N°2 - 2014

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N°2 - 2014
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NUMERO 2 - 2014
IN QUESTO NUMERO
- Relazione del Presidente
della C.N.D.A.
pagine 3-7
- Mentana
pagine 8-12
- Gara Vigevano pagine 13-14
- Il sud post-unitario
pagine 15-18
- Eisenstadt
pagine 19-20
- Record Grazioli
pagina 20
- Dopo Eliopoli
pagine 21-24
- ARMI SPORT
pagine 25-27
- Compro/vendo pagine 28-29
- PEDERSOLI
pagine 30-32
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Relazione del
Presidente della C.N.D.A.
Giovanni Gentile
Parma 18 maggio 2014
Egregi Presidenti, è uso, da nove anni a questa
parte che l’ultimo week end di marzo io relazioni,
in qualità di Presidente dell’associazione, quanto
accaduto durante l’anno, intrattenendovi sui campionati italiani, gare internazionali, rapporti con
altre federazioni e quant’altro attinente ad una
normale vita associativa.
Questa è una consuetudine ricorrente da anni in
CNDA, ma in quest’ultimo anno l’atmosfera è
andata degenerando.
Tutto è iniziato, a mio modesto parere, dopo la
mancata elezione in CD della CNDA di persone che
forse credevano che in CNDA esistesse il diritto di
successione dinastica della carica.
Alcuni di voi si sono chiesti il perché la consueta
Assemblea dei Presidenti sia stata spostata?
Cosa sta succedendo in CNDA?
Controllo, critica all’operato del CD e del Presidente
e proposte costruttive di miglioramento sono
comportamenti lodevoli e che dimostrano attaccamento alla nostra Associazione.
Attacchi personali e seminare discredito sulle
persone o peggio ancora, sono altra cosa …..
Preso atto che purtroppo è questo che si sta verificando, ho deciso di non tenere la solita relazione
ma di esporvi quanto segue e che è riscontrabile
nella documentazione in mio possesso.
Chi è interessato consultare tale documentazione lo
può fare su richiesta o presso i miei uffici o presso
la sede del Segretario Beria.
Ma andiamo per ordine.
Dopo la mia rielezione e quella del nuovo Consiglio
Direttivo avvenuta in marzo dello scorso anno, il
nuovo organo aveva il compito di assegnare ai vari
consiglieri e a persone di fiducia, da questo
individuate, incarichi per la gestione corrente
dell’associazione stessa.
Fu assegnata la vice-presidenza a Luigi Catani, la
segreteria ad Alberto Beria, l’ ”ufficio sportivo ed
organizzazione eventi” congiuntamente a Valerio
Andriotto ed a Cesari Alessandro.
Rimaneva scoperta l’assegnazione della carica di
tesoriere.
Per quanto invece riguarda la delega al MLAIC il
Consiglio Direttivo decise di affidarla al presidente
dell’associazione in quanto essendo già questi rappresentante della consociazione in Italia sarebbe
stato corretto affidargli la rappresentanza anche
all’estero visto anche la statuto del MLAIC. Del
resto era avvenuto così con il mio predecessore
Tettamanti.
L’indignazione del precedente delegato Antonio
Ferrerio, tra l’altro non eletto alla carica di
Consigliere, fu tangibile.
Preciso che la decisione del nuovo CD di non
riconfermare Antonio Ferrerio non è stata presa con
superficialità, ma con cognizione di causa a seguito
di alcuni precedenti accadimenti.
Durante il Campionato del Mondo ad Adelaide
l’Antonio Ferrerio avendo saputo della riunione dei
capitani della squadra non informò il capitano
designato dal Consiglio Direttivo Marcello Lepore
per poter partecipare al suo posto.
Sempre durante il Mondiale 2008 tenutosi in
Australia la delegazione italiana si presentò alla
cena di chiusura della manifestazione ed inspiegabilmente solo questa non aveva né un tavolo riservato né la consueta bandiera identificativa della
nazione, cosa presente invece per tutte le altre rappresentative partecipanti alla competizione.
Indignato come italiano, come presidente e come
sportivo, dopo aver ascoltato il parere dei consiglieri presenti, presi la decisione di abbandonare la
serata manifestando l’accaduto al presidente
australiano.
(CONTINUA NELLE PAGINE SUCCESSIVE)
pagina 4
(CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE)
L’unico che espresse la volontà assoluta di rimanere
era l’Antonio Ferrerio giustificando la sua tesi
secondo cui in qualità di delegato doveva presenziare alla serata.
Ma a norma di statuto il delegato non si attiene a
quanto impartitogli dal Consiglio Direttivo?
Lascio a voi ogni considerazione in merito.
Alla fine, dopo l’intervento di Jean Bordeaux,
responsabile della nazionale francese, e del
Segretario del MLAIC David Bridgen, la delegazione
italiana rientrò in sala, tra gli applausi di tutti,
ritrovando un tavolo e soprattutto una bandiera.
Nel 2011 fummo invitati dai francesi a Vitrolles. La
CNDA organizzo un pullman per la rappresentativa
italiana, ma con stupore i tiratori presenti si accorsero che i francesi avevano riservato ad essi i turni
di tiro peggiori.
Dovetti subire in silenzio le lamentele di tutti i
presenti pur essendo a conoscenza della verità, per
non far sfigurare chi allora era nel mio staff.
rare tutta la rappresentativa nei buchi disponibili.
Campionato del mondo di Pforzheim 2012.
Viene indetta la consueta riunione MLAIC a cui
partecipo assieme al delegato Antonio Ferrerio.
All’ordine del giorno c’era la discussione con
seguente approvazione del nuovo statuto MLAIC.
Il Consiglio Direttivo aveva dato al nostro delegato
il preciso compito di richiedere di non cambiare la
parte riguardante il riconoscimento di un’unica
federazione per Nazione.
Io stesso avevo strategicamente consigliato di
produrre 5 emendamenti in modo tale che ne
avessi ritirati quattro sarei riuscito a far accettare la
proposta dell’Italia, che, badate bene, era l’unico
punto dello statuto che ci avrebbe messo in grado
di resistere ai tentativi della UITS di soppiantarci
come rappresentativa ufficiale dell’Italia in seno al
MLAIC, tentativi già più volte perpetati con varie
lettere all’attenzione del Presidente MLAIC ed al
Segretario Generale.
Ma anche in quella sede il delegato non si attenne
a quanto gli era stato detto di fare dal CD.
Colui che aveva il compito di iscriverci (nota bene
doveva solo inoltrare quanto ricevuto dall’Ufficio
sportivo!).
Si è giustificato dicendo che in realtà la cosa “si
capiva” e che quindi l’interpretazione era a nostro
favore.
Era il Delegato MLAIC che non aveva ottemperato
al compito assegnatogli e solo grazie all’attenzione
di Giancarlo Moro, riuscimmo ad inviare pochi
giorni prima l’iscrizione nominativa con le varie
specialità e di conseguenza i francesi, che non ne
avevano assolutamente colpa, riuscirono a far spa-
Faccio l’assicuratore, con le parole ci lavoro e
ritenevo giustamente che l’esistenza della CNDA
era chiaramente legata a doppio filo alla esplicita
chiarezza di quel paragrafo.
Voi cosa avreste fatto?
Ve n d i . . . c e r c h i . . .
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Alla luce di questi eventi avreste ancora dato fiducia a chi, come rappresentante del CNDA e quindi
dell’Italia, non intendendo seguire i dettami impostogli dal Consiglio Direttivo e avesse deciso “motu
proprio” a scapito di tutta la comunità?
Nonostante ciò gli fu proposta la stretta collaborazione con il Delegato presso il MLAIC, che egli stesso rifiutò.
Riprendiamo ora l’assegnazione della carica di
Tesoriere.
Dopo aver interpellato alcune persone che ritenevo
all’altezza del compito che avrebbero dovuto svolgere quali Vedani Alfredo e Ferrari Pierangelo, per
non caricare la segreteria di altro lavoro mi fu
segnalata una persona di possibile fiducia nel socio
De Marco, già socio della APN.
Chiesi un parere di Valerio Andriotto, e dopo aver
scambiato quattro chiacchiere con l’interessato gli
affidai l’incarico pregandolo di mettersi in contatto
con De Paoli per il passaggio delle consegne, che da
quello che mi dice Giorgio avvenne in poco più di
due minuti (!!!).
La critica mossami in seguito sia da Alberto Ferrerio
che da un Revisore fu che la mia scelta non era
stata felice in quanto avrei dovuto immaginare
l’incompetenza di un “maestro di musica”.
Ed io chiedo a loro come mai non abbiamo avuto
problemi con Giorgio De Paoli che nella vita lavorativa ha sempre riparato televisori?
Perché questa critica non è stata mossa dallo
stesso Alberto Ferrerio quando il Consiglio Direttivo
in cui ricopriva la carica di Segretario aveva assegnato la carica di Tesoriere ad Eandi che gestiva un
negozio di elettrodomestici ed il rendiconto che
presentava era fatto di quattro righe?
De Marco venne a Lugo, sede della CNDA pro
tempore, dove furono cambiate le firme sul C/C e
dove, essendo stato criticato per aver gestito
l’home banking della Consociazione volturai la
gestione dell’home banking stesso a suo nome in
qualità di tesoriere. Mi limitai a chiedergli di inviarmi i cambi di password frequenti per la sicurezza
Lo invitai nel mio ufficio ed in presenza di un
funzionario delle Poste, dove è aperto un secondo
C/C CNDA, gli fu spiegato come gestire on line il
conto. Questo perché avesse le idee chiare sul
compito che aveva accettato.
Inoltre gli fu chiesto di preparare un programma di
Excel per gestire una prima nota ed un eventuale
rendiconto finale.
Oltre al sottoscritto, per agevolarlo in questo
compito, si era offerto per la parte informatica
anche Alessandro Cesari.
Nessuna richiesta di aiuto ci è stata mai rivolta.
Il 28 settembre 2013 fu indetto un Consiglio
Direttivo a Bologna ( e stessa richiesta da parte mia
a Beria ma questa volta con scarso successo).
La mattina stessa prima delle ore 09.00 ricevetti un
sms con il quale il De Marco si scusava ma per
motivi famigliari non avrebbe potuto presenziare
alla riunione.
Credendo che tutto andasse per il meglio lasciai
trascorrere del tempo, ma con la gara di Ravenna
convocai un Consiglio Direttivo ( 26 ottobre 2013)
chiedendo al segretario Beria di invitare il tesoriere
per avere un report sullo stato di cassa della
consociazione e tenuta contabile.
Verso la fine della riunione si presentò il tesoriere
con la scusa che aveva dovuto gareggiare e ci ha
comunicato solamente che il saldo del c/c postale
era X e che il saldo banca era Y.
Rimasi sbigottito per tale superficialità e quindi,
dopo avergli consegnato dei documenti in mio
possesso ci congedammo.
Cominciò una spasmodica ricerca del Tesoriere via
mail ed a mezzo telefono sia da parte mia che di
Beria, ma di questo nessuna traccia.
Al che decisi di indire un’ulteriore Consiglio
Direttivo sempre a Bologna il 15 dicembre 2013 con
un solo punto all’ordine del giorno: “Presentazione
conti” invitando il De Marco mezzo raccomandata
con R/R, che dopo alcuni mesi ritornò indietro perché non ritirata, e, con la riunione indetta per
domenica mattina alle ore 9.00 ricevemmo una
mail inviata il venerdì alle ore 23.15 con allegato
certificato medico che attestava l’impossibilità di
presenziare causa un normalissimo mal di gola.
(CONTINUA NELLE PAGINE SUCCESSIVE)
pagina 6
(CONTINUA DALLE PAGINE PRECEDENTI)
In tale data, visto che comunque la riunione non
era stata annullata, il De Marco inviava mail con
una prima nota ed altri documenti che ad un prima
analisi non risultavano esaustivi.
Lascio a voi le considerazioni, e lo stato d’animo di
persone che avevano fatto centinaia di chilometri
sopportandone le spese!!
Il Consiglio Direttivo decise quindi di revocare la
carica la De Marco e di assegnarla a Cesari Cesare
che la maggior parte di voi conosce come persona
stimata e corretta.
Ricevuta la mail di revoca, il De Marco assicurava la
presentazione del documento finale all’Assemblea
(mail del 2 gennaio 2014) salvo poi delegare i
Revisori alla formalizzazione del rendiconto (mail
del 18 febbraio 2014).
A questo punto comincia il calvario del rendiconto,
entra in scena il Ten. Dott. Vaschetti in qualità di
revisore, proposto da Alberto Ferrerio, che in completo disaccordo con gli altri revisori , uno di questi
è un commercialista revisore iscritto all’albo,
comincia a chiedere una serie di documenti non
pertinenti la revisione dell’anno passato, ma anche
relazioni e rendiconti degli anni trascorsi già da voi
approvati ad approvati anche dal collegio dei revisori degli anni precedenti.
Tra i revisori è scontro aperto a colpi di mail, di
Codice Civile e di interpretazioni.
Ma di tutto questo il Consiglio Direttivo cosa sa del
rendiconto che deve presentare all’assemblea?
Nulla.
Ad oggi, il CD non ha avuto ufficialmente alcun
rendiconto da poter valutare con l’esclusione di
quello redatto da un commercialista di Rovigo, “su
indirizzo di Andriotto” (così si legge in una mail),
che ha redatto un rendiconto e per di più errato,
così come apprendo dai revisori Dell’Avo e Cortazzi.
In compenso la parcella è molto bassa.
nizzare una raccolta firme per chiedere le dimissione del sottoscritto.
Telefonate del capo clan e comparse nei vari poligoni dell’”erede” mostrando a molti di voi incartamenti tenuti nascosti dove si portava a conoscenza gli “avvicinati” che il sottoscritto aveva avuto
due condanne presso due distinti tribunali per
ingiurie (art. 595 C.P.) da parte di Finocchi e da
parte dell’UITS.
A questo proposito ho già risposto pubblicamente
anche sulla rivista “Avancarica Magazine” e non
intendo tediarvi con racconti già ai più di voi noti.
Chiaramente anche un altro attore è presente sulla
scena con mail destinate ad eventuali “amici” per
indurli alla firma di sfiducia nei miei confronti. Il
candidato non eletto alla carica di presidente nell’ultima tornata, nonché grosso frequentatore e
postatore di social network, mio nemico dichiarato.
A norma di statuto (Art. 33) l’eventuale richiesta di
dimissioni deve essere inoltrata al Presidente,
tramite Racc A.R., che ha l’obbligo di indire entro
quindici giorni un’assemblea e per il momento nulla
mi è pervenuto
Scusate ma mi rimangono alcuni dubbi:
Come mai il clan Ferrerio si è così avvicinato
all’UITS quando negli anni precedenti ne sentivo di
tutti i colori contro quest’ultima?
Come mai, essendo anche soci dell’Unione impegnati con cariche nel poligono di Somma Lombardo
non hanno avuto la stessa indignazione, con conseguente raccolta di firme, nell’apprendere dalla
trasmissione “REPORT” su RAI 3 andata in onda
giorno 05 Maggio 2014 ore 21.00 in cui il giornalista metteva a conoscenza il telespettatore che un
certo IARDELLA, già revisore dei conti della UITS,
era stato condannato per usura aggravata?
Bene, io una idea me la sono fatta e, confrontandomi con alcuni di voi, ho constatato che siamo
giunti alle stesse conclusioni.
Così è spiegato il ritardo della convocazione dell’assemblea che gli immancabili social network avevano imputato a grossi ammanchi di cassa oltre alle
consuete infamie sul mio conto.
Meditate, i più vecchi di voi, come iscrizione alla
CNDA si intende, su quanto è accaduto al Presidente
Tettamanti, al Presidente Duranti, al suo amico
Gianni Polliero ed ora sta accadendo al sottoscritto.
Nel frattempo il “Clan Ferrerio” comincia ad orga-
La risposta l’ avete già in tasca.
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Altra causa di sfiducia sarebbe derivata dalla mia
idea di organizzare il Campionato del Mondo del
2016, ed un GP Italia quest’anno, nel sud Italia e
nello specifico a Giffoni Valle Piana, sede di un campo
di tiro privato con possibilità di 80 linee a 25 m., 40
linee a 50 m., 14 linee a 100 m. con possibilità di tiro
fino a 400 m. e 2 campi per il tiro a piattello.
qualche maniera poiché si sarebbe svolto in un
campo privato e quel qualcuno aveva già concordato
che la manifestazione si sarebbe svolta a Torino già
sede del Master Game?
Il mio progetto era chiaro.
Di contorno a quanto da me esposto voglio aggiungere che sono anche stanco di sentire infamie quali
quelle dette da Biagini al TSN di Torino in presenza
mia, di Giancarlo Moro, Valerio Bozzola e Giorgio
Sifletto secondo il quale è notizia certa che “qualcuno del Direttivo si fa lo stipendio” e lui ne ha le prove
oppure che Giancarlo Moro porta alle gare la moglie
spesato dalla CNDA o che “ se ci fosse mio padre lo
prenderebbe a calci nel culo” o essere apostrofato
come “quell’animale del presidente e del suo vice”
Questa era l’unica possibilità per organizzare una
competizione internazionale al sud in quanto nel
territorio non sono reperibili altre strutture che ti
garantissero le stesse possibilità e per rilanciare
l’attività dell’avancarica al sud.
Inoltre per far ben figurare l’organizzazione italiana
sappiate che avevo un accordo di massima con i
vertici di Fastweb e con Sky per trasmettere l’evento
in streaming mondiale ed inoltre una congrua
sponsorizzazione.
Con una frase di andreottiana memoria “a pensar
male è peccato ma molte volte ci si prende”
Vi sembra una cosa da poco?
E’ anche difficile governare una nave dove il
Consiglio Direttivo rema in un verso e persone che
non conoscono la realtà dei fatti raccontano falsità
e menzogne sui social network.
Del resto, oltre alla visibilità del nostro sport, quale
modo più corretto di aumentare la pratica dell’avancarica al sud, o per decisione di qualche ben pensante questa pratica deve rimanere ad esclusivo fruizione di “nordisti” o meglio torinesi e lombardi?
Ora, cari Presidenti, capite lo stato d’animo mio e
dei consiglieri che con me hanno dovuto subire
tutto ciò e che ci ha complicato la gestione e la programmazione della normale attività della nostra
Consociazione.
Anche qui i social network sono stati inondati (i 4
soliti personaggi) di frasi a dir poco stupide quali
“meglio Agna sotto la pioggia che Pontecagnano”
per di più scritte da soggetti che non hanno mai
visitato la struttura e non conoscono neanche il
progetto futuro del campo.
In conseguenza a tutto quanto esposto, non essendo legato a qualsivoglia bisogno di carica, ma avendola accettata con il solo spirito di appartenenza e
di sacrificio in nome della CNDA chiedo a voi di dare
un giudizio sul mio operato, votando con voto palese, trarrendone in seguito le mie decisioni.
Il Presidente C.N.D.A.
Giovanni Gentile
Forse questo progetto doveva essere bloccato in
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MENTANA 3 novembre 1867
Testimonianze di una battaglia.
di Massimo Capone
Mappa della zona dove si svolse la battaglia di Mentana con annotazioni scritte a mano da un
sottufficiale zuavo che vi prese parte (da “La mano di Dio nell’ultima invasione contro Roma - Carte
topografiche“ di P. Mencacci - 1868)
(collezione dell’autore)
E’ il mattino del 3 novembre del 1867.
A Monterotondo, piccola cittadina posta quasi sulla Via
Salaria, a pochi chilometri da Roma, Garibaldi si appresta
a far muovere il suo corpo di spedizione per raggiungere
Tivoli , distante una ventina di chilometri, transitando per
Mentana, altra cittadina che sorge a due chilometri da
Monterotondo.
L’inizio della marcia verso Tivoli, in realtà, era stato fissato per le primissime ore del mattino, ma un ritardo, rivelatosi fatale, fa slittare la partenza che avverrà addirittura
attorno al mezzogiorno. Il motivo è l’indispensabile distribuzione ai volontari di un certo quantitativo di scarpe
giunte come rifornimento il giorno precedente.
In realtà è anche sottovalutato un dispaccio, giunto da
Roma poco dopo la mezzanotte, con il quale viene annunciata la partenza dalla capitale, in quella stessa notte, di
un corpo di spedizione franco-pontificio marciante lungo
la Via Nomentana, e diretto per l’appunto verso Mentana
con l’intento di bloccare i garibaldini.
Viene in mente la similitudine tra il buttero latore di
questo urgentissimo messaggio ed il più famoso ed
osannato Paul Revere che, il 18 aprile 1775, compì una
lunga e veloce cavalcata notturna fino a Lexington, nei
dintorni di Boston, per avvisare il contingente dei ribelli
americani (gli altrettanti famosi Minute Men) dell’arrivo
imminente delle truppe inglesi!
Fucile svizzero da cacciatori (Jagergewehr) Mod. 1856.
L’esemplare qui fotografato risulta essere uno di quelli in dotazione
ai “Carabinieri Esteri” pontifici nei primi anni della loro costituzione.
Nel Museo del Laterano in Roma ne è conservato un altro simile.
(collezione dell’autore)
pagina 9
Ed ora veniamo ad un argomento che in
modo particolare può interessare gli
studiosi ed utilizzatori di armi storiche.
Se Garibaldi, invece di aspettare a
Monterotondo per la distribuzione delle
scarpe, avesse preso più sul serio il
messaggio del buttero e fosse partito
qualche ora prima, come peraltro inizialmente previsto, si sarebbe evitato lo
scontro con i franco-pontifici e….. ma la
storia non si fa con i “se”.
Quali furono le armi da fuoco impiegate
in quell’evento e testimonianze del loro
utilizzo, basandoci anche sui reperti
conservati a Mentana nel “Museo della
Campagna dell’Agro Romano per la
Liberazione di Roma” (questa la sua
esatta denominazione), ed in collezioni
private.
In realtà erano state inviate per cautela
delle pattuglie sul fianco destro del percorso verso Tivoli per salvaguardarsi
dall’eventuale comparsa di truppe
nemiche provenienti da Roma, ma queste pattuglie abbandonarono prima del
previsto le posizioni assegnate (un po’
per il maltempo, ma soprattutto per una
“riferita” diversa interpretazione di ordini
successivi) per cui, con il fianco destro
scoperto, a sorpresa i garibaldini si
ritrovarono sotto l’attacco dell’avanguardia nemica alle ore 12,30 – 12,45,
mentre stavano uscendo da Mentana.
Il corpo garibaldino sembra che consistesse, nella marcia verso Tivoli, di quasi
5.000 uomini, mentre i franco-pontifici di
circa 6.500 uomini, suddivisi tra 3.500
pontifici e 3.000 francesi. Queste cifre
sono il risultato in parte di rapporti ufficiali ed in parte di estrapolazioni e/o considerazioni varie di numerosi studiosi.
Per le armi da fuoco dei garibaldini non
c’è in realtà molto da dire, in quanto ci
troviamo di fronte ad una congerie
vastissima ed altrettanto eterogenea di
fucili lisci ad avancarica, pistole ad
avancarica monocolpo (canna liscia o
rigata), rivoltelle a spillo di varia fattura
e provenienza.
E’ interessante però la presenza nel
Museo di una baionetta per Carabina
Federale Svizzera Mod. 1851.
Zuavo fieramente
in posa con la sua carabina.
(collezione dell’autore)
Ritengo pressocchè certa la presenza di
carabine Mod. 1851 nelle mani di questi
carabinieri livornesi, ma la baionetta
giacente nel museo è l’unica testimonianza di quello che potrebbe essere
stato l’ultimo impiego in guerra del fucile svizzero.
Ben conosciamo l’esito della battaglia
ed il famoso rapporto del generale De
Failly “les chassepot ont fait merveilles”
(gli chassepot hanno fatto meraviglie).
Questo altisonante apprezzamento per i
nuovi fucili francesi a retrocarica, esordienti a Mentana, voleva essere soprattutto un chiaro monito alle potenze
europee riguardo alla supremazia militare della Francia.
Nel museo non resta attualmente testimonianza dell’impiego degli Chassepot
francesi, a parte un esemplare di fucile
da fanteria, in buone condizioni e funzionante, ma non abbiamo prove certe
del suo impiego in quella battaglia.
In realtà l’intervento degli Chassepot in
mano francese non sembra sia stato così
determinante come ancora molti credono: le testimonianze di alcuni reduci attestano la scarsa precisione dei tiri e sopratutto una situazione che era già seriamente compromessa per i garibaldini!
Ad onor del vero anche i pontifici, nel
corso del pomeriggio, si trovarono più
volte in condizioni critiche in parte
superate, sul far della sera, dal sopraggiungere di una nutrita colonna di zuavi
provenienti dalla Via Salaria, lungo la
quale questi erano avanzati per rincalzare sul fianco sinistro il corpo principale della spedizione avviato sulla Via
Nomentana (per chi non conosce bene
le località, la via Salaria e la via
Nomentana, dopo aver lasciato Roma,
decorrono verso nord quasi parallelamente: con la prima, sulla sinistra, si
raggiunge Monterotondo, mentre con
l’altra, parallela a destra, si raggiunge
Mentana).
Alla spedizione garibaldina era anche
aggregata una compagnia di 70 carabinieri livornesi comandata dal capitano
Mayer (Santini secondo altri) che era
aggregata al battaglione Missori.
E’ logico pensare che i francesi siano
stati ben attenti a non lasciare sul terreno nessuno di questi loro “nuovi” fucili!
E per i pontifici?
Neanche dei loro fucili restano esemplari
nel museo, ma testimonianze del loro
impiego ne abbiamo e molte.
Variante nell’armamento.
Il fucile di questo zuavo
non è la carabina ma un
fucile rigato Mod. 1842 T
oppure 1853 T.
(collezione dell’autore)
Non solo i grossi buchi nei crani dei
poveri volontari sepolti nel mausoleo e
visibili parzialmente attraverso il vetro
di una teca posta all’interno dell’araossario (ma questi squarci potrebbero
essere stati causati anche da Chassepot
o da armi corte), ma soprattutto i
numerosi proiettili miniè sparati dalle
carabine degli zuavi e recuperati dal
campo di battaglia.
(continua nelle pagine successive)
pagina 10
Carabina francese Mod. 1859 in dotazione agli zuavi pontifici (precedentemente all’adozione
del Remington Rolling Block mod. 1868)
(prosegue dalle pagine precedenti)
Il corpo di spedizione pontificio (circa 3.000 uomini) era
composto in gran parte di Zuavi (1.500 uomini),
Carabinieri Esteri (circa 500 uomini) e Legionari d’Antibo
(circa 500 uomini).
Preciso che sulle armi lunghe pontificie degli anni ’50 e
’60 non mi sembra che ci sia molta documentazione precisa ed attendibile, almeno fino all’adozione del Remington
rolling block nel 1868, per il quale i riferimenti sono senza
altro più affidabili.
All’epoca di Mentana i Carabinieri Esteri ed i Legionari
d’Antibo probabilmente utilizzavano, almeno in maggioranza, gli stessi fucili, ma quali?
Alcuni autori accennano al fucile “Mod. 1842” francese,
che ritengo possa essere il Mod. 1842 T, rigato, di calibro
18 mm.
I Carabinieri Esteri è quasi certo che, almeno in parte,
fossero anche armati di Fucile Svizzero da Cacciatore
Mod. 1856 o simile.
Di quest’arma vidi un esemplare nel Museo del Laterano,
in Roma, ed un altro, riferito come “pontificio”, in possesso
di un tiratore collezionista. Esso è un fucile ottimamente
costruito, robusto e molto preciso.
Veniamo agli zuavi.
Il “Battaglione degli Zuavi Pontifici” venne ufficialmente
creato il 1° gennaio 1861 e fin dall’inizio fu armato di armi
lunghe tra le migliori disponibili, prevalentemente di
modello francese.
Nel novembre del 1857 era stato stipulato un contratto
con i Fratelli Mazzocchi per la costruzione di un fucile rigato
ispirato alla carabina francese Mod. 1846, ed era stata
presa ad esempio una carabina da cacciatori comperata
nel Regno di Napoli.
La carabina Mazzocchi fu fabbricata in mille esemplari,
che purtroppo andarono dispersi con la disfatta di
Castelfidardo nel 1860.
Proiettili miniè Mod. 1859
Era molto simile alla carabina francese modello 1846 T
(“T” indica la versione privata dello stelo e quindi adattata ai nuovi proiettili miniè) e queste erano le sue principali caratteristiche: canna lunga cm. 84,2, di calibro 17,6
mm, e 4 righe con passo di 2 metri, vitone camerato con
capacità di 4,25 grammi di polvere, peso complessivo
(senza baionetta) Kg. 4,450, acciarino modello francese
1840, modificato 1847.
Evidentemente già soddisfatte di questo tipo di arma, le
autorità militari pontificie scelsero successivamente, per il
nuovo corpo d’elite degli zuavi, la carabina francese di
modello 1859.
La maggioranza degli autori cita il modello adottato come
“Mod. 1859”, ma non sono sicurissimo di questa attribuzione per la somiglianza strettissima tra i modelli 1846 T,
1853 T e 1859.
Ho cercato quindi di risalire al modello esatto in base a
fotografie di zuavi ritratti con la loro carabina. Intanto
posso affermare che assolutamente non si tratta del Mod.
1840, ben riconoscibile per la diversa posizione dell’alzo,
ma quanto a distinguere tra i suddetti 3 modelli non ho
cavato un ragno dal buco.
I Mod. 1853 e 1859 si distinguono per il porta luminello
sporgente dalla culatta, ma dalle foto che ho visionato
non ho potuto apprezzare questo particolare, ad eccezione di una nella quale mi è sembrato di scorgere questa
fatidica sporgenza!
Ho però riscontrato una cosa interessante: gli zuavi di 2
foto hanno fucili lunghi, con la baionetta a ghiera, che
ritengo siano di modello francese 1842 T (cal.18 mm) o
1853 T (cal. 17,8 mm): ho capito che erano “T”, cioè rigati,
dalla forma dell’estremità della bacchetta.
Ma è giunto il momento di parlare dei proiettili pontifici
rinvenuti a Mentana, argomento clou di questa mia chiacchierata. Il campione da me esaminato è abbastanza
ampio per poter trarre interessanti ed attendibili conclusioni. I proiettili reperiti sono soprattutto di 2 tipi cioè,
usando la terminologia francese, di mod. 1857, 1859 e
mod. 1863.
A sinistra una palla Mod. 1859
pesantemente deformata dall’impatto
pagina 11
Elenco di alcuni feriti garibaldini ricoverati in un ospedale di Roma, con descrizione delle ferite e
loro esito. (da “Rapporto sull’Ospedale a Borgo S. Agata aperto in Roma” - 1868) (collezione dell’autore)
Nel cercare di catalogare questi esemplari sono rimasto
sorpreso e perplesso nel constatare la loro disomogeneità,
sia pure di minore entità, per quanto riguarda la forma.
Comunque l’impatto con il bersaglio (terreno od altro) ha
naturalmente determinato un accorciamento del proiettile
e di questo dovrete tenere conto quando leggerete la misura delle lunghezze riportate più avanti.
- mod. 1859: diametro 17,2 mm, peso 48 grammi, carica
propulsiva 5 grammi.
Il peso e la forma dei proiettili pontifici sono dunque,
tutto sommato, abbastanza simili ai corrispondenti
modelli francesi.
Per il peso non ho tenuto molto conto di eventuale perdita di materiale od accumulo di terriccio
perché valutabile di minima entità (al
massimo pochi decimi di grammo!).
Neanche a parlare, naturalmente, di poter effettuare
misure precise sui proiettili sparati,
però ho rilevato che, mentre per
quelli più grossi e pesanti (mod.
1859) il diametro medio, considerando la dilatazione dello sparo,
più o meno corrisponde (è in
media circa mm 17,5 - 17,8), per
quelli più piccoli e leggeri il diametro medio è circa 16,7 - 16,8, cioè
molto inferiore a quello citato dal
Boudriot.
Quelli che ho classificato come mod. 1859
hanno tra loro diverse misure riguardo
alla proporzione tra base cilindrica e
parte ogivale. La lunghezza complessiva
degli esemplari è circa 24 – 25 mm. Il
peso medio è di circa 46,7 grammi, con
scarti in più od in meno rispetto alla
media, al massimo di un grammo circa.
Quelli classificabili come mod. 1857
hanno, in proporzione, una maggiore
disomogeneità di peso: peso medio di
33 grammi, con scarti massimi, rispetto
alla media, di circa un grammo in più
od in meno. La loro forma è però molto
più omogenea. La lunghezza complessiva
di questi esemplari è circa 21 - 22 mm.
Il Boudriot riporta le seguenti specifiche
per i corrispondenti modelli francesi:
- mod. 1857: diametro 17 mm, peso 32
grammi, carica propulsiva 4,5 grammi.
Quello che mi lascia perplesso invece è il diametro.
Ricordo che il calibro della carabina Mod. 1846 o 1853 o 1859 è di
mm. 17,8 (Boudriot).
Cartuccia (svuotata della
polvere) di modello francese
accanto ad un proiettile dello
stesso tipo di quello
in essa contenuto.
Ne ho tratto questa conclusione: la
palla pontificia di primo modello,
cioè la 1857, evidentemente veniva
alloggiata in una cartuccia che
aveva un maggiore spessore del
rivestimento cartaceo, e questo può
spiegare l’assenza di rigatura visibile su gran parte di quelle sparate.
(continua nelle
pagine successive)
pagina 12
Nel complesso delle palle esaminate ne ho trovata una sola con
cavità quadrangolare, corrispondente quindi al modello 1863 francese. Ha un peso di 36 grammi e
risulta molto deformata dall’impatto finale. In Francia questo modello fu introdotto per sostituire il
mod. 1857.
(prosegue dalle
pagine precedenti)
In Francia il mod. 1857 fu sostituito dal mod.1859 ritenuto più preciso, ed infatti le palle mod.1857
pontificie rinvenute hanno quasi
tutte evidenziate le rigature della
canna. Ritengo che, con un loro
maggiore diametro ed un minore
spessore del rivestimento della
cartuccia, riuscissero a prendere
meglio il forzamento della rigatura
(ed in ciò probabilmente giocava il
suo ruolo anche il maggior peso e
conseguente maggiore inerzia e
dilatazione).
L’oggetto misterioso.
(E’ la spoletta a tempo di un
proiettile d’artiglieria francese
sparato a Mentana)
Forse per le palle più piccole il rivestimento di carta poteva
assicurare comunque un sufficiente forzamento in rigatura,
ma sta di fatto che quasi tutti gli esemplari da me esaminati sembrano neanche sparati (ma di sicuro lo sono stati!)
perché la superficie della parte cilindrica non evidenzia, ad
una normale osservazione, impronta di rigatura.
Riporto la foto di una cartuccia integra (anzi quasi integra,
perché è stata svuotata della polvere) contenente la palla
mod.1857, messa in confronto con una palla nuda dello
stesso modello. Il diametro esterno della cartuccia, all’altezza del proiettile, è di circa 17,3 mm (ma essendo un
pò deformata non posso spergiurare su questa misura!).
Quasi tutti i proiettili mod. 1857 mostrano chiarissima
traccia di costruzione per colata di piombo in stampo a 2
valve.
In teoria, secondo l’ordinanza
francese, le palle mod. 1853 e
1863 erano destinate all’impiego
nelle carabine 1842 T e fucili 1822
T bis, 1853 T e 1854, mentre le
palle mod. 1857 alle carabine
1848 T, 1853 T e 1859.
All’epoca di Mentana, considerato quanto ritrovato in
fatto di proiettili, possiamo procedere con 2 ipotesi:
a) - i pontifici avevano carabine di diverso modello quindi
ciascun militare utilizzava strettamente le munizioni dedicate al suo fucile. Essendo gli zuavi circa 1.500, e gli altri
2 battaglioni (carabinieri esteri ed antiboini) complessivamente più di 1.000, si può ipotizzare la presenza di almeno 2 tipi di armi lunghe impiegate, e relativo diverso
munizionamento. Lo convaliderebbe anche la proporzione
tra i tipi di palle ritrovate.
b) - venivano utilizzate munizioni di diverso tipo in uno
stesso tipo di fucile.
In quest’ultimo caso ci sarebbe da farsi venire i capelli
dritti a calcolare gittate e riferimenti di mira diversi a
seconda del pacchetto di cartucce in dotazione nella giornata! Se così fosse gli zuavi avrebbero sospirato di sollievo, nel 1868, al ricevimento dei Remington rolling block
con cartucce finalmente tutte uguali.
Ritengo più fondata la prima ipotesi ma questi sono naturalmente miei ragionamenti del tutto confutabili. I pontifici, soprattutto gli zuavi, erano comunque indubbiamente
dotati di armi all’avanguardia per il loro tempo, e di esse
fecero buon uso il 3 novembre 1867 nelle campagne
circostanti quella piccola cittadina chiamata Mentana.
A confronto un proiettile miniè cal. ’58
ed uno francese Mod. 1859 cal. 17,2 mm
Proiettili miniè Mod. 1857
Riferimenti e bibliografia
- Museo Nazionale della Campagna dell’Agro Romano per la
Liberazione di Roma (Via della Rocca, 2 - Mentana - RM)
- Garibaldi Condottiero - Ministero della Guerra - Ufficio
Storico – Roma 1932 - X
- Armes a Feu Francaises – Modeles Reglementaires di
J.Boudriot – Ed. Du Portail
- La Nona Crociata di P. Raggi - Libreria Tonini, Ravenna
- Per il Papa Re di L. Innocenti - Esperia Editrice
- La Neuvieme Croisade 1860-1870 di P. Crociani e M.
Fiorentino – radition Magazine
- Fusils et Carabines de Collection di F. Pellaton, R.
Caranta, H. Bonsignori, J. Jordanoglou – Ed. Crepin
Leblond
- La Mano di Dio nell’Ultima Invasione contro Roma -Carte
Topografiche di P. Mencacci - Roma 1868?
- Rapporto sull’Ospedale a Borgo S. Agata aperto in Roma
Comitato di soccorso dei feriti – Roma 1868
Per tutte le altre news,
classifiche e varie,
collegati al sito
www.cnda.it
pagina 13
VIGEVANO
ultima di Campionato 2014
Da venerdì 13 a domenica
15 giugno si è svolta a
Vigevano l’ultima gara
di Campionato, valida per
l’accesso alla finale che si
disputerà a Pisa domenica
6 luglio ed alla quale
dedicheremo ampio spazio
sul prossimo numero di
Avancarica magazine.
Il tempo non è stato molto
clemente come temperatura,
a parte il sabato, ma non
ha procurato problemi allo
svolgimento della gara che
ha visto circa 280 prestazioni
individuali più le squadre.
Come la solito,
l’organizzazione è stata
ottima, curata da Walter
Olante e dal Presidente della
Sezione Salvatore Galeano
ben coadiuvati da tutti i
tiratori della LDV che si sono
alternati a svolgere i diversi
compiti richiesti dalla gara.
(continua nella
pagina successiva)
pagina 14
(prosegue dalla
pagina precedente)
La manifestazione è stata
l’occasione per inaugurare
la nuova cucina (eh si, non
si spara solamente, ogni
tanto dobbiamo caricarci
anche noi) che lo “chef”
ha utilizzato al meglio
sfamando la truppa e, direi
anche accontentandola.
Dobbiamo parlare delle
prestazioni?
Non è che i punteggi visti
siano di particolare valore,
ma notiamo un ottimo 97
di Galli in Vetterli R, 93 in
Minie O di Sammarco, un
96 di Orso in Kuchen O e
Cattaneo con un 140 in
Sharpshooter.
Un arrivederci quindi a Pisa
e poi in Spagna a Granada!
A. Beria
pagina 15
Il Sud post-unitario
Brigantaggio o resistenza armata?
Una questione ancora aperta
di Vincenzo Labellarte
Nel numero precedente di Avancarica Magazine,
ho cercato di analizzare le cause e le concause che contribuirono al lento disfacimento ed alla caduta del Regno delle
Due Sicilie. Un Regno questo, contrariamente a quanto
scritto dalla storiografia ufficiale, tra i più fulgidi e per molti
aspetti moderni ed innovativi d’Europa e che annoverò alla
sua guida monarchi illuminati da Carlo III a Ferdinando II.
Furono motivazioni e manovre sovranazionali
d’ordine economico-politico ed in chiave anti-papato che
mirarono a ridisegnare l’Italia dando, a tutta l’area
Mediterranea, un nuovo assetto. Tutto questo grazie alla
regia occulta dell’ Inghilterra e alle sue mire espansionistiche. Ma per la realizzazione di questo disegno, serviva un
“braccio armato” ed una “giustificazione patriottica”.
Fu il Piemonte ad assumere questo ruolo.
Giuseppe Garibaldi, la spedizione dei Mille, le “epiche”
battaglie da Calatafimini al Volturno, ne costituirono
l’epopea, creando il termine “Risorgimento” e consegnandolo alla nostra storia patria. Ciò non deve comunque far dimenticare che il tutto nasce, da parte del Piemonte, con
invasioni e guerre mai dichiarate ad altri stati sovrani, fino a concludersi con plebisciti d’annessione farsa.
Fatta questa debita premessa, questo mio articolo vuole prendere spunto da quella frase che Camillo Benso conte
di Cavour pare pronunciasse sul letto di morte e che la storiografia ufficiale ha consegnato con enfasi all’immaginario popolare: “L’ Italia è fatta, ora bisogna fare gli Italiani”. Ebbene, quale fu la politica meridionalista di casa Savoia, monarchia straniera, divenuta per giochi politici Italiana, per trasformare
Abruzzesi, Campani, Puliesi, Calabresi e Siciliani in Italiani?
Già l’atto costitutivo del Regno d’Italia e l’investitura di Vittorio Emanuele a primo Re d’Italia, furono redatti e letti da Cavour a palazzo Carignano in francese, lingua
ufficiale della monarchia Sabauda. Questo fu, è vero, solo
l’aspetto formale, ma quale triste presagio, la dice lunga su
quelli che saranno gli anni a venire. Questi saranno caratterizzati nei territori “liberati”, da un’occupazione militare
feroce. Processi sommari, carcerazioni e fucilazioni anche
solo per sospetto di cospirazione a favore del passato regime segneranno gli oltre 4 anni a venire.
Ed ancora a lungo al Parlamento di Torino si parlò di “conquista del Sud” e non di una sua liberazione. Infatti molti
deputati nei loro discorsi dai banchi del neo Parlamento
italiano, si compiacevano di rimarcare con enfasi di come il
Piemonte con la “conquista” del Sud avesse allargato i propri confini. Tutto questo provocò le vibranti proteste degli
unitaristi meridionali tra i quali il deputato Bruno di Enna.
Intanto l’aspettativa principale delle masse rurali del Sud,
quella di vedere ridimensionato il privilegio latifondista dei
grandi proprietari terrieri con la ridistribuzione della terra
ai contadini andò via via sgretolandosi. Questo perchè
molti grandi proprietari, come molti nobili siciliani, sedevano
ora quali deputati sui banchi del neonato Parlamento
italiano a difendere i loro privilegi ed interessi nella logica
gattopardiana del “tutto cambi affinchè nulla cambi”.
A ciò va aggiunta l’introduzione, da parte delle autorità,
della leva militare obbligatoria, con la conseguente accusa
di diserzione nei confronti di chi non si presentava, nei termini stabiliti, presso i rispettivi distretti militari. Al tempo
dei Borboni, quello del militare era al contrario un mestiere
volontario, retribuito e che poteva usufruire oltre la paga di
molti benefici elargiti dalla corona.
(continua nelle pagine successive)
pagina 16
(prosegue dalla pagina precedente)
Inoltre, quello del militare, essendo un
mestiere volontario, consentiva di bilanciare le esigenze socio-economiche delle
popolazioni. Infatti, il contadino non era
così costretto ad abbandonare la terra e
chi terra non aveva poteva intraprendere
una professione considerata onorevole. La
leva obbligatoria fu una vera sventura per
il Sud, in quanto costituirà il motivo principale dello spopolamento delle campagne
con il conseguente nascere del triste
fenomeno dell’ emigrazione oltre oceano.
Così centinaia di ex-soldati borbonici emigrati in America dove infuriava la Guerra
Civile, combatterono con onore tra le file
dei Confederati su molti campi di battaglia, facendo vedere di che tempra erano
fatti.
Nel frattempo, migliaglia di soldati del disciolto esercito
Napoletano, che si erano rifiutati di abiurare al giuramento
fatto al loro Re e di arruolarsi nel nuovo esercito “italiano”,
venivano deportati nelle prigioni “lager” piemontesi. Tra
queste quelle famigerate di Fenestrelle ebbero il triste
primato di migliaia di morti per malattie e denutrizione.
Anche l’armata Garibaldina forte di 76.000 uomini tra cui
moltissimi meridionali e che sotto la carismatica guida di
Garibaldi poteva costituire una componente poco gestibile se
non addirittura una minaccia, veniva sciolta. Questo creò un
forte stato di frustrazione tra le file di quei combattenti che
di quella guerra erano stati l’anima più popolare e romantica
e del “Risorgimento” avevano interpretato lo spirito originario.
Infine l’incontro di Teano fu l’ultimo atto di
questa fase del nostro Risorgimento. La
frase di Garibaldi “Saluto il Re d’Italia”
sancisce l’investitura di Vittorio Emanuele
da parte del personaggio che, nonostante
molti lati controversi, fu il più importante
e carismatico di tutto il Risorgimento e la
parola conclusiva “Obbedisco” ne significa
la sua uscita di scena.
Lo stato di frustrazione che ormai pervadeva l’animo dei garibaldini, sfocierà in
vere e proprie manifestazioni di rivolta.
Questi si sentivano traditi negli ideali in
cui avevano creduto e per cui avevano
combattuto fin dallo sbarco a Marsala.
Inoltre vedevano ormai in gran parte
vanificate le promesse di vantaggi socioeconomici che erano state fatte loro.
Innumerevoli finiranno imprigionati o
dopo processi sommari davanti ai plotoni
d’esecuzione “italo-piemontesi”. Così nelle
bande irregolari dei cosidetti “briganti”
confluiranno molte camicie rosse e molte
cadranno nei combattimenti contro le
truppe regolari e la guardia nazionale.
Ma nelle file di chi, con strenua resitenza
armata si opporrà per anni al nuovo ordine
politico e militare, non c’erano solo ex
garibaldini ma anche ex soldati piemontesi.
A tale proposito vale la pena di raccontare
la vicenda di certo Carlo Antonio Gastaldi
di Biella, storia tratta dagli atti della Corte
d’Assise di Trani e narrata da Gustavo
Buratti.
“La notte di sabato di Natale un sacerdote
alto e magro, viso lungo, capelli neri e
barba fluente, si reca a dorso di mulo alla
masseria del convento di Noci (siamo in
Puglia, poco distante da Gioia del Colle)
per celebrare la Messa la domenica mattina
seguente.
E’ un canonico di 46 anni: Don Vito Tinelli.
Per questo servizio religioso, il massaro
gli passa dai 45 ai 50 ducati all’anno raccolti tra i contadini presenti alle funzioni.
Quella notte del sabato Don Tinelli ha la
sorpresa di trovarsi tra una sessantina di
“briganti” tutti armati sino ai denti, giunti
a cavallo e che chiedono al massaro di
poter mangiare.
Quest’ultimo, Antonio Calumi, serve loro
“per forza” (come sosterrà più tardi) o
“per amore” (come ritiene la Polizia) una
cena a base di minestra verde, pecorino,
ricotta forte e pane. Sbigottito, il canonico
rimane a conversare con i ribelli, per non
dar loro l’idea di averli in antipatia.
Durante la cena, uno di loro si presenta, dicendosi piemontese, come in effetti si vedeva dall’uniforme e gli dice “canonico mio, abbiate la bontà di far pervenire alla mia famiglia
questa lettera, affidandola alla posta”.
Il sacerdote risponde che l’avrebbe fatto con piacere, ripone
la lettera in tasca e, preso dal sonno, chiede il permesso di
andare a letto. Alla mattina, quando si è alzato, apprende dal
massaro che la compagnia se ne è andata a notte fonda.
Più tranquillo, va alla cappella per celebrare la Messa ma,
mentre si veste nella piccola Sacrestia, sente di là un tramestio di uomini armati. Capisce subito che si tratta degli uomini
con cui si era intrattenuto la sera prima.
Costoro ascoltano compunti la Messa e all’
“Ite Missa est” escono dalla chiesetta ed il
sacerdote li vede andarsene pacificamente.
Prima di lasciare la masseria, mentre sta
montando sul mulo, vede ancora il piemontese che si avvicina e gli chiede:
”Posso sapere il vostro nome?” poi prega
il sacerdote di scrivere lui stesso il suo
nome e cognome su una lettera per suo
padre e per far ciò gli porta la penna e il
calamaio. Infatti, la risposta sarebbe
dovuta pervenire al canonico che, poi
l’avrebbe recapitata alla masseria.
Poi gli domanda quale sia la sua cavalcatura da lui usata per gli spostameni: un
cavallo, asino, mulo? Questo per saperlo
riconoscere, affinchè non sia disturbato dai
ribelli. Commosso per la premurosa attenzione, Don Tinelli risponde: ”Sarete servito
son solito avvlermi in occasione che mi
porto a celebrare la Messa, or di un asino
di colore nero ed or di color bianco”.
Dopo queste reciproche cortesie, si separano dandosi cordiale addio. Oltrepassato
il bosco Bonelli, fuori pericolo, Don Tinelli
apre la lettera indirizzata a Giuseppe
Castaldi, da Fiorelli, Napoli..... ma destinata al padre. Giuseppe era il fratello di
Carlo, in servizio militare (classe 1841) a
Napoli: questi, furbo come una vecchia
volpe, ha pensato che fosse più prudente
spedirla a Napoli piuttosto che a Biella....
Il prete, preso dagli scrupoli, si vergogna di
rendere un servizio ad un “brigante” per
timore di risultare poi suo amico, e strappa
la lettera in quattro pezzi, guardandosi
bene di buttarla ma rimettendosela in
tasca dove rimarrà dimenticata.
pagina 17
Quella Messa celebrata per i “briganti”
costerà cara al canonico. Il 19 gennaio
seguente, la polizia lo arresta e lo mette
in prigione, accusandolo di essere spia e
ricettatore.
A giugno era ancora in prigione, nonostante
protestasse che la Messa per i briganti
l’aveva celebrata non per sua volontà ed
una sola volta. La lettera poi l’aveva strappata in pezzi dimenticandola poi in tasca.
La lettera si conserva ancora presso
l’Archivio di Stato di Bari, ma è tutta
stracciata e mancante di alcuni frammenti di carta. Ne voglio citare solo l’inizio
particolarmente toccante:
“Caro padre non ho potuto scriverti
prima, mentre che son certo che a quest’ora sarete informato del tutto, ma con
tutto ciò non importa, state allegri non
pensate a me ma pregate solo Dio.....
muoia nel combattimento .....? Venire
Francesco ...... ricompensato...... compagnia di questi suoi....... non sono i briganti
come gli dicono...... non credete che
........ vadano rubando ......... ovvero
case, no questo non è vero ............ soldati fedeli al suo Re Francesco dicono di
riaverlo di nuovo........”
Per completare le parole delle parti mancanti (puntini) e le parole incomprensibili,
viene in aiuto la deposizione del canonico
Tinelli, 5 mesi dopo aver consegnao la
lettera al delegato di Polizia: “Essere loro
appartenenti a Francesco II e non già briganti come erano spacciati, e con la venuta
dello stesso sarebbero stati remunerati
dalle loro fatiche fatte a vantaggio dello
stesso. La risposta indirizzarsi al canonico
Don Vito Tinelli”
Questa lettera, significativa dello spirito di
ribellione che portò anche soldati piemontesi delusi a disertare per unirsi ai ribelli, è anche una fonte di notizie preziose
su quella che fu la banda cui si legò l’ex soldato Carlo
Gastaldi: la banda del “Sergente Romano” ed è di lui che
voglio brevemente raccontarvi.
Il suo nome era Pasquale Domenico Romano, ex sergente del
5° reggimento Cacciatori dell’esercito Borbonico, nonchè
alfiere dello stesso. Questa nomina spettava al soldato cui si
riconoscevano le maggiori qualità militari e le più alte dote
morali.
Era nato a Gioia del Colle, allora florido paesone agricolo di
circa 8.000 abitanti distante una ventina di km da Bari, paese
che risulterà di grande importanza in quanto sarà lì che
esploderà la rivolta popolare contadina contro il nuovo ordinamento statale. Era istruito per quei tempi e per la classe
sociale cui apparteneva. Sapeva infatti leggere, scrivere e far
di conto. Componeva poesie per la fidanzata, la sua adorata
Rosetta e preghiere per la Madonna del Carmine a cui era
devoto.
Per tutto questo “bagaglio” culturale fu sempre grato al suo
Re Francesco II, grazie alla cui generosità potè studiare ed
intraprendere un’onorata carriera militare e questa gratitudine la manifestò sempre con valore sia prima sui campi di battaglia che dopo da “guerrigliero” nella lotta di resistenza contro i “liberatori” italo-piemontesi, fino all’estremo sacrificio
della vita. Combattè valorosamente in tutte le più importanti battaglie, da Calatafimini al Volturno.
La diceria popolare vuole che a Calatafimini fosse proprio lui
ad apostrofare in maniera veemente il trombettiere del proprio reggimento quando questi, su ordine del Generale
Landi, suonò la ritirata proprio nel
momento in cui la battaglia sembrava
vinta.
Da lui il grido di “Viva o’ Re” fu sempre
urlato con la rabbia di chi vedeva sgretolarsi, intorno a sè il mondo ed i valori in
cui aveva sempre creduto e per cui aveva
sempre lottato, fino all’ultimo combattimento.
Al lettore che, spero con curiosità se non
con interesse, sta leggendo questo mio
articolo, credo non sia sfuggito il coinvolgimento personale di cui questo è pervaso.
Il motivo sta nel fatto che la famiglia e gli
avi di mio padre erano originari di Gioia
del Colle e possedevano una masseria
proprio nelle campagne del “parco della
corte”, tra Gioia ed Acquaviva delle Fonti
dove il sergente Romano sostenne la sua
ultima battaglia.
Per questo la sua figura e le sue imprese
erano spesso presenti nei racconti che
mio nonno faceva a me bambino ed agli
altri cugini nelle lunghe sere d’estate, alla
luce dei lumi a petrolio, nel grande salone
da pranzo della masseria nella campagna
di Gioia. Parliamo di oltre 60 anni fa.....
una vita!
Ma torniamo al nostro personaggio. Dopo
la decisiva sconfitta patita sul Volturno e
la resa dell’ultima fortezza, la “fedelissima”
Civitella del Tronto, la causa borbonica era
definitivamente persa.
Ma molti ex combattenti soldati e graduati, non si arresero e, rifiutando di abiurare al giuramento fatto al loro Re, confluirono in bande armate che per gli anni a
venire combatterono duramente le truppe
regolari, infliggendo loro pesanti perdite.
Particolarmente duri furono gli scontri con la guardia nazionale, odiata nemica dei “briganti”.
Questa era formata da gente della piccola borghesia locale,
quali commercianti, bottegai, impiegati comunali, piccoli proprietari terrieri. Arricchitisi tutti col passato regime, liberali
dell’ultima ora, guardavano al nuovo regime come alla grande
occasione per conservare i loro privilegi. La guardia nazionale
fu invisa ai ceti umili della popolazone e guardata, anche se
necessaria alleata, con diffidenza dall’autorità militare riluttante ad armarla.
Si rese protagonista in Puglia di numerose efferatezze non
solo contro i “briganti” ma anche nei confronti dei loro familiari. Processi ed esecuzioni sommarie contribuirono a dare
alla lotta al “brigantaggio” i connotati di una vera guerra civile e scaveranno un solco di odio del quale per decenni successivi il sud sarà pervaso.
Paesi incendiati come rappresaglia per l’appoggio vero o presunto dato ai “briganti”, intere famiglie imprigionate affinchè
questi si consegnassero alle autorità. Esecuzioni sommarie
per chi trovato in possesso di armi improprie o semplici arnesi
da lavoro che potessero ricordarle, o di qualsiasi cosa riconducibile al passato regime.
Questo fu il concetto di liberazione delle terre “oppresse” che
il nuovo Stato impose al Meridione. Emblematica la storia di
una vecchia che, trovata in possesso di alcuni ducati d’oro
nascosti in casa per paura, fu accusata di averli ricevuti come
compenso per la sua ttività di spionaggio e condannata a
morte praticamente senza processo.
(continua nella pagina successiva)
pagina 18
(prosegue dalle pagine precedenti)
Oggi qualcuno azzarda le stime delle vittime civili in circa 1 milione. Tale numero
è senz’altro eccessivo ma non si esagera
certo nello stimarle intorno alle 300.000.
Va anche considerato che la difficoltà di
questo censimento è dovuta al fatto che in
ogni paese distrutto venivano incendiati gli
archivi comunali, come successe a
Pontelandolfo e Casalduti, proprio perchè
non si potesse risalire al numero e alle
identità delle vittime.
Intanto in tutta la Puglia scoppiavano
tumulti, che sfoceranno in vere e proprie
rivolte. A partire da Matera, dove contadini
inferociti uccisero il proprietario terriero
Conte Francesco Gattini, per arrivare a
Santeramo in Colle fino a quella di Gioia
del Colle del 1861. Qui operava un comitato neo-borbonico molto attivo e radicato
nel territorio. Fu una rivolta principalmente contadina ma cui
aderirono anche intellettuali e che dette così al successivo
fenomeno del “brigantaggio” la connotazione di “brigantaggio politico”.
Di questa lotta si fecero paladini numerosi capibanda tra cui
il più famoso fu Carmine Crocco che, a capo di centinaia di
uomini, scorazzò per tutta la Puglia infliggendo pesanti
perdite all’esercito regolare. Crocco, per i suoi meriti, fu
insignito della nomina a Colonnello da parte del Re Francesco
II in esilio a Roma presso il Papa.
La seconda banda per importanza fu quella del nostro sergente Romano. Questi il 20 agosto 1862 in una grotta sita nel
territorio di Martina Franca, riunì le maggiori comitive brigantesche del barese e del Salento con i loro capi. Erano presenti:
Cosimo Mazzeo, “Pizzichicchio” di San Marzano, Giuseppe
Valente “Nenna Nenna” di Carovigno, Giuseppe Nicola
Laveneziana “Figlio del Re” di Carovigno, Antonio Locaso “il
Capraro” di Abriola, Antonio Testino “Il Caporale” di Ruvo,
Scipione Di Palo “la Sfacciatella” di Terlizzi, Tito Trinchera
“Titta” di Ostuni, nonchè emissari di altri capi-banda minori.
Quel giorno il sergente Romano, in una storica riunione fu
nominato capo supremo e destinato al comando di circa 200
uomini. Inizieranno così le gesta del “Sergente di Gioja” o,
Enrico La Morte, nome di battaglia con cui amava farsi chiamare. Gesta fatte di scontri, imboscate, incursioni notturne.
Fu capace di atti di generosa magnanimità così come di indicibile crudeltà verso chi considerava traditori, gesta comunque consegnate alla tradizione popolare di quella parte del
sud che ancora oggi lo ricorda con vivida memoria.
Innumerevoli furono i combattimenti sostenuti dalla sua
banda. L’ultimo vittorioso avvenne nei pressi della masseria
“il Panzo”. Dopo lo scontro, Romano fu comunque costretto a
dividere la banda in 2 gruppi. Il primo guidato da Gastaldi si
portò nei boschi intorno a Taranto, il secondo comandato
dallo stesso sergente deviò verso Monopoli e Fasano.
Lo scopo era quello di sfuggire più facilmente alla caccia che,
soprattutto i reparti di cavalleggeri, stavano dandogli. Egli
sentiva il fiato dei nemici sul collo e fece un ultimo tentativo
per unirsi alle bande satelliti di Carmine Crocco e ricevere
direttive da qualche emissario reazionario. Ma tutto fu inutile.
La sua storia si conclude alle 2 pomeridiane del 5 gennaio
1863. Egli, preso dalla nostalgia e forse per rivedere un’ultima
volta la sua amata Rosetta, braccato dalla truppa, torna
imprudentemente presso Gioia del Colle, sostando per abbeverare i cavalli nei boschi della vallata chiamati anche Parco
della Corte. Nel frattempo, un drappello di 60 cavalleggeri di
Saluzzo, al comando del Capitano Bolasco, si era acquartierato la sera prima in una masseria nei dintorni.
Informati della presenza della banda ormai ridotta a poche
decine di unità, circondano il bosco e,
appoggiati da una cinquantina di guardie
nazionali, attaccano. E’ la fine. Enrico La
Morte combatte sino all’ultimo, finchè
coperto di ferite chiede al sergente cavalleggero Michele Cantù di essere fucilato,
gridando: “finitemi da soldato”. Ma Cantù
gli risponde: “muori da brigante” e lo finisce a sciabolate, proprio là dove il 28 luglio
1861 il sergente aveva cominciato la sua
disperata avventura.
22 ribelli restano uccisi sul campo. Pochi
si salvano, facendo finta di essere morti o
dandosi alla fuga. Tra gli scampati c’è il
nostro Carlo Gastaldi!
Secondo la leggenda, il morto alla vallata
non sarebbe stato il Romano, ma un altro
“brigante” che gli assomigliava. Infatti la
gente era convinta che il sergente fosse
invulnerabile grazie ad una medaglia
avuta in dono dal Papa. Invulnerabilità di cui lo stesso
comandante si vantava. Per convincere gli increduli, il corpo
del Romano fu caricato su di un asino e trasportato di masseria in masseria, come facevano i cacciatori quando uccidevano un lupo.
Infine lo fecero sfilare per le strade di Gioia fin sotto la finestra della madre e della sorella che affacciatesi ignare furono
costrette ad assistere a quello scempio. Il cadavere, a pezzi
e con il volto irriconoscibile, fu infine esposto, nudo, per 2
giorni sulla piazza antistante il Castello Normanno. Finchè
una notte mani pietose lo trafugarono per seppellirlo in un
luogo che rimarrà sconosciuto.
Dopo la sua uccisione, i giornali legittimisti francesi dedicarono commossi articoli alla sua memoria.
Sono così giunto al termine di questo mio articolo sul brigantaggio politico post-unitario (1861-1864) nel meridione.
E’ stato per me molto difficile fornire al lettore in poche pagine un’idea sulla complessità di quegli anni così tragici e sui
quali la storiografia ufficiale ha sempre steso un velo di oblio.
Ma mi piace ricordare quanto riportato da Pino Aprile all’inizio
della sua prefazione al libro di Mario Guagnano “Il sergente
Romano”:
“Il Risorgimento fu un bagno di sangue che è stato nascosto
sotto cumuli di retorica. Altri paesi, come gli Stati Uniti e il
Giappone si unificarono negli stessi anni, con stragi persino
peggiori di quelle compiute nel nostro Sud, in nome del
tricolore. Ma non le hanno nascoste. Ed i protagonisti di quelle
guerre civili, vincitori e vinti, sono stati sempre celebrati
insieme, perchè padri di uno stesso paese. (In Giappone
addirittura si onorano i vinti molto più dei vincitori.) Per
questo l’Italia è un paese incompiuto perchè ha dimenticato
gli eroi dei vinti”
Per capire il Sud di oggi, bisogna conoscere la sua tragica
storia
Per quelli che fossero interessati all’argomento:
Confessioni di un brigante - Enzo Mangiameli Rosario, XL Edizioni
I Savoia e il massacro del Sud - Ciano Antonio, Magenes
Guardie e ladri: L’unità d’Italia e la lotta al brigantaggio
Lunardelli Massimo, Blu Edizioni
Il Brigantaggio nell’Italia meridionale - AA.VV, Effepi
Il Brigantaggio nelle provincie meridionali dopo l’unità d’Italia
Tuccari Luigi, Centro Culturale S. Ammirato
Michelina De Cesare guerrigliera per amore
D’Amore Fulvio, Contocorrent
Istruzioni per la repressione del Brigantaggio
Pallavicini di Priola Emilio, Effepi
Il bosco nel cuore - Guerri Giordano Bruno, Mondadori
- Libreria Militare ARES - Via Lorenzo il Magnifico 46
00162 Roma Tel.06.44232188 www.libreriamilitareares.it
pagina 19
8° GRAND PRIX AUSTRIA
Eisenstadt
30 maggio - 1 giugno 2014
Come lo scorso anno ci siamo
messi in viaggio per andare
a trovare l’amico Herbert e
partecipare a quest’ottavo
GP d’Austria dopo la doppia
esperienza del 2013.
Abbiamo sperato di trovare
un tempo decente, vista la
stagione, ma siamo stati
disattesi: pioggia, vento,
freddo, qualche parvenza
di sole.
Come d’abitudine, il “mago”
Herbert con i suoi collaboratori
ha predisposto tutto nel
migliore dei modi, tra una
partecipazione a una gara ed
un servizio in cucina ha
permesso lo svolgimento
perfetto della manifestazione.
Vediamo un pò di statistiche:
140 partecipanti, di cui 60
austriaci, per un totale di ben
604 prestazioni complessive
(59 di piattello), una media
elevata.
Noi eravamo 11 (6 piattellisti)
per un totale di 42 prestazioni.
Data la vicinanza geografica,
l’affluenza di Cechi, Slovacchi
e Ungheresi è stata molto
buona con un totale di 48
partecipanti.
Come siamo andati?
Forse un poco meno dello
scorso anno ma dobbiamo
ricordare che i partecipanti
stranieri rappresentavano il
meglio dei loro paesi,
comunque abbiamo avuto un
bronzo a squadre in Boutet
con Biagini, Caruso e Ferrari.
(continua nella
pagina successiva)
pagina 20
(prosegue dalla
pagina precedente)
Caruso ha guadagnato un
bronzo in Donald Malson R,
Biagini un quinto in Remington
O con un quarto (per un
punto!) in Donald Malson O.
I nostri piattellisti, anche per
le assenze dell’ultimo momento, si sono accontentati di un
quarto posto in Manton di
Enrico Siclari ed un quarto
in Hawker insieme con
Ciuffi e Zanzi.
Che dire, ci siamo divertiti in
compagnia, abbiamo avuto
interessanti informazioni
tecniche da colleghi stranieri,
fatto acquisto di accessori,
ricambi e spiato metodi di
pulizia delle armi.
Prima di lasciarci, l’amico
Herbert ha voluto farci un
omaggio inaspettato: alcune
bottiglie di vino locale che
stapperemo alla sua salute
in attesa di incontrarci ancor
il prossimo anno.
A.B.
Grande risultato del tiratore
Pietro Grazioli
Durante il recente trofeo
“Cavalier Pareschi” tenutosi
il 7 e 8 giugno presso il
poligono di Galliate, Pietro
Grazioli ha ottenuto un
risultato eccezionale con
la pistola a miccia nella
categoria Tanzutzu replica
con lo straordinario
punteggio di 96/100 che è
record europeo e mondiale
anche se, purtroppo,
non omologabile.
Caro pietro,
la soddisfazione resta
e questo risultato
deve essere sprone
per il prossimo impegno
in Spagna.
A.B.
pagina 21
dopo
Il dopo... Eliopoli 2014.
Un vero successo la 3 giorni storica organizzata a Terra
del Sole, 8 chilometri da Forlì, per il 25-26 e 27 aprile
2014.
Molti la conoscono per il Palio che viene disputato una
volta all’anno (prima domenica di settembre) fra le 2
squadre dei rioni cittadini (quello Fiorentino e quello
Romano), oppure per le gare di balestrieri alle quali prendono parte compagnie provenienti da tutta Italia.
Sempre qui organizzano anche un’altra bellissima rievocazione, questa volta medievale, cioè “Anno Domini
1387”, che quest’anno si terrà il 27-28 settembre.
(continua nelle pagine successive)
Una cornice suggestiva, le truppe schierate, il pubblico... Eliopoli 2014.
pagina 22
(continua dalla
pagina precedente)
Grazie alla perfetta
organizzazione della
manifestazione a cura
del Borgo Romano con la
collaborazione della
Compagnia Santa Brigida,
da ora molti altri la
conosceranno anche per
la rievocazione storica
cinquecentesca.
Organizzazione che è riuscita
a portare nella cittadella
medicea gruppi di rievocazione
storica da tutta Europa,
ricreando per 3 giorni quadri
di vita civile e militare degli
inizi del 1600, suscitando
anche l’interesse di TV e
giornali locali, riviste nazionali
ed un pubblico interessato
ad un evento relativamente
nuovo per la Romagna.
Terra del Sole era la porta
della Romagna Toscana,
ad essa i Medici avevano
affidato la guardia dei confini
che vedevano come vicini a
nord le legazioni pontificie
di Forlì, Ravenna, Faenza,
Imola, Ferrara.
La sua costruzione ha
seguito parametri innovativi
per l’epoca lasciando a noi
posteri “un’opera d’arte”
militare e civile allo
stesso tempo.
A parte la piazza centrale sulla
quale danno il Palazzo
Pretorio e la chiesa, la città
è praticamente speculare.
Ai lati della piazza sono
collocati i 2 borghi, i 2
castelli, le 2 porte di accesso.
La planimetria aveva anche
previsto campi da coltivare
o dove ospitare il bestiame,
per poter resistere agli assedi.
Il sistema di mura era ed
è basato su 4 bastioni,
camminamenti e
casematte sotterranee,
il tutto studiato per l’uso
di artiglieria e la difesa
dalle armi da fuoco.
Proprio presso il castello
del Governatore ed il
Bastione di San Martino
(lato della città verso
Forlì) i gruppi storici
hanno ricostruito un tipico
accampamento dell’epoca.
Niente è stato lasciato
pagina 23
al caso, dall’osteria,
al banco del cerusico (medico),
alla venditrice di pozioni ed
erbe ed a questi sono state
affiancate dall’organizzazione
stand per poter acquistare
prodotti locali tipici, biologici
ed un bel servizio
di ristorazione.
Il salto nel passato è riuscito
quindi in pieno, dalla veridicità
con la quale tutto è stato
organizzato all’ accuratezza
della battaglia finale di
domenica 27 che si è svolta
sotto le mura nei pressi del
secondo castello quello del
Capitano della Artiglierie
(lato verso Castrocaro Terme).
Nonostante la minaccia di
pioggia ed il conseguente
problema di non poter
utilizzare le micce degli
archibugi, i rievocatori
storici hanno attraversato in
formazione di marcia la città
ed accolti da un folto pubblico
si sono schierati sotto le mura.
A questo punto avreste potuto
veramente dire di essere stati
catapultati indietro nel tempo.
(continua nella
pagina successiva)
pagina 24
(continua dalle
pagine precedenti)
Rispondendo ai comandi
dei vari ufficiali le truppe,
divise in 2 fronti opposti,
si sono affrontate senza
risparmio di energie,
sia per ripagare
il pubblico,
sia per
la propria
soddisfazione
personale e
la propria
passione.
Spari, cannonate,
tutto a salve
ovviamente,
scontri di reparti
di picchieri,
duelli all’arma
bianca dei
fiancheggiatori,
qualche ferito,
qualche “morto”
presso i quali
accorrevano a
turno il cerusico
oppure il prete.
Tutto ha contribuito
a lasciare agli
spettatori presenti
un ricordo
bellissimo
della giornata,
dimostrando
che una bella
rievocazione
storica
ben organizzata
vale più di
mille lezioni
di storia.
Giovanni Zauli
pagina 25
pagina 26
Da due secoli
l’ARMA a
nostra difesa.
Un tributo al
coraggio e alla
abnegazione.
Sono trascorsi duecento anni da quando, il 20 maggio 1814, il re Vittorio
Emanuele I di Savoia ritorna a Torino per riprendere possesso del trono del
Regno di Sardegna. Nell’instabile situazione socio-politica e nella difficoltà di
gestire l’ordine pubblico, ritiene debba essere trattata con urgenza la
creazione di una forza militare con compiti di polizia. Viene così concordato
un “progetto di istituzione di un Corpo militare per il mantenimento del buon
ordine” che diverrà ufficiale il 13 luglio. Il nuovo Corpo, denominato
Carabinieri Reali, dovrà “contribuire sempre più alla maggiore prosperità
dello Stato”. Diviene comandante supremo del Corpo il conte Giuseppe Thaon
di Revel, già Presidente Capo del Buon Governo. La presentazione dei
Carabinieri Reali al re Vittorio Emanuele avviene nel mese di agosto 1814,
occasione in cui viene definito l’ordinamento del Corpo e prescritte foggia
e colori dell’uniforme.
In due secoli di vita quella che oggi è per tutti l’Arma dei Carabinieri si
è sempre contraddistinta per spirito di corpo, coraggio e dedizione continua.
Efficienza e professionalità hanno sempre accompagnato l’Arma fin dalle
origini, anche al di fuori dei confini dello Stato Italiano.
Nel tempo infatti si è conquistata ammirazione e fiducia, stima e rispetto
in ogni sua azione.
La Fabbrica d’armi Davide Pedersoli, per onorare questo importante
duecentesimo anniversario, ha voluto allestire i tre modelli dell’anno 1814,
che da subito hanno costituito l’armamento individuale del corpo dei Carabinieri
Reali. Si tratta del fucile da fanteria, della carabina da cavalleria e della pistola
definita proprio da Carabinieri Reali. Tutti e tre i modelli, di chiara ispirazione
francese, venivano in origine realizzati nell’arsenale di Valdocco per quanto
riguarda la forgiatura delle canne e in quello di S. Maria Maddalena per
la fabbricazione delle altre parti delle armi. I primi esemplari furono assegnati
il 9 agosto 1814 e rimasero in dotazione fino al 1833 eccezion fatta per la
pistola, in servizio fino al 1846 prima di essere dismessa.
La Davide Pedersoli completa questo fantastico trio di armi storiche
con la sciabola mod. 1814 da Carabiniere Reale a piedi.
pagina 27
Una grande e unica opportunità per possedere, o donare, una concreta
testimonianza della storia d’Italia. Ogni esemplare viene realizzato affidando
la cura di ogni dettaglio a esperti maestri armaioli, anch’essi testimoni di una
tradizione armiera che in Val Trompia, e a Gardone in particolare, ha sempre
scandito, già da qualche secolo, l’evoluzione delle armi da fuoco.
Sicuramente alcuni materiali e alcune tecniche di lavorazione non
potranno più essere come quelle di due secoli or sono, ma nell’anima e nel
cuore del produttore d’armi valtrumplino risiederanno sempre, come temprati,
lo spirito e la voglia di svolgere il proprio operato nel migliore modo possibile.
In occasione dei prossimi campionati del Mondo a Granada la Davide
Pedersoli vorrebbe offrire ai membri della squadra Italiana una
revisione completa delle armi Pedersoli che intendono portare con se in
Spagna, la nostra azienda chiude la prima settimana di agosto, si rende
quindi necessario ricevere l'arma entro il più presto possibile e non oltre
l'inizio di luglio, così da poter restituire le armi ai tiratori prima della
chiusura e permettere loro di allenarsi (l'intervento sulla singola arma non
richiederà ovviamente un mese e noi cercheremo di fare del nostro meglio
per restituire l'arma al tiratore, tuttavia nella malaugurata ipotesi che tutte
le armi pervenissero in azienda pochi giorni prima della chiusura estiva
potremmo non avere il tempo materiale per intervenire su tutte ......)
Stefano Pedersoli
pagina 28
COMPRO...
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Pistola hAMMERLI mod. 280 cal. 22 e
convers. in cal. 32 usata pochissimo in
valigetta orig. con tutti gli accessori e
con 2 impugnature. € 3.500
Pistola BERnARdELLI modello P
ONE cal. 9x21 accuratizzata + vari
ricambi. € 500
Gasbarri 339.2266136
Pistola replica avancarica Pedersoli
REMInGTOn PATTERn cal. 44.
mod. 1863-1875 catalog. sportiva,
perchè poco usata per inutilizzo.
Gianni 338.353447
REVOLVER ad avancarica “Roger
Spencer” cal. 44 Pedersoli. € 450
Massimo 347.9054841
Pistola monocolpo avanc. Pedersoli
Mortimer Match come nuova con
scatola originale, DVD ancora imballato
+fondipalle nuovo. € 400 non tratt.
Monti 338.3797464
Pistola semiautomatica 9x21
modello TECnEMA con 2 caricatori,
canna conica e scatola originale.
Sparati 600 colpi.
Luciano 347.5967086
Pistola avancarica Feinerkbau mod.
history 1 nuova in cassetta cal.36 in
cassetta orig. + fondipalle. € 850
duranti 339.8190592
Pistola monocolpo ad avancarica a
pietra cal. mm.15, canna damasco,
scodellino, mirino e fascia sul vitone
rimessa in oro marcata Clark e Sons
62 Cheapside London. Canna liscia.
Arma antica.
Piero 348.1384344
Revolver Remington New
ricerca costruzione 1860
preciso e pronto alle gare.
Revolver Roger & Spencer
preparato già alla gare.
Revolver WITnEY 1857
molto preciso.
Enrico 348.313466
Model
cal.36
cal.44
cal.36
Pistola Charles Moore Cal. 45,
Pedersoli. Usata pochissimo, in valigetta
di legno con occorrente per il tiro, (15
colpi) € 400
Roberto 348.9149985
Revolver R O G E R & S P E n C E R
(Pedersoli) calibro .44 versione gara:
Ottime finiture, precisissimo, altamente
competitivo. Ottimo stato.
€. 480
hOWkEn RIVER (Pedersoli) cal.45,
diottra regolabile ed inserti stecher.
Ideale per il tiro di precisione.
Condizioni pari al nuovo. €. 550
Emanuele 334.6404373
Revolver Remington New Model Army
cal. 44 ad avancarica a percussione,
arma antica, in buonissime condizioni.
Revolver Remington Beals cal 36 ad
avancarica a percussione, arma antica,
in buone condizioni.
Pistola monocolpo ad avancarica da
tiro a percussione, arma antica,
cal. mm.13 canna rigata marcata
Chaponen a Vignon.
Piero 348.1384344
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pietra Cal. 0,69 (17,5) replica di
Palmetto. Libera vendita. € 300
Andrea 339.7106375
Pistola Charles Moore cal.44
avanc. a pietra focaia, Pedersoli
moncolpo ad avancarica da tiro a
percussione, arma antica, cal. mm.13
canna rigata marcata Chaponen a
Vignon. €. 300
Pistola k uchenreuter cal.44
Pedersoli da gara, nessun segno di
usura arma come nuova usata solo
500 colpi. €. 700
Giorgio 339.2845235
Le Page (Armi Sport) cal.45 dotata di
stecher, come nuova. €. 180
334.6404373 Emanuele
REVOLVER AVAnCARICA doppia
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in condizioni bellissime, meccanica
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6 colpi. € 2.000 trattabili
REVOLVER dOPPIA AZIOnE COLT,
MOd. 1877 LIGhTInInG cal. 38
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matr. 68574, costruita nel 1888.
Nichelatura oltre 90%, meccanica
perfetta, canna e camere a specchio
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cambio/compro con analoga ma per
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10) ottime condiz. € 400 trattabili
Alberto tel. 051.6368004
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Valerio tel. 329.4514155
Vendo volumi: “Winchester, una
leggenda americana” e “Colt, una
leggenda americana”, ed. Gremese.
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Bacchette acciaio per armi
avancarica, originali:
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rigata (Gewehr mod. 1863 o 1867)
fornita di bellissimo puntale portastracci, in ottone, svitabile, marcato
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compreso il porta stracci, è di cm 95.
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cm 102,5. € 80
Massimo 338.8510997
AVVISO
AGLI
INSERZIONISTI
LA REDAZIONE
PER CERCARE
DI RIORDINARE
qUESTE PAGINE,
DAL PROSSIMO
NUMERO CANCELLA
TUTTE LE INSERZIONI
“VECCHIE”
PREGANDO I LETTORI
DI INVIARLE
AGGIORNATE ENTRO
IL MESE DI
AGOSTO 2014,
IN TEMPO PER LA
PROSSIMA EDIZIONE DI
AVANCARICA
MAGAZINE.
pagina 30
F.A.S.
by Chiappa Firearms,
la nuova generazione
di un mito
Nella Milano dei primi anni ‘70 Massimo Mencarelli e una piccola equipe di meccanici
ed ingeneri appassionati progettò una nuova arma in cal. 22 per tiratori professionisti.
La FAS – Fabbrica Armi Sportive – iniziò a produrre una gamma di pistole da
competizione e training che sin da subito conquistarono gli atleti di tutto il mondo
distinguendosi - grazie alle innovative caratteristiche meccaniche ed ergonomiche - dai
prodotti presenti sul mercato dell’epoca. Da quel momento F.A.S. è stata per
quarant’anni un punto di riferimento per il mercato sportivo e per i migliori atleti
olimpici che con essa conquistarono punteggi storici a tutt’oggi imbattuti.
Dopo la recente scomparsa del fondatore, il figlio Raffaele – da sempre responsabile
dell’ufficio export – ha rinnovato il sistema produttivo artigianale delle pistole F.A.S. in un
sistema produttivo industriale, affidandosi all’esperienza ed alla riconosciuta eccellenza
qualitativa del gruppo Chiappa.
Dopo sei mesi di riprogettazione e ingegnerizzazione, il primo lotto produttivo della
nuova gamma F.A.S. esce dalla fabbrica di Azzano Mella in Aprile 2014. Sarà distribuito in
Italia da DOMINO S.r.l. (l’azienda di Raffaele Mencarelli dedicata alla distribuzione di armi
da competizione), nel resto del mondo da Chiappa Firearms.
Prima tappa di questa nuova joint-venture è il modello “FAS AP 6004”. Nata dalla
rivisitazione della pistola originale FAS AP 604, quest’arma sportiva training ad aria
precompressa è caratterizzata da un sistema di caricamento pneumatico manuale, in colpo
singolo, che utilizza pellets in piombo calibro 4,5 mm. La canna è in acciaio al carbonio ed
è lunga 190 mm (7,5”) inserita direttamente nella leva di armamento. Quest’ultima
presenta zigrinature antiriflesso su tutta la lunghezza superiore ed ospita un mirino fisso
intercambiabile ed una tacca di mira regolabile sia in altezza che in deriva.
Il grilletto “match” è dotato di diverse regolazioni: posizione e peso dello scatto,
lunghezza della corsa, regolazione primo e secondo tempo. Oltre all’originale scatto F.A.S.
pagina 31
eccezionalmente pulito e netto, colpisce favorevolmente
l’ergonomia di questa pistola sia nel modello Standard - con
impugnatura ambidestra adatta al training - che nel modello
Match - con impugnatura regolabile medium o large. Le sue
caratteristiche di peso e bilanciamento la rendono simile
ad un’arma a fuoco, pertanto permette l’allenamento per
diverse discipline di tiro.
La singolarità della FAS AP 6004 risiede nell’apertura
della valvola dell’aria, posta in
linea con la canna. Questa caratteristica è unica rispetto a tutte
le altre pistole pneumatiche,
conseguentemente la AP 6004
vanta il più veloce “barrel time”–
tempo di percorrenza del pallino
all’interno della canna - della sua categoria, favorendo il
tiratore con una “punteria” meno impegnativa e più gestibile
nei tempi, ottenendo inoltre
la massimizzazione della
pressione di sparo.
La particolare lavorazione del legno di noce offre
una impugnatura confortevole dalla superficie porosa
e dall’aderenza ottimale. L’ergonomia di entrambe le
versioni – standard e match - è studiata per garantire
la perfetta stabilità della presa. In particolare nella
versione Match si ha l’impressione di avere una forma
plasmata su misura della propria mano.
La FAS AP 6004 non ha praticamente
concorrenti nel suo settore di mercato: è
l’unica pistola per tiratori professionisti ed
“entry level” che garantisce una performance
di altissimo livello ad un prezzo accessibile
grazie alla struttura semplice ed intuitiva.
Chiappa Firearms ha dunque
un nuovo, entusiasmante
impegno: riportare a nuovi
splendori un mito italiano che
ha lasciato il segno nei campionati mondiali ed olimpici
del tiro da competizione.

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