“Uomini di Dio” di Xavier Beauvois

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“Uomini di Dio” di Xavier Beauvois
Con il patrocinio del
Comune di Bologna –
Quartiere Savena
Approfondimento
bibliografico a cura della
Biblioteca “Ginzburg”
Oratorio Don Bosco
via B. M. Del Monte, 12
40139 BOLOGNA
C.G.S. “Vincenzo Cimatti”
“Cinema e fede”
Tre storie di uomini a confronto con le difficoltà della vita.
1. martedì 5 aprile 2016
2. martedì 12 aprile 2016
3. martedì 19 aprile 2016
“Ida”
“Maternity blues”
“Uomini di Dio”
di Pawel Pawlikowski
di Fabrizio Cattani
di Xavier Beauvois
3
martedì 19 aprile 2016 ore 20:45
verrà proiettato, in sala teatro dell’oratorio, il film
“Uomini di Dio”
di Xavier Beauvois
SCHEDA
titolo
Uomini di Dio (tit. orig.: Des hommes
et des dieux)
distribuito da Lucky Red
Lambert Wilson (Christian de Chergé, il
priore) [dopp. da Angelo Maggi],
Michael Lonsdale (Luc Dochier) [dopp.
da Bruno Alessandro], Olivier
Rabourdin (Christophe Lebreton) [dopp.
da Roberto Pedicini], Philippe
Laudenbach (Célestin Ringeard) [dopp.
da Gianni Giuliano], Jacques Herlin
(Amédée) [dopp. da Valerio Ruggeri],
Loïc Pichon (Jean-Pierre) [dopp. da
Gerolamo Alchieri], Xavier Maly (Michel
Fleury) [dopp. da Oliviero Dinelli], Jeaninterpreti
Marie Frin (Paul Favre-Miville) [dopp.
da Giorgio Lopez], Abdelhafid Metalsi
(Nouredine), Sabrina Ouazani (Rabbia)
[dopp. da Patrizia Burul], Abdellah
Moundy (Omar), Olivier Perrier (Bruno
Lemarchand) [dopp. da Michele
Gammino], Goran Kostic (il
capocantiere croato), Arben
Bajraktaraj (operaio croato), Farid
Larbi (Ali Fayattia) [dopp. da Francesco
Pannofino], Benhaïssa Ahouari (Sidi
Larbi) [dopp. da Dario Penne].
fotografia Caroline Champetier
sceneggiatura Xavier Beauvois; Etienne Comar
regia Xavier Beauvois
produzione Francia, 2010
gen. drammatico
durata 2h 02'
Un monastero in mezzo ai monti del Maghreb, anni '90. Otto monaci
cistercensi francesi vivono serenamente in mezzo alla popolazione
musulmana di un vicino villaggio, aiutando le persone con la medicina e
dando loro ciò che manca e di cui hanno bisogno. Tuttavia, il massacro di un
trama gruppo di operai stranieri porta scompiglio e panico tra gli abitanti del
villaggio. Le autorità locali cercano di dare ai monaci una protezione, ma
costoro rifiutano la proposta e poco tempo dopo ricevono la visita di un
gruppo integralista, capeggiato da Ali Fayattia, che rivendica di essere
l'autore del massacro …
Concorsi e premi
Questo film ha partecipato a:
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36 edizione Académie des arts et techniques du cinéma (César) (2011) concorrendo nell*
categori* migliore attore protagonista (a Lambert Wilson), migliore attore non protagonista
(a Olivier Rabourdin), migliore sceneggiatura originale (a Etienne Comar, Xavier Beauvois),
miglior montaggio (a Marie-Julie Maille), migliori costumi (a Marielle Robaut), migliore
scenografia (a Michel Barthélémy), migliore regia (a Xavier Beauvois) e vincendo nell*
categori* migliore attore non protagonista (a Michael Lonsdale), miglior film (a
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Xavier Beauvois, Pascal Caucheteux, Etienne Comar), migliore fotografia (a
Caroline Champetier);
65 edizione Bodil Awards (2012) concorrendo nell* categori* miglior film non americano
(a Xavier Beauvois);
64 edizione British Academy of Film and Television Arts (2011) concorrendo nell*
categori* miglior film non in lingua inglese;
55 edizione David di Donatello (2011) concorrendo nell* categori* Miglior film dell'Unione
Europea (a Xavier Beauvois);
23 edizione European Film Academy Awards (2010) concorrendo nell* categori* premio
Carlo di Palma al migliore fotografo europeo (a Caroline Champetier), miglior film europeo
(a Xavier Beauvois, Pascal Caucheteux, Etienne Comar);
63 edizione Festival di Cannes (2010) concorrendo nell* categori* Palma d'Oro al miglior
film (a Xavier Beauvois) e vincendo nell* categori* Grand Prix Speciale della Giuria (a
Xavier Beauvois), premio della giuria ecumenica (a Xavier Beauvois);
66 edizione Nastro d'Argento (2011) concorrendo nell* categori* regista del miglior film
europeo (a Xavier Beauvois).
Recensioni.
ACEC
Soggetto: Algeria, 1996. Otto monaci cistercensi francesi vivono da tempo in un
monastero a Tibhirine, tra i monti del Maghreb. Circondati dalla popolazione musulmana,
trascorrono una esistenza serena, dividendo la giornata tra la preghiera, il lavoro nei
campi, l'aiuto offerto con medicinali e generi di vestiario ai più bisognosi che arrivano
anche da luoghi lontani. Tuttavia la conferma di un clima di tensione e di incertezza arriva
alla notizia dell'uccisione di un gruppo di operai stranieri. Da quel momento le minacce
provenienti da un gruppo integralista si fanno veramente serie. Più volte i monaci si
riuniscono per valutare se restare o andare via. La decisione finale é quella di rimanere
laddove la loro missione li ha chiamati. Fino al giorno in cui i terroristi non li prendono e li
portano via sotto la neve. Due riescono a rimanere al monastero. Gli altri non sono più
tornati.
Valutazione Pastorale: Il fatto, come si sa, è realmente accaduto. Anche la lettera che
viene letta nel finale è l'autentico testamento spirituale dettato da padre Christian, il
priore della piccola comunità cistercense. Su una base quindi di preciso realismo, prende
corpo una storia che poi si allontana dalla cronaca o, meglio, ne fa occasione per una
riflessione profonda e alta sull'essenza della vita cristiana, sul rapporto tra dimensione
umana e spirituale, sulla vocazione come apertura ad ogni essere del creato. Rinunciando
a 'mostrare' il momento dell'uccisione, il regista scavalca volutamente l'istintiva reazione
della rabbia e dello sdegno per lanciare una precisa indicazione: non c'è martirio, la fede
dei monaci è in grado di sconfiggere la morte, e il loro sacrificio è tanto più forte quanto
più ha passato tutte le fasi del dubbio e della paura. Sentimenti comuni a chiunque non si
rassegni a vivere in un'ottica di conflitto con l'altro. Nella sua scansione lenta, asciutta, in
certi passaggi solenne, la regia disegna il diario appassionato di una missione senza fine:
testimonianza di vita, cammino verso il Golgota moderno, un fatto vero come un vissuto
di fede, da parte di persone che arrivano da situazioni differenti. Un cinema che parla al
cuore, anche attraverso immagini abitate non da effetti speciali ma da un antico,
attualissimo silenzio. Per questi motivi, il film, dal punto di vista pastorale, è da valutare
come raccomandabile, nell'insieme poetico e adatto per dibattiti.
Valerio Caprara (“Il Mattino”, 22 ottobre 2010)
Non siamo succubi dei film che si pretendono metaforici e metafisici (magari sonnolenti)
solo per intimidire lo spettatore. Sarà dunque più facile crederci se consideriamo
straordinario Uomini di Dio, film arduo e austero, tessuto di vibrante spiritualità e
cadenzato dai silenzi, preghiere, canti e umili lavori quotidiani di una comunità di monaci.
Il francese Xavier Beauvois (Nord, Non dimenticarti che stai per morire) non appartiene
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alla schiera dei registi snob e il suo è un segno stilistico limpido, un tentativo sincero e
appassionato d'illuminare in termini storici e universali alcuni dei tragici conflitti che
dilaniano la convivenza degli uomini con gli altri uomini. Ambientato a metà anni '60, nel
clou di uno dei più feroci scontri tra governo algerino e terrorismo islamico, il film rievoca
i tre anni precedenti la strage del monastero di Tibhirine, quando i trappisti che si erano
rifiutati di lasciare il paese in preda alla violenza furono rapiti e quasi tutti massacrati
(furono ritrovate solo sette teste mozzate). Questi santi uomini abituati a praticare la più
operosa e solidale fraternità con gli abitanti musulmani del villaggio diventeranno martiri
senza esibire fanatismo, mantenendo salda e nello stesso tempo semplice, naturale la
loro fede a dispetto della faida interreligiosa e contro qualsiasi opzione integralista. Un
peso decisivo che fa pendere la bilancia del film verso la tradizione francese dei Bresson e
Pialat lo assumono le recitazioni: capeggiati dal padre Christian di Lambert Wilson e il
padre Luc di Michael Lonsdale gli attori conferiscono ai religiosi una gamma affascinante
di prerogative umane (paura, solitudine, vecchiaia, malattia, scetticismo) in grado, però,
di nutrire al massimo grado la percezione del Divino. Il metodo di Beauvois esclude la
morbosità e, anziché i dettagli dell'eccidio (ancora avvolti dal sospetto di coinvolgimento
dei servizi segreti governativi), mostra gli ostaggi che marciano verso le montagne
mentre le candide tonache si dissolvono nella coltre di neve. Ed è icastica come in un
western la battuta-epigrafe di Wilson «Non temo la morte, sono un uomo libero».
Alberto Crespi (“L’Unità”, 22 ottobre 2010)
C'è un paragone che incombe su Uomini di Dio , ed è quello con il celebre
documentario Il grande silenzio di Philip Groning. Un paragone letale al box-office, perché
non sono poi molti gli spettatori disposti ad entrare metaforicamente in convento per
tutta la durata di un film. Ebbene, Uomini di Dio non è un documentario, e non è un film
punitivo. È un apologo civile e religioso in forma di film, girato con un pudore degno di
Robert Bresson, ma anche con una tensione emotiva e narrativa degna, qua e là, di un
thriller. Se un titolo classico torna alla memoria, è Missione in Manciuria, opera ultima e
altissima di John Ford. Là in scena c'erano 7 donne (7 Women era il titolo originale), qui
ci sono 8 uomini. Un passo indietro. Uomini di Dio ha vinto, con il titolo originale Des
hommes et des dieux (alla lettera «di uomini e di dei»), il Gran Premio della giuria
all'ultimo festival di Cannes. Avrebbe meritato la Palma d'oro, inopinatamente regalata al
filmthailandese Lo zio Bounmee uscito in Italia lo scorso weekend, ma questa è un'altra
storia. Rappresenterà la Francia all'Oscar. È diretto da Xavier Beauvois, regista originale e
anomalo, spesso attivo anche come attore, pochissimo conosciuto in Italia. Racconta un
episodio storico: nel 1996 alcuni monaci francesi, che servivano Dio e gli uomini in un
monastero a Thibirine, sull'Atlante algerino, vennero uccisi da un commando di terroristi
islamici. Messa così, potrebbe sembrare un instant movie, un film-verità su un fatto di
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cronaca sulla falsariga dell'hollywoodiano Fair Game del quale parliamo, molto
brevemente, qui sopra. Niente di tutto questo. Xavier Beauvois non è un cineasta capace
di far film sull'onda emotiva
di un evento. Tale onda
deve
sedimentare,
diventare riflessione, farsi
messinscena. Dopo una
lunga
elaborazione,
la
storia
dei
martiri
di
Thibirine diventa una storia
a molti livelli. Il primo
livello è apparentemente
documentaristico. Beauvois
ci porta dentro il monastero
e ci fa condividere la
quotidianità dei monaci.
Che è fatta di preghiere e di
canti (musiche stupende),
ma anche di colazioni
mattutine e di pranzi molto parchi, di piccole ripicche e di innocenti gelosie. Sono 8
uomini, in fondo, prima che 8 monaci. Li capeggia padre Cristian (Lambert Wilson), ma è
forte l'autorità morale di padre Luc (Michel Lonsdale): sono loro i leader di questa
«famiglia». Una volta che gli spettatori si sono insediati nel convento, Beauvois ci
racconta il contesto: fuori dalle mura c'è un villaggio dell'Atlante, povero e rigorosamente
musulmano. E qui c'è la prima sorpresa: il convento è perfettamente integrato nella
comunità che lo circonda. Uno dei monaci è un medico e tutti i paesani, uomini donne e
ragazzi, si fanno volentieri curare da lui. INTOLLERANZA E POLITICA Pur nella differenza
religiosa, i monaci detengono nel villaggio un'autorità ancora più alta, fatta di umanità e
di rispetto. Ma tutt'intorno al villaggio c'è l'Algeria, e alla metà degli anni '90 la situazione
politica precipita e anche il convento viene investito dall'intolleranza. «Guerrieri» islamici
armati fino ai denti cominciano a visitare periodicamente i monaci, minacciandoli,
tentando di impedir loro qualsiasi contatto con la popolazione. Da religioso e morale, il
film si fa politico. E la domanda, per i monaci, è: rimanere e lottare – con le armi della
preghiera, s'intende – o fuggire? Il finale è quello
che sappiamo, ma il modo in cui Beauvois lo gira
è mirabile. Uomini di Dio è una toccante
riflessione su come la religione possa, da fonte
d'amore, trasformarsi in odio. Il titolo italiano è
paradossalmente illuminante: sono uomini di Dio
i monaci, ma si credono uomini di Dio anche i
terroristi che li uccidono. Sono sempre gli uomini
a far parlare gli dei in base ai loro desideri, alla
loro bontà o alla loro crudeltà. Sono gli uomini a
decidere, a fare la storia. Gli dei hanno altro a cui
pensare.
Giancarlo Zappoli (MyMovies.it)
1996. Algeria. Una comunità di monaci
benedettini opera in un piccolo monastero in
favore della popolazione locale aderendo all'antica
regola dell'"Ora et Labora". Il rispetto reciproco
tra loro, che prestano anche assistenza medica, e
la popolazione locale di fede musulmana è
palpabile. Fino a quando la minaccia del
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terrorismo fondamentalista comincia a farsi pressante. Christian, l'abate eletto dalla
comunità, decide di rifiutare la presenza dell'esercito a difesa del monastero non senza
trovare qualche voce discorde tra i confratelli. Una notte un gruppo armato fa irruzione
nel convento chiedendo che si vada ad assistere due terroristi feriti. Dinanzi al diniego
vengono chieste medicine che vengono rifiutate perché scarse e necessarie per
l'assistenza ai più deboli. Il gruppo abbandona il convento ma da quel momento il rischio
per i monaci si fa evidente.
Xavier Beauvois porta sullo schermo il sacrificio di sette monaci francesi che nel
marzo 1996 vennero sequestrati da un gruppo armato della Jihad islamica e le cui teste
vennero ritrovate il 30 maggio di quello stesso anno. Documenti ritrovati di recente
coinvolgono le forze armate algerine nel tragico esito finale del sequestro.
Non era facile trovare la cifra stilistica giusta
per raccontare la vita e il progressivo avvicinarsi
alla morte di questi religiosi facendoli restare degli
uomini e non trasformandoli agiograficamente in
martiri quali poi sarebbero divenuti. Beauvois, pur
con una certa piattezza per quanto attiene al
linguaggio cinematografico, ci è riuscito sul piano
della sceneggiatura che ritma lo scorrere del
tempo grazie al succedersi delle celebrazioni e
delle preghiere e canti comunitari. A questi si
alternano le vicende esterne e interne al luogo
sacro con la messa in luce di tutte le convinzioni
ma anche di tutte le incertezze e debolezze dei
monaci. Il film riesce a far emergere al contempo
le singole individualità così come la tenuta
complessiva di un gruppo animato da una fede
che non si trasforma in esclusione ma che vuole,
fino all'ultimo, tradursi in atti di condivisione sia
all'interno che all'esterno. In un mondo distratto
dal succedersi di eccidi e manipolato da una
propaganda che vuole assimilare Islam e
terrorismo fondamentalista, ricordare questo
sacrificio non significa riaccendere la polemica ma
piuttosto il contrario. Uomini e dei possono
incontrarsi, conoscersi e rispettarsi a vicenda.
Nonostante tutto.
Arrivederci a martedì 3 maggio
per vedere, al circolo ARCI Benassi,
“Il divo” di Paolo Sorrentino.
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C.G.S. “Vincenzo Cimatti” – presso Oratorio San Giovanni Bosco
via Bartolomeo M. dal Monte 14, 40139 Bologna tel.051467939
sito web: http://www.donbosco-bo.it
e-mail: : [email protected]