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CONVEGNO INDICAM: “Domain names: opportunità per le imprese, conflittualità nel
sistema” - Milano, 23 maggio 2001 -
Stefania Calvello
LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI SEGNI DISTINTIVI SU INTERNET
A seguito della diffusione di Internet e del suo crescente utilizzo non più solamente per finalità di
semplice scambio di informazioni -come si è verificato all’ origine del fenomeno Internet- ma anche
e soprattutto per finalità prettamente commerciali volte alla promozione delle imprese a livello
“globale” ed alle connesse attività di commercio elettronico uno dei principali problemi che si e’
manifestato e’ stato proprio quello della tutela dei diritti di proprietà intellettuale ed industriale.
In particolare, quanto alla tutela dei segni distintivi, le principali problematiche che si sono
verificate sono state quelle relative all’ utilizzo dei cc.dd. “ Domain Names”.
Come noto, infatti, chi intende operare su Internet deve anzitutto collegare il proprio computer alla
rete, chiedendo l’ assegnazione di un “indirizzo Internet” ossia di un codice di identificazione, c.d.
IP, acronimo di Internet Protocol.
Questo indirizzo e’ un numero a 32 bit, rappresentato da quattro serie di numeri composti da tre
cifre e separati da un punto, che identifica in modo univoco il computer permettendogli così di
comunicare in rete con gli altri computers ad essa già collegati.
Nel corso del tempo, e, soprattutto, a seguito della diffusione dell’ utilizzo di Internet per finalità
commerciali, per poter facilitare l’ accesso ai vari computers connessi alla rete si è deciso di
associare al numero IP, per sua natura difficilmente memorizzabile, un indirizzo telematico
alfabetico o alfanumerico, il c.d. “Domain Name”.
Il Domain Name, quindi, non è altro che un indirizzo telematico, costituito da nomi, parole, numeri
o loro combinazioni, che, attraverso un apposito software, e’ automaticamente convertito nell’
indirizzo IP corrispondente, l’ unico linguaggio comprensibile da parte dell’ elaboratore.
Proprio per la funzione tecnica che e’ diretto ad assolvere, il Domain Name è subordinato al rispetto
di precise regole tecniche che ne limitano l’ utilizzo: deve, per esempio, avere un numero limitato di
caratteri, può essere costituito solo da lettere dello stesso carattere e non può essere caratterizzato da
elementi cromatici o da particolari segni grafici.
Le parti che compongono il Domain Name sono essenzialmente due: il c.d. Top Level Domain
(“TLD”), il suffisso che e’ apposto all’ estrema destra dell’ indirizzo Internet, che e’ indisponibile e
puo’ essere geografico- c.d. country code Top Level Domain (“ccTLD”)- quando e’ atto ad
identificare la nazione dell’ autorità che ha registrato tale indirizzo, (ad es.: .it, .fr, .de), o tematico
– c.d. generic Top Level Domain (“gTLD”) – quando e’ atto ad identificare invece il tema del
dominio (ad es.: .com per le attività commerciali, .org per le associazioni no profit, .edu per le
università e gli istituti di ricerca etc.) e il c.d. Second Level Domain (“SLD”), posto a sinistra del
TLD, che rappresenta l’ elemento individualizzante del Domain Name, scelto dal singolo utente.
Il Domain Name può essere costituito da più sottodomini, separati da un punto, e non e’ richiesto
che debba essere corrispondente al contenuto effettivo del sito, anzi, a volte, il Domain Name viene
utilizzato come reindirizzamento ad un altro sito.
Ciò che da un punto di vista tecnico va rilevato e’ che, per il funzionamento della rete, il Domain
Name è (e deve essere) unico, nel senso che un server può essere identificato da un solo Domain
Name non potendo coesistere nella rete Domain Names identici e, pertanto, uno stesso nome può
essere assegnato ad un unico richiedente secondo il principio del first come, first served, in base al
quale i Domain Names vengono assegnati a chi per primo li richiede, secondo un criterio
cronologico.
Va infine tenuto conto che il Domain Name ha una dimensione “globale”, nel senso che il sito
corrispondente al relativo nome di dominio, sia esso .it, .fr., .uk e’ comunque visibile a livello
mondiale, da qualsiasi parte ci si colleghi.
Cio’ crea non pochi problemi in tema di diritto dei marchi e dei segni distintivi, retti dal principio
della territorialità, con riguardo alla risoluzione degli eventuali conflitti.
In sintesi, volendo riassumere le caratteristiche del Domain Name si può affermare che il Domain
Name e’:
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scelto liberamente dall’ utente (limitatamente al SLD);
unico: non può essere identico ad altro indirizzo della stessa specie;
graficamente limitato;
non vincolato al principio di specialità;
“globale”.
Sulla base delle caratteristiche sopra elencate, la giurisprudenza e la dottrina si sono interrogate
relativamente alla qualificazione giuridica del Domain Name, analizzando se lo stesso svolga o
meno, alla pari del marchio e dei segni distintivi d’ impresa, una funzione distintiva.
La qualificazione riveste una notevole importanza dal punto di vista pratico: infatti solo attribuendo
al Domain Name un valore distintivo e’ possibile fare fronte a quelle ipotesi di conflitto tra
marchio/segno distintivo e Domain Name, che spesso si verificano.
Al riguardo, va segnalata una recente ordinanza del Tribunale di Firenze del 29 giugno 2000 resa
nel caso Sabena S.A. c. A&A di Castellani Alessio (a cui ha fatto seguito un’ altra ordinanza,
sostanzialmente conforme alla precedente, emessa dal medesimo Tribunale, in data 23 novembre
2000, nel caso Blaupunkt c. Nessos) che, in conformità con una delle prime pronunce in materia di
Internet e nomi a dominio emessa dal Tribunale di Bari (24 Luglio 1996 caso Teseo s.p.a. c. Teseo
Internet Provider s.r.l.) ha affermato, in contrapposizione con l’ orientamento oramai consolidatosi
sia in seno alla dottrina che alla giurisprudenza, che il Domain Name è privo di valenza distintiva e
deve essere considerato come un mero indirizzo.
Secondo il Tribunale di Firenze, infatti, il Domain Name serve a raggiungere un determinato sito,
“non diversamente da quanto avviene raggiungendo un certo numero civico di una certa via per
andare a trovare qualcuno o comporre un numero di telefono per parlare con una data
persona”..“In sostanza, la corrispondenza marchio-dominio non è un valore assoluto e,
soprattutto, non è un principio positivamente sancito nel nostro ordinamento…”. Dunque, secondo
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il Giudice fiorentino, “gli aspetti operativi, tecnici e logici propri del Domain Name System
prevalgono sull’ utilità che la singola impresa può ricavare dalla corrispondenza nome-dominio;
aspetti operativi, tecnici e logici che assimilano più il Domain Name ad un indirizzo che ad un
segno identificativo di un soggetto”.
Va, peraltro, evidenziato che tale pronuncia è stata diffusamente criticata, e ciò proprio per il fatto
che, come sopra riferito, la parte significativa ed individualizzante del Domain Name (ossia il SLD)
non viene imposta autoritariamente dalla Registration Authority, alla stessa stregua di un indirizzo
civico o di un numero di telefono, ma viene liberamente scelta dall’ interessato.
L’ orientamento dottrinale e giurisprudenziale prevalente afferma infatti che il Domain Name ha
anche funzione distintiva.
In uno dei primi casi, il Tribunale di Milano (cfr. ord. 10 giugno 1997 resa nel caso Amadeus
Marketing SA e Amadeus Marketing Italia s.r.l. c. Logica s.r.l in cui le società ricorrenti, operanti
nel settore turistico, lamentavano la contraffazione del proprio marchio “Amadeus” e la
concorrenza sleale commessa dalla Logica s.r.l. a causa dell’ utilizzo da parte di quest’ ultima del
Domain Name “amadeus.it” relativo al proprio sito attraverso il quale era (anche) possibile accedere
a servizi di prenotazione viaggi e soggiorni turistici) ha attribuito una valenza distintiva al Domain
Name così argomentando “non sembra fondatamente contestabile che il Domain Name nella specie
assuma anche un carattere distintivo dell’ utilizzazione del sito – atto a concorrere all’
identificazione del medesimo e dei servizi commerciali da esso offerti al pubblico a mezzo dell’
interconnessione di reti (Internet) – con qualche apparente affinità alla figura dell’ insegna , in
quanto luogo (virtuale) ove l’ imprenditore contatta il cliente fino a concludere con esso il
contratto”.
Questa impostazione è stata poi seguita dalla varia giurisprudenza nel frattempo pronunciatasi
relativamente a casi di conflitto tra segni distintivi e Domain Names: cfr. ad es. Trib. Reggio Emilia
30 maggio 2000 nel caso Concorso Nazionale Miss Italia c. Ruozzi Stefano Comunicazione che ha
affermato che “i Domain Names non possono ritenersi semplici indirizzi, ma, assolvendo ad una
funzione distintiva dell’ utilizzatore del sito (nel senso che concorrono all’ identificazione del
medesimo e dei prodotti e servizi commerciali offerti al pubblico a mezzo di interconnessione di
reti) sono veri e propri segni distintivi dell’ impresa” . Vanno anche menzionate due ordinanze del
Tribunale di Modena, e, in particolare:
- l’ ord. del Trib. Modena del 28 Luglio 2000 resa nel caso Poste Italiane S.p.A. c. Got.it s.r.l.
che, successivamente alla sopra riferita ordinanza del Tribunale di Firenze ed avendone, nell’
ambito del proprio provvedimento, riferito i contenuti, ha ritenuto che il Domain Name, ai fini
della sua qualificazione, non possa ricevere una risposta univoca. Secondo il Tribunale, infatti,
“il nome del sito a seconda delle circostanze del caso, potrà essere un mero indirizzo o numero
di telefono informatico (per quanto scelto capricciosamente dall’ utente), individuativo di un
dato hardware della rete, oppure in relazione al contenuto ed alla configurazione del sito,
potrà, invece, avere un senso applicare la normativa sui marchi equiparandolo ad un marchio
di impresa”. Va, comunque, precisato che il Tribunale, nel caso oggetto del procedimento,
tenuto conto delle circostanze di fatto, ha ritenuto di qualificare il Domain Name contestato (si
trattava del Domain Name “bancoposta.it”) come “segno distintivo del prodotto o del servizio
fornito dall’ impresa”;
- l’ ord. del Trib. di Modena del 1 agosto 2000 resa nel caso Data Service c. Ascom Servizi che ha
ulteriormente ribadito che “Tale teoria (ossia quella formulata dal Trib. di Firenze che
attribuisce al Domain Name natura di mero indirizzo) non può essere condivisa per la semplice
considerazione che l’ elemento qualificante del DNS – ovvero il second level domain – viene ad
essere stabilito dall’ utente ed ha quindi ben poco in comune con l’ indirizzo, che certo non è
oggetto di scelta. In realtà non può seriamente dubitarsi dell’ appartenenza del Domain Name
alla categoria dei segni distintivi, di cui possiede tutte le caratteristiche peculiari, vale a dire la
natura di rappresentazione grafica (nella specie denominativa) prescelta dal titolare allo scopo
di far riconoscere la propria attività rispetto agli altri”.
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Sempre relativamente a tale tema, merita di essere segnalata anche la recente ordinanza del
Tribunale di Cagliari, resa in sede di reclamo, in data 23 dicembre 2000 nel caso Tiscali c.
Mercialis, in cui l’ organo giudicante ha messo in evidenza alcuni punti che rivestono particolare
importanza ai fini della qualificazione giuridica del Domain Name. In tale caso infatti, il Tribunale
di Cagliari ha precisato: “L’ organizzazione della rete che prevede l’ accesso di utenti/clienti ai siti
ed alle relative pagine web rende valutabile in termini commerciali l’ utilizzo di un dominio
corrispondente ad un marchio o ad un segno distintivo: il dominio assurge – in ambito virtuale – ad
elemento distintivo atipico dell’ imprenditore che opera nella rete, in quanto rappresenta la strada
per realizzare una connessione con una pagina web la quale, a sua volta, è un ambiente in cui il
possibile consumatore incontra la domanda accedendo ai servizi che l’ imprenditore immette in
rete” “Il Domain Name è quindi un indirizzo elettronico, ma non solo questo;… viene in
considerazione la sua caratteristica di strumento commerciale volto a favorire l’ incontro tra una
domanda ed un’ offerta all’ interno della rete” L’ unicità del Domain Name “per un verso
rappresenta un limite tecnico della rete e, per altro verso, accentua l’ importanza commerciale del
dominio stesso allorché esso coincide con un marchio. Pare al collegio superfluo sottolineare i
vantaggi per un imprenditore di disporre di un Domain Name corrispondente al proprio marchio,
soluzione che non è solo una comodità ma può divenire una precisa necessità commerciale”. “Non
può condividersi pertanto l’ idea espressa dal reclamante per cui la Rete sarebbe una zona franca
in cui non potrebbero trovare applicazione le regole proprie che disciplinano i rapporti tra gli
imprenditori. Al contrario, ed in assenza di specifiche regole di settore, occorre reperire nella
normativa esistente – e non solo quella sulla concorrenza sleale o sui segni distintivi – i principi
che devono necessariamente disciplinare i rapporti commerciali anche all’ interno della Rete”
“Ragionare diversamente …. significherebbe sostenere che esiste una dimensione economica “di
frontiera” priva di regole diverse da quelle dettate (palesemente ad altri fini) come ad esempio
quella del first come, first served, che lungi dall’ avere una finalità di regolamentazione dei
rapporti commerciali tra gli imprenditori con riguardo all' assegnazione dei nomi a dominio, serve
solo a preservare il sistema dal rischio di omonimie”.
Segnalo infine anche la recentissima ordinanza emessa dal Tribunale di Siracusa, Sezione distaccata
di Lentini, in data 23 marzo 2001, nel caso Gestel S.r.l c. Euro Data Engineering S.r.l. che contiene
importanti spunti, utili ai fini della qualificazione giuridica del Domain Name.
Il Tribunale, infatti, fonda la propria critica all’ orientamento sostenuto dal Tribunale di Firenze
nelle sopraccitate ordinanze, sulle seguenti argomentazioni:
a)“il termine "segno" di cui all'art. 1 della Legge Marchi risulta utilizzato dal legislatore con
un significato talmente ampio da potervi senz'altro ricomprendere qualsiasi espressione grafica
o fonetica (anche se composta esclusivamente da lettere e numeri) preordinata alla
individuazione di una attività di impresa;
b) infondata deve reputarsi, inoltre, l'idea secondo la quale il marchio (a differenza del domain
name) tenderebbe unicamente a tutelare il prodotto di una impresa: e ciò per la semplice
considerazione che, accanto al "marchio di prodotto", esiste altresì il c.d. " marchio di servizio"
(qual è quello in argomento), caratterizzato dal fatto di non essere - di norma - supportato da
alcun prodotto, trovando concreto utilizzo prevalentemente in pubblicità;
c) va poi evidenziato che la possibilità di individuare posizioni giuridiche soggettive meritevoli
di tutela sussiste pur nell'ipotesi in cui si sostenga che la denominazione del sito equivalga ad
un semplice indirizzo. Non può, difatti, ragionevolmente disconoscersi che l'avvalersi nella rete
Internet di un "indirizzo" già utilizzato legittimamente da terzi per contraddistinguere la
propria impresa riveste i caratteri di un comportamento idoneo ad ingenerare confusione
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presso gli utenti. E' in altri termini, indiscutibile che l'utilizzo come domain name di un marchio
in precedenza registrato da altri viola i diritti del titolare di quel marchio perché comporta
l'immediato vantaggio di ricollegare la propria attività a quella del titolare del marchio stesso,
sfruttando la notorietà del segno e ricavandone un indebito vantaggio.
Basti considerare, in proposito, l'ipotesi in cui il nome di dominio venga pubblicato (come
sovente accade) tramite inserzione sui giornali o mediante la divulgazione di depliant: in questo
caso, l'utente (esperto o inesperto che sia) ben può determinarsi a digitare quell'indirizzo nella
ragionevole aspettativa di raggiungere, per mezzo del medesimo, l'impresa apparentemente
contraddistinta da esso.
D'altra parte, l'art. 1 del R.D. n. 929/42, dopo aver previsto che "i diritti del titolare del
marchio di impresa registrato consistono nella facoltà di far uso esclusivo del marchio",
precisa che il titolare del marchio può comunque utilizzare il segno "nella corrispondenza e
nella pubblicità" e quindi anche nella rete Internet, all'interno di un sito o come domain name .
Deve, pertanto, ritenersi che l'adozione del marchio come nome di dominio rientri nelle
prerogative del titolare”.
Si segnala infine che un orientamento in tale direzione si ricava anche dai documenti recentemente
emanati dal Parlamento e dalla Commissione Europea, in materia di organizzazione e gestione di
Internet e di nome di dominio .EU, laddove si evidenzia il favore di tali Autorità alla risoluzione dei
conflitti fra marchi e nomi di dominio ed alla lotta contro i fenomeni di cybersquatting.
Il fatto poi di ascrivere il Domain Name alla disciplina del marchio, della ditta o dell’ insegna, come
peraltro proposto da parte della giurisprudenza e della dottrina, è scarsamente rilevante, stante l’
esistenza nella nostra Legge Marchi del c.d. principio di unitarietà dei segni distintivi previsto dall’
art. 13, secondo il quale e’ riconosciuta tutela in ogni caso di conflitto tra segni distintivi,
indipendentemente dalla loro specifica qualificazione.
Occorre ora occuparsi dei casi di conflitto tra marchi e Domain Names.
Al riguardo, preliminarmente, va operata una distinzione tra i casi che hanno ad oggetto marchi non
rinomati da quelli che invece hanno ad oggetto marchi rinomati.
Connesso ai marchi non rinomati e’ il c.d. principio di specialità o relatività della tutela, nel senso
che al marchio non rinomato e’ riconosciuta tutela solo nei limiti dei beni da esso contrassegnati o
comunque di beni affini, e dunque nelle situazioni in cui si produca un rischio di confusione per il
pubblico quanto all’ origine imprenditoriale dei beni.
Pertanto, in un’ ipotesi di conflitto tra un marchio non rinomato ed un Domain Name, ciò che rileva
ai fini del riconoscimento della tutela e’:
- che vi sia una identità fra i segni e fra i prodotti o i servizi; oppure
- che vi sia una identità o somiglianza fra i segni; e
- che vi sia una identità o affinità tra i prodotti o i servizi, tale da determinare un rischio di
confusione per il pubblico.
Ne consegue pertanto, in tale seconda ipotesi, che laddove non sia ravvisabile un rischio di
confusione per il pubblico, non sarà possibile al titolare del marchio far valere i propri diritti legati
all’ anteriorità del proprio segno rispetto al Domain Name da altri successivamente registrato.
Significativo, al riguardo, e’ stato il caso Carpoint S.p.A. c. Microsoft Corp. deciso dal Tribunale di
Roma in data 2 febbraio 2000 e, in sede di reclamo, in data 9 marzo 2000, in relazione al conflitto
insorto tra la società Carpoint S.p.A., concessionaria per l’ Italia di autovetture Ford e pertanto
operante nella vendita di autoveicoli, titolare il marchio “Carpoint” e del nome di dominio
“Carpoint.it” e la Microsoft Corp., titolare del Domain Name “carpoint.msn.com” – “msn”
identifica la rete Microsoft (“Microsoft Network”) – che utilizzava in relazione ad un sito web
attraverso il quale svolgeva attività di intermediazione nella vendita di autoveicoli.
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Nella seconda ordinanza, resa in sede di reclamo, il Tribunale ha escluso, nonostante la indubbia
affinità tra i prodotti o servizi, che potesse determinarsi un rischio di confusione tra i consumatori, e
ciò, in considerazione, sostanzialmente, del diverso ambito geografico di operatività delle due
società. Il Tribunale, infatti, in proposito, ha affermato “premesso che, secondo giurisprudenza
costante la valutazione della confondibilità deve tenere conto della capacità di discernimento
media dei consumatori, è da escludere che i destinatari dei servizi e prodotti di Carpoint italiana
possano confondere il sito Carpoint della Microsoft, sì da ritenerlo come appartenente alla società
italiana (o emanazione di questa)”, atteso che, nel caso in questione, il sito della Microsoft era
interamente in lingua inglese ed offriva quindi servizi che erano rivolti ai cittadini statunitensi .
Diverso discorso invece va fatto relativamente al marchio che gode di rinomanza.
Al marchio che gode di rinomanza, la nostra Legge Marchi, infatti, a seguito del recepimento della
Direttiva CE 89/104 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi
di impresa, riconosce una tutela ulteriore, c.d. “ultramerceologica”, che consente al titolare del
marchio rinomato di vietare l’ uso di un segno identico o simile, anche per prodotti o servizi non
affini, se ciò consente al terzo di trarre un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla
rinomanza del marchio o, comunque, gli arreca pregiudizio.
Interessanti in proposito sono stati i casi “Peugeot” e “Miss Italia” decisi rispettivamente dalla
Pretura di Valdagno e dal Tribunale di Vicenza, con ordinanze rese in data 27 maggio 1998 e 6
luglio 1998, e dal Trib. di Reggio Emilia, con un’ ordinanza resa in data 30 maggio 2000.
Il primo caso ha riguardato una controversia insorta tra la nota casa automobilistica “Peugeot” ed
una società operante nel settore dell’ informatica che aveva chiesto ed ottenuto dalla competente
Registration Authority il Domain Name “Peugeot.it”. Nell’ ambito delle ordinanze riferite a tale
caso i giudici hanno fissato alcuni principi importanti:
- in primo luogo hanno affermato una sostanziale equiparazione della c.d. realta’ virtuale a quella
tradizionale, arrivando così a ritenere applicabili ai fini della tutela dei segni distintivi su Internet la
disciplina legislativa a ciò preordinata: nella ordinanza emessa in sede di reclamo è stato infatti
precisato che “Internet è uno strumento informatico e telematico di comunicazione tra soggetti,
volto allo scambio di dati, informazioni, richieste e prestazioni”. “Lo stesso costituisce un nuovo
veicolo di pubblicità, ove il titolare del sito rende note in forma standard o rispondendo a
sollecitazioni della controparte interessata (il navigatore) le informazioni sul prodotto offerto”.
“Non è prevista alcuna disciplina autoritativa che interferisca con le norme che tutelano la
proprietà industriale o le opere dell’ ingegno” . “Vi sono regole che disciplinano l’ attività su
Internet ma non sono dotate di alcuna forza normativa: esse sono mere regole di natura
privatistica”. “La tutela del proprio marchio su Internet, pertanto, rimane legata alla normale
disciplina legislativa, interna ed internazionale”.
- in secondo luogo, nel riconoscere la rinomanza del marchio “Peugeot”, hanno statuito che l’ uso
di un marchio che gode di rinomanza come Domain Name o all’ interno di un sito Internet, anche
per prodotti o servizi non affini viola i diritti del titolare del marchio in quanto “…comporta l’
immediato vantaggio di ricollegare la propria attività a quella del gruppo francese, sfruttando la
buona fama da questo goduta. Vantaggio che è sicuramente indebito attesa la mancanza di
autorizzazione e smaccatamente parassitario” “Oltre a ciò sussiste sicuramente, pur come rovescio
della stessa medaglia, il pericolo di pregiudizio per il titolare del marchio celebre, che vede il suo
nome associato a servizi o a prodotti non da lui provenienti, che ben possono essere di scarso
valore, tale da indurre a ritenere nel pubblico che la casa non sia più all’ altezza delle sue
tradizioni e rinomanza”.
Quanto, invece, alla controversia decisa dal Tribunale di Reggio Emilia, questa ha riguardato un
caso di conflitto verificatosi tra il marchio “Concorso Nazionale Miss Italia” e i Domain Names
“missitalia.net” “miss-italia.org”, “miss-italia.com” “missitalia.net, “missitalia.org” e
“missitalia.com” assegnati ad un soggetto che si proponeva di utilizzare tali nomi di dominio per
vendere in rete prodotti alimentari italiani. Anche in tale controversia il giudice, dopo aver
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riconosciuto l’ alta rinomanza del marchio “Concorso Nazionale Miss Italia”, ha affermato che “l’
utilizzo dei Domain Names oggetto di contestazione costituisce, essendo tale da consentire di trarre
indebitamente vantaggio dal carattere distintivo e dalla capacità attrattiva del marchio, violazione
del diritto della ricorrente a prescindere dal settore merceologico dell’ attività del convenuto” e
che “pur essendo i nomi di dominio non ancora attivati, si è in presenza di un’ attività chiaramente
preordinata all’ utilizzazione degli indirizzi per l’ esercizio di un’ attività commerciale” “nella
registrazione dei nomi di dominio simili al marchio …è ravvisabile l’ approntamento …di mezzi
univocamente finalizzati ad una condotta costituente violazione del diritto al marchio della Miss
Italia S.r.l.”.
Come e’ possibile notare, in tali casi il ruolo del titolare del marchio rinomato risulta per così dire
facilitato, non essendo richiesta la sussistenza del rischio di confusione dovuta all’ affinità dei
prodotti o servizi. Ciò a cui tuttavia bisogna prestare attenzione e’ la rinomanza del marchio, non
essendo altrimenti possibile beneficiare di un allargamento della tutela oltre i confini del principio
di specialità.
Al riguardo, va segnalata una recente sentenza della Corte di Giustizia CE (C-375/1997 caso
General Motors Corp. V. Yplon SA) che ha statuito che “l’ art. 5.2 della Direttiva deve essere
interpretato nel senso che per poter beneficiare di una tutela ampliata a prodotti e servizi non
simili, un marchio d’ impresa registrato deve essere conosciuto da una parte significativa del
pubblico interessato ai prodotti o servizi da esso contraddistinti,… in una parte sostanziale del
territorio dello Stato”.
Riassumendo, prima di intraprendere un’ azione a tutela del marchio nell’ ipotesi in cui tale segno
sia identico o simile ad un Domain Name assegnato a terzi, e’ necessario preliminarmente accertare:
- che vi sia una identità fra segni e fra prodotti o servizi o una identità o somiglianza tra segni e una
identità od affinità tra i prodotti/servizi, tanto che vi possa essere un pericolo di confusione (ciò per
il marchio non rinomato);
- che il marchio che si ritiene violato sia valido, e che quindi possegga tutti i requisiti previsti dalla
legge per la sua validità; va menzionata a questo riguardo una recente ordinanza del Tribunale di
Modena nel caso Poste Italiane S.p.A. c. Malavasi in cui il Giudice ha rigettato il ricorso delle Poste
Italiane non ritenendo tutelabili, in quanto privi di capacità distintiva, i marchi “bancoposta”,
“raccomandata” e “vaglia”. Il Tribunale, infatti, ha qualificato i marchi delle Poste Italiane come
“espressioni generiche, di uso ormai corrente, indicative di servizi o prestazioni di per sé privi di
capacità individualizzante e distintiva del fornitore di essi” e ciò anche in considerazione di quanto
disposto dall’ art. 18, lett. b, Legge Marchi che espressamente vieta di rendere oggetto di marchio d’
impresa i segni costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di servizi o prodotti o da
indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono. Per completezza, va tuttavia precisato che
successivamente in data 23 agosto 2000 lo stesso Tribunale in sede di reclamo ha poi sovvertito la
precedente decisione resa in seguito al ricorso ritenendo i nomi oggetto della controversia
comunque identificativi di un servizio offerto in esclusiva dagli uffici postali, in forza della
concessione ottenuta con il D.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 e così argomentando: “la attribuzione
…del carattere di segno distintivo di un servizio non si pone in contrasto con la disciplina di cui
all’ art. 18, n. 2, Legge Marchi, finalizzata ad impedire che termini di uso comune siano
monopolizzati da un unico operatore economico, non costituendo tali termini denominazioni
generiche di un prodotto suscettibile di essere fornito alla generalità dei consociati da parte di
qualunque imprenditore”;
-se il marchio per cui si intende agire sia un marchio debole o forte: cio’ infatti incide sulla
ampiezza della tutela. Numerose sono state infatti le decisioni in cui è stata valutata la natura debole
o forte del segno. Nella sopra riferita ordinanza emessa dal Trib. di Roma il 9 marzo 2000 nel caso
Carpoint S.p.A. c. Microsoft Corp. il Tribunale, oltre alle considerazioni sopra citate, ha rigettato la
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richiesta di tutela formulata dalla Carpoint e ciò anche in considerazione della ascrivibilità della
espressione “Carpoint” alla categoria dei marchi deboli. Il Tribunale infatti ha così argomentato:
“…la denominazione Carpoint (“punto auto” in inglese) adottata dalla società reclamante e
utilizzata da Microsoft per il sito web, è peraltro in diretta aderenza concettuale con l’ attività cui
inerisce, per cui deve ritenersi rientrare nella categoria dei marchi qualificati “deboli”, tutelabili
solo se riprodotti integralmente o imitati in modo prossimo – mentre anche lievi modifiche sono
idonee ad escludere la contraffazione” .
- infine, in caso di marchio rinomato, se lo stesso sia effettivamente qualificabile come tale.
Associato al marchio celebre e’ il fenomeno del domain grabbing che ricorre quando venga
registrato un nome di dominio corrispondente ad un nome o ad un marchio altrui, normalmente
celebre, per scopi meramente speculativi, ad es. con l’ intento di cedere la registrazione a titolo
oneroso al legittimo titolare del marchio.
Tale pratica si è in primis largamente diffusa all’ estero.
Non sono tuttavia mancati casi anche a livello italiano, verificatisi soprattutto a seguito della
riforma delle regole di naming, in virtù della quale è stata permessa l’ assegnazione di più nomi di
dominio in capo ad un medesimo soggetto (cosa che in precedenza non era possibile, in quanto era
previsto che un soggetto potesse essere assegnatario di un solo nome di dominio) Tali casi infatti
massimamente si realizzano attraverso un accaparramento di nomi di dominio corrispondenti a
marchi o segni altrui.
Va menzionato al riguardo un caso deciso dal Trib. di Parma relativamente al nome di dominio
“LauraAshley.com” registrato, assieme ad altri nomi di dominio corrispondenti ad altrettanti marchi
famosi, da una società italiana, al precipuo scopo di rivenderlo al titolare del marchio.
La società, infatti, a seguito della richiesta della titolare del marchio Laura Ashley di procedere all’
immediato trasferimento del nome di dominio, aveva, invece, a sua volta richiesto per il
trasferimento del nome di dominio la somma di US$ 7.500, una somma indubitabilmente
considerevole e spropositata rispetto a quelle che sono normalmente le spese di registrazione di un
Domain Name.
La particolarità di tale caso consiste nel fatto che il Tribunale si è pronunciato relativamente alla
mera registrazione di un Domain Name, non accompagnata dalla effettiva utilizzazione dello stesso
in rete per un sito web, ed effettuata, come riferito dalla stessa resistente nel corso del
procedimento, allo scopo di “commercializzarlo, offrendolo in vendita a chi decida tardivamente di
registrare il nome di dominio rappresentativo od omonimo del proprio marchio o ditta”.
Si tratta dunque di un puro caso di domain grabbing, in cui il Tribunale, dopo aver riconosciuto la
rinomanza del marchio della società ricorrente, ha ritenuto di disattendere la tesi secondo cui la
mera registrazione di un Domain Name, non seguita dalla sua effettiva utilizzazione in Internet, non
essendo idonea a provocare confusione tra prodotti, sarebbe lecita, ed ha conseguentemente
affermato –in sede di reclamo- che “l’ attività diretta alla sua commercializzazione costituisce una
forma di ingiustificato approfittamento della notorietà che il marchio Laura Ashley ha acquisito e
consente ai suoi utilizzatori di realizzare un vantaggio indebito. Il vantaggio consiste nell’ utilità
economica che i reclamanti possono trarre dalla cessione del nome di dominio alla resistente o a
terzi; Il carattere indebito consegue alla consapevolezza dell’ esistenza di un potiore diritto altrui,
del sicuro ostacolo creato con la registrazione all’ esercizio dello stesso nelle sue molteplici forme,
della volontà di trarre da ciò profitto”
In base a quanto sopra riferito e’ dunque evidente – come anche rilevato dalla dottrina (cfr. Fazzini,
Il diritto di marchio nell’ universo Internet, in AIDA, 1998, p. 531 ss.) – che tali casi proprio per l’
incontestabile malafede e l’ elevato grado di parassitismo che connotano la condotta del terzo
titolare del nome di dominio dovrebbero poter giustificare un atteggiamento particolarmente severo
da parte del giudice.
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Per quanto riguarda gli altri segni distintivi, oltre alla contraffazione del marchio si sono verificati
casi di contraffazione di ditta, insegna e denominazione sociale e casi di contraffazione di titolo di
un’ opera.
Quanto alla prima ipotesi questa si verifica quando venga registrato un Domain Name
corrispondente alla ditta, all’ insegna o alla denominazione/ragione sociale di un soggetto terzo.
In tali casi possono trovare applicazione l’ art. 2598 c.c. nonché gli artt. 2564, 2567 e 2568 c.c..
Ciò che comunque rileva in tali casi, soprattutto per quanto riguarda l’ ipotesi di concorrenza sleale
è che:
-i nomi o segni siano identici o simili e vengano usati con funzione distintiva;
-l’ utilizzo dei segni sia idoneo a creare confusione tra le attività.
E’ poi evidente che in tali casi e’ necessaria la qualifica di imprenditore da parte dei soggetti in
conflitto.
Con riferimento ad una caso di conflitto tra Domain Name e denominazione sociale, segnalo, in
particolare, una ordinanza del Tribunale di Napoli emessa in data 27 maggio 2000 nel caso
Florence on Line c. Netlab in cui il Tribunale, avendo accertato l’ anteriorità del segno della
ricorrente Florence On Line rispetto alla registrazione del corrispondente Domain Name
“florenceonline.it” da parte della società resistente ed il rapporto di concorrenza esistente tra le due
società (fornendo entrambe connettività ed accessi ad Internet) ha ritenuto che la registrazione del
Domain Name “florenceonline” costituisse “violazione del diritto al nome (di cui agli artt. 2564 e
2567 c.c.) e atto di concorrenza sleale, attesa la potenziale confusione con conseguente sviamento
della clientela, essendo evidente che l’ utente collegato ad Internet, vada all’ indirizzo
http/www.florenceonline.it convinto che corrisponde alla società ricorrente, mentre, invece, vede
aprirsi una “mail” indirizzata alla società Netlab s.r.l.”.
La seconda ipotesi invece si realizza quando il Domain Name si pone in conflitto con il titolo di un’
opera.
Il caso più conosciuto ha riguardato la controversia insorta tra il Foro Italiano S.r.l., società che cura
la pubblicazione di una famosa rivista giuridica, denominata per l’ appunto Il Foro Italiano e
generalmente conosciuta attraverso l’ acronimo “Foro.it” ed un soggetto che faceva uso in Internet
del logo “Foro.it” all’ interno di una lista di discussione destinata alla discussione delle
problematiche inerenti alla professione forense (non si trattava, pertanto, specificamente, di un
Domain Name, bensì di una mailing list).
In tale caso, il Tribunale ravvisò una violazione dell’ art. 100 Legge Autore ritenendo che l’ uso in
Internet dell’ espressione Foro.it concretizzasse una violazione del diritto spettante all’ editore sul
titolo dell’ opera e ritenne illecita ai sensi dell’ art. 2043 c.c. la condotta del resistente, riconoscendo
che l’ utilizzo fatto dell’ espressione “Foroit” fosse idoneo a creare una situazione di confusione fra
gli utenti della rete, dando luogo altresì ad uno sfruttamento da parte del terzo della fama e del
prestigio della nota rivista giuridica.
Piu’ recentemente, in relazione a tale ipotesi di conflitto, si è pronunciato il Tribunale di Messina
(ord. 3 novembre 2000) nel caso Marketing Research c. Affari Fisco e Finanza.
Tale controversia ha riguardato due società editrici di due giornali aventi entrambi una testata nella
quale era contenuto il nome “affari” ed identico oggetto, consistente nella pubblicazione gratuita di
annunci economici. Nel momento in cui la ricorrente decise di operare in Internet si accorse che la
propria concorrente faceva uso del Domain Name “affari” per divulgare on line il proprio giornale
“ItaliaAffari” ed attivò pertanto la procedura cautelare lamentando la violazione degli artt. 100 e
102 della Legge Autore e delle norme sulla concorrenza sleale.
Cio’ che si ritiene opportuno segnalare è che in tale caso il Giudice ha considerato inapplicabili le
norme previste dalla Legge Autore a tutela del titolo dell’ opera, non ritenendo il Domain Name
oggetto della controversia coincidente con la testata di un giornale.
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Il Tribunale ha infatti così argomentato in proposito: “Il nome a dominio e’ cosa diversa dalla
testata di un giornale, la quale è in primo luogo un segno grafico, caratterizzata dal colore, dal
tipo e dalla dimensione del carattere, dall’ eventuale emblema che in essa appare, ed anche dalle
parole utilizzate intese nel loro corrente significato. Essa serve a caratterizzare il prodotto, cioè il
giornale. Il nome a dominio è invece puramente un nome che, in quanto preceduto dal … “www” e
seguito dal suffisso .it diviene indirizzo o codice di accesso ad un sito Internet. Quindi non soltanto
esso è diverso dalla testata quanto alle sue caratteristiche intrinseche, ma anche quanto alla
funzione, perché non caratterizza il prodotto, ma consente di individuare, nello specifico ambito
della rete Internet, il sito dell’ impresa che offre quel determinato prodotto. Pertanto a parere di
questo Giudice il caso di specie è fuori dell’ ambito di operatività della norma speciale che
compara due oggetti omogenei, entrambi definibili come prodotti, e cioè le opere (d’ ingegno) della
medesima specie e dispone che quella posteriore non possa riprodurre gli elementi caratterizzanti
di quella anteriore”.
Alle azioni sopra riferite, normalmente si cumula, qualora i titolari dei segni siano anche
imprenditori, quella di concorrenza sleale.
La disciplina della concorrenza sleale, che è sostanzialmente finalizzata a vincolare gli imprenditori,
nello svolgimento della propria attività, al rispetto dei canoni della correttezza professionale, si
applica infatti anche ai Domain Names, considerato che essa è genericamente riferita ai “segni
distintivi legittimamente usati”.
Come è noto, tale disciplina si applica in presenza dei seguenti requisiti:
- la qualifica di imprenditori dei soggetti coinvolti nella controversia; a questo riguardo segnalo
che nel caso “touring” (Trib. Viterbo 24 gennaio 2000 Touring Club Italiano c. Vecchi) il
Tribunale ha ritenuto ugualmente di qualificare, ai fini dell’applicazione delle norme poste a
tutela della concorrenza sleale, nonostante le eccezioni sollevate dalla società resistente, una
associazione senza fini di lucro quale è il Touring Club Italiano come imprenditore, tenendo
conto dell’ attività di fatto svolta dalla stessa associazione (Secondo il Tribunale, infatti, “Ciò
può essere desunto dal tipo di attività in concreto esercitata che, per sua natura, si presta tanto
ad essere gestita con scopi e finalità prettamente ricreative e no-profit.., come anche per scopi
economici tendenti quantomeno al pareggio dei costi con i profitti e per scopi commerciali
(come la predisposizione di viaggi e manifestazioni a pagamento) ; nel primo caso sotto forma
di offerta ai propri associati o anche a terzi di libri, attrezzature, lezioni ed in pratica di tutto
quanto occorrente per la conoscenza delle risorse turistiche e culturali italiane; nel secondo
caso, con l’ attività di vera e propria impresa, sotto forma di offerta di servizi di vario genere
anche a soci utenti dietro pagamento di un corrispettivo per il servizio o spettacolo di volta
involta offerto”).
- la sussistenza di un rapporto di concorrenza tra le imprese interessate;
- la sussistenza di un pregiudizio: nel caso di uso di un Domain Name che confligga con i segni
distintivi di altro imprenditore, si può ravvisare pregiudizio qualora la registrazione del Domain
Name impedisca al titolare del segno di poterlo a sua volta utilizzare, oppure per il fatto che si
determini la perdita di clientela a causa della confusione ingenerata dall’utilizzo del Domain
Name .
Oltre a quanto sopra esposto, va infine fatto un cenno ad alcune pratiche confusorie tipiche della
rete Internet ed in particolare del World Wide Web che, per la loro stessa natura, possono dare luogo
a problemi di contraffazione di marchio, di concorrenza sleale o di violazione di copyright. Si tratta
in particolare del linking, del framing e del meta-tag.
Parliamo innanzitutto di linking. Il link altro non è se non la tecnica base del World Wide Web,
consistente nel collegamento c.d. “ipertestuale” tra una pagina e l’ altra di un sito o tra due siti
differenti.
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Pertanto al navigatore che “clicchi” su di una parola attiva chiamata “hotword” è consentito di
raggiungere direttamente la pagina o il sito a cui si riferisce, riducendo così notevolmente i tempi di
navigazione.
Attraverso tali tecniche è possibile realizzare:
- il collegamento diretto alla home page del sito richiamato: si parla in proposito di “surface
linking”;
- il collegamento diretto alle pagine interne del sito richiamato, saltando così il collegamento alla
home page del sito: si parla in proposito di “deep linking”;
- l’ inserimento del contenuto del sito richiamato nella pagina web del sito richiamante: si parla in
proposito di “framing”. Con riferimento a tale ultima tecnica ne va evidenziata la particolare
potenzialità confusoria: il navigatore, infatti, è portato a ritenere che il contenuto che è proprio del
sito richiamato sia appartenente al sito richiamante e, per di più, la stessa scelta di tale forma di
collegamento è indice della volontà del soggetto che attua il framing di ingenerare tale convinzione
nel pubblico degli utenti Internet.
Relativamente alle ipotesi sopra riferite non risultano ancora ad oggi casi decisi dalla
giurisprudenza italiana.
Vanno segnalate, tuttavia, per esigenza di completezza, due decisioni recentemente emesse dal
Tribunale di Rotterdam il 22 agosto 2000 e dal Tribunale di Parigi il 26 dicembre 2000 che
sembrano aver espresso due opposti orientamenti.
Il Tribunale di Rotterdam infatti in un caso che aveva ad oggetto l’ attività di deep linking posta in
essere da Eureka, una società olandese che offriva tramite il proprio sito “kranten.com” un servizio
di news on-line realizzato attraverso il “link” diretto alle pagine del sito della società ricorrente, ha
ritenuto lecito il deep linking data la sua natura di pratica comune e costitutiva del web.
In particolare, ciò che è importante evidenziare è che il Tribunale in tale caso ha:
- negato l’ esistenza di una violazione del copyright: “Copyright restricts the right to reproduce
data. However, adding a deep link from the website kranten.com to the (reports and articles on
the) websites of papers published by the Newspapers cannot be regarded as a reproduction of
these works”;
- negato l’ esistenza di una violazione della normativa sulle banche di dati, pur potendosi
considerare tali delle liste di titoli, quali quelle contenute nel sito di Eureka: “Eligibility of
protection as a database presupposes that the contents of the collection shows a substantial
investment in qualitative or quantitative respect….The Newspapers investement is directed to
gathering the reports and articles to fill the newspapers…The selection of the reports and
articles which will be put on the Internet is a matter of minor importance in this respect…..The
assertion that seven employees are said to be concerned in the website of a newspaper will be
numerically negligible compared to the total number of people that work for a
newspaper…Therefore there is no qualitative or quantitative investment in the drafting a list of
titles”;
- espresso il proprio favore alla c.d. teoria “implied license to link” cioè della c.d. “licenza
implicita”, secondo cui il titolare di un sito acconsente implicitamente a che lo stesso sia oggetto
di links, a meno che non ne faccia espresso divieto attraverso l’ uso di disclaimers.
Per converso, invece, il Tribunale di Parigi in una controversia instaurata dalla società “Cadres On
Line contro il motore di ricerca Keljob si è invece espresso a favore dell’ interpretazione che
considera illegittimi tali fenomeni, e, in particolare, quelli che provochino l’ effetto di:
- “detourner ou denaturer le contenu ou l’ image du site cible, vers lequel conduit le lien
hyperytexte”;
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-
-
faire apparaitre ledit site cible comme étant le sien, sans mentionner la source, notamment en
ne laissant pas apparaitre l’ adresse URL du site lié et de plus en faisant figurer l’ adresse URL
du site ayant pris l’ initiative d’ établir ce lien hypertexte”;
de ne pas segnaler à l’ internaute, de façon claire et sans équivoque, qu’il est dirigé vers un site
ou une page web exterieur au premier site connecté, la reference du site cible devant
obligatoirement, clairement et lisiblement indiqueé, notamment son addresse URL”.
Va tuttavia precisato che il caso cui si riferisce il Tribunale di Parigi sembra essere ascrivibile più al
fenomeno del framing che a quello del linking, in quanto il comportamento contestato è costituito
dalla presentazione delle pagine del sito “cadresonline.com” all’ interno di un indirizzo diverso da
quello del sito “cadersonline.com”.
E’ del resto sicuramente vero che la pratica del framing presenta, proprio per come è strutturata, dei
profili di illiceità maggiori rispetto al deep linking, essendo questo una pratica diffusa nel web e,
come sopra precisato, connaturale allo stesso.
Sempre in tema di deep linking segnalo anche la decisione emessa lo scorso 21 dicembre 2000 da
un Tribunale tedesco nel caso StepStone v. OFIR relativamente a links effettuati direttamente alle
pagine del sito della StepStone, una nota società di ricerca di personale on-line, da parte della
principale concorrente OFIR. Anche in tale caso l’ attività di deep linking è stata ritenuta illecita
avendo l’ autorità giudicante ravvisato una violazione delle norme a tutela delle banche di dati.
Quanto, infine, al meta-tag si tratta di parole non visibili nella pagina web, le cc.dd. “etichette
nascoste”, che sono individuate dai motori di ricerca. Pertanto, con i meta-tag il creatore del sito
può inserire quelle parole chiave che sono idonee a renderlo maggiormente visibile attraverso i
motori di ricerca.
Il caso è di notevole interesse con riguardo alle ipotesi di conflitto con i segni distintivi. Ci si chiede
infatti se l’ uso non autorizzato di meta-tag uguali o simili a segni distintivi altrui possa costituire
una violazione dei diritti su tali segni.
In Italia si è avuta ad oggi una sola decisione relativa a tale aspetto particolare della realtà virtuale,
emessa di recente dal Tribunale di Roma lo scorso 18 gennaio 2001 nel caso Genertel c. Crowe.
La Crowe, società operante nel settore delle polizze on line, aveva infatti inserito sul proprio sito la
parola “genertel”, corrispondente alla denominazione della propria concorrente, come etichetta
nascosta e pertanto chiunque avesse digitato attraverso un qualsiasi motore di ricerca la parola
“genertel” sarebbe giunto anche al sito della Crowe.
Il Tribunale in tale caso ha ritenuto opportuno dare prevalenza all’ esigenza - peraltro tutelata dall’
ordinamento e segnatamente dall’ art. 2598 n.3 c.c. che specificamente prevede l’ obbligo per gli
imprenditori di conformare i loro comportamenti ai canoni della correttezza professionale - “che
ciascun imprenditore nella lotta con i concorrenti per l’ acquisizione di più favorevoli posizioni di
mercato, si avvalga di mezzi suoi propri e non tragga invece vantaggio in maniera parassitaria
dall’ effetto di “agganciamento” ai risultati dei mezzi impiegati da altri”.
In base a quanto sopra, il Tribunale ha quindi vietato alla Crowe l’ uso dei meta-tag contestati ,
imponendole l’ immediata eliminazione della parola “genertel” nell’ utilizzo di meta-tag.
Per quanto riguarda casi di conflitto tra meta-tag e marchi la giurisprudenza Italiana non ha ancora
avuto modo di pronunciarsi sul punto. Si segnala peraltro che in alcuni casi decisi dai giudici
statunitensi, nonostante l’ uso non visibile del marchio altrui (c.d. “invisible trademark
infringement”), è stata comunque ravvisata la contraffazione di marchio, in considerazione del fatto
che l’ utilizzo del segno altrui viene comunque reso visibile nel momento in cui viene effettuata una
ricerca tramite un motore di ricerca.
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Per quanto riguarda i provvedimenti che nei vari casi di conflitto tra Domain Names e segni
distintivi possono essere richiesti va fatto presente che quanto all’ ipotesi di conflitto prevalente che
riguarda la contraffazione di marchi l’ azione cautelare che viene normalmente promossa dal
titolare del marchio è quella disposta dall’ art. 63 Legge Marchi. Tale norma prevede la possibilità
di richiedere l’ inibitoria all’ uso del Domain Name e la possibilità di richiedere al Giudice di fissare
una somma dovuta per ogni violazione od inosservanza successivamente constatata o per ogni
ritardo nell’ esecuzione del provvedimento.
Al riguardo, si segnala che il Tribunale di Verona con un’ ordinanza del 25 maggio 1999 resa nel
caso Technoware Engineering S.p.A. c. Effedi S.a.s. ha fissato la somma di Lire 5.000.000 “per
ogni violazione successivamente constatata e per ogni giorno di ritardo nell’ esecuzione del
provvedimento a partire dal quinto giorno successivo alla notifica del provvedimento medesimo”.
Può essere poi richiesto che il convenuto si attivi presso la Registration Authority perché venga
cancellato il Domain Name e comunque ogni riferimento al sito contestato.
Puo’ essere altresì richiesto – nella fase cautelare - che il Giudice ordini la sospensione dell’
assegnazione del Domain Name all’ assegnatario (misura prevista dallo stesso art. 12 delle regole di
naming della Registration Authority Italiana) e la conseguente assegnazione provvisoria al soggetto
che risulti legittimato all’ utilizzo dello stesso. Nel caso Tiscali c. Mercialis deciso dal Tribunale di
Cagliari in data 30 marzo 2000 il Tribunale aveva infatti ordinato alla Registration Authority di
“procedere alla sospensione dell’ assegnazione del nome di dominio “andala.it” a Walter
Mercialis e di assegnare provvisoriamente il medesimo nome a dominio a Tiscali S.p.A., salvi gli
eventuali diritti di precedenza riconoscibili a terzi”.
La provvisorietà del provvedimento è ovviamente connessa alla natura del procedimento cautelare.
Può essere poi richiesta la pubblicazione del provvedimento oltre che sulla stampa specializzata
anche sul sito Internet della società che risulti legittimata all’ utilizzo del Domain Name, così come
riconosciuto dalla giurisprudenza (vedi ad es. Trib. Genova, ord. del 23 gennaio 1997, caso
Marchesi c. Wbf).
Può infine essere anche fatta richiesta di sequestro del materiale che contiene il nome ritenuto
contraffatto.
Oltre a tali rimedi vi è poi anche la richiesta in sede di merito del risarcimento dei danni.
Al riguardo, si segnala che nel recente disegno di legge “Passigli” e’ prevista per il risarcimento dei
danni la somma di 30.000 Euro.
Desidero in ultimo segnalare, come dato che dovrebbe essere tranquillizzante per le imprese, il
protocollo d’ intesa recentemente concluso tra InfoCamere, la società che gestisce i sistemi
informativi delle camere di Commercio e lo Iat (la Registration Authority italiana) al precipuo
scopo di stabilire con certezza chi abbia effettivamente diritto ad usare un determinato Domain
Name, evitando così, inter alia, fenomeni di appropriazione abusiva. Tramite tale accordo, che sarà
valido fino al prossimo dicembre 2001 ma comunque ulteriormente rinnovabile, “InfoCamere
metterà a disposizione dello IAT l’ accesso ai propri sistemi informativi per la determinazione delle
priorità sull’ uso dei nomi – siano essi ragioni sociali di imprese, marchi o brevetti, ove se ne
presentasse la necessità – nonché per la sicura identificazione delle imprese che intendono
registrare i nomi a dominio. Lo IAT da parte sua metterà a disposizione di InfoCamere l’ accesso
ai propri sistemi informativi limitatamente alla verifica e ad un eventuale inserimento nel
Repertorio Economico Amministrativo (R.E.A.) – collegato al Registro delle Imprese – dei nomi a
dominio assegnati alle imprese”.
Tale accordo, per quanto riferito unicamente ai nomi a dominio con suffisso .IT è a mio parere di
notevole importanza e dovrebbe contribuire a limitare quei fenomeni di appropriazione indebita di
Domain Names corrispondenti a segni distintivi altrui, prevenendo e riducendo così il relativo
contenzioso.
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