Cronaca di Nestore

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Cronaca di Nestore
associazione culturale Larici – http://www.larici.it
Cronaca degli anni passati
XI-XII secolo
Повѣсти времѧньных лѣт
Повесть временных лет
© associazione culturale Larici, 2008
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Prefazione
Composta in lingua slava, la Cronaca degli anni passati (o Cronaca di Nestore, o
Manoscritto Nestoriano) è la più antica storia russa che si conosca ed è stata scritta
da una serie di autori succedutisi nel corso di un secolo al monastero delle Grotte di
Kiev, il cui singolo contributo è difficile da distinguere.
La tradizione l’attribuisce al monaco Nestore, perché fu lui a riunire, correggere,
introdurre, ampliare e titolare il materiale annalistico del monastero, incominciato
da un monaco di nome Nikon. Morto Nestore, l’opera fu fatta riscrivere dal principe
Vladimir II Monomaco nel 1116, in seguito a una lite con il monastero kieviano, dal
monaco Sil’vestr del monastero Vydubickij, la cui redazione ci è giunta attraverso
una copia eseguita da un certo Lavrentij nel 1377 (detta Manoscritto Laurenziano).
Alla riscrittura di Sil’vestr, ne seguì un’altra voluta dal principe Mstislav, figlio di
Vladimir Monomaco, che conosciamo per la copia dell’inizio del XV secolo rinvenuta
nel monastero di Sant’Ipatij (Manoscritto Ipaziano). In seguito, si fecero molte
copie, più o meno fedeli a seconda dello scopo. Inoltre, quando l’opera fu
conosciuta in Occidente alla fine del XVII secolo, alcuni traduttori integrarono i
vuoti sulla base di frammenti di altre cronache russe.
Ciononostante, la Cronaca degli anni passati resta un monumento della letteratura
e della storia antica, che sarebbe alquanto limitativo considerare soltanto un
capitolo della storia del cristianesimo. Essa fa conoscere, in ordine cronologico, il
formarsi dello Stato della Rus’ di Kiev e la storia di un popolo sviluppatosi tra
usanze pagane, tradizioni cristiane e credenze magiche, con regnanti sempre in
guerra e dai comportamenti a volte paradossali. Nella narrazione, confluiscono
anche brani di racconti epici, documenti diplomatici, leggende agiografiche e
racconti di battaglia tra popoli slavi, scandinavi, nordici, bizantini, nomadi delle
steppe asiatiche.
Avvertenze
La presente restituzione non ha carattere filologico o storico in senso stretto:
esistono già autorevoli e approfonditi studi. Il nostro scopo è stato quello di
consentire a tutti di conoscere la prima cronaca slava anche se nel suo solo
contenuto generale. Per questo motivo, non si è tralasciata alcuna parte delle
diverse stesure tramandateci cosicché il testo risulta arricchito di qualche inserto
poco noto. Si sono pure evitate quelle ricercatezze terminologiche che avrebbero
reso meglio il tempo e lo spirito di questo testo quasi millenario, a scapito, però,
della sua comprensione. Inoltre, si è introdotta la divisione in capitoli, sulla scia
dell’uso ottocentesco, perché consente di individuare con facilità, tramite l’indice in
fondo al testo, un argomento o un periodo senza scorrere tutte le pagine.
La cronologia seguita nei manoscritti è quella bizantina, che parte dalla creazione
del mondo calcolata all’anno 5508 a.C. Per comodità la data d.C. è segnata tra
parentesi quadre.
Non si sono utilizzate le note tradizionali a fondo pagina, ma lungo il testo si sono
inseriti pochi accenni essenziali tra parentesi quadre [.] utili per risalire a un passo
biblico, per spiegare una parola in lingua o, con [o: ...], quando la difformità tra i
manoscritti ha prodotto interpretazioni diverse.
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I principati nella Rus’ di Kiev
Racconto degli avvenimenti dei secoli passati fatto da un monaco che era a
Kiev, nel monastero di Pečerskij, al tempo di Feodosij, su come è derivata
la terra russa, chi a Kiev cominciò dapprima a regnare e come la terra russa
è sorta
Cominciamo questo resoconto
I. Spartizione delle terre dopo il diluvio
Dopo il Diluvio, i tre figli di Noè, Sem, Cam e Jafet, si divisero la terra.
Sem ebbe l’Oriente, la Persia, la Bactria e in longitudine fino alle Indie e in
latitudine Rhinocurura: e per ben fissarne i limiti, aggiungerò che la sua
sovranità si estendeva dall’Oriente fino a Mezzogiorno, e comprendeva i
seguenti paesi: la Siria, la Media, il fiume Eufrate, la Babilonia, la Korduna,
l’Assiria, la Mesopotamia, l’antica Arabia, l’Elumais e le Indie; la possente
Arabia, la Celesiria, la Commagena e tutta la Fenicia.
A Cam toccò la parte a mezzogiorno, cioè l’Egitto, l’Etiopia, che confina con
le Indie, l’altra parte dell’Etiopia dove sorge il fiume Rosso [Niger], che
scorre verso oriente, la Tebaide, la Libia che confina con la Cirenaica, la
Marmarica, la Sirte, l’Altra Libia, la Numidia, la Massuiria, la Mauritania che
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è di fronte a Cadice. A Oriente, ebbe la Cilicia, la Pamfilia, la Pisidia, la
Mesia, la Liconia, la Frigia, la Cabalia, la Licia, la Caria, la Lidia; l’Altra
Mesia, la Troade, l’Eolide, la Bitinia e l’antica Frigia. Le isole che inoltre gli
appartenevano erano quelle di Sardegna, di Creta, di Cipro e il vicino fiume
Geona, chiamato attualmente Nilo.
Quanto a Jafet, ricevette le terre settentrionali e occidentali: la Media,
l’Albania, la Armenia Minore e Maggiore, la Cappadocia, la Paflagonia, la
Galazia, la Colchide, il Bosforo, la Meotide, il paese dei Derbici, la Sarmazia,
la Tauride, la Scizia, la Tracia, la Macedonia, la Dalmazia, il paese dei
Molossi, la Tessaglia, la Locride, la Pelenia, che fu anche chiamata
Peloponneso, l’Arcadia, l’Epiro, l’Illiria, il paese degli Slavi, la Lichinitia,
l’Adriatia da dove viene il nome del mar Adriatico, e il Mare Adriatico. Ebbe
inoltre le isole di Britannia, la Sicilia, l’Eubea, Rodi, Chio, Lesbo, Citera,
Zacinto, la Cefalonia, Itaca, Corfù e parte del paese che fu chiamata Ionia, e
il fiume Tigri, che scorre tra la Media e la Babilonia, fino al Ponto. Verso il
mare del Ponto, egli ebbe a settentrione il Danubio, il Dnestr e i monti del
Caucaso o degli Ugri, e da lì fino al Dnepr, e gli altri fiumi come la Desna, il
Pripjat’, la Dvina, il Volchov, la Volga che scorre verso oriente, verso la parte
di Sem.
Nelle terre di Jafet dimoravano i Russi, i Čudi e molti altri popoli, come i
Meri, i Muromi, i Vesi, i Mordvini, i Čudi dello Zavoloč’e, i Permiani, i Pečera,
gli Emi, gli Ugri, i Litvi, gli Zimegola, i Korsi, i Letgalli, i Ljubi, oltre ai Ljachi,
ai Prussiani e ai Čudi che dimoravano sulle coste del mare dei Varjaghi.
Vicino a questo mare, a oriente fino ai confini di Sem e a occidente di
questo stesso mare fino agli Angli e ai Volci, si estendeva il paese dei popoli
Varjaghi. Alla stirpe di Jafet appartenevano ancora i Varjaghi, gli Svedesi, i
Normanni, i Goti, i Russi, gli Angli, i Gallesi, i Volci, i Romani, i Germani, i
Korliazi, i Carolingi, i Venedi, i Genovesi e gli altri popoli che abitano tra
l’occidente e il mezzogiorno e confinano con i popoli di Cam.
II. La Torre di Babele e la dispersione dei popoli
Sem, Cam e Jafet, dunque, dopo essersi spartiti il territorio traendolo a
sorte, decisero che nessuno tra loro avrebbe invaso la parte di suo fratello.
Vissero allora ciascuno nella propria eredità e non avevano che una lingua.
Ma moltiplicatisi gli uomini sulla terra, essi risolsero di costruire una torre
fino al cielo, ai tempi di Nektan e di Faleg. E si raccolsero nella piana di
Sennaar per alzare una torre fino al cielo e, intorno a essa, la città di
Babilonia. E lavorarono a questa torre per quarant’anni, senza tuttavia
poterla completare. E discese dal cielo il Signore Dio per vedere la città e la
torre, e disse: «Ecco che essi formano un solo popolo e non hanno che una
lingua». Quindi il Signore confuse le parole di questa lingua, e le divise in
settantadue dialetti che disseminò su tutta la superficie della terra. Iddio,
dopo che ebbe così disposto, rovesciò la torre con una grande tempesta, e
ora le sue rovine si vedono tra l’Assiria e la Babilonia che misurano 5433
cubiti di altezza e altrettanto di larghezza [o: 5400 cubiti di altezza e 33 di
larghezza.], che furono conservati tra l’Assiria e la Babilonia per molti secoli.
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Dopo la distruzione della torre e la confusione delle lingue, i figli di Sem
occuparono le regioni orientali; a quelli di Cam le regioni meridionali e a
quelli di Jafet le regioni occidentali e settentrionali. Fra questi settantadue
popoli è quello degli Slavi, che i discendenti di Jafet chiamavano Norici, i
quali sono Slavi.
III. Elencazione dei popoli slavi
Gli Slavi si stabilirono vicino al Danubio, nel paese degli Ugri e dei Bulgari.
Alcuni di questi Slavi si sono dispersi sulla terra e hanno assunto i nomi dei
luoghi dove si stabilirono; per esempio, coloro che popolarono le rive del
Morava, si chiamarono Moravi, e altri Cechi. I Croati Bianchi, i Serbi e i
Chorutani [Croati] sono ugualmente slavi. Ma presto i Volci attaccarono gli
Slavi che rimanevano vicino al Danubio, e li espulsero. Alcuni di questi Slavi
si stabilirono vicino alla Visla [Vistola] e furono chiamati Ljachi; parte dei
Ljachi si nominavano Poljani; altri Ljutiči, altri Masoviani e altri Pomerani. E
questi Slavi si insediarono vicino al Dnepr e alcuni conservarono il nome di
Poljani, altri presero quello di Drevljani, perché popolavano i boschi; altri
quello di Dregoviči, perché si stabilirono tra il Pripjat’ e la Dvina; altri, che
vivevano lungo la Dvina, furono chiamati Poločani, dal nome di un piccolo
fiume chiamato Polota che si getta nella Dvina; infine, gli Slavi che si
stabilirono vicino al lago Il’men’ conservarono il loro nome e vi alzarono una
città, che chiamarono Città Nuova [Novgorod]; altri, infine, si ritirarono nei
dintorni dei fiumi Desna, Sejm e Sula, e presero il nome di Severjani. È così
che si è sparsa la stirpe slava, e anche la sua scrittura si chiama slava.
IV. Descrizione della via dalla Rus’ a Roma
Al tempo in cui i Poljani vivevano isolati tra le loro montagne, c’era una
strada che andava dal paese dei Varjaghi alla Grecia, mentre, dal paese dei
Greci a quello dei Varjaghi, c’era una via per le barche lungo il Dnepr e
dall’alto Dnepr fino al Lovat’; dal Lovat’ si entrava nel grande lago Il’men’.
Da questo lago scaturisce il Volchov, che sfocia nel grande lago Nevo
[Ladoga], di cui la foce è nel mare dei Varjaghi. Da questo mare si può
andare fino a Roma, e da Roma, sempre per mare, fino a Car’grad
[Costantinopoli] e da Car’grad si può andare al mare del Ponto [Mar Nero],
nel quale si getta il fiume Dnepr.
Il Dnepr ha la sua sorgente nella foresta di Okov e scorre verso
mezzogiorno, mentre la Dvina, che ha la sua sorgente nelle stesse foreste,
scende verso settentrione e si getta nel mare dei Varjaghi; da quelle
medesime foreste, scende da occidente a oriente la Volga, le cui settanta
foci si gettano nel mare dei Chvalisi [Mar Caspio]. Da questo mare, lungo la
Volga, si può andare dalla Rus’ alla Bulgaria e presso i Chvalisi, e
raggiungere a oriente il territorio dei Semiti, e andare lungo la Dvina fino al
paese dei Varjaghi, e dal paese dei Varjaghi fino a Roma, e da Roma fino ai
possedimenti dei discendenti di Cam. Il Dnepr con le sue tre foci si getta nel
mare del Ponto, chiamato anche Mare Russo. È per questo mare, a quanto
si dice, che arrivò per evangelizzare sant’Andrea, fratello di Pietro.
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V. Tradizione sull’apostolo sant’Andrea e descrizione dei bagni russi
Dopo avere predicato la parola di Dio a Sinope, Andrea andò fino a Cherson
[o, in russo, Korsun’], dove apprese che il corso del Dnepr non era lontano.
Volendo recarsi a Roma, guadagnò dunque la foce del fiume, risalì la sua
corrente e prese terra una prima volta alle falde delle montagne.
L’indomani, alzandosi, disse ai discepoli: «Guardate queste montagne, la
benedizione del Signore risplenderà su esse; una grande città vi si alzerà e
Iddio vi innalzerà molte chiese». Quindi, salito sulle montagne, egli le
benedisse, piantò una croce e, dopo avere pregato il Signore, scese dalla
montagna dove in seguito sorse Kiev e risalì il Dnepr.
Sant’Andrea, continuando la sua navigazione, sbarcò in seguito tra gli Slavi
là dove oggi è Novgorod, e restò alcuni tempi fra loro. Studiò questi popoli e
le loro abitudini e i loro bagni e, poiché si bagnavano e si colpivano
bagnandosi, se ne stupì. In seguito, si recò presso i Varjaghi e di là
raggiunse Roma, dove parlò dei popoli che aveva evangelizzato e raccontò
quanto aveva osservato nei suoi viaggi e disse: «Io ho visto cose
stupefacenti nella terra degli Slavi venendo qui, ho visto dei bagni di legno
che riscaldano moltissimo, quindi gli uomini si mettono tutti nudi, e si
gettano sul corpo dell’acqua saponata, poi prendono una verga flessibile e si
colpiscono da sé stessi, e si battono così forte che ne escono appena vivi,
allora essi si versano dell’acqua fredda sul corpo e ritornano così alla vita e
fanno ciò tutti i giorni; nessuno infligge loro questa tortura se la danno essi
stessi e fanno ciò per bagnarsi, non per torturarsi». E coloro che sentirono
questo racconto ne furono sorpresi. Dopo il suo viaggio a Roma, Andrea
ritornò a Sinope.
VI. Fondazione di Kiev
I Poljani dunque vivevano in gruppi separati, e ciascuno governava la
propria famiglia, essi vivevano tra loro ciascuno con la propria famiglia nella
sua casa, governando ciascuno la propria famiglia.
Fra loro si trovavano tre fratelli, di cui uno si nominava Kij, l’altro Šček; il
terzo Choriv; essi avevano una sorella chiamata Lybed’. Kij dimorava sulla
montagna dove è oggi la salita di Boričev, Šček sulla montagna dove si
trova ora Ščekovica, e Choriv, su una terza montagna, chiamata con il suo
nome, Chorivica. Fondarono una piccola città che nominarono Kiev, dal
nome del fratello maggiore, attorno alla quale c’erano una foresta e una
grande pineta; essi vi andavano per cacciare gli animali selvatici, poiché
erano abili e avveduti. Ed essi si chiamavano Poljani, ed è da essi che
discendono i Poljani che sono ancora oggi a Kiev. Alcune persone che
ignoravano queste cose, hanno detto che Kij era un barcaiolo, che si era
fermato vicino a Kiev, traghettando dall’altra sponda del Dnepr, e ne fu
conquistato e costruì la città. A proposito di ciò si è conservato il proverbio:
«Chi vuole andare a Kiev? ecco il passaggio di Kij». Tuttavia se Kij fosse
stato un barcaiolo, egli non avrebbe viaggiato fino a Car’grad.
Invece Kij era il capo della sua tribù e, recatosi dall’imperatore, ricevette
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grandi onori da questo imperatore. Ritornato nel suo paese seguendo il
Danubio, in un posto che gli piaceva costruì una piccola città, e lì volle
stabilirsi con la sua famiglia ma gli abitanti dei dintorni non glielo permisero.
Ancora adesso gli abitati delle coste del Danubio chiamano questa città
Kievec. Kij ritornò dunque nella sua città di Kiev e vi terminò la sua
esistenza. I suoi fratelli Šček e Choriv e la loro sorella Lybed’ qui vi
morirono.
VII. Elencazione dei popoli abitanti la Rus’
Dopo la morte di questi fratelli, la loro stirpe cominciò a regnare sui Poljani,
mentre i Drevljani erano governati dai loro propri principi, così come i
Dregoviči, gli Slavi di Novgorod e i Poločani lungo il fiume Polota.
Al di là dei Poločani [in altre traduzioni “al di là” non indica un territorio, ma
una discendenza.] si trovano i Kriviči che si sono insediati alle sorgenti della
Volga, della Dvina e del Dnepr, e la cui capitale è Smolensk. E oltre ai Kriviči
sono i Severjani. A nord, sul lago Bianco [Beloozero, oggi Belozersk] abitano
i Vesi, e sul lago di Rostov i Meri che sono anche sul lago di Kleščino e sul
fiume Okà, che si getta nella Volga, si trovano i Muromi, i Čeremisi, i
Mordvini, popoli che hanno ciascuna una loro lingua, perché non ci sono
lingue slave nella Rus’ che presso i Poljani, i Drevljani, i Novgorodiani, i
Poločani, i Dregoviči, i Severjani, i Bužani, stabiliti sulle rive del Bug, più
tardi chiamati Volyniani. I popoli stranieri che pagano tributo alla Rus’ sono i
Čudi, i Meri, i Vesi, i Muromi, i Čeremisi, i Mordvini, i Permjani, i Pečera, gli
Emi, i Lituani, gli Zimegola, i Korsi, i Noromi [o: Noroma], i Livi. Tutti questi
popoli hanno una propria lingua, sono della stirpe di Jafet e vivono nelle
regioni settentrionali.
VIII. Invasione dei Bulgari, degli Ugri e degli Obri
Quando gli Slavi, come abbiamo detto, vivevano lungo il Danubio, dalla
Scizia, cioè dalla Chazaria, arrivarono i popoli chiamati Bulgari, che si
stabilirono sul Danubio e oppressero gli Slavi. Vennero poi gli Ugri Bianchi
che s’impossessarono della terra slava, dopo avere cacciato i Vlachi
[Valacchi] che prima di loro l’avevano occupata. Questi Ugri iniziarono a
essere conosciuti sotto il regno dell’imperatore Eraclio, quando furono in
guerra contro l’imperatore persiano Cosroe.
Nella stessa epoca apparvero anche gli Obri [Àvari], conosciuti per la loro
guerra contro Eraclio, che per poco non catturarono. Gli Obri attaccarono gli
Slavi, vinsero i Dulebi, che sono di stirpe slava, e fecero violenze alle loro
donne. Quando uno degli Obri voleva andare da qualche parte, non
aggiogava né cavalli né buoi, ma faceva aggiogare al carro tre, quattro o
cinque donne che erano obbligate a trainarlo: è così che essi oppressero i
Dulebi. Gli Obri erano di grande possanza e di un orgoglio smisurato, ma
Dio li colpì: morirono tutti, e non ne sopravvisse uno solo. Da ciò viene il
proverbio ancora in uso nella Rus’ ai nostri giorni: «Si estinsero come gli
Obri», perché essi non lasciarono né discendenti né eredi. In seguito
apparvero i Peceneghi, e più tardi ai tempi di Oleg arrivarono vicino a Kiev
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gli Ugri Neri.
IX. Altre migrazioni dei popoli
I Poljani, che, come si è detto, sono della stessa stirpe degli Slavi, si
chiamarono Poljani; i Drevljani, anch’essi di stirpe slava, si chiamarono
Drevljani. I Radimiči e i Vjatiči discendono dai Ljachi, perché fra questi
Ljachi si trovavano due fratelli chiamati l’uno Radim e l’altro Vjatko. Il primo
di essi popolò i dintorni della Soža, e gli abitanti furono chiamati Radimiči.
Viatko con la sua tribù si fermò nelle campagne lungo l’Okà, e gli abitanti
presero il nome di Vjatiči. I Poljani, i Drevljani, i Severjani, i Radimiči, i
Vjatiči e i Chorutani [Croati] erano popoli che vivevano in pace. I Dulebi
erano stanziati lungo il Bug, dove sono oggi i Volyniani; gli Uliči e i Tiverci,
che erano molto numerosi, si erano stabiliti lungo il Dnestr e fino al
Danubio. Essi riuscivano ad arrivare fino al mare, e le loro città esistono
ancora oggi, e il loro paese fu conosciuto dei Greci con il nome di Grande
Scizia.
X. Spiegazione dei loro costumi
Questi popoli seguivano la religione di loro padri, ed avevano le loro usanze,
le loro tradizioni e ciascuno le proprie abitudini.
I Poljani osservavano gli usi dei loro antenati; erano dolci, umili e molto
rispettosi verso le loro nuore, le loro sorelle, le loro madri, i loro genitori; e
le nuore avevano gran pudore verso i suoceri e i cognati. Osservavano
anche un’usanza che toccava il matrimonio. Il fidanzato non andava lui
stesso a cercare la sua fidanzata, ma gliela portavano verso sera, e non
riceveva che alla mattina la dote convenuta.
I Drevljani, al contrario, vivevano in modo bestiale, realmente come bestie
feroci; si uccidevano tra loro, mangiavano tutto senza mondarlo e non
contraevano matrimonio: essi rapivano le fanciulle quando andavano alla
sorgente a prendere l’acqua.
I Radimiči, i Vjatiči e i Severjani avevano le medesima usanza: vivevano
nelle foreste, come gli animali selvatici, si nutrivano di ogni cosa senza
pulirla, pronunciavano ogni sorta di parole oscene in presenza dei loro
genitori e delle loro nuore, non ammettevano alcun matrimonio, però
organizzavano dei giochi fra i villaggi e andavano a questi giochi, dove si
ballava e si intonavano canti demoniaci, e là ciascuno prendeva la donna
con la quale si era già inteso; avevano anche due e tre donne. Quando uno
o l’altro moriva, essi celebravano la trizna [banchetto funebre] intorno al
cadavere, poi innalzavano una grande pira, ponevano il morto sulla pira, vi
accendevano il fuoco e in seguito raccoglievano le ossa, le mettevano in un
piccolo vaso e ponevano questo vaso su un palo lungo la strada, come
ancora al giorno d’oggi fanno i Vjatiči.
Tali erano anche i costumi dei Kriviči e di altri pagani, non conoscendo la
legge di Dio e facendo le proprie leggi da soli.
XI. Estratto di Georgios Hamartolos sui costumi dei differenti popoli
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Georgios Hamartolos [o Giorgio Amartolo, o Giorgio Monaco] disse, nei suoi
Annali: «Ogni popolo ha o leggi scritte o usanze, e chi non ha le leggi scritte
osserva come leggi le usanze dei suoi antenati. Primi fra costoro, sono i
Siriani, che vivono ai confini della terra, hanno per legge i costumi dei loro
antenati: si astengono dal libertinaggio e dall’adulterio, dal furto, dalla
calunnia, dall’omicidio, in un parola dal fare male alcuno. La legge dei
Bactriani, altrimenti chiamati Rachmani e Insulari, è stata trasmessa dai
loro antenati e la loro religione consiste nel non mangiare carne, non bere
vino, non consegnarsi al libertinaggio, non compiere alcuna cattiva azione,
per timore di Dio. Ma i loro vicini, gli Indi, sono assassini, osceni, collerici
oltre natura, e nella parte più interna del paese mangiano uomini, uccidono
i viaggiatori e li divorano come cani. I Caldei e i Babilonesi hanno altri
costumi: essi si sposano con le loro madri, concupiscono con i loro nipoti,
uccidono, commettono senza vergogna qualunque tipo di infamia
considerandola però una buona azione, e lo fanno anche quando sono
lontani dal loro paese. I Geleani hanno tutt’altra legge: da loro, le donne
arano, costruiscono le case e fanno i lavori degli uomini, possono anche
consegnarsi al libertinaggio perché a loro piacciono gli uomini che peraltro
non le ostacolano, né le condannano. Fra le loro donne ci sono alcune donne
che amano i combattimenti, danno la caccia alle bestie selvatiche,
comandano gli uomini e si fanno obbedire. In Britannia molti uomini
giacciono con la stessa donna e molte donne s’accoppiano con un uomo
solo, e questa usanza colpevole, senza freni e impudica, viene dai loro
antenati. Le Amazzoni non hanno mariti, ma, come animali, migrano una
volta all’anno, in primavera, per accoppiarsi agli uomini dei villaggi vicini,
quando il desiderio le prende, e questo tempo è per loro una festa di grande
solennità. Quando hanno concepito, fuggono dagli amanti e, quando
partoriscono, se il bambino è un maschio, lo uccidono; se è una femmina, la
nutrono e l’allevano con cura.»
Anche i nostri vicini Polovcy [o Cumani, o Poloviciani] conservano ancora
oggi i costumi dei loro antenati: per loro è motivo di vanto versare il
sangue, mangiare la carne delle carogne, qualunque cosa immonda, i ratti e
le marmotte; s’accoppiano con la matrigna e con la nuora, e osservano altre
usanze dei loro antenati. E noi cristiani di tutti i paesi in cui si crede nella
Santa Trinità, non si riconosce che un battesimo e una fede, noi non
abbiamo che una legge, cioè che siamo stati battezzati in Cristo e rivestiti
da Cristo [cfr. Gal 3,27.].
XII. Guerra tra Poljani e Chazari
Dopo dunque la morte dei tre fratelli [fondatori di Kiev] di cui abbiamo
parlato, i Poljani furono oppressi dai Drevljani e da altri popoli vicini; e i
Chazari, che abitavano sulle montagne e nei boschi, li assalirono e dissero
loro: «Pagateci il tributo». I Poljani si consultarono e dettero loro una spada
a due lame per focolare. Ma, i Chazari portarono questo tributo al loro
principe e ai loro anziani, e dissero loro: «Abbiamo conquistato nuovi
tributari». Chiesero i loro capi: «Dove sono?». Risposero: «Sono nei boschi
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e sulle montagne al di là del Dnepr». E gli altri dissero: «Che cosa vi hanno
dato?». Mostrarono le spade. Allora gli anziani dei Chazari dissero:
«Principe, questo non è un buon tributo! Noi usiamo armi che tagliano
soltanto da una parte, come la sciabola; queste hanno i due lati taglienti
come la spada. Dobbiamo temere che un giorno questo popolo chiederà il
tributo a noi e ad altri popoli». Infatti ciò successe, poiché gli anziani non
avevano parlato per proprio volere, ma per ispirazione divina.
Fu ciò che accadde al tempo del Faraone, imperatore d’Egitto, quando Mosè
fu portato dinanzi a lui e il consiglio degli anziani disse: «Quest’uomo
umilierà l’Egitto!» E ciò ebbe luogo, poiché Mosè sterminò gli Egizi, di cui
prima egli era loro schiavo. Analogamente, i Chazari dapprima soggiogarono
i Poljani e in seguito furono questi a dominare i Chazari. Ed ecco come
ancora oggi i principi russi regnano sui Chazari.
XIII. Comparsa dei Rus’ e cronologia (852)
Nell’anno
6360
[852],
nella
quindicesima
indizione,
all’ascesa
dell’imperatore Michele, si iniziò a parlare della terra russa. Sappiamo ciò,
perché è sotto questo imperatore che la Rus’ attaccò Car’grad, com’è scritto
nella Cronaca dei Greci. È da qui che comincerò e fornirò le date.
Da Adamo al diluvio sono 2242 anni; dal diluvio ad Abramo sono 1082 anni;
da Abramo all’esodo dall’Egitto sono 430 anni; dall’esodo dall’Egitto fino a
Davide sono 601 anni; da Davide e dal principio del regno di Salomone fino
alla cattività di Babilonia [conquista di Gerusalemme, 586 a.C.] sono 448
anni; dalla cattività di Babilonia al regno di Alessandro 318 anni; da
Alessandro alla nascita di Cristo 333 anni; dalla nascita di Cristo a
Costantino 318 anni; da Costantino all’attuale Michele 542 anni. E
dall’ascesa al trono di Michele fino a quella di Oleg principe russo, 29 anni; e
dall’epoca in cui Oleg si stabilì a Kiev fino all’arrivo di Igor’ 31 anni; e dal
primo anno di Igor’ fino al primo anno di Svjatoslav 33 anni; e dal primo
anno di Svjatoslav fino all’ascesa al trono di Jaropolk 28 anni. E Jaropolk
regnò 8 anni e Vladimir regnò 37 anni e Jaroslav regnò 40 anni. Così ci
sono, dalla morte di Svjatoslav alla morte di Jaroslav, 85 anni e, dalla morte
di Jaroslav alla morte di Svjatopolk, 60 anni.
Ma ritorniamo al punto dove eravamo rimasti e diciamo ciò che si compì in
questi anni, a partire dall’ascesa al trono di Michele [Michele III] e contiamo
gli anni l’uno dopo l’altro.
XIV. I Bulgari e i Varjaghi (853-858)
Anni 6361, 6362, 6363, 6364, 6365 [853-857].
Nell’anno 6366 [858], l’imperatore Michele fece una spedizione, per mare e
per terra, alla testa di un numeroso esercito contro i Bulgari, che, vedendosi
non abbastanza numerosi per resistere, chiesero il battesimo e si
sottomisero all’imperatore greco. Michele battezzò i principi e i bojari
bulgari, quindi concluse la pace con loro.
Nell’anno 6367 [859], i Varjaghi d’oltremare si fecero pagare tributo dai
Čudi, dagli Slavi, dai Meri, dai Vesi e dai Kriviči. In quel tempo, i Poljani, i
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Severjani e i Vjatiči erano tributari dei Chazari, che prelevavano una pelle di
scoiattolo per ogni focolare.
XV. Insediamento dei Varjaghi russi. Askol’d e Dir a Kiev (860-862)
Negli anni 6368, 6369, 6370 [860-862], i Varjaghi furono scacciati
oltremare e questa volta [nell’anno 6370 (862)], i popoli che essi avevano
già sottomesso rifiutarono di pagare il tributo e vollero governarsi da soli,
ma non c’era tra loro ombra di giustizia: una famiglia s’alzava contro
un’altra e non c’erano che discordie e si dilaniarono tra loro. E alla fine
dissero: «Cerchiamo un principe che ci governi e ci giudichi secondo
giustizia». Per trovarlo, gli Slavi passarono il mare e si recarono dai Varjaghi
che si chiamavano Varjaghi-Russi, come altri si nominano Varjaghi-Svedesi,
Normanni, altri Angli e altri Goti. E i Čudi, gli Slavi, i Kriviči e i Vesi dissero
ai Varjaghi-Russi: «La nostra terra è grande, e tutto vi è in abbondanza, ma
l’ordine e la giustizia vi mancano; venite a regnare e a governarci». Tre
fratelli varjaghi si offrirono con le loro genti e portarono con loro tutti i
Varjaghi-Russi, andarono dagli Slavi, e Rjurik il maggiore, si stabilì a
Novgorod, il secondo Sineus a Beloozero, e il terzo, Truvor, a Izborsk.
Questa terra ricevette più tardi dai Varjaghi il nome di Rus’, ma i suoi
abitanti, i novgorodiani, prima dell’arrivo di Rjurik, erano conosciuti sotto il
nome di Slavi.
Due anni dopo, Sineus e suo fratello Truvor morirono; Rjurik allora restò il
solo padrone del paese; si avvicinò al lago Il’men’ e fortificò la città di
Novgorod sulle rive del Volchov. Padrone assoluto del governo, divise le
terre e le città tra i suoi uomini, a uno ordinò di costruire la città di Polock, a
un altro quella di Rostov, e a un terzo Beloozero. E in queste città i Varjaghi
non erano che dei forestieri, perché i primi abitanti di Novgorod erano gli
Slavi, a Polock erano i Kriviči, a Rostov i Meri, a Beloozero i Vesi, a Murom i
Muromi, e Rjurik comandava su tutti questi popoli.
E con lui c’erano due uomini, che non erano della sua stirpe, ma erano suoi
bojari, ed essi chiesero di andare a Car’grad con la loro gente, e così
penetrarono nel paese lungo il Dnepr per arrivare fino a Car’grad. Strada
facendo, scoprirono una piccola città situata su una montagna; e chiesero:
«Di chi è questa città?» Fu risposto loro: «Un tempo apparteneva a tre
fratelli – Kij, Šček e Choriv – che l’hanno costruita; ma sono morti, noi
siamo i loro discendenti e paghiamo il tributo ai Chazari». Askol’d e Dir
rimasero in questa città, radunarono un grande numero di Varjaghi e
iniziarono a regnare sulle terre dei Poljani, intanto che Rjurik regnava a
Novgorod.
XVI. Askol’d e Dir attaccano Car’grad (863-866)
Negli anni 6371, 6372, 6373, 6374 [863-866], Askol’d e Dir andarono
contro la Grecia e vi arrivarono il quattordicesimo anno del regno
dell’imperatore Michele. Questo imperatore, partito in guerra contro gli
Agari [o Agareni: Arabi], si trovava sulle coste del fiume Nero quando fu
informato dal governatore della città che i Russi si muovevano contro
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Car’grad, ed egli accelerò il ritorno, ma i Russi erano già penetrati nel Corno
d’Oro. Costoro fecero una orribile strage dei cristiani e assediarono Car’grad
con i loro duecento vascelli. L’imperatore, entrato a stento la città, si rifugiò
con il patriarca Fozio nella chiesa della Santa Deipara alle Blacherne e vi
passò la notte in preghiera. All’alba, in mezzo ai canti dei salmi e dei santi
cantici, il patriarca immerse il manto della Santa Vergine nel mare calmo e
tranquillo e subito si levò una tempesta, le acque del mare si ingrossarono,
le onde si alzarono e i vascelli dei Russi idolatri furono dispersi, scagliati
sulla costa e fracassati, cosicché pochi sfuggirono al disastro e ritornarono
alle loro case.
XVII. Morte di Rjurik (879)
Negli anni 6375, 6376 [867-868], Basilio cominciò a regnare.
Nell’anno 6377 [869], tutta la terra di Bulgaria fu battezzata.
Negli anni 6378, 6379, 6380, 6381, 6382, 6383, 6384, 6385, 6386, 6387
[870-879], Rjurik continuò a regnare in Russia; quindi consegnò il trono a
Oleg, principe della sua stirpe, al quale affidò la tutela di suo figlio Igor’,
ancora molto piccolo, e morì.
XVIII. Morte di Askol’d e Dir. Oleg si stabilisce a Kiev (882)
Anni 6388, 6389 [880-881].
Nell’anno 6390 [882], Oleg, alla testa di un numeroso esercito composto da
Varjaghi, Čudi, Slavi, Meri, Vesi e Kriviči, andò a Smolensk, nella terra dei
Kriviči, s’impossessò della città e vi stabilì i suoi uomini. Da lì discese verso
Ljubeč’, la conquistò e vi mise i suoi uomini. Giunto presso le montagne di
Kiev, Oleg apprese che Askol’d e Dir vi regnavano. Egli nascose alcuni
guerrieri nelle imbarcazioni, lasciando indietro il resto dell’esercito, e avanzò
da solo con il giovane Igor’. Poi si avvicinò fino ai monti degli Ugri, nascose
il suo esercito e inviò ad Askol’d e Dir degli ambasciatori per dire: «Siamo
dei mercanti, andiamo in Grecia inviati dai principi Oleg e Igor’, venite
dunque davanti a noi che siamo della vostra stirpe». Allora Askol’d e Dir
andarono e i soldati russi uscirono dalle loro barche, e Oleg disse ad Askol’d
e Dir: «Voi non siete né principi, né discendete da principi, mentre io sono
della famiglia del principe». E mostrando Igor’ aggiunse: «Questo è il figlio
di Rjurik». E uccisero Askol’d e Dir e li seppellirono sulla montagna che
ancora oggi si chiama Monte degli Ugri [Monte Ugorskij] dove si trova
ancora oggi il palazzo di Ol’ma. Sulla tomba di Askol’d fu più tardi costruita
la chiesa di San Nicola; la tomba di Dir è invece dietro la chiesa di
Sant’Irene.
E Oleg si insediò come principe di Kiev e disse: «Questa città sarà la madre
di tutte le città russe!». Avendo attorno a lui Slavi, Varjaghi e altri popoli,
essi presero il nome di Rus’.
Allora Oleg cominciò a costruire città fortificate, e stabilì il tributo degli
Slavi, dei Kriviči e dei Meri, e ordinò ai Varjaghi di Novgorod il pagamento di
trecento grivny [antica moneta russa] all’anno come tributo per mantenere
la pace, e i Varjaghi lo pagarono fino alla morte di Jaroslav.
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XIX. Guerre di Oleg contro i popoli vicini
Nell’anno 6391 [883], Oleg dichiarò guerra ai Drevljani, li sottomise e
impose loro il tributo di una martora nera per focolare.
Nell’anno 6392 [884], egli andò contro i Severjani, li vinse, impose loro un
tributo leggero e li sollevò dal pagare il tributo ai Chazary dicendo: «Io sono
loro nemico, ma voi non avete ragioni per pagare».
Nell’anno 6393 [885], Oleg inviò ambasciatori ai Radimiči per domandare:
«A chi pagate il tributo?». Essi risposero: «Ai Chazari». Oleg disse loro:
«Non lo pagherete più ai Chazari, ma a me». Ed essi gli pagarono uno šč’leg
[scellino] a testa, come prima ai Chazari. E Oleg sottomise i Poljani, i
Drevljani, i Severjani e i Radimiči e fece la guerra agli Uliči e ai Tiverci.
Negli anni 6394 e 6395 [886-887], regnava [a Costantinopoli] Leone, figlio
di Basilio, chiamato da noi Lev, e fu imperatore con suo fratello Alessandro,
ed essi regnarono ventisei anni.
Anni 6396, 6397, 6398, 6399, 6400, 6401, 6402, 6403, 6404, 6405 [888897]
Nell’anno 6406 [898], gli Ugri andarono vicino a Kiev, presso quella che
ancora oggi si chiama la montagna degli Ugri [Ugorska]. Arrivarono alle rive
del Dnepr e alzarono le loro tende, perché erano nomadi come lo sono
ancora oggi i Polovcy. Essi venivano dall’Oriente, superarono le grandi
montagne che sono chiamate montagne degli Ugri e si misero a combattere
i Vlachi e gli Slavi che vivevano in queste regioni. Gli Slavi vi si erano
stabiliti ma poi i Vlachi sottomisero la terra slava; poi gli Ugri scacciarono i
Vlachi, riconquistarono la terra e vi si stabilirono con gli Slavi dopo averli
sottomessi, e da allora ha il nome di Ugria.
E gli Ugri si misero a far la guerra ai Greci, e devastarono la Tracia e la
Macedonia fino a Tessalonica [Salonicco]. Poi fecero la guerra ai Moravi e ai
Cechi. E tutti erano un popolo slavo: gli Slavi insediati sulle rive del Danubio
e già sottomessi agli Ugri, i Moravi, i Cechi, i Ljachi e i Poljani chiamati oggi
Rus’.
È per loro, per i Moravi, che sono state create le lettere, che poi presero il
nome di scrittura slava, quella che è in uso nella Rus’ e presso i Bulgari
Danubiani.
XX. Cirillo e Metodio
Quando gli Slavi [di Moravia] furono battezzati, i loro principi, Rostislav,
Svjatopolk e Kocel, si rivolsero all’imperatore Michele dicendo: «Il nostro
paese è battezzato, ma non abbiamo maestri per predicare, istruirci e
spiegarci le Sacre Scritture. Noi non comprendiamo né la lingua greca, né la
lingua latina, così alcuni ci spiegano in un modo e altri in un altro, quindi
non capiamo il significato dei libri sacri. Inviaci dunque maestri che siano
capaci di spiegarci la lingua dei libri e il loro spirito». Sentendo queste
parole, l’imperatore Michele riunì tutti i filosofi e ripeté loro ciò che
chiedevano i principi slavi, e il filosofi dissero: «C’è a Tessalonica un uomo
chiamato Leone che ha due figli che conoscono bene la lingua slava, due
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figli sapienti e filosofi». Intendendo ciò, l’imperatore fece dire a Leone a
Tessalonica: «Mandami subito i tuoi due figli, Metodio e Costantino».
Sentendo ciò, Leone glieli mandò rapidamente, e loro andarono
dall’imperatore, il quale disse: «Ecco che gli Slavi mi hanno chiesto un
maestro per spiegar loro i libri sacri; ciò è il loro desiderio».
Egli ordinò loro di partire e li mandò nel paese degli Slavi da Rostislav,
Svjatopolk e Kocel; e appena loro giunsero composero le lettere slave, e
tradussero l’Apostolo [contenente gli Atti e le 21 Lettere degli Apostoli] e i
Vangeli. Gli Slavi si rallegrarono molto di udire la grandezza di Dio nella
propria lingua, quindi i due tradussero il Salterio, l’Ottoico e altri libri. Ma
alcuni si misero a disprezzare le lettere slave dicendo: «Nessun popolo ha il
diritto di avere proprie lettere, se non gli Ebrei, i Greci e i Latini, come
testimoniò Pilato nell’iscrizione sopra la croce del Signore».
Il papa di Roma, udendo ciò, rimproverò coloro che mormoravano contro i
libri slavi, dicendo: «Che si compiano le parole della Scrittura: “Che tutte le
lingue glorifichino Dio”, e ancora: “Che tutte le differenti lingue esaltino la
grandezza di Dio, come dallo spirito Santo sarà dato loro rispondere”. E se
qualcuno disprezza la scrittura slava, che sia bandito dalla Chiesa fino a
quando si sia ravveduto perché “questi sono dei lupi e non pecore: che
occorre riconoscere dai loro frutti e guardarsi da loro”. Ma voi, figli di Dio,
ascoltate i Suoi insegnamenti, e non respingete gli insegnamenti della
Chiesa, così come ve li ha trasmessi Metodio, il vostro maestro» [cfr. At 2,4;
Mt 7,15-16]
Costantino ritornò dunque, e andò a istruire il popolo bulgaro, mentre
Metodio restò in Moravia. In seguito, il principe Kocel nominò Metodio
vescovo di Pannonia, sulla cattedra dell’apostolo Andronico, uno dei settanta
discepoli secondo l’apostolo san Paolo. Metodio chiamò due preti, abilissimi
scribi, ed essi tradussero tutti i libri santi, dal greco in slavo in sei mesi, dal
marzo al 26 di ottobre. Quando terminarono, resero grazia e gloria a Dio
che aveva benedetto il vescovo Metodio, successore di Andronico, perciò
l’apostolo Andronico è il primo maestro del popolo slavo venuto in Moravia.
Anche l’apostolo Paolo era giunto in Moravia e vi aveva insegnato, perché
l’apostolo Paolo è venuto dall’Illiria dove si trovavano gli Slavi prima
dell’arrivo di Paolo. E perciò san Paolo è il maestro del popolo slavo, al quale
apparteniamo anche noi della Rus’, e ha lasciato al popolo slavo come
vescovo suo successore Andronico. Ma il popolo slavo e il popolo russo sono
dei Varjaghi che presero il nome Rus’, ma prima erano Slavi e, sebbene
venissero anche chiamati Poljani, essi parlavano la lingua slava. Si
chiamavano Poljani perché dimoravano in pianura [pole, in russo] ed essi
parlavano la stessa lingua degli Slavi.
XXI. Spedizione contro i Greci
Anni 6407, 6408, 6409 [899-901].
Nell’anno 6410 [902], l’imperatore Leone armò gli Ugri contro i Bulgari; gli
Ugri attaccarono e devastarono tutto il paese dei Bulgari. Quando Simeone
[re di Bulgaria] lo seppe, si volse contro gli Ugri. Gli Ugri lo affrontarono e
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dispersero i Bulgari, e Simeone poté a mala pena fuggire a Dorostol.
Nell’anno 6411 [903], Igor’ era cresciuto, seguiva Oleg e gli ubbidiva, e gli
portarono una sposa da Pleskov [Pskov] di nome Ol’ga.
Anni 6412, 6413, 6414 [904-906].
Nell’anno 6415 [907], Oleg marciò contro i Greci, dopo aver lasciato Igor’ a
Kiev, ingaggiò un gran numero di Varjaghi e di Slavi, Čudi, Kriviči, Meri,
Poljani, Severjani, Drevljani, Radimiči, Croati e Tiverci come conoscitori.
Tutti questi popoli erano chiamati dai Greci “Grande Scizia”. Oleg partì con
tutti questi uomini, alcuni a cavallo e altri in nave; c’erano più di duemila
navi. Raggiunse Car’grad e le città si serrarono. Oleg sbarcò sulla riva,
ordinò ai soldati di tirare i vascelli in secca e di devastare i dintorni della
città. E uccisero molti Greci, e saccheggiarono molti palazzi e incendiarono
molte chiese, e quanto ai prigionieri si tagliò la testa ad alcuni, si
torturarono altri, si trafissero di frecce altri o si annegarono in mare, e i
Russi fecero subire ai Greci molti altri supplizi, com’è in guerra. E Oleg
ordinò ai suoi soldati di costruire delle ruote e porle sotto ai vascelli; ed
appena il vento fu favorevole, fece tendere le vele e i vascelli giunsero
attraverso i campi fino alle porte della città.
Vedendo ciò, i Greci si spaventarono e mandarono a dire a Oleg: «Non
distruggere la nostra città, ti pagheremo il tributo che vorrai». E Oleg
arrestò il suo esercito, e [i Greci] gli portarono cibo e vino, ma egli non ne
volle, perché erano avvelenati. E i Greci si spaventarono e dissero: «Questo
non è Oleg, ma san Dmitrij che Dio ha inviato contro di noi». E Oleg ordinò
loro di versare dodici grivny per uomo dei suoi duemila vascelli, e c’erano
quaranta uomini per nave. E i Greci acconsentirono e chiesero la pace
perché non devastasse l’impero greco.
Oleg, allontanatosi un poco dalla città, si mise a trattare la pace con gli
imperatori Leone e Alessandro. Inviò loro, in città, Karl, Farlaf, Vel’mud,
Rulav e Stemid per dire: «Consegnatemi il tributo». E i Greci dissero «Noi ti
daremo ciò che hai chiesto». E Oleg ordinò che fossero pagati dodici grivny
a ogni soldato dei suoi duemila vascelli e inoltre un tributo per le città russe,
in primo luogo per Kiev, poi per Černigov e Perejaslavl’, per Polotsk, Rostov
e Ljubeč’ e per le altre città dove governavano principi sottomessi a Oleg.
E comandò: «Quando i Russi verranno, che essi ricevano ciò che loro
aggrada. Quando verranno i mercanti, che essi abbiano per sei mesi pane,
vino, pesci e frutta e si approntino bagni quando vorranno. Quando un
Russo rientrerà, il vostro imperatore gli dia per il viaggio cibo e àncore e
funi e vele e tutto ciò che abbisogna».
Tali furono le condizioni che i Greci accettarono e gli imperatori e tutti i
dignitari dissero: «Se un Russo verrà senza merce, non riceverà alcun
mensile. E il principe russo proibisca ai Russi che verranno qui di far danni
nei villaggi del nostro paese. E i Russi che giungeranno dimoreranno presso
San Mamas [quartiere suburbano di Costantinopoli], e inviati dell’imperatore
trascriveranno i loro nomi e dopo essi potranno ricevere il mensile,
cominciando da quelli di Kiev, poi di Černigov, poi di Perejaslavl’ e delle altre
città. Entreranno disarmati in città da un’unica porta, accompagnati da un
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soldato dell’imperatore, a cinquanta uomini alla volta, e commerceranno a
loro piacimento, senza pagare alcun diritto».
Gli imperatori Leone e Alessandro conclusero la pace con Oleg, pagarono il
tributo e si impegnarono con un giuramento, baciando la croce, poi
invitarono Oleg e i suoi a giurare. Costoro, seguendo l’usanza russa,
giurarono sulle loro spade nel nome di Perun, il loro supremo dio, e di Volos,
dio del bestiame, e la pace fu conclusa.
E Oleg disse: «Preparate delle vele di seta per i Russi e delle vele di lino fine
per gli Slavi» [in altre traduzioni è il contrario rendendo la seta più fragile
del lino]. E si fece così: poi egli appese il suo scudo sulla porta della città in
segno di vittoria e partì da Car’grad. E i Russi spiegarono le loro vele di seta
e gli Slavi le loro vele di lino che il vento stracciò. E gli Slavi dissero:
«Ritorniamo alle nostre vele di tela grezza, perché le vele di lino fine non
sono fatte per noi». E Oleg arrivò a Kiev, portando oro, seta, frutta, vino e
ogni tipo di tessuti preziosi. E Oleg fu soprannominato il Saggio, perché
questa gente era pagana e ignorante.
Anni 6416, 6417, 6418 [908-910].
Nell’anno 6419 [911], una grande stella a forma di lancia [cometa] si
mostrò a Occidente.
XXII. Trattato con i Greci (912)
Nell’anno 6420 [912] Oleg mandò inviati a concludere la pace e a porre le
condizioni tra Greci e Russi e raccomandò loro di prendere come base
l’intesa da lui conclusa con gli imperatori Leone e Alessandro:
«Noi, della stirpe russa: Karl, Inegeld, Farlaf, Vel’mud, Rulav, Gudy, Ruald,
Karn, Frelav, Ruar, Aktevu, Truan, Lidul, Fost e Stemid, noi siamo stati
inviati da Oleg, gran principe della Rus’, e da tutti i suoi principi illustri e
grandi bojari a lui sottomessi, a voi Leone, Alessandro e Costantino, grandi
autocrati e imperatori greci in nome di Dio, per il mantenimento e la
conferma dell’amicizia esistente da molti anni tra i Cristiani e la Rus’,
secondo la volontà dei nostri grandi principi e conformemente ai loro ordini,
e da parte di tutti i Russi sottomessi alla loro autorità.
«Con l’aiuto di Dio, desideriamo rinsaldare la nostra serenità e rendere
manifesta l’amicizia tra i Cristiani e la Rus’, noi abbiano molte volte
riconosciuto come cosa giusta di proclamarla non solamente con semplici
parole ma anche con uno scritto e un fermo giuramento, formulato sulle
nostre armi secondo la nostra fede e il nostro costume.
«Ora gli articoli del trattato che noi abbiamo deliberato, in nome della fede
in Dio e dell’amicizia, sono le seguenti:
«Il primo riguarda la promessa della pace con voi, Greci, per amarci l’un
l’altro con tutta la nostra anima e tutta la nostra volontà, e noi non
permetteremo, sebbene sia in nostro potere, che qualcuno di coloro che
sono sottomessi ai nostri illustri principi commetta contro di voi frode o
delitti. Noi ci sforzeremo, secondo le nostre forze, di conservare ora e
sempre, Greci, un’amicizia perfetta e incrollabile tal quale noi abbiamo
conclusa, scritta e sancita con il giuramento. Da parte vostra, Greci,
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osserverete la medesima amicizia, incorruttibile e immutabile, in tutti i
secoli per il nostro principe russo e per tutti coloro che sono assoggettati al
nostro illustre principe russo.
«E per ciò che tocca i misfatti ci accordiamo come segue. Se ci sono prove
evidenti, si farà un rapporto certo; se una parte è dubbia, si farà giurare
secondo religione la parte certa e dopo sia inflitta la pena in ragione del
fatto. Se un Russo uccide un Cristiano o un Cristiano un Russo, che egli
perisca dove ha compiuto l’omicidio. Se egli fugge dopo avere compiuto il
delitto ed è ricco, allora il suo più vicino congiunto prenda la parte dei suoi
beni e colui che cattura l’omicida riceva altrettanto secondo legge. Se
l’assassino è fuggiasco e povero, che lo si cerchi fino a quando sia catturato
e allora muoia.
«Se qualcuno colpisce con la spada o altra arma, per quel colpo o ferita,
pagherà cinque libbre d’argento secondo la legge russa, e se il colpevole è
povero che costui dia ciò che ha, che sia spogliato delle sue vesti e, per la
rimanenza, che egli giuri, secondo la sua fede, che nessuno può aiutarlo, e
allora che si cessi di perseguirlo.
«Se un Russo ruba a un Cristiano o se un Cristiano ruba a un Russo, e il
derubato prende in flagranza il ladro e quest’ultimo oppone resistenza, che
sia ucciso, né i Russi né i Cristiani saranno perseguiti per l’omicidio e il
derubato riprenderà quanto ha perso. Se il ladro si consegna, che il
derubato lo prenda e lo leghi; e il ladro renderà il maltolto in triplice misura.
Se un Russo a un Cristiano o un Cristiano a un Russo ruba con la violenza
qualche oggetto, che ne paghi tre volte il valore.
«Se una tempesta sospinge una nave greca su una riva straniera e che la
trovi qualcuno di noi Russi, che costui vada in aiuto della nave e del suo
carico, e che li rimandi in seguito in un paese cristiano, e che li si
accompagni attraverso tutti i posti pericolosi fino a che siano in sicurezza.
Se la nave è trattenuta dalla tempesta o da qualche ostacolo che viene da
terra e non può arrivare alla sua destinazione, noi Russi soccorreremo i
rematori di quella nave e porteremo in salvo essi e il loro intero carico, se
ciò avviene presso la terra greca. Se un simile incidente avviene a una nave
vicino alla terra russa, noi la condurremo alla terra russa quindi si venderà
tutto quello che si può vendere del carico di quella nave, dopodiché noi
Russi tratterremo il denaro del vascello e quando andremo in Grecia sia per
fare commercio, sia in ambasciata presso il vostro imperatore, renderemo
con onore il prezzo del carico. Ma se succedesse che qualcuno di una nave
greca sia ucciso o colpito da noi Russi oppure derubato, allora i colpevoli
saranno puniti secondo quanto sopra enunciato.
«Se un prigioniero russo o greco viene venduto in un paese straniero e
incontra un Russo o un Greco, che questi, dopo aver accertato che sia un
Russo o un Greco, lo riscatti e lo riporti nel suo paese, e a chi l’ha riscattato
si renderà il prezzo del riscatto oppure gli sarà offerto il corrispettivo del
costo di uno schiavo. Se qualcuno in guerra diventa prigioniero dei Greci, lo
si rinvierà nella sua patria, e si pagherà per lui, così come è stato detto,
secondo il suo valore.
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«Se l’imperatore andrà in guerra, quando farà una spedizione e i Russi
vorranno onorare il vostro imperatore, tutti coloro che vorranno andare con
lui e restarvi non verranno ostacolati dalla Rus’. Se un Russo, di dove venga,
è fatto schiavo e venduto in Grecia oppure se un Greco, di dove venga, è
venduto nella Rus’, che sia riscattato con venti libbre d’oro e ritorni in Grecia
[In altre traduzioni si specifica che queste norme valgono per russi e greci
“cristiani”.].
«Se venisse rubato un servo russo o fuggisse o fosse venduto con la forza, i
Russi ne porteranno reclamo e, se la loro dichiarazione sarà dimostrata, il
servo sarà riportato nella Rus’. E se i mercanti perdono un servo e lo
richiedono, che lo cerchino e lo riprendano dopo averlo trovato; ma se
qualcuno non lascia fare questa ricerca al mercante [o: non esibisce le
prove], che egli perda lui stesso il suo schiavo.
«Se muore qualcuno dei Russi che servono in Grecia presso l’imperatore
cristiano senza avere disposto dei suoi beni, e se egli non ha genitori in
Grecia, che i suoi beni siano resi ai suoi genitori in Russia. Se ha lasciato
disposizioni, il designato riceverà i beni a lui lasciati per iscritto come erede,
e prenderà questa eredità dai Russi che fanno commercio [in Grecia] o da
altre persone che vanno in Grecia e che vi hanno conti.
«Se un malfattore passa dalla Russia in Grecia, e i Russi lo richiedono
all’imperatore cristiano, che sia preso e ricondotto anche contro la sua
volontà in Russia. I Russi faranno la stessa cosa per i Greci se succedesse
qualcosa di simile.
«E per confermare in modo irremovibile questa pace tra voi, Cristiani, e noi
Russi, abbiamo fatto scrivere questo trattato da Ivan su due pergamene che
è stato firmato dal vostro imperatore di sua propria mano: in presenza della
santa Croce e della santa e indivisibile Trinità del vostro vero Dio, ciò è stato
sancito e rimesso ai nostri ambasciatori. E noi, abbiamo giurato al vostro
imperatore, che regna su voi per volontà di Dio, secondo la legge e le
usanze del nostro popolo che noi non ci allontaneremo, né nessuno dei
nostri, dalle condizioni di pace e d’amore stipulate tra noi. E abbiamo
consegnato questo scritto al vostro governo per essere custodito, per intesa
comune, a confermare e annunciare la pace conclusa tra noi. La seconda
settimana del mese di settembre, indizione XV, anno della fondazione del
mondo 6420 [912] dalla creazione del mondo».
XXIII. Morte di Oleg (912)
L’imperatore Leone ricoprì gli ambasciatori russi di doni, oro, sete, broccati,
e li affidò ai suoi ufficiali perché mostrassero loro le bellezze delle chiese e i
palazzi dorati e le ricchezze che vi si custodivano, oro, sete e pietre
preziose, e gli strumenti della passione del Signore, la corona e i chiodi, e la
porpora, le reliquie dei santi, e insegnassero loro la fede cristiana e
spiegassero la vera religione; quindi li congedò con grandi onori quando
partirono per il loro paese.
Allora gli ambasciatori inviati da Oleg tornarono dal principe e riferirono
quanto avevano udito dai due imperatori, come avevano concluso la pace,
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quali condizioni avevano stabilito e il giuramento che né i Greci né i Russi le
avrebbero trasgredite.
E Oleg viveva in pace con tutti i suoi vicini, e Kiev era la sua capitale.
E l’autunno arrivò e Oleg si ricordò del suo cavallo che faceva nutrire ma
non montava mai, perché un giorno aveva chiesto agli indovini e ai maghi:
«Di che cosa morirò?», un indovino gli rispose: «Principe, il cavallo che tu
ami e cavalchi sarà la causa della tua morte!». Oleg, avendo riflettuto su
ciò, disse «Non lo monterò mai più, né lo vedrò ancora». Ordinò dunque che
si nutrisse quel cavallo e che non lo si portasse più al suo cospetto. E
trascorsero alcuni anni ed egli non se ne servì nemmeno per la sua
spedizione in Grecia. Quando ritornò a Kiev, passati quattro anni, nel quinto
anno si ricordò il cavallo che doveva causare la sua morte secondo la
previsione degli indovini. E chiamò il capo degli stallieri dicendo: «Dov’è il
mio cavallo che avevo ordinato di nutrire e accudire?» Lo scudiero rispose:
«È morto». Oleg si mise a ridere e a farsi beffe degli indovini, dicendo:
«Ecco che non dicono il vero gli indovini, sono tutte menzogne: il cavallo è
morto e io sono vivo!». E ordinò di sellare il suo cavallo dicendo: «Voglio
vedere le sue ossa!». E andò nel posto dove giacevano le ossa scarnificate e
il teschio spoglio dell’animale. E disceso da cavallo rise dicendo: «È forse
questa teschio che mi farà perire?». E schiacciò il teschio sotto il piede e un
serpente uscì da quel teschio e lo morse al piede. Cadde malato e morì.
Tutto il popolo lo pianse con dolore e fu sepolto sulla collina chiamata
Ščekovica. Il suo tumulo esiste ancora oggi e lo si chiama il tumulo di Oleg.
E il suo regno fu di trentatré anni.
XXIV. Digressione sui maghi
Cosa stupefacente sono gli incantesimi dei maghi. Sotto il regno di
Domiziano, c’era un indovino chiamato Apollonio di Tiana, era molto famoso
e girava per città e villaggi producendo ovunque prodigi diabolici. Andò da
Roma a Bisanzio, e su preghiera degli abitanti di questa città fece questo:
scacciò dalla città un gran numero di serpi e di scorpioni, in modo che la
gente non ebbe più danno, e domò i cavalli focosi alle assemblee dei
dignitari. Andò anche ad Antiochia su invito degli antiocheni tormentati dagli
scorpioni e dai pappataci e fece uno scorpione di rame e lo seppellì in terra
e vi mise sopra una piccola colonna di marmo, e ordinò alla popolazione di
andare per la città con una canna in mano e di agitare questa canna
gridando «Sia la città senza pappataci!». Così fuggirono dalla città pappataci
e scorpioni. Interrogato anche sulle scosse che minacciavano la città,
sospirò, quindi scrisse su una tavoletta queste parole «Misera te, città
infelice, che avrai molte scosse, e il fuoco ti inghiottirà, e sulle rive del tuo
fiume Oronte sarai pianta».
Di lui, il grande Anastasio della città di Dio [Antiochia] disse: «In alcuni
luoghi, gli incantesimi compiuti da Apollonio di Tiana producono effetti
ancora oggi: sia allontanando alcuni quadrupedi o uccelli che nuocciono agli
uomini, sia contenendo il corso irregolare dei fiumi, sia compiendo sortilegi
che distruggono gli uomini o portano loro danno. Poiché non soltanto
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durante la sua vita i demoni fecero queste e altre cose simili per lui, ma,
anche dopo la sua morte, frequentano la sua tomba e fanno prodigi in suo
nome per fuorviare i poveri di spirito, molto portati a queste cose
diaboliche».
Cosa dire degli atti magici di Manetone? Era così abile nell’arte della magia
che cancellava senza dubbio Apollonio, dicendo che costui non possedeva la
vera saggezza filosofica, perché avrebbe dovuto, diceva, fare ciò che voleva
con la sola parola e non usare mezzi materiali [In altre tradizioni si
generalizza la frase, non citando Manetone, che fu un sacerdote e storico
egizio del III secolo a.C.]. Ma tutto ciò arriva con il permesso di Dio e
l’opera del demonio. È così che egli prova l’ortodossia della nostra fede, se
essa è salda nell’essere unita al Signore, se non si lascia sedurre dagli
ingannevoli miracoli e artifici di Satana compiuti dagli schiavi e dai servi
della sua malizia. E ancora, alcuni hanno profetizzato in nome del Signore,
come Balaam, Saul e Caifa, e hanno cacciato i demoni come Giuda e i figli di
Sceva [At 19,14-15], perché la Grazia opera spesso attraverso le persone
indegne per andare a vantaggio di altri. Balaam era ben lontano dalla retta
vita e dalla fede, e tuttavia la Grazia si mostrò in lui per l’edificazione di
altri. Tale era anche il Faraone, a cui si predisse l’avvenire [Es 5]. E
Nabucodonosor aveva violato le leggi e tuttavia gli fu rivelato il futuro di
diverse generazioni a venire [Dn 2,28 ss.].
Così molti, nemici del Signore, fecero miracoli sotto il segno del Cristo [o:
prima dell’incarnazione del Verbo] e approfittarono con i loro artifici di
coloro che non comprendevano il bene, tali sono stato Simon Mago,
Menandro e altri. È per tale gente che è stato detto «Non lasciarti ingannare
dai prodigi».
XXV. Principato di Igor’ e alcune guerre (913-940)
Nell’anno 6421 [913], Igor’ iniziò a regnare dopo Oleg. In quel tempo
cominciò l’impero anche Costantino, figlio di Leone, genero di Romano, e i
Drevljani marciarono contro Igor’ dopo la morte di Oleg.
Nell’anno 6422 [914], Igor’ marciò contro i Drevljani, e dopo averli vinti
impose loro un tributo superiore a quello di Oleg. Quest’anno ancora,
Simeone di Bulgaria avanzò fin sotto Car’grad e dopo aver concluso la pace
ritornò nella sua terra.
Nell’anno 6423 [915], i Peceneghi vinsero per la prima volta la Rus’ e,
conclusa la pace con Igor’, arrivarono fino al Danubio. In quel tempo,
Simeone percorse e devastò la Tracia. I Greci chiamarono contro di lui i
Peceneghi. Vennero i Peceneghi e vollero attaccare Simeone, ma la discordia
regnava tra i voivodi [generali] greci. I Peceneghi, vedendo che litigavano
tra loro, ritornarono sui loro passi e i Bulgari piombarono sui Greci e li
sterminarono.
Simeone s’impadronì di Adriano precedentemente chiamata la città di
Oreste, il figlio di Agamennone, che dopo essersi bagnato nei tre fiumi guarì
da una malattia e per questo diede il suo nome alla città. In seguito,
l’imperatore Adriano la ricostruì e la chiamò col suo nome, Adrianopoli. Noi
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la chiamiamo la città di Adriano [o di Odrin].
Anni 6424, 6425, 6426, 6427 [816-919].
Nell’anno 6428 [920], Romano diventò imperatore dei Greci. Igor’ fece la
guerra ai Peceneghi.
Anni 6429, 6430, 6431, 6432, 6433, 6434, 6435, 6436 [921-928].
Nell’anno 6437 [929], Simeone marciò su Car’grad e devastò la Tracia e la
Macedonia, poi avanzò fin sotto Car’grad con grandi forze, pieno di orgoglio,
e concluse la pace con l’imperatore Romano, poi ritornò nelle sue terre.
Anni 6438, 6439, 6440, 6441 [930-933].
Nell’anno 6442 [934], gli Ugri marciarono per la prima volta contro
Car’grad, e devastarono tutta la Tracia. Romano concluse la pace con loro.
Anni 6443, 6444, 6445, 6446, 6447, 6448 [935-940].
XXVI. Spedizione contro i Greci (941) e il fuoco greco
Nell’anno 6449 [941], Igor’ mosse contro i Greci. E i Bulgari annunciarono
all’imperatore: «I Russi avanzano contro Car’grad su diecimila navi». Essi [i
Russi] traversarono il mare, combatterono la Bitinia e devastarono le coste
del Ponto fino a Eraclea e alla terra di Paflagonia, e conquistarono tutto il
territorio di Nicomedia, e incendiarono tutte le coste del Corno. Dei
prigionieri, alcuni furono trucidati, altri collocati come bersaglio furono
trafitti con i dardi, ad altri furono spezzate le membra o legate le mani
dietro la schiena conficcarono dei chiodi di ferro nella testa. E bruciarono
molte sacre chiese, incendiarono monasteri e villaggi e presero molto
bottino sulle due coste del mare. In seguito, i soldati arrivarono da Oriente,
Panfir comandava 40.000 uomini, seguito da Foca il patrizio, a capo i
Macedoni, da Teodosio lo Stratilata alla testa dei Traci e da molti alti
dignitari, e accerchiarono i Russi. Avendo tenuto consiglio, i Russi
marciarono armati contro i Greci, il combattimento fu accanito e i Greci
vinsero a stento. I Russi ritornarono dunque la sera al loro campo, poi la
notte salirono sulle loro navi e fuggirono. Teofane si inseguì con i vascelli
armati di fuoco e con dei tubi lanciava il fuoco contro le navi russe. E si vide
un terribile prodigio. I Russi, alla vista delle fiamme, si gettarono in mare
per salvarsi a nuoto, e coloro che sopravvissero tornarono alle loro case.
Quando furono ritornati nella loro terra, ciascuno di loro raccontò ai familiari
ciò che era accaduto e parlò del fuoco dalle navi: «I Greci hanno un fuoco
simile al fulmine che sta nel cielo – dicevano – e, lanciandocelo contro, ci
hanno incendiato, è per questo che non abbiamo potuto vincerli». Igor’ si
mise allora a radunare un grande esercito, e andò dai Varjaghi al di là del
mare per incitarli contro i Greci perché egli voleva andare ad attaccarli di
nuovo.
Nell’anno 6450 [942], Simeone marciò contro i Croati e i Croati lo
sconfissero, ed egli morì lasciando suo figlio Pietro principe dei Bulgari.
Questo anno nacque a Igor’ un figlio chiamato Svjatoslav.
XXVII. Sottomissione dei Greci e nuovo trattato di pace (945)
Nell’anno 6451 [943], gli Ugri marciarono di nuovo contro Car’grad e
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ritornarono nel loro paese dopo aver concluso la pace con Romano.
Nell’anno 6452 [944], Igor’ radunò un esercito di Varjaghi, Russi, Poljani,
Slavi, Kriviči e Tiverci e assoldò i Peceneghi prendendo da loro degli ostaggi,
e mosse contro la Grecia, per mare e per terra, volendo vendicarsi. I
Chersonesi, avendo saputo ciò, avvisarono Romano dicendo: «Ecco, i Russi,
hanno già coperto il mare con i loro innumerevoli vascelli». Anche i Bulgari
annunciarono la stesse notizia, dicendo: «Arrivano i Russi, hanno i
Peceneghi al loro servizio». L’imperatore, sentito ciò, inviò a Igor’ i suoi
dignitari più illustri, per pregarlo dicendo: «Non venire, prendi il tributo che
riscuoteva Oleg e io aggiungerò ancora qualcosa a quel tributo». Egli inviò
anche ai Peceneghi tessuti preziosi e molto oro.
Igor’ arrivò al Danubio, radunò la družina [ufficiali] e tenne consiglio
ripetendo ciò che aveva proposto l’imperatore. La družina disse a Igor’: «Se
l’imperatore parla così, che cosa dobbiamo fare se non prendere l’oro,
l’argento e la seta senza combattere? Chi sa dire chi sarà il vincitore, se noi
o loro? Chi è che discute con il mare? Perché noi non marceremmo sulla
terra, ma sopra gli abissi marini; la morte ci minaccia tutti». Igor’ prestò
loro ascoltò e ordinò ai Peceneghi di devastare la Bulgaria, poi prese dai
Greci oro e tessuti preziosi per tutto l’esercito e ritornò verso Kiev nella sua
terra.
Nell’anno 6453 [945], Romano, Costantino e Stefano inviarono degli
ambasciatori a Igor’ per rinnovare l’antico trattato di pace. Igor’ discusse
con loro della pace, inviò i suoi uomini da Romano. Romano riunì i bojari e i
dignitari. E introdussero gli ambasciatori russi, e si ordinò di trascrivere su
pergamena quanto si conveniva tra le due parti.
«Conformemente all’altro trattato stipulato al tempo degli imperatori
Romano, Costantino e Stefano, signori amanti di Cristo.
«Noi della stirpe russa, ambasciatori e mercanti: Ivor, ambasciatore di Igor’,
gran principe russo, e gli ambasciatori ordinari: Vuefast per Svjatoslav figlio
di Igor’, Iskusevi per la principessa Ol’ga, Sludy per Igor’ [nipote del Gran
principe Igor’], Uleb per Vladislav, Kanicar per Predslava [figlia di Igor’],
Šichbern per Sfandra, la sposa di Uleb, Prasten per Turd, Libiar per Fast,
Grim per Sfirk, Prasten per Akun, nipote di Igor’, Kary per Tudkov, Karšev
per Turodov, Egri per Evliskov, Voist per Voïkov, Istr per Amindov, Prasten
per Bern, Javtjag per Gunarev, Šibrid per Aldan, Kol per Klekov, Steggi per
Eton, Sfirka, Alvad per Gud, Fudri per Tuad, Mutur per Utin; i mercanti:
Adun’, Adulb, Iggivlad, Oleb, Frutan, Gomol, Kuci, Emig, Turobid, Furosten,
Bruny, Roald, Gunastr, Frasten, Inegeld, Turbern e l’altro Turbern, Uleb,
Turben, Mony, Ruald, Sven’, Aldan, Tilen, Apoub’ksar, Vuzlev e Sinko Borič,
inviati da Igor’, gran principe russo, e da tutti i principi e tutti i popoli della
terra di Rus’. Da loro ci fu ordinato di rinnovare il vecchio trattato di pace,
violato da anni dal demone nemico del bene e amico della discordia, e di
consolidare l’antica amicizia tra i Greci e i Russi.
«Il nostro gran principe Igor’ e i suoi principi e bojari e tutti i popoli russi ci
hanno inviato da Romano, Costantino e Stefano, grandi imperatori della
Grecia, per confermare l’amicizia con questi imperatori e con tutti i loro
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bojari e con tutto il popolo greco per tutto il tempo che il sole brillerà ed
esisterà l’universo.
«E chiunque dei Russi cercasse di rompere questa pace, se è di coloro che
hanno ricevuto il battesimo, sia punito da Dio onnipotente e condannato a
perire in questa vita e nell’altra. Se invece è fra i non battezzati, che non
riceva aiuto né da Dio, né da Perun, che non sia riparato dai loro scudi, ma
sia trafitto dalle sue stesse spade, dalle sue frecce, dalle altre armi, e che
siano schiavi in questo secolo e in quelli futuri.
«Il gran principe di Russia e i suoi bojari inviino ai Greci, ai grandi
imperatori greci, quante navi a loro piaccia con ambasciatori e mercanti.
Come allora imposto, gli ambasciatori portavano un sigillo d’oro, mentre i
mercanti d’argento, ma ora il nostro principe ha stabilito di inviare uno
scritto al vostro imperatore. E gli ambasciatori e i mercanti da lui inviati
dovranno portare lo scritto che specifica «Ho inviato tante navi», affinché
noi riconosciamo coloro che vengono in pace. Ma se essi venissero senza
scritto, ce le consegneranno e noi le sorveglieremo e le tratterremo e
avvertiremo il vostro principe. Se essi non volessero arrendersi e
opponessero resistenza, essi saranno messi a morte e il vostro principe non
cerchi ragione di tale morte. Se essi fuggissero e giungessero nella Rus’, noi
scriveremo al vostro principe e si procederà secondo volontà.
«Se un Russo arriva senza merci, non riceva il mensile. E il principe vieti ai
suoi inviati e ai Russi, che qui verranno, di commettere eccessi nei villaggi
della nostra terra. Coloro che vengono dimorino a San Mamas [quartiere
suburbano di Costantinopoli], e il nostro imperatore manderà qualcuno per
trascrivere i loro nomi e solo dopo riceveranno il proprio mensile, gli
ambasciatori la loro paga e i mercanti il mensile; per primi riscuoteranno
quelli di Kiev, poi quelli di Černigov e di Perejaslavl’. Essi devono entrare in
città da un’unica porta scortati da un uomo dell’imperatore, senza armi, a
gruppi di cinquanta uomini per volta; si occupino del loro commercio
seguendo i propri interessi e poi se ne vadano via. L’ufficiale dell’impero li
sorvegli e se qualcuno dei Russi o dei Greci commetterà qualche torto, egli
lo giudichi. I Russi, entrando in città, non arrechino danno e non comprino
tessuti preziosi per più di cinquanta monete d’oro [o “sovrani”] e chiunque li
acquisti deve mostrarli all’ufficiale dell’impero e questi la sigillerà
[sdoganerà] e gliela renderà. E partendo i Russi ricevano da noi i viveri
occorrenti per il viaggio e quanto sarà necessario per i vascelli, così come si
è prima stabilito, e ritornino salvi nel loro paese. Essi non hanno il diritto di
passare l’inverno a San Mamas.
«Se uno schiavo fugge dalla Russia e lo si viene a cercare nel vostro impero,
se è a San Mamas lo si riprenda. Se non lo si trovasse, allora i Russi cristiani
facciano giuramento secondo la loro fede e i non cristiani secondo la loro
usanza e solo dopo essi riceveranno l’equivalente del suo prezzo, già fissato
di due tele preziose per servo.
«Se qualcuno del nostro impero o della vostra città oppure un servo nostro
di altra città si rifugia presso di voi portando con sé della refurtiva, lo si
restituisca e, se la roba sottratta è nella sua integrità, gli siano prese due
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monete d’oro per ogni cosa sottratta. Se un Russo prova a rubare qualcosa
alle genti del vostro impero, sia punito severamente e paghi il doppio del
valore di ciò che avrà rubato. Se un Greco fa lo stesso a un Russo, subisca
la medesima punizione. Se un Russo ruba qualcosa a un Greco, o un Greco
a un Russo, è giusto che renda non solamente la cosa stessa, ma anche il
valore di quella cosa. Se la cosa rubata è stata venduta, il ladro paghi il
doppio del valore e sia punito secondo la legge greca e secondo il codice e
la legge russa.
«Se un Russo porta dei prigionieri cristiani del nostro paese: se è un
giovane uomo o una giovane donna, si paghino dieci monete d’oro per il loro
riscatto, se sono persone di età media si paghino otto monete d’oro per il
loro riacquisto, se è un bambino o un vecchio, si diano cinque monete d’oro.
«Se si trovassero tra i Greci degli schiavi russi, i Russi potranno riscattarli
con dieci monete d’oro. Se è un Greco ad averli comperati, faccia
giuramento sulla croce per ricevere il prezzo pagato per loro.
«Riguardo al Chersoneso e alle sue città, sia precluso al principe russo di far
la guerra in quelle terre e in tutte le città esistenti in quella regione e quel
territorio non gli sia sottomesso. Se il principe russo ci chiederà dei soldati
per la guerra, gliene saranno consegnati quanti ne avrà bisogno. Se i Russi
trovano una nave greca gettata in qualche luogo dalla tempesta, essi non la
tocchino. Colui che sottrarrà qualcosa da questa nave o che mandi un uomo
in prigione o lo uccida, sia giudicato secondo la legge russa e quella greca.
«Se i Russi trovassero i Chersonesi che pescano alla foce del Dnepr, non si
faccia loro alcun male.
«I Russi non potranno passare l’inverno alla foce del Dnepr, né a Belobereg,
né a Sant’Eterio, ma al volgere dell’autunno, dovranno tornare alle loro case
nella Rus’.
«Quanto ai Bulgari Neri che vengono a devastare il Chersoneso, noi
chiediamo al principe russo di non permettere loro di recar danno a questa
regione.
«Se qualche crimine viene commesso dai Greci sudditi del nostro impero,
voi non avete il diritto di punirlo, ma ciascuno sarà punito dall’ordine del
nostro imperatore per i suoi delitti. Se un Cristiano uccide un Russo o un
Russo un Cristiano, l’omicida sia catturato dai congiunti e ucciso. Se
l’omicida fugge ed è ricco, i familiari della vittima prendano i suoi beni. Se
l’omicida è povero e fugge, lo si ricerchi fino a quando non si trovi e,
trovatolo, sia messo a morte.
«Se un Russo colpisce un Greco o un Greco un Russo con la spada, la lancia
o altra arma, paghi per questa colpa cinque libbre d’argento, secondo la
legge russa; se è povero, si venda tutto ciò che possiede e pure i vestiti che
indossa e infine lo si faccia giurare, secondo la sua fede, che egli non ha più
nulla e solo allora lo si rilasci.
«Se il nostro imperatore avesse bisogno di soldati per combattere i nostri
nemici, si scriverà al vostro gran principe, ed egli ci invierà quanti soldati
richiederemo, e così gli altri paesi vedranno quale amicizia esiste tra Greci e
Russi.
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«Abbiamo scritto questo trattato su due pergamene, e una di queste
pergamene è per il nostro impero, sopra di essa c’è una croce e i nostri
nomi scritti e sull’altra il nome dei vostri ambasciatori e dei vostri mercanti.
E quanti del nostro impero partono con gli ambasciatori siano accompagnati
dal gran principe russo Igor’ e dai suoi dignitari, Costoro, dopo aver ricevuto
la pergamena, giureranno di osservare esattamente tutto ciò che è stato
fissato e scritto sulla pergamena dove i nostri nomi sono trascritti.
«Dunque, quelli di noi che sono cristiani hanno giurato nella chiesa di
Sant’Elia, la cattedrale [di Kiev], davanti alla croce santa e a questa
pergamena, di osservare tutto ciò che vi è scritto e di non trasgredirlo in
nulla. E chiunque di noi se ne allontanasse, principe o altro, battezzato o
meno, che non riceva alcun soccorso da Dio, che sia schiavo in questa vita e
nella vita futura, e che perisca con le sue stesse armi.
«E i Russi non cristiani depongano i loro scudi e le loro spade sguainate, i
loro archi e le altre armi, e giurino che tutto ciò che è scritto su questa
pergamena sarà osservato da Igor’ e da tutti i suoi bojari e da tutto il
popolo russo in tutti i tempi e per sempre. Se dunque qualche principe o
suddito russo violasse ciò che è scritto su questo foglio, che perisca con le
sue stesse armi e sia maledetto da Dio e da Perun per aver violato il
giuramento.
«Finché il gran principe Igor’ sarà vivo, farà in modo che questa amicizia
giusta resti immutata e si mantenga finché il sole splenderà e l’universo
durerà nei secoli attuali e per sempre».
Gli inviati di Igor’ tornarono da Igor’ assieme agli ambasciatori greci, e
riferirono tutto ciò che aveva detto l’imperatore Romano. Igor’ chiamò gli
ambasciatori greci e disse loro: «Ditemi ciò che vi ha ordinato l’imperatore».
E gli ambasciatori dell’imperatore dissero: «L’imperatore ci ha inviati; egli
ama la pace e vuole avere pace e amicizia con il principe della Rus’. I tuoi
ambasciatori hanno raccolto il giuramento dei nostri imperatori, che ci
hanno inviati per ricevere il tuo giuramento e quello dei tuoi uomini». Igor’
promise di fare ciò. L’indomani Igor’ chiamò gli ambasciatori e salì sulla
collina dove si ergeva Perun, ed essi deposero i loro scudi, le loro armi e il
loro oro, e Igor’ fece il giuramento così come i suoi uomini che erano
pagani, mentre i Russi cristiani fecero il giuramento nella cappella di
Sant’Elia che è eretta sul ruscello vicino al sobborgo dei Chazari ed era
chiesa cattedrale perché molti Varjaghi e Chazari erano cristiani.
Quando Igor’ ebbe suggellato la pace con i Greci, al momento di congedare
gli ambasciatori, egli fece loro dono di pellicce, di schiavi e di cera e li
congedò. Gli ambasciatori tornarono dall’imperatore, riportandogli tutto ciò
che aveva detto Igor’ e della sua amicizia per i Greci.
XXVIII. Guerra contro i Drevliani e morte di Igor’ (945)
Igor’ cominciò a regnare a Kiev e visse in pace con tutte le regioni. E
quando venne l’autunno, si mise a pensare ai Drevljani, volendo loro
imporre un più alto tributo.
Nell’anno 6453 [945], la družina di Igor’ gli disse: «Le truppe di Svenal’d
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[generale di Igor’, oppressore degli Uliči] sono provviste di armi e
indumenti, mentre noi siamo ignudi. Vieni con noi, principe, a esigere un
nuovo tributo, affinché tu e noi ne profittiamo». E Igor’ li ascoltò, e andò dai
Drevljani per reclamare il tributo, e aumentò quello il vecchio tributo e i suoi
uomini usarono la violenza; dopo ciò lui e i suoi ritornarono a Kiev con il
tributo. E mentre se ne ritornava, egli rifletté e disse alla sua družina:
«Tornate alle vostre case con questo tributo, mentre io torno indietro a
riscuotere dell’altro». E lasciò andare i suoi uomini ed egli con una piccola
družina tornò indietro bramando maggiori ricchezze.
Quando i Drevljani appresero che Igor’ ritornava da loro, tennero consiglio
insieme al loro principe Mal e dissero: «Se il lupo si abitua all’ovile e non lo
si uccide, sgozzerà una dopo l’altra tutte le pecore; così è anche per Igor’:
se non lo uccidiamo ora, ci rovinerà tutti». E gli mandarono alcuni di loro
per dirgli: «Perché ritorni da noi? Ti abbiamo già pagato tutto il tributo». Ma
Igor’ non li ascoltò. I Drevljani uscirono allora dalla città di Iskorosten’ e
uccisero Igor’ e la sua družina poco numerosa. E si seppellì Igor’ e il suo
tumulo si vede ancora oggi vicino a Iskorosten’, nelle terre dei Drevljani.
XXIX. Ol’ga, reggente di Svjatoslav, e gli ambasciatori drevljani
Ol’ga viveva a Kiev con suo figlio, il giovane Svjatoslav, e il suo precettore
Asmud, e il voivoda era Svenal’d, che era il padre di Mstiša. E i Drevljani
dissero: «Noi abbiamo ucciso il principe russo, diamo sua moglie Ol’ga in
sposa al nostro principe Mal, e poi di Svjatoslav ne faremo ciò che
vorremo».
E i Drevljani inviarono venti uomini, scelti tra i più importanti, per nave da
Ol’ga. Essi arrivarono presso Boričev [collina di Kiev]; allora il fiume [Dnepr,
antico Boristene] scorreva ai piedi della collina di Kiev e nella valle non
abitava nessuno, ma solo sulla collina. La città di Kiev era là dove oggi si
eleva il palazzo di Gordjata e di Nikifor [Niceforo], mentre il palazzo del
principe occupava il recinto dove sono oggi i palazzi di Vorotislav e di Čudin,
e la pesa pubblica era fuori città [in altra traduzione: e le reti per catturare
gli uccelli venivano tese fuori città]. Fuori città c’era un altro palazzo, dov’è
il palazzo del Governatore, dietro alla chiesa della Santa Deipara, si ergeva
il palazzo del terem [fortezza] che era tutto di pietra.
Si avvertì Ol’ga che i Drevljani erano giunti, e Ol’ga li fece chiamare, e disse
loro: «Ospiti cari, siete arrivati!» e i Drevljani dissero: «Principessa, siamo
venuti». E Ol’ga disse loro: «Ditemi, che ragione vi porta?». E i Drevljani
risposero: «I Drevljani ci hanno inviato per dire: Noi abbiamo ucciso il tuo
sposo, tuo marito era come un lupo che razziava e predava, ma i nostri
principi sono buoni, essi fanno prosperare la terra dei Drevljani, vieni
dunque da Mal nostro principe in isposa». Perché tale era il nome del
principe dei Drevljani. Ol’ga rispose loro: «Ciò che dite mi è caro, perché io
non posso risuscitare mio marito, invece a voi voglio rendere onore domani,
in presenza della mia gente. Andate ora alla vostra imbarcazione con
fierezza. E io domani vi manderò a prendere e allora voi dite: “Noi non
verremo a piedi, non verremo a cavallo, ma trasportateci nella nostra
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imbarcazione”, e vi porteranno nella vostra barca». Ed ella li lascio andare
alla loro imbarcazione. E Ol’ga ordinò di scavare una fossa grande e
profonda nel recinto del terem, fuori città. L’indomani, Ol’ga rimase nel
terem e mandò a prendere gli ospiti. E andarono dicendo: «Ol’ga vi invita a
grandi onori». Essi risposero: «Noi non verremo a cavallo, né sui carri, né a
piedi, ma trasportati nelle nostre barche». E dissero i Kieviani: «Dobbiamo
per forza obbedire, il nostro principe è morto, e la nostra principessa sta per
sposare il vostro principe».
E li portarono nelle barche; essi si sedettero impettiti e inorgogliti, con gli
ampi pettorali preziosi indosso. E li si portarono verso il palazzo di Ol’ga e li
gettarono nel fosso con le loro barche. Ol’ga si protese e disse loro: «Era
giusto l’onore resovi?». Essi risposero: «La nostra fine è peggiore della
morte di Igor’». Ed ella ordinò che li si seppellissero vivi, e li si sotterrò.
Ol’ga inviò ambasciatori ai Drevljani per dire loro: «Se davvero voi mi
volete, inviatemi degli uomini scelti affinché io possa venire dal vostro
principe in grande onore, altrimenti i Kieviani non mi lasciano partire».
I Drevljani, udendo ciò, scelsero gli uomini migliori fra quanti governavano
le loro terre e glieli mandarono. Quando furono arrivati, Ol’ga ordinò di
preparare un bagno dicendo loro: «Quando vi sarete lavati, verrete da me».
Si riscaldò il bagno e i Drevljani entrarono e si misero a lavarsi. Si chiuse la
porta dietro di loro e Ol’ga ordinò di aumentare il fuoco nel bagno
dall’uscita, e arsero vivi tutti. E Ol’ga mandò [ambasciatori] ai Drevljani per
dire: «Ecco, sto venendo da voi; preparate molto idromele nella città in cui
uccideste mio marito, perché possa piangere sulla sua tomba e fare il
banchetto funebre in onore del mio sposo».
Essi, avendo inteso queste nuove parole, prepararono una grande quantità
di idromele. Ol’ga, seguita da una piccola družina, avanzò in fretta verso la
tomba del suo sposo, e, giunta, lo pianse e ordinò ai suoi uomini di
innalzare un gran tumulo, e come fu terminato ordinò di preparare la
cerimonia funebre. I Drevljani si sedettero per bere e Ol’ga ordinò ai suoi di
servirli. I Drevljani chiesero a Ol’ga: «Dov’è la nostra družina che ti abbiamo
inviato per scortarti?». Ella rispose: «Essi sono con me, con la družina di
mio marito». E quando i Drevljani si furono ubriacati ordinò ai suoi uomini di
lanciarsi contro di loro e di massacrarli. E ne massacrarono cinquemila. E
Ol’ga ritornò a Kiev e preparò il suo esercito per muoversi contro i Drevljani.
XXX. Guerra contro i Drevljani (946)
Nell’anno 6454 [946], Ol’ga, con suo figlio Svjatoslav, radunò un esercito
numeroso e valoroso e marciò contro i Drevljani e i Drevljani le andarono
incontro. Quando i due eserciti presero a combattersi, Svjatoslav gettò la
sua lancia contro i Drevljani, e la lancia passò fra gli orecchi di un cavallo e
colpì una zampa dell’animale, perché egli non era che un bambino. E
Svenal’d e Asmud dissero: «Il principe ha già cominciato la battaglia, che la
družina si slanci dietro al principe». E dispersero i Drevljani.
I Drevljani fuggirono e si rinchiusero nelle loro fortezze. Ol’ga attaccò con
suo figlio la città di Iskorosten’, perché là il suo sposo era stato ucciso, e
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pose, insieme al figlio, l’assedio, mentre i Drevljani si chiusero in città e si
difesero energicamente poiché sapevano, avendo ucciso il principe, ciò che li
attendeva se si fossero arresi. E Ol’ga stette un anno senza potersi
impossessare della città. E immaginò allora l’inganno seguente: inviò
[ambasciatori] alla città per dire: «Che cosa sperate? Tutte le vostre città si
sono sottomesse a me e pagano il tributo e lavorano i campi della propria
terra e voi, per non pagare il tributo, volete morire di fame?». I Drevljani
risposero: «Accorderemmo volentieri il tributo, ma tu vuoi vendicare il tuo
sposo». E Ol’ga disse loro: «Ho già vendicato il mio sposo le due volte che
siete venuti a Kiev e la terza volta quando ho fatto la cerimonia funebre in
suo onore. Non voglio più vendicarmi, voglio ricevere da voi un piccolo
tributo e, conclusa la pace con voi, tornerò indietro». I Drevljani dissero:
«Cosa ci chiedi? Noi ti daremo volentieri miele e pellicce». Ella rispose loro:
«Non avete più né miele, né pellicce; io chiedo una piccola cosa: datemi tre
colombi e tre passeri per ogni cortile, poiché non voglio imporvi tributi
pesanti, come fece mio marito, ma vi chiedo questa piccola cosa, perché
siete già stremati dall’assedio».
Contenti, i Drevljani presero da ogni casa tre colombi e tre passeri e li
inviarono umilmente a Ol’ga. Ol’ga disse loro: «Poiché vi siete arresi a me e
a mio figlio, ritornate nella vostra città, io me ne andrò domani per tornare
alla mia città». I Drevljani, felici, rientrarono in città e raccontarono ciò al
popolo e gli abitanti della città si rallegrarono.
Ol’ga distribuì a ciascuno dei suoi soldati un colombo e un passero e ordinò
a ciascuno di legare alle zampe dei due uccelli un pezzo di tessuto intriso di
zolfo con una cordicella e, quando venne il crepuscolo, Ol’ga ordinò ai suoi
soldati di liberare i colombi e i passeri. I colombi e i passeri volarono verso i
loro nidi, gli uni verso la colombaia, gli altri sotto i tetti e così presero fuoco
le colombaie, le capanne, le torri, le stalle, e non ci fu casa che non fu
raggiunta dal fuoco e non si poté estinguerlo perché tutte le case bruciarono
insieme. E gli abitanti della città fuggirono e Ol’ga ordinò al suo esercito di
catturarli. Così prese la città e la incenerì, e catturò i vecchi della città e
degli altri alcuni li fece uccidere, altri li dette come schiavi ai suoi uomini e
fece pagare tributo agli ultimi rimasti. E impose loro un gravoso tributo, e i
due terzi del tributo erano per Kiev, l’altro terzo per Vyšgorod, per Ol’ga,
poiché Vyšgorod era la città di Ol’ga. E Ol’ga percorse il paese dei Drevljani
con suo figlio e la sua družina, fissando leggi e tributi. Si vedono ancora
oggi le loro residenze e le loro riserve di caccia. E ritornò alla sua città, Kiev,
con suo figlio Svjatoslav, e vi rimase un anno.
Nell’anno 6455 [947], Ol’ga andò a Novgorod, stabilì sulle rive della Msta
accampamenti e fissò tributi e testatici lungo la Luga. Si vedono ancora le
sue riserve di caccia, e le testimonianze e i villaggi e gli accampamenti.
Ancora oggi si vede a Pleskov [Pskov] la sua slitta, e lungo il Dnepr e la
Desna si vede la pesa pubblica [in altra traduzione: lungo il Dnepr e la
Desna scelse i siti ove far tendere le reti per la cattura degli uccelli.], ed
esiste ancora anche il suo villaggio Ol’žiči. Dopo avere sistemato ogni cosa,
ritornò vicino a suo figlio a Kiev, e visse con lui in serenità e amore.
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XXXI. Battesimo di Ol’ga (955)
Anni 6456, 6457, 6458, 6459, 6460, 6461, 6462 [948-954].
Nell’anno 6463 [955], Ol’ga andò in Grecia e giunse a Car’grad.
L’imperatore era allora Costantino, figlio di Leone, e Ol’ga andò da lui, e,
vedendo quanto fosse molto bella in volto e molto saggia, l’imperatore
s’intrattenne con lei e ne ammirò l’intelligenza, e disse: «Tu sei degna di
regnare al nostro fianco in questa città». Avendo intese queste parole, ella
rispose all’imperatore: «Io sono pagana, se vuoi battezzarmi, battezzami tu
stesso, altrimenti non mi farò battezzare». E l’imperatore la battezzò con il
patriarca.
Una volta illuminata [battezzata], ella si rallegrò nell’anima e nel corpo, e il
patriarca l’istruì nella fede e le disse «Tu sei benedetta fra le donne russe,
poiché hai amato la luce e abbandonato l’oscurità. I figli della Rus’ ti
benediranno fino all’ultima generazione». E la istruì sui dogmi della Chiesa,
sulla preghiera, il digiuno, la carità, sull’importanza del mantenimento della
castità; ed ella restava a capo chino e, come una spugna assorbe l’acqua,
riceveva quelle istruzioni, poi si inginocchiò dinanzi al patriarca dicendo:
«Che per le tue preghiere, o padre, sia preservata dagli ostacoli del
demonio». E le si dette con il battesimo il nome di Elena, che prima era
stato quello della madre di Costantino il Grande. E il patriarca la benedisse e
la congedò. Dopo il battesimo, l’imperatore la chiamò e le disse «Voglio
prenderti in moglie». Ella disse: «Come fai a volermi se tu mi hai battezzata
e chiamata figlia? Tra i Cristiani ciò è contro la legge, lo sai tu stesso». E
l’imperatore disse: «Ol’ga, tu mi hai ingannato!». E le offrì molti doni, oro e
argento, tessuti preziosi e vasellame, e la congedò chiamandola figlia.
Ella ritornò nella sua terra, ma andò prima dal patriarca per chiedergli la
benedizione sulla sua casa e gli disse: «Il mio popolo è pagano e anche mio
figlio, che Iddio mi preservi da ogni male». E il patriarca le disse: «Mia
fedele figlia, tu sei stata battezzata in Cristo e in Cristo ti sei rivestita: Cristo
ti proteggerà, come salvò Enoch nella prima generazione, e Noè nell’arca, e
Abramo da Abimelech, Lot dai Sodomiti, Mosè dal Faraone, Davide da Saul, i
tre giovani dalla fornace, Daniele dai leoni; così egli ti salverà dal maligno e
dai suoi intrighi». Il patriarca la benedisse ed ella se ne andò in pace nella
sua terra e arrivò a Kiev.
Accadde ciò come era avvenuto ai tempi di Salomone. La regina d’Etiopia
andò da Salomone per ascoltare la saggezza di Salomone ed ella vide molta
saggezza e molti segni, così Ol’ga, questa principessa benedetta, cercava la
saggezza divina: quella cercava la saggezza umana, questa quella divina.
Perché «quelli che cercano la saggezza la troveranno» [cfr. Prv 8,17]. «La
Sapienza grida per le strade, nelle piazze fa udir la voce; dall’alto delle mura
essa chiama, pronuncia i suoi detti alle porte della città: Fino a quando, o
inesperti, amerete l’inesperienza...» [Prv 1,20-22]. Ol’ga, donna benedetta,
cercava fin dall’infanzia in questo mondo la saggezza che è quanto di meglio
è fra tutto, ed ella trovò una perla preziosa, cioè Cristo. Perché Salomone ha
detto: «Desiderio soddisfatto è una dolcezza al cuore» [Prv 13,19] e
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ancora: «inclina il tuo cuore alla prudenza» [Prv 2,2], «Io amo coloro che
mi amano e quelli che mi cercano mi troveranno» [Prv 8,17]. Il Signore
disse: «Colui che viene a me non respingerò » [Gv 6,17].
E Ol’ga ritornò a Kiev e l’imperatore greco inviò [ambasciatori] dicendo: «Ti
ho colmata di molti doni, e tu mi dicesti: Quando sarò rientrata nella Rus’, ti
invierò molti doni: schiavi, cera, pellicce e soldati in soccorso». Ol’ga rispose
agli inviati: «Dite all’imperatore: Se tu dimorerai presso di me sulla Počajna
[fiume presso Kiev] come già io sono rimasta nel Corno d’Oro, te li darò». E
con queste parole congedò gli ambasciatori.
Ora, Ol’ga viveva con suo figlio, Svjatoslav, e la madre lo indottrinava per il
battesimo, ma egli non l’ascoltava neppure. E quando qualcuno voleva
essere battezzato, egli non lo ostacolava, ma lo scherniva. Perché «La
parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione» [1
Cor 1,18]; «Non capiscono, non vogliono intendere, avanzano nelle
tenebre» [Sal 82,5] e non vedono la gloria del Signore: i loro cuori sono
induriti, le loro orecchie provano pena a udire e i loro occhi a vedere.
Salomone disse: «Gli atti impuri sono lontani dall’intelletto» e «Poiché vi ho
chiamato e avete rifiutato, ho steso la mano e nessuno ci ha fatto
attenzione; avete trascurato ogni mio consiglio e la mia esortazione non
avete accolto... Poiché hanno odiato la sapienza e non hanno amato il
timore del Signore; non hanno accettato il mio consiglio e hanno
disprezzato tutte le mie esortazioni» [Prv 1,24-30]. Anche Ol’ga diceva
spesso: «Figlio mio, io ho conosciuto la saggezza [o Iddio] e ne gioisco; se
tu la conoscessi, anche tu ne gioiresti». Egli non badava a ciò e diceva: «Se
accogliessi io, da solo, un’altra fede, la mia družina riderebbe di me». Ella
gli rispondeva: «Se tu ti fai battezzare, tutti ti seguiranno», ma egli non
ascoltava sua madre e perseverava nei costumi pagani, non sapendo che
colui che non ubbidisce a sua madre cade in sventura, come sta scritto:
«Chiunque maltratta suo padre o sua madre dovrà essere messo a morte».
[Lv 20,9; cfr. Es 21,17]. E lui si arrabbiò con sua madre, perché Salomone
disse: «Chi corregge il beffardo se ne attira il disprezzo, chi rimprovera
l’empio se ne attira l’insulto. Non rimproverare il beffardo per non farti
odiare» [Prv 9,7-8].
Ma Ol’ga amava suo figlio Svjatoslav e diceva: «Sia fatta la volontà di Dio;
se Dio vorrà dare la grazia alla mia stirpe e della terra di Rus’, ponga nei
loro cuori il desiderio di convertirsi a Dio, quel desiderio di cui anche a me
fece dono». E, dicendo ciò, pregava per suo figlio e per la sua gente tutti i
giorni e tutte le notti, allevando suo figlio fino alla maggiore età.
XXXII. Principato di Svjatoslav e guerre (965-967)
Anni 6464, 6465, 6466, 6467, 6468, 6469, 6470, 6471 [956-963]
Nell’anno 6472 [964], il principe Svjatoslav, cresciuto e diventato adulto, si
mise a radunare molti soldati valorosi e arditi, egli stesso infatti era
ardimentoso e molte guerre combatteva procedendo come una pantera alla
testa del suo numeroso esercito; egli non usava né carri, né paiolo, né
lessava la carne, ma affettava sottilmente carne di cavallo, o di selvaggina o
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di bue, e la passava sulle braci. Non aveva tenda, ma stendeva la
gualdrappa e metteva la sella sotto la testa. Lo stesso facevano tutti i suoi
guerrieri. E inviava [ambasciatori] nelle terre confinanti per dire: «Marcerò
contro di voi». Ed egli andò sul fiume Okà e sulla Volga, e attaccò i Vjatiči e
chiese loro: «A chi pagate il tributo?». Essi risposero: «Ai Chazari diamo
uno scellino ad aratro».
Nell’anno 6473 [965], Svjatoslav marciò contro i Chazari. Appreso ciò, i
Chazari uscirono incontro guidati dal loro principe, il Khagan, e si
scontrarono e combatterono e Svjatoslav vinse i Chazari e s’’impossessò
della loro città di Bela Veža [Belgorod]. E vinse gli Jasi [Osseti] e i Kasoghi e
ritornò a Kiev.
Nell’anno 6473 [965], la principessa Ol’ga, nel suo principato, obbligò ogni
nuovo sposo a pagare al suo principe una martora nera, e autorizzò i boiari
ad aumentare la stessa imposta sulla gente dei loro domini.
Nell’anno 6474 [966], Svjatoslav vinse i Vjatiči e impose loro tributo.
Nell’anno 6475 [967], Svjatoslav andò al di là del Danubio contro i Bulgari.
E si combatterono, gli uni e gli altri schierati, e Svjatoslav vinse i Bulgari e
conquistò ottanta città e si insediò a Perejaslavec, e regnò riscuotendo il
tributo dai Greci.
XXXIII. I Peceneghi assediano Kiev (968)
Nell’anno 6476 [968], i Peceneghi apparvero per la prima volta nella Rus’,
mentre Svjatoslav era a Perejaslavec, e Ol’ga si rinserrò con i suoi nipoti,
Jaropolk e Oleg e Vladimir, dentro la città di Kiev. E i Peceneghi assediarono
con forze possenti la città, cingendola tutt’intorno con una moltitudine
innumerevole. Non si poteva uscire dalla città, né inviare messaggi; gli
abitanti erano stremati dalla fame e dalla sete. Gli abitanti raccolti sull’altra
riva del Dnepr si adunarono nelle imbarcazioni e restavano su quella riva,
perché non era possibile a nessuno di loro andare a Kiev, né a qualcuno
della città comunicare con loro. E la gente si affliggeva e diceva: «Non c’è
nessuno che possa raggiungere l’altra riva per dire loro: Se non sarete
domani mattina sotto la città, ci arrenderemo ai Peceneghi». E un giovane
disse: «Andrò io». E gli dissero: «Vai!». Egli uscì dunque dalla città con una
briglia in mano, e prese a correre fra i Peceneghi gridando: «Nessuno ha
visto il mio cavallo?» poiché egli conosceva la lingua dei Peceneghi ed essi
lo scambiarono per uno dei loro. Ed egli si avvicinò al fiume, gettò i suoi
abiti, si tuffò nel Dnepr e si mise a nuotare. I Peceneghi vedendo ciò lo
inseguirono e scoccarono su di lui le loro frecce, ma non poterono fargli
nulla. Quelli dell’altra riva, scorgendolo gli andarono incontro con le
imbarcazioni, lo issarono a bordo e lo condussero dalla družina. Ed egli riferì
loro «Se entro domani mattina non arriverete sotto la città, la gente si
arrenderà ai Peceneghi».
Il loro voivoda, di nome Pretič, disse: «All’alba verremo con le barche e,
dopo aver prelevato la principessa e i giovani principi e anche il loro seguito,
torneremo su questa riva. Se non facciamo così, Svjatoslav si vendicherà
facendoci morire».
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L’indomani alle prime luci dell’alba, essi montarono sulle imbarcazioni,
dettero fiato alle trombe e la gente in città cominciò a gridare. I Peceneghi,
pensando che il principe fosse ritornato, fuggirono senza ordine dalla città. E
Ol’ga andò con i suoi nipoti e il seguito verso le imbarcazioni. Vedendo ciò, il
principe dei Peceneghi tornò da solo indietro verso il voivoda Pretič e disse
«Chi è arrivato?». E l’altro gli rispose «Gli abitanti dell’altra sponda». E il
principe dei Peceneghi domandò: «Sei forse tu il principe?». E l’altro disse
«Io sono del suo seguito e sono arrivato con l’avanguardia, dietro a me sta
giungendo un esercito innumerevole guidato dal principe». Egli disse questo
per spaventarlo. E il principe dei Peceneghi implorò Pretič: «Sii mio amico!».
Ed egli rispose: «Così sia!». E si dettero la mano. Il principe dei Peceneghi
donò a Pretič un cavallo, una sciabola e delle frecce, quegli ricambiò con
una corazza, uno scudo e una spada. I Peceneghi si allontanarono dalla città
e non potevano [o: osavano] far abbeverare i cavalli nel fiume Lybed’. E gli
abitanti di Kiev inviarono [ambasciatori] a Svjatoslav per dire «Principe, tu
cerchi terre straniere e regno, ma trascuri la tua; per poco i Peceneghi non
ci hanno catturato insieme a tua madre e ai tuoi figli. Se tu non vieni e non
ci difendi, ci invaderanno ancora. Non hai forse pietà della patria dei tuoi
padri e di tua vecchia madre e dei tuoi figli?». Sentendo ciò, Svjatoslav
montò subito a cavallo con la sua družina e tornò a Kiev, abbracciò sua
madre e i suoi figli, deplorando ciò che a loro era accaduto con i Peceneghi.
Quindi radunò il suo esercito e respinse i Peceneghi nelle steppe e la pace
ritornò.
XXXIV. Morte di Ol’ga (969)
Nell’anno 6477 [969]. Svjatoslav disse a sua madre e ai suoi bojari: «Non
mi piace vivere a Kiev, voglio vivere a Perejaslavec, sul Danubio, perché là è
il centro delle mie terre, perché là tutte le ricchezze vi arrivano: dai Greci
l’oro, la seta, il lino, la frutta e vini d’ogni specie; dai Cechi e dagli Ugri
l’argento e i cavalli; dalla Rus’ pellicce, cera, miele e schiavi». Gli disse
Ol’ga: «Tu vedi che sono malata, perché vuoi andare lontano da me?»,
poiché ella già aveva cattiva salute. E gli disse ancora: «Dopo avermi dato
sepoltura, andrai ovunque vorrai». Tre giorni dopo Ol’ga morì. Suo figlio, i
suoi nipoti e tutto il popolo la piansero con gran dolore. La trasportarono via
e la interrarono in campo aperto [ossia in un kurgan]. Ol’ga aveva dato
ordine che non si facesse la trizna, poiché aveva il suo sacerdote e fu lui a
seppellire la beata Ol’ga.
Ella fu la precorritrice del cristianesimo nella Rus’, come la stella mattutina
precorre il sole, come l’alba precorre la luce. Come la luna splende nella
notte, ella brillò in mezzo agli uomini infedeli, come una perla in mezzo al
fango, poiché gli uomini erano nel fango dei loro peccati, non erano ancora
purificati dal santo battesimo. Infatti ella ricevette il lavacro nel sacro fonte
battesimale e, spogliatasi della peccaminosa veste dell’antico Adamo, si era
rivestita di quella del nuovo Adamo, che è Cristo. Noi le diciamo:
«Rallègrati, rivelazione russa di Dio, principio della nostra riconciliazione».
Ella è la prima fra i Russi a entrare nel regno dei cieli. I figli della Rus’ la
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inneggiano come loro guida, perché dopo la morte, pregò Dio per la Rus’.
Ma l’anima dei giusti non muore [cfr. Sap 3,1], come ha detto Salomone
«Quando comandano i giusti il popolo gioisce» [Prv 29,2], perché il suo
ricordo è immortale [cfr. Sap 3,4], dura in Dio e negli uomini. Qui tutti gli
uomini la glorificano, perché vedono il suo corpo giacere incorrotto da molti
anni. Infatti il profeta disse: «Chi mi onorerà anche io lo onorerò» [1 Sam
2,30]. Anche Davide disse di costoro: «Il giusto sarà sempre ricordato, non
temerà annunzio di sventura, saldo è il suo cuore, confida nel Signore,
sicuro è il suo cuore, non teme» [Sal 112 (111),6-8]. Salomone disse
infatti: «I giusti vivono per sempre, la loro ricompensa è presso il Signore e
l’Altissimo ha cura di loro, per questo riceveranno una magnifica corona
regale e un bel diadema dalla mano del Signore, perché li proteggerà con la
destra e con il braccio farà loro da scudo» [Sap 5,15-16]. Aveva egli difeso
la beata Ol’ga dal diavolo nemico e avversario.
XXXV. Guerre di Svjatoslav contro i Greci e trattato di pace (971)
Nell’anno 6478 [970], Svjatoslav insediò Jaropolk a Kiev e Oleg presso i
Drevljani. In questo tempo giunsero i cittadini di Novgorod a chiedere un
principe per sé, dicendo: «Se non venite da noi, noi ce lo cercheremo da
soli». E Svjatoslav disse loro «Qualcuno verrà da voi». Jaropolk e Oleg
rifiutarono di andare. E Dobrynja [governatore di Novgorod] disse:
«Domandate a Vladimir». Vladimir era figlio di Maluša, la dispensiera di
Ol’ga. Maluša era sorella di Dobrynja, e il loro padre era Malk di Ljubeč’ [o:
Malk Ljubečanin]. Dobrynja era zio di Vladimir. E i Novgorodiani dissero a
Svjatoslav: «Dacci Vladimir». E egli rispose loro: «Ecco a voi!». E i
Novgorodiani presero Vladimir con sé e Vladimir partì per Novgorod con suo
zio Dobrynja, intanto che Svjatoslav raggiungeva Perejaslavec.
Nell’anno 6479 [971] Svjatoslav marciò su Perejaslavec e i Bulgari si
rinserrarono in città. E i Bulgari uscirono per combattere contro Svjatoslav,
e ci fu una grande falcidia, e i Bulgari vinsero. E Svjatoslav disse ai suoi
guerrieri: «Fratelli e družina, ci tocca morire qui, combattiamo con
coraggio!». E all’imbrunire vinse Svjatoslav ed espugnò la città d’assalto
dicendo «Questa città è mia!». E inviò [ambasciatori] verso i Greci per dire:
«Voglio marciare contro di voi e conquistare la vostra città, come ho già
preso questa!». E i Greci dissero: «Noi non siamo in grado di resistere a voi,
ma ricevi da noi un tributo, per te e la tua družina. Comunicaci in quanti
siete, affinché possiamo approntarlo per ognuno di voi». I Greci dissero ciò
per ingannare i Russi, perché sono mentitori ancora oggi. E Svjatoslav
rispose loro: «Noi siamo ventimila», ma aggiungendone diecimila, poiché i
Russi erano solo in diecimila. E i Greci armarono centomila uomini contro
Svjatoslav e non pagarono il tributo. E Svjatoslav si mosse contro i Greci e
costoro avanzarono contro i Russi. A vederli i Russi si spaventarono di tanta
moltitudine, e Svjatoslav disse: «Non abbiamo dove fuggire, volenti o
nolenti, dobbiamo affrontarli. Piuttosto che gettare l’onta sulla Rus’,
moriremo qui, da morti non la disonoreremo, ma se fuggiamo vincerà il
disonore. Non volteremo la schiena, rimarremo saldi. Io andrò avanti, se la
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mia testa rotolerà, allora ognuno provveda a sé». E i guerrieri risposero:
«Dove cadrà la tua testa, là saranno anche le nostre». E si schierarono i
Russi e i Greci di fronte, e gli eserciti si scontrarono, e Svjatoslav uscì
vincitore e i Greci fuggirono. E Svjatoslav avanzò verso la capitale
guerreggiando e distruggendo le città di cui ancora oggi si alzano rovine
deserte. E l’imperatore, convocati i suoi bojari a palazzo, disse loro: «Che
cosa dobbiamo fare, dato che non possiamo opporgli resistenza?». E i bojari
gli dissero: «Inviagli dei doni, vediamo se è amante dell’oro e di stoffe
pregiate». E gli inviarono oro, tessuti preziosi e un uomo saggio a cui si
disse «Osserva il suo sguardo, il suo viso e svela il suo pensiero». Questi
prese i doni e andò da Svjatoslav. E comunicarono a Svjatoslav che erano
venuti i Greci a riverirlo. Egli rispose: «Fateli pure entrare».
Ed essi entrarono, si inchinarono davanti a lui, gli deposero dinanzi oro e
tele preziose. E Svjatoslav, senza nemmeno guardarli, disse ai suoi famigli:
«Riponeteli al sicuro». I famigli di Svjatoslav raccolsero i doni e li riposero.
Gli inviati dell’imperatore ritornarono a casa. L’imperatore chiamò i suoi
bojari, e gli inviati raccontarono: «Quando andammo da lui e offrimmo i
nostri doni, egli non li degnò di uno sguardo e ordinò che fossero riposti». E
uno fra loro disse: «Mettilo ancora alla prova, inviagli delle armi». Egli
l’ascoltò; e gli inviarono una spada e altre armi, e gliele portarono. Egli,
ricevute le armi, prese a lodarle e ad ammirarle e a ossequiare l’imperatore.
Gli inviati tornarono dall’imperatore e gli raccontarono ciò che era accaduto;
e i bojari dissero: «Quest’uomo dev’essere feroce, disprezza le ricchezze e
prende le armi. Paghiamogli il tributo». E l’imperatore mandò [ambasciatori]
per dire: «Non venire contro la città, prendi il tributo che ti aggrada»,
poiché mancava poco che giungesse a Car’grad. E gli pagarono il tributo.
Egli lo riscosse anche per gli uccisi dicendo: «Saranno le famiglie a
beneficiarne». Prese dunque molti doni e tornò a Perejaslavec con grande
gloria. Vedendo quanto il suo esercito fosse poco numeroso, egli disse fra
sé: «Se mi avessero sorpreso, avrebbero sterminato me e la mia družina»,
perché molti erano periti nella spedizione». E disse: «Andrò nella Rus’ e
radunerò un’armata più numerosa», poi inviò degli ambasciatori
all’imperatore a Dorostol [antica Dristra, oggi Silistrie], perché là si trovava
l’imperatore, per dire: «Voglio avere con te un’alleanza salda e in amicizia».
Sentito ciò, l’imperatore si rallegrò molto e gli inviò doni più considerevoli
dei precedenti.
Svjatoslav ricevette i doni, e si mise a consultarsi con la sua družina così
dicendo: «Se non concludiamo la pace con l’imperatore e lui viene a sapere
quanto siamo poco numerosi, egli ci muoverà contro e ci assedierà in
questa città, e la Rus’ è lontana e i Peceneghi sono in guerra, chi mai ci
aiuterà? Firmiamo dunque la pace con l’imperatore, ci hanno versato un
tributo e ciò ci basti; e se dovesse mancare al pagamento, allora
raccoglieremo nella Rus’ una moltitudine di guerrieri e marceremo su
Car’grad». Queste parole piacquero alla družina. E inviarono i migliori
uomini all’imperatore. E arrivarono a Dorostol e ciò fu riferito all’imperatore.
L’indomani l’imperatore li convocò e disse loro: «Che gli inviati della Rus’
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parlino». Essi dissero: «Così dice il nostro principe: Voglio una salda
amicizia con l’imperatore greco per tutti gli anni a venire». L’imperatore si
rallegrò e ordinò allo scriba di scrivere su pergamena l’intero dire di
Svjatoslav. E gli ambasciatori cominciarono a riferire il messaggio e lo scriba
a scrivere, e dissero:
«Conformemente al precedente trattato concluso tra Svjatoslav, gran
principe russo, e Svenal’d, scritto da Teofilo Sinkel [Teofilo il Segretario] per
Giovanni, soprannominato Zimisce, imperatore dei Greci, in Dorostol nel
mese di luglio, XIV indizione, anno 6479 [971].
«Io Svjatoslav, principe russo, ho giurato e confermo in questo trattato il
mio giuramento: voglio, insieme a quanti, bojari e altri, nella Rus’ sono miei
sudditi, vivere in pace e salda amicizia costante con voi Giovanni, grande
imperatore dei Greci, e Basilio e Costantino, imperatori ispirati da Dio, e con
tutte le vostre genti. Mai attaccherò la vostra terra, non adunerò guerrieri
contro essa, non istigherò altri popoli né contro di voi, né contro coloro che
sono soggetti al potere greco, né contro i Chersonesi o di altre sue città, né
contro la terra dei Bulgari. E se qualcun altro ardisse muovere contro il
vostro paese, gli sarò contro e lo combatterò. Come ho già giurato dinanzi
agli imperatori greci, e insieme a me i bojari e la Rus’ intera, osserveremo il
precedente trattato. Se noi non osserveremo quanto già enunciato, io e
coloro che sono sotto il mio potere siano maledetti dagli dèi in cui crediamo,
da Perun e da Volos, dio del bestiame, e che possiamo diventare gialli come
l’oro e si possa perire dalle nostre stesse armi. Crediate ciò per vero, per
avervi offerto ora la pergamena scritta e sigillato con il nostro sigillo».
XXXVI. Morte di Svjatoslav (972)
Svjatoslav, stipulata la pace con i Greci, partì con le imbarcazioni verso le
rapide [del Dnepr]. Il voivoda di suo padre, Svenal’d, gli disse: «Principe,
aggira le rapide a cavallo, perché i Peceneghi sono appostati alle cataratte».
Egli non lo ascoltò e continuò ad avanzare con le barche. E gli abitanti di
Perejaslavec mandarono ai Peceneghi per dire: «Ecco che Svjatoslav ritorna
nella Rus’ dopo avere avuto dai Greci molte ricchezze e innumerevoli
prigionieri, ed egli non ha che una piccola družina». Al sentire ciò, i
Peceneghi sbarrarono le cataratte. E giunse Svjatoslav alle cataratte, e non
gli fu possibile superarle e passò l’inverno a Belobevež’e. E i viveri
mancarono, e tanta era la fame che si pagava mezza grivna per una testa di
cavallo. E Svjatoslav passò l’inverno là.
Nell’anno 6480 [972], all’inizio della primavera, Svjatoslav tentò il
passaggio delle cateratte, ma Kur’ [o: Kurja], principe dei Peceneghi, lo
attaccò e ci fu una grande carneficina. E fu ucciso Svjatoslav, e gli
tagliarono la testa, e col suo cranio fecero una coppa che rivestirono d’oro e
in quella coppa bevettero. Svenal’d andò a Kiev da Jaropolk. E gli anni del
principato di Svjatoslav furono in tutto ventotto.
XXXVII. Principato di Jaropolk
Nell’anno 6481 [973], Jaropolk cominciò a regnare e Blud il suo voivoda,
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ebbe la sua fiducia.
Anno 6482 [974].
Nell’anno 6483 [975], un giorno il figlio di Svenal’d, di nome Ljut, uscì a
caccia e inseguiva gli animali nel bosco fuori della città di Kiev. Oleg lo
scorse e chiese: «Chi è quell’uomo?» e gli risposero «Il figlio di Svenal’d». E
si slanciò e lo uccise, poiché anche Oleg cacciava in quei luoghi. E di là
nacque l’odio tra Jaropolk e Oleg. E Svenal’d ripeteva sempre a Jaropolk:
«Muovi contro tuo fratello e prendi tu il suo potere», poiché egli voleva
vendicare suo figlio.
Anno 6484 [976].
Nell’anno 6485 [977], Jaropolk andò contro suo fratello Oleg nella terra dei
Drevljani e Oleg avanzò all’incontro e incrociarono le armi. Nello scontro
Jaropolk fu vincitore su Oleg. E fuggì Oleg con il suo esercito verso la città
chiamata Ovruč. Attraverso un ponte gettato sul fossato si arrivava alle
porte della città. I guerrieri, spingendosi l’un l’altro sul ponte, caddero nel
fossato; anche Oleg precipitò dal ponte nel fossato. E molti caddero dal
ponte e affogarono uomini e cavalli. E Jaropolk, entrato nella città di Oleg, si
impossessò del suo potere. E mandò a cercare suo fratello. E lo cercarono,
ma non lo trovarono. E un Drevljano disse: «L’ho visto ieri cadere dal
ponte». E Jaropolk mandò a cercare suo fratello, e si tirarono fuori cadaveri
dal fossato dalla mattina fino a mezzogiorno; e trovarono Oleg nel profondo,
sotto i cadaveri, e lo estrassero e lo posero su un tappeto. E venne Jaropolk
e pianse su di lui e disse a Svenal’d: «Guarda, ecco ciò che chiedevi!». E
seppellirono Oleg nella campagna presso la città di Ovruč, e la sua tomba
esiste ancora oggi vicino a Ovruč. E il suo potere passò a Jaropolk.
Jaropolk aveva per moglie una greca, che era stata monaca, ma che suo
padre Svjatoslav aveva presa e data a Jaropolk per la gran bellezza del suo
volto. Vladimir, che era a Novgorod, apprese che Jaropolk aveva ucciso
Oleg, e spaventato fuggì al di là del mare. Jaropolk inviò i suoi governatori a
Novgorod e regnò da solo su tutta la Rus’.
Nell’anno 6486 [978], Jaropolk vinse i Peceneghi ed impose loro tributo.
Nello stesso anno nacque Svjatoslav, figlio di Vladimir.
Nell’anno 6487 [979], Ildeja, principe dei Peceneghi, venne a trovare
Jaropolk, al quale offrì i suoi servigi. Jaropolk gli fece buona accoglienza, gli
dette qualche città e una certa estensione di paese, e lo trattò con molta
distinzione. Nello stesso anno degli ambasciatori dell’imperatore andarono
da Jaropolk, per testimoniare la pace e la buona amicizia che regnavano tra
i due principi, e gli portarono lo stesso tributo che la Grecia aveva
precedentemente pagato a suo padre e a suo nonno.
Nello stesso anno degli ambasciatori del papa vennero a trovare Jaropolk. E
verso questa epoca ancora ci furono segni nella luna, nel sole e nelle stelle;
tremendi colpi di tuono, violenti uragani con turbinii causarono disgrazia agli
uomini e alle greggi, così come agli animali dei boschi e dei campi.
XXXVIII. Ascesa e dissolutezza di Vladimir
Nell’anno 6488 [980], Vladimir venne con i Varjaghi a Novgorod e disse ai
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governatori di Jaropolk: «Andate da mio fratello e ditegli: Vladimir verrà
contro di te; preparati a combatterlo». E si stabilì a Novgorod. E inviò
[ambasciatori] a Rogvolod di Polock per dire: «Voglio prendere tua figlia in
sposa». Rogvolod chiese a sua figlia: «Vuoi sposare Vladimir?». Ella rispose:
«Non voglio scalzare il figlio di una schiava, io voglio Jaropolk» [scalzare lo
sposo era segno di sottomissione]. Rogvolod era venuto da oltremare e
regnava a Polock, mentre Tury governava a Turov, è da qui il nome dei
Turovcy. E gli inviati di Vladimir ritornarono a riferirgli quanto detto da
Rogneda, figlia di Rogvolod, principe di Polock. Allora Vladimir radunò un
numeroso esercito di Varjaghi e Slavi, Čudi e Kriviči, e andò contro
Rogvolod. In quel momento stavano per accompagnare Rogneda da
Jaropolk. E Vladimir giunse a Polock e uccise Rogvolod e i suoi due figli e
prese sua figlia, Rogneda, per sposa. E marciò contro Jaropolk. Jaropolk ne
fu sorpreso, tuttavia si accelerò a raccogliere le sue truppe, poiché era lui
stesso molto valoroso. Il suo voivoda Blud gli disse allora: «Tuo fratello
Vladimir non può che opporre un pugno di fringuelli davanti a un’aquila: non
aver dunque alcun timore e non ti dar pena di raccogliere un esercito». Ma
Blud non parlava così al suo padrone Jaropolk che per artificio e dispetto,
poiché era stato corrotto e comprato da Vladimir. E Vladimir giunse a Kiev
con un esercito numeroso, e Jaropolk non poté resistergli e si rinchiuse in
Kiev insieme ai suoi uomini e a Blud. Vladimir si accampò a Dorogožic, e
scavò un fossato fra Dorogožic e Kapič, e quel fossato si vede ancora oggi.
Vladimir inviò a Blud, il voivoda di Jaropolk, queste perfide parole: «Sarai
mio amico se uccidi mio fratello, ti prenderò come un padre e avrai da me
grandi onori. Non sono stato io a iniziare a uccidere i miei fratelli, ma lui; e
io mi sono spaventato e mi sono mosso contro di lui». E Blud rispose ai
messaggeri di Vladimir: «Ti sarò nel cuore amico fedele!». O malvagia
menzogna degli uomini! Come disse Davide: «Chi mangia il mio pane contro
di me eleva congiura» [cfr. Sal 41 (40),10], poiché questi tramava con
l’inganno contro il suo principe. E ancora: «Condannali, o Dio, soccombano
alle loro trame, per tanti loro delitti disperdili, perché a te si sono ribellati»
[Sal 5,10-11]. E Davide disse ancora: «Gli uomini sanguinari e fraudolenti:
essi non giungeranno alla metà dei loro giorni» [Sal 55 (54),24]. È un
malvagio consiglio quello di colui che incita allo spargimento di sangue.
Sono degli insensati coloro che, dopo aver ricevuto dal loro principe, o dal
loro signore, onore o doni, meditano la morte del loro principe, costoro sono
peggiori del demonio. Così è Blud, che tradì il suo principe dopo aver
ricevuto da lui molti onori, ed è colpevole del sangue versato. Dunque, Blud
si era rinchiuso insieme a Jaropolk che ingannava, e inviava spesso
messaggeri a Vladimir, per incitarlo ad attaccare la città, poiché voleva lui
stesso uccidere Jaropolk, ma gli era impossibile ucciderlo per la presenza
degli abitanti. Blud, quindi, non potendo ucciderlo, usò l’inganno: gli
consigliò di non uscire dalla città per combattere, e disse, mentendo, a
Jaropolk: «I Kieviani inviano messaggeri a Vladimir per dire: Assalta la città
e noi ti consegneremo Jaropolk. Fuggi dunque dalla città». Jaropolk si fidò e
l’ascoltò, e fuggì e raggiunse la città di Rodnja, alla foce del Ros’, e vi si
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rinchiuse. Intanto Vladimir venne a Kiev. E assediarono Jaropolk a Rodnja, e
la fame fu terribile in questa città, tanto che ancora oggi esiste questo modo
di dire: «Sventura come quella di Rodnja». E Blud disse a Jaropolk: «Hai
visto com’è numeroso l’esercito di tuo fratello? Non possiamo vincerlo,
concludi la pace con tuo fratello». Gli diceva questo tramando contro di lui.
E Jaropolk disse «Sia così!». E Blud inviò [messaggeri] a Vladimir per dire:
«Ecco che sta per compiersi il tuo desiderio. Ti porterò Jaropolk, tu preparati
ad ucciderlo». Vladimir, sentendo ciò, uscì nel cortile del terem paterno, di
cui s’è già detto, e attese con la sua družina. E Blud disse a Jaropolk: «Va’
da tuo fratello e digli: Quello che vorrai darmi, io l’accetterò». Allora
Jaropolk uscì e Varjažko gli disse: «Non andare, principe, ti uccideranno;
salvati presso i Peceneghi e ritorna con un esercito», ma egli non l’ascoltò. E
Jaropolk andò da Vladimir. Come varcò la soglia, due varjaghi gli trafissero il
petto con le loro spade. Blud chiuse le porte per impedire ai suoi di entrare.
Così fu ucciso Jaropolk. Varjažko, vedendo che Jaropolk era stato ucciso,
fuggì dal palazzo presso i Peceneghi, e molto combatté coi Peceneghi contro
Vladimir e questi faticò molto a farlo ritornare, dopo avergli dato
giuramento.
Intanto Vladimir giaceva con la moglie di suo fratello, la greca, che restò
incinta e da lei nacque Svjatopolk. Ma una peccaminosa radice produce
frutti cattivi, poiché sua madre era monaca e Vladimir aveva rapporti con lei
fuori del matrimonio. Era [Svjatopolk] figlio di adulteri e perciò suo padre
non lo amava, perché era generato da due padri, da Jaropolk e da Vladimir.
I Varjaghi dissero poi a Vladimir: «Questa città [Kiev] ci appartiene, noi
l’abbiamo conquistata, vogliamo il suo tributo, due grivny a persona». E
Vladimir disse loro: «Attendete un mese, che si raccolgano i denari per voi
[o: che c’è la raccolta delle pelli di martora]». E attesero un mese, e non gli
diedero nulla. E i Varjaghi dissero: «Ci hai ingannati; mostraci il cammino
verso i Greci». Rispose loro: «Andate!». E scelse fra loro alcuni uomini
buoni, saggi e coraggiosi e assegnò loro le città; gli altri andarono verso
Car’grad, presso i Greci. Ed inviò dinanzi a loro degli ambasciatori per dire
all’imperatore: «Ecco che i Varjaghi vengono da te, non li tenere in città
perché ti arrecheranno dei danni in città, come hanno già fatto qui;
disperdili un po’ ovunque e non lasciare che uno solo ritorni qui».
E Vladimir cominciò a regnare da solo a Kiev, e fece erigere idoli sulla
montagna, fuori dalla corte del terem. La statua al dio Perun era di legno,
ma la sua testa era d’argento e la sua barba [o: baffi] d’oro, e c’erano
Chors, Daž’bog, Stribog, e Simar’gl e Mokoš. E chiamandoli dèi, si offrivano
loro sacrifici; e si conducevano i propri figli e figlie per sacrificarli ai demoni.
Così profanavano la terra con i loro sacrifici. E la terra di Rus’ e questa
montagna furono coperte di sangue. Ma poiché Dio misericordioso non vuole
la morte dei peccatori [cfr. 1 Tm 2,4], su quella montagna è oggi la chiesa
di san Basilio, di cui fra breve parleremo.
Ma ritorniamo al nostro racconto.
Vladimir insediò suo zio Dobrynja a Novgorod; Dobrynja arrivò a Novgorod
ed eresse un idolo a Perun sopra il fiume Volchov e i novgorodiani gli
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offrivano sacrifici come a un dio.
Intanto Vladimir si era interamente abbandonato alla lussuria e fra le mogli
ebbe: Rogneda, che si stabilì a Lybed’, dov’è ora il villaggio Predslavino, e da
cui ebbe quattro figli Izjaslav, Mstislav, Jaroslav, Vsevolod e due figlie; dalla
greca ebbe Svjatopolk; dalla ceca Vyšeslav; da un’altra [Malfrida, anche lei
ceca] Svjatoslav e Mstislav; dalla bulgara Boris e Gleb. E aveva trecento
concubine a Vyšgorod, e trecento a Belgorod, e duecento a Berestovo, nel
villaggio che ancora oggi si chiama Berestovo. Era insaziabile nella
concupiscenza, seduceva le donne adulte e violentava le fanciulle. Era
dissoluto come a suo tempo Salomone. Infatti, è scritto [1 Re 11,3] che
presso Salomone vi erano settecento mogli e trecento concubine. Questi era
saggio, ma alla fine si smarrì; l’altro era pagano, ma alla fine trovò la
salvezza. «Grande è il Signore, onnipotente, la sua sapienza non ha confini»
[Sal 147 (146-147),5]. Il fascino della donna è una cosa malvagia, come
disse delle donne Salomone dopo essersi pentito: «Non ascoltare le donne
perverse, perché stillano miele le sue labbra, quelle della donna dissoluta;
quello che delizia per un momento la tua gola e in seguito si rileva più
amaro del fiele. Coloro che le avvicinano, dopo la morte conoscono l’inferno.
Ella non percorre il sentiero della vita, ma nell’errore e nella stoltezza» [cfr.
Prv 5, 3 ss.]. Questo Salomone della donna dissoluta, ed ecco ciò che disse
della donna virtuosa: «Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida
il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Essa gli dà felicità e
non dispiacere per tutti i giorni della sua vita. Si procura lana e lino e li
lavora volentieri con le mani. Ella è simile alle navi di un mercante, fa venire
da lontano le provviste. Si alza quando ancora è notte e prepara il cibo alla
sua famiglia e dà ordini alle sue domestiche. Pensa ad un campo e lo
compra e con il frutto delle sue mani pianta una vigna. Si cinge con energia
i fianchi e spiega la forza delle sue braccia. È soddisfatta, perché il suo
traffico va bene, neppure di notte si spegne la sua lucerna. Stende la sua
mano alla conocchia e mena il fuso con le dita. Apre le sue mani al misero,
stende la mano al povero. Non teme la neve per la sua famiglia, perché tutti
i suoi di casa hanno doppia veste. Si fa delle coperte, di lino e di porpora
sono le sue vesti. Suo marito è stimato alle porte della città dove siede con
gli anziani del paese. Confeziona tele di lino e le vende e fornisce cinture al
mercante. Forza e decoro sono il suo vestito e se la ride dell’avvenire. Apre
la bocca con saggezza e sulla sua lingua c’è dottrina di bontà. [...] I suoi
figli sorgono a proclamarla beata e suo marito a farne l’elogio [...] Fallace è
la grazia e vana è la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Datele
del frutto delle sue mani e le sue stesse opere la lodino alle porte della
città» [Prv 31,10-31].
Nell’anno 6489 [981], Vladimir andò contro i Ljachi e conquistò le loro città
di Peremyšl’, Červen e molte altre città che sono ancora oggi sottomesse
alla Rus’. In questo stesso anno sottomise i Vjatiči, e impose loro un tributo
per ogni aratro, così come aveva fatto suo padre.
Nell’anno 6490 [982], i Vjatiči insorsero e Vladimir marciò contro di loro e li
vinse un seconda volta.
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XXXIX. Storia del varjago cristiano (983)
Nell’anno 6491 [983], Vladimir marciò contro gli Jatvighi, e vinse gli Jatvighi
e s’impossessò della loro terra. E ritornò a Kiev e offrì dei sacrifici agli idoli
insieme al suo popolo, e gli anziani e i bojari dissero: «Tiriamo a sorte un
giovine e una fanciulla, e a chi toccherà sarà immolato agli dèi». C’era un
varjago la cui casa era là dove ora si erge la chiesa della Santa Madre di
Dio, che fu fondata da Vladimir. Questo varjago era venuto dalla Grecia, era
segretamente cristiano e aveva un figlio bello di viso e di animo. La sorte
cadde su di lui, per l’invidia del demonio. Infatti, il diavolo, che su tutti
aveva potere, non lo sopportava, perché gli era come una spina nel fianco e
si adoperò per farlo morire e gli aizzò contro il popolo. Degli inviati
andarono [dal padre] e gli dissero: «La sorte ha designato tuo figlio, gli dèi
lo reclamano, noi dobbiamo sacrificarlo agli dèi». E il varjago rispose:
«Questi non sono affatto degli dèi, non sono che legno che oggi c’è e
domani marcirà, infatti non mangiano, non bevono, non parlano. È la mano
dell’uomo che li ha scolpiti nel legno con accetta e coltello. Non c’è che un
Dio solo, che è adorato dai Greci e a lui si prosternano; egli ha creato il cielo
e la terra e le stelle e il sole e la luna e l’uomo e gli ha concesso di vivere
sulla terra. Invece questi dèi che cosa hanno fatto? essi stessi sono stati
creati. Non consegnerò mio figlio ai demoni». Gli inviati ritornarono e
riferirono ai pagani. Costoro presero le armi, andarono da lui e distrussero
la sua casa. Egli stava con suo figlio all’ingresso. Gli dissero «Dacci tuo
figlio, affinché lo si offra agli dèi». Egli rispose: «Se sono degli dèi, che
venga uno di loro a prendere mio figlio. Voi, perché sacrificate agli dèi?». E
con grandi grida [i pagani] spaccarono il pavimento sotto di loro e li uccisero
entrambi [La casa era su palafitte, come tutte le abitazioni lacustri, ma in
altra traduzione si dice: ruppero la veranda su cui erano affacciati.].
Nessuno sa dove furono seppelliti. Ma questa gente era ignorante e pagana.
Il diavolo gioì di questo evento, non sapendo quanto la sua rovina fosse
vicina: si era già sforzato di distruggere la stirpe cristiana, ma in altre
regioni era stato scacciato dalla santa croce. Il maledetto pensava: «Questa
sarà la mia dimora, perché qui non hanno insegnato gli apostoli, né
profetizzato i profeti». Non sapeva che il profeta disse: «E a Non-miopopolo dirò: Popolo mio» [Os 2,25]. E degli Apostoli è scritto: «Per tutta la
terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola» [Sal 19
(18),5, ripreso in Rm 10,18]. Sebbene gli apostoli non siano stati qui di
persona, tuttavia i loro insegnamenti risuonano come trombe nelle chiese
dell’universo; è con la loro dottrina, è con i loro insegnamenti che trionfiamo
sul nemico immondo e lo schiacciamo sotto i piedi, così come lo
schiacciarono questi due antenati, che ricevettero la corona celeste insieme
ai santi martiri e ai giusti.
XL. Guerre di Vladimir e dispute religiose (984)
Nell’anno 6492 [984], Vladimir andò contro i Radimiči e aveva per voivoda
Volčij Chvost [ossia Coda di Lupo]. Vladimir mandò Volčij Chvost davanti a
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tutti e incontrò i Radimiči sul fiume Piscan’ e Volčij Chvost sconfisse i
Radimiči. Per questo i Russi si burlano dei Radimiči, dicendo «I Piščani
fuggono dinanzi a una coda di lupo». Erano i Radimiči della stirpe dei Ljachi,
che migrati in queste regioni si stanziarono, e pagano il tributo alla Rus’, e
ancora oggi le sono sottomessi.
Nell’anno 6493 [985], Vladimir partì contro i Bulgari con suo zio Dobrynja;
essi andarono con le imbarcazioni, mentre i Torki [antichi Albanesi, spesso
tradotto Turchi] Vladimir li fece andare a cavallo lungo la riva, e furono vinti
i Bulgari. Dobrynja disse a Vladimir: «Ho guardato i prigionieri e tutti
calzano stivali; costoro non ci pagheranno il tributo, andiamo a cercare
coloro che calzano i lapti [calzature di corteccia di betulla o tiglio]». E
Vladimir concluse la pace con i Bulgari e le due parti giurarono e i Bulgari
dissero: «La pace sarà rotta tra noi quando la pietra galleggerà e il luppolo
affonderà». E Vladimir ritornò a Kiev.
Nell’anno 6494 [986], vennero da lui i Bulgari di fede islamica dicendo:
«Principe, tu sei saggio e assennato, ma non hai religione. Convertiti alla
nostra religione e prosternati a Maometto». E Vladimir disse: «Qual è la
vostra fede?». Essi dissero «Noi crediamo in Dio, e Maometto ci insegna a
circoncidere i membri celati, a non mangiare carne di maiale, a non bere
vino, così dopo la morte potremo fornicare con le donne. Maometto ha
assegnato a ciascun uomo settanta belle donne, e per sé ne ha scelta una
bellissima che riassume la bellezza di tutte le altre, ed ella diventerà sua
moglie. E, gli dissero, ci si può abbandonare alla dissolutezza. Chi è povero
in questo mondo lo sarà anche nell’altro e se, viceversa, è ricco qui, anche
nell’aldilà lo sarà». E i Bulgari dissero una moltitudine di altre menzogne che
il pudore impedisce di riportare [o: per dissimulargli la turpitudine della loro
credenza]. Vladimir li ascoltò, perché amava le donne e la dissolutezza, li
ascoltava con piacere, ma non gli piacevano la circoncisione e l’astinenza
dalla carne di maiale e, tanto meno, dal vino. Disse: «Bere è un diletto per i
Russi, non possiamo rinunciarvi».
Poi vennero i Nemc’y [ossia stranieri, qui nell’accezione di cattolici; in
seguito designarono i Germani] da Roma dicendo: «Noi siamo venuti perché
inviati dal Papa». E parlarono così: «Il Papa ti manda a dire: La tua terra è
come la nostra, ma la nostra fede è luce, adoriamo il Dio che ha creato il
cielo e la terra e le stelle e la luna e tutte le creature, mentre i vostri dèi
sono di legno». Vladimir disse: «Quali sono i vostri precetti?». «Digiunare
secondo le nostre forze: «Sia che mangiate, sia che beviate [...], fate tutto
per la gloria di Dio» [1 Cor 10,31], come scrisse il nostro maestro Paolo».
Vladimir rispose ai Nemc’y: «Andatevene, perché i nostri padri non vi hanno
creduto».
Avendo saputo ciò, degli Ebrei di Chazaria vennero e dissero: «Abbiamo
sentito dire che sono venuti da te i Bulgari e i Cristiani per illustrare la loro
fede. I Cristiani venerano colui che noi abbiamo crocefisso; noi crediamo
nell’unico Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe». E Vladimir disse: «Qual è
la vostra legge?». Essi risposero: «La circoncisione, l’astinenza della carne
di maiale e di coniglio, il rispetto del Sabato». Egli disse loro: «E dov’è la
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vostra terra?». Essi replicarono: «A Gerusalemme». Egli disse loro: «Vi
abitate là?». Essi risposero: «Dio si è adirato con i nostri padri e ci ha
dispersi nel mondo a causa dei nostri peccati, e la nostra terra è stata
consegnata ai Cristiani». Egli disse: «E come pensate di istruire gli altri se
voi stessi siete stati scacciati da Dio e dispersi? Se Dio amasse voi e la
vostra legge, non sareste dispersi in paesi stranieri; volete che questa
sventura ricada anche qui?».
In seguito i Greci inviarono un filosofo a Vladimir per dire: «Abbiamo saputo
che sono venuti i Bulgari per invitarti ad accettare la loro fede, ma la loro
fede offende il cielo e la terra, infatti essi sono maledetti più delle altre
genti, perché simili agli abitanti di Sodoma e di Gomorra, contro i quali Dio
lanciò pietre di fuoco, le sommerse e le distrusse [Gn 19,24-25]. Anche a
quelli è riservata la stessa fine quando Dio verrà a giudicare la terra e ad
annientare coloro che hanno compiuto ingiustizie e abomini, perché si
lavano le parti celate e si lavano con quell’acqua, e se la versano in bocca e
se la spruzzano sulla barba, ricordando Maometto. Anche le loro donne
compiono queste cose infami e anche peggiori [decretare gli amplessi fra
maschi e femmine]». Quando Vladimir sentì ciò, sputò per terra dicendo:
«Che cosa immonda!». Il filosofo disse: «Abbiamo sentito che anche da
Roma sono venuti per insegnarti la loro fede. Ma la loro fede differisce poco
dalla nostra. Nel servizio divino essi si servono di pane azzimo, cioè di ostie,
che Dio non ha concesso, poiché ordinò di servirsi del pane e ne dette agli
Apostoli dicendo: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo spezzato per
voi” [cfr. Mt 26,26]. E analogamente prese il calice e disse: “Questo è il mio
sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati” [Mt
26,28]. Ma essi non fanno così e alterano la tradizione». Vladimir disse loro:
«Gli Ebrei vennero da me e mi dissero: “I Nemc’y e i Greci credono in colui
che noi abbiamo crocefisso”». Il filosofo rispose: «In verità in lui noi
crediamo, perché i loro profeti predissero la nascita di Dio, e altri la sua
crocifissione e sepoltura, e la sua resurrezione il terzo giorno e l’ascensione
al cielo. Essi [Ebrei] hanno ucciso questi profeti e altri li hanno torturati. E
quando il tempo predetto è giunto, egli discese sulla terra, fu crocifisso,
risorse e salì al cielo. Per quarantasei anni attese che essi si pentissero, ma
non si pentirono. Allora mandò contro di loro i Romani che distrussero la
loro città, e li dispersero nel mondo dove essi servono ora gli stranieri».
Vladimir domandò: «E perché Dio è disceso sulla terra, e subì un simile
martirio?» Il filosofo rispose: «Se vuoi ascoltarmi, ti racconterò dal principio
perché Dio è disceso sulla terra». Vladimir disse: «Ti ascolterò volentieri».
E il filosofo si mise a parlare così: «[Qui inizia il racconto tratto dalla Genesi]
In principio, il primo giorno, Dio creò il cielo e la terra. Il secondo giorno,
creò il firmamento che è al centro delle acque e in quel giorno le acque si
separarono: una parte salì nel firmamento e l’altra rimase al di sotto. Il
terzo giorno creò il mare e i fiumi e le sorgenti e le sementi. Il quarto giorno
creò il sole e la luna e le stelle e adornò Dio il cielo. Vedendo ciò, il primo
degli angeli, il capo del coro degli angeli, rifletté tra sé e disse: “Scenderò
sulla terra, la conquisterò e sarò simile a Dio e stabilirò il mio trono sulle
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nuvole a settentrione” [cfr. Is 14,14-15] E all’istante precipitò dal cielo e
dopo di lui caddero coloro che gli erano sottoposti, il decimo coro angelico.
Il nome di questo avversario era Satana, e al suo posto Dio mise Michele.
Satana, sbagliando nelle sue intenzioni, perse la gloria primitiva e si chiamò
nemico di Dio. In seguito il quinto giorno Dio creò le balene e i pesci e i
rettili e gli uccelli alati. Il sesto giorno Dio creò le fiere e gli animali e i rettili
terrestri, fece anche l’uomo. Il settimo giorno era sabato e Dio si riposò
dalle sue fatiche. E Dio fece il paradiso a Oriente nell’Eden e qui mise l’uomo
che aveva plasmato e gli permise di mangiare i frutti di qualunque albero,
eccetto uno solo, quello della conoscenza del bene e del male, di questo non
doveva toccarne. E Adamo viveva nel paradiso, contemplava Dio e lo
glorificava e si univa agli angeli quando rendevano gloria a Dio. E Dio inviò il
sonno ad Adamo e Adamo si addormentò e Dio tolse una costola ad Adamo
e creò la donna, e la condusse ad Adamo e Adamo disse: “Essa è carne
dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna”. E dette
Adamo i nomi agli animali e agli uccelli, alle fiere e ai rettili, e anche agli
angeli dette un nome [o viceversa: e un angelo dette nome a lui e alla sua
donna]. E Dio sottomise ad Adamo le fiere e gli animali ed egli li comandava
ed essi gli ubbidivano. Il diavolo, vedendo come Dio onorava l’uomo, ne fu
invidioso e si tramutò in serpente ed andò da Eva e le disse “Perché non
mangiate dall’albero che è al centro del giardino?”. La donna rispose al
serpente: “Dio ha detto: Non ne dovete mangiare, altrimenti morirete”. E il
serpente disse alla donna: “Voi non morirete; Dio sa che il giorno che ne
mangerete si apriranno i vostri occhi e diventerete come Dio, conoscendo il
bene e il male”. E la donna vide quanto quell’albero fosse buono da
mangiare e prese un frutto e lo mangiò, poi ne diede anche al marito, e
anch’egli ne mangiò e si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di
essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. E Dio disse:
“Maledetta sia la terra per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i
giorni della tua vita”. E aggiunse Dio: «Quando stenderete la mano e
coglierete dall’albero di vita, vivrete in eterno”. E il Signore Iddio scacciò
Adamo del paradiso, ed egli stette di fronte al paradiso piangendo e
lavorando la terra. E Satana si rallegrò della maledizione della terra. Ecco
questa è la nostra prima rovina perché portò la punizione della perdita della
vita angelica.
«Adamo generò Caino e Abele. Caino era contadino e Abele pastore. E Caino
offrì i frutti della terra a Dio e Dio non accettò il suo dono, Abele offrì il
primo agnello nato e Dio accettò il dono di Abele. Satana penetrò nell’animo
di Caino e lo incitò a uccidere Abele. E Caino disse ad Abele “Andiamo in
campagna” e Abele ubbidì. E quando essi furono fuori, Caino aggredì Abele
e voleva ucciderlo ma non sapeva come, e Satana gli suggerì: “Prendi una
pietra e colpiscilo”. Prese una pietra e lo uccise. E Dio disse a Caino: “Dov’è
tuo fratello?”. Egli rispose: “Sono forse il guardiano di mio fratello?”. E Dio
disse: “La voce del sangue di tuo fratello grida a me; tu gemerai e tremerai
fino alla fine dei tuoi giorni”. Adamo ed Eva piangevano e Satana gioiva
dicendo: “Ecco, colui che Dio elargiva onori, io l’ho fatto allontanare da Dio,
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e ora l’ho ridotto in lacrime”. E piansero Abele per trent’anni, e il suo corpo
non si decomponeva ed essi non sapevano seppellirlo. E per volere di Dio
giunsero due uccelli, uno di essi morì e l’altro scavò una fossa, vi mise
l’uccello morto e lo seppellì [l’episodio non è nella Genesi]. Vedendo ciò
Adamo ed Eva scavarono una fossa, vi depositarono Abele e lo seppellirono
piangendo. Adamo, all’età di 230 anni, generò Set e due figlie; una fu presa
da Caino, l’altra da Set, e da queste unioni cominciarono a proliferare gli
esseri umani e a moltiplicarsi sulla terra. Ed essi non conoscevano il loro
creatore, si abbandonavano alla lussuria e a tutti i crimini, all’omicidio,
all’odio [o: invidia] e vivevano come animali.
«Fu Noè l’unico giusto di questa stirpe ed egli generò tre figli, Sem, Cam e
Jafet. E Dio disse: “Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo” e ancora:
“Sterminerò dalla terra l’uomo e gli animali”. E il Signore Dio disse a Noè:
“Costruisci un’arca lunga trecento cubiti, cinquanta di larghezza per trenta
di altezza”, perché gli Egizi chiamano cubito il sažen. Cento anni impiegò
Noè per costruire l’arca e annunciò Noè che ci sarebbe stato un diluvio e lo
schernirono. Quando l’arca fu pronta, Dio disse a Noè: “Entrerai nell’arca tu
e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli; porta con te una
coppia di ogni specie animale e di ogni tipo di uccello e di ogni sorta di
rettile”. E Noè portò nell’arca quanto Dio gli aveva ordinato. E Dio mandò il
diluvio sulla terra, e ogni cosa vivente fu inghiottita, ma l’arca galleggiava
sull’acqua. E quando le acque si ritirarono, uscì Noè e uscirono i suoi figli e
sua moglie e le donne dei suoi figli; ed è da costoro che si popolò la terra.
Ci furono molti uomini, e tutti parlavano la stessa lingua, e si dissero l’un
l’altro: “Costruiamo una torre la cui cima tocchi il cielo”. E si misero a
costruirla e il loro capo era Nimrod e Dio disse: “Ecco che gli uomini si sono
moltiplicati e i loro pensieri sono di vanità”. E discese Dio e divise la loro
lingua in settantadue lingue. Soltanto la lingua [il popolo] di Adamo non fu
allontanata dall’Eden poiché lui solo non si era unito alla loro stoltezza, così
dicendo “Se Dio avesse detto agli uomini di costruire una torre fino al cielo,
egli stesso l’avrebbe eretta con una sua parola, come creò il cielo e la terra
e tutte le cose visibili e invisibili”. È per questo che la sua lingua non fu
cambiata, e da essa discendono gli Ebrei [questo passo non è nella Genesi].
Si divisero [gli altri uomini] in settantuno nazioni e si dispersero sulla terra;
e ogni popolo assunse costumi particolari per istigazione del diavolo:
sacrificarono agli alberi, alle fonti, ai fiumi e non riconoscevano Dio. Ora, da
Adamo fino al diluvio sono 2242 anni e dal diluvio alla divisione delle lingue
529 anni. In seguito, il diavolo indusse gli uomini a più grandi errori ed essi
si misero a costruire idoli, alcuni di legno, altri di bronzo, altri di marmo,
d’oro o d’argento. Ed essi li adoravano e portavano dinanzi ad essi i loro figli
e le loro figlie e li sacrificavano e tutta la terra fu profanata e Serug
cominciò a creare gli idoli, e li creava in onore dei morti: imperatori passati,
eroi, maghi, donne perverse. Questo Serug generò Terach e Terach generò
tre figli Abramo, Nacor e Aran. Terach faceva idoli avendolo imparato da suo
padre. Abramo, raggiunta all’età della ragione, guardò il cielo e vide il sole e
la luna e le stelle, e disse: “In verità, colui che ha creato il cielo è Dio, e mio
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padre inganna gli uomini”. E Abramo disse: “Metterò a dura prova gli dèi di
mio padre”, e disse: “Padre, perché inganno gli uomini fabbricando idoli di
legno? È Dio che ha creato il cielo e la terra”. E Abramo prese del fuoco e
bruciò gli idoli nel tempio. Vedendo ciò, Aran, fratello di Abramo, che
venerava gli idoli, tentò di portarli fuori e là fu consumato dal fuoco e morì
prima di suo padre. Fino ad allora nessun figlio era mai morto prima del
padre, ma i padri morivano prima dei loro figli, e da allora presero a morire i
figli prima dei loro padri. Abramo piacque a Dio, che gli disse: “Vàttene dalla
casa di tuo padre verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande
popolo, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”. E Abramo
fece ciò che Dio gli aveva ordinato. E Abramo prese suo nipote Lot, poiché
Lot era suo cognato e suo nipote, avendo Abramo preso in moglie Sara, la
figlia di suo fratello Aran. E giunse nella terra di Canaan presso la Quercia, e
Dio disse ad Abramo: “Alla tua discendenza io darò questo paese”. E
Abramo si inchinò a Dio. Ora, Abramo aveva 75 anni quando lasciò Carran,
e Sara era sterile ed era afflitta per la sterilità. Sara disse ad Abramo:
“Unisciti alla mia schiava”. E Sara prese Agar e la diede a suo marito e
quando Abramo si unì con Agar, ella concepì un figlio, che Abramo chiamò
Ismaele. Abramo aveva 86 anni quando Ismaele nacque. In seguito Sara
concepì e partorì un figlio e gli diede nome Isacco. E Dio ordinò ad Abramo
di circoncidere il bambino ed egli lo circoncise l’ottavo giorno. E Dio amò
Abramo e la sua stirpe e la proclamò gente sua, e li distinse dagli altri
popoli, dicendoli popolo suo. E Isacco crebbe, e Abramo morì all’età di 175
anni e fu seppellito. Isacco aveva sessant’anni quando generò due figli,
Esaù e Giacobbe. Esaù era cattivo e Giacobbe era giusto. Giacobbe servì
sette anni suo zio per ottenere in isposa la sua figlia minore, ma Labano,
suo zio, non gliela diede, dicendo: “Sposa la maggiore” e gli diede Lia, la
maggiore. Per [avere] l’altra gli disse: “Servimi per altri sette anni”. Egli
lavorò altri sette anni per ottenere Rachele, ed ebbe per mogli le due
sorelle, dalle quali ebbe otto figli: Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Issacar,
Zàbulon, Giuseppe e Beniamino; e da due schiave ebbe Dan, Nèftali, Gad e
Asser. È da loro che vengono gli Ebrei. [Qui comincia il racconto tratto
dall’Esodo]
«Giacobbe, all’età di 130 anni, partì per l’Egitto insieme alla sua
discendenza che contava sessantacinque persone. Visse 17 anni in Egitto e
morì, e la sua stirpe lavorò per quattrocento anni. Nel mentre, si
rafforzarono gli Ebrei e si moltiplicarono, intanto che gli Egizi li opprimevano
di fatiche. In quei tempi nacque fra gli Ebrei Mosè, e gli indovini maghi
d’Egitto dissero al Faraone: “Ecco, è nato fra gli Ebrei un bambino che
annienterà l’Egitto”. Subito il Faraone ordinò di gettare i neonati degli Ebrei
nel fiume Nilo. La madre di Mosè, temendo l’uccisione del neonato, lo prese
e lo mise in un canestro e lo portò via e lo lasciò sul prato presso la riva.
Giunse allora la figlia del Faraone, Fermufi, per fare un bagno e vide il
bambino che piangeva e lo prese, e lo salvò e gli diede nome Mosè e
l’allevò. Il bambino era molto bello e quando ebbe quattro anni la figlia del
Faraone lo portò al cospetto di suo padre. Il Faraone vide Mosè e prese ad
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amare il fanciullo. Mosè si aggrappò al collo del Faraone e gettò per terra la
corona e la calpestò. Vedendo ciò, un indovino disse al Faraone:
“Imperatore, fai uccidere questo bambino, perché, se non lo farai, perderai
l’Egitto”. Ma il re non lo ascoltò, al contrario ordinò di non uccidere più i figli
degli Ebrei [questo episodio non è nell’Esodo].
«Quando Mosè fu adulto, acquisì importanza alla corte del Faraone e poiché
sembrava un secondo imperatore, i bojari gli portavano invidia. Mosè,
avendo ucciso un Egiziano che aveva oltraggiato un Ebreo, fuggì dall’Egitto
e raggiunse la terra di Madian. Trovandosi nel deserto, egli apprese
dall’angelo Gabriele della creazione del mondo, del primo uomo e di quelli
che lo seguirono, e del diluvio e della confusione delle lingue, e di ognuno
quanti anni era vissuto, e il movimento e il numero delle stelle, e le misura
della terra e ogni conoscenza. Dopo gli apparve Dio in un roveto ardente e
gli disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto, sono sceso per
liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese. Io ti
mando dal Faraone re d’Egitto, e digli: Fa’ uscire Israele, affinché per tre
giorni facciano offerte a Dio. Se il Faraone degli Egizi non ti ascolta, lo
fulminerò con tutti i miei prodigi”. Andò Mosè, ma il Faraone non gli prestò
ascoltò. E Dio mandò al Faraone dieci piaghe: con la prima i fiumi furono
tramutati in sangue, con la seconda le rane, con la terza le zanzare, con la
quarta i mosconi, con la quinta la peste del bestiame, con la sesta la ulcere,
con la settima la grandine; con l’ottava le cavallette; con la nona un’oscurità
di tre giorni, con la decima la morte dei primogeniti. Così subirono dieci
piaghe per aver affogato i figli degli Ebrei per dieci mesi. E quando venne la
peste in Egitto, il Faraone disse a Mosè e a suo fratello Aronne: “Andatevene
prima possibile”. Mosè radunò gli Israeliti e uscì dalla terra d’Egitto. E Dio lo
guidò attraverso il deserto verso al Mar Rosso: li precedeva il giorno sotto
forma di nuvola e la notte di colonna di fuoco. Il Faraone, apprendendo che
il popolo fuggiva, lo inseguì e lo spinse contro il mare. Accortisi, gli Israeliti
gridarono contro Mosè dicendo: “Perché hai voluto condurci alla morte?” E
Mosè si rivolse a Dio, e Dio disse: “Perché mi invochi? Batti il mare con la
verga”. Ciò fece Mosè e le acque si divisero in due, e i figli d’Israele
entrarono nel mare. Vedendo ciò, il Faraone li inseguì. I figli d’Israele
raggiunsero la terra ferma e come furono sulla riva, il mare si richiuse sopra
il Faraone e il suo esercito. E il Signore salvò Israele. E, dal mare,
camminarono tre giorni nel deserto, e giunsero e arrivarono a Mara, e qui
l’acqua era amara e il popolo mormorò contro Dio. E il Signore mostrò loro
un legno, e Mosè lo mise nell’acqua e l’acqua si addolcì. In seguito ancora
brontolarono contro Mosè e Aronne, dicendo: “Stavamo meglio in Egitto,
dove mangiavamo carne, cipolla e pane a volontà!”. E il Signore disse: “Ho
sentito il lamento dei figli di Israele” e dette loro della manna da mangiare.
Poi dette loro la legge sul Monte Sinai. Mentre Mosè era salito sul monte
presso Dio, essi fusero una testa di vitello e la adoravano come fosse un
dio. Di costoro, Mosè ne fece perire tremila. E in seguito mormorarono
nuovamente contro Mosè e Aronne perché mancava l’acqua. E Dio disse a
Mosè: “Batti la roccia con un bastone”. E colpendo la roccia con il bastone
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pensò: “E se l’acqua non sgorgasse dalla roccia?”. E Dio s’adirò contro Mosè,
perché egli non aveva glorificato il Signore, e, a causa di ciò e dei mormorii
del popolo, egli [Mosè] non entrò nella terra promessa, ma [Dio] lo
condusse sul Monte Nebo e gli mostrò la terra promessa. E Mosè morì sul
monte.
«E Giosuè, figlio di Nun, prese il comando; entrò nella terra promessa,
distrusse la stirpe di Canaan e al suo posto stabilì i figli di Israele [cfr. Gs 15]. Morto Giosuè, Giuda fu posto giudice in vece; e vi furono altri quattordici
giudici [cfr. Gdc 1], sotto i cui ordini dimenticarono Dio che li aveva tratti
dall’Egitto, e cominciarono ad adorare gli idoli. E Dio adirato li abbandonò ai
predoni delle tribù straniere. Quando si pentirono, ebbe pietà di loro e,
quando li ebbe liberati, ricominciarono a servire il maligno. Dopo questi,
furono giudici il sacerdote Elia [cfr 1 Re 17-21] e poi il profeta Samuele [cfr.
1 Sam e 2 Sam]. E il popolo disse a Samuele: “Dacci un re!” e il Signore si
adirò contro Israele e dette loro Saul come re. Ma Saul non volle camminare
nella legge del Signore, e Dio scelse Davide e lo mise alla testa degli
Israeliti. E Davide assecondò Dio e il Signore promise a Davide che dalla sua
stirpe nascerà Dio. E per primo iniziò a profetizzare l’incarnazione divina,
dicendo: “Dal seno dell’aurora ti ho generato” [Sal 110 (109),3]. Profetizzò
per quarant’anni e poi morì.
«Dopo di lui regnò e profetizzò suo figlio Salomone [cfr. 1 Re] che costruì il
tempio al Signore e lo chiamò il Santo dei Santi. Era saggio, ma alla fine si
smarrì. Morì dopo avere regnato quarant’anni. Dopo Salomone regnò suo
figlio Roboamo. Sotto di lui, il regno dei Giudei si divise in due parti, l’una
era Gerusalemme e l’altra la Samaria. In Samaria regnava Geroboamo,
servo di Salomone, il quale costruì due vitelli d’oro, l’uno a Betel sul colle,
l’altro a Dan, dicendo: “Ecco, Israele, il tuo dio” [1 Re 12,28]. E il popolo
adorò dimenticando Dio. Così anche a Gerusalemme prese a dimenticare
Dio e ad adorare Baal, cioè il dio della guerra, ossia Ares, e dimenticò il Dio
dei loro padri. E Dio iniziò a mandare loro i profeti, e i profeti cominciarono
a rimproverare loro l’empietà e l’idolatria. Ma essi, i denunciati,
sterminarono i profeti. E Dio molto si adirò contro Israele e disse: “Li
scaccerò dalla mia presenza [cfr. 2 Re 17] e io convocherò altre genti che mi
ascolteranno. E se essi peccheranno, non ricorderò le loro iniquità” [cfr. Ger
31,34]. E si mise a inviare i profeti, dicendo: «Annunciate il rifiuto degli
Ebrei e la chiamata di altri popoli”. Per primo iniziò a profetizzare Osea,
dicendo: “Porrò fine al regno della casa d’Israele. [...] Spezzerò l’arco
d’Israele nella valle di Izreèl. [...] Non amerò più la casa d’Israele, non ne
avrò più compassione” [Os 1,4-6] e ancora: “Andranno raminghi fra le
nazioni” [Os 9,17].
«Geremia disse: “Anche se Mosè e Samuele si presentassero [...] non avrò
pietà di loro” [cfr. Ger 15,1]. E sempre Geremia disse ancora: Io giuro per il
mio grande nome che mai più il mio nome sarà pronunciato in tutto il paese
d’Egitto dalla bocca di un uomo di Giuda” [Ger 44,26]. Ezechiele disse: “Il
Signore Dio dice così: disperderò ad ogni vento quel che resterà di te [...]
poiché tu hai profanato il mio santuario con tutte le tue nefandezze [...] io
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raderò tutto [...] non avrò compassione” [Ger 5,10-11]. Malachia disse:
“Così dice il Signore: “Non mi compiaccio di voi [...]. Poiché dall’oriente
all’occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto
incenso al mio nome e una oblazione pura, perché grande è il mio nome fra
le genti. [...] Perciò anch’io vi ho reso spregevoli e abbietti davanti a tutto il
popolo” [Ml 1,10-11; 2,9]. Il grande Isaia disse: “Così dice il Signore:
Stenderò la mano su di te, purificherò nel crogiuolo le tue scorie, eliminerò
da te tutto il piombo” [Is 1,25]. E ancora disse: “I vostri noviluni e le vostre
feste io detesto, e non i vostri sabato non posso sopportare” [Is 1,13-14]. Il
profeta Amos disse: “Ascoltate queste parole, questo lamento che io
pronunzio su di voi, o casa di Israele! È caduta, non si alzerà più” [Am 5,12]. E Malachia disse: “Così dice il Signore: Manderò su di voi la maledizione
e cambierò in maledizione le vostre benedizioni. Anzi le ho già maledette,
perché nessuno tra di voi se la prende a cuore” [Ml 2,2] E molti
profetizzarono sul loro ripudio. E a questi profeti Dio ordinò di predicare
sulla chiamata di altre nazioni al posto loro. E iniziò Isaia a chiamare,
dicendo: “Poiché da me uscirà la legge, il mio diritto sarà luce dei popoli. La
mia vittoria è vicina, si manifesterà come luce la mia salvezza; le mie
braccia governeranno i popoli” [Is 51,4-5]. Geremia disse: “Così dice il
Signore: Con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova [...] Porrò la
mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio
ed essi il mio popolo” [Ger 31,31-33]. Isaia disse: “I primi fatti, ecco, sono
avvenuti e i nuovi io preannunzio; prima che spuntino, ve li faccio sentire”.
Cantate al Signore un canto nuovo” [Is 42,9-10] e “Ma i miei servi saranno
chiamati con un altro nome, che sarà benedetto su tutta la terra” [Is 65,1516] e “Il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli” [Is
56,7] Disse ancora Isaia: “Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti
a tutti i popoli; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio
[Is 52,10]. Davide disse: “Lodate il Signore, popoli tutti, voi tutte, nazioni,
dategli gloria” [Sal 117 (116),1]. Così Dio amando le nuove nazioni disse
che sarebbe disceso fra loro di persona manifestandosi in sembianze umane
e soffrire per il peccato di Adamo. Ed essi cominciarono a profetizzare
l’incarnazione di Dio. Davide disse per primo: “Oracolo del Signore al mio
Signore: “Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei
tuoi piedi” [Sal 110 (109),1]. E disse ancora: “Il Signore mi ha detto: Tu sei
mio figlio, io oggi ti ho generato” [Sal 2,7]. Isaia disse: “Non un inviato né
un angelo, ma egli stesso li ha salvati” [Is 63,9]. E ancora: “Poiché un
bambino è nato per noi [...] Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è
chiamato: Consigliere ammirabile [...] grande sarà il suo dominio e la pace
non avrà fine” [Is 9,5-6]. E ancora: “Ecco: la vergine concepirà e partorirà
un figlio, che chiamerà Emmanuele” [Is 7,14]. Michea disse: “E tu,
Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te
mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono
dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino
a quando colei che deve partorire partorirà; e il resto dei tuoi fratelli
ritornerà ai figli di Israele” [Mic 5,1-2]. Geremia disse: “Egli è il nostro Dio e
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nessun altro può essergli paragonato. Egli ha scrutato tutta la via della
sapienza e ne ha fatto dono a Giacobbe suo servo [...] Per questo è apparso
sulla terra e ha vissuto fra gli uomini” [Bar 3,36-36]. E ancora: “È un uomo,
e chi comprenderà che è Dio, se morirà come uomo”. Zaccaria disse: “Come
al suo chiamare essi non vollero dare ascolto, così quand’essi grideranno, io
non li ascolterò, dice il Signore” [Zc 7,13]. E Osea disse “Così dice il
Signore: La mia carne verrà da loro”.
«Essi predissero anche la sua passione. Isaia disse: “Guai alle loro anime,
perché hanno concepito cattive intenzioni dicendo: Imprigioniamo il giusto”.
E disse ancora: “Il Signore mi ha detto: Non ho opposto resistenza, non mi
sono tirato indietro. Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro
che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli
sputi” [Is 50,5-6]. Geremia disse: “Abbattiamo l’albero nel suo rigoglio,
strappiamolo dalla terra dei viventi” [Ger 11,19]. Mosè disse della sua
crocifissione: “La tua vita ti sarà dinanzi come sospesa ad un filo” [Dt
28,66]. E Davide disse: “Perché cospirano i popoli?” [Sal 2,1]. Isaia disse:
“Era come un agnello condotto al macello” [Is 53,7]. Esdra disse: “Sia
benedetto Dio, stendendo le sue braccia salvò Gerusalemme”.
E profetizzarono la sua resurrezione. Davide disse: “Sorgi, Dio, a giudicare
la terra, perché a te appartengono tutte le genti” [Sal 82 (81),8]. E ancora:
“Il Signore si destò come da un sonno” [Sal 78 (77),65]. E ancora: “Sorga
Dio, i suoi nemici si disperdano” [Sal 68 (67),2]. E di nuovo: “Sorgi,
Signore, alza la tua mano” [Sal 11 (10),33]. Isaia disse: “Su coloro che
abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” [Is 9,1]. Zaccaria disse:
“Quanto a te, per il sangue dell’alleanza con te, estrarrò i tuoi prigionieri dal
pozzo senz’acqua” [Zc 9,11]. E molti profetizzarono su di lui e tutto si è
compiuto».
Vladimir disse allora: «In quale tempo ciò si è compiuto?» E: «Si è già
verificato ciò? o deve ancora arrivare?». Egli rispose: «Tutto ciò si è
compiuto quando Dio si è incarnato. Come già ho detto, quando i Giudei
uccisero i profeti e i re, infransero la loro legge e Dio li consegnò alla
schiavitù, e, a causa dei loro peccati, furono portati prigionieri in Assiria,
dove lavorarono per settant’anni. In seguito tornarono nella loro terra e non
avevano un re, ma dei sacerdoti che li governarono fino al regno di Erode lo
straniero che li conquistò. Sotto il suo regno, nell’anno 5500, Gabriele fu
inviato a Nazaret dalla vergine Maria, della stirpe di Davide, per dirle:
“Rallegrati, o piena di grazia, il Signore è con te” [Lc 1,28]. E da questa
parola concepì nel suo grembo il Verbo di Dio e partorì un figlio che chiamò
Gesù. Ed ecco vennero dei Magi dall’Oriente dicendo: “Dov’è il re dei Giudei
che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per
adorarlo” [Mt 2,2]. All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui
tutta Gerusalemme. Riuniti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo,
s’informava da loro: “Dove doveva nascere il Messia?”. Gli risposero: “A
Betlemme di Giudea” [Mt 2,3-5]. Appreso ciò, Erode inviò messaggeri con
l’ordine: “Uccidete tutti i bambini al di sotto dei due anni” [cfr. Mt 2,16]. Essi
andarono e uccisero 14.000 bambini [numero inesistente nei Vangeli]. Maria
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si spaventò e nascose il figlio. Giuseppe e Maria, preso il bambino, fuggirono
in Egitto e vi restarono fino alla morte di Erode. In Egitto, un angelo
apparve a Giuseppe per dirgli: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre
e va’ nel paese d’Israele” [Mt 2,20]. Partì e si stabilì a Nazaret. Quando
[Gesù] crebbe e all’età di trent’anni iniziò a compiere miracoli e ad
annunciare il regno dei cieli. E scelse dodici uomini che chiamò suoi
discepoli. E compiva grandi miracoli: resuscitava i morti, guariva i lebbrosi,
risanava gli zoppi, dava la vista ai ciechi e faceva molti altri miracoli, come
era stato predetto dai profeti: “Egli ha preso le nostre infermità e si è
addossato le nostre malattie” [Mt 8,17]. E fu battezzato da Giovanni nel
fiume Giordano, mostrando agli uomini nuovi la rigenerazione. E appena
battezzato, “si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come
una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: Questi
è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto” [Mt 3,16-17]. Egli
inviò i suoi discepoli a predicare il regno dei cieli, e il pentimento in
remissione dei peccati. E volendo compiere la profezia, si mise a predicare
che il Figlio dell’Uomo deve soffrire ed essere crocifisso e risorgere il terzo
giorno. Poiché predicava nel tempio, i sacerdoti e i sapienti, colmi d’invidia,
vollero uccidere e, avendolo catturato, lo condussero dal governatore Pilato.
Pilato, accortosi che era stato consegnato un innocente, volle liberarlo, ma
essi gli dissero: “Se lo rilasci, non sei amico dell’imperatore”. Pilato allora
ordinò che fosse crocifisso. Preso Gesù, lo condussero al luogo detto
Golgota e lo crocifissero. E sulla terra si fece buio dalla sesta ora alla nona.
All’ora nona, Gesù esalò lo spirito. Il velo del tempio si squarciò in due e
molti morti risuscitarono, ai quali ordinò di entrare in paradiso. Si calò Gesù
dalla croce, lo deposero nel sepolcro e la gente di Giuda lo sigillò con i sigilli
e vi si misero le sentinelle per vigilare, dicendo: “Perché non vengano i suoi
discepoli e lo rubino” [Mt 27,64]. Il terzo giorno risuscitò e, dopo essere
risuscitato dai morti, apparve ai discepoli per dire loro: “Andate dunque e
ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio
e dello Spirito santo” [Mt 28,19]. E rimase con loro i quaranta giorni dopo la
sua risurrezione. E quando i quaranta giorni furono trascorsi, ordinò loro di
andare sul Monte degli Ulivi e qui apparve loro, li benedisse e disse: “Non
allontanatevi da Gerusalemme, ma attendete che si adempia la promessa
del Padre mio” [cfr. At 1,4]. E detto questo salì al cielo. Essi si
prosternarono davanti a lui, e tornarono a Gerusalemme e restarono nel
tempio. Quando cinquanta giorni furono trascorsi, discese lo Spirito Santo
sugli Apostoli. Ricevuto il dono dello Spirito Santo, si dispersero sulla terra,
istruendo e battezzando con l’acqua».
Vladimir chiese: «Perché nacque da una donna, fu crocifisso sul legno e fu
battezzato con l’acqua?». Gli rispose: «Ecco perché. In principio il genere
umano peccò per colpa di una donna perché il diavolo ingannò Adamo
tramite Eva, ed egli fu privato del paradiso, ma Dio si vendicò contro il
demonio per mezzo di una donna, e qui fu la prima sconfitta del diavolo. Per
colpa di una donna Adamo subì la cacciata dal paradiso, Dio si incarnò
dunque attraverso una donna e ordinò ai credenti di entrare in paradiso. E
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fu crocifisso sul legno perché è mangiando dall’albero che Adamo perse la
beatitudine del paradiso. Dio subì la passione sul legno affinché, per mezzo
del legno, il demonio fosse sconfitto e, sempre attraverso il legno, i giusti
acquistassero la vita eterna. Fu rigenerato con l’acqua, perché al tempo di
Noé, quando i peccati degli uomini si moltiplicarono, Dio mandò il diluvio
sulla terra e sommerse d’acqua gli uomini. Per questo, il Signore disse:
“Poiché ho punito con l’acqua gli uomini, a causa dei loro peccati, ora
purificherò dai peccati gli uomini con l’acqua, con l’acqua della
rigenerazione”. Così anche la stirpe di Giuda si purificò nel mare dai cattivi
costumi degli Egizi, perché l’acqua fu la prima cosa che fu creata. Infatti si
disse che lo Spirito di Dio era sopra le acque, per questo ora si battezza con
lo Spirito e con l’acqua. La prima trasfigurazione avvenne per mezzo
dell’acqua, come diede prova per la prima volta Gedeone, quando un angelo
gli ordinò di andare contro i Madianiti. Egli cercò la prova e disse a Dio: “Io
metterò un vello di lana sull’aia: se c’è rugiada soltanto sul vello e tutto il
terreno resta asciutto, io saprò che tu salverai Israele per mia mano” [Gdc
6,37], e così fu. Egli compì la trasfigurazione, perché alle terre straniere
prima toccava la siccità, mentre ai Giudei il vello; in seguito, agli stranieri
pervenne la rugiada, cioè il battesimo, mentre ai Giudei la siccità. Anche i
profeti predissero che la rigenerazione sarebbe venuta attraverso l’acqua.
Gli Apostoli insegnarono per il mondo la fede in Dio, e noi Greci, abbiamo
accolto il loro insegnamento. Dio ha fissato un giorno nel quale, disceso dal
cielo, giudicherà i vivi e i morti e renderà a ciascuno secondo le sue azioni:
ai giusti il regno del cielo e la bellezza ineffabile, gioia senza fine e la vita
eterna, mentre ai peccatori i tormenti del fuoco, un verme inestinguibile e
torture senza fine. Tali sono i tormenti che proveranno coloro che non
credono nel Signore nostro Gesù Cristo: coloro che non si battezzeranno
bruceranno nel fuoco».
E, detto questo, mostrò [a Vladimir] una tavola sulla quale era raffigurato il
Giudizio del Signore; e gli indicò a destra i giusti, che gioiosamente
entravano in paradiso, e a sinistra i peccatori, che avanzavano nei tormenti.
Vladimir sospirò e disse: «Felici coloro che sono a destra, e sventurati i
peccatori di sinistra». Il filosofo disse: «Se tu vuoi stare alla destra assieme
ai giusti, allora battezzati!». Vladimir, riflettendo su ciò nel suo cuore, disse:
«Attenderò ancora un poco, perché voglio indagare tutte le credenze». E
Vladimir, dopo avergli fatto molti doni, lo congedò con grandi onori.
XLI. Ambasciate nelle comunità di fedeli (987)
Nell’anno 6495 [987], Vladimir chiamò i suoi bojari e gli anziani della città,
e disse loro: «Ecco che i Bulgari vennero a me dicendo: “Accogli la nostra
legge”. In seguito sono venuti i Nemc’y [stranieri, nell’accezione di cattolici]
ed essi lodarono la loro legge. Dopo costoro vennero i Giudei. E infine
vennero i Greci, che biasimarono tutte le altre leggi, ma lodarono la propria
e parlarono a lungo raccontando la origini del mondo, e narravano con
saggezza ed era per tutti un piacere ascoltarli. Dissero: “Colui che segue la
nostra fede dopo morto resusciterà e non morirà nei secoli. Se, invece, si
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converte a un’altra fede, allora brucerà nel fuoco nell’aldilà. Qual è la vostra
opinione? Cosa rispondete?». E i bojari e gli anziani dissero: «Tu sai,
principe, che nessuno denigra, ma sempre loda le proprie cose. Se vuoi
approfondire, gli uomini non ti mancano, mandali affinché verifichino di
persona il culto di ognuno e come ciascuno onora Dio». E questo discorso
piacque al principe, come a tutti i presenti. Scelsero uomini saggi e istruiti,
in numero di dieci, e dissero loro: «Andate prima di tutto dai Bulgari e
verificate la loro fede e il loro culto». Essi partirono e videro le loro azioni
impure e l’inchinarsi nelle moschee e ritornarono nel loro paese.
E Vladimir disse loro: «Andate ora dai Nemc’y e osservate attentamente e in
seguito andate dai Greci».
Essi andarono dunque presso i Nemc’y, e, dopo aver osservato la loro chiesa
e il loro servizio divino, si recarono a Car’grad, e si presentarono
all’imperatore. L’imperatore chiese loro la ragione del viaggio ed essi gli
raccontarono tutto ciò che era accaduto. Apprendendo ciò, l’imperatore se
ne rallegrò e in quel giorno tributò loro grandi onori. Il giorno dopo, mandò
un messaggero dal patriarca per dirgli: «I Russi sono qui giunti per
conoscere la nostra credenza; prepara dunque la chiesa e il clero e tu stesso
indossa le vesti da vescovo, affinché vedano la gloria del nostro Dio». Allora
il patriarca convocò immediatamente il clero e celebrarono l’ufficio solenne
secondo l’uso e bruciarono incenso [o: accesero le candele] e i cori
intonarono i canti. L’imperatore andò con i Russi in chiesa, e li pose in un
posto centrale. E si mostrarono loro le bellezze della chiesa, i canti e il
servizio dell’archiereo, il ministero dei diaconi, spiegando loro l’ufficio divino.
Pieni di stupore, essi ammirarono e lodarono il loro servizio. Gli imperatori
Basilio e Costantino li chiamarono e dissero: «Tornate nelle vostre terre», e
li congedarono con grandi doni e con onori.
Ritornarono nel loro paese e il principe convocò i bojari e gli anziani e
Vladimir disse: «Ecco che gli uomini inviati sono ritornati, ascoltiamo ciò che
hanno appreso». E a loro disse: «Raccontate davanti alla družina». Essi
dissero: «Visitammo in primo luogo i Bulgari e vedemmo che si recavano
nel loro tempio, cioè nella moschea, senza cintura; quindi dopo gli inchini, si
sedettero, guardando da una parte all’altra come ossessi e non c’è gioia fra
loro, ma solo tristezza e un lezzo insopportabile. La loro legge non è bella. E
andammo presso i Nemc’y e li abbiamo visti celebrare il loro servizio nel
tempio, ma non vedemmo alcuna bellezza. Infine, giunti dai Greci, fummo
condotti nel luogo in cui celebrano il servizio al loro Dio. Non sapevamo se
eravamo in cielo o in terra, perché, in verità, non c’è sulla terra un simile
spettacolo, né tanta bellezza. Non siamo capaci di raccontarlo, ma sappiamo
solamente che là Dio abita in mezzo agli uomini, e che il loro ufficio è
superiore a quello degli altri paesi. Noi non dimenticheremo mai tanta
bellezza, perché ogni uomo che ha gustato il dolce, poi non sopporta
l’amaro. Allo stesso modo, noi non possiamo più vivere qui».
I bojari presero la parola, e dissero: «Se la religione greca fosse stata
cattiva, la nonna tua, Ol’ga, che era la più saggia fra tutti gli uomini, non
l’avrebbe accettata». Rispondendo, Vladimir chiese: «Dove riceveremo il
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battesimo?». Essi risposero: «Dove ti piacerà».
XLII. Nozze di Vladimir ed esposizione della fede cristiana (988)
Passato un anno, nell’anno 6496 [988], Vladimir marciò con il suo esercito
contro Cherson, città dei Greci e i Chersonesi si asserragliarono in città. E
Vladimir si accampò dall’altro lato della città, presso la foce, a un tiro di
freccia dalla città. E gli abitanti combatterono strenuamente. Vladimir
assediò la città e il popolo era tremato, e Vladimir disse agli abitanti: «Se
non vi arrendete, resterò qui per tre anni, se occorre». Essi non lo
ascoltarono. Vladimir allora schierò il suo esercito e ordinò di ammassare
della terra presso le mura della città. Mentre lo facevano, i Chersonesi,
avendo scavato un foro da sotto le mura di cinta, toglievano la terra
accumulata e la portavano nel centro della città dove l’ammucchiavano. I
soldati ammassavano e Vladimir continuava l’assedio. Ecco che un uomo di
Cherson, di nome Anastas, lanciò una freccia [verso il campo di Vladimir]
sulla quale aveva scritto: «Dietro a te, a Oriente, c’è una condotta che porta
dal pozzo in città, scava e intercettala». Saputo ciò, Vladimir alzò gli occhi al
cielo e disse: «Se ciò è vero, mi battezzerò!». E ordinò di scavare e
intercettarono l’acqua e la deviarono, così il popolo estenuato dalla sete si
arrese. Vladimir entrò in città con la sua družina. E Vladimir inviò
[messaggeri] agli imperatori Basilio e Costantino, dicendo: «Ecco che ho
conquistato la vostra gloriosa città; ho saputo che avete una sorella nubile
e, se non me la concederete in sposa, farò della vostra città ciò che ho fatto
a questa». Appreso ciò, gli imperatori s’afflissero e gli inviarono questa
risposta: «Per noi cristiani, è sconveniente concederla a un pagano. Se ti
battezzi, tu otterrai ciò che chiedi e anche il regno dei cieli, e avrai la stessa
nostra fede, ma se tu non vuoi compiere ciò, noi non potremo darti nostra
sorella in sposa». Ascoltato ciò, Vladimir disse ai delegati degli imperatori:
«Riferite agli imperatori che io mi battezzerò perché, già prima di ora, ho
verificato la vostra legge, e questa mi piace, come pure la vostra fede e i
vostri riti, di cui ho saputo dagli uomini che vi avevo inviato». Gli imperatori
si rallegrarono alla notizia e parlarono alla loro sorella, di nome Anna, e
inviarono a Vladimir per dirgli: «Prima battezzati, poi ti manderemo nostra
sorella». Vladimir rispose: «Venite con vostra sorella a battezzarmi». Gli
imperatori acconsentirono e inviarono la loro sorella e alcuni alti prelati e
sacerdoti. Ella si rifiutava di partire: «Non andrò dal pagano, meglio per me
morire qui». I suoi fratelli le dissero «È forse grazie a te che Dio porterà la
Rus’ al pentimento, e tu salverai l’impero greco da una guerra crudele:
quanto male hanno già arrecato i Russi ai Greci! Se tu non partirai, ne
faranno ancora», e a fatica la convinsero. Ella montò dunque su una nave,
abbracciò i parenti piangendo, e partì per mare. Quando ella arrivò a
Cherson, i Chersonesi uscirono per renderle omaggio, la scortarono fino in
città e la condussero al palazzo. Per volontà di Dio, Vladimir in quel
momento s’ammalò agli occhi, e non vedendo nulla era molto inquieto e non
sapeva cosa fare. E la principessa gli mandò a dire: «Se tu vuoi guarire da
questo male, fatti battezzare il più presto possibile, altrimenti non te ne
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libererai». Vladimir, sentendo ciò, disse: «Se ciò si compirà, in verità grande
è il Dio dei cristiani» e si fece battezzare. Il vescovo di Cherson, dopo aver
annunciato la buona novella al popolo, lo battezzò con l’aiuto dei sacerdoti
della principessa. E come impose le mani su di lui questi riacquistò subito la
vista. Vladimir, sorpreso dell’immediata guarigione, rese gloria a Dio
dicendo: «Solo ora conosco il vero Dio!». Veduto ciò, molti della sua družina
si fecero battezzare. Egli fu battezzato nella chiesa di San Basilio, e questa
chiesa si trova ancora a Cherson, nel centro della città, laddove i Chersonesi
tengono il loro mercato. Anche il palazzo di Vladimir esiste tuttora presso la
chiesa, e il palazzo della principessa è dietro all’abside. Dopo il battesimo,
Vladimir sposò la principessa.
Alcune persone male informate dicono che egli fu battezzato a Kiev, altri a
Vasil’ev, altri ancora dicono altrove.
Quando dunque Vladimir fu battezzato a Cherson, i sacerdoti gli esposero la
fede cristiana, parlando così: «Non ti lasciar sedurre dagli eretici, ma credi
nel dire: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della
terra” e fino alla fine di questo Credo. E di seguito: “Credo in un solo Dio
Padre non generato e nel Figlio unigenito, che è stato generato, e nello
Spirito Santo, che procede: tre entità compiute, pensanti, distinte per
numero ed essenza, ma non per divinità, perché essa si separa senza
dividersi e si unisce senza confondersi. Il Dio Padre non generato è sempre,
nella sua paternità senza inizio, principio e causa di ogni cosa, più anziano
del Figlio e dello Spirito perché egli non è stato generato. Da lui fu generato
il Figlio prima di tutti i secoli. Da lui procede lo Spirito Santo senza tempo e
senza corpo. Esso è nell’insieme Padre, Figlio e Spirito. Il Figlio è
consustanziale, senza principio come il Padre, e si distingue dal Padre e
dallo Spirito Santo soltanto perché è stato generato. Lo Spirito è lo Spirito
Altissimo, simile e consustanziale al Padre e al Figlio, ed esiste sempre. Il
Padre ha la paternità, il Figlio ha la figliolanza, lo Spirito la processione,
perché né il Padre trapassa nel Figlio o nello Spirito, né il Figlio nel Padre o
nello Spirito, né lo Spirito nel Padre o nel Figlio, le loro proprietà sono
immutabili. Non ci sono tre divinità, ma un solo Dio perché Dio è uno in tre
persone. Il Figlio uscì, per volontà del Padre e dello Spirito, per la salvezza
della creatura, dal seno del Padre senza tuttavia lasciarlo, per scendere,
come seme divino, nel purissimo grembo di una vergine; egli ricevette in
seguito un corpo animato di vita, dotato di parola e di ragione, e diventò il
Dio incarnato, nato meravigliosamente senza che l’integra verginità di sua
madre ne soffrisse. Egli non subì né turbamenti, né alterazioni, né
trasformazioni, ma restò ciò che era, diventando ciò che non era,
assumendo l’aspetto reale e non apparente di un servo, simile a noi in tutto,
eccetto per il peccato, poiché per sua volontà nacque, per sua volontà soffrì
la fame, per sua volontà ebbe sete, per sua volontà soffrì, per sua volontà
ebbe timore, per sua volontà morì realmente e non apparentemente. Tutte
le sue sofferenze furono reali, senza finzione alcuna. Si lasciò crocifiggere,
patì la morte sebbene innocente, resuscitato nella propria carne, salì nei
cieli senza che la sua carne conoscesse corruzione, si assise alla destra del
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Padre, e nuovamente verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti: come
egli salì nel suo proprio corpo, così tornerà. Per questo, riconosci un solo
battesimo con l’acqua e con lo Spirito Santo, accostati ai santi misteri
[sacramenti], credi nel vero corpo ed nel vero sangue, accetta le tradizioni
della Chiesa e onora le sante immagini. Adora il venerabile legno della Croce
e tutte le croci e le sante reliquie e i sacri calici. Rispetta anche i sette
concili dei santi padri, il primo dei quali ebbe luogo a Nicea, era composto
da trecentodiciotto padri che maledissero Ario e proclamarono la fede pura e
giusta. Il secondo si tenne a Car’grad, era composto da centocinquanta
padri che maledissero la Macedonia, che negava la divinità dello Spirito
Santo, e proclamarono la consustanzialità della Trinità. Il terzo ebbe luogo a
Efeso, era composto da duecento padri che dettero l’anatema a Nestorio e
proclamarono la santità della Deipara. Il quarto concilio ebbe luogo a
Calcedonia, era composto da seicentotrenta padri che maledissero Eutiche e
Dioscuro e proclamarono vero Dio e vero uomo Nostro Signore Gesù Cristo.
Il quinto concilio fu a Car’grad, era composto da centosessantacinque padri
che dettero l’anatema a Origene ed Evagrio. Il sesto concilio ebbe luogo a
Car’grad, era composto da centosettanta padri che maledissero Sergio e
Ciro. Il settimo concilio si tenne a Nicea, dove trecentocinquanta Padri
maledissero coloro che non onorano le icone.
«Non ricevere l’insegnamento dei Latini, la loro fede è corrotta, perché essi
entrano in chiesa e non si prosternano davanti alle immagini, ma restano in
piedi o si inchinano e, chini, tracciano una croce per terra e la baciano, ma
poi, alzatisi diritti, la calpestano con i piedi. Ma gli Apostoli non hanno
insegnato questa tradizione; gli Apostoli hanno insegnato a baciare la croce,
verticale, e onorare le immagini, perché Luca, l’evangelista, dipinse la prima
icona e la inviò a Roma, e, come disse Basilio, l’immagine risale al prototipo
originale. Inoltre, essi chiamano la terra “madre”, ma, se la terra è la loro
madre, allora il cielo è loro padre, poiché in principio Dio creò il cielo e la
terra. Perché dicono “Padre nostro che sei nei cieli”? Se dunque nella loro
convinzione la terra è la madre, perché sputano sulla loro madre? Prima la
baciano, poi la profanano. All’inizio, i Romani non facevano così, ma
presenziavano a tutti i concili dove si riunivano, giungendo da Roma e da
tutte le sedi vescovili. Così al primo concilio, quello contro Ario in Nicea,
papa Silvestro inviò da Roma vescovi e sacerdoti, Atanasio ne inviò da
Alessandria, Mitrofane da Car’grad e così corressero la fede. Al secondo
concilio, [presenziarono] Damaso da Roma, Timoteo da Alessandria, Melezio
da Antiochia, Cirillo da Gerusalemme e Gregorio il Teologo [da Car’grad]. Al
terzo concilio vennero Celestino da Roma, Cirillo da Alessandria, Giovenale
da Gerusalemme; al quarto Leone da Roma, Anatolio da Car’grad, Giovenale
da Gerusalemme; al quinto Vigilio da Roma, Eutiche da Car’grad, Apollinare
da Alessandria, Domnino da Antiochia. Al sesto concilio vennero Agatone da
Roma, Giorgio da Car’grad, Teofane da Antiochia, Pietro monaco da
Alessandria; al settimo concilio Adriano da Roma, Tarazio da Car’grad,
Poliziano da Alessandria, Teodoro da Antiochia, Elia da Gerusalemme. Tutti
questi prelati si riunirono con i loro vescovi e riaffermarono la fede. Dopo il
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settimo concilio, Pietro il Balbuziente andò con altri a Roma e s’impossessò
del seggio di Roma, e corruppe la fede e si staccò dalle sedi [patriarcali] di
Gerusalemme, Alessandria, Car’grad e Antiochia. Essi confusero l’Italia
tutta, spargendo la propria diversa dottrina. Essi non professano una sola
confessione di fede, ma molte, poiché, fra i loro sacerdoti, gli uni officiano
congiunti a una sola moglie, altri ufficiano avendo sette mogli e molti altri si
comportano diversamente. Guàrdati dalla loro dottrina, essi assolvono dai
peccati per denaro e non c’è nulla di peggio. Dio ti preservi da ciò!».
XLIII. Battesimo del popolo russo (988)
In seguito, Vladimir prese l’imperatrice Anna, il vescovo Anastasio e i
sacerdoti di Cherson, con le reliquie di san Clemente e di Teba, suo
discepolo, e prese anche i vasi sacri [è cosiddetto l’insieme di calice, diskos,
asterisco, lancia e labida] e le icone per il culto. Fece costruire a Cherson
una chiesa [di San Giovanni Battista] su un’altura al centro della città,
formata dall’accumulo della terra che avevano sottratto dall’ammassamento
[durante l’assedio], e quella chiesa esiste ancora oggi. Prese anche due idoli
di bronzo e quattro cavalli di bronzo, che stanno ancora oggi dietro la
[chiesa di] Santa Madre di Dio e che gli ignoranti credono fatti di marmo.
Quale dono nuziale all’imperatrice, riconsegnò Cherson ai Greci e ritornò a
Kiev.
Appena giunto, ordinò di abbattere le immagini dei falsi dèi, che furono gli
uni fatti in pezzi con l’accetta, gli altri gettati nel fuoco. Ordinò poi di
attaccare [la statua di] Perun alla coda di un cavallo e di trascinarlo giù dalla
collina lungo la via di Boričev fino al fiume Ručja, e comandò a dodici uomini
di percuoterlo con le verghe. Non fece agire in tal modo perché ritenesse
che il legno fosse sensibile, ma per fare oltraggio al demonio che, sotto
questa forma, aveva ingannato gli uomini e, dagli uomini, ricevesse il
castigo. «Grande è il Signore [...] e la sua grandezza non si può misurare»
[Sal 145 (144),3]. Ieri era onorato dagli uomini, oggi è invece insultato.
Mentre lo [Perun] trascinavano lungo il Ručja verso il Dnepr, gli infedeli
piangevano per lui, giacché essi non avevano ricevuto il santo battesimo.
Dopo averlo trascinato, lo gettarono nel Dnepr. E Vladimir ordinò: «Se esso
si dovesse fermare da qualche parte, respingetelo dalla riva fino a quando
avrà superato le rapide, solo allora potrete abbandonarlo». Essi fecero
quanto ordinato. E abbandonato, una volta oltrepassate le rapide, il vento lo
arenò su un basso fondale che da allora fu chiamato il Fondale di Perun,
nome che porta ancora oggi. In seguito, Vladimir mandò un avviso per tutta
la città: «Domani, chiunque, ricco o povero, mendicante o artigiano, non
verrà sulla riva del fiume, sarà mio nemico!». Gli abitanti, udito ciò, si
affrettarono [o: andarono con gioia], dicendo: «Se il battesimo non fosse
stato una buona cosa, il principe e i bojari non l’avrebbero accettato». Il
giorno dopo Vladimir andò sulla riva del Dnepr accompagnato dai sacerdoti
della principessa e da quelli di Cherson, e un popolo innumerevole li accolse.
Ed entrarono nell’acqua: alcuni erano immersi fino al collo, altri fino al
petto, i più giovani erano sulla riva, altri tenevano i bambini, gli adulti si
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avvicendavano e i sacerdoti, ritti, recitavano le preghiere. Ed era una gioia,
in cielo e in terra, vedere la salvazione di tante anime. Intanto il demone
gemendo diceva: «Disgrazia a me, eccomi cacciato. Speravo di stabilire qui
la mia dimora perché gli apostoli non vi avevano insegnato, né conoscevano
Dio, ed ero io a godere del culto che mi offrivano; ed eccomi vinto da un
ignorante, non dagli apostoli o dagli martiri, e non regnerò più in queste
terre». Battezzato, il popolo se ne tornò nelle proprie case.
Vladimir si rallegrò di aver conosciuto Dio, lui e il suo popolo, alzò gli occhi
al cielo e disse: «Dio, creatore del cielo e della terra, volgi lo sguardo su
questo popolo nuovo, e permettigli di riconoscerti come il vero Dio, così
come ti hanno conosciuti i paesi cristiani. Fortifica in loro la vera fede,
rendila incrollabile, e aiutami, o Signore, contro il nemico [il diavolo], in
modo che, confidando in te e nel tuo potere, possa trionfare sui suoi
inganni». Detto ciò, ordinò di costruire una chiesa nello stesso luogo ove si
trovavano gli idoli. E costruì la chiesa di San Basilio sul colle dove prima si
ergevano gli idoli di Perun e degli altri dèi, e dove prima il principe e il
popolo facevano sacrifici. E cominciò a disseminare di chiese e di sacerdoti
le città e a indurre a farsi battezzare tutti gli abitanti delle città e dei
villaggi, poi mandò a cercare i figli delle famiglie più illustri e li fece istruire
sui libri; le loro madri piangevano per essi, perché non erano ancora
rinforzate nella fede, perciò li piangevano come morti. Ma, quando essi
furono messi a studiare i libri, si compì in Russia la profezia che dice:
«Udranno in quel giorno i sordi le parole di un libro e la lingua dei
balbuzienti si scioglierà» [Is 29,18 e cfr. Is 33,19]. Perché questo popolo
all’inizio non conosceva le parole dello Spirito Santo [o: la parola scritta]
così Dio per suo volere e per la sua pietà, fece la grazia, come disse il
profeta: «Farò grazia a chi vorrò far grazia» [Es 33,19]. Ma «ci ha salvati
non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia
mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo»
[Tt 3,5]. Benedetto sia il Signore Gesù Cristo che si affezionò agli uomini
nuovi e illuminò con il santo battesimo la terra russa. Per questo ci
prosterniamo a lui, dicendo: Signore Gesù, cosa possiamo offrirti per tutto
ciò che hai dato a noi, noi peccatori? Non sappiamo con quali offerte
ricambiare i tuoi doni. «Grande è il Signore e degno di ogni lode, la sua
grandezza non si può misurare. Da generazione all’altra elogeremo le tue
opere» [cfr. Sal 145 (144),3-4]. E diciamo con Davide: «Venite,
applaudiamo al Signore, acclamiamo il Signore nostro Salvatore.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia»
[Cfr. Sal 95,1-2] e «Lodate il Signore perché è buono: perché eterna è la
sua misericordia [...] ci ha liberati dai nostri nemici» [Sal 136 (135),1 e 24],
ossia dagli idoli pagani. E ancora con Davide: «Cantate al Signore un canto
nuovo, cantate al Signore da tutta la terra. Cantate al Signore, benedite il
suo nome, annunziate di giorno in giorno la sua salvezza. In mezzo ai popoli
raccontate la sua gloria, a tutte le nazioni dite i suoi prodigi. Grande è il
Signore e degno di ogni lode [...] la sua grandezza non si può misurare»
[Sal 96 (95),1-4; Sal 145 (144),3]. Disse il Signore: «C’è gioia davanti agli
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angeli di Dio per un solo peccatore che si converte» e qui, non uno, non due
si salvarono, ma una moltitudine innumerevole è ritornata al Signore,
illuminata dal santo battesimo. Come disse il profeta: «Vi aspergerò con
acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e
da tutti i vostri idoli » [Ez 36,25]. Un altro profeta disse: «Qual dio è come
te, che toglie l’iniquità e perdona il peccato [...] ma si compiace d’usar
misericordia? Egli tornerà ad aver pietà di noi, calpesterà le nostre colpe. Tu
getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati» [Mic 7,18-19]. San Paolo
disse: «Fratelli, quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati
battezzati nella sua morte [...] perché come Cristo fu risuscitato dai morti
per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una
vita nuova» [Rm 6,3-4]. E altrove: «Le cose vecchie sono passate, ecco ne
sono nate di nuove» [1 Cor 5,17]. «La nostra salvezza è più vicina ora [...]
La notte è avanzata, il giorno è vicino» [Rm 13,11-12]. Grazie alla fede del
nostro principe Vladimir, «abbiamo anche ottenuto, mediante la fede, di
accedere a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo» [Rm 5,2].
«Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto
che vi porta alla santificazione» [Rm 6,22]. Per questo siamo obbligati a
servire il Signore, gioendo in lui. Disse Davide: «Servite Dio con timore e
con tremore esultate» [Sal 2,11]. Intoniamo inni al Signore nostro Dio,
dicendo «Sia benedetto il Signore, che non ci ha lasciati, in preda ai loro
denti [...] il laccio si è spezzato e noi siamo scampati» [Sal 124 (123),6-7]
dagli inganni del diavolo. «E si dissolse il ricordo di lui con frastuono. Il
Signore però vivrà in eterno» [cfr. Sal 9] presso i figli della Rus’ che
celebrano la Trinità, mentre i demoni saranno maledetti dagli uomini fedeli e
dalle donne pie, che hanno ricevuto il battesimo e la penitenza per la
remissione dei peccati: genti cristiane nuove, prescelte da Dio.
Vladimir fu illuminato [battezzato], lui, i suoi figli e anche il popolo russo.
Egli aveva dodici figli Vyšeslav, Izjaslav, Svjatopolk, Jaroslav, Vsevolod,
Svjatoslav, Mstislav, Boris, Gleb, Stanislav, Pozvizd, Sudislav. Egli stabilì
Vyšeslav a Novgorod, Izjaslav a Polock, Svjatopolk a Turov e Jaroslav a
Rostov. Quando il maggiore Vyšeslav morì, stabilì Jaroslav a Novgorod, Boris
a Rostov, Gleb a Murom; Svjatoslav presso i Drevljani; Vsevolod a Vladimir;
Mstislav a Tmutorokan’, e quindi disse: «Non è bene che ci siano così poche
città attorno a Kiev» e fondò delle città lungo la Desna e l’Oster, lungo il
Trubež e la Sula e la Stugna. E si mise a radunare uomini valorosi tra gli
Slavi, i Kriviči, i Čudi, i Vjatiči e con loro popolò queste città.
Egli ebbe la guerra con i Peceneghi, e combatté contro di loro e li vinse.
XLIV. Fondazione di Belgorod (991) e guerra contro i Peceneghi
(993)
Anni 6497-6498 [989-990]
Nell’anno 6499 [991], dopo ciò, Vladimir viveva secondo la legge cristiana.
Per realizzare il progetto di edificare una chiesa di pietra alla Santa Madre di
Dio, mandò a cercare dei maestri in Grecia. Così cominciò la costruzione.
Quando la chiesa fu completata, la ornò di icone e l’affidò ad Anastasio di
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Cherson e, per celebrarvi gli uffici, designò i sacerdoti di Cherson e donò
tutto ciò che aveva portato da Cherson: icone, vasi sacri, croci.
Nell’anno 6500 [992]. Vladimir fondò la città di Belgorod e raccolse in essa
gente da tutte le città e vi mandò un gran numero di persone, perché
amava questa città.
Nel 6501 [993], Vladimir marciò contro i Chorutani [Croati] e, quando
ritornò dalla guerra contro i Croati, i Peceneghi arrivarono dall’altra sponda
della Sula. Vladimir marciò contro essi, e li avvistò sul fiume Trubež, dov’è
oggi la città di Perejaslavl’. Vladimir stette su questa riva e i Peceneghi
sull’altra, e né gli uni, né gli altri osavano attraversare il fiume. E venne il
principe dei Peceneghi sul fiume, chiamò Vladimir e gli disse: «Manda uno
dei tuoi uomini e io manderò uno dei miei, perché combattano tra loro. Se
sarà il tuo a risultare vincitore, non faremo la guerra per tre anni; se,
viceversa, sarà il mio a vincere, allora faremo la guerra per tre anni». E
ritornarono ciascuno dalla propria parte. Vladimir, rientrato al campo,
mandò degli araldi per l’accampamento per dire: «Non c’è un uomo che
voglia battersi con un pecenego?». E non se ne trovò uno da nessuna parte.
L’indomani i Peceneghi vennero e condussero il loro uomo, mentre nessuno
dei nostri si presentò. Vladimir cominciò ad affliggersi e inviò ancora gli
araldi. E un anziano si presentò al principe e gli disse: «Principe, ho mio
figlio minore a casa, perché sono qui venuto con gli altri quattro, mentre lui
è restato a casa. Nessuno, dall’infanzia, l’ha mai potuto vincere. Un giorno
lo rimproverai mentre conciava una pelle e, infuriato con me, con le sue
mani stracciò il cuoio in pezzi». Il principe, sentendo ciò, si rallegrò e inviò
immediatamente a cercarlo e lo condussero al principe e il principe gli
raccontò tutto. Egli rispose: «Principe, non so se io potrò misurarmi con lui;
mettimi alla prova: c’è qui un toro grande e forte?». E quando si trovò un
toro grosso e possente, egli ordinò di aizzarlo con ferri arroventati e
liberarlo. Il toro s’avventò contro il giovane ed egli lo afferrò per un fianco e
gli strappò pelle e carne, per quanto poteva contenere la sua mano. E
Vladimir gli disse: «Puoi combattere con lui». E il giorno dopo vennero i
Peceneghi e si misero a gridare «Non avete ancora l’uomo? Ecco, il nostro è
pronto». Vladimir ordinò ai suoi di prepararsi al combattimento per quella
notte e entrambi si ritirarono. I Peceneghi presentarono il loro uomo, che
era straordinariamente enorme e terribile, e Vladimir presentò il suo.
L’uomo dei Peceneghi, visto l’aspetto dell’altro, scoppiò a ridere, perché era
di piccola corporatura. Si misurarono le distanze fra i due eserciti e i due
furono lasciati l’un contro l’altro. E s’avvinghiarono e si stringevano con
forza e con la mano [il russo] afferrò il pecenego per il petto soffocandolo a
morte [o: lo strangolò] e lo sbatté in terra. Ed esultarono [i Russi], mentre i
Peceneghi fuggirono. I Russi li inseguirono massacrandoli. Vladimir si
rallegrò e su quel guado costruì una città che chiamò Perejaslavl’, perché il
giovane aveva acquistato la gloria. Vladimir rese uomini grandi lui e suo
padre. Vladimir ritornò a Kiev vittorioso e con grande gloria.
XLV. Liberalità di Vladimir
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Anni 6502, 6503 [994-995].
Nell’anno 6504 [996], Vladimir vedendo la chiesa [della Decima]
completata, entrò e pregò Dio dicendo: «Signore Dio, volgiti, guarda dal
cielo e vedi e visita questa vigna, e proteggi quello che la tua destra ha
piantato [Sal 80, 15-16], perché queste nuove genti, delle quali hai
illuminato il cuore, ti riconoscono come il vero Dio. Guarda queste chiesa
che ho costruito io, indegno tuo servo, invocando colei che ti partorì, madre
e semprevergine Deipara. Ascolta la preghiera di colui che prega in questa
chiesa e rimetti tutti i suoi peccati per intercessione della santissima Madre
di Dio». E dopo aver pregato, parlò così: «Ecco, io dono a questa chiesa
della Santa Madre di Dio la decima parte dei miei averi e della mia città». E
presto giuramento, mettendolo per iscritto, in questa chiesa, dicendo:
«Chiunque infranga tale disposizione, che sia maledetto». E dette la decima
ad Anastasio di Cherson, e offrì quel giorno una grande festa per i suoi
bojari e gli anziani della città, e distribuì molti doni ai poveri.
In seguito, i Peceneghi vennero verso Vasil’ev e Vladimir uscì contro di loro
con una piccola družina, e si scontrarono. Ma Vladimir, non potendo tener
loro testa, fuggì e si nascose sotto il ponte e a gran pena si nascose ai
nemici. Allora Vladimir promise di costruire a Vasil’ev una chiesa alla
Trasfigurazione del Signore, perché proprio quel giorno, in cui accadde lo
scontro, cadeva la festa della Trasfigurazione del Signore. Sfuggito, Vladimir
eresse la chiesa e celebrò una grande festa per la quale fece rimestare
trecento barili di idromele. E convocò i bojari, i governatori e gli anziani di
tutte le città e gente in quantità e distribuì ai poveri trecento grivny. La
festa durò otto giorni e poi il principe ritornò a Kiev nel giorno della
Dormizione della Santa Madre di Dio, e qui di nuovo celebrò una festa alla
quale invitò una folla innumerevole. Vedendo che il suo popolo, che era
cristiano, si rallegrava nel corpo e nell’anima, d’allora in poi ripeté questa
festa ogni anno. Era anche amante delle parole della Scrittura. Udì un
giorno leggere nel Vangelo: «Beati i misericordiosi, perché troveranno
misericordia» [Mt 5,7], e altrove: «Vendi quello che possiedi, dallo ai
poveri» [Mt 19,21], e ancora: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove
tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano;
accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano,
e dove ladri non scassinano e non rubano» [Mt 6,19-20], e Davide che
disse: «Felice l’uomo pietoso che dà in prestito» [Sal 112 (111),5]. Sentì
anche Salomone che disse: «Chi fa la carità al povero fa un prestito al
Signore» [Prv 19,17]. Ascoltando tutto ciò, [Vladimir] ordinò che tutti i
poveri e i miserabili si recassero al palazzo del principe per prendere quanto
avevano bisogno per bere e per mangiare e dei denari [o: delle pellicce di
martora] dal tesoro. Fece anche questo: dopo avere detto che «i malati e i
sofferenti non possono venire fino al mio palazzo», ordinò di approntare un
carro e di caricarlo di pane, carne, pesce e frutta varia, idromele in barili e
kvas [bevande fermentate] entro altri barili, poi lo mandò per la città e
interrogare: «Dove sono malati e indigenti che non possono camminare?».
E a costoro si distribuì secondo il bisogno. E un’altra cosa fece: stabilì che
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tutte le domeniche nella sala conviviale del palazzo venisse offerto un
banchetto, al quale avrebbero partecipato i bojari, la guardia del principe, i
centurioni, i decurioni e gli uomini più illustri, sia che il principe fosse
presente o assente. E a queste feste c’era molta carne di bestiame e
selvaggina; c’era tutto in abbondanza. Ma un giorno che essi erano un po’
alticci presero a mormorare contro il principe, dicendo: «Ci sono guai in
vista per le nostre teste, perché ci fa mangiare con i cucchiai di legno e non
d’argento». Udite queste parole, Vladimir ordinò di forgiare per la družina
dei cucchiai d’argento dicendo «Con l’oro e l’argento io non troverò una
družina, ma con la družina troverò oro e argento, come trovarono oro e
argento mio nonno e mio padre», perché Vladimir amava la družina, si
consigliava con essa sull’amministrazione del Paese, sulle guerre e sulle
istituzioni dello Stato.
E viveva in pace con i principi e i sovrani confinanti, con Boleslav il Ljaco,
con Stefano di Ugria [o il Magiaro] e con Olderico il Ceco, e vi erano tra loro
pace e amicizia.
Vladimir viveva nel timore di Dio, cresceva però il brigantaggio e i vescovi
dissero a Vladimir: «Ecco, il numero dei briganti aumenta, perché non li
punisci?». Egli rispose: «Temo di peccare». Essi gli replicarono: «Tu sei
stato posto da Dio per punire i malvagi e graziare i buoni; quindi è tuo
compito indagare sul crimine e poi punire il brigante». Vladimir eliminò la
vira [pena pecuniaria comminata per assassinio] e si mise a punire i
briganti. E i vescovi e gli anziani dissero: «Molte sono le nostre guerre, se
fosse mantenuta la vira la si utilizzerebbe solo per le armi e i cavalli.
Rispose Vladimir: «Così sia». E visse nel rispetto delle prescrizioni di suo
nonno e di suo padre.
XLVI. Assedio pecenego di Belgorod (997)
Nell’anno 6505 [997], Vladimir partì per Novgorod per arruolare dei bravi
guerrieri contro i Peceneghi, perché la guerra in atto durava senza tregua,
Ma i Peceneghi, saputo che il principe era assente, vennero e assediarono la
città di Belgorod. E, impedendo l’uscita della città, la mancanza di viveri
entro la città fu piuttosto grande. Vladimir era impossibilitato a soccorrerli
perché non aveva esercito e i Peceneghi erano molto numerosi. E
continuava l’assedio della città e la fame era terribile. E in città convocarono
il veče [assemblea cittadina] e dissero: «Ecco, moriamo di fame perché il
principe non porta soccorso. È forse meglio morire o arrenderci ai
Peceneghi? Alcuni saranno uccisi, ma altri vivranno, mentre ora moriamo
tutti di fame». E così decisero in consiglio. Un vecchio che non aveva
presenziato al veče chiese: «Perché s’è riunito il veče?». E gli raccontarono
che la popolazione si sarebbe arresa l’indomani ai Peceneghi. Udendo ciò,
egli mandò a dire agli anziani della città: «Ho appreso che voi volete
arrendervi ai Peceneghi». Essi risposero: «Il popolo non può più sopportare
la fame». Disse loro: «Ascoltatemi, rimandate la decisione di tre giorni e
fate ciò che vi dirò». Essi furono contenti e si impegnarono a ubbidirgli. Egli
disse loro: «Prendete ciascuno un pugno di avena o di frumento o di
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semola». Andarono con gioia a raccogliere. E ordinò alle donne di preparare
la soluzione di farina in cui far bollire il kisel’ [bevanda a base di cereali] e
dispose di scavare un pozzo dove mettere la tinozza in cui fu versato il
liquido. Poi ordinò di scavare un altro pozzo e sistemarvi dentro un’altra
tinozza e ordinò di cercare del miele. E gli si portò una misura del miele che
si conservava nella riserva del principe. Lo fece diluire molto nell’acqua e lo
fece versare nella tinozza dell’altro pozzo. L’indomani, mandò cittadini dai
Peceneghi che dissero loro: «Prendete tra noi degli ostaggi, intanto che voi,
non più di dieci uomini, andrete in città per vedere quello che sta là
accadendo». I Peceneghi si rallegrarono pensando che essi volessero
arrendersi, presero gli ostaggi fra quegli e scelsero gli uomini migliori delle
loro truppe e li inviarono in città per vedere cosa vi si stesse facendo. E
giunsero in città e gli abitanti dissero loro: «Perché vi volete rovinare? Non
riuscirete mai a vincerci! La terra stessa ci fornisce nutrimento e se non ci
credete guardate con i vostri occhi». Ed li condussero ai pozzi dove c’era la
soluzione di farina e attinsero un secchio e versarono nelle pentole, e dopo
aver cotto il kisel’, li portarono con loro all’altro pozzo e attinsero
dell’idromele e si misero a mangiare, prima da soli e poi anche i Peceneghi.
Ed essi si stupirono e dissero «I nostri principi mai lo crederanno se non
assaggeranno di persona». Allora i cittadini riempirono un recipiente di
kisel’ e uno di idromele e li consegnarono ai Peceneghi. Ritornati,
raccontarono tutto l’accaduto. I principi dei Peceneghi fecero cuocere e
mangiarono e si stupirono. E ripresisi i propri ostaggi, mentre liberavamo
quelli degli altri, tolsero l’assedio alla città e tornarono nella propria [città].
XLVII. Morte di Vladimir e omicidio di Boris e Gleb (1015)
Anni 6506, 6507 [998-999].
Nell’anno 6508 [1000], morì Malfred [persona non identificata, ma forse è
Malfrida, un’amante di Vladimir]. In quell’anno morì Rogneda, la madre di
Jaroslav.
Nell’anno 6509 [1001], morì Izjaslav, padre di Brjačislav, figlio di Vladimir.
Anno 6510 [1002].
Nell’anno 6511 [1003], morì Vseslav, figlio di Izjaslavl’ e nipote di Vladimir.
Anni 6512, 6513, 6514 [1004-1006].
Nell’anno 6515 [1007], dei resti di costoro [non identificati] furono traslati
nella chiesa della Santa Madre di Dio.
Anni 6516, 6517, 6518 [1008-1010].
Nell’anno 6519 [1011], morì Anna, l’imperatrice sposa di Vladimir.
Anni 6520, 6521 [1012-1013].
Nell’anno 6522 [1014], Jaroslav, governatore di Novgorod, versava a Kiev
un tributo annuale di duemila grivny, e distribuiva altre mille grivny alla
scorta del principe nella città di Novgorod. Così pagavano tutti i governatori
di Novgorod, ma Jaroslav smise di pagare il tributo a Kiev. E Vladimir disse:
«Sgombrate le strade e rafforzate i ponti», perché voleva muovere contro
suo figlio Jaroslav, ma cadde ammalato.
Nell’anno 6523 [1015], quando Vladimir si stava preparando per marciare
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contro Jaroslav, questi mandò a chiamare al di là del mare dei Varjaghi per
timore di suo padre. Ma Dio non dette al diavolo questa gioia [ossia vedere
il figlio armato contro il padre]. Nel tempo in cui Vladimir era malato, aveva
accanto Boris. Marciando i Peceneghi verso la Rus’, egli inviò Boris contro di
loro, poiché egli era in grave salute e di quella malattia egli morì il giorno 15
del mese di luglio. Spirò a Berestovo, e lo nascosero, perché Svjatopolk era
a Kiev. Di notte si aprì un varco nell’andito, lo avvolsero in un tappeto e lo
calarono con delle funi [il palazzo era evidentemente su palafitte o
comunque sopraelevato] e, deposto sulla slitta, lo trasportarono e lo misero
nella chiesa della Santa Madre di Dio, che egli stesso aveva fatto costruire.
Saputo ciò, una folla innumerevole là si diresse e pianse per lui: i bojari per
il difensore della loro terra, gli indigenti per il protettore e benefattore. Poi
lo deposero in un sepolcro di marmo e tra le lacrime seppellirono la salma
del beato principe.
Nuovo Costantino della grande Roma è egli, che da solo si convertì e
battezzò la sua gente, così che questi [Vladimir] fece similmente a quegli
[Costantino]. In precedenza, quand’era pagano, si era abbandonato alle
cattive passioni; più tardi se ne pentì, come disse l’apostolo: «Laddove è
abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia » [Rm 5,20].
Egli si distinse per il pentimento e le elemosine perché è scritto: «Io ti
giudicherò nello stato in cui ti troverò» [cfr. Ez 7 e 24]. E il profeta disse:
«Com’è vero ch’io vivo – oracolo del Signore Dio – io non godo della morte
dell’empio, ma che l’empio desista dalla sua condotta e viva» [Ez 33,11].
Perché molti uomini giusti vivono secondo la legge di Dio e lasciano la retta
via al momento della morte e periscono; e altri vivono in modo empio ma
pentitisi al momento della trapasso si purificano, come disse il profeta: «La
giustizia del giusto non lo salva se pecca [...] Se io dico al giusto: Vivrai, ed
egli, confidando sulla sua giustizia commette l’iniquità, nessuna delle sue
azioni buone sarà più ricordata e morirà nella malvagità che egli ha
commesso. Se dico all’empio: Morirai, ed egli desiste dalla sua iniquità e
compie ciò che è retto e giusto, rende il pegno, restituisce ciò che ha
rubato, osserva le leggi della vita, senza commettere il male, egli vivrà e
non morirà; nessuno dei peccati che ha commessi sarà più ricordato: egli ha
praticato ciò che è retto e giusto e certamente vivrà. [...] Giudicherò
ciascuno di voi secondo il suo modo di agire, Israeliti» [Ez 33,12-20]. Ora,
quest’uomo morì nella retta fede; cancellò i suoi peccati con la contrizione e
con la carità che vale più di ogni altra cosa, poiché è scritto: «Sono state
esaudite le tue preghiere e ricordate le tue elemosine davanti a Dio» [At
10,31].
È cosa meravigliosa quanto bene fece alla terra di Rus’ battezzandola. Ma
noi, sebbene diventati Cristiani, non gli rendiamo un onore degno del suo
operato. Se egli non ci avesse battezzati, ancora oggi saremmo avviluppati
nelle insidie dal diavolo, nella quali perirono i nostri antenati. Se avessimo
avuto maggior rispetto per lui e avessimo pregato Dio per lui nel momento
del suo trapasso, certamente Dio, vedendo il nostro zelo, lo avrebbe
glorificato. Noi dobbiamo dunque pregare Dio per lui; poiché è per mezzo
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suo che abbiamo conosciuto Dio. Possa dunque il Signore ricompensarti
secondo il tuo anima ed esaudire i tuoi desideri, compreso l’anelato regno
dei cieli. Ti offra il Signore la corona dei giusti, l’allegria e il giubilo del
paradiso, insieme ad Abramo e agli altri patriarchi, come disse Salomone:
«Con la morte del giusto non perisce la speranza» [Prv 11,7]. I Russi
perpetuano il suo ricordo quando pensando alla loro conversione e lodando
Dio nelle preghiere, nei canti e nei salmi. Canta al Signore un popolo nuovo,
illuminato dallo Spirito Santo, nella fiduciosa attesa di Dio grande e il nostro
Salvatore, Gesù Cristo, che ricompenserà ognuno secondo le proprie opere,
con una gioia ineffabile che godranno tutti i Cristiani.
Svjatopolk si stabilì a Kiev dopo suo padre e, convocati i Kieviani, cominciò
a distribuire loro dei beni. Essi li accettavano, ma non era con lui il loro
cuore, perché i suoi fratelli erano con Boris. Mentre Boris ritornava con
l’esercito senza aver incontrato i Peceneghi, gli giunse la notizia: «Tuo padre
è morto». Egli pianse molto suo padre perché più di tutti aveva amato suo
padre, e si fermò sull’Al’ta dov’era giunto. Quanti erano nella družina di suo
padre gli dissero: «Ora hai al tuo comando la družina e l’esercito di tuo
padre, va’, insediati a Kiev sul trono di tuo padre». Egli rispose: «Non sarò
io a levare la mano su mio fratello maggiore: se mio padre è morto, sarà lui
a farmi da padre». I guerrieri, udendo ciò, si allontanarono da lui e Boris
rimase solo con i suoi servitori.
Svjatopolk, colmo di iniquità, concepì un disegno degno di Caino, e mandò
[ambasciatori] a Boris per dire: «Voglio vivere con te in amicizia, e ti
aumenterò l’eredità di nostro padre». Egli, però, parlava con inganno,
cercando il modo per ucciderlo. Poi Svjatopolk andò di notte a Vyšgorod, e
convocò segretamente Put’ša e i bojari di Vyšgorod per chiedere: «Mi
servirete voi con tutto il cuore?». Put’ša e gli altri di Vyšgorod risposero:
«Siamo pronti a sacrificare la testa per te». Egli disse loro: «Senza dir nulla
a nessuno, andate e uccidete mio fratello Boris». Essi glielo promisero
immediatamente. È di tali uomini che Salomone disse: «Corrono verso il
male e si affrettano a spargere il sangue. [...] Ma costoro complottano
contro il proprio sangue, pongono agguati contro se stessi. Tale è la fine di
chi si dà alla rapina; la cupidigia toglie di mezzo colui che ne è dominato»
[Prv 1,16-19]. I sicari raggiunsero di notte l’Al’ta, si avvicinarono e udirono
la voce del beato Boris che cantava il Mattutino, perché già sapeva che lo
volevano uccidere. Egli si alzò e cominciò a cantare dicendo: «Signore,
quanti sono i miei oppressori! Molti contro di me insorgono» [Sal 3,2], e
ancora «“Le tue frecce mi hanno trafitto”, sono pronto ai colpi “e ho sempre
dinanzi la mia pena”» [cfr. Sal 38 (37),3-18] E ancora cantava: «Signore,
ascolta la mia preghiera, non chiamare in giudizio il tuo servo: nessun
vivente davanti a te è giusto. Il nemico perseguita la mia anima» [cfr. Sal
143 (142),1-3] Quindi, terminati i sei salmi e scorgendo gli inviati mandati
ad ucciderlo, intonò il Salterio dicendo: «Mi circondano tori numerosi... mi
assedia una banda di malvagi» [Sal 22 (21), 13 e 17] e «Signore, mio Dio,
in te mi rifugio: salvami e liberami da chi mi perseguita» [Sal 7,2], Poi
cantò il Canone, quindi, terminato il Mattutino, pregò fissando un’icona con
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l’immagine del Salvatore e disse «Signore Gesù Cristo, che con queste
sembianze ti sei mostrato sulla terra, e per tua volontà hai lasciato
inchiodare le tue mani sulla croce, e hai accolto la tua passione per i nostri
peccati, concedi anche a me di subire la mia. Non la ricevo da nemici, bensì
da mio fratello, ma “Signore, non imputar loro questo peccato”» [At 7,60].
E dopo aver pregato ancora un poco, si gettò sul suo giaciglio. Ed ecco che
gli assassini si precipitarono, come bestie feroci, intorno alla sua tenda e
con le loro lance trafissero Boris, e il suo servo, gettatosi su di lui per
proteggerlo, insieme a lui trafissero. Boris lo amava molto. Era questi un
giovane di origine magiara, il preferito di Boris; si chiamava Georgij e Boris
grandemente lo amava. Gli aveva donato un magnifico collare d’oro che egli
indossava al suo cospetto. Uccisero un gran numero dei servitori di Boris; a
questo Georgij, non riuscendo a togliergli in fretta il collare, gli tagliarono la
testa e presero il collare e gettarono via la testa, cosicché, più tardi, non
trovarono il suo corpo fra i cadaveri. Assassinato Boris, gli scellerati lo
avvolsero nella tenda, e lo deposero sul carro e lo portarono via che ancora
respirava. Quando l’empio Svjatopolk seppe che respirava ancora, mandò i
Varjaghi a finirlo. Vennero quei due e vedendolo che era ancora in vita, uno
dei due sguainò la spada e gli trafisse il cuore. Così morì il beato Boris,
accogliendo la corona di Gesù Cristo insieme ai giusti, annoverati tra i
profeti e gli apostoli, mescolandosi alle schiere dei martiri, riposando nel
grembo di Abramo, contemplando la gioia ineffabile, cantando con gli angeli
e giubilando con le schiere dei santi.
E trasportarono segretamente il suo corpo a Vyšgorod e lo seppellirono nella
chiesa di San Basilio. Quegli empi sicari vennero a Svjatopolk, come per
reclamare gloria, i miserabili. I nomi di tali iniqui sono Put’ša e Talec’, Elovit
e Ljaško. Loro padre è Satana. Sono stati servi dei demoni; i demoni,
infatti, sono inviati per fare il male, e gli angeli per il bene, poiché l’angelo
non fa alcun male all’uomo, bensì pensa sempre al suo bene, ancor più
soccorre i Cristiani e li protegge dal diavolo, loro nemico, mentre i demoni
non incitano che al male perché invidiosi dell’uomo che vedono stimato da
Dio e rosi dal livore sono solleciti a invitare al male. Infatti il Signore
domandò: «Chi ingannerà Acab re di Israele [...] Si fece avanti uno spirito
che [...] disse: Io lo ingannerò». [2 Cr 18,19-20].] L’uomo cattivo che si
consegna al male è peggiore del demonio, perché i demoni temono Dio,
mentre l’uomo malvagio non ha né timore di Dio, né vergogna dinanzi agli
uomini. I demoni temono la croce del Signore, mentre l’uomo malvagio non
ha timore della croce del Signore. E Davide disse: «Rendete veramente
giustizia o potenti, giudicate con rettitudine gli uomini? Voi tramate iniquità
con il cuore, sulla terra le vostre mani preparano violenze. Sono traviati gli
empi fin dal seno materno, si pervertono fin dal grembo gli operatori di
menzogna. Sono velenosi come il serpente» [Sal 58 (57), 1-5].
L’empio Svjatopolk rifletté fra sé e disse: «Ecco, ho ucciso Boris; ora come
ucciderò Gleb?». E concepì un disegno degno di Caino. Inviò con l’inganno
[un messaggero] a Gleb per dirgli: «Vieni, affrettati, presto, nostro padre ti
invoca perché è molto malato». Gleb balzò subito a cavallo, e partì con una
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piccola družina, perché era molto obbediente al padre. Quando raggiunse la
Volga, il suo cavallo incespicò in una buca nei campi e si ferì alquanto a una
zampa. Quindi Gleb giunse a Smolensk, e sul fiume Smjadyn’ prese una
barca. In quel momento, Jaroslav, avendo appreso da Predslava [figlia di
Vladimir] la morte del padre, e Jaroslav fece avvisare Gleb dicendo: «Non
andare, tuo padre è morto e tuo fratello è stato ucciso da Svjatopolk». Gleb,
intendendo ciò, pianse per il padre e più ancora per il fratello, e
singhiozzando si mise a pregare, dicendo: «Ahimé, Signore, meglio sarebbe
stato che io fossi morto con mio fratello piuttosto che vivere in questo
mondo. Se avessi visto, fratello mio, il tuo viso angelico, sarei morto con te.
Ora, perché sono restato solo? Dove sono quelle parole che mi rivolgevi,
fratello mio amato? Non sentirò più i tuoi miti consigli. Se godi la fiducia del
Signore, prega per me, affinché anch’io sopporti la passione. Meglio sarebbe
stato per me morire con te, che vivere in questo mondo di tentazioni». E
mentre pregava e piangeva, arrivarono gli inviati di Svjatopolk per uccidere
Gleb, e costoro sfoderarono le spade. Il terrore vinse i servi di Gleb; e uno
degli inviati, il miserabile Gorjaser’ ordinò di sgozzare immediatamente
Gleb; il cuoco di Gleb, di nome Torčin, afferrò un coltello e sgozzò Gleb
come agnello innocente. Fu immolato «a Dio in sacrificio di soave odore» [Ef
5,2] e come una vittima incolpevole ricevette la corona ed entrò nel regno
dei cieli e vide il suo amato fratello, e insieme a lui si rallegrò della gioia
ineffabile che dava il loro amor fraterno. «Ecco quanto è buono e quanto è
soave che i fratelli vivano insieme!» [Sal 133 (132),1]. E i miserabili
tornarono indietro, come disse Davide: «Tornino gli empi negli inferi» [Sal
9,18]. E ancora: «Gli empi sfoderano la spada e tendono l’arco per
abbattere il misero e l’indigente, per uccidere chi cammina sulla retta via.
La loro spada raggiungerà il loro cuore e i loro archi si spezzeranno» [Sal 37
(36),14.15] e « Poiché gli empi periranno [...] tutti come fumo svaniranno»
[Sal 37 (36),20]. Essi ritornarono e riferirono a Svjatopolk: «Abbiamo
compiuto il tuo ordine». A queste parole egli molto s’inorgoglì nel cuore, non
sapendo che Davide disse: «Perché ti vanti del male o prepotente nella tua
iniquità? Ordisci insidie ogni giorno; la tua lingua è come lama affilata,
artefice di inganni. Tu preferisci il male al bene, la menzogna al parlare
sincero. Ami ogni parola di rovina, o lingua di impostura. Perciò Dio ti
demolirà per sempre, ti spezzerà e ti strapperà dalla tenda e ti sradicherà
dalla terra dei viventi» [Sal 52 (51),3-7]
Gleb fu dunque ucciso e gettato sulla riva tra due tronchi, in seguito lo si
levò e lo si trasportò e lo si seppellì vicino al fratello nella chiesa di San
Basilio.
Uniti nei corpi e più ancora nelle anime, essi dimorarono vicino al Signore,
Re dei re, in una gioia sconfinata e in uno splendore ineffabile, donarono
doni di salvezza ai Russi e, a coloro che vengono con fede da altri paesi,
offrite la guarigione: la facoltà di camminare agli zoppi, la vista ai ciechi, la
salute agli ammalati, la libertà ai prigionieri; aprono le segrete ai prigionieri,
consolano gli afflitti, salvano i perseguitati; sono i difensori della Rus’, torce
risplendenti che incessantemente pregano il Signore per la loro gente. Così
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anche noi dobbiamo lodare degnamente questi martiri di Cristo e pregarli
con fervore dicendo: «Esultate, martiri di Cristo, difensori della terra di Rus’,
affinché alleviate coloro che vengono a voi con fede e amore; esultate,
abitanti dei cieli, angeli incarnati, perché avete professato la fede dei servi
di Cristo, animati dagli stessi pensieri, colmi dello stesso spirito e dello
stesso cuore dei santi, perciò donate la salute a tutti coloro che soffrono.
Esultate, Boris e Gleb, ricolmi di saggezza divina, perché come ruscelli fate
scaturire dalla sorgente l’acqua vivificante e la versate per il sollievo dei
fedeli; esultate, perché dopo aver calpestato il malvagio serpente, vi siete
mostrati circondati di raggi lucenti, come torce illuminanti tutta la terra di
Rus’, ricacciando le tenebre e mostrandovi con fede incrollabile. Esultate,
perché avete conquistato un occhio sempre vigile, custodendo nel vostro
cuore un’anima benedetta penetrata dal Signore; esultate insieme, fratelli,
nella dimora celeste, nel luogo della felicità, nella gloria imperitura, che
avete conquistato con i vostri meriti; esultate, perché siete rivestiti di luce
del Signore e percorrete il mondo intero cacciando i demoni, curando i
pazienti, torce superbe, difensori zelanti che vivete accanto a Dio, sempre
inondati dai raggi divini, martiri coraggiosi che illuminate l’anima dei fedeli.
Elevati dalla luminosa grazia del Signore, avete ricevuto tutte le bellezze
della vita celeste, la gloria e l’alimento del paradiso, la luce della saggezza,
la gioia della riconoscenza; esultate, perché voi, inondando tutti i cuori,
scacciate dolori e pene e curate sofferenze terribili che con gocce del vostro
sangue avete imporporato. Voi regnerete in eterno con Cristo, pregando per
le nuove genti cristiane e vostri conterranei, poiché la terra di Rus’ fu
benedetta dal vostro sangue e, martiri tra i martiri, con le vostre reliquie
ospitate in chiesa, la illuminate di spirito divino e in essa pregate per il
vostro popolo. Esultate, perché, con la vostra passione, siete il fulgente sole
che la Chiesa serra nella gloria dei martiri. Esultate, stelle risplendenti, che
illuminate all’alba rifulgendo sempre l’ascesa; martiri fedeli a Cristo e nostri
protettori, aggiogate i pagani ai piedi dei nostri principi, pregate il Signore
nostro Dio affinché essi vivano in pace, armonia e salute, salvateli dalle
guerre intestine e dagli inganni del diavolo, concedete anche a noi di elevare
inni, di onorarvi e di celebrare la vostra festa in tutti i secoli fino alla fine.
XLVIII. Guerra tra Jaropolk e Svjatopolk (1015)
L’empio e malvagio Svjatopolk fece poi uccidere Svjatoslav, sui monti
dell’Ugria [o Monti Magiari] perché tra i Magiari si era rifugiato. E pensava
tra sé: «Ucciderò tutti i miei fratelli e m’impossesserò di tutto il potere della
Rus’». È così che pensava nell’altezzosità della sua mente, non sapendo che
«il Dio altissimo domina sul regno degli uomini, sul quale innalza chi gli
piace» [Dn 5,21] insediando re o principi o chi gli aggrada. Se un popolo
sarà gradito a Dio, darà a esso un re o un principe giusto, amante della
giustizia e della legge, e designerà un governatore e un giudice che
amministri la giustizia. Quando i principi sono giusti in una terra, molti
peccati le saranno perdonati, invece quando i principi sono malvagi e iniqui,
Dio rovescerà sventure su quella terra, perché il principe ne è alla testa.
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Così disse Isaia: «Dalla pianta dei piedi alla testa essi hanno peccato» [cfr.
Is 1,6], cioè dal principe fino al basso volgo. Guai dunque alla città il cui
principe è giovane, amante del vino al suono delle gusli [strumento
musicale a corde] in compagnia di giovani consiglieri, poiché Dio manda
costoro per i peccati del popolo, mentre sottrae gli anziani e i saggi, come
disse Isaia: «Il Signore, Dio degli eserciti, toglie a Gerusalemme [...] ogni
genere di sostegno [...] il prode e il guerriero, il giudice e il profeta,
l’indovino e l’anziano, il capo di una cinquantina e il notabile, il consigliere e
il mago sapiente e l’esperto di incantesimi. Io metterò come loro capi
ragazzi, monelli li domineranno » [Is 3,1-4].
L’empio Svjatopolk iniziò a regnare a Kiev, e convocò il popolo e si mise a
distribuire ad alcuni un mantello, ad altri denari e dispensò grandi ricchezze.
Jaroslav ignorava ancora la morte del padre e aveva presso di sé molti
Varjaghi, i quali facevano violenza ai Novgorodiani e alle loro mogli, e
insorsero i Novgorodiani e fecero strage dei Varjaghi nel palazzo di
Poromon. S’infuriò Jaroslav e, andato a Rakomo, si chiuse nel palazzo, e
mandò [ambasciatori] ai Novgorodiani per dire: «Non mi è possibile
risuscitarli». E chiamò a sé gli uomini migliori che avevano ucciso i Varjaghi,
e li uccise con l’inganno. Quella stessa notte ricevette dalla sorella Predslava
un messaggio da Kiev: «Tuo padre è morto, Svjatopolk si è insediato a Kiev
dopo aver ucciso Boris e mandato per [uccidere] Gleb, guardati da lui».
All’udir ciò, Jaroslav pianse per il padre, il fratello e la družina. L’indomani
presto Jaroslav riunì quanti rimanevano dei Novgorodiani dicendo: «O mia
cara družina, che ieri ho messo a morte ed oggi invece mi sarebbe molto
utile». Egli si asciugò le lacrime e disse loro nel veče: «Mio padre è morto e
Svjatopolk regna a Kiev e massacra i suoi fratelli». I Novgorodiani
risposero: «Sebbene i nostri fratelli siano stati uccisi, noi possiamo ora
combattere con te». E Jaroslav adunò mille Varjaghi e quarantamila altri
soldati e marciò contro Svjatopolk, e invocando Dio disse: «Non io cominciai
a uccidere i miei fratelli, bensì lui, che Dio sia il vendicatore del sangue dei
miei fratelli, poiché egli versò il sangue innocente dei giusti Boris e Gleb.
Farà forse anche con me lo stesso? Ma giudicami, o Signore, secondo
giustizia, affinché la malvagità del peccatore abbia fine». E mosse contro
Svjatopolk. Quando Svjatopolk ebbe appreso della marcia di Jaroslav, riunì
un esercito innumerevole di Russi e Peceneghi e uscì contro di lui presso
Ljubeč’, su questa riva del Dnepr, mentre Jaroslav era sull’altra.
XLIX. Principato di Jaroslav a Kiev (1016)
Nel 6524 [1016], giunse Jaroslav e si trovarono uno di fronte all’altro
[Svjatopolk] sulle opposte rive del Dnepr, e non osavano attaccare né gli
uni, né gli altri, e restarono così contrapposti per tre mesi. E il voivoda di
Svjatopolk, cavalcando lungo la riva, si mise a insultare i Novgorodiani,
dicendo: «Perché siete venuti con questo zoppo [Jaroslav lo era]? Voi siete
carpentieri, vero? Noi vi affideremo la costruzione delle nostre case». I
Novgorodiani, sentendo ciò, dissero a Jaroslav: «Domani tragitteremo e li
attaccheremo, e colui che non verrà, sarà da noi stesso ucciso». Stava già
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cominciando a gelare. Svjatopolk era accampato fra due laghi, e passò tutta
la notte a bere con la sua družina. Jaroslav schierò la sua družina e traversò
il fiume prima del levar del sole. Sbarcati sulla riva, allontanarono le barche
dalla riva e mossero subito all’attacco gli uni contro gli altri. E fu un terribile
massacro e il lago impedì il soccorso dei Peceneghi; Sviatopolk e la sua
družina furono schiacciati contro il lago e camminarono sul ghiaccio, ma il
ghiaccio si ruppe per il sovrappeso e Jaroslav prese il sopravvento. Vedendo
ciò Svjatopolk fuggì e Jaroslav vinse. Sviatopolk si rifugiò dai Ljachi e
Jaroslav si insediò a Kiev sul trono del padre e degli avi. Jaroslav aveva
allora ventotto anni.
L. Guerra contro Boleslav (1018)
Nell’anno 6525 [1017], Jaroslav venne a Kiev e delle chiese bruciarono.
Nell’anno 6526 [1018], Boleslav marciò contro Svjatopolk [che era cognato
di Boleslav] e i Ljachi contro Jaroslav. Jaroslav radunò molti guerrieri russi e
varjaghi e slavi, marciò contro Boleslav e Svjatopolk e raggiunse Volynia e si
accamparono sulle due rive del fiume Bug. Jaroslav aveva con sé il suo
tutore e voivoda, di nome Buda. E Buda si mise a insultare Boleslav dicendo
«Infilzeremo il tuo grasso ventre con un palo», perché Boleslav era grande e
grosso, tanto che a fatica riusciva a montare a cavallo, ma era saggio. E
Boleslav disse alla sua družina: «Se questa ingiuria non vi offende, solo io
perirò». E si slanciò a cavallo nel fiume e il suo esercito lo seguì. Jaroslav
non riuscì a schierarsi e Jaroslav fu vinto da Boleslav. Jaroslav fuggì con
quattro uomini a Novgorod e Boleslav entrò a Kiev con Svjatopolk. E
Boleslav disse «Che la mia družina passi in rassegna la città per la
sottomissione». Ciò si compì.
Jaroslav, rifugiatosi a Novgorod, voleva riparare al di là del mare, ma il
governatore Konstantin, figlio di Dobrynja, e i Novgorodiani frantumarono
con le accette [o: bruciarono] le navi di Jaroslav, dicendo: «Vogliamo ancora
combattere contro Boleslav e Svjatopolk». E si misero a raccogliere il tributo
in misura di quattro pelli di martora per ogni uomo, dieci grivny a testa per
anziano, e diciotto grivny per bojaro. E chiamarono i Varjaghi e
consegnarono loro il tributo, e Jaroslav riunì un numeroso esercito.
Boleslav, intanto, era a Kiev e l’empio Svjatopolk disse: «Uccidete tutti i
Ljachi che trovate in città». E sterminarono i Ljachi. Boleslav fuggì da Kiev,
portando con sé il tesoro e i bojari di Jaroslav e sua sorella [sposa di
Svjatopolk] e stabilì Anastasio della [chiesa della] Decima a custode dei
beni, perché gli aveva guadagnato la fiducia con l’inganno, e [Boleslav]
portò con sé una moltitudine di persone e conquistò la città di Červen e
rientrò nella sua terra. Svjatopolk si mise a regnare a Kiev. E Jaroslav
marciò contro Svjatopolk e Jaroslav vinse Svjatopolk e fuggì Svjatopolk
presso i Peceneghi.
LI. Sconfitta e fuga di Svjatopolk (1020)
Nell’anno 6527 [1019], Svjatopolk ritornò con i Peceneghi in gran forza e
Jaroslav riunì molto guerrieri e marciò contro di lui sul fiume Al’ta. Jaroslav
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si fermò nel luogo dove Boris era stato ucciso e, levate le mani al cielo,
disse: «Il sangue di mio fratello grida a te Signore [cfr. Gn 4,10], vendica il
sangue di questo giusto, come hai vendicato il sangue di Abele infliggendo a
Caino gemiti e terrore. Che sia lo stesso per Svjatopolk!». E pregò dicendo:
«Fratelli miei, sebbene con il corpo abbiate abbandonato questo luogo,
aiutatemi con la vostra preghiera e soccorretemi contro questo avversario
assassino e superbo».
Dopo questa preghiera, avanzarono gli uni contro gli altri, e la piana
dell’Al’ta fu ricoperta da una moltitudine dei guerrieri di entrambi gli eserciti.
Era un venerdì e al levar del sole incrociarono le armi ambo i contendenti e
il combattimento fu terribile, e mai si era visto di simile nella Rus’. Si
afferravano con le mani e si squartavano l’un l’altro, e per tre [o: due] volte
si ricominciò la mischia, e il sangue scorreva come ruscelli in montagna. Sul
far della sera, Jaroslav vinse, e Svjatopolk fuggì e mentre fuggiva, il diavolo
s’impossessò di lui, le sue ossa si indebolirono, non si resse più sul cavallo e
dovettero portarlo in barella. E i fuggiaschi andarono a Berest’e. Egli diceva:
«Fuggite con me, ci inseguono!». I suoi famigli mandarono in esplorazione:
«Forse che qualcuno ci insegue?» ma non v’era nessuno che li inseguisse, e
continuarono a fuggire con lui. Egli giaceva malato, ma sollevandosi un po’
esclamava: «Ecco, ci inseguono, ci inseguono, fuggite!», e non voleva
fermarsi in alcun luogo e fuggendo attraversò il paese dei Ljachi,
perseguitato dalla rabbia di Dio. Raggiunse il deserto tra il paese dei Ljachi
e quello dei Cechi e là spirò, malamente.
Poiché egli era ingiusto, il giudizio di Dio fu emesso e dopo uscito da questo
mondo, egli, misero, trovò i tormenti dei dannati, come provò la ferita letale
che gli fu inflitta senza pietà e lo condusse alla morte; e dopo la morte, fu
consegnato ai tormenti eterni, relegato nell’abisso dell’inferno. Il suo tumulo
esiste ancora oggi nel deserto e ne fuoriesce un fetore orribile. Tale fu un
avvertimento di Dio ai principi russi, affinché, se mai tenessero una
condotta simile, si ricordino che riceveranno un castigo simile o anche
maggiore, giacché, pur conoscendo ciò, un così turpe fratricidio
commetterebbero. Caino, l’uccisore di Abele, fu colpito sette volte, mentre
Lamech settanta volte, perché Caino ignorava il castigo di Dio che
l’aspettava, invece Lamech, conoscendo il castigo abbattutosi sul suo avo,
commise lo stesso un omicidio. Lamech disse alle mogli: «Ho ucciso un
uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte
sarà vendicato Caino ma Lamech settantasette» [Gn 4,23-24], perché, pur
sapendo, aveva ucciso i due figli di Enoch e preso per sé le loro mogli. E
Svjatopolk è un novello Abimelech, che fu generato dall’adulterio e che
uccise i suoi fratelli, figli di Gedeone [Gdc 9], così anche egli si comportò.
Jaroslav giunse a Kiev e vi si insediò dopo essersi ripulito dai suoi sudori con
la sua družina manifestando la vittoria e il grande impegno.
Nell’anno 6528 [1020], un figlio nacque a Jaroslav e gli si dette nome
Vladimir.
Nell’anno 6529 [1021], Brjačislav, figlio di Izjaslav e nipote di Vladimir,
marciò contro Novgorod, occupò questa città e preso un gran numero di
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Novgorodiani con le loro fortune, se ne ritornò verso Polock. Ma quando
arrivò al fiume Sudomir, Jaroslav, partito da Kiev, lo raggiunse qui il settimo
giorno e Jaroslav vinse Brjačislav e fece tornare i Novgorodiani a Novgorod,
mentre Brjačislav fuggì a Polock.
LII. Lotta tra Mstislav e Rededja (1022)
Nell’anno 6530 [1022] Jaroslav venne a Berest’e. In quel tempo Mstislav,
che era a Tmutorokan’, marciò contro i Kasoghi. Alla notizia, Rededja,
principe dei Kasoghi, avanzò contro di lui. E i due eserciti si trovarono l’uno
di fronte all’altro, e Rededja disse a Mstislav: «Perché far perire le družine
fra di loro? Scendiamo piuttosto noi due in lotta: se tu sarai vincitore,
prenderai i miei beni, mia moglie, i miei figli e la mia terra. Se vincerò io,
prenderò tutti i tuoi beni». E Mstislav disse «Che sia così!». E Rededja disse
a Mstislav «Non ci batteremo con le armi, ma faremo la lotta». E si
avvinghiarono in un’energica lotta, ed essi lottarono a lungo. E Mstislav
cominciò a indebolirsi, perché Rededja era grande e forte, e Mstislav disse:
«O purissima Madre di Dio, aiutami. Se lo vincerò, farò costruire una chiesa
in tuo onore». E detto ciò lo scaraventò a terra, prese il pugnale e trafisse
Rededja. Mstislav entrò nella sua terra e prese tutti i suoi beni, sua moglie e
i suoi figli e impose tributo ai Kasoghi. Ritornato a Tmutorokan’, gettò le
fondamenta della chiesa alla Santa Deipara e la costruì, è quella che ancora
oggi è a Tmutorokan’.
Nell’anno 6531 [1023], Mstislav marciò contro Jaroslav con i Chazari e i
Kasoghi.
LIII. Guerre civili
Nell’anno 6532 [1024], mentre Jaroslav era a Novgorod, Mstislav venne da
Tmutorokan’ a Kiev, e i Kieviani non lo ricevettero. Se ne andò allora e si
stabilì a Černigov, mentre Jaroslav restava a Novgorod.
In quell’anno apparvero gli indovini a Suzdal’ e uccisero gli anziani per
istigazione del diavolo e dei demoni, dicendo che essi nascondevano le
riserve [dei raccolti]. E vi fu una grande rivolta e la carestia in tutte le
regioni; andarono tutti lungo la Volga, dai Bulgari, e carreggiarono il grano e
così sopravvissero. Jaroslav, sentendo degli indovini, andò a Suzdal’, arrestò
gli indovini, alcuni li esiliò, altri li punì, dicendo così: «Dio, a causa dei nostri
peccati, manda a ogni terra carestia, o peste, o siccità, o altro castigo,
l’essere umano invece ignora». Poi Jaroslav ritornò a Novgorod, e mandò
[ambasciatori] al di là del mare per [arruolare] i Varjaghi. E venne Jakun
con i Varjaghi. Jakun era bello e aveva il mantello intessuto d’oro. E venne
da Jaroslav e partì Jaroslav con Jakun contro Mstislav. Mstislav, saputo ciò,
marciò loro incontro verso la città di Listven. Alla sera, Mstislav schierò la
družina, mettendo i Severjani di fronte ai Varjaghi e ponendosi egli stesso
con la propria družina sulle ali. Calata la notte, arrivarono lampi e tuoni e
pioggia, e disse Mstislav alla sua družina: «Attacchiamoli ora». E Mstislav e
Jaroslav si mossero l’uno contro l’altro; i Severjani si slanciarono contro i
Varjaghi, e furono impegnati i Varjaghi nel falcidiare i Severjani e dopo [o:
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quando i Varjaghi furono spossati] attaccò Mstislav con la sua družina e
prese a massacrare i Varjaghi; la carneficina fu terribile, al lucore dei lampi
si mescolava il bagliore delle armi; la tempesta era furiosa, la lotta
possente. Jaroslav, vedendosi vinto, fuggì con Jakun, principe dei Varjaghi,
e Jakun nella fuga perdette il suo mantello d’oro. Jaroslav ritornò a
Novgorod, invece Jakun attraversò il mare.
L’indomani all’alba, Mstislav, vedendo i cadaveri dei Varjaghi di Jaroslav
insieme ai suoi Severjani, disse: «Come non rallegrarsi di ciò? Qui giacciono
invero i Severjani, e là i Varjaghi, ma la mia družina è al completo». E
Mstislav mandò a dire a Jaroslav: «Insediati tu a Kiev perché sei il fratello
maggiore, a me invece andrà questa terra». Ma Jaroslav non osò andare a
Kiev fintanto che non fu firmata la pace. E Mstislav si stabilì a Černigov,
mentre Jaroslav a Novgorod, e gli uomini di Jaroslav a Kiev.
Questo stesso anno nacque a Jaroslav un altro figlio e lo chiamò Izjaslav.
Anno 6533 [1025].
Nell’anno 6534 [1026] Jaroslav riunì un numeroso esercito e venne a Kiev, e
concluse la pace con il suo fratello Mstislav a Gorodec. E si divisero la terra
di Rus’ lungo il Dnepr. Jaroslav ricevette questa riva [l’occidentale] mentre
Mstislav l’altra. E si misero a vivere in pace e fraterno amore e cessarono le
discordie e le sommosse, un grande silenzio avvolse la terra.
Nell’anno 6535 [1027], il terzo figlio nacque a Jaroslav e gli dette nome
Svjatoslav.
Nell’anno 6536 [1028], un segno in forma di serpente apparve in cielo e fu
visibile da tutta la terra.
Nell’anno 6537 [1029], si ebbe la pace.
Nell’anno 6538 [1030], Jaroslav conquistò Bel’z. E nacque a Jaroslav il
quarto figlio e lo chiamò Vsevolod. In quell’anno, Jaroslav marciò contro i
Čudi, li vinse e fondò la città di Jur’ev. Verso quel tempo morì Boleslav il
Grande fra i Ljachi, e vi furono dei tumulti nella terra dei Ljachi: il popolo
insorse, sollevò e uccise i vescovi, i sacerdoti e i propri bojari, e vi fu tra
loro una rivolta.
Nell’anno 6539 [1031], Jaroslav e Mstislav radunarono un numeroso
esercito e marciarono contro i Ljachi, e presero di nuovo la città di Červen e
saccheggiarono la terra dei Ljachi, e si spartirono i molti prigionieri ljachi.
Jaroslav insediò i suoi lungo il fiume Ros’, dove vivono ancora oggi.
Nell’anno 6540 [1032], Jaroslav cominciò a fondare città lungo il fiume Ros’.
Nell’anno 6541 [1033], Evstatij, figlio di Mstislav [Vladimirovič], morì.
LIV. Morte di Mstislav (1036)
Anni 6542, 6543 [1034-1035].
Nell’anno 6544 [1036], Mstislav andò a caccia, si ammalò e morì. E lo
seppellirono nella chiesa del Salvatore che aveva fondato lui stesso: aveva
voluto che la chiesa fosse così alta che, seduti in groppa a un cavallo, si
potesse stare dentro col braccio alzato. Mstislav era grosso di corporatura,
rubizzo il viso, occhi grandi, ardito in battaglia, caritatevole e amava la
družina sopra ogni cosa e non risparmiava per essa le ricchezze, le bevande
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e neanche il cibo. Di seguito, Jaroslav assunse tutto il suo potere e diventò
l’unico sovrano della terra di Rus’.
Jaroslav andò a Novgorod e stabilì suo figlio Vladimir a Novgorod, e come
vescovo scelse Židjata. In quel tempo un figlio nacque a Jaroslav e lo
chiamarono Vjačeslav. Intanto che Jaroslav era a Novgorod, apprese che i
Peceneghi stavano assediando Kiev. Radunato l’esercito di Varjaghi e Slavi,
corse a Kiev ed entrò nella sua città. E trovò innumerevoli Peceneghi.
Jaroslav uscì dalla città e dispose l’esercito in battaglia, mettendo i Varjaghi
nel mezzo, i Kieviani li schierò all’ala destra e i Novgorodiani all’ala sinistra.
E rimasero fermi davanti alla città.
Intanto avanzarono i Peceneghi e si scontrarono sul luogo dove oggi si erge
Santa Sofia, la metropolia russa: a quei tempi era un campo fuori della
città. Il combattimento fu accanito e Jaroslav risultò vincitore soltanto verso
sera. I Peceneghi fuggirono senz’ordine e non sapevano da che parte
andare, tanto che alcuni fuggendo annegarono nel Setoml’, altri in altri
fiumi, e altri ancora fuggirono e non sono mai più tornati. Quell’anno,
Jaroslav rinchiuse in carcere a Pleskov [Pskov] suo fratello Sudislav, poiché
l’aveva calunniato davanti a lui.
LV. Fondazioni di Jaroslav (1037)
Nell’anno 6545 [1037], Jaroslav costruì a Kiev il cremlino con la Porta d’oro.
Fondò anche la chiesa di Santa Sofia, la Metropolia, e poi, sopra la Porta
d’Oro la chiesa dell’Annunciazione alla Santa Deipara, poi il monastero di
San Georgij e la chiesa di Sant’Irene. E sotto di lui la fede cristiana iniziò a
propagarsi e a fiorire nella Rus’, e i monaci a moltiplicarsi e i monasteri a
sorgere. Jaroslav rispettava i regolamenti ecclesiastici e amava i sacerdoti e
ancor più i monaci, e ai libri si applicava e spesso li leggeva notte e giorno.
Radunò molti scribi e con loro traduceva dalla scrittura greca in quella slava.
E scrissero molti libri questi uomini di fede, istruendosi in essi e
nell’insegnamento divino trovavano piacere. Giacché se uno arerà la terra,
qualcun altro la seminerà, e altri mieteranno e avranno cibo in abbondanza;
così avvenne anche allora: il padre suo Vladimir arò la terra e la rese
friabile, ossia la illuminò col battesimo, e costui [Jaroslav] seminò con le
parole scritte nei libri nei cuori dei devoti; e noi invece mietiamo, ricevendo
l’insegnamento dei libri. Poiché arreca grande utilità la scienza dei libri, i
libri ci edificano e ci mostrano la via del pentimento; dai libri acquisiamo la
saggezza e la temperanza; essi sono fiumi che irrigano l’universo, sono
sorgenti di sapienza. Vi è nei libri una profondità incommensurabile, danno
consolazione nel dolore, frenano l’intemperanza. Grande è la saggezza,
come diceva Salomone lodandola: «Io, la Sapienza, possiedo la prudenza e
ho la scienza e la riflessione. Temere il Signore [...] A me appartiene il
consiglio e il buon senso, io sono l’intelligenza, a me appartiene la potenza
[...] Io amo coloro che mi amano e quelli che mi cercano mi troveranno»
[Prv 8,12-17]. Se dunque voi cercate nei libri la saggezza con diligenza, voi
trarrete gran profitto per la vostra anima; poiché colui che legge
assiduamente i libri conversa con Dio oppure con i santi. Colui che legge i
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discorsi dei profeti e gli insegnamenti evangelici e degli apostoli e le vite dei
santi padri, troverà per la sua anima grande utilità.
Jaroslav dunque, come abbiamo detto, amava i libri e dopo averne copiati
molti li lasciò in Santa Sofia, che egli stesso aveva costruito, e la ornò di
icone preziose, d’oro e d’argento, e di vasi sacri, e in essa si cantano nelle
ore prestabilite gli inni del Signore. E fondò altre chiese nelle città e nei
villaggi, assegnando ad esse dei sacerdoti e assicurando a costoro uno
stipendio [prelevato] dalle proprie sostanze. Ordinò loro di istruire la
popolazione e di andare frequentemente in chiesa; poiché spetta ai
sacerdoti istruire il popolo, come è prescritto da Dio. E il numero dei
sacerdoti e dei cristiani aumentava. Jaroslav si rallegrava vedendo molte
chiese e molti cristiani, e il demone si afflisse vedendosi sconfitto dai nuovi
cristiani.
Nell’anno 6546 [1038], Jaroslav marciò contro gli Jatvighi.
Nell’anno 6547 [1039], la chiesa alla Santa Deipara che aveva costruito
Vladimir, padre di Jaroslav, fu consacrata dal metropolita Feopempt.
Nell’anno 6548 [1040], Jaroslav marciò contro la Lituania.
Nell’anno 6549 [1041] Jaroslav mosse con le navi contro i Masoviani.
Nell’anno 6550 [1042], Vladimir, figlio di Jaroslav, marciò contro gli Emi e li
vinse e i cavalli dell’esercito di Vladimir rovinarono in terra. I cavalli
respiravano ancora mentre la pelle si lacerava: c’era la peste fra i cavalli.
LVI. Ritirata contro i Greci (1043)
Nell’anno 6551 [1043], Jaroslav inviò suo figlio Vladimir contro i Greci,
dandogli molti guerrieri e conferendo il comando a Vyšata, il padre di Jan. E
Vladimir partì con i vascelli, e navigando arrivarono al Danubio e si diressero
verso Car’grad. Si alzò una gran tempesta che distrusse i vascelli dei Russi,
il vento spezzò persino quello del principe, che fu raccolto sul suo vascello
da Ivan, figlio di Tvorimir, il voivoda di Jaroslav. Il resto degli uomini fu
gettato sulla costa in numero di seimila. Ed essi vollero ritornare nella Rus’,
ma nessuno della družina del principe si decideva ad accompagnarli. Vyšata
disse «Andrò io con loro». E sceso dalla nave, li raggiunse dicendo «Se
sopravvivrò sarò con essi, se morirò sarò con la družina». E partirono in
direzione della Rus’. E i Greci appresero la notizia che il mare aveva disperso
i Russi e l’imperatore, di nome Monomach [Costantino IX Monomaco] inviò
contro la Russia quattordici navi.
Vladimir e la sua družina, vedendosi affrontati, ritornarono indietro,
distrussero i vascelli greci e tornarono nella Rus’. Vyšata e quanti erano stati
gettati sulla costa furono catturati e condotti a Car’grad, molti russi furono
accecati. Tre anni più tardi, quando la pace fu conclusa, li si rinviò nella
Rus’, da Jaroslav.
In quel tempo Jaroslav concesse in isposa sua sorella a Cazimiro [re dei
Ljachi], e Cazimiro rese, come dono di nozze, ottocento russi imprigionati
da Boleslav dopo aver vinto Jaroslav.
Nell’anno 6552 [1044], si dissotterrarono i corpi di due principi, Jaropolk e
Oleg, figli di Svjatoslav, si battezzarono le loro ossa e li si seppellì nella
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chiesa della Santa Deipara. In quell’anno morì Brjačislav, figlio di Izjaslav,
nipote di Vladimir, padre di Vseslav; e suo figlio Vseslav salì sul trono.
Questi era nato per magia. Quando sua madre lo mise al mondo, egli aveva
sul capo una ulcera [o: ferita]; i maghi dissero alla madre: «Fasciala perché
se la porterà tutta la vita». E Vseslav la porta ancora oggi e per tale ragione
non lo impietosisce lo spargimento di sangue.
Nell’anno 6553 [1045], Vladimir pose le fondamenta della chiesa di Santa
Sofia a Novgorod.
Nell’anno 6554 [1046], vi fu completa calma.
Nell’anno 6555 [1047], Jaroslav marciò contro i Masoviani e li vinse, uccise
il loro principe Moislav, e sottomise Cazimiro.
Anno 6556, 6557 [1048-1049].
Nell’anno 6558 [1050], la principessa sposa di Jaroslav morì il decimo
giorno del mese di febbraio.
LVII. Storia del monastero delle Grotte
L’anno 6559 [1051], Jaroslav, riuniti i vescovi, elevò Ilarion, nativo della
Rus’, metropolita della chiesa di Santa Sofia.
Ecco, noi diremo ora dove prese il nome il monastero Pečerskij [o delle
Grotte]. Il pio principe Jaroslav amava Berestovo [presso Kiev] e la chiesa
dei Santi Apostoli là ubicata, e molto si prodigava per i sacerdoti. Fra
costoro si trovava un sacerdote di nome Ilarion, uomo virtuoso, istruito e
digiunatore. Ed egli andava spesso da Berestovo sul Dnepr, sopra la collina,
dove è ora il vecchio monastero Pečerskij e là pregava dove era un gran
bosco. Egli scavò una piccola grotta di due saženi [pari a due metri circa]; e
venendo da Berestovo cantava le Ore e pregava Dio in segreto. In seguito,
Dio ispirò il cuore del principe ed egli lo nominò metropolita in Santa Sofia,
e la piccola grotta rimase così. Dopo qualche giorno, ci fu un tale, al
secolo ..... [nome mancante, ma in alcuni manoscritti è Antipa], originario
della città di Ljubeč’. Dio gli ispirò il desiderio di viaggiare. Andò alla Santa
Montagna [Monte Athos], vide qui i monasteri esistenti, e dopo averli
esaminati tutti, lo ispirò lo stato monastico. E si recò in uno fra quanti colà
esistevano, e pregò il suo igumeno di ordinarlo monaco. Questi ascoltò la
sua preghiera, gli praticò la tonsura e gli dette il nome di Antonij, e lo istruì
e gli insegnò la vita monastica. E gli disse: «Ritorna nella Rus’, con te sarà
la benedizione della Santa Montagna, perché sarai seguito da molti
monaci». Lo benedisse e lo congedò dicendo «Vai in pace».
Antonij venne a Kiev e si domandò dove avrebbe vissuto; e andò per i
monasteri ma nessuno gli piacque, perché Dio non lo voleva. E prese a
vagabondare per valli e per monti cercando il posto che Dio gli avrebbe
indicato. E giunse sulla montagna dove Ilarion aveva scavato la grotta,
questo piccolo luogo gli piacque e vi si stabilì, e pregò il Signore in lacrime
dicendo: «Signore, fortifica il tuo servo in questo posto, e fa che la
benedizione della Santa Montagna e dell’igumeno che mi ha fatto la tonsura
scenda su di esso». E vi si stabilì pregando Dio, mangiando pane secco e
spesso a giorni alterni e bevendo acqua; e là scavò una grotta senza
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concedersi tregua, né di giorno, né di notte, trascorrendo il tempo in
fatiche, in veglia e in preghiere.
Col tempo, delle persone buone lo seppero e andavano da lui portandogli
quanto gli abbisognava. E acquistò Antonij fama di grande, e venendo a lui
chiedevano la benedizione. Più tardi, quando morì il gran principe Jaroslav e
suo figlio Izjaslav prese il potere e si stabilì a Kiev, Antonij divenne celebre
nella terra di Rus’. Izjaslav, appresa la sua vita, venne con la sua družina a
implorare la sua benedizione e le sue preghiere. E presso Antonij, che da
tutti era stimato e riconosciuto grande, cominciarono a venire a lui dei
fratelli, che egli riceveva e tonsurava. E dodici fratelli si riunirono intorno a
lui e scavarono una grande grotta e una chiesa e delle celle che si vedono
ancora oggi nella cripta sotto il vecchio monastero.
E riuniti i fratelli, Antonij disse loro: «Ecco, fratelli miei, Dio vi ha qui riunito
e avete la benedizione della Santa Montagna con la quale l’igumeno della
Santa Montagna che mi tonsurò e io ho tonsurato voi. Possa dunque essere
su di voi prima la benedizione di Dio e poi quella della Santa Montagna». E
disse ancora: «Vivete da soli e per voi porrò un igumeno, mentre io voglio
rimanere solo su questa collina, perché già da tempo ho scelto di vivere in
solitudine». E dette loro un igumeno di nome Varlaam, ed egli se ne andò
verso la collina e scavò una grotta che oggi si trova sotto il nuovo
monastero, ed qui terminò la sua esistenza vissuta piamente, senza mai
uscire per lunghi anni [o: per quarant’anni]. Le sue reliquie là riposano
ancora oggi.
[Prima della sua morte:] I suoi fratelli e l’igumeno vissero nella loro grotta.
E quando il numero dei fratelli aumentò a tal punto che la grotta non li
conteneva più, pensarono di costruire un monastero fuori della grotta.
L’igumeno e i fratelli si recarono da Antonij e gli dissero: «Padre, i fratelli si
sono moltiplicati e non si entra più nella grotta, se Dio lo concede e con la
tua preghiera, noi costruiremmo una piccola chiesa fuori della grotta». E
Antonio lo permise. Essi si inchinarono dinanzi a lui, e costruirono sopra la
grotta una piccola chiesa in onore della Dormizione della Madre di Dio.
E Dio cominciò a far aumentare il numero dei monaci, grazie alle preghiere
della Santa Madre di Dio, e i fratelli tennero consiglio con l’igumeno per
fondare un monastero. E i fratelli tornarono da Antonij per dirgli: «Padre, il
numero dei fratelli aumenta sempre più e noi vorremmo fondare un
monastero». Antonij si rallegrò e rispose: «Dio sia benedetto per ogni cosa
e che la preghiera della Santa Madre di Dio e dei padri della Santa
Montagna sia con voi». Detto ciò, inviò uno dei fratelli al principe Izjaslav
per dire così: «Principe, Dio moltiplica i fratelli, ma il posto è piccolo,
concedici questa collina che sovrasta la grotta». Izjaslav, sentito ciò, si
rallegrò e, inviato uno dei suoi uomini, donò la collina. Allora l’igumeno e i
fratelli fondarono una grande chiesa e recintarono il monastero con dei pali,
e crearono un gran numero di celle, e la chiesa completarono ornandola di
molte icone. Da allora data l’esistenza del Monastero Pečerskij; poiché
prima i monaci vivevano nella grotta e da essa prese il nome di Monastero
delle Grotte [Pečerskij].
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Il monastero iniziò dunque dalla benedizione della Santa Montagna. Quando
il monastero fu completato, essendo ancora igumeno Varlaam, Izjaslav
fondò il monastero di San Dmitrij e nominò Varlaam igumeno di San Dmitrij,
poiché voleva rendere questo monastero più illustre del Pečerskij, fidando
nella ricchezza. Molti monasteri furono fondati da re e da bojari e con grandi
tesori, ma essi non valgono come quelli che traggono origine dalle lacrime,
dal digiuno, dalla preghiera e dalle veglie. Antonij, infatti, non possedeva né
oro, né argento, ma fondò il suo monastero con le lacrime e il digiuno, come
ho detto. Quando Varlaam andò al [monastero di] San Dmitrij, i fratelli
tennero consiglio e andarono dal vegliardo Antonij e dissero: «Designa per
noi un igumeno». Ed egli disse: «Chi volete?». Essi risposero: «Colui che
piace a Dio e a te ». Egli disse loro: «Chi fra voi è come Feodosij,
obbediente, mite e umile? Egli sarà il vostro igumeno». I fratelli si
rallegrarono e si inchinarono davanti al vegliardo, e posero Feodosij
igumeno; i fratelli erano in numero di venti.
Feodosij, divenuto superiore del monastero, si diede a grande astinenza e
digiuno e preghiere con lacrime; e radunò molti monaci e i fratelli che si
raccolsero erano in numero di cento. E si diede a cercare una Regola
monastica. C’era allora Michail, un monaco del Monastero di Studios, che
era giunto dalla Grecia insieme al metropolita Georgij, e presso di lui cercò il
Typicon dei monaci studiti, e trovatolo lo copiò e stabilì nel proprio
monastero le modalità del cantare i canti monastici, e del compiere le
adorazioni, del leggere le letture e quelle dello stare in chiesa, e tutto
l’ordine degli uffici, e come stare a mensa e cosa mangiare nei diversi
giorni, tutto come da regolamento. Stabilito ciò, Feodosij lo consegnò al suo
monastero. Da quel momento accolsero tutti gli altri monasteri la Regola.
Per questo il monastero Pečerskij è considerato il più antico di tutti e per
dignità superiore agli altri. Intanto che restò nel monastero, Feodosij
condusse una vita virtuosa e osservava la regola monastica, e accoglieva
coloro che venivano a lui. Io stesso andai a trovarlo, io servo misero e
indegno, e mi ricevette all’età di diciassette anni. Questo scrissi e indicai in
quale anno fu fondato il monastero e perché prese nome Pečerskij. Diremo
ancora della vita di Feodosij.
Nell’anno 6560 [1052] morì Vladimir, il figlio maggiore di Jaroslav, a
Novgorod e fu sepolto nella chiesa di Santa Sofia, che egli stesso aveva
fondato.
Nell’anno 6561 [1053], un figlio nacque a Vsevolod dall’imperatrice greca e
gli imposero il nome di Vladimir.
LVIII. Morte di Jaroslav (1054)
Nell’anno 6562 [1054], morì il gran principe della Rus’, Jaroslav. Quand’era
in vita aveva istruito i suoi figli, dicendo: «Ecco, figli miei, io lascio questo
mondo. Vogliatevi bene, perché siete fratelli nati dallo stesso padre e dalla
stessa madre. Se vivrete in amore fra di voi, Dio sarà con voi e a voi
sottometterà il vostro nemico, e vivrete in pace. Se invece voi vivrete
nell’odio e nei litigi e vi dividerete, allora voi stessi perirete e perderete la
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terra dei vostri padri e dei vostri avi, con tante pene da essi conquistata.
Vivete dunque in pace, fratello a fratello obbedendo. Ecco, in vece mia
affido il mio scranno di Kiev a Izjaslav, il maggiore dei miei figli e vostro
fratello. Obbedite a lui come avete obbedito a me, ed egli farà per voi le mie
veci. Černigov la affido a Svjatoslav, Perejaslavl’ a Vsevolod, Vladimir a
Igor’, e Smolensk a Vjačeslav». E così divise fra loro le città, e ordinò loro di
non oltrepassare i confini dei fratelli, di scacciare alcuno, mentre a Izjaslav
disse: «Se qualcuno dovesse oltraggiare suo fratello, allora tu aiuta
l’offeso». È così raccomandava ai suoi figli di vivere in pace. Era già malato
e raggiunta la città di Vyšgorod si aggravò molto. Izjaslav era allora a .....
[nome mancante, alcuni manoscritti indicano Novgorod], e Svjatoslav a
Vladimir, Vsevolod era presso il padre, poiché suo padre l’amava più di tutti
i suoi fratelli e l’aveva sempre presso di sé. Jaroslav terminò la sua vita e
rese la sua anima nel mese di febbraio, il primo sabato di Quaresima, giorno
di Santa Feodora [o: San Feodosij]. Vsevolod prese il corpo di suo padre, lo
pose su una slitta e i sacerdoti lo trasportarono a Kiev, intonando i canti
rituali. E il popolo tutto lo pianse. Lo si chiuse in un sepolcro di marmo, nella
chiesa di Santa Sofia. Vsevolod e tutto il popolo lo piansero. Visse
complessivamente settantasei anni.
LIX. Guerre contro i Torki e i Polovcy (1055)
Inizio del principato di Izjaslav a Kiev.
Nell’anno 6563 [1055], Izjaslav venne a stabilirsi a Kiev, mentre Svjatoslav
a Černigov; Vsevolod a Perejaslavl’, Igor’ a Vladimir, Vjačeslav a Smolensk.
In questo anno, durante l’inverno, Vsevolod marciò alla volta di Voin contro i
Torki [antichi Albanesi, spesso tradotto con Turchi] e sconfisse i Torki.
Questo anno, Boluš venne con i Polovcy e Vsevolod concluse la pace con
loro, e i Polovcy tornarono da dove erano venuti.
Anno 6564 [1056].
Nell’anno 6565 [1057], morì Vjačeslav, figlio di Jaroslav, e a Smolensk si
stabilì Igor’ dopo aver lasciato Vladimir.
Nell’anno 6566 [1058], Izjaslav vinse i Goljadi [popolo baltico].
Nell’anno 6567 [1059], Izjaslav e Svjatoslav e Vsevolod liberarono il loro zio
Sudislav che era in prigione [a Pskov] da ventiquattro anni, e dopo aver
baciato la croce [o: giurato] egli diventò monaco di Kiev.
Nell’anno 6568 [1060], Igor’, figlio di Jaroslav, morì. In questo anno
Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod e Vseslav radunarono un esercito numeroso
e partirono a cavallo e in nave, con truppe innumerevoli, contro i Torki.
Appreso ciò, i Torki si spaventarono e fuggirono e ancora non sono tornati,
perché alcuni morirono fuggendo oppressi dalla collera divina, altri perirono
per il gelo, altri di fame, altri di peste [o: malattia] e per il giudizio di Dio.
Così Dio salvò i cristiani dai pagani.
Nell’anno 6569 [1061], i Polovcy vennero per la prima volta ad attaccare la
Russia. Vsevolod marciò contro di loro il giorno due del mese di febbraio. E
nel combattimento vinsero Vsevolod e dopo aver guerreggiato [o: devastato
la regione] se ne andarono; fu la prima sconfitta della Rus’ arrecata dai
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questi pagani, nemici empi; il loro principe si chiamava Sokal [o: Iskal].
Anno 6570 [1062].
LX. Digressione sui presagi
Nell’anno 6571 [1063], morì Sudislav, fratello di Jaroslav, e lo seppellirono
nella chiesa di San Georgij. Questo anno, per cinque giorni, il Volchov, nei
pressi di Novgorod, corse in direzione opposta; questo segno fu un cattivo
presagio, infatti quattro anni dopo Vseslav incendiò la città.
Nell’anno 6572 [1064], Rotislav, figlio di Vladimir, nipote di Jaroslav, si
rifugiò a Tmutorokan’ e con lui fuggirono Porej et Vyšata, figlio di Ostromir,
voivodi di Novgorod. E come giunse a Tmutorokan’ scacciò Gleb, e occupò il
suo posto.
Nell’anno 6573 [1065] Svjatoslav marciò contro Rotislav a Tmutorokan’.
Rotislav si allontanò dalla città, non perché egli lo temesse, ma perché non
voleva prendere le armi contro suo zio. Svjatoslav prese allora Tmutorokan’
e stabilì di nuovo suo figlio Gleb e ritornò sui suoi passi. Rotislav ritornò e
ancora scacciò Gleb e Gleb andò da suo padre, e Rotislav si stabilì a
Tmutorokan’. In quell’anno Vseslav cominciò la guerra.
Verso quest’epoca [nel 1066], un segno apparve a Occidente, una stella
smisurata [cometa di Halley], i cui raggi sembravano di sangue; si alzava la
sera dopo il tramonto del sole, e ciò si ripeté per sette giorni. Era un cattivo
presagio, perché dopo questo tempo insorsero molte discordie e si aggiunse
l’aggressione dei pagani contro la terra di Rus’. Quella stella era come di
sangue e versamento di sangue preannunciava.
Verso quest’epoca un bambino fu gettato nel fiume Setoml, quel bimbo si
impigliò nella rete dei pescatori e lo esaminarono fino a sera, poi lo
ributtarono in acqua: egli aveva le parti pudiche sul volto e per la vergogna
altro non s’ha da dire.
Prima di questo tempo, c’era stato anche un mutamento nel sole, non era
luminoso, bensì somigliante alla luna [eclisse solare del 1064]. Gli ignoranti
sostenevano che il sole era sbocconcellato tutt’intorno. Tali fenomeni non
sono segni di cose buone, noi così l’abbiamo inteso. «Perché già
nell’antichità, ai tempi di Antioco, in Gerusalemme accadde che
all’improvviso, e per la durata di quaranta giorni, si manifestassero dei
cavalieri, in armi e dalle vesti d’oro, su dei cavalli rampanti, ed entrambi gli
eserciti apparsi giostravano con le armi; ciò preannunciava l’aggressione di
Antioco, l’attacco bellico contro Gerusalemme, Di seguito, ai tempi di
Nerone, nella medesima Gerusalemme risplendette sopra la città una stella
lanceiforme: questa preannunciava, invece, l’attacco bellico da parte dei
Romani. E ugualmente accadde anche sotto l’imperatore Giustiniano:
apparve una stella a occidente, spandeva raggi, per cui la chiamarono la
fulgente e rifulse per venti giorni; dopo si verificò un fluire di stelle, dalla
sera al mattino, tanto che tutti credettero che le stelle cadessero, e di nuovo
il sole senza raggi splendeva: tutto ciò preannunciava congiure, malattie fra
gli uomini e morie. Ancora sotto l’imperatore Maurizio avvenne questo: una
donna partorì una creatura priva di occhi e di braccia, e in luogo dei fianchi
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una coda di pesce crebbe; mentre un cane nacque con sei zampe; In Africa
nacquero due bambini: uno con quattro gambe, l’altro con due teste. Dopo,
sotto Costantino l’Iconoclasta, figlio di Leone, vi fu un fluire di stelle dal
cielo che precipitavano in terra; quanti le videro pensavano alla fine del
mondo. Allora si scatenarono forti correnti d’aria. In Siria vi fu una forte
scossa, e dalla terra, spalancatasi per tre poprišča [circa 2100 metri]
miracolosamente fuoriuscì un mulo, che parlava con voce umana e
annunciava l’invasione dei pagani, cosa che accadde» [dalla Cronaca di
Giorgio Amartolo], perché i Saraceni invasero la Palestina. I segni del cielo o
delle stelle o del sole o degli uccelli o altra cosa, nulla di buono
presagiscono; questi segni invece sciagure appalesano: lo scoppio di una
guerra, oppure una carestia, oppure preannunciano la morte.
LXI. Morte di Rostislav (1066)
Nell’anno 6574 [1066], mentre Rotislav era a Tmutorokan’ e riscuoteva il
tributo dei Kasoghi e di altre popolazioni, i Greci, avendo paura di lui [per la
sua vicinanza], gli inviarono con l’inganno un kotopan [stratega]. Giunto che
fu, conquistò la fiducia di Rotislav, che lo trattò con onore. Una volta mentre
Rostislav beveva con la sua družina, gli disse il kotopan: «Principe, voglio
bere alla tua salute»; rispose egli «Bevi pure!». Egli bevve metà della coppa
e diede l’altra metà da bere al principe, ma dopo aver intinto un dito nella
coppa: sotto l’unghia celava un veleno mortale. E l’offrì al principe,
votandolo a morte certa entro l’ottavo giorno. Il principe bevve e il kotopan
andò a Cherson e annunciò che il tal giorno Rotislav sarebbe morto e così
fu. Gli abitanti di Cherson lapidarono quel kotopan. Rotislav era un uomo
valoroso in battaglia, di buona stazza e bello in volto, caritatevole con i
poveri; egli morì il giorno 3 del mese di febbraio, e fu seppellito nella chiesa
della Santa Deipara.
LXII. Guerre intestine
Nell’anno 6575 [1067] Vseslav di Polock, figlio di Brjačislav, ricominciò la
guerra e s’impossessò di Novgorod. I tre figli di Jaroslav – Izjaslav,
Svjatoslav e Vsevolod – riunirono le truppe e marciarono contro Vseslav,
nonostante il rigore dell’inverno. Essi vennero a Minsk e gli abitanti di Minsk
si serrarono nella città. I tre fratelli espugnarono Minsk e falcidiarono gli
uomini, mentre fecero prigionieri le donne e gli bambini. E partirono verso la
Nemiga e Vseslav marciò contro di essi. E i due eserciti si scontrarono sulla
Nemiga, il terzo giorno del mese di marzo. La neve cadeva abbondante ed
essi si attaccarono. La battaglia fu terribile, molti uomini perirono; Izjaslav,
Svjatoslav e Vsevolod furono i vincitori, invece Vseslav fuggì.
Successivamente il giorno dieci del mese di luglio, Izjaslav, Svjatoslav e
Vsevolod baciarono la venerabile croce per Vseslav e gli dissero: «Vieni da
noi, non ti faremo alcun male». Egli confidò nel bacio sulla croce e
attraversò il Dnepr in nave. Izjaslav precedeva nella tenda, Vseslav andava
dietro a lui, così presero Vseslav a Rša, presso Smolensk. Iziaslav portò
Vseslav a Kiev e lo gettò nelle segrete insieme ai suoi due figli.
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LXIII. Invasione dei Polovcy (1068) e pie riflessioni
Nell’anno 6576 [1068], degli stranieri invasero la Russia: era una
moltitudine di Polovcy. Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod marciarono contro,
sull’Al’ta. Calata la notte, si scontrarono. Per i nostri peccati Dio fece
arrivare questi pagani contro di noi e i principi russi fuggirono e i Polovcy
furono vincitori. Perché Dio al culmine della sua collera, inviò gli stranieri
nella terra e così straziati gli uomini ritorneranno al Signore, ma la guerra
intestina è attizzata dagli inganni del diavolo. Dio non vuole il male degli
uomini, bensì il loro bene, mentre il diavolo si rallegra del male, dell’efferato
omicidio, dello spargimento di sangue; è lui che fomenta le discordie, le
insidie, l’odio tra fratelli, le calunnie. Se qualche terra rovina nel peccato,
Dio la punisce con la morte, o con la carestia, o con l’invasione dei pagani, o
con la siccità, o con i bruchi, o altri castighi. E ciò per indurci al pentimento,
perché in esso Dio ci ha comandato di vivere, come dice il profeta:
«Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti» [Gl
2,12]. Se così agiamo, tutti i nostri peccati ci saranno rimessi; ma noi
ritorniamo al male, sprofondando incessantemente come maiali che nel
fango dei nostri peccati sempre s’inzacchera e così persistiamo. Per questo
ci dice il profeta: «Sapevo che tu sei ostinato e che la tua nuca è una sbarra
di ferro» [Is 48,4], quindi «Vi ho pure rifiutato la pioggia [...] un campo era
bagnato di pioggia, mentre l’altro, su cui non pioveva, seccava» [Am 4,7] e
«Vi ho inaridito i giardini e le vigne; i fichi, gli oliveti li ha divorati la
cavalletta: e non siete ritornati a me, dice il Signore» [Am 4,9] e ho
mandato contro di voi diverse malattie e delle morti terribili, anche sul
vostro bestiame ho scagliato il castigo, ma neanche così siete ritornati a
me, ma diceste soltanto: «Facciamoci forza». Fin quando durerà insaziabile
la vostra malvagità? Voi vi siete allontanati dal mio cammino, dice il
Signore, e avete sedotto molti uomini, così: «Sarò un testimone pronto
contro gli incantatori, contro gli adùlteri, contro gli spergiuri, contro chi
froda il salario all’operaio, contro gli oppressori della vedova e dell’orfano e
contro chi fa torto al forestiero» [Ml 3,5] Perché non vi siete pentiti dei
vostri peccati? Perché avete violato i miei precetti e non li avete osservati?
Dice il Signore: « Convertitevi e vivrete» [Ez 18,32], io riverserò su di voi
cibi celesti e allontanerò da voi la mia collera, finché non sovrabbondi su di
voi ogni cosa, ma duri sono i vostri discorsi, che dicono: «È inutile servire
Dio» [Ml 3,14]. E dice il Signore: «questo popolo si avvicina a me solo a
parole e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me» [Is
29,13]. È per questo che non otteniamo ciò che chiediamo: «Allora mi
invocheranno, ma io non risponderò, mi cercheranno, ma non mi
troveranno» [Prv 1,28], così a noi, perché non volemmo camminare sulla
sua strada, per questo il cielo si chiude o si apre per la vostra sventura,
mandando la grandine al posto della pioggia o distruggendo i raccolti con il
gelo, ed essiccando la terra con la calura a causa dei nostri peccati. Ma se ci
pentiremo delle nostre iniquità, allora come ai suoi figli «vi dà la pioggia in
giusta misura, per voi fa scendere l’acqua, la pioggia d’autunno e di
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primavera, come in passato. Le aie si riempiranno di grano e i tini
traboccheranno di mosto e d’olio. “Vi compenserò delle annate che hanno
divorate la locusta e il bruco, il grillo e le cavallette, quel grande esercito
che ho mandato contro di voi...”» [Gl 2,23-25], dice il Signore Onnipotente.
Capendo ciò, applichiamoci al bene, cerchiamo la giustizia, salviamo
l’oppresso, volgiamoci al pentimento, non rendiamo il male con il male, né
ingiuria con ingiuria, ma per amore accostiamoci a Dio con il digiuno e con il
pianto e con le lacrime laviamo tutti i nostri peccati, non diciamoci cristiani
a parole, vivendo invece da pagani credendo agli incontri. Chi infatti
incontra un monaco, o un cinghiale o un maiale ritorna sui suoi passi: non è
un agire da pagani? Temere tali presagi significa seguire l’insegnamento del
diavolo. Altri credono allo starnuto che avviene per la salute della testa. Con
queste e altre usanze il diavolo inganna, con ogni sorte di menzogna
allontanandoci da Dio con le trombe e i saltimbanchi, con le gusli
[strumento musicale a corde] e con le rusalie [feste pagane]. Vediamo i
campi da gioco calpestati e una moltitudine di persone su di essi che si
spintonano l’un l’altra, che si esibiscono in azioni dal demonio concepite;
intanto che le chiese rimangono vuote; all’ora degli uffici pochi si recano in
chiesa. Per questo riceveranno ogni castigo da Dio che accoglieremo quale
punizione per i nostri peccati.
Ritorniamo di nuovo al resoconto di prima.
Quando Izjaslav fuggì con Vsevolod a Kiev e Svjatoslav a Černigov, anche i
Kieviani fuggirono a Kiev, e il veče si riunì al mercato e mandò a dire al
principe: «Ecco, i Polovcy si sono sparsi per tutta la terra, procuraci, o
principe, cavalli e armi, e noi ci batteremo ancora contro di loro». Izjaslav
non ascoltò questa preghiera e la gente cominciò a mormorare contro il
voivoda, contro Kosnjačko. E tutta l’assemblea salì sulla collina e raggiunse
il palazzo di Kosnjačko e, non trovandolo, si fermò davanti a quella di
Brjačislav e dissero: «Andiamo, liberiamo la nostra družina dalla prigione».
Ed essi si divisero in due, metà andarono alla prigione, e l’altra metà lungo
il ponte arrivando al palazzo del principe. Izjaslav stava sul terrazzo coperto
insieme alla sua družina che prese a discutere con il principe su chi mai
s’avvicinasse dal basso. Mentre il principe scrutava da una finestrella e la
sua družina era con lui, Tuky, fratello di Čudin, disse a Izjaslav: «Vedi,
principe, l’irritazione del popolo, manda a sorvegliare Vseslav». E intanto
che disse ciò, l’altra metà degli uomini ritornava dalla prigione di cui aveva
aperto le porte. E la družina disse al principe «È un guaio. Manda a cercare
Vseslav; in modo da attirarlo con l’inganno alla finestrella e lo si uccida con
la spada». Il principe non volle ascoltare ciò. Il popolo se ne andò gridando
verso la prigione di Vseslav. Izjaslav, vedendo ciò, fuggì dal palazzo con
Vsevolod. Il popolo liberò Vseslav dalla prigione il giorno 15 del mese di
settembre e lo stabilirono nella corte principesca, quindi saccheggiò il
palazzo e afferrò una quantità immensa di oro, argento, pellicce e di pelli di
martora [o, anziché pellicce e pelli, monete e lingotti]. Izjaslav si rifugiò dai
Ljachi.
In seguito, i Polovcy devastarono la terra di Rus’. Svjatoslav era a Černigov
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e i Polovcy devastavano i dintorni di Černigov. Svjatoslav radunò una piccola
družina e andò contro di loro nel territorio di Snovsk [oggi Sednev]. I
Polovcy vedendo l’esercito in marcia si schierarono. Svjatoslav vedendo il
grande numero disse alla sua družina: «Attacchiamoli, non ci è
impossibile». E spronarono i loro cavalli e Svjatoslav vinse con tremila
uomini, mentre i Polovcy erano in dodicimila. Alcuni furono uccisi, altri
annegarono nello Snov, mentre catturarono il loro principe, ciò accadeva il
primo giorno del mese di novembre. E Svjatoslav vittorioso ritornò nella sua
città. Vseslav si insediò a Kiev.
Così Dio mostrò la virtù della croce, perché Izjaslav nonostante avesse
baciato la croce [fatto giuramento] aveva imprigionato Vseslav; per questo
Dio condusse i pagani a liberare Vseslav che aveva onorato la croce. Nel
giorno dell’Esaltazione della Croce, Vseslav disse sospirando: «O croce
venerabile, poiché mi sono fidato di te, salvami da questa fossa». Dio
dunque manifestò la forza della croce a insegnamento della terra di Rus’,
affinché, una volta baciata la croce, non infrangessero più il giuramento.
Perché se qualcuno lo viola, sarà punito già qui sulla terra e poi nei secoli a
venire avrà il castigo eterno. Giacché la potenza della croce è grande, è con
la croce che si sconfiggono le forze demoniache, la croce è la vittoria dei
principi in guerra, protetti dalla croce i fedeli sconfiggono i loro nemici. A
invocarla con fede, la croce è rapida a salvarci dalle sventure; i demoni non
hanno timore di nulla, tranne della croce. Se i demoni tentano con le loro
visioni qualcuno, segnandosi con il segno di croce li si scaccia.
Vseslav rimase sette mesi a Kiev.
LXIV. Guerre intestine
Nell’anno 6577 [1069], Izjaslav e Boleslav, presero le armi contro Vseslav.
Vseslav marciò contro di loro. E Vseslav giunse a Belgorod e durante la
notte, di nascosto dai Kieviani, fuggì da Belgorod verso Polock.
Il giorno dopo, gli uomini, constatata la fuga del principe, ritornarono a Kiev
e si tenne una seduta del veče e si inviò un messaggero a Svjatoslav e
Vsevolod per dire: «Abbiamo fatto male a cacciare il nostro principe, che ora
arma i Ljachi contro di noi. Accorrete dunque nella città di vostro padre; se
rifiuterete, non ci resterà che bruciare la nostra città e andarcene nella terra
dei Greci». E Svjatoslav disse loro: «Manderemo a dire a nostro fratello che
se dovesse venire a voi con i Ljachi per annientarvi, noi gli muoveremo
guerra impedendogli di distruggere la città del padre nostro. Se vuole la
pace, dovrà venire accompagnato da una piccola družina». Gli abitanti di
Kiev si tranquillizzarono; Svjatoslav e Vsevolod mandarono a dire a
Izjaslav: «Vseslav è fuggito, ma tu non condurre i Ljachi contro Kiev perché
qui tu non hai nemici; se vuoi serbare collera e distruggere la città, sappi
allora che a noi è caro il trono di nostro padre».
Izjaslav, sentendo ciò, lasciò i Ljachi e partì con Boleslav accompagnato da
pochi Ljachi. Egli mandò avanti a sé il proprio figlio Mstislav. Giunto Mstislav
trucidò quanti avevano liberato Vseslav, in numero di settanta persone, altri
accecò, altri uccise benché senza colpe e senza aver indagato.
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Quando Izjaslav arrivò in città, la popolazione gli uscì incontro per riverirlo e
i Kieviani accolsero il loro principe. Izjaslav si assise sul suo trono il secondo
giorno del mese di maggio. E lasciò andare i Ljachi nei loro accampamenti,
e segretamente li si uccideva; e Boleslav ritornò con i Ljachi nella sua terra.
Izjaslav spostò il mercato sulla collina, scacciò Vseslav da Polock e stabilì
suo figlio Mstislav a Polock, ma morto poco dopo mise al suo posto il di lui
fratello Svjatopolk, per essere fuggiasco Vseslav.
Nell’anno 6578 [1070] un figlio nacque a Vsevolod e lo chiamarono
Rostislav. Questo anno fu fondata la chiesa di San Michail nel monastero di
Vsevolod a Vydobič.
LXV. Storie di maghi (1071)
Nell’anno 6579 [1071], i Polovcy fecero la guerra attorno a Rostovec e di
Nežatin. In quest’anno Vseslav scacciò Svjatopolk da Polock. In quest’anno
Jaropolk vinse Vseslav vicino a Golotič’sk.
In questo tempo apparve un mago sedotto dal demonio. Venne a Kiev e
disse: «Mi sono apparsi cinque dèi che dicevano così: “Annuncia alle genti
che tra cinque anni il Dnepr scorrerà al contrario, mentre le terre muteranno
luogo, per cui la terra di Grecia sarà al posto della Rus’ quella della Rus’,
invece, al posto delle terre di Grecia e anche le altre si sposteranno». Gli
ignoranti gli credettero, gli uomini di fede risero e gli dissero «Il demonio si
gioca di te per rovinarti». E fu così con lui: una notte scomparve senza
lasciare traccia. Perché i demoni, adescando, lo inducono al male, poi, una
volta ammaestrata la vittima al dire e gettatala nell’abisso della morte, la
deridono. Così andremo a raccontare della istigazione e dell’agire dei
demoni.
Quando ci fu la carestia in terra di Rostov, giunsero due maghi di Jaroslavl’
e dissero: «Noi sappiamo bene chi detiene l’abbondanza». E andarono lunga
la Volga e, ogniqualvolta raggiungevano il camposanto di un villaggio,
nominavano le donne più in vista, dicendo: «Questa trattiene il grano,
quella il miele, quella il pesce, quella le pelli». E [gli abitanti] portavano a
loro le proprie sorelle e madri e mogli. Nella loro allucinazione tagliavano
loro la schiena e ne prelevavano da chi grano, da chi pesce oppure pelli. E
così uccisero molte donne e s’impossessarono delle loro ricchezze.
Poi raggiunsero Beloozero [lago Bianco] e con loro erano circa trecento
uomini. In quel tempo successe che Jan, figlio di Vyšata, venne inviato da
Svjatoslav a raccogliere il tributo. Gli abitanti di Beloozero gli raccontarono
che due maghi, dopo aver ucciso molte donne lungo la Volga e la Šeksna,
erano arrivati là. Jan cercò allora di sapere di chi fossero costoro e seppe
che erano del suo principe; mandò allora a quelle persone, che facevano
corona ai maghi, per dire loro: «Consegnatemi i maghi, poiché sono sudditi
miei e del mio principe». Ma essi non ubbidirono e allora Jan si avviò da solo
e senza armi, mentre i suoi famigli gli dicevano: «Non andare senza armi, ti
insulteranno». Egli ordinò allora alla guardia di prendere le armi. E con essi,
che erano in dodici, andò da quella gente nel bosco. Essi gli si pararono
davanti schierati. Jan avanzò verso di loro armato di una piccola accetta;
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avanzarono tre dicendogli «Attento, tu stai andando a morte, fermati». Egli
ordinò di ucciderli e proseguì verso gli altri. Essi si slanciarono contro Jan;
uno scagliò contro Jan un’accetta. Ivan girò l’accetta e colpì il nemico con la
parte ottusa e ordinò ai suoi di massacrarli. Essi fuggirono allora nel bosco e
qui uccisero il sacerdote di Jan. Jan, ritornato in città presso gli abitanti di
Beloozero disse loro: «Se non consegnerete questi maghi, non mi
allontanerò da voi neanche fra un anno». I cittadini di Beloozero andarono,
li catturarono e glieli condussero. Egli disse loro: «Perché avete ucciso
quelle persone?». Risposero «Perché esse trattenevano l’abbondanza; e se
uccidiamo e sterminiamo costoro vi sarà opulenza. Se tu lo vuoi, estrarremo
in tua presenza grano, pesci o qualche altra cosa». Jan disse: «In verità voi
mentite. Dio ha creato l’uomo dal fango, è fatto di ossa, di vene e di
sangue, null’altro v’è in lui e nessuno sa nulla. Dio solo sa». Gli dissero:
«Noi sappiamo come l’uomo è stato creato». Egli domandò «Come?». E loro
di rimando: «Dio, lavandosi nel bagno [bagno di vapore] e sudando,
asciugatosi con uno straccio lo gettò dal cielo in terra. Il diavolo entrò in
discussione con Dio, chi da esso avrebbe fatto l’uomo, e il diavolo fece
l’uomo e Dio vi mise l’anima. Così quando l’uomo muore, il suo corpo va alla
terra e la sua anima al cielo». Jan disse loro: «Voi siete posseduti del
demone. In quale dio credete?». Essi risposero «Nell’Anticristo». Egli disse:
«Dove è?». Risposero: «Sta nell’abisso». Jan chiese «Quale dio mai risiede
negli abissi? È un demonio, mentre Dio risiede nei cieli, assiso sul trono,
glorificato dagli angeli, che gli stanno dinanzi intimoriti, senza poterlo
contemplare; da questi angeli fu scaraventato giù colui che voi chiamate
l’Anticristo, per la sua superbia fu gettato dal cielo e si trova nell’abisso,
come voi dite, in attesa che Dio discenda dal cielo; e questo Anticristo sarà
incatenato e buttato nel fuoco eterno, con i suoi servi e con coloro che
credono in lui. Quanto a voi due, da me riceverete il castigo e dopo la morte
di nuovo colà». Essi risposero: «I nostri dèi ci dicono che contro di noi non
puoi fare nulla». Egli replicò loro: «I vostri dèi mentono». Ed essi dissero:
«Noi ci dobbiamo presentare dinanzi a Svjatoslav e tu non puoi farci nulla».
Jan ordinò di frustarli e strappare loro la barba. Quando furono frustati e
furono strappate le barbe con la pinza, Jan chiese loro: «Che cosa stanno
dicendo i vostri dèi?». Essi risposero: «Di presentarci al cospetto di
Svjatoslav». Jan ordinò di mettere loro in bocca un rublo [o: un pezzo di
legno] e di legarli all’albero della nave e li fece andare in nave dinanzi a sé,
mentre egli teneva loro dietro. Quando raggiunsero la foce del Šeksna, Jan
chiese loro: «Che cosa vi dicono i vostri dèi?». Risposero «Gli dèi ci dicono
che da te non usciremo vivi». E Jan disse loro: «Vi hanno detto il vero».
Essi replicarono: «Se ci liberi, un gran bene riceverai; se invece ci uccidi,
molto dolore ti verrà e male». Ed egli rispose loro: «Se vi lascio andare
allora sì che gran male da Dio mi verrà; se invece vi lascio morire, allora da
Dio grande sarà la ricompensa». E Jan disse ai rematori: «A chi di voi
qualche parente da costoro è stato assassinato?». Risposero: «A me la
madre, all’altro la sorella, dell’altro i figli». Egli disse loro: «Vendicate pure i
vostri cari». Essi li afferrarono, li uccisero e li appesero a una quercia.
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Secondo giustizia il castigo di Dio ricevettero. Jan ritornò alla propria
dimora, mentre nel corso della notte seguente un orso, arrampicatosi, prese
a rosicchiarli e li divorò. E così perirono per istigazione del demonio, essi
che prevedevano e astrologavano la fine degli altri, la propria ignoravano.
Se l’avessero prevista, non sarebbero giunti in quel luogo, dove dovevano
essere catturati; e poi, una volta presi, come mai dicevano: «Non
periremo», visto che gli altri pensavano di dar loro la morte? Tale è
l’istigazione dei demoni, i demoni non conoscono i pensieri degli uomini, ma
attribuiscono degli intenti all’uomo, ignorando i segreti. Unicamente Dio
conosce gli intenti degli uomini; i demoni nulla sanno perché sono impotenti
e luridi d’aspetto [o: ciechi].
Diremo ancora qualcosa della loro aspetto e delle loro allucinazioni. Verso
quest’epoca, nel medesimo anno, successe che un novgorodiano giunse
nella terra dei Čudi e si recò dall’indovino per cercare da lui delle
stregonerie. Quest’ultimo, secondo la sua abitudine, si mise a convocare i
demoni nella sua dimora. Il novgorodiano era seduto sulla soglia della casa,
l’indovino invece giaceva irrigidito e il demone lo percosse. Alzatosi,
l’indovino disse al novgorodiano «I nostri dèi non osano avvicinarsi perché
tu hai su di te qualcosa che essi temono». Egli si ricordò della sua croce, la
tolse e la lasciò fuori della dimora. Riprese di nuovo a invocare i demoni.
Apparsi essi gli chiedevano perché mai era venuto. Poi il novgorodiano
chiese al mago: «Perché mai temono la croce che portiamo indosso?».
Rispose: «È un segno del Dio del cielo che i nostri dèi temono». Allora
chiese: «Chi sono i vostri dèi? Dove vivono?». Rispose: «Gi dèi nostri vivono
negli abissi. Sono neri d’aspetto, alati e caudati, fin sotto il cielo s’elevano
per origliare i vostri dèi; perché i vostri dèi vivono nei cieli. E se muore uno
dei vostri uomini, è trasportato in cielo, quando uno dei nostri muore, è
condotto presso gli dèi nostri nell’abisso». Così avviene: i peccatori sono
nell’inferno in attesa delle pene eterne, mentre i giusti nella dimora celeste
insieme agli angeli convivono. Tale è la forza dei demoni, la loro bellezza e
la loro impotenza. È così che essi smarriscono gli uomini, ordinando loro di
raccontare le visioni che si manifestano a quanti non sono saldi nella fede:
ad alcuni appaiono nei sogni, ad altri sotto forma di allucinazioni. E così
fanno sortilegi per istigazione demoniaca. Soprattutto per il tramite delle
donne si manifestano le demoniache tentazioni, poiché all’inizio il diavolo
tentò la donna, poi essa tentò l’uomo. Anche in questa generazione
compiono prodigi con sortilegi e con veleni o con altri imbrogli demoniaci.
Anche gli uomini, quelli senza fede però, sono ingannati dai demoni, come
ciò accadeva nella prima generazione. Al tempo degli Apostoli, vi era infatti
Simone il Mago che compiva il sortilegio di far parlare un cane con voce
umana, intanto che egli stesso assumeva le sembianze ora di vecchio, ora di
giovane, oppure, durante le allucinazioni, tramutava d’aspetto un altro.
Come anche Iannes e Iambres, i quali col sortilegio facevano miracoli contro
Mosè, ma presto non poterono più nulla contro Mosè [cfr. 2 Tm 3,8]. Anche
Kunop [Mago] compiva prodigi demoniaci, come camminare sull’acqua, e
altre allucinazioni compiva ingannato dal demonio per la rovina sua e quella
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degli altri.
Un mago si mostrò anche al tempo di Gleb nella città di Novgorod; parlando
con le persone si spacciava per Dio e tanti ingannò e per poco la città intera.
Diceva: «Tutto prevedo» e ingiuriando la fede cristiana diceva:
«Attraverserò il Volchov alla presenza di tutti». E vi fu una sommossa in
città e tutti gli credettero e volevano uccidere il vescovo. Il vescovo, prese
la croce e indossati i paramenti, si erse dicendo: «Coloro che credono al
mago vadano pure vicino a lui. Coloro che hanno la fede vengano vicino alla
croce». E si divisero in due gruppi. Il principe Gleb con la sua družina
rimase presso il vescovo, intanto che tutto il popolo seguì il mago. E ci
furono grandi disordini fra loro. Gleb, nascondendo una scure sotto il
mantello, si avvicinò al mago e gli disse: «Sai che cosa avverrà domani
oppure prima di questa sera?». Egli rispose: «Io prevedo tutto». E Gleb
disse «Prevedi dunque quello che ti accadrà oggi?». Egli disse: «Farò grandi
miracoli». Gleb trasse fuori la sua scure e lo dimezzò, e cadde stecchito, e la
gente si sparpagliò. Perì egli col corpo, consegnandosi con l’anima al
demonio.
LXVI. Traslazione dei santi Boris e Gleb (1072)
Nell’anno 6580 [1072], furono traslati i resti dei santi martiri Boris e Gleb.
Allora si riunirono i figli di Jaroslav – Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod – e il
metropolita dell’epoca Georgij, il vescovo di Perejaslavl’ Petr, quello di Jur’ev
Michail; l’igumeno del [monastero] Pečerskij Feodosij, l’igumeno del
monastero di San Michail Sofronij, l’igumeno del monastero del San
Salvatore German, l’igumeno del monastero di Perejaslavl’ Nikolaj e tutti gli
altri igumeni. E celebrarono un ufficio solenne e li seppellirono nella nuova
chiesa, fatta erigere da Izjaslav e che ancora oggi svetta. Izjaslav,
Svjatoslav, Vsevolod sollevarono per prima la bara di legno di Boris e,
postala in spalla, la trasportarono. Precedevano tutti i monaci, ognuno con
un cero in mano, e dietro a loro avanzavano i diaconi con i turiboli, quindi i
sacerdoti e appresso a loro i vescovi con il metropolita, infine a seguire i tre
principi con la bara. Giunti nella nuova chiesa, scoperchiarono la bara e la
chiesa si riempì di soave olezzo, di gradevole fragranza. Vedendo ciò, essi
resero gloria a Dio. E il metropolita fu assalito dal terrore perché non aveva
una salda fede in loro, e caduto bocconi implorava il perdono. Baciati i resti
di Boris, lo deposero in un sepolcro di pietra. Quindi sollevarono Gleb nel
sacello di pietra, che posero sulla slitta e afferrate le corde lo trasportarono.
Giunti dinanzi al portone del sacello si arrestò e non andava oltre. E
ordinarono al popolo di invocare: «Signore, abbi pietà!» e lo trasportarono.
Entrambi furono seppelliti il giorno venti del mese di maggio. E, celebrata la
liturgia, i [tre] fratelli cenarono insieme, ciascuno con i propri bojari, in
grande affetto.
A quel tempo Čudin governava Vyšgorod, e Lazar’ era il capo della chiesa.
Alla fine ognuno tornò alla propria sede.
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LXVII. Liti fra i figli di Jaroslav (1073)
Nell’anno 6581 [1073], il diavolo sparse la contesa fra questi fratelli, figli di
Jaroslav. S’accesero discordie fra loro; Svjatoslav e Vsevolod si schierarono
contro Izjaslav. Izjaslav abbandonò Kiev e Svjatoslav e Vsevolod entrarono
in Kiev nel mese di marzo, giorno ventidue e, trasgredendo all’ordine
paterno, in Berestovo s’assisero sul trono. Fu Svjatoslav la causa della
partenza di suo fratello perché un’eredità superiore bramava. Ingannò
Vsevolod dicendo: «Ecco, Izjaslav complotta con Vseslav contro di noi. Se
noi non lo anticipiamo, finirà per cacciarci». Aizzò così Vsevolod contro
Izjaslav. Izjaslav andò dai Ljachi accompagnato dalla moglie, portando
dovizia di sostanze e, fidando nelle molte ricchezze, diceva «Con queste
troverò dei guerrieri». I Ljachi gli portarono via tutto, prima di indicargli la
strada che l’avrebbe riportato lontano da loro. Intanto Svjatoslav,
trasgredendo all’ordine paterno e più ancora a quello di Dio, si insediò a
Kiev, dopo aver scacciato suo fratello. Grande è il peccato di chi infrange gli
ordini del proprio padre. Per primi, infatti, lo avevano trasgredito i figli di
Cam che invasero la terra di Set e dopo quattrocento anni ricevettero il
castigo di Dio. Della stirpe di Set sono gli Ebrei, che, sterminata la stirpe di
Canaan, riconquistarono la parte toccata loro in sorte e la loro terra. In
seguito Esaù trasgredì gli ordini di suo padre e fu assassinato perché è male
violare i confini altrui.
Questo stesso anno fu fondata la chiesa del monastero delle Grotte
dall’igumeno Feodosij e dal vescovo Michail, essendo allora il metropolita di
Kiev Georgij in Grecia. Svjatoslav governava Kiev.
LXVIII. Morte di Feodosij (1074) e storia del monastero Pečerskij
Nell’anno 6582 [1074], morì Feodosij, igumeno del monastero delle Grotte,
morì. Diremo qualche parola sulla sua morte. Feodosij aveva l’abitudine,
quando veniva il tempo della Quaresima, la sera della domenica della vigilia,
dopo avere salutato tutti i fratelli secondo l’uso, di insegnare loro come
trascorrere il periodo dell’astinenza, pregando notte e giorno e allontanando
i pensieri impuri e le tentazioni del demonio. «I demoni, diceva, seminano
nei monaci pensieri e desideri malvagi, infiammano la loro immaginazione e
così inquinano le loro preghiere. Impedite il sopravvento di tali pensieri con
il segno della croce dicendo così: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi
pietà di noi, amen”. Oltre a ciò, astenetevi dal molto cibo, perché nel
mangiare molto e nel bere smodato si accrescono i cattivi pensieri,
impinguatisi i pensieri si consuma il peccato. Per cui, diceva, resistete
all’azione dei demoni e alle loro astuzie, guardatevi dall’indolenza e
dall’eccesso di sonno, siate vigili durante il canto in chiesa, attenti
all’insegnamento dei padri e alle letture dei libri. Ai monaci si confà
soprattutto avere sulle labbra il Salterio di Davide e con esso scacciare
l’accidia demoniaca. Più di ogni altra cosa coltivate in voi l’amore verso tutti
i più giovani, invece nei confronti degli anziani la sottomissione e
l’obbedienza. I più anziani manifestino verso i più giovani amore ed
edificazione, e si offrano quali esempi di astinenza e veglia, laboriosità ed
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umiltà, così occorre istruire i giovani e consolarli, e in tal modo trascorrere
la Quaresima». Diceva così: «Dio ci ha dato questi quaranta giorni per la
purificazione dell’anima. È la decima parte dell’anno che viene offerta a Dio,
infatti da un anno all’altro ci sono trecentosessantacinque giorni e di questi
ogni decimo giorno si offre a Dio quale decima, che sarebbe il digiuno
quaresimale. Così l’anima, purificatasi in questi giorni festeggia
luminosamente la resurrezione del Signore, giubilando in Dio. Il tempo di
digiuno purifica l’intelletto dell’uomo; l’astinenza esiste dal principio: per
primo ad Adamo fu proibito di assaggiare i frutti di un albero; Mosè dopo
quaranta giorni di digiuno meritò di ricevere la legge sul Monte Sinai e vide
la gloria di Dio [cfr. Dt 9,9], dopo aver digiunato la madre di Samuele lo
partorì [cfr. 1 Sam 1,7 ss.], col digiuno gli abitanti di Ninive dissiparono la
collera di Dio [cfr. Gio 3,5], digiunando Daniele meritò di ricevere grandi
visioni [cfr. Dn 9], digiunando Elia fu rapito in cielo per partecipare al
convito del paradiso [cfr. 2 Re 2,1-8], digiunando i tre fanciulli spensero la
potenza del fuoco [cfr. Dn 3,6 ss.], digiunando nell’arco di quaranta giorni il
Signore dedicò a noi il tempo del digiuno [cfr. Mt, 4,2], col digiuno gli
apostoli sradicarono l’insegnamento demoniaco [cfr. At 13,2 ss. e 14,23],
col digiuno i nostri padri apparvero quali lanterne nel mondo, risplendenti
anche dopo la morte, palesando le grandi gesta e l’astinenza, simili ai grandi
Antonio [il Grande] ed Eutimio e Saba e agli altri padri. Essi emuliamo
anche noi, o fratelli».
E dopo aver così istruito i fratelli e abbracciato nominalmente ciascuno di
loro, abbandonava il monastero portando con sé un po’ di pane. Una volta
entrato nella grotta, chiudeva la porta d’ingresso e la bloccava ammassando
della terra e non parlava più con nessuno. Se capitava di avere qualche
necessità, attraverso una piccola finestrella la comunicava, di sabato o di
domenica; gli altri giorni permaneva in astinenza e preghiera, saldo nel
digiuno. Rientrava nel monastero il venerdì, alla vigilia di San Lazar’, il
giorno in cui termina l’astinenza quaresimale che s’apre col primo lunedì
della settimana di San Fedor e per terminare il venerdì di San Lazar’;
durante la settimana santa della passione si osserva il digiuno per onorare
la passione del Signore.
Feodosij, rientrato dunque secondo l’usanza, abbracciò i suoi fratelli e
festeggiò con loro la domenica delle Palme. Quando arrivò il gran giorno
della Resurrezione, lo festeggiò solennemente secondo la sua abitudine e
poi cadde malato. Ammalatosi egli, invero, e giunto al quinto giorno di
infermità, la sera chiese di essere trasportato nel cortile. I fratelli lo posero
sopra una slitta e lo trasportarono di fronte alla chiesa. Ordinò allora di
convocare tutti i fratelli e disse loro: «Miei padri, miei fratelli, miei figli, ecco
che io me ne vado da voi, come mi manifestò il Signore in tempo di
Quaresima, intanto che permanevo nella grotta: sto per abbandonare
questo mondo. Chi desiderate avere quale vostro igumeno? Che io gli dia la
mia benedizione». Essi gli dissero: «Tu sei il padre di tutti noi, colui che
sceglierai sarà per noi padre e igumeno e gli obbediremo come a te». Il
nostro padre Feodosij disse allora: «Allontanatevi da me, eccetto i due
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fratelli Nikolaj e Ignat, nominate pure colui che volete; di fra gli altri, uno
anziano o giovane che sia, scegliete secondo volontà». Essi gli ubbidirono e
si allontanarono verso la chiesa e, dopo essersi consultati, inviarono due
fratelli per dire così: «Sia colui che vogliano Dio e la sua onorata preghiera,
nomina pure il preferito da te». Feodosij disse loro: «Se volete che io
designi il vostro igumeno, allora farò questo per voi, non di mia volontà,
bensì per desiderio di Dio». E nominò per loro il presbitero Jakov. Ciò non fu
gradito ai fratelli che dicevano: «Non ha ricevuto qui la tonsura». Infatti
Jakov era venuto da Al’ta insieme al fratello suo, Paolo. E i fratelli si misero
a chiedere Stefan, discepolo di Feodosij che all’epoca era il domestico
[cantore], dicendo: «Questi è cresciuto sotto la tua guida, e presso di te ha
servito, dacci costui». Feodosij disse loro: «Ecco, io ho designato Jakov
secondo l’ordine divino, voi invece insistete secondo il volere vostro». E
cedendo all’insistenza assegnò loro Stefan, perché diventasse il loro
igumeno. E benedisse Stefan e gli disse: «Figlio, ecco, ti affido il monastero,
custodiscilo con cura e attieniti a quanto ho stabilito nei servizi: non mutare
le tradizioni monastiche e la regola, ma ogni cosa esegui secondo la legge e
l’ordinamento monastico». Quindi i fratelli lo prelevarono e, trasportatolo in
cella, lo adagiarono sul letto. Al sesto giorno, poiché egli era molto grave,
venne a lui Svjatoslav, con suo figlio Gleb. E mentre erano presso di lui,
Feodosij gli disse: «Ecco, lascio questo mondo, e quindi ti affido la custodia
del monastero, nel caso accadesse in esso qualche turbolenza. A te
raccomando anche l’igumeno Stefan: non permettere che lo si offenda». Il
principe lo baciò e, promessogli che avrebbe avuto cura del monastero, si
accomiatò da lui. Giunto il settimo giorno, Feodosij, oramai stremato,
convocò Stefan e i fratelli e prese a dire loro così: «Alla mia dipartita da
questo mondo, se avrò compiaciuto Dio e se Dio mi vorrà accogliere, allora,
dopo il mio trapasso, il monastero comincerà ad ingrandirsi e a popolarsi di
più: sappiate allora che Dio mi ha accolto. Se invece, dopo la mia morte, il
monastero comincerà a impoverirsi di monaci e a scarseggiare di provviste
conventuali, sappiate allora che non ho soddisfatto Dio». Quando egli ebbe
proferito ciò, i fratelli piansero a dirotto: «O padre, prega Dio per noi,
perché sappiamo, invero, che Dio non disdegnerà le tue fatiche». E tutta la
notte si trattennero accanto a lui. E allorché giunse l’ottavo giorno, che era
il secondo sabato dopo la Pasqua, alla seconda ora del giorno, rese l’anima
nelle mani di Dio, il terzo giorno del mese di maggio. E piansero per lui i
fratelli. Feodosij aveva ordinato di essere deposto nella grotta, dove a tante
gesta aveva atteso. «Seppellite il mio corpo di notte», aveva detto. Così
fecero. Giunta la sera, i fratelli presero il suo corpo, e lo deposero
onorevolmente nella grotta, accompagnandolo con canti e ceri, lodando
nostro Signore Gesù Cristo.
E Stefan governava il monastero e i monaci del beato gregge adunato da
Feodosij. Tali monaci risplendevano nella Rus’ come torce, alcuni erano
formidabili nel digiunare, altri nella veglia, altri nell’adorazione in ginocchio,
altri nell’astinenza a giorni alterni o ogni due giorni, altri nel consumare
soltanto pane e acqua, altri solo verdure crude o cucinate; i più giovani
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sottomessi agli anziani non osavano parlare in loro presenza, ma sempre in
sottomissione umiltà e grande obbedienza permanevano. Allo stesso modo
anche i più anziani erano pieni d’amore verso i giovani, che istruivano e
consolavano come figli prediletti. Se un fratello cadeva in qualche infrazione,
lo confortavano e, per il grande amore che li legava, la punizione di un
fratello condividevano in tre o quattro: tale era l’amore che univa questi
fratelli e tale era la loro grande temperanza. Se qualche fratello
abbandonava il monastero, tutti i confratelli, a causa di ciò, cadevano in
grande afflizione, lo cercavano e lo riportavano al monastero, quindi tutti
andavano a inchinarsi all’igumeno, pregavano l’igumeno e con gran gioia il
fratello di nuovo accoglievano nel monastero. Tali essi erano: colmi di amore
e di temperanza e di astinenza; di fra loro ricorderò alcuni uomini
straordinari.
Primo fra tutti Dem’jan [Damiano], il presbitero; era tanto dedito al digiuno
e all’astinenza che fino alla sua morte nulla assaggiò che non fosse pane e
acqua. Se qualcuno portava al monastero un bambino ammalato, oppure
afflitto da qualche infermità, oppure giungeva in monastero, dal beato
Feodosij, un adulto affetto da qualche malanno, ordinava questi a Dem’jan
di recitare una preghiera per l’infermo e terminata la preghiera lo ungeva
con l’olio santo. E guarivano quanti a lui venivano. Una volta che, ammalato
e prossimo a morire, giaceva spossato, gli pervenne un angelo con le
sembianze di Feodosij, che gli donò il regno dei cieli quale ricompensa per le
sue gesta. Più tardi giunse Feodosij insieme ai fratelli e gli si sedettero
accanto. Egli, allo stremo delle forze, guardò l’igumeno e disse: «Non
dimenticare, igumeno, quanto mi hai promesso la notte scorsa!». Il grande
Feodosij comprese che aveva avuto una visione e gli disse: «Fratello
Dem’jan, ciò che io t’ho promesso si compirà». Egli, socchiusi gli occhi, rese
l’anima nelle mani di Dio; l’igumeno e i fratelli seppellirono il suo corpo.
C’era anche un altro fratello di nome Eremija, che ricordava il battesimo
della Rus’. A costui Dio aveva donato un talento: profetava il futuro e
quando scorgeva un fratello in pensieri impuri, lo riprendeva in segreto e lo
istruiva a guardarsi dal demonio. Se qualche fratello meditava di lasciare il
monastero ed egli veniva a scoprirlo, si recava da lui, biasimava il suo
pensiero e consolava il fratello. Se annunciava a qualcuno qualche cosa,
buona o cattiva che fosse, si avverava sempre la parola del vegliardo.
C’era un altro anziano di nome Matvej e anche questi era veggente. Un
giorno, mentre stava in chiesa al proprio posto, alzati gli occhi passò lo
sguardo sui fratelli che, eretti lungo entrambi i lati, cantavano e scorse un
demonio che s’aggirava in sembianze di Ljaco; era avvolto in un mantello e
sotto la falda aveva un fiore chiamato lepok [la bardana]. Mentre passava
lungo le file dei fratelli, prelevandosi dal petto il fiore, lo lanciava contro
qualcuno. Se il fiore si attaccava a qualcuno dei fratelli, che erano intenti a
cantare, questi sostava alquanto con la mente dissipata, poi, trovato un
pretesto qualsiasi, lasciava la chiesa e ritornato in cella cadeva
addormentato e non ritornava più in chiesa, fino alla fine del canto
mattutino. Se lo lanciava contro un altro e il fiore non gli si attaccava,
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permaneva questi saldo nel canto fino al termine del Mattutino e solo allora
si ritirava nella cella. Veduto ciò, il vegliardo lo raccontò ai suoi confratelli.
Sempre quel vegliardo vide anche questo. Di solito egli, dopo il Mattutino, si
tratteneva in chiesa intanto che tutti i fratelli, terminato il canto prima
dell’alba, raggiungevano le loro celle; egli abbandonava per ultimo la chiesa.
Una volta, mentre andava s’assise sotto il battaglio per tirare il fiato, ché la
sua cella era distante dalla chiesa, ed ecco scorse una gran turba muovere
provenendo dalla porta. Alzò gli occhi e vide uno che stava a cavalcioni di
un maiale, mentre gli altri correvano intorno. E chiese loro il vegliardo:
«Dove andate?». Rispose il demonio che cavalcava il porco: «A prelevare
Michal Tol’bekovič». L’anziano si segnò col segno della croce e rientrò nella
sua cella. Fattosi giorno e compreso il vecchio di cosa si trattava, disse al
cellario: «Vai a controllare se Michal è in cella». Gli risposero: «Poc’anzi,
dopo il Mattutino, ha saltato il muro». E l’anziano raccontò quella visione
all’igumeno e ai confratelli. Al tempo di questo vegliardo morì Feodosij e
divenne igumeno Stefan, e dopo Stefan Nikon ed egli era ancora in vita.
Una volta, mentre assisteva al Mattutino, nel desiderio di vedere l’igumeno
Nikon, sollevò gli occhi e scorse un asino che stava al posto dell’igumeno.
Comprese che l’igumeno ancora non si era alzato. Alla medesima maniera
molte altre visioni ebbe questo vegliardo e si spense nello stesso monastero
in ragguardevole vecchiezza.
C’era anche un altro monaco, di nome Isakij. Era stato ricco quando
apparteneva ancora al mondo secolare: nativo della città di Toropec, aveva
fatto il mercante. Poi pensò di farsi monaco e dopo aver distribuito i suoi
averi fra i bisognosi e i monasteri, si recò dal grande Antonij nella grotta con
la preghiera di dargli la tonsura monastica. L’accolse Antonij e lo rivestì della
tonaca monastica, conferendogli il nome di Isakij, in luogo di Čern, il suo
nome secolare. Questo Isakij intraprese una vita di rigori e indossò il cilicio.
Chiese che gli comperassero un caprone e scuoiatolo indossò la pelle sopra
il cilicio; la pelle umida si essiccò su di lui. E si rinchiuse nella grotta, in una
dei corridoi, una piccola celletta di quattro braccia, e là, senza sosta,
pregava Dio tra le lacrime. Il suo cibo era il solo pane eucaristico e anche
questo a giorni alterni; persino l’acqua beveva con moderazione. Glieli
portava il grande Antonij che glieli passava dalla finestrella attraverso la
quale a stento s’infilava la mano; in questo modo riceveva il cibo. Così
trascorse sette anni senza uscire mai alla luce, né sulle costole giacere, ma
seduto si assopiva un po’. E, come d’abitudine, calata la sera si metteva in
ginocchio a cantare i salmi fino alla mezzanotte e se si affaticava si sedeva
sul suo sedile. Una volta, mentre, come uso, rimaneva seduto dopo aver
spento la candela, all’improvviso una luce che accecava la vista come fosse
il sole, risplendette nella grotta. E vennero a lui due giovani bellissimi dai
volti fulgenti come il sole e gli dissero: «Isakij, noi siamo due angeli;
guarda, Cristo viene con gli angeli». E alzatosi Isakij vide una folla e i loro
volti simili al sole e fra di loro uno, il cui volto risplendeva sopra tutti gli
altri. E gli dissero: «Isakij, ecco a te Cristo; cadi, prosternati a lui!». Egli
non comprese l’opera demoniaca, né pensò a segnarsi con il segno della
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croce; alzatosi, invece, s’inchinò all’opera del demonio, come se si
inchinasse a Cristo. I demoni esclamarono e dissero: «Sei nostro oramai,
Isakij». E fattolo entrare nella celletta e messolo a sedere, presero ad
ammassarsi intorno a lui e la cella si empì di loro e tutto il passaggio verso
la grotta. E uno dei demoni, quello che si spacciava per Cristo, disse:
«Prendete zampogne e tamburelli e gusli [strumento musicale a corde] e
suonate, perché Isakij ballerà per noi». E attaccarono con le zampogne e
con le gusli e coi tamburelli e presero a divertirsi con lui; alla fine lo
abbandonarono stremato, vivo per miracolo, andandosene dopo averlo
dileggiato. L’indomani, fattosi giorno e giunta l’ora di assaggiare il pane,
venne Antonij, come d’abitudine, alla finestrella e disse: «Signore benedici
padre Isakij!». Non vi fu risposta, né alcuno udì. Molte volte ripeté il saluto
Antonij; nessuna risposta ricevette. E disse Antonij: «Ecco che è già
morto». E mandò al monastero per cercare Feodosij e i suoi fratelli. E
scavarono, laddove era sbarrato l’ingresso ed entrati lo prelevarono,
pensandolo morto; lo portarono fuori e lo distesero dinanzi alla grotta. E si
accorsero che era in vita. E disse l’igumeno Feodosij: «Dall’opera dei
demoni proviene ciò». E lo misero sul letto e Antonij lo assisteva.
In quel tempo accadde che Izjaslav ritornasse dalla terra dei Ljachi e si
arrabbiasse Izjaslav con Antonij per Vseslav. E Svjatoslav, mandati gli
uomini, prelevò Antonij di notte per accompagnarlo a Černigov. Antonij,
giunto a Černigov, s’invaghì delle colline di Boldino e, scavata una grotta,
prese qui dimora: esiste, colà sulle colline di Boldino, fino ai giorni nostri il
monastero della Santa Madre di Dio. Feodosij, vedendo Antonij partire per
Černigov, andò con i confratelli a prelevare Isakij e lo portò nella sua cella e
lo accudiva, perché aveva indeboliti il corpo e la mente; non era capace di
girarsi dall’altra parte, né di alzarsi, né di sedersi, ma giaceva su un lato e si
bagnava spesso e sotto il suo fianco, e, per l’umidità e il ristagno, si
formavano dei vermi. Feodosij in persona di sua mano lo lavava e cambiava
e per due anni ebbe sempre cura di lui. E questo fu di meraviglia e stupore:
giacque egli per due anni, senza mai assaggiare pane, né acqua, né cibo
alcuno, né frutta; e neanche con la lingua parola proferire bensì per due
anni rimase sordo e muto. Feodosij supplicava Dio per lui e su di lui recitava
preghiere di giorno e di notte, fino a che al terzo anno riprese a parlare e si
rizzò sulle gambe come un bambino e s’incamminò. Ma frequentare la
chiesa sdegnava, tanto che con la forza lo attirarono verso di essi e così a
poco a poco l’abituarono. Poi gli insegnarono ad andare al refettorio e lo
facevano sedere lontano dai confratelli e gli mettevano il pane dinanzi, ma
non lo toccava, se non glielo si metteva in mano. Feodosij disse: «Ponetegli
il pane dinanzi, ma senza metterglielo in mano, che mangi da solo». E per
una settimana non mangiò. Poi, lentamente, guardandosi intorno, cominciò
ad assaggiare il pane e così imparò a mangiare. Così Feodosij lo salvò dalle
insidie del diavolo e dalla sua seduzione. E Isakij di nuovo tornò all’estrema
audacia e all’astinenza. Quando Feodosij morì e Stefan gli subentrò nella
carica, Isakij disse: «Ecco, mi hai già ingannato una volta, o diavolo, mentre
rimanevo nello stesso luogo; ora non mi rinserrerò più nella grotta, ti
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vincerò bensì vivendo nel monastero». E indossò il cilicio e sul cilicio una
tonaca ruvida e assunse un comportamento da folle. E prese ad aiutare i
cuochi cucinando per i confratelli. E al Mattutino presentandosi prima di tutti
rimaneva solo ed immobile. Al sopraggiungere dell’inverno e dei terribili
rigori calzava scarpe dalle suole logore, talché i piedi suoi si congelavano
sulla pietra, ma egli non muoveva le gambe fino alla fine dei canti mattutini.
E dopo il Mattutino si recava in cucina per preparare il fuoco, l’acqua e la
legna prima che giungessero gli altri cuochi. Uno dei cuochi, che portava
quel medesimo nome Isakij, disse scherzando a Isakij: «Là fuori c’è un
corvo nero, vai e prendilo». Egli si inchinò dinanzi a lui fino a terra, prese il
corvo e lo portò davanti a tutti i cuochi. Ed essi orripilarono e raccontarono
all’igumeno e ai confratelli; e da allora i confratelli lo rispettarono. Egli,
disdegnando la gloria umana, si diede alle follie, provocando dei danni ora
all’igumeno, ora ai confratelli, ora ai secolari, tanto che alcuni lo
castigarono. E prese ad uscire per il mondo, anche colà commettendo
stravaganze. E si insediò nella grotta dov’era vissuto prima; Antonij era già
morto ed egli radunò intorno a sé dei giovani e li rivestì di abiti monacali,
per la qual cosa subì i castighi corporali dell’igumeno Nikon, come dei
genitori di questi ragazzi. Egli tutto sopportava, accettando le bastonate e la
nudità e il freddo giorno e notte. Una notte egli attizzò la stufa della piccola
izba presso la grotta. Infiammata, attraverso le sue crepe, perché era
piuttosto vecchia la stufa, presero a fuoriuscire delle lingue di fuoco. Egli
nulla aveva con cui otturare le fessure e, salito sopra con i piedi scalzi stette
sulle fiamme fino a che il fuoco non si spense. E molte cose raccontavano di
lui, mentre di altre fui anche testimone. E così colse la vittoria sui demoni,
ché in nulla li temeva e al par delle mosche considerava le sue visioni.
Diceva loro: «Voi mi avete sedotto una prima volta nella grotta perché
ignoravo le vostre insidie e le vostre perfidie, ma ora sono fiducioso: in
nome del Signore Gesù Cristo e del mio Dio, e con la preghiera del padre
mio Feodosij, avrò la vittoria». Molte volte i demoni gli arrecavano danni e
dicevano: «Sei nostro, ti sei inchinato al nostro capo e a noi» ed egli
ribatteva: «Il vostro capo è l’anticristo, mentre voi siete dei demoni» e
segnava sul suo volto il segno della croce e così essi scomparivano. Una
volta di nuovo vennero a lui di notte, spaventandolo con una visione, perché
erano in molti, armati di zappe e picconi, e dicevano: «Facciamo crollare
questa grotta e seppelliamolo qui»; altri dicevano: «Fuggi, Isakij, ti vogliono
seppellire». Egli rispondeva loro: «Se foste stati degli uomini, sareste venuti
di giorno, mentre voi siete tenebra, nella tenebra vivete e la tenebra vi
porterà via». E li segnò con la croce ed essi scomparvero. Altre volte lo
spaventavano in sembianze di orso, oppure di fiera feroce o di bove, oppure
di serpenti che strisciavano verso di lui, o di rospi, o di topi o di ogni sorta di
animali. E non riuscirono a fargli nulla e gli dissero: «Isakij, tu ci hai vinti».
Egli rispose: «La prima volta mi avete vinto, poiché celati sotto le
sembianze di Gesù Cristo e sotto quelle degli angeli, spoglie delle quali siete
indegni; ma ecco ora apparite in sembianze di fiere e di animali, di serpenti
e di rettili, come in realtà voi siete, cattivi e ripugnanti alla vista». E
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fuggirono da lui i demoni e da allora, come egli stesso raccontava, alcun
danno dai demoni più gli derivò: «Una guerra, questa, protrattasi per me
per ben tre anni». Poi riprese a vivere in rigore e astinenza, in digiuno e
veglia. E così vivendo conchiuse la sua esistenza. E si ammalò nella grotta;
e già infermo lo trasportarono nel monastero ed entro l’ottavo giorno spirò
in Dio. L’igumeno Ioann e i confratelli, preparata la salma, gli diedero
sepoltura.
Tali erano i monaci del monastero di Feodosij, i quali risplendono quali torce
anche dopo la morte e pregano Dio per i confratelli, che stanno qui e per
quelli del secolo, per i benefattori del monastero nel quale anche oggi si
conduce una vita virtuosa, tutti insieme uniti nei canti e nelle preghiere e
nell’obbedienza per la gloria di Dio onnipotente e dalle preghiere di Feodosij
protetti; a lui gloria nei secoli. Amen.
LXIX. Ambasciatori germani da Svjatoslav (1075)
Nell’anno 6583 [1075], iniziarono la costruzione della chiesa del
[monastero] Pečerskij sopra le fondamenta poste dall’igumeno Stefan. Per
primo ad erigerla cominciò Feodosij; su quei basamenti continuò Stefan. Fu
terminata nel terzo anno, il mese di luglio, giorno undicesimo. In quest’anno
vennero a Svjatoslav gli ambasciatori dei Germani. Svjatoslav, inorgoglito,
mostrò loro il suo tesoro. Essi, nel vedere una quantità incommensurabile di
oro e d’argento e di stoffe pregiate, dissero: «Tutto ciò è nulla, giacché sono
cose morte; meglio di ciò sono i guerrieri, perché gli uomini queste cose
conquistano e anche in quantità ben superiore». È così che si gloriò Ezechia,
re di Giuda, davanti agli ambasciatori del re di Assiria dal quale tutto
sarebbe stato prelevato e portato in Babilonia [cfr. 2 Re 20,12 ss.]. Così,
dopo la morte di questi [Svjatoslav], tutti i suoi beni furono dispersi ai
quattro venti.
Nell’anno 6584 [1076], Vladimir, figlio di Vsevolod, e Oleg, figlio di
Svjatoslav, andarono in soccorso dei Ljachi, contro i Cechi. Quest’anno morì
Svjatoslav, figlio di Jaroslav, il ventisette del mese di dicembre, in seguito
all’incisione di un bernoccolo, e fu seppellito a Černigov, dietro la chiesa di
San Salvatore. E dopo di lui s’assise sul trono Vsevolod il primo giorno del
mese di gennaio. Quest’anno nacque a Vladimir un figlio, Mstislav, nipote di
Vsevolod.
Nell’anno 6585 [1077], Izjaslav mosse guerra alleandosi con i Ljachi;
Vsevolod marciò contro di lui; Boris si insediò a Černigov nel mese di
maggio e il suo regno durò otto giorni prima di fuggire a Tmutorokan’
presso Roman. Vsevolod marciò contro suo fratello Izjaslav a Volyn’ e
conclusero la pace. E Izjaslav tornò a insediarsi a Kiev nel mese di luglio
giorno quindici. Oleg, figlio di Svjatoslav, era presso Vsevolod di Černigov.
LXX. Guerra contro i Polovcy e morte di Izjaslav (1078)
Nell’anno 6586 [1078], Oleg, figlio di Svjatoslav a Tmutorokan’, fuggì da
Vsevolod il decimo giorno del mese di aprile.
Quest’anno Gleb, figlio di Svjatoslav, fu ucciso a Zavoloč’e. Gleb era
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compassionevole verso i poveri, ospitale con i forestieri, premuroso verso la
chiesa, ardente di fede, umile e bello d’aspetto. La sua salma fu tumulata a
Černigov dietro la chiesa di San Salvatore, il giorno ventitré del mese di
luglio. Mentre Svjatopolk, figlio di Izjaslav, gli succedette a Novgorod,
Jaropolk regnava a Vyšgorod, Vladimir a Smolensk, Oleg e Boris portarono i
pagani nella terra russa e marciarono contro Vsevolod insieme ai Polovcy.
Vsevolod marciò contro di loro sulla Sožica e i Polovcy vinsero la Rus’ e
molti furono gli uccisi. Vi morirono, il giorno venticinque del mese di agosto,
Ivan Žiroslavič [Jaroslavič] e Tuky, fratello di Čudin e Porej e molti altri.
Oleg e Boris entrarono a Černigov reputandosi vincitori, di fatto gran male
alla Rus’ arrecavano, versando sangue cristiano, sangue che Dio dalle loro
mani ricercherà [vendicherà] perché dovranno rispondere per la perdita
delle anime dei Cristiani. Vsevolod venne da suo fratello Izjaslav a Kiev e,
dopo essersi salutati si misero a seduti. Vsevolod raccontò tutto l’accaduto.
Izjaslav gli disse: «Fratello, non affliggerti. Hai visto quanto male è capitato
a me: non mi scacciarono forse, prima, per depredare i miei possedimenti?
E poi ancora, una seconda volta, per quale mai colpa da me commessa? E
non fui forse scacciato da voi, dai fratelli miei? E non andai ramingo per
terre straniere, privato di ogni bene, senza aver compiuto alcun male? E
ora, fratello, non rattristiamoci. Se ci spetterà una parte della terra russa, di
essa sarà di entrambi; se ne saremo privati, la perderemo insieme. Io
esporrò la mia vita per te!». E così dicendo, consolato Vsevolod, diede
ordine di riunire tutti i guerrieri, dal più giovane al più anziano. E Izjaslav
marciò con suo figlio Jaropolk, e Vsevolod con suo figlio Vladimir, e
andarono contro Černigov, ma i cittadini di Černigov serrarono la città. Oleg
e Boris non erano a Černigov. Poiché non aprivano i cittadini di Černigov,
mossero essi all’assalto della città. Vladimir attaccava nella zona della porta
ad oriente dello Strižen, ed espugnò la porta e conquistata la parte esterna
della città la incendiò, mentre gli uomini fuggivano verso l’interno
dell’abitato. Izjaslav e Vsevolod appresero che Oleg e Boris avanzavano
contro di loro, li prevennero e uscirono dalla città contro Oleg. Allora Oleg
disse a Boris: «Non marciamo contro essi, non possiamo opporci a quattro
principi, ma manderemo [messaggeri] con umiltà ai nostri zii». Boris gli
rispose: «Tieniti pronto e osserva, sono io avverso a tutti loro». Gran vanto
menò egli, ignorando che «Dio resiste ai superbi; agli umili invece dà la sua
grazia» [Gc 4,6], perché «non si vanti il forte della sua forza» [Ger 9,22]. E
mossero contro ed entrambi gli eserciti, raggiunta la località presso il
villaggio che si chiama Nežatina Niva, si scontrarono e seguì una cruenta
battaglia. E per primo cadde ucciso Boris, figlio di Vjačeslav, che tanto s’era
vantato. Izjaslav, che era appiedato fra i fanti, da qualcuno, sopraggiunto
inatteso, fu colpito alla spalla con la lancia. E così fu ucciso Izjaslav, figlio di
Jaroslav. E siccome la battaglia si protraeva, Oleg fuggì con una piccola
družina e a stento riuscì a salvarsi fuggendo a Tmutorokan’. Fu ucciso il
principe Izjaslav il terzo giorno del mese di ottobre. E, prelevato il suo
corpo, lo trasportarono in una barca e lo deposero nella città di Gorodec.
Tutta la città di Kiev uscì incontro a lui. Sistemata la salma su una slitta, i
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sacerdoti e i monaci, intonando inni, la trainarono in città. Il gran pianto
generale ed i singhiozzi che si elevavano coprivano il canto; tutta la città di
Kiev lo pianse. Jaropolk seguiva il feretro con tutta la sua družina e
piangeva: «Padre, padre mio, non sei proprio vissuto senza dolore in questo
mondo, perché di tante aggressioni la gente estranea e i fratelli tuoi ti
fecero oggetto. Tuttavia non per mano del fratello sei morto, bensì
sacrificando il proprio capo per il fratello tuo». E trasportatolo seppellirono il
suo corpo nella chiesa della Santa Deipara [o: nella chiesa di Santa Sofia a
Kiev] deponendolo in un sepolcro di marmo. Izjaslav era di bell’aspetto e
corporatura possente, di buona indole, intollerante verso le storture,
amante della giustizia, estraneo all’astuzia come alla menzogna, ma candido
di intelletto, mai restituiva male per male. Quante offese gli arrecarono i
cittadini di Kiev: lo scacciarono, mentre la sua dimora saccheggiarono e a
tanto male mai rispose col male. Se qualcuno vi dirà: «Ha sterminato i
soldati che hanno liberato Vseslav dalle segrete», non egli compì ciò, bensì
il figlio suo. Nuovamente i suoi fratelli lo cacciarono e andò ramingo per
terre straniere. E assisosi egli di bel nuovo sul suo scranno, quando
Vsevolod giunse da lui sconfitto, non gli disse: «Quanto male da voi ho
ricevuto», non restituì male per male, ma lo consolò dicendogli «Fratello,
poiché tu mi hai dimostrato affetto, riconducendomi sul mio scranno e
appellandomi maggiore di te, ecco, son’io dimentico del male primiero; tu
mi sei fratello, e per te il capo mio porrò», così poi accadde. Non gli aveva
detto: «Quanto male mi avete fatto ed ecco, ora a te lo stesso accadrà»,
non disse: «Ciò non mi riguarda», ma, assumendo su di sé il dolore fraterno
e amore grande manifestando, pose in atto quanto detto dall’apostolo:
«Confortate i pusillanimi» [1 Ts 5,14]. In verità, se egli in questo mondo ha
commesso qualche peccato, gli sarà perdonato, perché ha sacrificato il capo
per suo fratello, non perseguendo maggior potere, né ricchezza superiore,
ma ergendosi in difesa del fratello oltraggiato. Di simili uomini il Signore
disse: «[Nessuno ha un amore più grande di questo:] dare la vita per i
propri amici» [Gv 15,13]. Salomone disse: «Fratelli, nelle sventure siate
soccorrevoli» [cfr. Prv 17,17]. Infatti l’amore è superiore a ogni altra cosa,
come dice Giovanni: «Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio
dimora in lui. Per questo l’amore ha raggiunto in noi la sua perfezione,
perché abbiamo fiducia nel giorno del giudizio; perché come è lui, così
siamo anche noi, in questo mondo. Nell’amore non c’è timore, al contrario
l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi
teme non è perfetto nell’amore» [1 Gv 4,16-18]. E ancora: «Se uno
dicesse: “Io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti
non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede.
Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il
suo fratello» [1 Gv 4,20-21] Ogni cosa si completa nell’amore: per amore
anche i peccati si dissolvono; per amore Dio discese in terra e si fece
crocifiggere per noi peccatori e, assunti i nostri peccati, s’inchiodò sulla
croce offrendo a noi la sua croce per scacciare l’odio demoniaco; per amore
i martiri versarono il proprio sangue; per amore anche questo principe versò
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il proprio sangue per il fratello suo, adempiendo al precetto del Signore.
Inizio del principato di Vsevolod a Kiev: Vsévolod s’assise in Kiev, sullo
scranno di suo padre e di suo fratello, assumendo il potere su tutta la Rus’.
E insediò suo figlio Vladimir a Černigov, mentre insediò Jaropolk nella città
di Vladimir, e a questi assegnò anche Turov.
LXXI. Guerre civili
Nell’anno 6587 [1079], Roman venne con i Polovcy presso Voin, Vsevolod
stette presso Perejaslavl’ e concluse la pace con i Polovcy. E ritornò indietro
Roman con i Polovcy, lo uccisero i Polovcy il secondo giorno del mese di
agosto. Le ossa di lui, figlio di Svjatoslav, nipote di Jaroslav, a tutt’oggi colà
giacciono. I Chazari fecero prigioniero Oleg e lo condussero per mare a
Car’grad. Vsevolod insediò Ratibor governatore a Tmutorokan’.
Nell’anno 6588 [1080], i Torki di Perejaslavl’ contro la Rus’. Vsevolod mandò
contro di essi il figlio suo Vladimir. Vladimir infatti andò e vinse i Torki.
Nell’anno 6589 [1081], fuggì Davyd, figlio di Igor’, insieme a Volodar’, figlio
di Rostislav, il giorno diciotto del mese di maggio. Raggiunsero Tmutorokan’,
imprigionarono Ratibor, e si stabilirono a Tmutorokan’.
Nell’anno 6590 [1082], morì Osen’, principe dei Polovcy.
Nell’anno 6591 [1083], giunse Oleg a Tmutorokan’, provenendo dai Greci e
prese prigionieri Davyd e Volodar’ Rostislavič e si insediò a Tmutorokan’. E
uccise i Chazari istigatori dell’assassinio di suo fratello e di lui medesimo,
mentre liberò Davyd e Volodar’.
Nell’anno 6592 [1084], venne Jaropolk da Vsevolod il giorno di Pasqua. In
quel tempo i due figli di Rostislav erano sfuggiti a Jaropolk, e, ritornati,
scacciarono Jaropolk. Vsevolod mandò suo figlio Vladimir e discacciò i figli di
Rotislav e insediò Jaropolk a Vladimir. Questo anno Davyd assoggettò i
gr’c’niky [popolazione mercantile della zona che commerciava con i Greci] di
Oleš’e s’appropriò di ogni loro avere. Vsevolod lo mandò a cercare e quando
venne gli offrì Dorogobuž.
Nell’anno 6593 [1085], Jaropolk, ascoltato i cattivi consiglieri, volle
marciare contro Vsevolod. Appreso ciò, Vsevolod gli mandò contro suo figlio
Vladimir. Jaropolk, abbandonata la madre sua e la družina a Luck, fuggì
presso i Ljachi. Vladimir giunse a Luck e gli abitanti della città si arresero,
mentre la madre, la moglie e la družina di lui portò a Kiev, e ogni suo bene
sequestrò.
LXXII. Avvenimenti diversi (1086-1090)
Nell’anno 6594 [1086], Jaropolk tornò dai Ljachi, e concluse la pace con
Vladimir e di nuovo Vladimir andò a Černigov; Jaropolk governava la città di
Vladimir. Dopo alcuni giorni egli partì per Zvenigorod e non aveva ancora
raggiunta la città che fu trafitto dal maledetto Neradec, dal diavolo e da
uomini malvagi ammaestrato. Egli era disteso nella slitta e quello, mentre
cavalcava, lo trafisse con la spada, il giorno ventidue del mese di novembre.
Jaropolk si sollevò e, dopo essersi estratto la spada, tuonò a gran voce:
«Ahimè, nemico mio, tu mi hai centrato». Neradec, il tre volte maledetto,
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fuggì a Peremyšl’ presso Rjurik, intanto che Radko e Vojkina, insieme a
molti altri, trasportarono Jaropolk a cavallo, facendosi precedere sulla strada
di Vladimir, e da qui a Kiev. Gli uscì incontro, insieme ai propri figli Vladimir
e Rotislav, il pio principe Vsevolod [padre di Vladimir Monomaco]
accompagnato da tutti i suoi bojari e dal venerabile metropolita Ioann, cui
facevano ala i monaci e i sacerdoti; tutti i Kieviani su di lui gran lacrime
piansero, con salmi e canti lo accompagnarono fino al [monastero di] San
Dmitrij; e sollevato il suo corpo, con gli onori lo deposero nel sepolcro di
marmo all’interno della chiesa del Santo Apostolo Pietro, che un tempo egli
stesso aveva cominciato ad erigere, nel quinto giorno del mese di dicembre.
Incolpevole, da molte sventure fu colpito: dai fratelli suoi scacciato,
oltraggiato, depredato e infine anche un’amara morte lo colse, però la vita
eterna e la pace si conquistò. Tale era questo beato principe Jaropolk, mite,
tranquillo ed umile, amante dei fratelli e degli indigenti; la decima parte di
tutti i suoi beni e del raccolto ogni anno offriva alla chiesa della Santa
Deipara e pregava sempre Dio dicendo: «Signore, mio Dio, Gesù Cristo,
accogli la mia preghiera e concedimi la morte per mano d’altri, come l’hai
concessa ai miei fratelli Boris e Gleb, affinché possa io lavare i miei peccati
col sangue mio e salvarmi da questo mondo frivolo e dalla violenza e dalle
tentazioni del demonio». Il Signore nella sua bontà non gli negò quanto
richiedeva e ricevette «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né
mai entrarono in cuore di uomo» [1 Cor 2,9], che sono da Dio approntati
per quanti lo amano.
In quell’anno Vsevolod andò a Peremyšl’. In quell’anno Vsevolod fondò la
chiesa di Sant’Andrea del beato metropolita Ioann, costruì presso questa
chiesa un monastero, dove sua figlia si fece monaca e si chiamò Janka; ella
riunì molte altre religiose e visse con loro secondo le regole della vita
religiosa.
Anno 6595 [1087].
Nell’anno 6596 [1088], fu consacrata la chiesa di San Michail del monastero
di Vsevolod dal metropolita Ivan e i vescovi Luka, Isajja; in quel momento
Lazar’ era igumeno di questo monastero.
Quell’anno, Svjatopolk lasciò Novgorod e andò a Turov.
Quell’anno morì Nikon, igumeno del monastero Pečerskij.
Quell’anno i Bulgari s’impossessarono di Murom.
Nell’anno 6597 (1089), fu consacrata la chiesa della Santa Deipara del
Pečerskij, il monastero di Feodosij, dal metropolita Ioann e da Luka,
vescovo di Belgorod, Isajja, vescovo di Rostov, Ioann, vescovo di Černigov,
e Antonij, igumeno di San Georgij [o: vescovo di Jur’ev], al tempo del
nobile principe Vsevolod, che governava la terra di Rus’, e dei suoi figli
Vladimir e Rostislav, quando a Kiev voivoda della guardia urbana era Jan, e
igumeno Ioann.
Quell’anno morì il metropolita Ioann, era questi buon conoscitore dei libri e
della scienza, caritatevole verso gli indigenti e le vedove, amabile con tutti,
ricchi e poveri, sottomesso e umile e silenzioso, facondo quando consolava
con le Sacre Scritture gli afflitti; nella Rus’ non v’è stato uno simile prima di
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lui, né dopo di lui un tale vi sarà.
Quell’anno, Janka, la figlia di Vsevolod, andò dai Greci.
Nell’anno 6598 [1090], Janka accompagnò il metropolitana Ioann, un
eunuco, del quale, dopo averlo visto, tutta la gente disse: «Ecco, è arrivato
un fantasma». Vi rimase un anno e poi spirò. Era egli uomo di scarse
lettere, ma d’intelligenza diritta e dal franco dire. Quest’anno fu consacrata
la chiesa di San Michail a Perejaslavl’, da Efrem, metropolita di quella
chiesa, che l’aveva creata grande ed edificò un ampliamento imponente,
abbellendola di ogni ornamento e vasi sacri. Infatti, questo Efrem, un
eunuco di alta cultura, in quell’anno aveva eretto molti edifici: terminata la
chiesa di San Michail fondò presso le porte della città la chiesa consacrata al
santo martire Fedor e dopo questa la chiesa di Sant’Andrea fuori le mura, ed
eresse delle terme in pietra, quali prima nella Rus’ non s’erano mai viste e
ornò la città di Perejaslavl’ di chiese e di altri edifici.
LXXIII. Ritrovamento delle reliquie di san Feodosij (1091)
Nell’anno 6599 [1091], l’igumeno e i monaci [del monastero Pečerskij o
delle Grotte] tennero consiglio e dissero: «Non è bene che il nostro padre
Feodosij riposi fuori del monastero e della sua chiesa, giacché egli ha
fondato la chiesa e adunato i monaci». E, terminato il consiglio, disposero di
preparare il luogo dove deporre i suoi resti. A tre giorni dalla Dormizione
della Deipara, l’igumeno ordinò di scavare in corrispondenza del luogo, in
cui giacevano i resti del padre nostro Feodosij. Del suo ordine io peccatore
fui il primo testimone, per cui riferirò cose non udite con l’orecchio, ma
bensì delle quali di persona fui artefice. Giunse da me l’igumeno e mi disse:
«Andiamo nella grotta di Feodosij». Andato con l’igumeno all’insaputa di
tutti, esaminai dove scavare e segnai, al di là dell’entrata, il posto in cui
scavare. L’igumeno mi disse: «Non puoi dirlo a nessuno dei confratelli, ché
niuno deve saperlo, tuttavia prendi colui che credi, perché t’aiuti». Quello
stesso giorno preparai le zappe, con le quali scavare. E martedì sera,
sull’imbrunire e all’insaputa di tutti, presi con me due confratelli [poi
diventano uno solo] e raggiunsi la grotta. Dopo aver cantati i salmi
cominciai a scavare. Affaticatomi, lasciai scavare l’altro fratello e scavammo
fino a mezzanotte; eravamo stremati senza riuscire ancora a raggiungere la
meta e presi a dolermi, ché forse si stava scavando nel punto sbagliato.
Allora, afferrata la zappa, ripresi a scavare con fervore, intanto che il mio
compagno riposava dinanzi alla grotta. Mi disse: «Hanno suonato la
campana». In quel momento io raggiungevo i resti di Feodosij. E mentre
egli mi diceva «Hanno suonato la campana», io gli annunciavo: «Lo scavo è
pronto». Terminato che ebbi, il terrore mi vinse e presi a invocare:
«Signore, abbi pietà». Dentro il monastero, due confratelli stavano
guardando verso la grotta; l’igumeno ancora non aveva comunicato con chi,
in segreto, l’avrebbe trasportato; ai rintocchi della campana scorsero essi
tre colonne, splendenti come arcobaleni, che dopo un po’ andarono a
posarsi sulla sommità della chiesa, nella quale da lì a poco stava per essere
seppellito Feodosij. Comprese che si stavano traslando i resti di Feodosij,
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ché di ciò il giorno prima gli era stata data notizia; dispiaciuto che lo si
stesse compiendo senza di lui, saltò in groppa al cavallo e partì
precipitosamente, prendendo con sé Kliment, che lasciò igumeno dopo di
sé. E mentre erano per via, scorsero un fulgore grande. Approssimandosi,
individuarono molte candele sopra la grotta: avvicinati alla grotta non
videro più nulla e penetrarono nel fondo della grotta, dove noi si stava
accanto ai suoi resti. Terminato lo scavo, avevo mandato a dire all’igumeno:
«Vieni, così lo preleviamo». L’igumeno giunse con due confratelli. Io allargai
lo scavo; entrammo e scorgemmo i suoi resti che giacevano; le giunture,
però, non s’erano staccate e i capelli erano attaccati alla testa. E depostolo
su un mantello, lo si trasportò fuori della grotta. L’indomani confluirono i
vescovi: Efrem di Perejaslavl’, Stefan di Vladimir, Ioann di Černigov, Marin di
Jur’ev e gli igumeni di tutti i monasteri. Vennero anche degli uomini pii e
furono sollevati i resti di Feodosij fra profumo d’incenso e ceri ardenti. E lo
trasportarono nell’atrio della sua chiesa, nel lato destro lo tumularono, il
giorno quattordici del mese di agosto, di giovedì, all’una antimeridiana,
indizione quattordicesima, anno... e quel giorno fu celebrato con solennità.
Ecco, ora racconterò come si avverò una profezia di Feodosij. Mentre
Feodosij era in vita e da igumeno governava il gregge affidatogli da Dio, non
solo dei monaci, ma anche dei secolari si prendeva cura, delle loro anime, di
come potevano salvarsi; si preoccupava di loro, più che dei suoi figli
spirituali, consolando e istruendo chi veniva a lui. Altre volte si recava anche
nelle loro case per impartire loro la benedizione. Una volta, giunto alla casa
di Jan, presso Jan e la sua compagna Maria – Feodosij aveva un debole per
loro, giacché vivevano nei precetti del Signore e in amore fra di loro
convivevano –, recatosi da loro li istruiva sulla carità verso i poveri e sul
regno dei cieli, su dove viene accolto il giusto, sulla sofferenza per il
peccatore e sull’ora del trapasso. Ed ecco che, mentre parlava loro della
deposizione dei corpi nella tomba, la moglie di Jan gli disse: «Chi lo sa dove
mai mi seppelliranno». Feodosij le rispose: «In verità, laddove io giacerò,
anche tu sarai seppellita». Così infatti accadde. Essendo trapassato prima
l’igumeno, ciò avvenne diciotto anni più tardi: in quell’anno [ovvero diciotto
anni dopo la morte di Feodosij] morì la moglie di Jan, di nome Maria, il
giorno sedici del mese di agosto; e venuti i monaci intonarono i canti d’uso
e trasportatala, la posero nella chiesa della Santa Deipara, sul lato sinistro,
di fronte alla tomba di Feodosij. Feodosij fu seppellito il giorno quattordici,
lei invece il sedici. Così si compì quanto predetto dal beato padre nostro
Feodosij, dal buon pastore che pascolava le pecore loquaci con fedeltà,
mitezza e dedizione, custodendole e vegliando su di esse, pregando per il
gregge affidatogli e per le genti cristiani e per la terra di Rus’. E anche dopo
la sua dipartita da questa vita prega per gli uomini di fede e per i tuoi
discepoli, i quali guardando il tuo sepolcro rimembrino l’insegnamento tuo e
la tua temperanza e rendono gloria a Dio. Io peccatore, servo tuo e
discepolo, non saprei come lodare la tua esistenza esemplare e la tua
astinenza. Tuttavia, dirò qualche cosa: «Esulta, padre nostro e precettore,
ché, rinnegato il rumore del secolo, hai prediletto la quiete. Dio hai servito
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in silenzio; nella vita monastica di ogni dono divino ti sei reso portatore,
elevandoti col digiuno, sprezzando le passioni della carne e i godimenti, e la
bellezza del mondo e rinnegando i desideri del secolo, seguendo le orme dei
padri sapienti, divenendo emulo loro, distinguendoti nel silenzio, d’umiltà
adornato e nelle parole della Scrittura gioendo. Esulta, ché ti sei fortificato
nella speranza dei beni imperituri, dopo aver annientato la bramosia della
carne, fonte di arbitri e di ribellioni, tu, o venerabile, agli inganni del
demonio sei sfuggito e alle sue reti. O padre, con i giusti ti sei
addormentato, hai ricevuto la ricompensa commisurata alle tue fatiche,
giacché dei padri sei stato erede, continuatore del loro insegnamento, del
loro costume e della loro ascesi, la loro regola hai osservato. Più che a
quelle d’altri, alle abitudini e alla vita del Grande Teodosio [Teodosio il
Grande] ti sei assimilato; la sua esistenza hai emulato, la sua ascesi hai
perseguito, ripercorrendo le sue abitudini, e da un’opera buona a un’altra
migliore passando, le usuali preci a Dio elevando, in luogo dell’olezzo
profumato offrendo il turibolo di preghiere, fragrante incenso. Sconfitta la
lascivia del mondo e il principe sovrano di questo secolo, sopraffatto
l’avversario diavolo e i suoi inganni, uscisti vincitore, contrastando le sue
frecce e insorgendo contro i suoi malvagi disegni, dopo esserti fortificato
con l’arma della croce, con la fede invitta e con l’aiuto di Dio. Prega per me,
o padre onorato, perché mi salvi dalle reti del malevolo; salvami con le tue
preghiere dal nemico avverso».
Quell’anno vi fu un segno nel sole, pareva che stesse scomparendo e ne
avanzò ben poco, tanto che alle due antimeridiane del giorno ventuno del
mese di maggio divenne simile ad una luna [eclisse solare].
Lo stesso anno Vsevolod, era a caccia di animali presso Vyšgorod e, mentre
si stavano tendendo le reti e i banditori presero a gridare, un serpente
smisurato cadde dal cielo [meteorite] e le genti tutte inorridirono; in quel
mentre la terra emise un boato, che in molti udirono. In quell’anno apparve
a Rostov un mago che presto perì.
LXXIV. Miracoli a Polock (1092)
Nell’anno 6600 [1092], un prodigio stupefacente ebbe luogo a Polock,
un’allucinazione: calata la notte, echeggiava lo scalpitio lungo le strade, i
demoni, simili a uomini, rapidi correvano in cerca di preda. Se qualcuno,
desideroso di vedere, usciva di casa, senza che se ne avvedesse, veniva
colpito dai demoni con una ferita mortale, per cui s’aveva paura d’uscire di
casa. Poi [i demoni] presero ad apparire di giorno a cavallo, ma non era
dato scorgere loro stessi, bensì solo gli zoccoli dei cavalli. Così aggredivano
gli abitanti di Polock e della sua regione. Per questo anche gli uomini
dicevano: «Le anime dei morti picchiano gli abitanti di Polock». Questo
segno apparve per prima nella città di Druck.
In quei tempi vi fu un segno in cielo, come un immenso cerchio in mezzo
alla volta. Nello stesso anno la siccità era tale che la terra riarse e molti
boschi e paludi presero fuoco da sé; e tanti segni si manifestarono in diversi
luoghi.
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E una grande guerra mossa dai Polovcy si dispiegò per ogni dove; tre città
conquistarono: Pesočen, Perevoloka e Priluk, e di molti villaggi su entrambe
le rive del Dnepr s’impossessarono.
In quell’anno, i Polovcy, guidati da Vasil’ko, figlio di Rostislav, combatterono
contro i Ljachi. Lo stesso anno morì Rjurik, figlio di Rostislav. In quei tempi
tanti uomini morivano per diversi malanni, tanto che i venditori di bare [o:
croci] dicevano: «Fra San Filippo e l’inizio di Quaresima abbiamo venduto
settemila bare [o: croci da apporre sulle bare]». Ciò si verificò per i nostri
peccati, perché i nostri peccati e la nostra iniquità si erano moltiplicati.
Questo Dio ci inflisse per indurci al pentimento e a desistere dal peccato e
dall’invidia e dalle altre cattiverie e opere del maligno.
LXXV. Morte di Vsevolod e devastazioni dei Polovcy (1093),
riflessioni
Nell’anno 6601 [1093], primo di indizione, morì il grande principe Vsevolod,
figlio di Jaroslav e nipote di Vladimir, e fu sepolto il giorno tredici del mese
di aprile e fu seppellito il giorno quattordici, che cadeva allora nella
Settimana Santa e il giorno, quando fu posto nel sepolcro, all’interno della
grande chiesa di Santa Sofia, era il Giovedì santo.
Questo pio principe Vsevolod fin da bambino era stato devoto, amante della
giustizia, rivestiva gli indigenti e onorava i vescovi e i sacerdoti; sopra ogni
cosa amava i monaci e assicurava loro l’occorrente; egli stesso di asteneva
dall’alcool e dalla concupiscenza. Per questo era il preferito di suo padre,
tanto che il padre gli diceva: «Figlio mio, ti ringrazio perché odo la tua
mitezza e gioisco, poiché tu rassereni la mia vecchiaia. Se Dio ti concederà
di assumere il potere del mio scranno dopo i tuoi fratelli, per diritto e non
con la forza, allora quando Dio ti avrà portato via da questa vita, che tu sia
seppellito laddove io giaccio, cioè presso la mia tomba, ché a te voglio un
bene maggiore che non ai tuoi fratelli». Così si compì la parola del padre
suo, come l’aveva espressa. Ricevette egli lo scranno di suo padre, dopo
tutti i suoi fratelli. Alla morte di suo fratello, governò Kiev da principe ed
ebbe molte più amarezze di quanto non conobbe mentre governava a
Perejaslavl’. Mentre regnava a Kiev fu rattristato dai suoi nipoti, che presero
a importunarlo, rivendicando il governo chi di una, chi dell’altra regione;
egli, per acquietarli, assegnava loro le regioni. Insieme a queste amarezze
insorsero anche delle malattie e, di seguito, s’affacciò anche la vecchiaia. E
cominciò a prediligere il pensiero dei giovani, consigliandosi con loro.
Costoro lo influenzavano e manifestò egli disappunto nei confronti della sua
družina di prima e le persone non ottenevano giustizia dal principe. I
giovani si davano alle ruberie e alla compravendita delle persone, mentre
egli, vittima delle sue malattie, nulla sapeva di ciò. E, ammalatosi
gravemente, mandò [un messaggio] a Černigov per il figlio suo Vladimir.
Arrivato Vladimir e, vistolo ammalato, pianse molto. Giunta l’ora, presenti
Vladimir e Rostislav, il figlio suo minore, trapassò silenzioso e tranquillo e si
ricongiunse ai suoi avi, dopo aver regnato quindici anni in Kiev, uno a
Perejaslavl’ e uno a Černigov. Vladimir, piangendo, insieme a suo fratello
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Rostislav, seppellì il suo corpo. E si adunarono vescovi e igumeni, monaci e
sacerdoti, bojari e gente semplice e prelevato il suo corpo, con i canti di
rito, lo deposero in Santa Sofia, come dicemmo prima. Vladimir prese a
riflettere e disse: «Se mi siedo sullo scranno di mio padre, dovrò belligerare
con Svjatopolk, perché questo scranno prima fu del padre suo». E così
ragionando mandò [a cercare] a Turov Svjatopolk, intanto che egli si
avviava a Černigov e Rostislav a Perejaslavl’. Passata la Pasqua, trascorsa la
settimana festiva, la domenica dopo la Pasqua giorno ventiquattro del mese
d’aprile, venne Svjatopolk a Kiev. E gli andarono incontro i Kieviani per
inchinarglisi e lo accolsero con gioia e si assise egli sullo scranno di suo
padre e di suo zio.
Nello stesso tempo, i Polovcy mossero contro la terra di Rus’. Avendo udito
che Vsevolod era morto, inviarono degli ambasciatori a Svjatopolk per la
pace. Svjatopolk, senza consultarsi con la grande družina di suo padre e di
suo zio, bensì tenendo consiglio con i pochi uomini arrivati con lui, prese gli
ambasciatori e li fece rinchiudere nelle segrete. Avutane notizia, i Polovcy
scesero in guerra. E sopraggiunsero molti Polovcy e assediarono la città di
Torčesk. Svjatopolk accondiscese alla richiesta dei Polovcy, poiché
desideroso di pace; i Polovcy, però, respinsero la pace facendo avanzare i
guerrieri in tutte le terre. Svjatopolk cominciò a riunire il suo esercito per
fronteggiarli. Uomini assennati gli suggerivano: «Non ti avventurare contro
di loro, ché pochi sono i tuoi guerrieri». Egli rispose: «Ho i miei ottocento
giovani [o cinquecento o settecento, secondo i manoscritti] capaci a tener
loro testa». Altri, insensati, presero a dire: «Vai, principe!». Gli assennati
replicarono: «Anche se riuscissi a schierarne ottomila, contro di loro non ti
sarà facile: la nostra terra si è impoverita dalle guerre e dalle tasse; manda
piuttosto [un messaggio] per tuo fratello Vladimir, perché ti soccorra».
Svjatopolk li ascoltò, mandò per Vladimir, perché gli venisse in aiuto.
Vladimir adunò i suoi guerrieri e mandò per Rostislav, suo fratello, a
Perejaslavl’, intimandogli di correre in aiuto a Svjatopolk. Giunto Vladimir a
Kiev, si radunarono presso il monastero di San Michail e sorsero fra di loro
discordie e litigi, e quando si accordarono, baciarono insieme la croce,
intanto che i Polovcy devastavano il territorio. E gli uomini di senno dissero:
«Perché state a litigare fra di voi, mentre i pagani mandano in rovina la
terra di Rus’? Rimandate a dopo i litigi, muovete ora piuttosto contro i
pagani, con la pace o con la guerra che sia». Vladimir voleva la pace,
Svjatopolk invece la guerra. E partirono Svjatopolk, Vladimir e Rostilav per
Trepol’ e raggiunsero la Stugna. Allora Svjatopolk e Vladimir e Rotislav
convocarono la propria družina in consiglio e presero a discutere, poiché
volevano guadare il fiume. Disse Vladimir: «Invece di stare qui, oltre il
fiume, esposti alla minaccia, stipuliamo piuttosto la pace con loro». E gli
uomini assennati, Jan e gli altri, accolsero il suo suggerimento. I Kieviani
non accettarono quel consiglio, bensì dissero: «Vogliamo combattere;
andiamo sull’altra riva del fiume». E preferirono questo suggerimento e
attraversarono la Stugna, che in quel tempo s’era molto ingrossata.
Svjatopolk e Vladimir e Rotislav, dopo aver schierato la družina,
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avanzarono. Svjatopolk teneva il fianco destro, Vladimir invece quello
sinistro con nel mezzo Rostislav. E oltrepassato Trepol’ superarono il vallo.
Ed ecco i Polovcy che venivano contro di loro e le loro frecce li precedevano.
I nostri, che si trovavano tra i valli, issarono i loro stendardi e scoccarono le
frecce fra i valli. Anche i Polovcy, che s’erano approssimati ai valli, issarono i
loro stendardi. Poi attaccarono per primo Svjatopolk sbaragliandone le
schiere. Svjatopolk rimase saldo, gli uomini, non sopportando più gli assalti
guerreschi, scelsero la fuga.
Di seguito attaccarono Vladimir e la battaglia fu terribile; fuggì anche
Vladimir insieme a Rostislav. Raggiunsero la Stugna e Vladimir s’avviò a
guadare insieme a Rostislav, figlio di Vsevolod; e Rostislav affondò dinanzi
agli occhi di Vladimir. Questi volle afferrare il fratello suo e per poco egli
stesso non affogò. Vladimir, guadato che ebbe il fiume con una piccola
družina – molti del suo esercito erano caduti qui, e anche i suoi bojari vi
perirono – raggiunse l’altra riva del Dnepr e pianse il fratello suo e per la
sua družina. Se ne tornò a Černigov molto amareggiato. Svjatopolk fuggì a
Trepol’ e qui si asserragliò trattenendosi fino a sera; quella notte poi
raggiunse Kiev. I Polovcy, vedendosi vincitori, sparpagliarono i guerrieri sul
territorio [per il saccheggio], altri invece tornarono a Torčesk. Questa
sciagura si consumò nel giorno dell’Ascensione di Nostro Signore Gesù
Cristo, il ventisei del mese di maggio. Cercarono Rotislav, lo trovarono nel
fiume e lo trasportarono a Kiev. E lo pianse la madre e le genti tutte erano
grandemente afflitte per lui a causa della sua poca età. E si radunarono i
vescovi, i sacerdoti e i monaci e, intonando i canti di rito, lo seppellirono
nella chiesa di Santa Sofia, accanto a suo padre.
I Polovcy assediarono la città di Torčesk; gli abitanti di Torčesk resistevano e
combattevano valorosamente dall’interno della città uccidendo molti nemici.
Allora i Polovcy, perseveranti, tagliarono i rifornimenti d’acqua e la gente in
città moriva per la sete e per la fame. E gli abitanti di Torčesk mandarono
[messaggeri] a Svjatopolk per dire: «Se tu non ci rifornisci di viveri,
dobbiamo arrenderci». Svjatopolk provvide per il rifornimento, ma era
impossibile raggiungere la città per i molti guerrieri armati che
l’assediavano. E stettero [i Polovcy] intorno alla città per nove settimane e
si divisero in due: una parte rimase presso la città a combattere, gli altri
presero la via verso Kiev, depredando fra Kiev e Vyšgorod. Svjatopolk allora
marciò contro di loro presso il fiume Želan’, e marciarono gli uni contro gli
altri, e la battaglia fu cruenta. E i nostri volsero le terga dinanzi agli stranieri
e cadevano feriti al cospetto dei nostri nemici; in tanti trovarono la morte e i
caduti erano in numero superiore a quanti perirono presso Trepol’.
Svjatopolk tornò a Kiev, da solo, per la terza volta, mentre i Polovcy
ritornarono a Torčesk. Questa avventura accadde il giorno ventitré di luglio.
L’indomani, il giorno ventiquattro, ricorrenza dei santi martiri Boris e Gleb,
non il giubilo, bensì un gran pianto si diffuse in città, a cagione dei nostri
peccati grandi e dell’ingiustizia, ché s’erano moltiplicati i nostri arbìtri.
Ecco, Dio ha inviato contro i pagani non per aver essi cari ma per punire
noi, perché ci astenessimo dalle cattive azioni. È per questo che ci punisce
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con le invasioni dei pagani. Questa è la sua frusta, affinché ravveduti, ci si
astenga dalla nostra malvagia condotta. È per questo che Dio ci ha inflitto il
dolore, ché la prima sciagura, quella contro Trepol’, quest’anno coincise con
il giorno dell’Ascensione del Signore, la seconda, invece, con la ricorrenza di
Boris e Gleb, che è la festa nuova della terra di Rus’. Ecco perché il profeta
disse: «Cambierò le vostre feste in lutto» [Am 8,10]. Un pianto grande colpì
la nostra terra e deserti divennero i nostri villaggi e le città nostre; e
fuggiaschi fummo dinanzi ai nostri nemici. Come disse il profeta: «Voi
sarete sconfitti dai nemici; quelli che vi odiano vi opprimeranno e vi darete
alla fuga, senza che alcuno vi insegua [...] Spezzerò la vostra forza superba
[...] Le vostre energie si consumeranno invano» [Lv 26,17-20], vi
sterminerà la spada del forestiero, «il vostro paese sarà desolato e le vostre
città saranno deserte» [Lv 26,33] Poiché siete voi stolti e malvagi, anch’io
muoverò contro di voi con malvagia ferocia. Così dice il Signore Dio di
Israele. Questi perfidi figli di Ismaele arsero villaggi e granai e a molte
chiese il fuoco appiccarono. Che niuno di ciò stupisca. Perché dove
abbondano i peccati, sono visibili castighi d’ogni sorta. È per questo che
l’universo si arrese, è per questo che la collera si propagò, è per questo che
la terra fu martirizzata: alcuni sono portati in prigionia, altri vengono
trucidati, altri consegnati alla vendetta e morte terribile ricevono, altri
tremano alla vista degli assassini, ad altri ancora la morte arriva per fame o
per sete. Una punizione, un castigo, apportatore di una molteplicità di
afflizioni e di diversi dolori e di terrifiche sofferenze per quanti sono legati e
calpestati e al gelo esposti e feriti. E ciò è ancor più sorprendente e più
terribile, giacché nella stirpe cristiana il terrore e l’inquietudine e la sventura
dilagano. È giusto e meritevole essere così puniti; ché una volta così
castigati, avremo fede: abbiamo meritato di essere dati «in potere dei nostri
nemici, ingiusti, i peggiori fra gli empi» [Dn 3, 32]. Diremo ad alta voce:
«Tu sei giusto, Signore, e retto nei tuoi giudizi» [Sal 119 (118),137].
Diremo insieme a quel ladrone: «Noi giustamente, perché riceviamo il
giusto per le nostre azioni» [Lc 23,41]. Diremo ancora con Giobbe: «Ciò che
al Signore aggrada, così sarà. Sia benedetto il nome del Signore!» [cfr. Gb
1,21]. Per mezzo dell’invasione dei pagani apportatori di sciagure
riconosciamo il Signore che abbiamo indotto in collera; fummo glorificati e
non lo glorificammo; fummo onorati, ma non gli rendemmo onore, fummo
salvati e non comprendemmo; fummo assunti e non ci applicammo al
lavoro; fummo generati e ci vergognammo non riconoscendolo qual padre.
Abbiamo peccato, e siamo stati puniti; così ci comportammo e allo stesso
modo ora soffriamo: tutte le città e i villaggi sono deserti; attraversiamo i
pascoli dove pascevano le mandrie di cavalli, di pecore e di buoi: solo
deserto ora si scorge; i campi coltivati, ora inselvatichiti, sono ricovero di
belve feroci. Però confidiamo nella misericordia di Dio. Il buon Signore ci ha
ben puniti: «Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le
nostre colpe» [Sal 103 (104),10]; così si confà al buon Signore: punire non
secondo la copiosità dei peccati. Così il Signore fece con noi: risollevò le
creature cadute e la trasgressione di Adamo perdonò, donò un lavacro per
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la vita imperitura e il proprio sangue versò per noi. Quando ci scorse viventi
non secondo giustizia, ci investì di questa guerra e lutto, affinché volenti o
nolenti tutti nel secolo futuro si riceva la grazia. L’anima infatti che qui è
stata punita, ogni misericordia incontrerà nel secolo futuro. Il Signore non
punisce due volte per la medesima colpa. O indicibile amore di Dio per gli
uomini, che scorse la nostra reticenza di volgerci a lui! O amore
incommensurabile, che egli nutre per noi, ché volutamente ci siamo
allontanati dai suoi comandamenti. Ora, non più volenti, sopportiamo, ora,
per necessità, giacché nolenti, di già desiderosi. Dove era allora la nostra
tenerezza, mentre ora tutti sono colmi di lacrime? Dove allora era il nostro
sospiro, ora invero tutte le vie sono invase dal pianto per gli uccisi,
massacrati dagli iniqui Polovcy?
E molto combatterono, e ritornarono a Torčesk, e gli abitanti della città,
stremati, morivano di fame e si arrendevano agli assalitori. I Polocvy,
espugnata la città, le diedero fuoco, e spartitisi gli abitanti, agli
accampamenti, presso i propri parenti e familiari, condussero una
moltitudine di Cristiani: sofferenti, affranti, estenuati, dal gelo irrigiditi,
affamati, assetati e vinti dalla sciagura, con i volti scavati, le carni annerite,
in terra straniera, con la lingua riarsa, andavano ignudi e scalzi, con i piedi
devastati dai rovi; lacrimando si facevano eco l’un l’altro, dicendo: «Ero io di
tale città» e l’altro: «Invece di tal paese ero io»; e così, fra le lacrime,
s’interrogavano, raccontavano della propria famiglia e nel sospirare gli occhi
al cielo volgevano, all’Altissimo, cui ogni mistero è riservato.
Che nessuno si azzardi a dire: Siamo invisi a Dio! Ciò non sia! Chi mai Dio
ha amato come amò noi? Chi mai onorò come ha glorificato e innalzato noi?
Nessuno. È per questo che l’ira sua maggiormente contro noi scagliò, che
per essere stati più degli altri onorati, al di sopra di tutti peccammo; che per
essere più di tutti istruiti e a conoscenza della volontà del Signore, e averla
disprezzata, un castigo superiore a quello degli altri meritammo. Ecco,
anche io peccatore, molto e spesso provoco la collera di Dio, e di frequente
pecco tutti i giorni. Signore, salviamoci nella tua misericordia.
Quest’anno morì Rotislav, figlio di Mstislav, nipote di Izjaslav, il primo giorno
del mese di ottobre, mentre fu seppellito il sedici del mese di novembre,
nella chiesa della Santa Madre di Dio, della Decima.
LXXVI. Devastazioni dei Polovcy
Nell’anno 6602 [1094], Svjatopolk concluse la pace con i Polovcy e prese in
sposa la figlia di Tugorkhan, principe dei Polovcy.
Quest’anno, Oleg, insieme ai Polovcy, partì da Tmutorokan’ e pervenne a
Černigov. Vladimir si serrò in città, Oleg s’approssimò alla città e ne
incendiò i dintorni; anche i monasteri arse. Vladimir concluse la pace con
Oleg e lasciò la città per raggiungere lo scranno paterno a Perejaslavl’,
mentre Oleg entrò nella città di suo padre. I Polovcy presero a guerreggiare
in quel di Černigov, ché Oleg non lo impediva, anzi aveva dato ordine di
guerreggiare. Ecco, già per la terza volta [Oleg] induceva i pagani contro la
terra di Rus’, che Dio gli perdoni il peccato, ché molti cristiani perirono,
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mentre altri furono imprigionati e dispersi per la terra.
Lo stesso anno la terra di Rus’ fu invasa dalle cavallette, il giorno ventisei
del mese di agosto, e divorarono ogni erba e molto grano; e non si
ricordava in terra di Rus’ fin dalle origini una cosa simile a quella che videro
i nostri occhi a causa dei nostri peccati.
In quell’anno morì il vescovo di Vladimir, Stefan, il giorno ventisette del
mese di aprile, alla sesta ora della notte; in precedenza era stato igumeno
del monastero Pečerskij.
Nell’anno 6603 [1095], i Polovcy, guidati dal figlio di Diogene, assaltarono i
Greci e guerreggiarono in terra di Grecia. E il figlio di Diogene fu catturato
dall’imperatore, che diede ordine di accecarlo. Quest’anno vennero i Polovcy
Itlar’ e Kytan a Vladimir per la pace. E Itlar’ giunse nella città di Perejaslavl’,
mentre Kytan, assieme ai suoi guerrieri, si arrestò fra le valli. E Vladimir
consegnò a Kytan suo figlio Svjatoslav come ostaggio, intanto che Itlar’
stava in città con la migliore družina. Nel frattempo era giunto Slavjata da
Kiev, inviato da Svjatopolk presso Vladimir per un qualche affare. E la
družina di Ratibor prese a discorrere con Vladimir dello sterminio dei
guerrieri di Itlar’. Vladimir, che si rifiutava di compiere ciò, obiettava: «Come
posso fare ciò, dopo che ho giurato insieme a loro?»; la družina invece
replicava a Vladimir: «Principe, non v’è peccato in questo. Dio te li ha
condotti nelle tue mani. Essi in verità dopo aver sempre giurato con te,
devastano la terra di Rus’ e versano sangue cristiano senza sosta». E prestò
loro ascolto Vladimir e in quella notte Vladimir mandò Slavjata con una
piccola družina e con degli abitanti di Torčesk fra i valli. E dopo aver
prelevato Svjatoslav, uccisero Kytan e sterminarono la sua družina. Il giorno
era sabato, di sera, mentre Itlar’ quella notte dormiva nel palazzo di Ratibor
con la sua družina e nulla sapeva di quanto stesse accadendo con Kytan.
L’indomani, di domenica, fattosi giorno, Ratibor passò in rassegna i guerrieri
in armi e diede loro ordine di riscaldare l’izba. E mandò Vladimir il suo
servitore Bjandjuk alla družina di Itlar’; e disse Bjandjuk agli uomini di
Itlar’: «Il principe Vladimir vi chiama e manda a dire: Dopo esservi calzati
nella calda izba e fatta colazione presso Ratibor, venite da me». Itlar’
rispose: «Sarà così». E come entrarono nella izba così furono serrati dentro.
E saliti sul tetto dell’izba scoperchiarono la cima e allora Ol’beg Ratiborovič
prese il suo arco e armatolo di freccia colpì Itlar’ al cuore e tutta la sua
družina sterminarono. E così Itlar’ chiuse malamente la sua esistenza, la
settimana che precede la Quaresima, nella prima ora del giorno, il giorno
ventiquattro del mese di febbraio. Svjatopolk e Vladimir mandarono ad Oleg
per ordinargli di marciare insieme a loro contro i Polovcy. Oleg promise di
andare con loro, ma, partito, non percorse la medesima loro strada.
Svjatopolk e Vladimir andarono all’accampamento e vi si impadronirono e
fecero bottino di bestiame e di cavalli e di cammelli e di servi e ogni cosa
portarono nelle proprie terre, E s’accese la loro ira contro Oleg per non
essere andato con loro contro i pagani. E mandarono Svjatopolk e Vladimir
ad Oleg per dire così: «Ecco, tu non sei venuto con noi contro i pagani, che
hanno rovinato la terra di Rus’; presso di te comunque c’è il figlio di Itlar’:
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uccidilo, oppure consegnalo a noi; egli è nemico nostro e della terra di
Rus’». Oleg non prestò ascolto a ciò e l’odio si instaurò fra di loro.
Quell’anno giunsero i Polovcy presso Jur’ev, e la tennero assediata tutto
l’anno, e poco mancò che non la conquistassero. Svjatopolk li quietò. I
Polovcy passarono oltre il fiume Ros’, gli abitanti di Jur’ev fuggirono e
andarono a Kiev, Svjatopolk diede ordine di costruire una città sull’altura di
Vitičev; col proprio nome la chiamò, Città di Svjatopolk, e ordinò al vescovo
Marin di insediarsi colà insieme ai cittadini di Jur’ev, e a quelli di Zasakov e
con gli abitanti delle altre città. Intanto la città di Jur’ev, abbandonata dai
suoi residenti, fu arsa dai Polovcy. Sul finire di quell’anno Davyd Svjatoslavič
partì da Novgorod per Smolensk; gli abitanti di Novgorod andarono a Rostov
alla ricerca di Mstislav Vladimirovič e lo prelevarono e lo portarono a
Novgorod, mentre a Davys dissero: «Non venire a noi». E Davyd prese la
strada del ritorno verso Smolensk e si insediò a Smolensk, mentre Mstislav
si insediò a Novgorod. In quel tempo, giunse Izjaslav, figlio di Vladimir, da
Kursk in Murom e lo accolsero gli abitanti di Murom e il governatore di Oleg
fu imprigionato.
In quello stesso anno, il giorno ventotto del mese di agosto, apparvero le
cavallette e ricoprirono la terra ed era spaventoso a vedersi: migravano
verso le terre settentrionali divorando erba e granaglie.
LXXVII. I Polovcy presso Kiev (1096)
Nell’anno 6604 [1096], Svjatopolk e Vladimir mandarono a dire a Oleg:
«Vieni a Kiev che stendiamo, dinanzi al vescovo e agli igumeni, agli uomini
di nostro padre e degli abitanti della città un accorso per la terra di Rus’, per
la difesa della terra di Rus’ dai pagani». Oleg, ostentando pensieri temerari
e parole di superbia, così rispose: «Non mi si confà di essere giudicato dal
vescovo, o dagli igumeni, o dalla plebe». E non volle andare dai suoi fratelli,
cedendo ai cattivi consiglieri. Svjatopolk e Vladimir gli mandarono a dire:
«Se tu, dunque, non vieni insieme a noi contro i pagani, né presso di noi
per un accordo, allora tu trami contro di noi e vuoi essere d’aiuto ai pagani.
Allora Dio sarà fra di noi». Svjatopolk e Vladimir marciarono verso Černigov
contro Oleg. Oleg fuggì da Černigov, il giorno tre del mese di maggio, di
sabato. Sviatopolk e Vladimir lo inseguirono. Oleg si rifugiò a Starodub e vi
si rinserrò. Svjatopolk e Vladimir lo assediarono in città e dalla città
combattevano con ardimento, ma essi assaltarono la città e molti feriti si
ebbero da entrambi le parti. E la lotta fra di loro si fece aspra e stettero
intorno alla città trentatré giorni e gli abitanti della città erano stremati. E
uscì Oleg dalla città, chiedendo la pace, e gli accordarono la pace, dicendo
così: «Va’ da tuo fratello Davyd e venite insieme a Kiev, presso lo scranno di
nostro padre e dei nostri avi, che essa è la più antica città in tutta la Rus’
kieviana, e colà degnamente ci si raduni e si pervenga a un accordo». Oleg
promise di fare ciò e per questo baciò la croce.
Intanto Bonjak, a capo dei Polovcy, raggiungeva Kiev, la sera di domenica,
compiendo qualche azione di guerra nei dintorni di Kiev e dando fuoco al
palazzo del principe in Berestovo. Intanto, Kur’ belligerava con i Polovcy
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presso Perejaslavl’ e incendiò Ust’e, il giorno ventiquattro del mese di
maggio, Oleg lasciò Starodub e raggiunse Smolensk e non lo vollero gli
abitanti di Smolensk, e andò verso Rjazan’. Svjatopolk e Vladimir
ritornarono nella propria terra. In quel mese venne a Perejaslavl’ Tugorkan,
il suocero di Svjatopolk, il trentuno del mese di maggio e assediò la città,
mentre gli abitanti di Perejaslavl’ stavano rinchiusi in città. Svjatopolk e
Vladimir marciarono contro di loro lungo questa riva del Dnepr. Raggiunsero
Zarub e qui guadarono e i Polovcy non si accorsero di loro, ché Dio li
proteggeva; e schieratisi avanzarono verso la città. Gli abitanti, vedendoli, si
rallegrarono e uscirono loro incontro, mentre i Polovcy stavano sull’altra riva
del Trubež e si schierarono. Svjatopolk e Vladimir scesero nelle acque del
Trubež contro i Polovtcy. Vladimir voleva riordinare la družina, le schiere,
però, non gli ubbidirono e spronarono i cavalli contro il nemico. Alla vista di
ciò, i Polovcy fuggirono, mentre i nostri si lanciavano all’inseguimento dei
guerrieri, trucidando gli avversari. E compì il Signore in quel giorno un
grande salvataggio: il giorno diciannove del mese di giugno furono sconfitti
gli stranieri e il loro principe Tugorkan fu ucciso e anche il figlio suo; e molti
altri principi, nostri nemici, qui caddero. L’indomani ritrovarono Tugorkan
morto e lo prelevò Svjatopolk, ché era suo suocero e nemico. E, portatolo a
Kiev, lo seppellirono in un tumulo a Berestovo, fra la via che conduce a
Berestov e l’altra che giunge al monastero. E il venti di quello stesso mese,
di venerdì, alla prima ora del giorno, piombò improvvisamente a Kiev
Bonjak, rognoso senzadio, agile qual predatore, e mancò poco che i Polovcy
penetrassero in città; e diedero fuoco ai sobborghi che circondavano la città
e si volsero verso il monastero, e incendiarono il monastero di Stefan e
quello di German [igumeno del monastero di San Salvatore a Berestovo]. E
raggiunsero il monastero delle Grotte mentre noi si era nelle celle, a
riposare dopo il Mattutino, e un gran baccano intorno al monastero
sollevarono e issarono due stendardi dinanzi alla porta del monastero,
intanto che noi si fuggiva dietro al monastero, e altri invece scappavano sul
tetto. I figli di Ismaele senzadio abbatterono la porta del monastero e fecero
il giro delle celle, spaccando le porte e portando via quello che trovavano
nelle celle. Poi diedero fuoco alla casa della Santa Regina, la nostra Madre di
Dio, e raggiunta la chiesa, appiccarono il fuoco alla porta volta verso sud, e
anche alla seconda che guarda a nord. E penetrati nell’atrio presso la tomba
di Feodosij presero le icone e diedero fuoco ingiuriando Dio e la nostra fede.
Dio sopportava, perché non s’erano consumati i loro peccati e le loro
iniquità; e dicevano essi: «Dov’è il loro Dio? [Sal 79 (78),10] Che li salvi e li
liberi da noi!». E altre parole ingiuriose pronunciarono all’indirizzo delle
sante icone, deridendole, ignorando che Iddio punisce i suoi servi con
aggressioni belliche, perché appaiano come l’oro provato nel crogiolo, ché ai
Cristiani è entrare nel regno dei cieli, dopo aver superato molte sofferenze e
sventure, intanto che questi pagani e denigratori, sulla terra raccolgono
allegria e abbondanza, per ricevere nell’aldilà le afflizioni, dal diavolo
approntate nel fuoco eterno. Allora incenerirono anche il bel palazzo, eretto
dal pio principe Vsevolod sulla collina chiamata Vydobič; a tutto questo i
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maledetti Polotcy appiccarono il fuoco. Per questo anche noi, sull’esempio
del profeta Davide intoneremo: «Mio Dio, rendili come turbine, come pula
dispersa dal vento. Come il fuoco che brucia il bosco [...] così tu inseguili
con la tua bufera [...] Copri di vergogna i loro volti» [Sal 83 (82),14-17].
Perché essi infatti hanno profanato e incendiato la tua santa dimora e il
monastero della Madre tua e le reliquie dei tuoi servi. Uccisero alcuni dei
nostri fratelli con le armi empie dei figli di Ismaele, inviati per punire i
Cristiani.
Sono usciti costoro dal deserto di Jatreb, fra Oriente e Settentrione; quattro
generazioni fra di loro sono usciti: Turcomanni, Peceneghi, Torki e i Polovcy.
Metodio [di Patara] testimonia di loro, che in otto tribù sfuggirono al
massacro perpetrato da Gedeone, otto si rifugiarono nel deserto, le
rimanenti quattro sterminò. Altri dicono che essi sono figli di Amon; ma non
è così: che i figli di Moab sono i Chvalisi, i figli di Amon, invece, sono i
Bulgari, mentre i Saraceni discendono da Ismaele, si rivendicano figli di
Sara e si sono dati il nome di Saraceni, vale a dire: siamo [discendenti] di
Sara. Così i Chvalisi e i Bulgari discendono dalla figlia di Lot, che concepì da
suo padre; per questo la stirpe loro è impura. Mentre Ismaele generò dodici
figli dai quali discendono i Turcomanni, i Peceneghi, i Torki e i Cumani, cioè i
Polovcy, i quali provengono dal deserto, e al seguito di queste otto tribù
usciranno alla fine del mondo quelle genti impure, murate nella montagna
da Alessandro di Macedonia.
LXXVIII. Digressione sui popoli impuri
Riguardo ciò, racconto ciò che sentii quattro anni fa a Novgorod da Guriat
Rogovič di Novgorod che mi disse: «Io avevo inviato un mio servitore dei
Pečera, popolo che paga il tributo ai Novgorodiani. Il mio servitore andò e
partì subito per andare fin dagli Jugra. Gli Jugra sono un popolo straniero
che è vicino ai Samoiedi [Sami] nelle regioni del Nord. Gli Jugra dissero al
mio servo: “Noi siamo stati testimoni di un fatto straordinario di cui non
avevamo mai sentito parlare. Questo miracolo è cominciato tre anni fa. Là
sulla strada di Lukomorie [antico nome del golfo di Finlandia] Ci sono delle
montagne che circondano il golfo del mare e si elevano fino al cielo. Da
quelle montagne escono delle alte grida, delle parole di gente che sembra
stia tentando di aprirsi un varco, e in una montagna c’è un piccolo foro e
essi parlano da questa apertura e non si può comprendere la lingua, ma essi
mostrano delle dita di ferro e fanno segni con le mani per domandare del
ferro e quando si è dato loro del ferro, un coltello o un’ascia si sono ricevute
pelli in cambio. C’è una strada che conduce a queste montagne, ma è
inaccessibile a causa dei baratri, della neve o dei boschi, perciò non
arriviamo sempre da loro e poi sono lontani, verso Nord”». Io dico a Guriat:
«Questi sono i popoli murati da Alessandro di Macedonia, di cui parla
Metodio di Patara. Alessandro, imperatore di Macedonia, venne nei paesi
orientali e fino al mare, fino al paese chiamato Paese del Sole e vide qui
degli uomini impuri della tribù di Jafet e dunque vide le loro oscenità:
mangiavano cose atroci, uomini, mosche, gatti, serpenti, essi non
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seppellivano mai i cadaveri ma li mangiavano così come i feti abortiti e ogni
specie di animale impuro. Avendo visto ciò Alessandro il Macedone,
temendo che essi si moltiplicassero e profanassero la terra, li respinse nei
paesi a settentrione tra le alte montagne, e, per volere di Dio, le grandi
montagne si strinsero attorno ad essi, non si unirono le montagne soltanto
per dodici cubiti, e qui vennero erette porte di bronzo, e vennero unte con il
sunklit così né il fuoco può bruciarlo né il ferro espugnarlo. Negli ultimi
giorni del mondo usciranno le otto tribù dal deserto di Jatreb, e verranno
fuori anche questi popoli immondi, che sono tra le montagne boreali per
volere divino».
Ma noi ai precedenti racconti torniamo, dei quali abbiamo già preso a
discorrere.
LXXIX. Guerre civili
Sebbene avesse promesso di andare da suo fratello Davyd, a Smolensk, e
insieme a suo fratello raggiungere Kiev per concludere la pace, Oleg non
volle compiere ciò, tanto che, arrivato a Smolensk e presi i guerrieri, partì
per Murom, ché a Murom allora si trovava Izjaslav, figlio di Vladimir.
Pervenne a Izjaslav la notizia che Oleg marciava su Murom e mandò
[messaggeri] a Izjaslav per reclutare guerrieri a Suzdal’ e a Rostov e a
Beloozero, e adunò molti uomini in armi. E Oleg inviò i suoi ambasciatori a
Izljaslav per dire: «Raggiungi il dominio del padre tuo a Rostov, ché quel
territorio [Murom] è del padre mio; giacché vorrei, qui permanendo,
concludere la pace col padre tuo. Ecco egli mi ha scacciato dalla città del
padre mio [Černigov]; e tu osi forse qui negarmi il pane mio?».
Izjaslav non ascoltò queste parole, confidando nella moltitudine dei
guerrieri. Oleg, confidando nel diritto suo, e ne aveva ragione, mosse contro
la città con i suoi guerrieri. Izjaslav si schierò fuori della città in campo
aperto. Oleg l’affrontò con le schiere e si attaccarono reciprocamente e
seguì una battaglia feroce. E uccisero Izjaslav, figlio di Vladimir, nipote di
Vsevolod, nel sesto giorno del mese di settembre; i guerrieri sopravvissuti si
diedero a gambe, alcuni attraverso il bosco, altri verso la città. Oleg entrò in
città e lo accolsero i cittadini. E, preso che ebbero Izjaslav, lo portarono nel
monastero del San Salvatore e da qui lo trasportarono a Novgorod e gli
diedero sepoltura in Santa Sofia, nel lato sinistro della chiesa. Oleg,
impadronitosi della città, imprigionò i cittadini di Rostov, di Beloosero e di
Suzdal’ e li mise ai ceppi. E mosse contro Suzdal’ e quando raggiunse
Suzdal’, gli abitanti di Suzdal’ gli si arresero. Oleg, acquietata la città, alcuni
imprigionò, mentre altri esiliò, espropriando i loro beni. E andò a Rostov e i
cittadini di Rostov gli si arresero. E assunse il governo di tutte le terre di
Murom e di Rostov e insediò governatori [o, in russo, posadnik] nelle città e
cominciò a riscuotere il tributo. E Mstislav gli inviò [un ambasciatore] da
Novgorod per dire: «Ritorna di nuovo a Murom e non t’attardare in terre
altrui; mentre io andrò a pregare con la mia družina il padre mio e ti
riappacificherò con lui. Anche se hai ucciso mio fratello, ciò non è di
meraviglia, perché in guerra, invero, sia i re che gli uomini periscono». Oleg
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non volle prestargli orecchio, ma meditava anche di conquistare addirittura
Novgorod. E Oleg mandò Jaroslav, il fratello suo, in avanscoperta, intanto
che egli si intratteneva presso Rostov. Mstislav si consultò con i
Novgorodiani e inviarono Dobrynja Raguilovič dinanzi a loro in
avanscoperta. Dobrynja imprigionò per primi gli esattori di tributo. Jaroslav
vedendo ciò, ossia che erano stato imprigionati gli esattori – allora Jaroslav
era di sentinella sul Medvedec –, fuggì quella notte stessa, e raggiunse Oleg
e gli raccontò di Mstislav che avanzava e della cattura degli esattori. E partì
Oleg per Rostov, intanto che Mstislav raggiungeva la Volga e gli
raccontarono che Oleg stava ripiegando indietro verso Rostov; Mstislav gli
tenne dietro. Oleg raggiunse Suzdal’. All’udire che Mstislav lo inseguiva,
Oleg diede ordine di incendiare la città di Suzdal’, salvando solo l’edificio del
monastero delle Grotte e la chiesa di San Dmitrij, che là si trova, dono di
Efrem insieme ai villaggi. Oleg fuggì verso Murom; intanto Mstislav
raggiungeva Suzdal’ e, fermatosi qui, mandava a Oleg per chiedere la pace,
dicendo così: «Io ti sono minore di età, rivolgiti quindi al padre mio, rendi
però la družina che hai fatto prigioniera; io invece ti ubbidirò in tutto». Oleg
mandò a lui perseguendo la pace con l’inganno. Mstislav, che credette al suo
inganno, lasciò andare la družina in campagna, e cominciò la prima
settimana di Quaresima e arrivò il sabato. Mstislav sedeva a mensa quando
gli pervenne la nuova che Oleg era sul Kljaz’: così tanto s’era avvicinato
senza annunciarsi. Mstislav, accordandogli la propria fiducia, non aveva
messo sentinelle. Dio, però, preserva dall’inganno i suoi devoti. Oleg si
dispose sul Kljaz’ ma convinto che Mstislav sarebbe fuggito. In quel giorno
la družina si strinse attorno a Mstislav e, in quelli a seguire, anche i
Novgorodiani, i cittadini di Rostov e quelli di Beloozero. Mstislav stette
dinanzi alla città, dopo aver schierato la družina, e Oleg non attaccò
Mstislav, né Mstislav Oleg, e si controllarono l’un l’altro per quattro giorni. E
ricevette Mstislav la notizia che «il padre gli aveva inviato il fratello
Vjačeslav insieme ai Polovcy». E venne Vjačeslav il giovedì della seconda
settimana di Quaresima, mentre l’indomani, di venerdì, Oleg mosse
schierandosi contro la città, intanto che Mstislav gli andava contro con i
Novgorodiani. E consegnò Mstislav lo stendardo di Vladimir a un cumano di
nome Kunuj e, dopo avergli affidato la fanteria, lo collocò sul fianco destro.
E conducendo Kunuj la fanteria dispiegò lo stendardo di Vladimir. Scorse
Oleg lo stendardo di Vladimir e si spaventò, e il terrore assalì lui e i suoi
guerrieri. E scesero in campo gli uni contro gli altri, e mosse Oleg contro
Mstislav, mentre Jaroslav mandò contro Vjačeslav. Mstislav attraversò il
Pežar’ con i Novgorodiani e scesero da cavallo i Novgorodiani e si
scontrarono sulla Kulačka e fu mischia violenta e Mstislav cominciò a
prevalere. E Oleg vedeva che si approssimava lo stendardo di Vladimir e che
cominciava a incunearsi nelle sue retrovie, e sopraffatto da paura Oleg
fuggì; Mstislav vinse. Oleg si rifugiò a Murom, rinserrò Jaroslav a Murom,
mentre egli guadagnò Rjazan’. Mstislav raggiunse Murom e concluse la pace
con gli abitanti di Murom e, prese le sue genti di Rostov e di Suzdal’, partì
per Rjazan’ sulle orme di Oleg. Allora Oleg fuggì da Rjazan’, mentre Mstislav
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giuntovi stipulò la pace con gli abitanti di Rjazan’ e liberò la gente sua
confinata da Oleg. E mandò a dire a Oleg: «Non fuggire da nessuna parte,
ma affidati ai fratelli tuoi con la preghiera perché non ti privino della terra di
Rus’, e anch’io manderò al padre mio intercedendo per te». Oleg promise di
fare ciò. Mstislav, ritornato di nuovo a Suzdal’, da qui raggiunse Novgorod,
la sua città, accompagnato dalle preghiere del venerabile vescovo Nikita.
Succedeva ciò nell’anno 6604 [1096], a metà della quarta indizione.
LXXX. Storia di Vasil’ko (1097)
Nell’anno 6605 [1097], Svjatopolk [Izjaslavič] e Vladimir [Vsevolodovič],
Davyd, figlio di Igor’, Vasil’ko, figlio di Rostislav, Davyd, figlio di Svjatoslav,
e suo fratello Oleg si riunirono a Ljubeč’, per preparare la pace e si
parlarono l’un l’altro dicendo: «Perché danneggiamo la terra di Rus’, da soli
suscitando delle discordie fra di noi, mentre i Polovcy nella terra nostra
seminano zizzania e sono ben contenti delle nostre guerre fratricide? Orsù,
uniamoci da questo momento in un cuore solo e difendiamo la terra di Rus’.
Che ciascuno rientri nella propria terra avita [ereditata]: Svjatopolk nella
Kiev di Izjaslav, Vladimir nella terra di Vsevolod [Perejaslavl’], Davyd e Oleg
e Jaroslav in quella di Svjatoslav [Černigov] e coloro che ebbero le terre
assegnate da Vsevolod, rispettivamente nelle proprie città: Davyd a
Vladimir, i figli di Rotislav a Peremyšl’ e Volodar’, Vasil’ko invece a
Tereboval’». E su queste decisioni baciarono la croce col giuramento e
dissero: «Chiunque d’ora in poi insorga contro un altro avrà contro di sé
tutti noi e anche l’onorata croce». E dopo essersi salutati se ne tornarono
ognuno nella propria sede.
E Svjatopolk e Davyd ritornarono a Kiev e tutte le genti se ne rallegrarono;
solo il diavolo si afflisse di questa concordia. E Satana si insinuò nel cuore di
alcuni uomini e presero a parlare a Davyd, figlio d’ Igor’ dicendo così:
«Vladimir si è accordato con Vasil’ko contro Svjatopolk e contro te». Davyd,
assunte per vere le parole mendaci, cominciò a istigarlo [Svjatopolk] contro
Vasil’ko, così dicendo: «Chi è che ha ucciso tuo fratello Jaropolk, mentre ora
che mira a me e a te si è alleato con Vladimir? Salva la tua testa!».
Svjatopolk molto turbato pensò: «Se ciò è vero, oppure è una menzogna, lo
ignoro». Svjatopolk disse a Davyd: «Se dici il vero, Dio ti sia testimonio; se
parli mosso dall’invidia, Dio sarà dalla loro».
Svjatopolk s’afflisse per suo fratello e in sé rifletteva: «E se ciò fosse
vero?». Credette a Davyd; e Davyd ingannò Svjatopolk e cominciarono a
pensare a Vasil’ko; intanto Vasil’ko nulla sapeva di ciò, e neanche Vladimir.
Davyd cominciò a dire: «Se non prendiamo Vasil’ko, né tu governerai a
Kiev, né io nella città di Vladimir». E Svjatopolk lo ascoltò. E venne Vasil’ko
il quattro di novembre e s’avviò verso Vidobič, e andò a inchinarsi a San
Michail, nel suo monastero e là cenò, mentre issò l’accampamento a Rudica.
Al calar della sera raggiunse il suo accampamento. L’indomani, fattosi
giorno, Svjatopolk gli mandò a dire: «Non ti allontanare prima del mio
onomastico» [il nome di battesimo di Svjatopolk era Michele e la festa
ricorre l’8 novembre]. Vasil’ko rifiutò dicendo: «Non posso tardare, c’è
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rischio di guerra in patria». Davyd gli mandò a dire: «Fratello, non te ne
andare, non disobbedire al fratello maggiore, ce ne andremo insieme, dopo,
noi due». Vasil’ko, però, non voleva fare così e non l’ascoltò. E disse Davyd
a Svjatopolk: «Lo vedi, non si rammenta di te mentre soggiorna nei tuoi
domini. Quando sarà nelle sue terre, vedrai da te, se non conquisterà le tue
città, Turov e Pinsk e le altre tue città; allora ti ricorderai di me. Convocalo,
invece, ora, imprigionalo e consegnalo a me». E gli obbedì Svjatopolk e
mandò per Vasil’ko dicendo: «Se non vuoi trattenerti fino al mio
onomastico, vieni ora a salutarmi e ci intratterremo insieme a Davyd».
Vasil’ko, senza percepire l’inganno che a suo danno tramava Davyd, promise
di andare. Vasil’ko montò a cavallo e partì, e gli venne incontro un suo
servitore che l’avvertì dicendogli: «Principe, non andare, vogliono
imprigionarti». Egli non l’ascoltò, perché fra sé rifletteva: «Come vogliono
imprigionarmi? appena l’altro giorno baciammo la croce con le parole:
“Chiunque insorga contro l’altro, avrà contro di sé la croce e noi tutti”». E
meditando su ciò si segnò e disse: «Sia la volontà di Dio». E pervenne con
una piccola družina al palazzo del principe, e gli uscì incontro Svjatopolk, e
andarono nella sala, e venne Davyd e si sedettero in sala. E prese a dire
Svjatopolk: «Fermati per la festa». E rispose Valsil’ko: «Non posso restare,
fratello; ho già ordinato ai carreggi di proseguire». Davyd stava come muto.
E Svjatopolk disse: «Fa’ colazione, fratello». Vasil’ko promise di far
colazione. E disse Svjatopolk: «Voi rimanete pure qui, mentre io andrò a
dare disposizioni». E uscì fuori, mentre Davyd rimase seduto insieme a
Vasil’ko. E prese Vasil’ko a parlare a Davyd, ma Davyd non aveva né voce,
né udito, perché era in preda al terrore e in cuore aveva l’inganno. E dopo
aver atteso un po’ Davyd disse: «Dov’è il fratello?». Gli risposero: «Sul
terrazzino dell’ingresso». E Davyd alzandosi disse: «Vado a cercarlo, mentre
tu, fratello, rimani qua». E alzatosi, uscì fuori. Appena fuori Davyd,
serrarono dentro Vasil’ko: era il cinque di novembre. E lo incatenarono in
doppie catene e lo posero sotto guardia per la notte. L’indomani Svjatopolk
convocò i bojari e i Kieviani e narrò loro quanto raccontatogli da Davyd, e
cioè: «[Vasil’ko] ti ha ucciso il fratello, mentre contro di te si è unito con
Vladimir, bramando la tua morte e il possesso delle tue città». Dissero i
bojari e le genti: «Principe, a te spetta aver cura della tua testa. Se Davyd
ha detto la verità, che Vasil’ko riceva la punizione; se non ha detto il vero
che Davyd riceva da Dio il castigo e risponda dinanzi al Signore».
Quando lo seppero gli igumeni presero a pregare Svjatopolk per Vasil’ko;
disse loro Svjatopolk: «Tutto proviene da Davyd». Al vedere ciò Davyd
cominciò ad istigare all’accecamento: «Se non farai ciò, ma lo lascerai
libero, allora tu non governerai più, e nemmeno io». Svjatopolk lo voleva
liberare, ma Davyd temendolo si opponeva. E in quella notte lo condussero
a Zv’nigorod [o: Belgorod], che è una piccola città nei pressi di Kiev dalla
quale dista circa dieci verste e lo trasportarono su un carro, poiché era in
catene; e calatolo giù dal carro lo introdussero in una piccola izba. Mentre
stava seduto Vasil’ko scorse un turco che affilava un coltello e comprese che
lo volevano accecare e con gran pianto e lamento invocò Dio. Ed ecco
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entrarono gli inviati di Svjatopolk e Davyd, Snovid Isečevič, lo stalliere di
Svjatopolk, e Dmitrij, lo stalliere di Davyd, e si diedero a dispiegare un
tappeto. Stesolo, afferrarono Vasil’ko perché lo volevano atterrare; egli
lottava però strenuamente con loro e non riuscirono ad atterrarlo. Entrarono
allora altri e lo atterrarono e lo legarono. E tolta una tavola dalla stufa gliela
misero sul petto. E s’assisero ai due estremi Snovid Isečevič e Dmitrij, e
non furono in grado di domarlo; e avanzarono altri due e, prelevata un’altra
tavola dalla stufa, vi si sedettero sopra e lo schiacciarono con tanta forza
che il torace scricchiolò. E avanzò il turco, il suo nome era Berendič ed era il
pecoraio di Svjatopolk, con in mano il coltello; e voleva colpire nell’occhio.
Non centrò, però, l’occhio e gli sfregiò il volto e a tutt’oggi Vasil’ko porta il
segno di quella ferita. Dopo di ciò fece girare la lama nel suo occhio e gli
cavò la pupilla; e poi anche nell’altro occhio girò la lama e gli cavò l’altra
pupilla. In quel mentre era egli qual morto. E sollevatolo con tutto il
tappeto, lo posero sul carro come morto e lo avviarono verso Vladimir. E
mentre lo trasportarono si fermarono con lui, oltrepassato il ponte di
Vozdviženski, al mercato e gli tolsero di dosso la camicia che era
insanguinata e la diedero alla moglie del pop [prete] per lavarla. La moglie
del pop, lavatala gliela indossò, intanto che gli altri pranzavano, e proruppe
in lacrime la popad’ja [moglie del prete], perché egli era come morto. E,
udendo il pianto, [Vasil’ko] disse «Dove sono?». Essi gli risposero: «Nella
città di Vozdvižensk». E chiese dell’acqua; essi gliela diedero e bevve
l’acqua e gli ritornò lo spirito e riprese coscienza e palpò la camicia e disse:
«Perché me l’avete tolta? Avessi in questa camicia insanguinata accolto la
morte e così mi fossi presentato dinanzi a Dio!». Essi dopo aver pranzato
partirono, rapidi, con lui sul carro; lungo la strada accidentata perché si era
nel mese di novembre, e raggiunsero con lui la città di Vladimir il sesto
giorno. Giunse con lui anche Davyd come se avesse catturato una preda. E
lo posero nel palazzo di Vakej. E misero trenta uomini di guardia e due servi
del principe, Ulan e Kolčko.
Orripilò Vladimir, invero, al sentire che Vasil’ko era stato imprigionato e
accecato e, abbandonandosi a un gran pianto, esclamò: «Mai prima una
cosa simile fu in terra di Rus’! mai, né ai tempi dei nostri nonni, né sotto i
padri nostri, un simile misfatto è stato consumato!». E subito mandò a
Davyd e a Oleg Svjatoslavič [erano fratelli]: «Venite a Gorodec, perché
poniamo rimedio alla scelleratezza che si è consumata in terra di Rus’ e al
fatto che fra noi, o fratelli, è stato scagliato un coltello. Se non poniamo
subito rimedio, un male ancor peggiore ci assedierà, e il fratello scannerà il
fratello, e perirà la terra di Rus’, mentre i nostri nemici, i Polovcy,
arriveranno e si prenderanno la terra russa». Udito ciò, Davyd e Oleg
caddero in grande afflizione e piangendo dissero: «Mai era successo ciò
nella nostra famiglia!». E al momento adunati i guerrieri raggiunsero
Gorodec; Vladimir qui stava con le schiere e attendeva nel bosco. Vladimir e
Davyd e Oleg mandarono i propri uomini per dire a Svjatopolk: «Quale
malvagità hai tu compiuto in terra di Rus’ e il coltello fra di noi hai scagliato?
Perché hai accecato il fratello tuo? Se egli ha una qualche colpa, dovevi
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denunciarla anche dinanzi a noi e, solo dopo averla provata potevi infliggere
la punizione che meglio credevi; ora, invece, palesa la colpa per la quale gli
hai ciò comminato». Svjatopolk rispose: «Davyd Igor’evič mi disse: “Vasil’ko
ha assassinato tuo fratello Jaropolk e brama di assassinare te e usurpare la
tua terra, Turov e Pinsk e Berest’e e Pogorina, mentre a Vladimir ha giurato
che Vladimir si siederà a Kiev, invece Vasil’ko nella città di Vladimir”. Anche
se malvolentieri dovevo pur salvaguardare il capo mio. E non io l’accecai,
ma Davyd, e fu lui a condurlo da sé». E dissero gli uomini di Vladimir e di
Davyd e di Oleg: «Non ti assolve il fatto che sia stato Davyd ad accecarlo,
non nella città di Davyd fu preso e accecato, ma nella tua città fu
imprigionato e accecato». E, dopo aver detto queste cose, si separarono.
Il giorno seguente, mentre che Vladimir e Davyd e Oleg si apprestavano a
guadare il Dnepr, per muovere contro Svjatopolk, Svjatopolk pensò di
fuggire da Kiev, ma glielo impedirono i Kieviani, che inviarono, invece,
Vsevolod e il metropolita Nikolaj a Vladimir per dirgli: «Principe, preghiamo
te e i tuoi fratelli, non potete perdere la terra di Rus’. Se cominciate una
guerra fra voi, i pagani esulteranno e si approprieranno delle nostre terre,
che i vostri padri e gli avi vostri con grandi fatiche e ardimento hanno
unificato, e per la terra di Rus’ hanno combattuto e altre terre hanno
incorporato, mentre voi volete distruggere la terra di Rus’».
La vedova di Vsevolod e il metropolita [di Kiev] raggiunsero Vladimir e lo
pregarono e gli esposero la supplica dei Kieviani di concludere la pace e di
difendere la terra di Rus’ e di guerreggiare contro i pagani. All’udire ciò
proruppe in lacrime Vladimir e disse: «In verità, i padri nostri e i nostri avi
difesero la terra di Rus’, noi invece la vogliamo perdere». E alla supplica
della principessa, che aveva in stima di madre, si piegò e anche dinanzi alla
memoria del proprio padre, perché egli aveva molto amato il padre suo sia
in vita che dopo la sua morte, e in nulla mai gli avrebbe disobbedito. Per
questo obbedì anche a lei come se fosse stata sua madre. Rispettava egli
anche il metropolita per il suo grado di santità e non eluse la preghiera.
Vladimir è colmo di affetto: ama il metropolita e i vescovi e gli igumeni,
ancor più l’ordine monastico predilige, e sfama e disseta i religiosi che da lui
si recano come una madre il figlio suo. Se scorge qualcuno in schiamazzi,
oppure in sospetto di azioni riprovevoli, non condanna, ma tutti con affetto
corregge e consola. Ma noi al nostro racconto ritorniamo.
La principessa, dopo essere stata da Vladimir, tornò a Kiev e riferì a
Svjatopolk e ai Kieviani quanto si era deciso, e che vi sarebbe stata la pace.
Iniziarono a inviarsi scambievolmente degli uomini e si accordarono per dire
a Svjatopolk così: «Questo disordine è opera di Davyd, quindi recati tu,
Svjatopolk, da Davyd e fallo prigioniero, oppure scaccialo». Svjatopolk si
impegnò e baciarono la croce fra loro e conclusero la pace.
Vasil’ko soggiornava intanto a Vladimir, nella località summenzionata e
quando si avvicinò, e anche io mi trovavo là, a Vladimir, mandò una notte il
principe Davyd a chiamarmi. E io andai da lui e la družina gli stava seduta
attorno e, fattomi accomodare, mi disse: «Ecco, la notte scorsa, mentre
parlava con Ulan e Kolčko, Vasil’ko così diceva: “Mi giunge voce che Vladimir
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e Svjatopolk vengono contro Davyd; se Davyd mi desse retta, io manderei
un uomo fidato a Vladimir per farlo tornare indietro, perché saprei cosa
dirgli”. Ecco quindi Vasilij [nome del cronachista che era con Davyd e ha
scritto questa parte], io ti mando, vai da Vasil’ko, omonimo mio, con questi
servitori per dirgli così: “Se invierai un tuo uomo a Vladimir, perché torni
indietro, ti concederò la città che preferisci: se vuoi Vsevolož oppure Šepol’
o Peremil’”». Io mi recai da Vasil’ko e gli riferii ogni detto di Davyd. Egli
rispose: «Io non ho detto questo, ma confido in Dio; manderò [un
messaggero] a Vladimir, perché non si versi sangue per me; però di ciò mi
stupisco: mi vuol dare le sue città, mentre Tereboval’ è già mia, mio
dominio ora e anche in futuro», come avvenne infatti, perché ben presto
recuperò il suo possedimento. A me invece disse: «Vai da Davyd e digli:
“Mandami Kul’mej, perché lo invii a Vladimir”». Ma Davyd non gli prestò
ascolto e mi mandò di nuovo a dire: «Kul’mej non è qui». Allora Vasil’ko mi
disse: «Fermati un po’». E ordinò a suo servo di uscire e rimasto solo con
me prese a raccontarmi: «Odo, invero, che Davyd mi vuol consegnare ai
Ljachi. Allora poco si è saziato del sangue mio, se ancora ne brama e
s’appresta a consegnarmi a loro? Io infatti molto male ho arrecato ai Ljachi
e ancor più ne avrei voluto arrecare loro e vendicare la terra di Rus’. E se
anche mi consegnerà ai Ljachi, non temo io la morte. A te però confido:
Iddio ha mandato contro di me tutto questo a causa del mio orgoglio,
perché allorquando mi pervenne la notizia che venivano da me i Berendiči e
i Peceneghi e i Torki, ecco, pensai nella mia mente, quando saranno presso
di me i Berendiči e i Peceneghi e i Torki dirò ai fratelli miei Vladimir e Davyd:
“Consegnatemi la vostra družina di giovani e voi intanto abbandonatevi ai
canti e all’allegrezza”; e tra me pensavo: attaccherò la terra dei Ljachi e
vendicherò la terra di Rus’; e poi avrei voluto conquistare i Bulgari del
Danubio e assoggettarli a me. Allora avrei chiesto a Svjatopolk e a Vladimir
l’assenso per muovere contro i Polovcy: “Andrò, avrei detto, contro i
Polovcy, gloria a me a conquistare o a sacrificare il capo per la terra di Rus’”.
Nessun altro sentimento ebbi in cuor mio, né contro Svjatopolk, né contro
Davyd, ed ecco, giuro su Dio e nel suo ritorno, che nessun intendimento
malevolo in nessun modo verso i miei fratelli concepii. Però, a causa della
mia superbia, perché venivano a me i Berendiči e per l’allegrezza del mio
cuore e l’orgoglio della mia mente Dio mi umiliò e mi sottomise».
Quando arrivò il giorno di Pasqua, Davyd si mise in marcia per impadronirsi
dei paese di Vasil’ko; e, nei dintorni di Bučesk, incontrò Volodar’, fratello di
Vasil’ko, e Davyd non osò dar battaglia a Volodar’, fratello di Vasil’ko, e si
fermò a Bučesk, e Volodar’ assediò questa città. E Volodar’ si mise a dire:
«Tu hai commesso del male e non te ne sei pentito, confessa i crimini che
hai commesso». Ma Davyd respinse tutti i torti su Svjatopolk dicendo:
«Sono io che ho fatto tutto questo? È nella mia città che è successo? Io
stesso temevo che mi prendesse e mi facesse subire lo stesso trattamento.
Ho dovuto seguire ciò che avevano deciso perché ero nelle loro mani».
Volodar’ riprese: «Dio sa ciò che è stato, ora rilascia mio fratello e
concluderemo la pace con te». Davyd si rallegrò e mandò a cercare Vasil’ko,
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lo ridiede a suo fratello ed essi conclusero la pace e andarono ciascuno per
la propria strada. Vasil’ko rientrò in Tereboval’, e Davyd tornò a Vladimir.
Appena arrivò la primavera, Volodar’ e Vasil’ko si coalizzarono contro
Davyd; e, mentre Davyd si era rinchiuso a Vladimir, essi andarono alla città
di Vsevolod, l’assediarono e la bruciarono. Vasil’ko ordinò di uccidere tutti gli
abitanti che fuggivano. Soddisfece la sua vendetta sugli innocenti e sparse
sangue innocente. Poi riprese la marcia contro [la città di] Vladimir. E Davyd
si chiuse in Vladimir ed essi assediarono la città e fecero dire agli abitanti di
Vladimir: «Noi non siamo venuti contro la vostra città, ma contro i nostri
nemici crudeli, Turiak, Lazar’ e Vasilij, perché sono essi che hanno
consigliato Davyd di fare il male che ha fatto. Se voi volete battervi per loro
noi siamo pronti a combattere, altrimenti consegnateci i nostri nemici».
Sentito ciò, gli abitanti tennero consiglio e dissero a Davyd: «Consegna
quegli uomini, noi non ci batteremo per loro, possiamo combattere per te
ma non per loro. Se non li consegnerai, noi apriremo le porte della città e
sarai obbligato a provvedere alla tua sicurezza». Davyd si sentì costretto a
consegnarli, ma disse: «Non sono qui», perché li aveva mandati a Loučesk
[oggi Luzk, in Volynia]. Quando gli abitanti arrivarono a Loučesk, Turiak
fuggì a Kiev; Lazar’ e Vasilij tornarono a Turinsk. Quando il popolo apprese
che erano a Turinsk gridò contro Davyd: «Consegnali, se no apriamo le
porte!». Allora Davyd mandò a cercare Vasilij e Lazar’ e li consegnò. Si
concluse la pace la domenica e l’indomani mattina Vasilij e Lazar’ furono
appesi e trafitti di frecce, poi essi levarono l’assedio dalla città.
Questa fu la seconda vendetta di Vasil’ko, vendetta che ebbe il torto di
prendersi. Avrebbe fatto meglio a lasciare la cura a Dio. Egli avrebbe dovuto
incaricare Dio della sua vendetta perché come dice il profeta «farò vendetta
dei miei avversari, ripagherò i miei nemici» [Dt 32,41]. Infatti vendicò il
sangue dei suoi figli e fece cadere la sua vendetta sui suoi nemici e su quelli
che lo odiarono. Quando gli assedianti furono partiti, si staccarono i corpi
appesi e li si interrò.
LXXXI. Guerre intestine
Nell’anno 6605 [1096], Svjatopolk, avendo promesso di scacciare Davyd,
marciò fino a Berest’e, città dei Ljachi [ora Brest di Lituania]. Quando Davyd
lo seppe andò dai Ljachi e chiese aiuto a Vladislav [il loro re]. I Ljachi
promisero di sostenerlo e ricevettero da lui cinquanta grivny d’oro, e gli
dissero: «Vieni con noi a Berest’e, perché Svjatopolk ci invita a un incontro
e noi ti riconcilieremo con lui». Davyd accompagnò Vladislav fino a Berest’e.
Svjatopolk era in città e i Ljachi si accamparono sulle rive del Bug.
Svjatopolk si intese con i Ljachi e donò loro dei gran presenti perché gli
consegnassero Davyd. E Vladislav disse a Davyd: «Svjatopolk non vuole
intendere nulla, ritorna sui tuoi passi» e Davyd se ne tornò a Vladimir. E
Svjatopolk, essendosi inteso coi Ljachi, marciò verso Pinsk, essendo andato
a cercare il suo esercito. Avanzò fino a Dorogobuž, dove lo attendeva
l’esercito poi marciò contro Davyd fin sotto le mura della città di Vladimir,
dove si era rinchiuso Davyd sperando nell’aiuto dei Ljachi, poiché essi gli
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avevano detto «Se vengono i principi russi, noi verremo in tuo aiuto». Ed
essi lo avevano ingannato, avendo ricevuto dell’oro da Davyd e da
Svjatopolk. Svjatopolk circondò la città e vi rimase davanti sette settimane.
Davyd cominciò a supplicarlo: «Lasciami uscire dalla città», e Svjatopolk
acconsentì ed essi baciarono la croce. Davyd uscì dalla città e andò a
Červen e Svjatopolk entro in città il sabato santo, e Davyd fuggì presso i
Ljachi.
Avendo spinto Davyd alla fuga, Svjatopolk meditò sui progetti contro
Volodar’ e Vasil’ko dicendosi: «È per il bene di mio padre e di mio fratello».
E marciò contro di loro. Quando Volodar’ e Vasil’ko lo seppero, avanzarono
contro di lui, e prendendo la croce che lui aveva baciato con loro ripeterono:
«Io sono venuto contro Davyd e voglio avere pace e amicizia con voi». Ma
Svjatopolk violò quel giuramento e contò sul numero delle sue truppe. Si
scontrarono nella pianura di Rožen e Vasil’ko alzò la croce dicendo «Ecco la
croce che hai baciato. Tu mi hai già strappato gli occhi, ora vuoi strapparmi
la vita, che questa croce sia tra noi!». E il combattimento cominciò, i soldati
vennero alle mani e molti uomini pii videro una croce che si alzava sopra
l’esercito di Vasil’ko. Il combattimento fu terribile e molti uomini caddero sui
due fronti.
Svjatopolk, vedendosi sconfitto, fuggì a Vladimir. I vincitori Volodar’ e
Vasil’ko si fermarono dicendo: «Ci è sufficiente restare entro le nostre
frontiere» E si allontanarono.
Svjatopolk fuggì dunque a Vladimir portando con sé i suoi due figli, Mstislav
e Jaroslav, e i due figli di Jaropolk e il figlio di Davyd Svjatoslavič, e il resto
della sua družina. Svjatopolk stabilì suo figlio Mstislav, che aveva avuto da
una concubina, a Vladimir, e mandò Jaroslav dagli Ugri allo scopo di
ottenere un aiuto contro Volodar’, e lui andò a Kiev.
Jaroslav, figlio di Svjatopolk, andò dagli Ugri, con lui era il re Koloman e due
vescovi e si stabilirono intorno a Premyšl’ lungo il fiume, e Volodar’ si fermò
nella città. In quel tempo, Davyd arrivò dai Ljachi, lasciò la sua donna
presso Volodar’ e andò lui stesso dai Polovcy e si incontrò con Bonjak.
Davyd ritornò e andarono insieme contro gli Ugri. Durante la loro strada si
fermarono per passare la notte. A mezzanotte Bonjak si alzò, lasciò
l’esercito e si mise a urlare come un lupo. Un lupo gli rispose e molti lupi si
misero a urlare. Bonjak ritornò allora da Davyd e disse «Domani noi
vinceremo gli Ugri». Il giorno dopo Bonjak sistemò il suo esercito in
battaglia. Davyd aveva cento soldati, Bonjak trecento e li divise in tre
colonne e andò contro gli Ugri. Egli mise all’avanguardia Altunopa con
cinquanta uomini, affidò lo stendardo a Davyd che divise il suo esercito in
due parti, mettendo cinquanta uomini per ala. Anche gli Ugri si schierarono
in battaglia dividendosi in diversi corpi, essi erano in numero di ottomila.
Altunopa attaccò il primo corpo, e dopo aver caricato arretrò dinanzi agli
Ugri. Gli Ugri lo inseguirono e nella loro corsa superarono Bonjak. Boniak
allora attaccò gli Ugri da dietro. Altunopa si girò ed essi non permisero agli
Ugri di battere in ritirata. Così ne uccisero un grande numero. Bonjak divise
la sua truppa in tre corpi ed essi batterono gli Ugri come un falcone che
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insegue i corvi. Gli Ugri fuggirono, molti annegarono nel Vjagr’, altri nel San.
Fuggendo lungo il San essi vi cadevano uno dopo l’altro e per due giorni il
vincitore li inseguì massacrandoli. Là fu ucciso il loro vescovo Kupan e molti
dei loro bojari. Si dice che perirono in quattromila.
Jaroslav fuggì dai Ljachi e arrivò a Berest’e; Davyd, avendo preso Suteisk e
Červen, arrivò all’improvviso e fece prigionieri gli abitanti di Vladimir.
Mstislav si chiuse in città con una guarnigione perché aveva con sé gli
abitanti di Pinsk, di Berest’e, di Vygošev. Davyd circondò la città e fece
frequenti assalti. Una volta, avanzò fin sotto le torri della città, ma gli
abitanti lanciarono le frecce che caddero più fitte della pioggia.
Mstislav, nel momento in cui, montato sulla palizzata, stava per scoccare
una freccia, fu raggiunto da una freccia che lo colpì sotto l’ascella per un
difetto dell’armatura. Lo si portò via ed egli morì quella stessa notte. Si
nascose la sua morte per tre giorni e il quarto fu annunciata all’assemblea.
Il popolo disse: «Ecco che il principe è morto, se noi ci arrendiamo
Svjatopolk ci farà tutti morire». E mandarono a dire a Svjatopolk: «Tuo
figlio è morto e noi siamo pressati dalla carestia. Se tu non vieni, il popolo si
arrenderà, non potendo sopportare la fame». Svjatopolk inviò il suo
generale Putjata. Arrivato con l’esercito a Loučesk, presso Svjatoš, figlio di
Davyd. Anche gli uomini di Davyd erano da Svjatoš perché questi aveva
giurato a Davyd: «Se Svjatopolk viene contro di te, te lo farò sapere».
Svjatoš non fece ciò ma fece arrestare gli uomini di Davyd e andò egli
stesso contro Davyd. Svjatoš e Putjata arrivarono il cinque di agosto.
Mentre l’esercito di Davyd assediava la città e Davyd faceva la siesta, essi si
lanciarono sul suo esercito e presero a massacrarlo. Gli assediati uscirono
dalla città e si misero a sgozzare i soldati di Davyd; e Davyd fuggì così come
Mstislav, suo nipote. Svjatoš e Putjata presero la città e vi stabilirono Vasilij
come posadnik di Sviatopolk. E Svjatoš andò a Loučesk e Putjata a Kiev.
Davyd fuggì dai Polovcy e Bonjak lo ricevette. Davyd e Bonjak marciarono
contro Svjatoš a Loučesk, assediarono Svjatoš nella sua città e conclusero la
pace. Svjatoš abbandonò la città e andò da suo padre a Černigov. Davyd
s’impossessò di Loučesk e da lì andò a Vladimir. Là il posadnik Vasilij fuggì
dalla città e Davyd prese Vladimir e vi si stabilì.
LXXXII. Negoziati tra i principi (1098-1102)
Nell’anno 6606 [1098], Vladimir costruì una chiesa di pietra in onore della
santa Madre di Dio nel palazzo del principe a Perejaslavl’. Quell’anno
Vladimir Monomaco fondò una città sull’Oster.
Nell’anno 6607 [1099], Svjatopolk andò contro Davyd a Vladimir e scacciò
Davyd presso i Ljachi. Quello stesso anno furono sconfitti gli Ugri presso
Premyšl’.
Quell’anno un segno apparve sopra la città di Vladimir: nel mese di aprile si
videro due cerchi e in essi come due soli fino alla sesta ora. E la notte fino
all’alba, si videro come tre stendardi luminosi.
Nell’anno 6608 [1100 – in un manoscritto ciò che si descrive viene datato
6606/1098], Mstislav [Vsevdodovič] si allontanò da Davyd per mare, il
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giorno dieci del mese di giugno. Quell’anno, i fratelli Svjatopolk, Vladimir,
Davyd e Oleg conclusero la pace fra loro a Uvetič [o: Gorodec], il giorno
dieci del mese di agosto. Lo stesso mese, giorno trenta, nel medesimo luogo
si adunarono tutti i fratelli – Svjatopolk, Vladimir, Davyd, Oleg –, e li
raggiunse Davyd Igor’evič, e disse loro: «Perché mi avete chiamato? Eccomi
qua. Chi mai lamenta delle mie offese?». Vladimir gli rispose: «Sei stato tu
a mandarci a dire: “Fratelli, voglio venire a voi e lagnarmi delle offese
ricevute”. Poiché sei venuto e stai con i tuoi fratelli sul medesimo tappeto,
perché mai non ti lagni? La tua lagnanza a chi tra noi è diretta?». Davyd
però nulla proferiva. I fratelli tutti montarono a cavallo; e Svjatopolk era
con la sua družina, e Davyd e Oleg, separatamente, ciascuno con la propria.
Davyd Igor’evič invece stava in disparte e non lo facevano avvicinare a sé,
bensì da soli decidevano di Davyd. E, accordatisi, mandarono a Davyd i
propri uomini: Svjatopolk [mandò] Putjata, Vladimir Orogost’, Ratibor Davyd
e Oleg Torčin. Gli inviati raggiunsero Davyd e gli dissero: «Questo ti
mandano a dire i fratelli: “Non vogliamo darti lo scranno di Kiev, poiché hai
scagliato il coltello fra noi, cosa che mai prima fu in terra di Rus’; per questo
noi non ti imprigioneremo, né male alcuno ti faremo, bensì questo ti
offriamo: raggiungi la fortezza di Božensk e stabilisciti colà, mentre
Svjatopolk ti darà Duben e Cartorysk. Vladimir invece ti darà duecento
grivny, Davyd e Oleg altre duecento grivny”». Allora inviarono i loro
ambasciatori a Volodar’ e a Vasil’ko: «Prendi, prendi con te il fratello tuo
Vasil’ko e state insieme signori della medesima regione, di Peremyšl’; se ciò
vi aggrada stabilitevi colà, altrimenti fa venire Vasil’ko qui, perché ci si
prenda cura di lui; allora ci consegnerete i nostri contadini e i servi». Non
accettarono ciò Volodar’ e Vasil’ko. Davyd si stabilì a Božensk; poi
Svjatopolk cedette a Davyd Dorogobuž, ove si spense anche; mentre
consegnò Vladimir a suo figlio Jaroslav.
Nell’anno 6609 [1101], morì Vseslav, principe di Polock, il giorno quattordici
del mese di aprile, di mercoledì, indizione nona. Il medesimo anno Jaroslav
Jaropolčič mosse guerra in quel di Berest’e, egli uscì contro Svjatopolk e lo
sorprese in città, lo catturò e lo trasportò a Kiev in catene. Intercedettero
per lui il metropolita e l’igumeno e convinsero [presero] Svjatopolk e lo
condussero presso la tomba dei santi Boris e Gleb dove gli tolsero i ceppi e
lo lasciarono andare.
Quell’anno si adunarono sul fiume Zolot’ča tutti i fratelli: Svjatopolk,
Vladimir e Davyd e Oleg e Jaroslav, il loro fratello: i Polovcy inviarono degli
ambasciatori – di ogni principe per ciascun fratello – per chiedere la pace.
Risposero loro i principi della Rus’: «Se veramente chiedete la pace
incontriamoci tutti a Sakov». E accettarono i Polovcy e si recarono a Sakov.
E conclusero la pace con i Polovcy e prelevarono reciprocamente degli
ostaggi, il giorno quindici del mese di settembre e ognuno imboccò la
propria strada.
Lo stesso anno Vladimir elevò la chiesa cattedrale in onore della Santa
Madre di Dio a Smolensk.
Nell’anno 6610 [1102], Jaroslav Jaropolčič fuggì da Kiev il primo giorno del
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mese di ottobre. Alla fine dello stesso mese, Jaroslav Svjatopolčič trasse in
inganno Jaroslav Jaropolčič e catturatolo sulla Nura lo condusse da suo
padre, Svjatopolk, dove lo misero in catene. Lo stesso mese, il giorno venti,
venne [a Kiev] Mstislav, figlio di Vladimir, con i Novgorodiani; Svjatopolk
s’era accordato con Vladimir, che Novgorod sarebbe stata di Svjatopolk, il
quale avrebbe là insediato il proprio figlio, mentre Vladimir avrebbe
insediato suo figlio a Vladimir. E venuto Mstislav a Kiev sedettero nell’izba e
dissero gli uomini di Vladimir: «Ecco, Vladimir ha inviato suo figlio e intanto
sono qui i Novgorodiani in attesa di prelevare tuo figlio e tornare a
Novgorod, mentre Mstislav andrà a Vladimir». E dissero i Novgorodiani a
Sviatopolk: «Ecco, principe, noi siamo inviati a te con questo messaggio:
“Non vogliamo Sviatopolk, né suo figlio. Se tuo figlio ha due teste, allora
mandacelo. Invece costui ci è stato dato da Vsevolod, ci siamo allevati il
principe da soli, mentre tu ti sei allontanato da noi”». Sviatopolk a lungo
discusse con loro, ma essi, ostinati, presero Mstislav e partirono per
Novgorod.
Nello stesso anno, si manifestò in segno in cielo: il ventinove del mese di
dicembre [o: gennaio] e per tre giorni, come un’aurora di fuoco da oriente e
da mezzogiorno, da occidente e da settentrione, e per tutta la notte vi fu
una luce intensa, come fosse il brillio della luna piena. In quell’anno vi fu un
segno nella luna, il giorno cinque del mese di febbraio. Il medesimo mese, il
giorno sette, si manifestò un segno nel sole: il sole fu cerchiato da tre archi
e v’erano altri tre archi concatenati fra loro. Nello scorgere tale segno gli
uomini di fede con sospiri e lacrime invocarono Dio, perché Dio volgesse al
bene questi segni: i segni presagiscono a volte sciagure, altre volte cose
buone, ma presaghi di bene erano questi segni. L’anno seguente infatti Dio
suscitò pensieri buoni nei principi della Rus’: decisero di affrontare i Polovcy
e marciare nella loro terra, cosa che si verificò, come diremo di seguito,
all’anno successivo.
In questo anno morì Vladislav, principe dei Ljachi. Lo stesso anno morì
Jaroslav Jaropolčič, il giorno undici del mese di agosto. Il medesimo anno fu
accompagnata la figlia di Svjatopolk, Sbyslava, presso i Polacchi, in moglie a
Boleslav, il giorno sedici del mese di novembre.
Questo anno nacque a Vladimir un figlio che fu chiamato Andrej.
LXXXIII. Vittoria sui Polovcy (1103)
Nell’anno 6611 [1103] Dio pose nel cuore di Svjatopolk e Vladimir
[Monomaco], principi della Rus’, un pensiero buono e s’incontrarono a
Dolobsk per riflettere. E stavano Svjatopolk con la sua družina e Vladimir
con la propria nella medesima tenda. E presero a discutere e la družina di
Svjatopolk cominciò a dire: «Non è tempo ora, in primavera, per attaccare,
se non vogliamo perdere i nostri contadini e i loro campi». Rispose Vladimir:
«Mi stupisce, o družina, che abbiate compassione dei cavalli con i quali
costui ara; perché non badate, invece, che quando il contadino incomincerà
ad arare, se sopraggiunge un polovcy, questi colpirà di freccia il contadino,
gli porterà via il cavallo e recandosi nel suo villaggio gli porterà via la moglie
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e i figli suoi e ogni altra cosa? Avete forse pietà del cavallo suo, ma non
avete pietà di lui medesimo?». Nulla poté rispondere la družina di
Svjatopolk. E Svjatopolk disse: «Fratello, eccomi, io sono già pronto». E si
alzò Svjatopolk mentre Vladimir gli disse: «Ecco, tu, fratello, un gran bene
farai alla terra di Rus’». E mandarono loro due a Davyd e a Oleg per dire:
«Venite contro i Polovcy e che si viva, o si muoia». Davyd ascoltò il loro
appello, mentre Oleg non l’accolse, adducendo la scusa: «Non sto bene».
Vladimir, accomiatandosi dal fratello suo, partì per Perejaslavl’, mentre gli
tennero dietro Sviatopolk e Davyd Svjatoslavič, Mstislav nipote di Igor’,
Vjačeslav Jaropolčič, Jaropolk Vladimirovič. Partirono a cavallo e in barca;
giunsero sotto le cateratte nell’isola di Chortica. E montarono a cavallo e i
fanti, sbarcati dalle navi, camminarono per quattro giorni nei campi e
raggiunsero Suten’. I Polovcy alla notizia che i Russi s’avvicinavano, si
adunarono senza numero e iniziarono a consultarsi. E disse Urusoba:
«Chiediamo la pace ai Russi, altrimenti essi ci combatteranno con
ardimento: infatti, molto male abbiamo arrecato alla terra di Rus’». I più
giovani dissero a Urusoba: «Se tu hai paura dei Russi, noi invece non li
temiamo; sterminati costoro andremo nelle loro terre e prenderemo le loro
città e chi potrà salvarli da noi?». I principi russi e i soldati tutti pregavano
Dio e offrivano voti a Dio e alla purissima sua Madre: chi la kut’jà [riso cotto
con uva passa, usato nei banchetti funebri], chi elemosina ai poveri, altri dei
doni ai monasteri. Intanto che essi così pregavano mossero i Polovcy e
mandarono dinanzi a loro in avanscoperta Altunopa, famoso fra di loro per il
suo coraggio; anche i principi russi mandarono le loro avanguardie. E le
avanguardie russe individuarono Altunopa e quanti erano insieme con lui; e
neanche uno si salvò, ma tutti sterminarono. Avanzarono le schiere dei
Polovcy simili a un bosco ed era impossibile abbracciarli con lo sguardo; e i
Russi andarono contro loro. E Dio grande instillò un terribile terrore nei
Polovcy, che s’empirono di paura e di tremore e alla vista dei guerrieri russi
impietrirono, mentre i loro cavalli mancavano di scatto nelle zampe. I nostri,
baldanzosi a cavallo come a piedi, si lanciarono contro di loro. I Polovcy,
scorgendo l’impeto con cui i Russi si slanciavano contro di loro, ancor prima
di essere raggiunti, voltarono la schiena alle schiere russe. I nostri li
inseguirono falcidiandoli; era il quarto giorno del mese di aprile. Grande
salvezza concesse Dio in quel giorno ai devoti principi russi e a tutti i
Cristiani, permettendo una sfolgorante vittoria sui nostri nemici. E qui nella
mischia uccisero venti principi – Urusoba, Kčij, Arslanapa, Kitanopa, Kuman,
Asup, Kurtok, Čenegrepa, Sur’bar’ e altri principi loro – e catturarono
Beldjuz’. Al termine, i fratelli sedettero in consiglio dopo aver sopraffatto i
loro nemici e condussero Beldjuz’ da Svjatopolk e Beldjuz’ si affannò ad
offrire per sé [per la sua libertà] oro e argento e cavalli e bestiame.
Svjatopolk lo mandò da Vladimir. Quando vi giunse, Vladimir cominciò a
interrogarlo: «Ecco, lo vedi dove ti ha condotto il giuramento? Tante volte,
pur avendo giurato, avete devastato la terra di Rus’. Perché non hai detto ai
tuoi figli e alla tua gente di non infrangere il giuramento, ma avete invece
versato sangue cristiano? Ricada il sangue tuo sulla tua testa». E ordinò di
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ucciderlo, e così lo fecero a pezzi. E poi si riunirono tutti i fratelli e disse
Vladimir: «Ecco, “Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed
esultiamo in esso” [Sal 118 (117),24], perché il Signore ci ha liberati dai
nostri nemici: ha sottomesso i nostri avversari, ha abbattuto le teste
serpigne e le ha date in pasto alle genti russe». Presero allora il bestiame e
le pecore e i cavalli e i cammelli e le tende con il bottino e con i servi, e
prelevarono i Polovcy e i Torki con i loro accampamenti e ritornarono i Russi
carichi di grandi bottini e di gloria e con vittoria grande nelle loro terre.
In quello stesso anno, apparvero le cavallette, il primo giorno di agosto.
Quello stesso anno, medesimo mese, giorno diciotto, andò Svjatopolk e
ricostruì la città di Jur’ev, che i Polovcy avevano arso. Quell’anno Jaroslav
combatté contro i Mordvini, nel mese di marzo, giorno quattro e fu sconfitto
Jaroslav.
LXXXIV. Avvenimenti diversi
Nell’anno 6612 [1104], fu condotta la figlia di Volodar’ all’imperatore Alessio
di Costantinopoli [forse per sposare un suo figlio], giorno venti del mese di
luglio. Lo stesso anno, fu condotta Peredslava, figlia di Svjatopolk, presso gli
Ugri, in isposa all’imperatore, il giorno ventuno del mese di agosto.
Quell’anno giunse nella Rus’ il metropolita Nikifor, il giorno sei del mese di
dicembre. Lo stesso mese morì Vjačeslav Jaroslavič [o: Jaropolčič], il giorno
tredici di dicembre. Il giorno diciotto di quello stesso mese fu insediato il
metropolita Nikifor [Niceforo].
Quando quell’anno volgeva verso la fine, Svjatopolk inviò Putjata contro
Minsk, Vladimir invece [inviò] il figlio suo Jaropolk, mentre Oleg in persona
mosse contro Gleb, dopo aver imprigionato Davyd Vseslavič; a nulla
pervenendo di bel nuovo ritornarono. E nacque a Svjatopolk un figlio e lo
chiamarono Brjačislav.
In quell’anno vi fu un segno: il sole era cerchiato e in mezzo al cerchio c’era
una croce, nel centro della croce il sole, mentre fuori del cerchio su ambo i
lati due soli, e sopra il sole oltre il cerchio un arco, con le punte rivolte a
nord; un segno simile anche nella luna col medesimo aspetto apparve, il
mese di febbraio, nei giorni quattro, cinque e sei; di giorno per tre giorni,
mentre di notte, nella luna, per tre notti.
Nell’anno 6613 [1105], il coronamento di Sant’Andrea crollò. Il metropolita
insediò Amfilofij vescovo di Vladimir, il mese di agosto, giorno ventisette.
Nello stesso anno, insediò Lazar’ a Perejaslavl’, giorno dodici del mese di
novembre. Quell’anno insediò Mina a Polock il decimo giorno del mese di
dicembre. Quell’anno una stella a coda si mostrò a Occidente e vi restò un
mese. Quell’anno Boniak andò in inverno a Zarub, sconfisse i Torki e i
Berendiči.
Nell’anno 6614 [1106], i Polovcy combatterono presso Zarečesk e
Svjatopolk inviò contro essi Jan [figlio di Vyšata] e Ivanek Zacharič Kozarin
e scacciarono i Polovcy e presero dei prigionieri.
In quell’anno morì Jan, il buon vecchio, in veneranda età, dopo essere
vissuto novant’anni. Visse secondo la legge di Dio, non era peggiore dei
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primi uomini giusti. Da lui io udii molti racconti che ho trascritto in questa
cronaca. Era uomo buono e mite e sottomesso, fuggiva ogni male, la sua
tomba si trova nel monastero Pečerskij, nell’atrio, dove giace il suo corpo,
sepolto nel mese di giugno, giorno ventiquattro. In quell’anno prese i voti
[si fece monaca] Evpraksija, figlia di Vsevolod, il sesto giorno del mese di
dicembre. Nello stesso anno fuggì Izbygnev presso Svjatopolk. Lo stesso
anno Svjatopolk [o: Svjatoslav], figlio di Davyd, nipote di Sviatoslav, prese i
voti il giorno diciassette del mese di febbraio. In quell’anno gli Zimegola
vinsero i figli di Vseslav, e uccisero la družina, novemila uomini.
In quell’anno nel mese di agosto ci fu un oscuramento del sole.
LXXXV. Vittoria sui Polovcy: trattati e matrimoni (1107)
Nell’anno 6615 [1107], indicazione prima [o: quindicesima], quarto anno
del ciclo lunare, ottavo del ciclo solare. In quell’anno morì la moglie [o:
figlia] di Vladimir il mese di maggio, giorno sette. Nello stesso mese,
guerreggiò Bonjak e catturò dei cavalli presso Perejaslavl’. Quell’anno
vennero Bonjak e Šarukan il vecchio e molti altri principi [polovcy] e si
fermarono presso Luben. Svjatopolk e Vladimir e Oleg Svjatoslavič, Mstislav
Vjačeslavič, e Jaropolk andarono contro i Polovcy di Luben e alla sesta ora
del giorno guadarono la Sula e li attaccarono. I Polovcy in preda al terrore
per la paura non riuscirono a issare neanche lo stendardo, ma afferrati i
cavalli fuggirono, altri invece se la diedero a gambe; i nostri li raggiunsero e
presero a falcidiarli, altri con le mani afferravano e li inseguirono fino al
[fiume] Chorol. Uccisero Taz, fratello di Bonjak, mentre fecero prigionieri
Sugr e suo fratello, intanto che Šarukan sfuggiva a stento. Perdettero anche
il loro carico, che i guerrieri russi catturarono il giorno dodici del mese di
agosto e tornarono nella propria terra con grande vittoria. Svjatopolk giunse
al monastero delle Grotte per il Mattutino della Dormizione della Santa
Deipara e i fratelli lo salutarono con grande gioia dicendo: «I nostri nemici
sono stati sconfitti grazie alle preghiere della Santa Deipara e del santo
padre nostro Feodosij». Tale abitudine aveva Svjatopolk: quando andava in
guerra o altrove, prima si inchinava sulla tomba di Feodosij e dopo essere
stato benedetto dall’igumeno del momento, intraprendeva il suo cammino.
In quell’anno morì la principessa, madre di Svjatopolk, il giorno quattro del
mese di gennaio. Lo stesso mese dello stesso anno andarono Vladimir e
Davyd e Oleg da Aepa e dall’altro Aepa e conclusero la pace. E prese
Vladimir per Jurij la figlia di Aepa, nipote di Osen’, mentre Oleg la figlia di
Aepa, nipote di Girgen’, il giorno dodici del mese di gennaio.
In quell’anno, il cinque di febbraio, ci fu un tremito della terra la notte prima
dell’alba.
LXXXVI. Feodosij iscritto nel Sinodik e avvenimenti diversi
Nell’anno 6616 [1108], il principe Svjatopolk pose le fondamenta della
chiesa di San Michail dalla Cupola d’oro, il giorno undici del mese di luglio. E
terminarono il refettorio del monastero Pečerskij al tempo dell’igumeno
Feoktist, il quale aveva costruito per volere di Gleb e per sua donazione. In
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quell’anno le acque del Dnepr, della Desna e del Pripjat’ erano in piena. Dio
in quello stesso anno ispirò in cuore di Feoktist, igumeno del Pečerskij, il
quale prese a dire a Svjatopolk di iscrivere Feodosij nel Sinodik
[diversamente dal Synodicon greco, vi si elencavano, oltre ai santi, le
persone importanti]; egli promise di farlo. E diede ordine al metropolita di
iscriverlo nel Sinodik, per cui il metropolita diramò a tutti i vescovadi
l’ordine di iscriverlo. In quell’anno si spense Katerina, figlia di Vsevolod, il
ventiquattro del mese di luglio. In quell’anno terminarono la cupola della
Santa Deipara a Kiev, fondata da Stefan, igumeno del Pečerskij.
Nell’anno 6617 [1109], morì Evpraksija, figlia di Vsevolod, il nono giorno del
mese di luglio e fu seppellita nel monastero Pečerskij presso il portone volto
a mezzogiorno, e vi elevarono una cappella laddove giace il suo corpo in
stato di religiosa. In quell’anno, il mese di dicembre, giorno due, Dmitrij
Ivorovič conquistò l’accampamento dei Polovcy presso il Don e ne prese
mille. Fu Vladimir ad averlo inviato.
LXXXVII. Sconfitta dei Polovcy (1110) e digressione sugli angeli
Nell’anno 6618 [1110], in primavera, Svjatopolk, Vladimir e Davyd
marciano contro i Polovcy; e raggiunta Voin’ tornarono indietro.
Nello stesso anno, vi fu un segno nel monastero delle Grotte, il giorno undici
del mese di febbraio, apparve una colonna di fuoco alta da terra fino al
cielo, mentre il lampo illuminò tutta la terra e in cielo tuonò all’ora prima
della notte e tutte le genti udirono ciò. Questa colonna per prima stette
sopra il refettorio di pietra, tanto che la croce non era più visibile e, dopo
aver sostato alquanto, si spostò sulla chiesa e stette sopra la tomba di
Feodosij, e poi si erse sulla cima, come se volgesse il volto a oriente e infine
fu invisibile.
Qui si ferma il manoscritto Laurenziano, o Lavrent’evskij, dal nome del copista
Lavrentij, datato 1377, il più antico pervenutoci, che termina con le righe seguenti:
Io, Sil’vestr, igumeno di di San Michail [monastero di Vydobič], scrissi
questo libro, Cronaca, confidando di ricevere Grazia di Dio, al tempo del
principe Vladimir, mentre era principe di Kiev, e io ero igumeno del San
Michail, nell’anno 6624 [1116], indizione nona. Chi leggerà questo libro mi
ricordi nelle sue preghiere.
In altri manoscritti il racconto continua:
Questa non era una colonna di fuoco, ma un angelo che appariva così.
Poiché gli angeli si manifestano sotto la forma di una colonna di fuoco o di
una fiamma, come detto da Davide: « Egli fa i suoi angeli pari ai venti, e i
suoi ministri come fiamma di fuoco» [Eb 1,7, ripreso da Sal 105 (104),4].
Essi sono inviati per ordine di Dio là dove vuole il creatore di tutte le
creature angeliche e umane. Perché l’angelo viene nei luoghi benedetti,
nelle case di preghiera, e là mostra qualcosa della sua persona, sotto forma
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di una colonna, di una fiamma o sotto qualche altra forma accessibile
all’uomo. Perché l’uomo non può vedere la figura degli angeli, il grande
Mosè non poté vedere la figura dell’angelo, perché c’era una colonna di
nuvole che lo conduceva il giorno e una colonna di fuoco la notte. Ma questo
non era una colonna che conduceva gli Ebrei, ma un angelo che marciava
dinanzi a loro notte e giorno. Il segno annunciava ciò che doveva avere
luogo, e ciò aveva luogo. E l’anno successivo, non fu un angelo che
condusse gli Ebrei contro gli stranieri e i nemici? Com’è detto: «il mio
angelo camminerà alla tua testa» [Es 23,23] e ancora «Egli darà ordine ai
suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi» [Sal 91 (90),11] come dice il
profeta Davide.
Ecco ciò che ha scritto il molto saggio Epifanio: «A ogni creatura, è stato
dato un angelo, un angelo nelle nuvole e nelle nebbie, nella neve e nella
grandine, nel gelo, nei rumori e nei tuoni, nell’inverno e nel calore, in
autunno, in primavera, in estate ogni spirito ha la sua creatura sulla terra o
negli abissi misteriosi. Nascosti sotto la terra e nelle ombre infernali, e negli
abissi, essi erano precedentemente sulla superficie della terra, e sono loro
che fanno ombra, la sera e la notte, e la luce e il giorno. Ogni creatura ha
un angelo. Un angelo è stato dato a ogni regione per vegliare su essa, fu
essa stessa occupata dai pagani. Se la collera di Dio si eleva contro un
paese, egli ordina all’angelo di questo paese di mettersi in guerra contro un
paese. E l’angelo del paese non si oppone all’ordine di Dio. Ciò ha avuto
luogo da noi. Dio ha inviato contro noi, a causa dei nostri peccati, i nostri
nemici pagani ed essi li hanno vinti per ordine di Dio. Se qualcuno pretende
che non ci siano angeli dai pagani, ascolti come Alessandro di Macedonia
avendo riunito il suo esercito e marciato contro Dario superò tutti i paesi
dall’Oriente all’Occidente, batté gli Egiziani, batté Aram ed arrivò fino alle
isole marittime. E risolse di impossessarsi di Gerusalemme, e di battere gli
Ebrei perché avevano vissuto in pace con Dario, e marciò contro loro con
tutto il suo esercito, e stabilì il suo campo e si riposò. La notte venne, era
steso nel suo letto sotto la sua tenda. Avendo aperto gli occhi, vide un
uomo in piedi sopra lui, una spada sguainata in mano e questa spada
splendeva come un lampo, ed egli la brandiva sopra la testa del re. E il re
ebbe gran timore e disse «Signore, non farmi morire» e l’angelo gli disse
«Dio mi ha mandato per umiliare dinanzi a te dei grandi re e molti popoli. Io
marcio quindi davanti a te e ti aiuto ma ora sappi che morirai, perché hai
deciso di conquistare Gerusalemme, di fare torto ai preti e al popolo di Dio».
Ed il re disse: “Io ti prego, Signore, perdona ora i peccati del tuo servo. Se
ciò non ti conviene, ritornerò in me». E l’angelo gli disse «Non temere nulla,
vai a Gerusalemme, e vedrai a Gerusalemme un uomo che mi somiglia;
china il viso contro terra, inginocchiati davanti a quest’uomo e fa’ tutto
quello che ti dirà e non violare i suoi comandamenti perché il giorno che li
violerai tu morrai». Il re si alzò, andò a Gerusalemme ed essendovi entrato
chiese ai sacerdoti se doveva marciare contro Dario. Gli mostrarono i libri
del profeta Daniele, e gli dissero: «Tu sei l’ariete ed egli è l’agnello, lo
distruggerai e prenderai il suo regno». Alessandro non fu condotto da un
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angelo? Non ha superato tutti i pagani e tutti i greci ammiratori degli idoli?
È così che questi pagani sono stati lanciati su di noi a causa dei nostri
peccati. Che si sappia dunque che presso i cristiani, egli non ha soltanto un
angelo, ma tanti angeli che egli dà agli uomini battezzati, soprattutto ai
nostri pii principi. Essi non possono opporsi alla volontà divina, ma pregano
Dio con fervore per i cristiani. È ciò che è arrivato, grazie alle preghiere
della santa Madre di Dio e dei santi angeli. Dio ebbe pietà di noi, e inviò i
suoi angeli in aiuto dei principi russi contro i pagani.
LXXXVIII. Spedizioni contro i Polovcy e nuova disquisizione sugli
angeli
Nell’anno 6619 [1111] [La prima parte ripete quanto narrato nell’anno 6611
(1103) con qualche variante]. Dio ispirò Vladimir [Monomaco] di mettersi a
parlare con suo fratello Svjatopolk, incitandolo a marciare in primavera
contro i pagani. Svjatopolk trasmise alla sua družina il discorso di Vladimir
ed essi gli dissero: «Non è ancor il tempo di allontanare i contadini dai
campi». Svjatopolk mandò a dire a Vladimir: «Sarà bene riunirci per
ascoltare la družina». Gli inviati di Svjatopolk andarono da Vladimir e gli
riferirono le parole di Svjatopolk. Vladimir venne dunque, essi si
incontrarono a Dolobsk e di sedettero nella medesima tenda, Sviatopolk con
la sua družina e Vladimir con la sua družina. E quando il silenzio fu stabilito,
Vladimir disse «Fratello, tu sei il maggiore, comincia a dire ciò che
dobbiamo fare per la terra russa». Svjatopolk replicò: «Fratello, comincia
tu». E Vladimir disse: «Se parlo la tua družina e la mia hanno da obiettare
che rovino i contadini e i loro campi. Ma mi stupisce, fratello, che abbiate
rammarico per i contadini e i loro cavalli e non pensiate che in primavera,
quando i contadini cominceranno a lavorare con i loro cavalli, i Polovcy
verranno, uccideranno il contadino a colpo di frecce, prenderanno il suo
cavallo, prenderanno sua moglie e i suoi bambini e bruceranno la sua
capanna. Perché dunque non pensate a questo?» E tutta la družina disse:
«Ciò è vero». E Svjatopolk disse: «Fratello, sono pronto ad andare con te».
E inoltrarono l’ordine a Davyd Svjatoslavič di andare con loro. Vladimir e
Svjatopolk si alzarono, si abbracciarono e andarono insieme contro i
Polovcy. Svjatopolk era con suo figlio, Jaroslav e Vladimir con i loro figli,
Davyd con il suo figlio. Ed essi misero le loro speranze in Dio, nella sua
santa madre e nei suoi santi angeli. Partirono la seconda domenica di
quaresima e il venerdì arrivarono sulla Sula, il sabato la oltrepassarono e
arrivarono sul Khorol dove lasciarono le loro slitte e continuarono la loro
marcia la domenica dove si baciò la croce, quindi arrivarono sulla Psel.
Giunti al fiume Golta, si fermarono, attesero l’esercito, quindi arrivarono alla
Vorskla. Il mercoledì, baciarono la croce tra molte lacrime e a essa posero
tutte le loro speranze. Quindi passarono molti fiumi e la sesta domenica di
quaresima, e il martedì arrivarono al Don. Prepararono le loro armi,
disposero le truppe in battaglia e avanzarono verso la città di Šarukan. Il
principe Vladimir ordinò ai preti di andare davanti alle truppe cantando gli
inni in onore della santa croce e il cantico della santa Madre di Dio. Essi
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arrivarono sotto la città il lunedì e dei delegati uscirono immediatamente,
salutarono i principi russi e portarono loro pesce e vino. Essi passarono la
notte in questo paese. Il giorno dopo arrivarono davanti alla città di Sugrov
e la incendiarono. Il venerdì mattino, il 24 marzo, i Russi e i Polovcy si
riunirono, posizionarono i loro eserciti in battaglia e si prepararono al
combattimento. I nostri principi, ponendo la loro speranza in Dio, dissero:
«A costo di morire qui, combattiamo con vigore». Ed essi si abbracciarono,
e alzando gli occhi al cielo invocarono l’Altissimo. E s’ingaggiò il
combattimento, che divenne spietato. Dio guardò gli stranieri con collera ed
essi caddero davanti ai cristiani. Così furono vinti gli stranieri, e ne cadde un
gran numero per mano dei principi e dell’esercito russo, presso il fiume
Degeja e Dio venne in soccorso dei principi russi. E si rese gloria a Dio in
questo giorno e l’indomani sabato si celebrarono le feste di Lazzaro e
dell’Annunciazione. Essi passarono così il sabato e la domenica a rendere
gloria a Dio. Ma il lunedì della settimana della Passione, i pagani radunarono
le loro truppe in gran numero e avanzarono come una grande foresta e in
migliaia attaccarono l’esercito russo. Dio inviò un angelo in soccorso dei
principi russi, i Polovcy e i Russi vennero alle mani e al primo scontro di
scudi, un rumore echeggiò uguale al tuono, il combattimento fu accanito e i
soldati caddero nei due fronti. E Vladimir avanzò con i suoi soldati e Davyd
con i suoi, e i Polovcy al loro cospetto tornarono indietro e fuggirono,
caddero dinanzi alle truppe di Davyd colpiti da un angelo invisibile, così
come lo videro molte persone, con le teste mozzate senza sapere come
fossero caduti a terra. I Polovcy furono infine sconfitti il lunedì santo, il 27
marzo. Un gran numero di nemici perì vicino al fiume Sal’nica e Dio liberò il
suo popolo. Svjatopolk, Vladimir e Davyd lodarono Dio che aveva loro
accordato una tale vittoria sui barbari ed essi presero molto bottino in
grandi ricchezze, cavalli, buoi, pecore e fecero molti prigionieri. E chiesero ai
prigionieri: «Com’è che essendo così forti e così numerosi voi non avete
potuto resistere e siete subito fuggiti?». Risposero: «Come potevamo
batterci con voi se altri, con armi brillanti e terribili, si ponevano dinanzi a
voi e vi portavano aiuto?». Non sono angeli inviati da Dio in aiuto dei
cristiani? Fu un angelo a ispirare a Vladimir di incitare i suoi fratelli contro i
barbari. Si vide, come hanno detto, un segno nel monastero Pečerskij; era
una colonna di fuoco che si alzava sopra il refettorio e in seguito si diresse
verso Gorodec. Vladimir era allora a Radosyn e appena l’angelo l’aveva
ispirato si mise a incitare gli altri, come pure abbiamo detto. Quindi è giusto
lodare gli angeli, come ha detto san Giovanni Crisostomo, perché, cantando
incessantemente dinanzi al Signore, lo rendono misericordioso e buono
verso gli uomini. Io dico che gli angeli sono i nostri difensori e combattono i
nostri nemici. Fra loro è l’arcangelo Michele che disputò al diavolo il corpo di
Mosè e combatté il re di Persia per garantire la libertà del suo popolo. Gli
angeli divisero le creature per ordine di Dio e diedero capi alle nazioni. E Dio
incaricò un angelo di proteggere i Persiani, e affidò a Michele la guardia dei
circoncisi, e stabilì i loro confini non con rabbia implacabile, ma con parole
misericordiose. Questo angelo ridusse gli Ebrei alla schiavitù dei Persiani,
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quest’angelo ancora li condusse alla libertà e alzò una preghiera ardente
verso Dio che dice: «Dio onnipotente, quando darai la tua pietà a
Gerusalemme e alle città israelite che hai respinto per settanta anni?
Daniele vide il Suo volto brillante come il lampo, i suoi occhi erano come
luci, le sue braccia e le sue gambe splendevano come il rame, la sua voce
echeggiava come quella di un intero popolo. È ancora un angelo che fece
tornare l’asino e deviò Balaam da un empio incantesimo. E ancora fu colui
che tenne la spada nuda davanti a Giosué, figlio di Nun, e gli diede ordini
sotto forma umana, per aiutarlo contro i suoi nemici. E colui che uccise in
una notte centottantamila assiri e cambiò in morte il sonno di quei barbari.
E colui che portò via in un attimo, attraverso l’aria, il profeta Abacuc fino al
profeta Daniele e lo nutrì in mezzo ai leoni. Sono questi angeli che battono i
demoni. Tale è anche l’angelo Raffaele che strappò le viscere di un pesce e
guarì una giovane donna posseduta dal demonio e rese la vista a un anziano
cieco. Non sono degni di onore, coloro che proteggono la nostra vita? Ma gli
angeli non hanno ricevuto solamente l’ordine di difendere i popoli come
abbiamo detto. Quando l’Altissimo divise la terra fra le nazioni e disperse il
figlio di Adamo, determinò le frontiere dei popoli secondo il numero degli
angeli [cfr. Dt 32,8, ma non si nominano gli angeli]. Ciascun fedele ricevette
un angelo. Quando la giovane vergine Rode disse agli apostoli che Pietro era
alla porta perché era fuggito dinanzi a Erode [Erode Agrippa I il Grande],
essi dissero non credendo: «È l’angelo di Pietro». [At 12,15] È questo che
attesta che il Signore stesso ha detto: «Guardatevi dal disprezzare uno solo
di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la
faccia del Padre mio che è nei cieli». [Mt 18,10]. Inoltre Dio ha dato a ogni
chiesa un angelo custode così come egli ha rivelato a Giovanni, dicendo:
«All’angelo della Chiesa di Smirne scrivi: Così parla il Primo e l’Ultimo, che
era morto ed è tornato alla vita: Conosco la tua tribolazione, la tua povertà
– tuttavia sei ricco» [Ap 2,8-9] Perché si sa bene che gli angeli ci amano,
che pregano per noi il Signore poiché sono i suoi servitori. Come ha detto
l’Apostolo, sono inviati per assecondare coloro che vogliono essere salvati
[cfr. Eb 1,14], sono anche i loro difensori, come ha detto Daniele che vide
l’angelo Michele avanzare contro i Persiani per liberare il popolo di Dio [cfr.
Dn 10] . Poiché era ridotto in schiavitù dai Persiani, come abbiamo detto, e
quest’angelo lavorò per liberarli. E Michele vinse il suo avversario.
Gli Ebrei avendo passato l’Eufrate ricevettero la loro patria e costruirono una
città e un tempio. Il grande Epifanio ha detto così: «A ogni nazione è stato
dato un angelo». E nella Scrittura è detto a Daniele: « C’è un angelo alla
testa degli Elleni e Michele alla testa degli Ebrei» [cfr. Dn 12] e più oltre:
«Ha distribuito i ranghi secondo il numero degli angeli». E Ippolito
commentando Daniele [cfr. Dn 10] dice: «Il terzo anno del regno di Ciro, io,
Daniele, ho pianto tre settimane, al termine del primo mese mi sono
calmato, ho pregato Dio ventun giorni e gli ho chiesto di svelarci i misteri, e
il Padre avendomi sentito ha lasciato sfuggire la sua parola, annunciando ciò
che doveva arrivare, e ciò che doveva arrivare era di una grande bellezza
perché i peccati dovevano essere perdonati. E avendo levato gli occhi,
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osservai e vidi un uomo vestito di porpora. Si sarebbe detto al primo
aspetto che era l’angelo Gabriele che volava, ma no, era l’apparizione del
Signore stesso, apparizione che non era completamente quella di un uomo,
ma di un essere che si manifesta sotto una forma quasi umana, come è
detto, e quest’uomo era vestito di un colore variopinto e le sue reni erano
cinte d’oro puro, e il suo corpo era come Tharsis e il suo viso come un
lampo, e i suoi occhi come torce luminose, le sue braccia e le sue spalle
simili a rame giallo, la sua voce come quella di una folla di uomini. E caddi a
terra, e lui mi prese, mi parlò come un uomo, e mi disse: Non temere nulla,
Daniele sai perché io sono a te? Io voglio combattere con il re di Persia. Ma
ti dirò ciò che è scritto nel libro di verità: non c’è persona che mi sostiene in
questo compito, se non c’è Michele il vostro principe. Ora l’hai lasciato qui.
Dal giorno che egli si è messo a pregare il tuo Dio, ha inteso la tua
preghiera e io sono inviato a combattere il principe di Persia. C’era un
disegno stabilito di non lasciar partire gli Ebrei, ma appena la preghiera è
stata terminata, io mi sono opposto a questa intenzione e ho lasciato qui
Michele vostro principe». Chi è Michele, se non è un angelo dato agli
uomini? Come è stato detto a Mosè: «Va’ pure [...] Ma io non verrò in
mezzo a te, [...] perché tu sei un popolo di dura cervice» [Es 33,3; non c’è
accenno di angeli nel testo]. Ma il mio angelo andrà con voi». E ora, con
l’aiuto di Dio, grazie alle preghiere della sua santa madre e degli santi
angeli, i principi russi sono ritornati da loro con una grande gloria, pressi il
loro popolo. In tutti i paesi stranieri, presso i Greci, gli Ugri, i Ljachi, i Cechi
e fino a Roma, il rumore della loro vittoria si estende per la gloria di Dio, ora
e sempre, e tra i secoli dei secoli. Amen.
In quell’anno morì la principessa, figlia di Vsevolod, il 7 ottobre, e la si
seppellì nel monastero di Sant’Andrea.
Verso quest’epoca, la parte della città di Kiev situata nella pianura fu ridotta
in ceneri. Il fuoco esercitò ugualmente le sue furie a Černigov, a Smolensk e
a Novgorod. Nello stesso mese, il ventitreesimo giorno di marzo, morì
Ioann, vescovo di Černigov.
LXXXIX. Avvenimenti diversi
L’anno 6620 [1112], Jaroslav Svjatopolkovič marciò contro gli Jatvighi e li
vinse per la seconda volta. Poi inviò un’ambasciata a Novgorod e prese per
donna il 12 maggio la figlia di Mstislav, nipote di Vladimir, che gli fu portata
il 29 giugno. Lo stesso anno Eufemia, figlia di Vladimir, andò sposa al re di
Ungria.
Lo stesso anno, il ventunesimo [o: venticinque] giorno di maggio, morì
Davyd Igor’evič e lo si seppellì il ventinove nella chiesa della Santa Madre di
Dio delle Blacherne a Klov [quartiere di Kiev]; il terzo di novembre morì
anche Janka, figlia di Vsevolod e sorella di Vladimir, e fu sepolta il tre
novembre nella chiesa di Sant’Andrea [a Peremyšl’], che aveva costruito suo
padre, dove ella si era fatta religiosa ancora giovane. Il dodici del mese di
gennaio fu eletto vescovo di Černigov Teocisto, igumeno del monastero
Pečerskij, che si installò il giorno diciannove. Il principe Davyd se ne rallegrò
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e pure la principessa perché Teocisto era il suo padrino. I boiari e tutto il
popolo ne furono felici, perché prima di lui c’era un vescovo malaticcio che
non poteva dire l’ufficio e fu sofferente per venticinque anni. Ma i principi e
il popolo desideravano assistere all’ufficio episcopale, e si rallegrarono
lodando Dio. Quando ciò avvenne, i monaci, essendo senza igumeno, si
raccolsero e scelsero per igumeno il prete Prochor, poi avvisarono della
scelta il metropolita e il principe Svjatopolk, il quale ordinò con gioia al
metropolita di insediare il nuovo igumeno: ciò avvenne il giovedì della prima
settimana di quaresima, il nove di febbraio. Così i fratelli cominciarono la
quaresima con un nuovo igumeno.
XC. Morte di Svjatopolk (1113) e anarchia a Kiev
Nell’anno 6621 [1113], il diciannovesimo giorno di marzo, non restò che
una parte visibile del sole, come una falce di luna, e le fiamme intorno
[eclissi di sole]. Hanno [i segni] luogo nel sole, nella luna o nelle stelle ma
non su tutta la terra, soltanto in alcuni paesi: un paese li vede e un altro
non li vede. Come quello che si verificò precedentemente al tempo di
Antiochia: ci furono dei segni sopra Gerusalemme, successe che nell’aria si
mostrassero dei cavalieri che brandivano le loro armi, ma esso non ebbe
luogo a Gerusalemme, e non nelle altre regioni. Ma questo segno nel sole
annunciava la morte di Svjatopolk: quando la festa di Pasqua arrivò e dopo
che la si fu celebrata, il principe si ammalò e morì. Il pio principe Michail
[nome assunto col battesimo], chiamato Svjatopolk, morì il 16 aprile a
Vyšgorod e lo si portò in barca fino a Kiev. Lo si vestì dei suoi abiti, lo si
mise su una slitta, e tutti i boiari e tutta la sua družina piansero su di lui,
cantando i canti abituali. E lo si seppellì nella chiesa di San Michail ch’egli
aveva fondato. La principessa distribuì grandi ricchezze tra i monasteri e i
preti, tanto che tutti si stupirono, perché nulla può fare una tale carità. Il
giorno dopo diciassette, i Kieviani tennero consiglio e inviarono a Vladimir:
«Vieni, principe, sul trono di tuo padre e di tuo nonno». Sentendo ciò
Vladimir pianse molto e non venne, affliggendosi a causa di suo fratello. Gli
abitanti di Kiev razziarono la casa del generale Putjata, si gettarono sugli
Ebrei e li saccheggiarono. I Kieviani invitarono nuovamente Vladimir
dicendo: «Principe, vieni a Kiev, se non vieni, sappi che arriverà molto male.
Non sarà soltanto la dimora di Putjata o degli ufficiali, e quelle degli Ebrei
che si saccheggeranno, ma poi ci si getterà su tua cognata e sui boiari e sui
monasteri, e tu, principe, dovrai rendere conto se si saccheggiano i
monasteri». Vladimir, sentendo ciò, venne a Kiev il ventesimo dello stesso
mese.
XCI. Principato di Vladimir Monomaco (1113)
Vladimir Monomach, figlio di Vsevolod, si stabilì a Kiev la domenica. Il
metropolita Niceforo [Nifont], i vescovi e tutti i Kieviani andarono davanti a
lui con grandi onori. Egli si sedette sul trono di suo padre e dei suoi antenati
e tutto il popolo fu allegro e i disordini diminuirono. I Polovcy che avevano
sentito parlare della morte di Svjatopolk si raccolsero e vennero sul Vyr.
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Vladimir riunì i suoi figli e i suoi nipoti e insieme andarono sul Vyr,
riunendosi a Oleg, e i Polovcy fuggirono. Lo stesso anno stabilì suo figlio
Svjatoslav a Perejaslavl’ e Vjačeslav a Smolensk.
Quell’anno morì l’igumeno del monastero di Lazar’, dotato di grande santità,
il quattordici del mese di settembre. Aveva novantadue anni ed era vissuto
sessant’anni da religioso. Quell’anno Vladimir fece sposare a suo figlio
Roman la figlia di Volodar’, il giorno undici del mese di settembre. In
quell’anno Mstislav fondò la chiesa di pietra di San Nicola vicino al palazzo
del principe, nel mercato di Novgorod. In quell’anno stabilì suo figlio
Jaropolk a Perejaslavl’, e quello stesso anno stabilì Daniel come vescovo a
Jur’ev, e a Belogorod Nikita.
In altri manoscritti il racconto prosegue fino al 1117 e talvolta comprende le
Istruzioni (o Insegnamento) che il Gran principe di Kiev, Vladimir Monomaco (10531125), indirizzò ai figli come proprio testamento spirituale.
Kij, Šček, Choriv e Lybed’, fondatori di Kiev (Cronaca Radziwill, XV secolo)
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Indice
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Prefazione
Avvertenze
I. Spartizione delle terre dopo il diluvio
II. La Torre di Babele e la dispersione dei popoli
III. Elencazione dei popoli slavi
IV. Descrizione della via dalla Rus’ a Roma
V. Tradizione sull’apostolo sant’Andrea e descrizione dei bagni russi
VI. Fondazione di Kiev
VII. Elencazione dei popoli abitanti la Rus’
VIII. Invasione dei Bulgari, degli Ugri e degli Obri
IX. Altre migrazioni dei popoli
X. Spiegazione dei loro costumi
XI. Estratto di Georgios Hamartolos sui costumi dei differenti popoli
XII. Guerra tra Poljani e Chazari
XIII. Comparsa dei Rus’ e cronologia (852)
XIV. I Bulgari e i Varjaghi (853-858)
XV. Insediamento dei Varjaghi russi. Askol’d e Dir a Kiev (860-862)
XVI. Askol’d e Dir attaccano Car’grad (863-866)
XVII. Morte di Rjurik (879)
XVIII. Morte di Askol’d e Dir. Oleg si stabilisce a Kiev (882)
XIX. Guerre di Oleg contro i popoli vicini
XX. Cirillo e Metodio
XXI. Spedizione contro i Greci
XXII. Trattato con i Greci (912)
XXIII. Morte di Oleg (912)
XXIV. Digressione sui maghi
XXV. Principato di Igor’ e alcune guerre (913-940)
XXVI. Spedizione contro i Greci (941) e il fuoco greco
XXVII. Sottomissione dei Greci e nuovo trattato di pace (945)
XXVIII. Guerra contro i Drevliani e morte di Igor’ (945)
XXIX. Ol’ga, reggente di Svjatoslav, e gli ambasciatori drevljani
XXX. Guerra contro i Drevljani (946)
XXXI. Battesimo di Ol’ga (955)
XXXII. Principato di Svjatoslav e guerre (965-967)
XXXIII. I Peceneghi assediano Kiev (968)
XXXIV. Morte di Ol’ga (969)
XXXV. Guerre di Svjatoslav contro i Greci e trattato di pace (971)
XXXVI. Morte di Svjatoslav (972)
XXXVII. Principato di Jaropolk
XXXVIII. Ascesa e dissolutezza di Vladimir
XXXIX. Storia del varjago cristiano (983)
XL. Guerre di Vladimir e dispute religiose (984)
XLI. Ambasciate nelle comunità di fedeli (987)
XLII. Nozze di Vladimir ed esposizione della fede cristiana (988)
XLIII. Battesimo del popolo russo (988)
XLIV. Fondazione di Belgorod (991) e guerra contro i Peceneghi (993)
XLV. Liberalità di Vladimir
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XLVI. Assedio pecenego di Belgorod (997)
XLVII. Morte di Vladimir e omicidio di Boris e Gleb (1015)
XLVIII. Guerra tra Jaropolk eSvjatopolk (1015)
XLIX. Principato di Jaroslav a Kiev (1016)
L. Guerra contro Boleslav (1018)
LI. Sconfitta e fuga di Svjatopolk (1020)
LII. Lotta tra Mstislav e Rededja (1022)
LIII. Guerre civili
LIV. Morte di Mstislav (1036)
LV. Fondazioni di Jaroslav (1037)
LVI. Ritirata contro i Greci (1043)
LVII. Storia del monastero delle Grotte
LVIII. Morte di Jaroslav (1054)
LIX. Guerre contro i Torki e i Polovcy (1055)
LX. Digressione sui presagi
LXI. Morte di Rostislav (1066)
LXII. Guerre intestine
LXIII. Invasione dei Polovcy (1068) e pie riflessioni
LXIV. Guerre intestine
LXV. Storie di maghi (1071)
LXVI. Traslazione dei santi Boris e Gleb (1072)
LXVII. Liti fra i figli di Jaroslav (1073)
LXVIII. Morte di Feodosij (1074) e storia del monastero Pečerskij
LXIX. Ambasciatori germani da Svjatoslav (1075)
LXX. Guerra contro i Polovcy e morte di Izjaslav (1078)
LXXI. Guerre civili
LXXII. Avvenimenti diversi (1086-1090)
LXXIII. Ritrovamento delle reliquie di san Feodosij (1091)
LXXIV. Miracoli a Polock (1092)
LXXV. Morte di Vsevolod e devastazioni dei Polovcy (1093), riflessioni
LXXVI. Devastazioni dei Polovcy
LXXVII. I Polovcy presso Kiev (1096)
LXXVIII. Digressione sui popoli impuri
LXXIX. Guerre civili
LXXX. Storia di Vasil’ko (1097)
LXXXI. Guerre intestine
LXXXII. Negoziati tra i principi (1098-1102)
LXXXIII. Vittoria sui Polovcy (1103)
LXXXIV. Avvenimenti diversi
LXXXV. Vittoria sui Polovcy: trattati e matrimoni (1107)
LXXXVI. Feodosij iscritto nel Sinodik e avvenimenti diversi
LXXXVII. Sconfitta dei Polovcy (1110) e digressione sugli angeli
LXXXVIII. Spedizioni contro i Polovcy e nuova disquisizione sugli angeli
LXXXIX. Avvenimenti diversi
XC. Morte di Svjatopolk (1113) e anarchia a Kiev
XCI. Principato di Vladimir Monomaco (1113)
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