1 - ic asiago
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1 - ic asiago
SCHEDA DI RILEVAZIONE NOME: ………………………………. ALBERO □ AGHIFOGLIA □ ARBUSTO □ LATIFOGLIA □ FORMA DELLA CHIOMA: ……………………………………….................... TRONCO: ………………………………………………………………………. CORTECCIA: …………………………………………………………………... FOGLIE: ………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………… FRUTTI: ………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………… NOI PICCOLE GUIDE Lungo il percorso della ferrovia, abbiamo fotografato e osservato molti alberi e diversi arbusti davvero interessanti: - ABETE ROSSO SORBO DELL’UCCELLATORE SALICE (SALICONE) ACERO FAGGIO NOCCIOLO FRASSINO CILIEGIO Cercheremo di studiare queste piante, dopo averle osservate, sia dal punto di vista scientifico che letterario IL SORBO In questi giorni, dopo la pioggia che ha pure rinfrescato i prati sfalciati, i rami dei sorbi dell’uccellatore s’incurvano sotto il peso dei frutti. Da qualche anno non li vedevo così abbondanti e belli, se continua questo caldo, nel trascorrere di una settimana li vedrò prendere colore: prima quelli sui rami esposti a mezzogiorno e poi via via gli altri. Sul finire d’agosto diventeranno rosso lacca e poi quei grappoli vistosi sui rami che si vanno spogliando delle foglie saranno irresistibile richiamo agli uccelli che scenderanno affamati dai paesi del Nord. Come quell’inverno del 1946/47 quando i bellissimi beccofrusoni sembravano fiori gentili e vivi tra i rami innevati. Dalle finestre dell’ufficio del catasto li vedevo inghiottire avidamente le bacche rosse e il loro comportamento mi distoglieva dai registri polverosi. Se alzandomi dal tavolo mi avvicinavo alla finestra e da dietro i vetri ricamati dal ghiaccio mi soffermavo ad osservarli, la mia presenza non li distoglieva dal loro pasto. In breve tempo il sorbo su cui erano posati restava spoglio di bacche; quindi se ne stavano immobili, ingozzati, e dopo aver scorporato sulla neve che diventava rossa, s’involavano su un altro sorbo per continuare il pasto: erano come una nuvola colorata di giallo, rosso, bianco, nero… …Chissà se ritorneranno anche quest’anno che si preannuncia così ricco di bacche; ma se non i beccofrosoni arriveranno certamente a nutrirsi cesene, peppole, tordi e ciuffolotti…. …Era questa una ragione per cui accanto alle contrade c’erano sempre alberi di sorbo: attirati dai rossi frutti arrivavano molti uccelli ed era facile catturarli, o con il fucile o con le trappole o con il vischio. E se questa usanza oggi ci può apparire come cosa barbara, (crudele) occorre capirla e pensare a quei tempi quando i soldi erano pochi, rara la carne e molta la fame: una teglia di uccelli con tanta polenta era festa per tutti. Ma noi ragazzi di paese, con le bacche di sorbo, che seppur acidule molte volte mangiavamo, facevamo anche giochi. Dopo aver vuotato un ramo di sambuco usavamo questo come cerbottana per lanciarci a tutto fiato le bacche. Le ragazze le usavano come perline per farsi braccialetti e collane. Ed erano affascinanti con quei monili attorno ai polsi e al collo. ( adattato da: MARIO RIGONI STERN “ARBORETO SALVATICO” ) L’ABETE ROSSO Il peccio, o abete rosso, è l’albero che è sempre stato presente e mi accompagna nella vita. Nella casa dove sono nato e ho trascorso la mia giovinezza, i mobili, le suppellettili, i pavimenti, le scale, il tetto, tutto era stato ricavato pecci dei nostri boschi. Da ragazzi, alla festa degli alberi, erano sempre le piantine di peccio che mettevamo a dimora (piantavamo). Sempre di peccio erano centinaia e migliaia di piantine che i miei compaesani piantavano appena la neve liberava il terreno. Quello di piantar piantine è stato uno dei principali lavori delle nostre genti; ma a volte scavando le piccole buche, per il rimboschimento, assieme alla terra e ai sassi uscivano cartucce, bombe inesplose, resti di morti perché ovunque era stato un campo di battaglia.(durante la grande guerra). Il peccio resta pur sempre l’albero per eccellenza delle nostre foreste alpine, e da lui hanno tratto da vivere tante famiglie di montanari che dal suo legno ricavavano oggetti che poi venivano commerciati in paesi anche lontani. Attorno alle case delle nostre contrade c’erano sempre castelli di assicelle(cataste , mucchi di legna) messe a seccare al sole, e poi , da queste, quando “il lupo mangiava l’inverno” si ricavavano mastelli, secchie, tini, fascie per il formaggio, scatole di varie misure. Rari e particolari pecci venivano e vengono chiamati “alberi di risonanza” perché servono per costruire le casse degli strumenti a corda. La foresta di puro peccio è uniforme, cupa, qualche volta priva di sottobosco. Gli alberi si alzano dritti come colonne e la luce filtra tra loro creando forti contrasti come in una cattedrale gotica. ( adattato da MARIO RIGONI STERN “ARBORETO SALVATICO”) DOPO AVER LETTO BENE RISPONDI IN MODO COMPLETO: 1. Che albero è il peccio? 2. Quali arredi della casa dell’ autore erano di abete rosso? 3. Cosa si piantava alla festa degli alberi? 4. Cosa poteva accadere andando a “piantar piantine”? 5. Cosa ricavavano i montanari dal legno di peccio? 6. Cosa significa secondo te “quando il lupo mangiava l’inverno”? 7. Perché alcuni pecci vengono chiamati alberi di risonanza? Durante l’ ultima uscita abbiamo visto una bellissima immagine del bosco di abete rosso con la luce del sole che filtrava tra i rami degli alberi. Sapresti disegnarla? L’ACERO In primavera, ritornando a casa dall’ufficio per il pranzo, passavo per un viale fiancheggiato da aceri e sopra la mia testa c’era un brusio allegro di api felici: assieme alle foglie da questi alberi sbocciano i fiori che sono sempre ricchi di nettare. Quando a fine estate si tagliava l’ultimo fieno, il più profumato e desiderato dagli animali che stanno d’inverno rinchiusi nelle stalle, e alla sera si rientrava, ci facevano salire sopra il carro: da lassù pareva d’essere alti sopra il mondo e ci sentivamo “ubriachi” di odori di sole e di aria. Il cavallo baio era condotto alla briglia da mio padre, e quando il carro passava sotto un arco ombroso di aceri, ci sembrava cosa ardita ( spericolata ) alzarci in piedi sul fieno traballante per strappare le disamare dai rami che poi, giunti a casa lanciavamo dall’alto del poggiolo verso il cortile per vederle vorticare nell’aria. Noi le disamare le chiamavamo < eliche>. Un mattino d’autunno inoltrato, quando le foglie erano cadute e le cime all’orizzonte imbiancate dalla neve, camminando in silenzio sul muschio del bosco arrivai ad una radura : ero sottovento e potei sorprendere una femmina di capriolo con i suoi due piccoli. Li osservai e vidi che, con il muso verso terra smuovevano le foglie che poi, alzando la testa, lentamente mangiavano. Guardando con più attenzione con il binocolo potei vedere che erano le foglie di acero isolato che confinava con il prato, e che sceglievano quelle che avevano il colore più vivo e brillante. ( adattato da MARIO RIGONI STERN “ARBORETO SALVATICO) Nel brano si parla dell’ acero in alcuni momenti dell’anno, quali? _________ ______ _______ Sottolinea di colori diversi le parti che riguardano le stagioni: o con il rosa la primavera o con il giallo l’estate o con il verde l’autunno Cosa sono le “disamare” ? Prova a disegnarle. Disegna i tre momenti diversi sottolineati nel brano e scrivi sotto ad ogni disegno una frase che lo spieghi. IL FAGGIO Questo, per me, è il tempo del faggio: ogni mattina entro nella legnaia dove ho riposto la legna secca dopo che per un anno era rimasta accatastata al sole e al riparo dalla pioggia presso il muro della casa. Ora il faggio brucia con chiara fiamma dentro la stufa donandomi un tepore sano e buono; così che alzando la testa dal tavolo e vedendo l’inverno sulle montagne e sui boschi è ancora più piacevole riprendere la lettura… …Avevo forse dieci anni, quando per la prima volta seguii mio padre nel bosco per aiutare a raccogliere i “polloni” e i rami del faggio assegnati alla mia famiglia. I forti cavalli, nell’autunno portavano i pesanti carri verso le case degli uomini e, davanti ad ogni abitazione, nei cortili o nella strada stavano i mucchi belli in ordine. Con i segoni a due manici, abbandonati qui dalla grande guerra, si segavano i pezzi a misura di focolare o delle stufe e poi , con la scure, si aprivano i pezzi in quarti… ...l’odore buono del faggio, anzi della segatura che usciva dal taglio si confondeva con quello della neve che dalle montagne a nord si avvicinava al paese. Da particolari tronchi, dovevano essere dritti e a venatura compatta che venivano messi a stagionare sotto il portico appesi ad uno spago,venivano fatti manici per ogni uso: scuri, mazze, martelli, scalpelli perché il faggio è il legno che meglio di ogni altro si adatta alle mani dell’uomo. Questo ben lo sapevano i veneziani che saggiamente amministravano le faggete per avere alberi da remi per le loro navi. Dove un bel ramo si innestava al tronco con giusta inclinazione, il pezzo veniva scelto per la “slitakufa”, slittastorta: dal tronco smussato in punta si ricavava lo scivolo e il ramo faceva da stanga, tutto in un unico pezzo. Se poi si mettevano su un asse di ferro e due ruote si otteneva un carrettino. Ma noi ragazzi si cercava tra i tronchi quello da cui, segato in tavole e dopo due anni di stagionatura, Giacometto Bhet, il falegname, ci avrebbe ricavato gli sci. IL SALICONE Nei giorni del prossimo febbraio i saliconi gonfieranno e sbocceranno i fiori dove le prime api coraggiose, dopo aver sorvolato i prati ancora coperti dalla neve, andranno a raccogliere il primo polline e il primo nettare dell’anno che serviranno a nutrire larve adulte, e daranno forza all’arnia dopo il forzato riposo invernale. Pure le lepri, tra l’uno e l’altro gioco amoroso al chiaro di luna sulla neve indurita, andranno bramose a mangiare le gemme e le cortecce fresche e verdi dei salici. La famiglia delle Salicee, nel genere Salix; è molto ricca di specie; i botanici ne hanno calcolato circa 300 che vegetano su vaste aree dalle regioni più fredde alle temperate. […] Linneo, poi, classificò Salix caprea il salice di montagna, o salicone, quello, appunto, bottinato dalle mie api.[…] In vecchi libri leggo che dal salicone, in Russia e in Germania, si ricavava una sostanza per conciare le pelli e colorare le stoffe, e ancora che il legno di salice « quando è fradicio e lo si guarda nell’oscurità, per un movimento molecolare intimo diventa fosforescente ed è causa talvolta di spavento nei fanciulli che non conoscono simile proprietà ». […] Dal salice ha pure origine un farmaco tra i più usati e utili ancora oggi: si ricava pestando nel mortaio la corteccia e serve per le febbri d’ogni genere e come analgesico: è la silicilina con i suoi derivati che ora si ottengono in sintesi. Umile e generoso albero quanto ti debbano gli uomini! Questi uomini che ti passano accanto dentro le loro automobili o in treno. E nemmeno ti notano. ADATTATO DA Arboreo Salvatico di M. R. Stern Dopo aver letto il brano rispondi in modo completo alle domande. IN QUALE STAGIONE È AMBIENTATO IL BRANO? COSA FARANNO LE API? COSA FARANNO LE LEPRI? COSA SI RICAVA, IN RUSSIA, DAL SALICONE? COS’ALTRO SI RICAVA DAL SALICONE? IL BRANO SI CONCLUDE IN MODO UN PO’ TRISTE; SAI SPIEGARE IL PERCHÈ? Dopo aver letto il brano rispondi in modo completo alle domande. IN QUALE STAGIONE È AMBIENTATO IL BRANO? COSA FARANNO LE API? COSA FARANNO LE LEPRI? COSA SI RICAVA, IN RUSSIA, DAL SALICONE? COS’ALTRO SI RICAVA DAL SALICONE? IL BRANO SI CONCLUDE IN MODO UN PO’ TRISTE; SAI SPIEGARE IL PERCHÈ? IL MAGGIOCIONDOLO Il maggiociondolo è un albero nobile, fiero e duro. Non è superbo come il noce o il tasso, ma molto riservato: un genitore premuroso e fatalista che abbandona le sue foglie con decisione e le concede ai venti senza rimpianti. Esse abbracciano il terreno con dolcezza in gruppi di tre per volta, tenendosi per mano come buone sorelle. Resteranno attaccate assieme per molto tempo fino a quando il gelo della terra non verrà a separarle. Nel frattempo il maggiociondolo si sarà addormentato con la coscienza tranquilla. ( Mauro Corona – “Il volo della martora”) SOTTOLINEA LE PAROLE DI CUI NON CONOSCI IL SIGNIFICATO. PROVA A VEDERE SE LE PAROLE CHE CI SONO INTORNO (CONTESTO) TI AIUTANO A CAPIRLO. CERCA NEL DIZIONARIO IL SIGNIFICATO ADATTO.