Il mercato del private equity nel primo trimestre 2013

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Il mercato del private equity nel primo trimestre 2013
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Il mercato del private equity e degli LBO a cura di valter conca
Il mercato del
private equity nel
primo trimestre
2013
Valter Conca
[email protected]
figura 1
35
Q
ualche timido segnale di ripresa si
registra nel mercato domestico del
private equity: il primo trimestre 2013 si
chiude con un totale di 34 nuove acquisizioni (comprese 11 operazioni di add-on)
con un incremento del 62% rispetto allo
stesso periodo dell’anno scorso (21 nel
primo trimestre del 2012, di cui sette addon). È interessante notare che più di un
terzo delle acquisizioni, come del resto è
accaduto nel 2012, è rappresentato da
operazioni di add-on ovvero da acquisizioni successive al primo investimento effettuate dalla c.d. platform. Ciò conferma la
necessità di trovare nelle forme di aggregazione aziendale una potenziale risposta
alla crisi della crescita di tipo interno.
Dai primi dati elaborati dal PE & LBO Lab
numero acquisizioni - i° trimestre
33
30
25
23
20
18
15
14
14
12
10
5
0
2008
Acquisizioni
2009
2010
Add-on
2011
2012
2013
rubrica
l’87% delle acquisizioni si concentra nelle
PMI con un fatturato medio di circa 53
milioni di euro, prevalentemente nella
forbice tra i 10 e i 50 milioni, a dimostrazione che il segmento target si colloca
nelle imprese con fatturato inferiore ai
100 milioni di euro.
I primi dati del trimestre confermano inoltre l’assenza di operazioni di grandi dimensioni, a eccezione del Gruppo Cerved,
secondary buyout ad opera del fondo CVC
Capital Partners con un multiplo EV/
EBITDA di circa 8,3.
La quota media di equity investito acquisita nel periodo in esame è stata pari a
circa il 62%, decisamente superiore rispetto a quella del primo trimestre 2012,
che era pari al 48%. Le operazioni che
hanno ottenuto il controllo della target
sono state tredici (54% del totale), contro
le quattro del primo trimestre 2012; se si
escludono le operazioni di expansion effettuate dal Fondo Italiano d’Investimento, la percentuale delle operazioni volte ad
acquisire il controllo sale al 68%.
Gli investimenti sono stati effettuati da
29 operatori, in prevalenza italiani; si assiste, tuttavia, a un ritorno a operazioni
cross border e a un rinnovato interesse da
parte dei fondi esteri (il 41% degli operatori attivi nel primo trimestre è non residente) in buona parte focalizzati sui settori delle utilities ed energie rinnovabili,
moda e information technologies.
Ancora una volta il Fondo Italiano d’Investimento rappresenta il primo player con
ben sette operazioni (di cui i due add-on
di Eco Eridania in coinvestimento con
Xenon). Gli altri operatori concentrano le
proprie energie prevalentemente su operazioni singole di maggioranza sotto
forma di buy-out. Nel primo trimestre
2013 si rileva un sostanziale equilibrio tra
il numero di investimenti in operazioni di
expansion e di buyout (escludendo le operazioni di add-on).
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figura 2
rubrica
tipologia operazioni
80%
70%
60%
50%
39%
40%
39%
30%
20%
0%
13%
9%
10%
0%
Buy-out Early stage Expansion
2012
SBO
MBI
2013
Destano ancora interesse i secondary buyout, che rappresentano circa il 13% delle transazioni effettuate nel trimestre. Il fenomeno è riconducibile sia a mercati non ancora favorevoli alle IPO sia alla necessità da parte dei PE di
disinvestire le proprie partecipazioni per non allungare
ulteriormente l’holding period. Si registra inoltre una
sensibile ripresa della leva finanziaria concessa dal sistema bancario, sempre più affiancata dal vendor loan, che
di fatto rappresenta una forma di garanzia collaterale al
buon esito dell’operazione.
Gli investimenti appaiono frammentati fra i vari settori
figura 3
investimenti per settore
Utilities 12%
Turismo e
ristorazione 9%
Business services
3%
Consumer
goods 17%
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Farmaceutico
e chimico
15%
Professional
services 6%
Investment goods
e componentistica
17%
56
Waste
management 6%
ICT 15%
con una prevalenza nei beni di consumo e industriali con
12 acquisizioni (34% del totale); seguono poi cinque acquisizioni rispettivamente nei settori farmaceutico e chimico e ICT. Il mercato continua a caratterizzarsi per la
consolidata difficoltà a procedere a way-out remunerative. Tuttavia, analizzando le dismissioni sia totali sia parziali si nota anche in questo caso una sottile ripresa rispetto al trend passato (tre nel 2012 e sei nel 2013). Come
già sopra ricordato, il 66% delle way-out del trimestre
sono state realizzate nella forma di SBO. Ciò significa
che vi sono società che ancora oggi mostrano interessanti prospettive di crescita, al punto da reggere a un secondo giro di leva. Tra le più significative si segnalano il
Gruppo Cerved e Biolchim.
Una conferma arriva da un recente studio di Boston Consulting Group, che analizza la performance di 255 aziende oggetto di almeno un secondary buyout nel periodo
2006-2012. Il rendimento mediano annuo è risultato superiore del 4% rispetto a quello ottenuto investendo in
altre società con un singolo buyout e nello stesso lasso
temporale.
L’holding period medio delle operazioni che hanno avuto
la way-out nel periodo in esame del 2013 è pari a 3,9 anni.
Le evidenze di un mercato in fase di cambiamento sono
palesi: dalla scomparsa di alcuni big player internazionali alle aggregazioni tra società di gestione di minori dimensioni con obiettivi di fondo talvolta differenti (Bs Private Equity e Sofipa confluite in Synergo, Fondamenta in
Quadrivio, Cape Natixis in Opera). Anche a livello internazionale si evidenziano scelte strategiche ben chiare di
cessione di asset illiquidi o particolarmente rischiosi da
parte di banche e di assicurazioni obbligate a fare cassa.
Lo dimostrano varie operazioni: la cessione della divisione di private equity di Credit Suisse a Blackstone; la britannica Barclays, che ha realizzato lo spin-off della sua attività di private equity, oggi denominata Equistone; e infine, a inizio 2013, il gruppo assicurativo francese Axa,
che ha ceduto la maggioranza di Axa Private Equity ai top
manager del fondo, affiancati da un gruppo di investitori composto da alcune famiglie e istituzioni francesi. Infine, degna di attenzione appare l’informazione sull’aumentata propensione dei fondi pensione americani a investire proprio nel private equity, iniziativa decisamente
in controtendenza rispetto al contesto domestico. π
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π Anatomia di un deal: la crescita per add-on
di Eurodifarm
tabella 1
rubrica
sintesi dati economico-finanziari
Valentina Franceschini Wise Sgr
Fatturato al closing (€ mln)
30
Lida Trasciatti SDA Bocconi
EBITDA al closing (€ mln)
0,9
EBIT al closing (€ mln)
0,5
PFN al closing (€ mln)
(0,4)
Rapporto leva pre-operazione
0,97
Rapporto leva post-operazione
2,89
Inquadramento strategico dell’operazione:
le motivazioni dell’investimento
Eurodifarm è l’operatore leader nella distribuzione a
temperatura controllata sul territorio italiano di farmaci
e prodotti diagnostici. L’azienda si occupa del c.d. trasporto secondario ovvero del trasporto dei prodotti farmaceutici dai magazzini degli operatori logistici – che
gestiscono in outsourcing lo stock delle aziende farmaceutiche – ai distributori, alle farmacie e agli ospedali (cd.
collettame).
L’azienda è stata fondata nel 1997 da tre imprenditori che
avevano intuito la necessità di creare un operatore con un
profilo nazionale tale da rispondere all’esigenza fortemente sentita dai clienti di avere un interlocutore professionale e di peso sul territorio che permettesse:
Ω un livello di servizio omogeneo e di qualità (anche in considerazione della particolarità del prodotto trasportato);
Ω un’ottimizzazione (anche economica) dei carichi affidati;
Ω una diminuzione del paper work associato alle consegne.
Dieci anni dopo, nel 2007, Eurodifarm aveva raggiunto
un fatturato di quasi 30 milioni di euro con un EBITDA
margin del 3%. L’azienda aveva quattro filiali dirette in altrettante regioni, oltre a undici corrispondenti regionali,
ed era considerata co-leader nel suo mercato di riferimento (territorio nazionale) insieme a Rinaldi che, oltre
alla nicchia del farmaco, aveva iniziato a competere
anche nel mondo generalista.
tabella 2
attori coinvolti nell’operazione
Investitori
Wise Sgr
Fondo
Wisequity II & Macchine Italia
Advisor legale
Simmons & Simmons
Advisor contabile e tributario
Studio Spadacini
Banche finanziatrici
BPM
tabella 3
dettagli dell’operazione
Tipologia operazione
Management Buy-Out
Prezzo di acquisto target (€ mln)
circa 4
% di capitale acquisita
circa 80%
Nel giugno 2008 Wise Sgr, specializzata nell’investimento in PMI italiane, entra nell’equity di Eurodifarm con
una quota di circa l’80% del capitale. L’operazione si configura come un Management Buy-Out in cui i soci, sollecitati da operatori industriali a cedere la propria azienda,
mantengono il restante 20%. Parte del prezzo pagato da
Wise al momento del closing è debito senior, per un valore di 9 milioni di euro. La parte restante è capitale sottoscritto dal Fondo Wisequity II & Macchine Italia. Ulteriori dati vengono riassunti nelle tabelle a fianco.
tabella 4
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La struttura dell’operazione: obiettivi
finanziamento dell’operazione
Indebitamento assunto per finanziare
l’operazione (€ mln)
9
% Debito e % Equity sul totale
delle fonti per finanziare l’operazione
33% Equity
66% Debt
Costo medio finanziamento
operazione
215 bps su Euribor
a tre mesi
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rubrica
Il team di gestione del fondo ha ritenuto che l’investimento di Wise in Eurodifarm fosse d’interesse per una
serie di motivazioni.
Ω Le dimensioni contenute del mercato (farmaceutico)
in un business di massa critica come quello del collettame spingevano necessariamente al consolidamento e all’emersione di un leader. Eurodifarm si
presentava come il principale operatore con profilo
nazionale nel suo settore di riferimento ed era, per
qualità dell’offerta e per competitività delle tariffe, il
candidato ideale a tale posizione di leadership. Ci si
attendeva, infatti, una crescita dei volumi trasportati
e della quota di mercato.
Ω Si intravedevano, inoltre, interessanti opportunità di
aggregazione di operatori locali che potevano contribuire, a loro volta, a incrementare il portafoglio clienti e, al tempo stesso, il presidio locale in alcune regioni considerate strategiche.
Ω L’incremento della massa critica in un business di
costi fissi (network) come quello del collettame avrebbe conseguentemente portato a un incremento della
marginalità, ancora depressa ai tempi dell’investimento. Il modello di business di Eurodifarm è infatti, sostanzialmente, quello di un corriere espresso del farmaco e, come tutti i trasporti di collettame, presenta
criticità non banali e – altra faccia della medaglia – rilevanti barriere all’ingresso. La necessità, infatti, di
una massa critica sufficiente a garantire una gestione
profittevole del network territoriale è la chiave del business. Se nel mercato del collettame generalista i volumi sono tali da garantire la presenza (sopravvivenza) di un numero superiore a un operatore, sebbene
in un contesto altamente competitivo, nella piccola
nicchia del farmaco la presenza di più operatori nel
trasporto a temperatura controllata è altamente inefficiente. Ciò è dimostrato dai numerosi fallimenti di
altri player, compreso Rinaldi, uscito dal mercato
pochi mesi prima dell’ingresso di Wise in Eurodifarm.
Raggiungere tali traguardi, oltre a una maggiore managerializzazione dell’azienda e alla costruzione di sistemi di gestione sempre più efficaci, era l’obiettivo
dell’investimento.
Il valore strategico degli add-on
L’operazione di investimento in Eurodifarm è avvenuta
già in logica aggregativa.
58
Infatti, il Fondo ha acquisito contemporaneamente Eurodifarm, con un fatturato di circa 30 milioni di euro e
Pucci Trasporti, azienda di trasporto del farmaco attiva
nella sola Toscana con un fatturato di 7 milioni di euro.
Pucci era contemporaneamente un fornitore di Eurodifarm (a cui quest’ultima affidava le consegne da svolgere in Toscana) e un competitor (alcuni clienti affidavano
direttamente a Pucci le consegne nella regione).
Pertanto, attraverso una parziale integrazione a valle,
Eurodifarm acquisiva, al tempo stesso, clienti e quota di
mercato.
La medesima operazione è stata svolta più avanti, quando Eurodifarm ha individuato nell’acquisizione del
ramo d’azienda della società DDF di Ferrara il tassello
decisivo per poter essere considerata, di fatto, l’unico
operatore professionale nel trasporto del farmaco a temperatura controllata sul territorio nazionale.
La DDF nel 2009, anno dell’acquisizione attraverso un
asset deal del suo ramo operativo, fatturava 3,5 milioni
di euro ed era un’azienda mal gestita e in perdita. Pur
tuttavia, DDF era sostanzialmente l’unico operatore regionale in Emilia-Romagna e l’opportunità di acquisire i
suoi asset (portafoglio clienti, network distributivo e
qualche automezzo) a un valore irrisorio (l’esborso netto
di Eurodifarm è stato pari a soli 250.000 euro) aveva
una duplice valenza:
Ω proattiva, al fine di incrementare il proprio profilo nazionale;
Ω difensiva, dal momento che era necessario evitare che
l’intera filiera si inceppasse, venendo a mancare un
operatore storico della catena.
DDF, infatti, come Pucci, era al tempo stesso concorrente e fornitore di Eurodifarm. La sua chiusura avrebbe
comportato una perdita di valore per la stessa Eurodifarm e la necessità di costruire una filiale regionale
green field.
A seguito delle operazioni di add-on effettuate, nel
2009, Eurodifarm aveva raggiunto un fatturato di 47,4
milioni di euro, in crescita di circa il 20% annuo
(CAGR) dal 2007, sette filiali dirette a Milano, Brescia,
Padova, Genova, Ferrara, Firenze, Roma e otto fedeli fornitori di servizi di consegna espressi soprattutto nel
Centro-Sud Italia. Tuttavia, la marginalità dell’azienda
era ancora molto contenuta (EBITDA margin del 3%
circa).
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Wisequity II
& Macchine
Italia
Soci
tabella 5
la strategia di add-on
NewCo
Soci
Wisequity II
& Macchine
Italia
Eurodifarm
Srl
Eurodifarm
Srl
Pucci
Express
Srl
Ramo
d’azienda
DDF
L’integrazione
Il passaggio decisivo, post add-on, è stato tuttavia l’attività di integrazione effettuata dal management dell’azienda e, in particolare, del suo amministratore delegato,
Aldo Soffientini, che ha iniziato:
Ω da un lato, a sfruttare dal punto di vista commerciale la ormai solida posizione di leadership nel mercato che offriva nessuna alternativa dal punto di vista
nazionale e poche alternative dal punto di vista regionale;
Ω dall’altro, a incrementare la profittabilità dell’azienda,
ottimizzando i costi di linea (ovvero i costi per i trasporti in bilico dal centro di smistamento centrale ai
centri di smistamento periferici) grazie alla maggior
massa critica e omogeneizzando, secondo i benchmark aziendali, i costi di distribuzione e gestione del
magazzino delle sedi periferiche (esistenti e nuove
acquisite).
Nel 2010 Eurodifarm ha chiuso un bilancio con un fatturato pari a 52,7 milioni di euro e un EBITDA pari a 5,8
milioni di euro, ovvero circa 11% sul fatturato.
eurodifarm dati economici
a confronto
2007
2009
2010
Fatturato (€ mln)
30
47,4
52,7
EBITDA margin
3%
3%
11%
Numero filiali
4
7
7
Dipendenti
18
46
61
Way-out
La chiara e accresciuta leadership acquisita da Eurodifarm sul mercato ha portato alcuni player industriali,
presenti e non nel mercato di riferimento, ad approcciare Wise con l’intento di acquisire la società. Tra di essi, il
più motivato e premiante è risultato il gruppo DHL che,
in Italia, ha una posizione di leadership nella gestione logistica dei prodotti farmaceutici per conto dei produttori
ed era il principale cliente di Eurodifarm. La motivazione strategica dietro l’interesse di DHL era sostanzialmente la volontà di integrarsi a valle nella filiera e, in particolare, essere detentore in esclusiva dell’attività di distribuzione del farmaco in Italia con importanti ricadute
commerciali nell’acquisizione di nuovi clienti per l’attività logistica.
Wise ha completato la cessione di Eurodifarm a DHL nel
maggio 2011 con una valorizzazione dell’azienda pari a
33 milioni di euro, ovvero circa 5,8x l’EBITDA 2010, e un
ritorno per il Fondo pari a oltre 5x il capitale investito. π
tabella 6
eurodifarm driver dell’operazione
Closing - 2008
Way-out
Enterprise value (€ mln)
13,1
33
EV/EBITDA
5,7x
5,8x
EBITDA (€ mln)
0,9
5,7
--
5x
Cash multiple
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rubrica
box
IL PARERE DELL’ESPERTO
A CURA DI LUIGI DE LILLO, EPYON CONSULTING SRL
LA CENTRALITÀ DELLA SITUAZIONE PATRIMONIALE NELLA NORMATIVA FALLIMENTARE:
I CONCORDATI MISTI
L’ITALIA STA AFFRONTANDO UNA CRISI senza precedenti,
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come testimonia il sempre crescente numero di imprese
che usufruiscono dell’istituto della cassa integrazione o di
interventi vari di ristrutturazione. In questo difficile quadro
generale è maturata la necessità di offrire alle imprese strumenti e percorsi normativi che ne agevolino la ripresa. Il legislatore, con l’intento di fornire una pronta risposta alla
situazione, ha riformato la normativa fallimentare nell’agosto dello scorso anno.
Le novità di maggior rilievo hanno riguardato: il cosiddetto “concordato in bianco”, la disciplina per il “concordato
in continuità”, la possibilità di ottenere “finanza ponte”
prededucibile, il blocco delle azioni esecutive e cautelari
dalla data di pubblicazione della domanda di concordato
preventivo, l’estensione ai piani ex art 67 LF e agli accordi
di ristrutturazione ex art 182-bis LF dell’obbligo per l’attestatore di esprimersi sulla “veridicità dei dati aziendali”.
Quale effetto della riforma si è avuto un maggior ricorso
allo strumento del concordato in bianco, anche per gli effetti sul blocco delle azioni esecutive e cautelari. Nel concordato, tra i vari documenti richiesti dalla normativa, assume particolare rilevanza la situazione patrimoniale, fondamentale in quanto rappresenta lo spartiacque fra il
prima e il dopo, nonché uno dei principali elementi di partenza del processo di ristrutturazione.
Allo stesso tempo, in questi anni i piani di risanamento
hanno evidenziato importanti crepe proprio con riferimento all’affidabilità della situazione patrimoniale di partenza.
Sovente, infatti, nell’attuazione del piano l’attivo non si è
60
tradotto in cassa come da attese, mentre al passivo si sono
generati esborsi non previsti. Tipicamente crediti commerciali, magazzino e fondi rischi hanno rappresentato alcune
delle voci a maggior criticità.
In quest’ottica, al redattore è richiesto di adattarsi al nuovo
scenario e di rappresentare nella situazione patrimoniale
tutti i potenziali rischi di realizzo dell’attivo e in modo completo le passività. A rendere il processo ulteriormente complesso contribuisce anche il fattore tempo e, mutuandolo dal
mondo anglosassone, il termine fast closing ben descrive la
rapidità necessaria per dare corpo alla chiusura dei conti.
È opportuno premettere che i responsabili del bilancio
hanno negli anni maturato una consolidata esperienza nell’applicazione del principio della continuità aziendale, il
quale, di fatto, assume che l’azienda abbia un orizzonte di
vita quasi “indeterminato”. Tale indeterminatezza temporale consente di considerare alcuni eventi solo in prossimità del loro verificarsi, avvicinandosi, in tal senso, al “principio di cassa”. Allo stesso modo, la continuità, soprattutto se in un contesto di crescita, può anche favorire le imprese nella gestione di tensioni finanziarie mediante l’utilizzo di strumenti, come la cessione di crediti a società di
factoring, che consentono di conseguire uno spostamento
in là nel tempo dei problemi di liquidità.
Al contrario, una situazione di restructuring necessita di
un’attenta analisi al fine di anticipare nella situazione patrimoniale tutti i rischi prevedibili e tale esigenza richiede all’azienda di aver maturato, nel tempo, solide tecniche di
stima e una base dati adeguata a supporto di tali processi.
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alle perdite storiche, opportunamente integrata dall’analisi dei crediti ancora in contenzioso. Tale ultimo metodo ha
in particolare il pregio di collegare la rischiosità dello stato
“legale” del credito (decreto ingiuntivo, fallimento ecc.) all’anno di formazione e al fatturato di riferimento, consentendo in questo modo di meglio apprezzare il deterioramento della qualità del fatturato, primario indicatore dei
futuri rischi di perdite su crediti.
Se poi l’impresa ricorre a cessioni dei crediti a società di factoring, la stima del rischio di portafoglio è cruciale. In tal
senso il redattore può provare a quantificare il rischio in tre
passaggi: analizzando il trend degli ammontari ceduti al
factoring su un arco di tempo giudicato rappresentativo; valutando quindi il trend dei crediti non incassati dal factor e
retrocessi alla società e, da ultimo, considerando la quota
effettiva dei crediti retrocessi divenuta inesigibile nonostante i tentativi di recupero posti in essere dalla società.
L’esempio dimostra come le stime siano un ambito complesso. I processi sono facilitati se la società negli anni ha
maturato una propria prassi rigorosa e accumulato una solida base dati. Non necessariamente l’esperienza storica
deve rappresentare l’unica fonte cui rivolgersi, tuttavia la
disponibilità di linee guida e il riferimento ai trend storici
possono essere un’ottima base di partenza nel tentativo di
anticipare i rischi.
Da ultimo richiamiamo l’attenzione al fatto che l’area amministrativa è spesso una delle prime vittime di interventi
di riduzione del personale. Le precedenti considerazioni
dovrebbero aver dimostrato come la disponibilità di una
struttura amministrativa efficiente e ben funzionante sia
un elemento di forza in un contesto di continuità, ma lo è
ancor di più in una situazione di ristrutturazione, dove la
“qualità” dei numeri e un attento controllo del business è
il primo passo per ripartire. π
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Di particolare complessità si profilano i concordati misti,
dove la coesistenza di un doppio binario continuità-liquidazione richiede al redattore della situazione patrimoniale la capacità di far convivere i principi della continuità con quelli liquidatori coerentemente con i piani previsti. A confronto,
anche lo scenario meramente liquidatorio, benché complesso, è agevolato dall’essere finalizzato alla sola liquidazione.
Sotto il profilo puramente contabile, un valido riferimento,
benché consideri situazioni differenti da quella in oggetto,
è rappresentato dall’OIC n. 5 “Bilanci di liquidazione”, il
quale può supportare l’analisi e l’individuazione di soluzioni appropriate quantomeno sotto il profilo dei principi di
riferimento.
In generale, nella predisposizione di un bilancio alcune
voci si distinguono per un grado di complessità maggiore,
e nell’ambito di un processo di restructuring alcune di queste manifestano ulteriori profili di difficoltà. I crediti commerciali e il processo di stima del fondo svalutazione rispondono a tale identikit e rappresentano un’area di elevato interesse per i possibili effetti sui flussi di cassa.
Nello scenario del normale funzionamento la valutazione
dei crediti è un processo di solito guidato da scadenziari e
metodologie di calcolo sintetiche: l’utilizzo di percentuali
forfettarie per classi di scaduto ne è un classico esempio.
Al contrario, il concordato richiede maggior accuratezza e
analiticità e tale approccio presuppone innanzitutto di considerare l’intero monte crediti, includendo quindi anche i
crediti oggetto di anticipazione bancaria così come quelli
ceduti con clausola pro solvendo. Queste due tipologie sovente sono trascurate nelle situazioni di funzionamento,
soprattutto i crediti ceduti in quanto l’anticipazione ricevuta porta a considerarli come definitivamente incassati.
Inoltre, una robusta verifica dei rischi di incasso non può
prescindere dall’esame delle singole posizioni unitamente
rubrica
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