, mai
pesanti o noiose, grazie anche al tipo di argomento affrontato (non troppo
complicato ed interessante) ”.
L’idea che i concetti relativi all’equiestensione fossero semplici (da cui
forse la loro amarezza nel non aver raggiunto risultati eccellenti)
caratterizza molti lavori.
- “L’ho vissuta come un’esperienza scolastica normale con momenti
però divertenti come quando siamo andati in laboratorio di informatica.
Non ci sono stati momenti in cui sono stato più attento, mi ha interessato
tutto, anche perché dopo c’era la verifica. Difficoltà vere e proprie non ci
sono state ho fatto esercizio a casa e basta. Secondo me il lavoro è stato
svolto correttamente con momenti anche di gioco dove però abbiamo
imparato; l’unica critica è quella di velocizzare un po’ le spiegazioni, il
resto è a posto ”
Da tale risposta emerge la convinzione che la valutazione sia vincolata
sempre e solo alla verifica finale.
47
- “Secondo me le lezioni sulle equivalenze sono state utili poiché
abbiamo fatto attività alternative come laboratorio, tangram che sono state
d’aiuto per comprendere meglio….”
L’apprezzamento sulle attività di laboratorio è riscontrabile in molti
TEPs.
Soprattutto nel primo TEP molti ragazzi, nelle loro produzioni, si sono
rivolti a me dimenticando la figura dell’amico. Questo a conferma di come
sia difficile per l’allievo sganciarsi dai vincoli stabilitisi in classe (anche
perché riguardava un giudizio diretto sul mio operato)
Con gli altri TEPs i ragazzi sono riusciti maggiormente ad
immedesimarsi nel compito richiesto.
Nel seguente TEP uno studente ha iniziato con un giusto approccio
salvo poi dare per scontata il concetto di congruenza:
- “L’equiscomponibilità ti servirà quando sarai più grande comunque
l’equiscompopnibilità ti permette di suddividere due figure differenti in più
parti congruenti ”
C’è invece chi riesce ad esprimersi staccandosi da termini geometrici
- “immagina di dover colorare un parallelogramma ed un triangolo. Se
il parallelogramma ha la stessa altezza del triangolo ed il triangolo ha la
base che è il doppio di quella del parallelogramma allora la parte che
dovrai colorare nel parallelogramma sarà uguale a quella del triangolo”.
48
Conclusioni
La stesura della tesi mi ha obbligato ad una profonda riflessione sia sul
lavoro svolto durante il tirocinio sia, più in generale, sugli anni di frequenza
della scuola di specializzazione. Solo con l’esecuzione del tirocinio ho
avuto modo, infatti, di comprendere il senso reale di alcuni dei corsi seguiti
ed in particolare di quelli dedicati all’insegnamento della Didattica della
matematica e di Laboratorio di didattica della matematica. Oggi posso
affermare con sincera convinzione che la conoscenza della sola disciplina
non è sufficiente affinché un insegnante svolga con piena avvedutezza il
proprio mestiere. La Didattica della Matematica amplia gli orizzonti dei
docenti fornendo loro la giusta chiave di lettura di quei complessi fenomeni
che entrano in gioco nel processo di insegnamento-apprendimento.
Preparandomi alla stesura del presente lavoro, ho avuto modo di leggere
numerosi articoli di ricerca e testi di didattica della matematica, potendo
constatare il valido aiuto che tale materiale fornisce all’insegnante che
desideri organizzare un’attività di aula oppure effettuare un’analisi critica di
quanto accaduto nello svolgimento dello stesso.
Durante il tirocinio ho avuto il piacere di organizzare lezioni delle quali
gli stessi ragazzi sono divenuti attori principali ed ho constatato con gioia il
loro entusiasmo nel “vivere” la matematica piuttosto che nel sentirla
spiegare. Sono naturalmente consapevole dell’immenso aiuto ricevuto dalla
tutor, professoressa Boltri, e dal supervisore, professor Monari. Ringrazio
entrambi per il sostegno e l’aiuto profusomi affinché svolgessi il tirocinio
nei migliori dei modi.
In particolare, sarò infinitamente riconoscente alla professoressa Boltri
per i preziosi consigli elargiti durante le “ore buca” davanti ad una tazzina
di caffè!
49
50
Bibliografia
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53
54
Allegato n. 1 – Progetto di tirocinio
Università di Bologna
Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario
Anno Accademico 2006/2007
Progetto di tirocinio
Equivalenze fra figure piane
Specializzando:
Supervisore:
Veronica Alessandrella
prof. Fabrizio Monari
Indirizzo
Classe di abilitazione:
Scuola di attuazione:
Tutor:
Fisico-Informatico-Matematico
A047 (matematica)
Liceo Scientifico “E. Fermi” Bologna
prof.ssa Marina Boltri
55
Finalità
E’ assunto largamente condiviso che la scuola debba provvedere non
solo alla formazione culturale dello studente ma anche, e forse soprattutto,
all’introiezione di valori che contribuiscano alla sua maturazione personale.
La cultura, infatti, non può mai essere fine a se stessa, dovendo al contrario
stimolare il ragazzo a porsi nuove domande, aiutarlo a rispondere ai suoi
interrogativi.
Essa, in altri termini, deve rappresentare quel gradino posto più in alto
che lo aiuti ad allargare gli orizzonti del proprio campo visivo.
A conferma di quanto detto è interessante considerare la premessa del
documento ‘Attività didattiche e prove di verifica per un nuovo curricolo di
Matematica’ redatto dall’Unione Matematica Italiana nel 2003, ove si
precisa che “l’educazione matematica, insieme a tutte le altre discipline,
deve contribuire alla formazione culturale del cittadino, in modo da
consentirgli di partecipare alla vita sociale con consapevolezza e capacità
critica”.
Il perseguimento di siffatto obiettivo è riscontrabile altresì nel Piano di
Offerta Formativa del liceo scientifico Enrico Fermi, istituto presso il quale
svolgo il tirocinio. Nel citato piano, infatti, sono rinvenibili obiettivi non
solo didattici, ma anche educativi e formativi, quali il rispetto delle idee
altrui, dell’ambiente, la disponibilità alle relazioni interpersonali. Nel
descritto contesto trova senz’altro un posto d’onore la Matematica, una
delle più antiche discipline (la cui importanza era già riconosciuta
nell’antica Grecia), sulla quale si è fondato lo sviluppo di molte altre
discipline quali l’astronomia, la navigazione ed oggi l’informatica. Sarebbe
tuttavia riduttivo intendere la Matematica solo come disciplina scientifica,
dal momento che essa è sempre stata “parte rilevante del pensiero umano ed
elemento motore dello stesso pensiero filosofico” 12 ed un intellettuale, fin
poco tempo fa, non poteva dirsi tale se non aveva anche competenze
matematiche.
Eppure oggi, sempre più spesso, ci si interroga sull’utilità della
Matematica ed in particolare della Geometria. L’idea di Einstein, che
12
Dal programma di Matematica per il biennio (P.N.I.)
56
considerava entrambe utili alla conoscenza del modo di essere degli oggetti
reali che ci circondano, sembra essersi persa per sempre.
Sarebbe bene riflettere sull’evoluzione in atto, partecipando ai ragazzi
quanto emerso nel 2000 dai lavori della commissione Kahane. Istituita nel
1999 dal Ministero francese dell'Istruzione Pubblica al fine di ripensare, in
un'ottica globale e di lungo termine, l'insieme dei programmi scolastici,
dalla scuola elementare all'università.
I rapporti prodotti dalla ricordata commissione ministeriale contengono
molteplici approfondimenti teorici ed epistemologici nonché indicazioni
pratiche ed abbracciano tutto l'insegnamento della disciplina, istituendo un
prezioso collegamento agli sviluppi attuali della ricerca. Da tali documenti
emerge in particolare come la Geometria sia una disciplina utile
innanzitutto alla costruzione del concetto di spazio propria di ogni persona,
un processo molto studiato peraltro in psicologia e da Piaget. Sarebbe certo
un errore affermare che la conoscenza dello spazio sia riconducibile
esclusivamente alla Geometria, ma errore egualmente grave sarebbe non
riconoscere l’influenza che questa disciplina scientifica ha su di essa.
La commissione Kahane ha inoltre evidenziato il contributo fornito dalla
Geometria allo sviluppo delle capacità di ragionamento, quelle stesse
capacità che aiutano i cittadini ad assumere responsabilità in maniera
consapevole ed a partecipare in modo attivo alla vita politica, sociale ed
economica del Paese.
Tale sviluppo difficilmente viene riconosciuto, se si pensa alla
Geometria solo come luogo in cui svolgere il ragionamento deduttivo,
mentre appare evidente se si pensa alla stessa come ausilio
all’apprendimento del ragionamento.
E’ essenziale altresì tener presente che l’apprendimento della Matematica
in generale, e della Geometria in particolare, è complesso e richiede un
investimento intellettuale notevole. Questa difficoltà non può e non deve
essere ignorata dall’insegnante, che deve stimolare ed incuriosire il ragazzo,
evitando di ridurre il ragionamento geometrico all’apprendimento formale
di una dimostrazione. Il ragionamento geometrico, che inizialmente si basa
sull’osservazione delle figure, prima di elaborare congetture, consta al
contrario di un esame critico, che permette l’individuazione della strada
migliore per lo svolgimento della dimostrazione. Il tutto in un dialogo
permanente fra intuizione e rigore. Questo approccio costituito da analisi,
57
ragionamento, ricerca della strada più semplice che porta alla soluzione,
fornisce, una volta fatto proprio, uno “stile” utilizzato nell’affrontare tutti i
problemi e non solo quelli a carattere matematico.
A riprova dell’universalità di questa disciplina e della sua importanza
vale la pena soffermarsi un attimo sul suo utilizzo “extra-scolastico”. In
pittura, ad esempio, Kandisky approfondisce la discussione sul rapporto
punto-linea; l’urbanistica si è avvalsa costantemente di concetti geometrici,
dall’antica Pompei alla costruzione dei nuovi quartieri di New York; in
architettura, la Geometria Euclidea gioca un ruolo fondamentale già nella
costruzione delle cattedrali. Nella vita quotidiana, poi, la Geometria ci viene
in aiuto in una sconfinata molteplicità di situazioni: dall’interpretazione dei
grafici statistici proposti dai quotidiani, all’arredamento del nostro
appartamento, alla lettura della cartina di una città da visitare.
Pare dunque evidente come la Matematica in generale contribuisca allo
sviluppo delle facoltà intuitive e logiche; incrementi le capacità di
astrazione e di formazione dei concetti; coltivi il gusto per la ricerca di
soluzioni problematiche mediante argomentazioni coerenti.
Strategie
Alla luce di quanto detto, risulta dunque chiaro che il fallimento dello
studente in una disciplina implica molto più che il mancato apprendimento
di nozioni. Per l’importanza del suo compito, il docente deve quindi
approntare vere e proprie strategie, considerando anzitutto il legame fra
insegnante, allievo e sapere, usualmente rappresentato in didattica della
Matematica con il triangolo di Chevellard. L’insegnante deve considerare la
noosfera in cui lavora, ovvero il sistema didattico, l’ambiente sociale e
culturale della classe, facendo attenzione alla trasposizione didattica messa
in atto. Nel corso delle lezioni, infatti, egli attua una trasposizione dal
sapere matematico al sapere da insegnare e infine a quello insegnato, ed è in
tale passaggio che bisogna fare attenzione alle eventuali costruzioni di
misconcezioni o addirittura di ostacoli.
E’ vero che tutti, compresi gli insegnanti, hanno la tendenza naturale ad
attribuire ad un nuovo concetto un’interpretazione intuitiva, ma il continuo
ricorrere a tale espediente da parte dell’insegnante potrebbe rivelarsi
dannoso. Bisogna infatti considerare che un modello intuitivo è un concetto
alquanto forte ed inevitabilmente è utilizzato, anche a livello algoritmico,
58
nella risoluzione dei problemi. Solo se vi è accordo fra i due livelli la
consegna viene svolta più facilmente ed il ruolo della rappresentazione
intuitiva passa inosservato. La costruzione di modelli mentali, ritenuti
dall’allievo stabili e definitivi, può dar luogo ad un conflitto cognitivo
allorquando riceve informazioni su un nuovo concetto non convalidato
dall’immagine che aveva. Alla base dei conflitti vi sono misconcezioni
ovvero “concezioni momentaneamente non corrette, in attesa di
risistemazione cognitiva più elaborata e critica” (D’Amore 1999 pag 124)
Vi sono misconcezioni “inevitabili”, derivanti indirettamente dalla
trasposizione didattica dell’insegnante, imputabili alla necessità di dover
partire da un certo sapere da dover comunicare, che non sarà mai
inizialmente esaustivo del concetto matematico interessato. Esistono poi
misconcezioni “evitabili” derivanti, invece, dall’abitudine a presentare al
ragazzo una figura, un concetto sempre nella stessa maniera: esse sono una
diretta conseguenza della trasposizione didattica. Esempi di questo tipo
sono riscontrabili in Geometria, dove la difficoltà dell’allievo a
comprendere problemi, indicazioni, spiegazioni dell’insegnante, dipendono
dal forte legame delle sue concezioni geometriche a modelli concreti
utilizzati come supporto visivo, nel momento della creazione di tali
concezioni.
La confusione degli oggetti matematici con le loro rappresentazioni
semiotiche è tutt’altro che rara e ben esplicitata dal paradosso di Duval 13 :
l’apprendimento degli oggetti matematici deve essere un apprendimento
concettuale, ma è solo con l’uso di rappresentazioni semiotiche che è
possibile un’attività su tali oggetti.
Oggetti matematici e loro rappresentazioni non dovrebbero mai essere
confusi e lo stesso insegnante dovrebbe sempre considerare che mentre lui
lavora su di essi, lo studente sta lavorando sulla loro rappresentazione
semiotica.
Ancora Duval afferma che “gli oggetti matematici non sono direttamente
accessibili alla percezione come gli oggetti comunemente detti ‘reali o
fisici’; per questo motivo le rappresentazioni semiotiche di un oggetto
matematico diventano necessarie ma è altrettanto vero che l’attenzione deve
13
Duval R. (1993) Registres de Répresentation semiotiques et Fonctionnement cognitif de la
Pensée in “Annales de didatiques et de sciences cognitives”.
59
essere posta sempre sull’oggetto e non sulle sue diverse rappresentazioni
semiotiche 14 .
Sulle rappresentazioni visuali si sofferma Fischbein 15 affermando che
l’integrazione delle proprietà concettuali e figurali in strutture mentali, in
cui le prime sormontano le seconde, non è un processo naturale e per essere
raggiunta necessita di un costante impegno del docente. Il concetto figurale,
inteso come “fusione tra concetto e figura” è un ulteriore obiettivo che
l’insegnante deve prefiggersi, proponendo costantemente situazioni
didattiche richiedenti la stretta cooperazione tra tali aspetti, fino alla loro
fusione in oggetti mentali unitari. Se dunque il ruolo del registro figurale è
importante, analoga attenzione bisogna dare al registro linguistico. Infatti
non solo il linguaggio utilizzato nell’esposizione di nuovi argomenti, ma
anche quello con cui vengono proposti problemi ed esercizi potrebbero
nascondere ostacoli didattici. In particolare, il testo che viene fornito ai
ragazzi, a casa o in classe, deve non solo possedere un elevato indice di
leggibilità ma rispecchiare altresì determinati criteri evidenziabili dalla
valutazione di quelle che C. Laborde ha chiamato “variabili redazionali”
(punteggiatura e strutture sintattiche impiegate, complessità sintattica,
densità dell’enunciato, ordine dell’informazioni fornite). Da siffatta
valutazione si comprende come l’insegnante debba considerare che la
difficoltà del problema dipende anche dal testo con cui lo stesso viene
presentato. Certamente tali valutazioni potrebbero stridere con il desiderio
dell’insegnante di portare in aula un linguaggio rigoroso. Occorre tuttavia
considerare che l’uso di un linguaggio rigoroso rappresenta una difficoltà
ulteriore, che si aggiunge a quella comportata dalla risoluzione del
problema. Spetta quindi all’insegnante ricercare un giusto compromesso fra
il rigore ed una esposizione del problema il più possibile chiara per lo
studente.
Affrontando un tirocinio in Geometria risulta necessario altresì
esaminare il ruolo assolto dalle dimostrazioni.
Spesso in Geometria, alle dimostrazioni viene affidato un ruolo
fondamentale. Esse sono considerate dagli stessi insegnanti come mezzo
per convincere l’allievo, per “fargli vedere determinate proprietà”. Certo le
dimostrazioni rappresentano una fase importante dell’apprendimento
14
15
Duval R. (1993) op. cit.
Fischbein E. The theory of figural concepts, in: “Educational Studies in Mathematics”
60
dell’intera Matematica, ma limitare lo studio della disciplina al loro
svolgimento potrebbe allontanare lo studente, che vivrà questo distacco
come un personale fallimento. Come sostenuto da F. Speranza “le
dimostrazioni sono solo una parte del lavoro, esse sono precedute da una
fase di intuizione, di congetture, di tentativi che via via si perfezionano” 16 .
Questa fase preliminare non va ignorata anzi andrebbe considerato il livello
di ‘accettazione intuitiva’ raggiunto dallo studente. In particolare Fischbein
distingue tre livelli di comprensione: il primo considera il fatto espresso
dell’affermazione stessa, il secondo livello si riferisce alla struttura della
dimostrazione, l’ultimo riguarda la comprensione dell’universalità di tali
affermazione, garantita ed imposta dalla dimostrazione stessa.
Per ottenere l’attenzione dei ragazzi, per accrescere il loro
coinvolgimento, potrebbe risultare utile conferire maggiore spazio sia alla
Storia che all’Epistemologia della Matematica. L’approfondimento della
prospettiva storica, con specifico riferimento al contesto socio-culturale del
tempo, offre infatti la possibilità di riflettere e comprendere la genesi di un
concetto. L’epistemologia, invece, aiuta l’insegnante tanto nella
trasposizione didattica quanto nella comunicazione. Trascurando la
prospettiva epistemologica, la Matematica apparirà al ragazzo come
qualcosa di impersonale ed atemporale (come più volte denunciato da
Brousseau). Nascondere gli sforzi, le difficoltà incontrate nel costruire la
Matematica contribuisce solo ad una visione noiosa, mnemonica e
scollegata dal mondo reale della materia.
Il riferimento ad eventi storici, offrirebbe non solo un approccio
aneddotico (sempre piacevole per gli studenti) ma potrebbe altresì
rappresentare un utile filo di collegamento tra le varie discipline, mentre le
conoscenze epistemologiche possono aiutare un insegnante ad individuare
gli ostacoli epistemologici eventualmente presenti in determinati concetti
matematici.
Un’analisi delle strategie da seguire non può tuttavia risultare completa
senza aver considerato l’analisi degli errori, ed il ruolo da lasciare ai
ragazzi. Spesso gli errori di uno studente vengono letti come un fallimento e
non come la manifestazione di un malessere cognitivo, ovvero come
16
Speranza F. (1992), La geometria nelle scuole superiori: dimostrazioni o progetto di razionalità.
Definire, argomentare e dimostrare nel biennio e nel triennio: opinioni, esperienze e risultati di
ricerche a confronto, Atti del II Internucleo della Scuola secondaria superiore, CNR, tecnologie e
innovazioni didattiche
61
l’esplicitazione da parte dell’allievo di una misconcezione. Compito
dell’insegnante quindi non dovrebbe essere esclusivamente quello di
valutare siffatti errori in modo negativo, dovendo fornire al ragazzo tutti gli
strumenti necessari all’elaborazione critica. L’insegnante deve, in altri
termini, riconoscere in tali errori l’eventuale conflitto tra livello intuitivo,
livello algoritmico e livello formale, dovendo aiutare lo studente a prendere
coscienza di tali conflitti. Da parte sua, il ragazzo deve sviluppare, con
l’aiuto dell’insegnante, la capacità di analizzare le sue risposte, di rendere
esplicite le supposizioni implicite e dimostrarle attraverso l’uso di strategie
formali. In tal modo la lezione vedrà una diretta implicazione del ragazzo
nell’apprendimento, manifestata dalla rottura del contratto didattico. La
lezione, in altri termini, sarà caratterizzata dalla creazione di una situazione
a-didattica, in cui è il ragazzo in prima persona che fa tentativi, li verifica
ed analizza gli eventuali fallimenti.
Una simile didattica, più del rigore e delle dimostrazioni, potrebbe
indurre un’affezione per la disciplina, indispensabile perché lo studente sia
disposto ad apprendere.
Quanto detto trova una mirabile sintesi nel noto aforisma: “Credimi, dice
il maestro all’allievo, osa utilizzare il tuo proprio sapere e imparerai” 17 .
Vincoli
Al fine di concretizzare le strategie finora esaminate, non bisogna
trascurare il contesto in cui si lavora. Mi avvarrò pertanto delle riflessioni
scaturite dall’osservazione condotta nelle classi del liceo scientifico ‘E.
Fermi’ di Bologna, dove svolgo l’attività di tirocinio. L’Istituto offre, oltre
all’indirizzo tradizionale, altri 5 indirizzi sperimentali: il corso tradizionale
con scienze, il corso con sperimentazione linguistica (insegnamento di due
lingue straniere), il corso attuante il PNI, l’indirizzo che attua il PNI
integrato da scienze e quello con PNI integrato da due lingue straniere.
Tutti gli indirizzi hanno ampie possibilità di realizzazione, essendo
l’Istituto fornito di numerosi laboratori. Se a questi si aggiungono poi il
laboratorio musicale autogestito, la biblioteca, le palestre, gli ampi spazi
destinati alla ricreazione e l’offerta aggiuntiva di corsi di teatro, danza
scrittura, si comprende come l’obiettivo dell’Istituto sia quello di fornire
17
Sarrazy B. (1995) Le contrat didatique. Revue française de pedagogie
62
allo studente un ambiente quanto mai idoneo a stimolare ed evidenziare le
sue attitudini.
L’osservazione è stata condotta nelle classi di due bienni, con la
realizzazione di un inevitabile confronto fra quelle del medesimo anno di
corso. In particolare l’attenzione è stata rivolta alle classi dell’ultimo anno
del biennio, in una delle quali, la II C, svolgerò il tirocinio attivo. L’altra, la
II D, composta da 27 alunni mi è apparsa come una classe vivace,
complessivamente poco propensa allo studio, ma che a suo modo segue le
lezioni. Il clima in classe è disteso ed anche i rimproveri per il mancato
studio pomeridiano, sono all’insegna di una sintonia reciproca tra i ragazzi
e la professoressa.
La II C è composta da 21 alunni e sebbene il minor numero di studenti
dovrebbe influire positivamente sul rapporto alunno-insegnante, la
professoressa fin dall’inizio mi ha espresso le sue “preoccupazioni” per il
clima instauratosi in classe. Nel corso del primo anno, la classe, molto
vivace e poco attenta, seguiva le lezioni in un’aula con affaccio su via
Emilia Levante, strada molto trafficata ed alquanto rumorosa. I ragazzi
attribuivano la loro distrazione proprio alla collocazione dell’aula.
Quest’anno la loro aula si affaccia su un giardino interno ed è molto
silenziosa, ma, nonostante questo, la classe sembra comunque poco
interessata allo studio della Matematica. Personalmente ritengo che
l’assenza di partecipazione non sia dovuta ad un reale disinteressamento per
la Matematica, quanto piuttosto alla mancanza in classe di ragazzi che
partecipino in modo attivo alla lezione, mettendo in gioco le proprie
capacità.
Fatta eccezione infatti per alcuni ragazzi aventi lodevoli risultati, ma di
carattere taciturno ed inidonei ad ‘animare’ la lezione, e per quelli poco
coinvolti, la maggior parte degli studenti si limita alla continua richiesta di
regole da applicare e procedimenti standard da seguire. Tale esigenza li
induce ad ascoltare passivamente la lezione, ma soprattutto causa enormi
difficoltà in quelle consegne dove è richiesta una rielaborazione personale
delle conoscenze acquisite.
Pur con risultati differenti, la metodologia utilizzata dal tutor in entrambe
le classi è simile (ciò a riprova che non esiste una ricetta pronta che
consenta di preparare una lezione di Matematica efficace, per
l’apprendimento dell’allievo). Le lezioni sono quasi sempre frontali: la
63
professoressa, seguendo l’ordine del libro di testo, propone alla classe i
nuovi argomenti, soffermandosi, per quanto riguarda la Geometria, sulla
chiarezza del disegno, delle ipotesi e della tesi. Particolare importanza
viene data al lavoro svolto nelle ore pomeridiane, che dovrebbe contribuire
ad una personale rielaborazione dei contenuti illustrati in classe, nonché
all’emersione di passaggi poco chiari da riesaminare nella lezione
successiva. Lo studio pomeridiano a casa, tuttavia, è quasi assente per la
maggior parte dei ragazzi e la professoressa è costretta a controllare spesso i
compiti assegnati. In caso di mancata consegna, lo studente è invitato alla
lavagna per svolgere l’esercizio mancante onde approfondire gli eventuali
passaggi critici. Di fronte ad imprecisioni od errori, la professoressa invita
altri ragazzi ad intervenire mantenendo così alta l’attenzione di tutta la
classe.
La partecipazione spontanea è bene accetta ed anzi incoraggiata. In tali
momenti l’attenzione della professoressa non è rivolta alla correttezza dei
calcoli, quanto piuttosto a comprendere se il ragazzo ha fatto propri
determinati concetti. Interventi concettualmente esatti, ma inutili ai fini
della corretta consegna vengono considerati inesatti in quanto espressione
di un apprendimento mnemonico, cui non è seguita alcuna riflessione
personale.
Per quanto riguarda la Geometria, il libro di testo utilizzato “Talete. Le
grandezze geometriche, la similitudine, lo spazio” di Bergamini-Trifone,
propone un’impostazione classica: definizioni, teoremi, alcuni problemi
svolti in funzione esemplificativa. Al testo la professoressa affianca suoi
schemi, con l’intento di aiutare gli studenti ad inquadrare meglio
l’argomento.
Raramente la professoressa conduce i ragazzi in laboratorio
fondamentalmente per problemi organizzativi e di tempo avendomi fatto
osservare situazioni in cui l’uso di software specifici, in particolare del
Cabrì, sarebbe risultato utile. Anche gli studenti hanno più volte espresso il
loro desiderio di svolgere alcune lezioni in laboratorio.
Prerequisiti
Il tirocinio attivo in II C verrà svolto in Geometria ed in particolare
sull’equivalenza delle figure
64
piane. Per il raggiungimento degli obiettivi, che dinanzi verranno
elencati, è necessario che i ragazzi
abbiano acquisito determinate conoscenze e competenze 18 . In
particolare:
Sapere
definizione di relazione di equivalenza;
definizione di proprietà associativa, commutativa;
i tre criteri di congruenza dei triangoli;
definizione di poligono circoscritto in una circonferenza;
definizione di parallelogramma e di trapezio;
Saper fare
lavorare con le proprietà che caratterizzano una relazione
d’equivalenza;
costruire l’altezza relativa a ciascun lato di un triangolo;
disegnare un poligono circoscritto a una circonferenza;
costruire le altezze in un parallelogramma;
applicare i criteri di congruenza dei triangoli;
riconoscere la congruenza fra figure piane e fra angoli;
individuare figure piane, in particolare parallelogrammi e
trapezi, anche se disegnate in posizioni differenti da quelle che usualmente
vengono adoperate;
conoscenze di base del software Cabrì.
Un test iniziale potrà essere sicuramente utile sia per individuare il
possesso di tali competenze da parte della classe, che il relativo livello di
acquisizione 19 .
Sarà dunque possibile evidenziare se i ragazzi sono in grado di riprodurre
conoscenze note applicabili in accertamenti standardizzati, oppure se, ad un
livello più alto, sono in grado di affrontare problemi non di semplice
routine, ma sempre di ambito familiare ovvero infine se sono in grado di
Per conoscenze si intende l’insieme di nozioni, concetti ed informazioni che il ragazzo apprende
e di cui diventa detentore. Le competenze sono l’insieme di attitudini (qualità intrinseche
dell’individuo), delle conoscenze (o saperi), delle abilità (“sapere in azione” ovvero la modalità
con cui la conoscenza viene esercitata e resa operativa) detenute dal ragazzo
19
In PISA 2003 sono evidenziati tre livelli di competenze: della riproduzione, delle connessioni,
della riflessione.
18
65
pianificare strategie di soluzioni ed applicarle in contesti meno familiari e
più complessi.
Obiettivi
L’attuazione del tirocinio attivo è vincolata ai seguenti obiettivi:
Sapere
acquisire il concetto di superficie piana;
acquisire il concetto di area come relazione di equivalenza;
acquisire il concetto di equivalenza fra figure piane ed
equiscomponibilità;
individuare e dimostrare l’equivalenza fra poligoni;
conoscere i teoremi di Euclide e le relative dimostrazioni;
conoscere il teorema di Pitagora e la relativa dimostrazione.
Saper fare
addizionare /sottrarre più superfici;
confrontare superfici stabilendo relazioni fra esse;
trasformare poligoni in altri equivalenti;
applicare i teoremi di Euclide e di Pitagora;
verificare, attraverso l’utilizzo del software Cabrì, l’equivalenza
fra figure;
formulare congetture in relazione a problemi geometrici,
attraverso l’uso di Cabrì, e argomentare su di esse;
saper manipolare figure piane trasformandole in altre equivalenti
attraverso riga e compasso.
Considerata la “situazione emotiva” della classe, mi pare utile proporre
alcuni obiettivi anche in ordine alla metodologia da utilizzare.
Pur evitando di stravolgere lo stile del tutor, lezioni frontali nelle quali
alla spiegazione teorica segue un ampio spazio dedicato alla risoluzione di
esercizi e problemi atti a consolidare ed approfondire le nozioni acquisite, è
mia intenzione introdurre nella lezione più ampi riferimenti storici nonché
l’utilizzo di tecnologie informatiche.
Questo al fine di rompere quella “routine” d’aula che la classe vive, forse
dovuta in parte ad una cattiva interpretazione del contratto didattico, ossia
“dell’insieme di regole, di vere e proprie clausole…che organizzano le
relazioni tra il contenuto insegnato, gli alunni, l’insegnante e le attese,
66
all’interno della classe nelle ore di Matematica” (D’Amore 1999). Siffatta
discontinuità rispetto all’accennata “routine” potrà essere favorita dal mio
ruolo di “professore pro-tempore” (la stessa mia presenza in aula come
tirocinante ha rappresentato elemento di “diversità”) dovendo comunque
essere gestita con attenzione per evitare che costituisca un elemento di
disorientamento per lo studente.
Organizzazione dei contenuti
Le lezioni verranno organizzate in modo tale da stimolare costantemente
i ragazzi alla partecipazione attiva, sebbene, nella fase di osservazione,
abbia potuto notare una certa reticenza a tale coinvolgimento, nonostante i
ripetuti inviti della professoressa tutor. Il mio intento è quello di evidenziare
in ogni fase l’aspetto storico che ha spinto i grandi studiosi della materia a
soffermarsi su determinati argomenti, facendo contemporaneamente
emergere le idee, le immagini che i ragazzi hanno dei concetti, oggetto di lì
a poco della lezione. Credo infatti sia necessario tenere sempre a mente che
i ragazzi non sono una ‘tabula rasa’ ma che, attraverso esperienze di vita
quotidiana e/o attraverso le attività condotte nel corso degli anni di studio
precedenti, essi hanno già costruito proprie immagini e propri modelli.
Nell’introdurre i nuovi concetti, è mia intenzione, quindi, di partire dalle
idee intuitive dei ragazzi per poi passare alla formalizzazione delle stesse,
evidenziando altresì l’importanza di tali nozioni nella vita quotidiana.
Attraverso le attività di laboratorio, i ragazzi saranno coinvolti in prima
persona nella costruzione di congetture e nella verifica dei risultati cui esse
portano. Questa attività sarà inoltre un valido ausilio affinché i ragazzi non
si limitino solo alla risoluzione del problema, ma riflettano sulle strategie
utilizzate.
Fase 1 (tempo previsto 1 ora)
Per la realizzazione degli obiettivi assegnatimi (e credo anche a livello
metacognitivo) è necessario instaurare fin da subito un rapporto chiaro e
corretto con la classe, spiegando anzitutto la ragione della “momentanea
sostituzione” dell’insegnante.
Ai ragazzi deve essere chiaro che, sia pur con differenti modi di
attuazione, le linee guide sono state concordate con la professoressa, ciò al
67
fine di evitare che la sostituzione temporanea sia percepita come una
discontinuità dell’attività disciplinare.
Essendo la conoscenza della classe limitata al periodo di tirocinio
passivo, ritengo inoltre importante proporre un test per la verifica del
possesso da parte degli studenti di quelle competenze e conoscenze
necessarie per affrontare il nuovo argomento. L’esito del test verrà discusso
in una lezione successiva, non come una correzione di un compito in classe,
ma come libera discussione nel corso della quale gli stessi ragazzi saranno
chiamati ad evidenziare le eventuali lacune, con il successivo ed immediato
mio intervento.
L’impostazione di questo breve lavoro sarà del tutto compatibile con la
traccia del libro di testo e con i risultati dell’osservazione, proprio al fine di
evitare confusione in ogni studente.
Nelle fasi seguenti si cercherà sempre di affiancare ai concetti
geometrici, riferimenti storici e/o applicazioni concrete. A supporto di tali
‘deviazioni’, non presenti sul libro di testo, verranno di volta in volta
forniti, a ciascun ragazzo, i materiali di riferimento, opportunamente
fotocopiati.
Una copia del materiale aggiuntivo fornito verrà attaccata ad un
cartellone affisso in classe. Va da sé che confido in una ricerca
(incoraggiata e ben accetta) di materiale ulteriore da parte dei ragazzi.
Anche i materiali messi a disposizione dagli studenti arricchiranno il
tabellone, nel tentativo di far vivere l’argomento trattato come qualcosa di
costruito con il contributo di tutti e la cui forma verrà delineata, lezione
dopo lezione rispecchiando gli interessi ed il modo di essere della classe
stessa.
Fase 2 (tempo previsto 6 ore)
Inizialmente verrà fatto emergere il concetto di estensione di una
superficie che i ragazzi hanno acquisito nel corso degli anni di studi passati.
Si portano esempi concreti per evidenziare i problemi della vita quotidiana
in cui utilizzare il concetto di area. Si fa riferimento storico all’importanza
che il calcolo delle aree aveva negli antichi Egizi e Greci. Si fornisce una
dispensa di tale riferimento storico che mi permetterà di introdurre l’attività
relativa al riempimento del cartellone e di spiegarne il senso.
68
Viene poi introdotto il concetto di equivalenza fra figure piane facendo
emergere le proprietà che la rendono una relazione d’equivalenza. I ragazzi
saranno stimolati a calcolare la somma e la differenza fra superfici o a
confrontarle fra loro (maggiore di, minore di). Si evidenzierà come tale
concetto sia utile nella vita extra scolastica (acquisto di più terreni, scelta di
un appartamento per la sua metratura, ecc). Attraverso l’utilizzo del
tangram, i ragazzi saranno invitati a costruire figure adoperando sempre un
ugual numero di pezzi (figure equivalenti) o una porzione sempre differente
(figure non equivalenti). In tal modo si concretizzerà l’idea di equivalenza
fra figure e allo stesso tempo si evidenzierà la differenze fra tale concetto e
quello di congruenza.
Viene introdotto il concetto di figure equiscomponibili evidenziando la
relazione con il concetto di equivalenza fra le stesse figure.
Attraverso un attività in laboratorio (o anche l’utilizzo di videoproiettore
in classe), i ragazzi, utilizzando macro elaborate con il software Cabrì (vedi
allegato ‘Macro Cabrì’), saranno invitati a trasformare le figure in altre
equivalenti. Le immagini stampate verranno poi incollate sul cartellone.
L’attività sarà finalizzata a rendere visibili i concetti che in aula verranno
poi affrontati con maggiore rigore matematico.
Successivamente si procederà alla spiegazione dei vari teoremi
sull’equivalenza fra figure piane (alcuni dei quali sono stati visti nella
precedente attività di laboratorio), seguendo l’ordine del libro di testo. Il
libro verrà costantemente preso in considerazione non solo per l’ordine di
presentazione, ma anche per l’impostazione delle dimostrazioni. E’ infatti
importante che i ragazzi, nel loro studio pomeridiano, trovino nel libro di
testo un valido strumento di ripetizione.
In particolare verranno dimostrate le seguenti equivalenze:
fra due parallelogrammi;
fra parallelogramma e triangolo;
fra triangolo e trapezio;
fra triangolo e poligono circoscritto a una circonferenza.
Infine, verrà illustrata la trasformazione di un poligono convesso in un
altro poligono equivalente al primo ma con un lato in meno. Si farà quindi
vedere come da qualsiasi poligono si possa ricavare un triangolo
equivalente. Questa fase è di notevole importanza perché permetterà ai
ragazzi di lavorare manualmente attraverso disegni alla lavagna.
69
La spiegazione dei teoremi suddetti richiederà sicuramente una lezione
più frontale rispetto alle precedenti ma l’obiettivo non sarà la sterile
riproduzione, dal libro alla lavagna, delle varie dimostrazioni, bensì la
costruzione di ciascuna di essa con la partecipazione di tutta la classe.
In questa fase verrà coinvolto il nucleo fondante “Argomentare,
congetturare, dimostrare”. Sia per l’attività di laboratorio che per la lezione
in aula verrà chiesto ai ragazzi di produrre congetture e di argomentarle. Le
congetture emerse verranno messe fra loro a confronto, confermando quelle
corrette attraverso l’uso del software e/o il riferimento a teoremi già
studiati; nello stesso modo verranno confutate le congetture errate.
Prima di passare ad argomenti successivi, verrà effettuato un riepilogo di
quanto emerso. L’attività consentirà di “testare” il grado di attenzione della
classe ed il relativo coinvolgimento negli argomenti trattati. Attraverso lo
svolgimento di esercizi alla lavagna si cercherà di riepilogare, coinvolgendo
tutta la classe, tutti i concetti emersi.
Fase 3 (tempo previsto 5 ore)
Prima di enunciare i teoremi di Euclide e quello di Pitagora verrà
presentata la vita di questi grandi matematici e le rispettive opere. Il
materiale concernente tale approfondimento storico verrà distribuito agli
studenti ed una copia dello stesso verrà affissa al cartellone.
Dopo aver precisato la nomenclatura utilizzata per indicare gli elementi
di un triangolo rettangolo, verranno illustrati i seguenti teoremi:
o
Primo teorema di Euclide: enunciato e dimostrato seguendo i
criteri di una lezione frontale. L’impostazione che verrà seguita, quella del
libro di testo, considera l’equivalenza fra il quadrato ed un parallelogramma
costruiti su uno stesso cateto di un triangolo rettangolo e l’equivalenza dello
stesso parallelogramma con il rettangolo opportunamente costruito sulla
proiezione del cateto sull’ipotenusa. Sfruttando la proprietà transitiva
dell’equivalenza si arriverà alla tesi.
o
Teorema di Pitagora: poiché esso è stato già studiato alla scuole
medie si cercherà in un primo momento di far emergere quanto i ragazzi già
conoscono. A tal fine verranno utilizzate alcune delle fasi descritte nel
documento UMI 2003 in riferimento a questo teorema. In particolare verrà
utilizzato il racconto (vedi allegato) presente nella prima di dette fasi per
stimolare una discussione sull’applicabilità del teorema di Pitagora. In
70
particolare si chiederà ai ragazzi di riflettere su quanto descritto nel
racconto, di riprodurlo alla lavagna (l’uso di gessetti colorati potrebbe
aiutare l’evidenziazione delle figure interessate), di verificarlo per più
triangoli rettangoli aventi lati di lunghezza intera. Il racconto proseguirà
seguendo la seconda fase proposta in UMI 2003 (vedi stesso allegato) al
fine di interrogare i ragazzi sulla validità del teorema di Pitagora per tutti i
triangoli rettangoli a prescindere dalla lunghezza dei suoi lati. Questa
riflessione porterà all’esigenza di una dimostrazione formale che garantisca
l’universalità del teorema. Quest’attività può risultare particolarmente utile
in quanto, anche in fase di tirocinio, mi è capitato di osservare come i
ragazzi spesso confondano la dimostrazione con la verifica (“l’ho provato
per n casi e funziona!!”). Verrà considerata la dimostrazione sulla validità
del teorema riportata sul libro di testo.
o
Inverso del teorema di Pitagora: questo teorema, solo enunciato,
verrà introdotto illustrando ai ragazzi la modalità con cui gli antiche Egizi
costruivano gli angoli retti e facendo osservare loro che tale metodologia
rappresenta proprio l’inverso del teorema di Pitagora (vedi allegato). Tale
metodologia è ripresa ancora una volta dal documento UMI2003
o
Secondo Teorema di Euclide enunciato e dimostrato seguendo i
criteri di una lezione frontale. L’impostazione che verrà seguita, quella del
libro di testo, sfrutta il primo teorema di Euclide e la proprietà transitiva
dell’equivalenza.
Tutti gli allegati utilizzati in tale fase verranno affissi al cartellone.
Fase 4 (tempo previsto 3 ore) - Laboratorio
Con l’attività di laboratorio, mediante l’uso di Cabrì, si desidera
coinvolgere in prima persona i ragazzi, invitandoli a congetturare sulle
possibili strade da seguire per verificare il teorema di Pitagora.
Dopo aver effettuato la costruzione ed aver controllato la veridicità del
teorema in questione per alcuni casi (saranno gli studenti, muovendo i tre
vertici, ad indicare il caso particolare che stanno considerando), ai ragazzi
verrà chiesto di spostare il vertice relativo all’angolo retto in modo che il
triangolo di ipotenusa i e cateti c1 , c2 diventi:
Triangolo rettangolo equilatero (c1 = c2): applicando teorema di
Pitagora si avrà i =
2 c1
71
ovvero la formula che fornisce la diagonale di un quadrato di cui si
conosce il lato (il triangolo iniziale è proprio la metà di un quadrato)
Triangolo rettangolo avente il cateto c1 la metà dell’ipotenusa
(c1 =i/2)): applicando il teorema di Pitagora i ragazzi troveranno che
c2= 3 2 i Ovvero la formula per determinare l’altezza di un triangolo
equilatero di cui si conosce il lato (il triangolo iniziale è proprio la metà di
un triangolo equilatero).
Naturalmente per entrambi i casi saranno i ragazzi che attraverso
congetture, discussione, verifiche dovranno arrivare alle osservazioni prima
riportate.
Al termine di questa fase verrà chiesto ai ragazzi di elaborare a casa una
relazione, nella quale spiegare l’attività svolta in laboratorio, i risultati
trovati, le figure su cui si è lavorato. Questa attività è indispensabile al fine
di “istituzionalizzare” il sapere emerso. Le relazioni, richieste dopo le prime
due ore di attività in laboratorio, verranno discusse nell’ultima ora.
Fase 5 (tempo previsto 3 ore) - Verifica
Verifica (2 ore)
Il testo del compito verrà elaborato in stretta collaborazione con il tutor.
Improntando la verifica anche allo stile della professoressa, è mia
intenzione proporre un compito composto da
domande a risposta aperta;
domande a risposta chiusa;
problemi simili a quelli già affrontati in aula;
problemi, per la cui risoluzione non siano necessari solo gli
argomenti trattati, ma anche la personale pianificazione di una strategia di
risoluzione.
Correzione (1 ora)
La correzione e discussione in aula della verifica effettuata segnerà la
conclusione della mia attività di tirocinio. Da questo fase dovrà emergere
sia una valutazione del percorso effettuato dallo studente che, e in questo
caso soprattutto, della correttezza dell’impostazione e dell’attuazione
dell’iter da me utilizzato.
72
Valutazione
Per affrontare il tema della valutazione è indispensabile riflettere sulle
sue finalità, sugli strumenti da operare e sui fattori da osservare.
L’idea di valutazione è stata fonte di studio e nel corso degli anni ha
subito una profonda evoluzione. Se infatti all’inizio del XX secolo era il
docente che valutava l’allievo per le sue capacità cognitive, oggi l’idea di
valutazione è radicalmente mutata, non essendo più intesa come un fine ma
come un processo.
La valutazione quindi non s’identifica più con la semplice assegnazione
di un voto, ma diviene lo “strumento tramite il quale l’insegnante sprona
l’allievo e sé stesso a sviluppare meglio il processo di insegnamento –
apprendimento, aiutando in questo l’allievo a non essere solo attore in
dipendenza del contratto didattico” 20 .
Si comprende allora come la valutazione debba essere considerata come
un processo utile sia all’insegnante, per misurare l’efficacia della propria
didattica, sia all’allievo, per verificare le conoscenze-competenze apprese.
Studi pedagogici hanno evidenziato la distinzione tra valutazione
“formativa”, “sommativa” e “valutativa”. La prima prende in esame la
realizzazione degli obiettivi cognitivi di un allievo, la seconda misura il
lavoro di ciascun allievo in modo sistematico (spesso riducendosi
all’assegnazione di un voto), mentre l’ultima considera una valutazione più
ampia, che prende in esame il lavoro dell’insegnante, la scuola, il curricolo.
Se quindi la valutazione è un processo così complesso, si comprende
come non sia possibile individuare un unico strumento atto al
raggiungimento di tutti questi obiettivi. E’ necessario allora adottare
tecniche differenti a seconda dello scopo da raggiungere. In particolare si
potrà:
osservare i ragazzi impegnati nelle attività in aula e chiedere
spiegazioni sul loro operato;
chiedere agli studenti la loro opinione sulla matematica, il loro stato
d’animo mentre lavorano in matematica;
favorire la discussione in aula;
utilizzare le prove tradizionali.
20
Perrenoud (1991) , Pour une approche pragmatique de l’évolution formative
73
Tali metodologie verranno tenute ben presenti nel corso del tirocinio
attivo.
Il test iniziale avrà lo scopo di valutare le conoscenze e le competenze
possedute da ciascuno studente. Le valutazioni formative in itinere
verranno attuate durante l’attività in classe, considerando gli interventi degli
studenti, la loro partecipazione nelle varie fasi, la loro capacità di svolgere
problemi nuovi proposti in classe.
L’esito di queste valutazioni porterà altresì ad una personale riflessione
sul mio operato in classe e sull’efficacia delle metodologie utilizzate,
permettendomi, ove sia necessario, di apportare le dovute correzioni.
A conclusione del progetto verrà proposta una verifica sommativa per
valutare il livello di comprensione dei concetti affrontati ed il
raggiungimento degli obiettivi prefissati.
La valutazione individuale non scaturirà solo da siffatta verifica, bensì
anche dall’osservazione della classe in tutte le attività proposte,
dall’interesse mostrato, dall’impegno profuso in classe come nelle ore
pomeridiane di studio a casa. Per quanto concerne la valutazione
sommativa, anche al fine di garantire una certa continuità con il passato,
svilupperò, con l’aiuto del tutor, una griglia per attribuire a ciascuno degli
esercizi proposti un voto; la somma dei singoli risultati costituirà il voto
assegnato. La correzione di ciascun esercizio non terrà conto solo della
correttezza del risultato finale, ma anche del procedimento seguito e della
logica utilizzata.
Alla luce di quanto esposto, la valutazione non potrà dirsi completa
senza che sia stata esaminata l’efficacia del mio intervento. A tal fine
risulterà certamente utile non solo l’analisi dell’esito della verifica,
eventualmente rapportato agli esiti ottenuti dalla classe in precedenti
verifiche, ma anche il confronto con il supervisore, costantemente
aggiornato sulle attività svolte e sulla risposta della classe, e con la tutor.
Quest’ultima, in particolare, grazie alla compresenza in aula ed
all’approfondita conoscenza della classe, potrà esprimere un costruttivo
parere sia sulle attività proposte sia sulle modalità di insegnamento da me
concretamente adottate.
74
Bibliografia
Bagni G. T. (1997), Visualizzazione e didattica della matematica nella scuola
secondaria superiore. L’insegnamento della matematica e delle scienze
integrate. 20b., 4, 309-335.
Bagni G.T. (2005), Appunti di Didattica della Matematica. Reperibile sul sito
http://www.syllogismos.it/giorgiobagni/appdid/0-introd.pdf.
D’Amore B. (1999), Elementi di didattica della matematica. Bologna,
Pitagora.
D’Amore B. (2004), Il ruolo dell’Epistemologia nella formazione degli
insegnanti di Matematica nella scuola secondaria. La matematica e la sua
didattica, 4, 4-30.
D’Amore B., Sbaragli S.(2005), Analisi semantica e didattica dell’idea di
“misconcezioni”. La
matematica e la sua didattica, 2, 139-163.
Sbaragli S.(2005), L’importanza delle diverse rappresentazioni semiotiche. Il
caso degli enti primitivi della geometria. Bollettino dei docenti di
matematica, 50, 69-76.
Sbaragli S. (2005), Misconcezioni “inevitabili” e misconcezioni “evitabili” .
La matematica e la sua
didattica,1, 57-71.
Fandiño Pinilla M. I. (2002), Curricolo e valutazione in matematica. Bologna,
Pitagora.
Documenti consultati:
Commission de réflexion sur l’enseignement des mathématiques (2000).
Rapport d’étape sur la
géométrie et son ensegnement.
UMI 2003 : Attività didattiche e prove di verifica per un nuovo curricolo di
Matematica- Ciclo secondario. Unione Matematica Italiana..
Piano dell’Offerta Formativa 2006-2007 del liceo scientifico “Enrico Fermi”
di Bologna.
PISA 2003, Valutazione dei quindicenni, Armando 2004
Siti consultati
http://digilander.libero.it/scuoladibiasio/file_Cabri.htm
75
http://www.syllogismos.it/giorgiobagni/dispense.htm
Libri Geometria
Bergamini, Trifone- Talete. Le grandezze geometriche, la similitudine, lo
spazio.
Scaglianti, Varagnolo- Lezioni di Matematica: la geometria.
76
Allegato teorema Pitagora
Descrizione dell’attività
L’attività proposta non solo offre una ripresa e un approfondimento di
contenuti noti agli studenti,
che infatti nella scuola media hanno già conosciuto e applicato il teorema
di Pitagora, ma li guida
anche ad argomentare correttamente.
Prima fase
L’insegnante inizia con la lettura di una parte del racconto.
“Siamo assai impazienti”, continuò lo Sceicco, "che tu ci aiuti a
rispondere a una domanda posta dal principe Cluzir Shah. In quale modo
gli indiani hanno contribuito al progresso della matematica e chi sono i
geometri indiani che maggiormente si sono distinti in questa scienza?”
“Generoso Sceicco!”, rispose Beremiz, "Il compito che tu mi affìdi richiede
cultura e obbiettività: cultura, per conoscere nei particolari la storia della
scienza, obbiettività per analizzarla e giudicarla con criterio. D'altra parte,
o Sceicco, ogni tuo desiderio è per me un ordine. Racconterò quindi a
questa eletta compagnia, quale piccolo omaggio al principe Cluzir Shah, le
poche cose che
conosco sullo sviluppo della matematica nel paese del Gange.”
“Nove o dieci secoli prima di Maometto viveva nell'India un famoso
bramino di nome Apastamba. Questo sapiente, per istruire i preti sulla
costruzione di altari e sul progetto di templi, scrisse un’opera chiamata
Salvasūtra che contiene molti esempi matematici. È improbabile che questo
trattato sia stato influenzato dalle teorie pitagoriche, dal momento che gli
studiosi indiani non seguivano i metodi di indagine dei greci. Nelle sue
pagine si trovano comunque numerosi teoremi e
SPAZIO e FIGURE regole per costruzioni geometriche. Per spiegare la
costruzione di un altare, Apastamba propone di tracciare un triangolo
rettangolo, i cui lati misurino rispettivamente 39, 36 e 15 centimetri; per
risolvere il problema egli applica un teorema attribuito al greco Pitagora:
“L’area del quadrato costruito sull'ipotenusa è equivalente alla somma
delle aree dei quadrati costruiti sugli altri due lati”. E, rivolgendosi allo
sceicco Iezid, che ascoltava attentamente: “Sarebbe più facile spiegare
questa famosa regola con un disegno”. Lo Sceicco fece un cenno ai
servitori, e subito due schiavi portarono una larga scatola piena di sabbia,
sulla cui liscia superficie Beremiz si mise a tracciare figure e a effettuare
calcoli per il Principe di Lahore, servendosi di una canna di bambù. “Ecco
un triangolo rettangolo. Il suo lato maggiore si chiama ipotenusa.
Costruiamo adesso un quadrato su ciascuno dei suoi lati: è facile
dimostrare che il quadrato grande disegnato sull'ipotenusa ha esattamente
la stessa area della somma degli altri due quadrati, confermando così la
giustezza del teorema di Pitagora.”
L’insegnante apre la discussione allo scopo di guidare gli studenti ad
analizzare quanto viene descritto nel testo e a verificarlo con strumenti
grafici o con un software di geometria. Invita poi a ricercare e a costruire
casi analoghi, ovvero triangoli rettangoli in cui i lati hanno misure espresse
da numeri interi.
Seconda fase
L’insegnante prosegue proponendo agli studenti la lettura di un altro
passo del racconto:
Il Principe chiese se la stessa regola fosse valida per tutti i triangoli. Al
che Beremiz rispose solennemente: “È vera e costante per tutti i triangoli
rettangoli. Posso affermare, senza tema di SPAZIO e FIGURE smentita,
che la legge di Pitagora esprime una verità eterna. Ancor prima che il sole
78
splendesse nel firmamento, ancor prima che ci fosse aria da respirare, il
quadrato dell'ipotenusa era uguale alla somma dei quadrati degli altri due
lati.” Affascinato dalle spiegazioni di Beremiz, il Principe si rivolse con
calore al poeta Iezid: “Come è meravigliosa la geometria, amico mio! Che
scienza interessante! Dalle sue spiegazioni emergono due qualità atte a
impressionare anche l'uomo più umile e sprovveduto: la chiarezza e la
semplicità”. E, sfiorando leggermente la spalla di Beremiz con la mano
sinistra, gli chiese: “Questa scoperta degli antichi greci compare anche nel
Salvasūtra di Apastamba?” Beremiz non esitò a rispondere. “Certamente,
mio Principe!” disse. “Anche se il cosiddetto teorema di Pitagora compare
nel Salvasūtra in una forma un po' diversa. Fu leggendo l'Apastamba che i
preti appresero l'arte di costruire santuari, mettendo in relazione i triangoli
rettangoli con i relativi quadrati”.
L’insegnante sollecita la discussione allo scopo di suscitare le seguenti
domande:
Tale proprietà vale per tutti i triangoli rettangoli o solo per quelli che
hanno i lati con particolari misure? Attraverso quanto verificato si può
rispondere a tale domanda? Si vuole giungere in tal modo a far emergere la
necessità di trovare altre vie per accertare la validità della proprietà per tutti
i triangoli rettangoli.
79
Allegato inverso Teorema Pitagora
L’insegnante racconta agli studenti del modo in cui si dice che gli
Egiziani costruissero gli angoli
retti, avvalendosi di cordicelle con nodi equidistanti in numero uguale a
quelli di terne pitagoriche,
per esempio 3, 4, 5.
Facevano 11 nodi su una corda a distanza uguale tra loro. Fissavano
quindi a terra i due capi della
corda e, tenendo la corda tesa, la fissavano al terreno nel terzo e settimo
nodo.
Si può chiedere agli studenti se ritengono questo procedimento
equivalente a quanto visto finora o
se osservano qualche differenza.
L’insegnante li guida a concludere che quanto fatto dagli Egiziani
rappresenta l’operazione inversa.
Le attività svolte in precedenza conducono alla dimostrazione di una
proprietà dei triangoli
rettangoli (il teorema di Pitagora), mentre il modo di procedere degli
Egiziani si fonda
sull’enunciato inverso: se i lati di un triangolo hanno misure tali che la
somma dei quadrati di due è
uguale al quadrato della terza allora il triangolo è rettangolo.
80
Allegato n. 2 - Analisi del testo di un problema
Variabili redazionali di Laborde
1.
2.
3.
4.
5.
grado esplicitazione
complessità sintattica
densità dell’enunciato
ordine delle informazioni fornite
differenza tra forma in cui le informazioni sono date e
quella in cui le si deve trattare nella risoluzione
6. grado esplicitazione degli oggetti intermedi utili alla
risoluzione del problema
Formula R. Flesh: Sia F il grado di “facilità” di un testo
F = 206.85 −
s.100
p
* 0.59 − *1.015
p
f
dove s = numero di sillabe, p = numero di parole, f = numero di frasi.
Testo 1:
Quesito tratto dal libro ‘Lezioni di matematica: geometria’ di L.
Scaglianti – L. Varagnolo
Ed. CEDAM
Si unisca il punto medio M di un lato obliquo AD di un trapezio con gli
estremi B, C del lato opposto.
Dimostrare che si ottiene un triangolo equivalente alla metà del trapezio
Testo 2:
Quesito tratto dal libro ‘Talete. Le grandezze geometriche, la
similitudine, lo spazio’ di A. Trifone, M Bergamini Ed. Zanichelli
Disegna un trapezio ABCD, sia BC uno dei lati non paralleli ed M il
punto medio di AD. Dimostrare che il triangolo BMC è equivalente a metà
del trapezio
81
Esaminiamo i due testi a partire dalla formula di Flesh:
Formula di Flesh - testo 1:
s= 63, p=33, f=2 ⇒
F= 206.85 −
63.100
33
* 0.59 − * 1.015 =77.48
2
33
Formula di R. Flesh - testo 2:
s= 51, p=29,
F= 206.85 −
f=2 ⇒
51.100
29
* 0.59 − *1.015 = 88.39
2
29
Da cui si evidenzia come il secondo testo abbia un grado di facilità
maggiore del primo.
82
Esaminiamo i due testi a partire dalle variabili di Laborde:
Variabili
redazionali
Laborde
Testo 1
grado
esplicitazione
la punteggiatura non è la punteggiatura è utilizzata e
utilizzata e non viene viene indicato esplicitamente
esplicitato il triangolo da il triangolo da considerare
considerare
complessità
sintattica
l’enunciato appare complesso.
Costituito
da
due
proposizioni, di cui la prima
richiede
una
notevole
attenzione da parte dello
studente
l’enunciato appare meno
complesso. Costituito sempre
da due proposizioni, ma la
prima ha una forma espositiva
meno “rischiosa”
densità
dell’enunciato
il testo è alquanto denso
il testo è alquanto denso
ordine delle
informazioni
fornite
nel testo vengono enunciate nel testo vengono enunciate
prima le ipotesi e solo dopo è prima le ipotesi e solo dopo è
esplicitata la tesi
esplicitata la tesi
differenza
tra
forma in cui le
informazioni sono
date e quella in cui
le si deve trattare
nella risoluzione
le informazioni sono date
nell’ordine inverso rispetto a
quello in cui esse possono
essere trattate
grado
esplicitazione degli
oggetti intermedi
utili
alla
risoluzione
del
problema
i lati obliqui da considerare i lati obliqui da considerare
non
vengono
esplicitati vengono
esplicitati
fin
inizialmente ma ricostruiti dall’inizio
durante il testo
Testo 2
le informazioni sono date
nell’ordine in cui esse
possono essere trattate nella
risoluzione
83
84
Allegato n. 3 - Schemi delle lezioni
85
Lezione 06/02/2007 (2 ore)
II ora:
………………………..
Problema:
Quando due superfici hanno la stessa
estensione?
• V esercizio del test (allegato n. 4)
• Esempi con figure irregolari
• Allegato n. 7
Figure con uguale estensione possono
non essere equiscomponibili
Restrizione del
studio ai poligoni
nostro
Relazione d’equivalenza (concetto di area)
Concetto superfici equivalenti
Svolgimento di esercizi
In classe: esercizi pag 25 P+ n 5, 9
Per casa: teoria: I paragrafo
esercizi: pag 25 P+ n 1,2,6,8
Lezione del 10/02/2007 (1 ora)
Obiettivo:L’attività di laboratorio permette ai ragazzi di “vedere” alcune equivalenze, si
passa poi ad una dimostrazione formale (evidenziare differenza fra queste due fasi)
Per un contrattempo otteniamo in ritardo le
chiavi del laboratorio. Purtroppo i tempi
devono essere più serrati!!!
Attività laboratorio
Uso macro cabrì per ‘vedere’ alcune equivalenze
Lezione frontale
Dimostrazione teorema “Equivalenza fra due parallelogrammi”
Corollario: Equivalenza parallelogramma e rettangolo
(vista macro cabrì)
Per casa: teoria: pag 5 P+
esercizi: pag 22 P+ n 11, 12, 18 - pag 24 P+ n 23, 24,25
Lezione del 20/02/2007 (2 ora)
Obiettivo: comprendere la dimostrazione di due teoremi sulle figure equivalenti
I ragazzi rientrano da una settimana di ferie: insieme ricordiamo i concetti fondamentali emersi nell’ultima
lezione e svolgiamo alla lavagna alcuni esercizi
I ragazzi sono più ‘rumorosi’ ma anche meno titubanti
nell’esprimere le loro incertezze
Lezione frontale
Dimostrazione teorema
“Equivalenza fra parallelogramma e triangolo“
Dimostrazione teorema
“Equivalenza fra triangolo e trapezio“
In classe pag 27 P+ n 38, 40, 41
86
Per casa: teoria: pag 6,7,8
esercizi: pag 27 P+ n 42, 43, 52 - pag 28 P+ n 55
Lezione del 24/02/2007 (1 ora)
Obiettivo: comprendere la dimostrazione di un nuovo teorema sulle figure equivalenti
Per lo svolgimento degli esercizi relativi a
questo teorema, i ragazzi devono utilizzare
teoremi sui poligoni circoscritti
Dimostrazione teorema
“Equivalenza fra triangolo e poligono circoscritto a una circonferenza”
Lezione frontale
In classe: peg 30 P+ n 67 Per casa: teoria
pag 9 P+
esercizi pag 30 P+ n 66, 68
pag 31 P+ n 70, 72
Lezione del 27/02/2007 (1 ora)
Obiettivo: con la costruzione di poligoni equivalenti, i ragazzi scoprono l’aspetto manuale
della geometria: loro stessi possono trasformare una figura in un’altra applicando semplici
regole!
Costruzione di poligoni equivalenti: da un poligono convesso a uno
equivalente con un lato in meno.
Lezione frontale
La professoressa
introduce la misura dei
segmenti.
Trasformazione di un esagono in un pentagono.
Per Casa: teoria pag 10 P+
esercizi: pag 31 P+ n 73, 75 – pag 32 P+ n 86
ricercare informazioni sulla vita di Euclide
Lezione del 03/03/2007 (1 ora)
Obiettivo: riepilogo teoremi studiati
I ragazzi sono chiamati alla lavagna a svolgere esercizi per la cui risoluzione è necessario considerare
non solo i teoremi sull’equivalenza, ma anche concetti studiati in precedenza.
Alla luce delle ricerche effettuate dai ragazzi, emergono i punti salienti sulla vita e le opere di Euclide.
Glie esercizi sono presentati con una complessità linguistica
maggiore di quelli del libro di testo. Forse avrei dovuto riscriverli
considerando le variabili redazionali della Laborde
In classe: esercizi tratti dal libro ‘Lezioni di Matematica: geometria’ di Scaglianti- Varagnolo
Per casa: esercizi: pag 45 P+ n 1, 2, 3, 4 – pag 46 P+ n 15
87
Lezione del 06/03/2007 (1 ora)
Obiettivo: comprendere enunciato e dimostrazione del teorema Euclide. Riflettere sul
teorema di Pitagora
Durante la dimostrazione bisogna focalizzare
l’attenzione su di un parallelogramma
posizionato in modo non standard! Filippo
trova estrema difficoltà ad individuarne
l’altezza
Enunciato e dimostrazione del primo teorema di Euclide
Biografia Pitagora
………………………..
Lezione del 06/03/2007 (1 ora)
I ragazzi seguono con attenzione il racconto.
Argomentano sulla validità del teorema di
Pitagora. Beatrice chiede come mai nella dim
di Pitagora si utilizzi Euclide se quest’ultimo è
vissuto 2 secoli dopo! L’osservazione meriterà
una risposta. Fra i compiti da svolgere a casa
c’è anche un rompicapo. Alcuni sembrano
entusiasti
Lettura racconto presente su UMI 2003 e riflessioni dei ragazzi a partire da quello che ricordano dalle
scuole medie su questo teorema.
Si considera il caso particolare di un triangolo rettangolo isoscele. in cui l’ipotenusa rappresenta la
diagonale di un quadrato. Il caso particolare permette alla tutor di fare riferimento al calcolo dei
radicali (argomento di algebra che i ragazzi stanno studiando).
In classe:Pag 37 P+ n 102
Per casa: teoria: pag 11 P+
esercizi: pag 37 P+ n 103,105,109
Lezione del 10/03/2007 (1 ora)
Obiettivo:dimostrazione teorema Pitagora
Non sembravano esercizi difficili. Bastava
effettuare il disegno e richiamare il I teorema di
Euclide. Questa volta però il disegno è stato un
ostacolo e non un aiuto. Non riuscendo a tradurre
il testo in disegno, i ragazzi si sono bloccati
I ragazzi hanno trovato molta difficoltà negli esercizi da svolgere a casa. Bisogna rivederli insieme!
Dimostrazione teorema Pitagora come proposto dal libro (viene utilizzato primo teorema di Euclide).
………………………..
88
Lezione del 10/03/2007 (1 ora)
I ragazzi preferiscono la prima dimostrazione.
Forse, per gli studenti, un procedimento che non
richiami altri teoremi e che sfrutti solo le possibili
scomposizioni di una figura, non assomiglia ad
una dimostrazione
Dimostrazione dello stesso teorema seguendo i passi che alcuni storici attribuiscono a Pitagora
Affrontati due tipologie di esercizi
Trovare equiestensione applicando il teorema
di Pitagora, e le proprietà relative alla somma
e alla differenza di superfici equivalenti (lo
svolgimento ha carattere più “algebrico” che
“geometrico”). E’ lampante la difficoltà dei
ragazzi.
In classe: pag 39 P+ n 114
Per casa: teoria
Utilizzare il teorema di Pitagora per verificare
la commensurabilità/incommensurabilità fra
ipotenusa e cateti.
pag 13,14 P+
esercizi: pag 39 P+ n 115, 116, pag 83 P+ n 25, 26, 27
Lezione del 13/03/2007 (1 ora)
Obiettivo:verificare ed argomentare con cabrì sul II teorema di Euclide
I ragazzi rispondono con entusiasmo
all’attività in laboratorio. Christian osserva
che è come unire il gioco al computer con
lo studio
Per i tempi ristretti siamo costretti a
suggerire ai ragazzi alcuni passi da
seguire. Man mano viene chiesto ai
ragazzi il perché si determinate
costruzioni ed il significato che si può
trarre da esse
Disegnare con cabrì un triangolo rettangolo, il quadrato costruito sull’altezza relativa all’ipotenusa ed il
rettangolo avente i lati congruenti alle proiezioni dei cateti sull’ipotenusa. Verificare, con tecnica del
trascinamento, il II teorema di Euclide.
L’idea di problemi ‘fuori dai
soliti schemi’ entusiasma alcuni
ragazzi
Per casa: pag 43 P+ n 138, pag 45 P+ n 7, 8, 9
Problema tratto dal libro ‘Pitagora si diverte 2’ di Gilles Cohen
Relazione sull’attività svolta in laboratorio
Lezione del 17/03/2007 (1 ora)
Obiettivo:dimostrare il II teorema di Euclide ed evidenziare differenza fra argomentare e
dimostrare
Dimostrazione del secondo teorema di Euclide
In Classe: pag 37 n 107, 143
Per Casa: pag 41 n 125, 127, 128
pag 48 n 25
89
Lezione del 24/03/2007 (1 ora)
Obiettivo: riepilogo teoremi studiati
I ragazzi sono chiamati alla lavagna per svolgere esercizi riepilogativi dei teoremi studiati
sull’equivalenza, sfruttando anche concetti studiati in precedenza.
In Classe: esercizi tratti dal libro ‘Lezioni di Matematica: geometria’ di Scaglianti- Varagnolo
pag 43 n 139,140
Per Casa: pag 39 n 118, pag 41 n 124, pag 43 n 146, pag 43 n 144 ,145
Lezione del 27/03/2007 (2 ora)
Obiettivo: verificare
Verifica
Lezione del 31/03/2007 (1 ora)
Obiettivo: discussione verifica + TEPs
I ragazzi sembrano insoddisfatti anche se
i voti sono maggiori delle loro medie in
matematica
Consegna dei compiti corretti con relativa discussione
Consegna TEPs da svolgere nel restante tempo in classe
Soprattutto con i TEPs che richiedono di
raccontare ad un bimbo alcuni concetti
sull’equiestensione, i ragazzi si
esprimono liberamente
90
+
Allegato n. 4 - Test iniziale
1) A partire dalle ipotesi date, definisci e disegna ciascun quadrilatero ABCD:
a) Se AB//DC ∧ AD//BC
b) Se AB//DC
c) Se AB//DC ∧ AD//BC ∧
(AB ≅ DC ≅ AD ≅ BC)
ABCD è un …………….
ABCD è un ……………
ABCD è un ………………
2) Nei seguenti quadrilateri traccia le altezze indicate
a) ABCD trapezio
altezza relativa ad AB
b) ABCD parallelogramma
altezza relativa a BC
c) ABC Triangolo
altezza relativa ad AB
3) Completa:
Per definizione, due figure sono congruenti se…………………………………………
4) Le figure sotto riportate sono a due a due congruenti?
Se si perché ……..…….………………………………………………………………...
……………………………………………………................................................................
..............................................................................…………………... ………………
Se no, indica almeno una figura non congruente alle altre e motiva la risposta
……………………………………………………………………………………….………………
……………………………………………………………………………...…………………..……
……………………………………………………………………………………………….
91
5) Le figure A e B sono
A
B
-congruenti
-equivalenti
-equiscomponibili
6) Le figure C e D sono:
C
D
-congruenti
-equivalenti
-equiscomponibili
7) Dato un triangolo ABC, tracciare la retta AB e la parallela s per C ad AB. Sapresti
indicare la distanza fra le due rette?
8) Le domande seguenti sono utili per le future attività di laboratorio:
1) hai mai utilizzato il software Cabrì?
2) In caso affermativo, sapresti indicare un argomento di geometria che hai svolto
utilizzando questo software?
92
Allegato n. 5 - Introduzione all’equiestensione
Il problema della misurazione di una regione piana si presentò
all’uomo fin dai tempi più antichi, probabilmente da quando
cominciò a vivere in comunità sedentarie. E’ noto che gli antichi
Cinesi avevano trovato formule relative all’area d’un triangolo e
d’un trapezio e che nella geometria degli egizi la misurazione di
aree aveva un posto importante.
Risulta, infatti, da antichi documenti (fra cui il famoso papiro
Rhind 21 ) che gli Egizi avevano stabilito alcune formule per
determinare aree di particolari figure geometriche: pare che
queste misurazioni fossero utilizzate per determinare le proprietà
dei terreni e stabilire la tassa su questi dopo le annuali
inondazioni del Nilo. Essi calcolavano la misura dell’area di un
cerchio di raggio r prendendo un quadrato di lato 8/9 del
diametro (ovvero una quadrato di lato 16r/9); quindi usavano
praticamente la formula 256r2 /81 mentre oggi tale misura è π
r2; se ci fermiamo nel calcolo alla quinta cifra dopo la virgola, si
ottiene 3.16049 r2 per gli Egizi e 3.14159 r2 per noi; si nota
subito che il valore determinato dagli Egizi è una buona
approssimazione (per eccesso, il che favoriva il fisco dell’epoca)
della misura dell’area del cerchio.
Gli Egiziani disponevano inoltre di formule per l’area d’un
triangolo e di un trapezio mentre l’area di un quadrilatero veniva
calcolata mediante il prodotto delle medie aritmetiche dei lati
opposti!
Anche i Babilonesi sapevano determinare aree di trapezi,
triangoli e cerchi.
Fu con i Greci che il problema dell’area venne affrontato
sistematicamente, soprattutto per i poligoni, attraverso la
scomposizione degli stessi in parti congruenti!
Papiro di Rhind: rotolo lungo cinque metri, composto da quattordici fogli di papiro,
contiene decine di problemi matematici di vario tipo.
21
93
94
Allegato n. 6 - Il gioco del tangram
95
96
Allegato n. 7 - Congruenza, equiestensione ed
equiscomponibilità
Queste figure hanno la stessa estensione perché sono composte dallo
stesso numero di quadratini e sono equiscomponibili nei quadratini indicati.
Vediamo bene che queste figure non sono equiscomponibili,
verrebbe quindi spontaneo concludere che non hanno la stessa estensione, ma
sarà proprio così? Utilizziamo il metodo della pesata: disegniamo le due figure da
confrontare su uno stesso foglio di cartone a spessore uniforme e ritagliamole.
Pesiamo quindi, con una bilancia di precisione, le due figure ottenute.
Se hanno lo stesso peso vuol dire che se è stata impiegata la stessa quantità di
cartone perciò le due figure avranno la stessa estensione
CONCLUSIONI
Se due figure sono congruenti… allora sono equivalenti ed
equiscomponibili
Se due figure sono equiscomponibili ... allora sono equivalenti, ma
non necessariamente congruenti
Se due figure sono equivalenti ... non sono necessariamente
equiscomponibili
97
98
Allegato n. 8 - Macro Cabrì
1)
2)
3)
99
4)
5)
100
Allegato n. 9 - Assegnazione di un problema insolito
102
Allegato n. 10 – Alcuni problemi proposti
Primo problema:
Come è possibile costruire un quadrato equivalente alla somma dei seguenti
quadrati?
Secondo problema:
Desiderio ha comprato un frutteto, di forma quadrata, con una superficie di
2116 m2. Ai quattro angoli del frutteto ci sono nell’ordine, un albicocco, un
banano, un cedro e un dattero.
Ai bordi del terreno si trovano anche un fico e una guaiava: il fico è situato
tra l’albicocco ed il banano, la guaiava tra l’albicocco ed il dattero. La
distanza albicocco-guaiava è di 20 m, mentre la distanza albicocco-fico è di
21 m.
Nel frutteto c’è un viale rettilineo che collega il fico alla guaiava. Un
secondo viale, perpendicolare al primo, passa dal cedro. I due viali si
incrociano ai piedi di un magnifico eucalipto.
Qual è la distanza tra l’eucalipto e il cedro?
103
104
Allegato n. 11 - Svolgimento del primo problema
105
106
Allegato n. 12 - Svolgimento del secondo problema
107
108
Allegato n. 13 - Un altro svolgimento del secondo
problema
109
110
Allegato n. 14 - La verifica finale: fila 1
1) Completa:
a) La relazione di equivalenza tra superfici gode delle proprietà …………..
b) Ogni trapezio è equivalente ad un triangolo avente ………………………
c) Due parallelogrammi sono equivalenti quando…….. ……………………
2) Il triangolo ABC è rettangolo in A.
Indica quali segmenti del triangolo sono coinvolti nel 2° teorema di Euclide
ed enuncia tale teorema.
3) Ipotesi:
A, B, E, F allineati
rette AB e DC parallele,
rette DE e CF parallele,
DA ⊥ AB
CB ⊥ AB
a) classifica i quadrilateri ABRD e REFC
b) dimostra che i quadrilateri precedenti sono equivalenti
4) Dato il triangolo ABC e la costruzione in figura, rispondi:
a) classifica HKPQ
b) dimostra che HKPQ è equivalente ad ABC
5)
Sia ABCD un rettangolo e O il punto di incontro delle diagonali.
Dimostra che i triangoli ABO e OBC sono equivalenti
6) Dimostra che il quadrato costruito sull’altezza di un triangolo equilatero è
equivalente ai 3/4 del quadrato costruito su un lato
111
7) Sia ABC un triangolo rettangolo e AH l’altezza relativa all’ipotenusa BC;
sia PH ⊥ AB e HQ ⊥AC. Giustifica le seguenti equivalenze:
a)
Q(AC) ≐Q(AH) + Q(HC)
b) Q(HC) ≐ R(AC, QC)
c)
Q(AH) ≐ R(AB, AP)
d) Q(AH) ≐Q(HQ) + Q(AQ)
8) In un triangolo rettangolo siano D ed E due punti rispettivamente dei cateti
AB e AC. Dimostrare che la somma dei quadrati costruiti su EB e DC è
equivalente alla somma dei quadrati costruiti su ED e BC.
Esercizio
Punteggio
112
1
2
3
4
5
6
7
8
Allegato n. 15 - La verifica finale: fila 2
1) Completa:
a) Due poligoni sono equiscomponibili se …………….…………………
b) Ogni triangolo è equivalente ad un parallelogramma avente…………
c) Un parallelogramma è equivalente ad un rettangolo avente……………
2) Il triangolo ABC è rettangolo in A.
Indica quali segmenti del triangolo sono coinvolti nel 1° teorema di Euclide
ed enuncia tale teorema.
3) Ipotesi:
ABCD quadrato
D, A, E, F allineati
CE // BF
a) classifica i quadrilateri AGCD e EFBG
b) dimostra che i quadrilateri precedenti sono equivalenti
4)
Dato il triangolo ABC e la costruzione in figura,
rispondi:
a)
classifica HKPQ
b)
dimostra che HKPQ è equivalente ad ABC
5) Sia ABCD un rettangolo e O il punto di incontro delle diagonali.
Dimostra che i triangoli ADO e ABO sono equivalenti
6) Dimostra che il quadrato costruito sull’altezza di un triangolo equilatero
è equivalente ai 3/4 del quadrato costruito su un lato
113
7) Sia ABC un triangolo rettangolo e AH l’altezza relativa all’ipotenusa
BC;
sia PH ⊥ AB e HQ ⊥AC. Giustifica le seguenti equivalenze:
a)
Q(AC) ≐Q(AH) + Q(HC)
b) Q(HC) ≐R(AC, QC)
c)
Q(AH) ≐R(AB, AP)
d) Q(AH) ≐Q(HQ) + Q(AQ)
8) In un triangolo rettangolo siano D ed E due punti rispettivamente dei
cateti AB e AC. Dimostrare che la somma dei quadrati costruiti su EB
e DC è equivalente alla somma dei quadrati costruiti su ED e BC.
Esercizio
Punteggio
114
1
2
3
4
5
6
7
8
Allegato n. 16 - Il punteggio assegnato a ciascun quesito
della verifica finale
Quesito
Punteggio
1
2
3
4
5
6
7
8
6
4
8
7
4
5
8
6
115
116
Allegato n. 17 - I TEPs proposti
1) Immagina di raccontare ad un tuo amico, che frequenta un'altra scuola:
Come hai vissuto le lezioni sull’equivalenza fra figure piane
Se e quali ti hanno particolarmente interessato
Quali difficoltà hai incontrato, se e come le hai superate
Quali sono le tue critiche e le tue proposte
2) Immagina di spiegare ad un bimbo di otto anni l’equivalenza fra un
triangolo ed un parallelogramma . Tu che cosa gli diresti?
3) Immagina di spiegare ad un bimbo di cinque anni il concetto di
equiscomponibilità . Tu che cosa gli diresti?
117
118
Allegato n. 18 - Il cartellone finale
119