UNEDITED HISTORY Iran 1960 – 2014

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UNEDITED HISTORY Iran 1960 – 2014
 UNEDITED HISTORY
Iran 1960 – 2014
Più di 200 opere, molte mai esposte in Italia, per una esplorazione della storia dell’Iran dal
1960 ai giorni nostri
Una occasione unica, un nuovo punto di osservazione di una storia e una cultura stratificata
e affascinante
11 dicembre 2014 – 29 marzo 2014
www.fondazionemaxxi.it
Roma, 10 dicembre 2014. Più di 200 opere, la maggior parte mai esposte in Italia e oltre 20 artisti per
raccontare più di cinquanta anni della storia e della cultura dell’Iran, un paese che ha spesso suscitato
attenzione e la cui complessità esige una analisi accurata. Ed è proprio questa la sfida che affronta
Unedited History. Iran 1960 – 2014 (11 dicembre 2014 – 29 marzo 2015) una mostra ideata dal Musée
d’Art moderne de la Ville de Paris a cura di Catherine David, Odile Burluraux, Morad Montazami,
Narmine Sadeg e di Vali Mahlouji per la sezione Archeologia del decennio finale. La mostra è stata
realizzata in coproduzione con il MAXXI.
Nel tentativo di analizzare la storia della cultura visiva iraniana moderna, Unedited History offre un nuovo
punto di vista su questo paese, libero dai preconcetti grazie all’approccio critico che la caratterizza. La
mostra non pretende di costruire una storia unitaria dell’arte iraniana moderna, ma di realizzare un
montaggio che attraverso lacune, vicoli ciechi, complessità irrisolte, comprenda le dimensioni controverse
di una storia apparentemente non revisionata, “non editata”.
La mostra si articola in tre grandi aree: 1/Gli anni della modernizzazione (1960 – 1978), 2/La
rivoluzione del 1979 e la guerra Iran – Iraq (1980 – 1988), 3/Il dopoguerra dal 1989 ai giorni nostri.
Il titolo della mostra, Unedited History, preso in prestito dal linguaggio cinematografico, sottolinea l’idea di
una storia ancora in pieno montaggio, non ancora arrivata a una versione completamente leggibile e
condivisa. In questa prospettiva materiali eterogenei come la pittura, le arti grafiche, la caricatura, la
fotografia il cinema e le arti performative vengono messe insieme in una revisione completa e
trasversale, da vivere in tre sequenze distinte ma collegate.
Con l’aiuto di tre generazioni di artisti, dagli anni Sessanta fino alla generazione più giovane, il
messaggio di questa mostra è che anche se la Rivoluzione del 1979 fu una forte rottura, certamente
questa non comportò un allontanamento totale dal modernismo. Al contrario, sia prima che dopo il 1979,
una rilettura di questa storia recente può evidenziare le diverse eredità presenti nella realizzazione di
immagini, nella tradizione documentaria e nei legami tra le varie arti.
GLI ANNI DELLA MODERNIZZAZIONE 1960 – 1978 Questa area della mostra affronta il periodo in cui la
cultura diventa interesse nazionale e il paese registra un boom delle arti visive, performative e dell’editoria.
Sono gli anni in cui i paesi del Terzo Mondo si affacciano sulla scena internazionale dopo la conferenza
afroasiatica di Bandung (1955) e della crisi petrolifera. Insieme al dibattito sull’identità nazionale, si
realizza una ridefinizione del concetto di moderno, non solo attraverso le Biennali e le tante manifestazioni
sostenute da Mohammad Reza Shah Pahlavi e dall’imperatrice Farah Diba, ma anche con la scelta di
forme espressive complesse, caratterizzate da tecniche e simboli mutuati sia dall’antico che dal moderno,
dalla storia e dal mito, dalla politica e dalla metafisica.
Completa questa parte della mostra la sezione dal titolo ARCHEOLOGIA DEL DECENNIO FINALE che si
articola in due parti: una che comprende una collezione di materiale di archivio e documenti sul Festival di
Shiraz – Persepolis (1968-1978) e l’altra su Shahr-e No, il quartiere a luci rosse di Teheran tra il 1973 e il
1975, quando Kaveh Golestan realizza una serie fotografica dedicata alle prostitute e alle loro condizioni
di vita. Due aree storiche e culturali che negli anni sono state trascurate e a volte dimenticate.
In questa parte della mostra sono presenti i lavori di Kaveh Golestan (1950-2003); Ardeshir Mohassess
(1938-2008); Bahman Mohassess (1931-2010); Morteza Momayez (1935-2005); Behdjat Sadr (19242009)
LA RIVOLUZIONE DEL 1979 E LA GUERRA IRAN – IRAQ (1979 – 1988) La generazione dei
“modernisti” viene progressivamente messa ai margini, logorata dalla continua trasformazione dei rapporti
tra l’elite e il popolo e dallo sviluppo di una cultura legata alla diaspora. Questo nuovo capitolo storico
mette in discussione l’identità iraniana che tra gli anni Sessanta e Settanta si sviluppa in modo quasi
schizofrenico, in costante reazione all’Occidente. Mentre l’arte iraniana sviluppa diversi sistemi di
immagini, la Rivoluzione del 1979 assume un ruolo centrale. Questa sezione della mostra non vuole
focalizzarsi solo sulla Rivoluzione, isolandola dal resto della storia dell’Iran, ma guardare al suo prima e
dopo in modo nuovo, in un momento storico in cui pittura, arti grafiche, cinema e pratiche documentarie si
mescolano e si influenzano reciprocamente.
In questa sezione sono presenti i lavori di Hannibal Alkhas (1930-2010); Morteza Avini (1947-1993);
Kazem Chalipa (1957); Jassem Ghazbanpour (1963); Bahman Jalali (1944-2010); Rana Javadi
(1953); Bahman Kiarostami (1978); Kamran Shirdel (1939); Behzad Shishegaran (1952); Esmail
Shishegaran (1946); Kourosh Shishegaran (1944).
IL DOPOGUERRA DAL 1989 AL 2014 il periodo successivo alla guerra vede la graduale integrazione
delle strutture del capitalismo nel regime islamico. La società civile si sviluppa rapidamente grazie alle
tecnologie e all’uso degli spazi pubblici, i cambiamenti di presidente e i rivolgimenti politici orientati
all’apertura o all’isolazionismo influenzano i percorsi e le pratiche degli artisti, spesso influenzati dalla
globalizzazione. Una generazione di artisti che la Rivoluzione aveva spinto all’esilio volontario, soprattutto
in Francia, sperimentano media e modalità molto diverse rispetto a quelle che caratterizzano l’Iran negli
stessi anni. L’apparente abbandono – più psicologico che fisico - dell’arte indipendente durante gli anni
della guerra, ci fa riflettere su un contesto saturo dal punto di vista ideologico, e sulla fine di un’arte
impegnata. Il periodo della guerra e della rivoluzione in cui gli artisti avevano preso posizione a favore o
contro le istituzioni, lascia progressivamente spazio allo sviluppo di opere che sempre più rispondono alle
regole del mercato internazionale, ma nel frattempo un gran numero di artisti sceglie di continuare a
lavorare nel solco delle generazioni precedenti.
In questa sezione sono presenti i lavori di Mazdak Ayari (1976); Mitra Farahani (1975); Chohreh
Feyzdjou (1955-1996); Barbad Golshiri (1982); Arash Hanaei (1978); Behzad Jaez (1975); Khosrow
Khorshidi (1932); Tahmineh Monzavi (1988); Mohsen Rastani (1958); Narmine Sadeg (1955)
In occasione della mostra il Dipartimento educazione del MAXXI, in considerazione della particolarità dei
temi trattati, strettamente legati alla cultura e alla storia più recente dell’Iran, ha avviato IL MIO IRAN un
progetto di mediazione interculturale che coinvolge la comunità iraniana di Roma.
Il progetto ha l’obiettivo di dare voce a diversi punti di vista, produrre molteplici interpretazioni delle opere
e della mostra per avvicinare un pubblico sempre più vasto.
La cartella stampa e le immagini della mostra sono scaricabili nell’Area Riservata del sito della
Fondazione MAXXI all’indirizzo http://www.fondazionemaxxi.it/area-riservata/ inserendo la password
areariservatamaxxi
MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo
www.fondazionemaxxi.it | info: 06.320.19.54 | [email protected]
orario di apertura: 11.00 – 19.00 (mart, merc, giov, ven, dom) | 11.00 – 22.00 (sab) | chiuso il lunedì,
Ufficio stampa MAXXI +39 06 3225178, [email protected]
UNEDITED HISTORY
Iran 1960 – 2014
La mostra è stata concepita e organizzata dal Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris in
coproduzione con MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo
La mostra e gli eventi collaterali sono stati resi possibili grazie al supporto di Hormoz Vasfi
Si ringrazia
e RSI - Radiotelevisione Svizzera
per la gentile concessione del documentario Fabbrica dei Martiri di Camilla Cuomo e Annalisa Vozza.
Unedited History. Iran 1960-2014
Giovanna Melandri, Presidente Fondazione MAXXI
Si dice arte iraniana e si pensa automaticamente alla Persia antica, alle miniature, alle monumentali opere
architettoniche del XVI secolo o alle meraviglie di Persepoli. Ben poco in Italia conosciamo dell'arte
contemporanea dell'Iran, a parte, forse, alcune “star” di questo meraviglioso paese note in Occidente,
come Shirin Neshat, il regista e poeta Abbas Kiarostami e la fumettista Marjane Satrapi. Eppure l'arte
dell'ex Persia e ricca, viva e contemporanea, pur attingendo naturalmente al linguaggio e ai fasti della sua
storia. La mostra Unedited History. Iran 1960-2014 traccia perla prima volta in Italia un percorso nella
storia dell'arte iraniana degli ultimi cinquant'anni offrendo al pubblico un panorama unico della cultura
visiva di questo affascinante paese.
Un'eccezionale varietà di stili e tecniche si snoda attraverso le gallerie del museo: dipinti su tela,fotografie,
video, poster e manifesti danno vita a un vibrante affresco storico che va dagli anni Sessanta a oggi,
dipingendo un paese in continuo cambiamento,irrequieto, perseguitato da rivolgimenti e guerre: un paese
da favola ma anche crudele.
I visitatori del MAXXI potranno rivivere le vicende storiche, le profonde trasformazioni politiche e sociali
che hanno attraversato l'Iran in questi anni segnandogli equilibri politici del mondo moderno. Un
eccezionale tracciato articolato in tre momenti principali: gli anni della modernizzazione, 1960-1978, che
hanno portato a un notevole sviluppo delle arti, la rivoluzione di Khomeini del 1979 con la guerra tra Iran e
Iraq, e gli anni del dopoguerra, 1989-2012, caratterizzati dalla difficile transizione economico-sociale.
Presentata precedentemente al musee d'Art moderne de la Ville de Paris, la mostra al MAXXI si distingue
per un allestimento diverso, che offre più accessi e sentieri paralleli che si intrecciano: un percorso
espositivo aperto, in linea con l'architettura fluida del nostro museo. Abbiamo inoltre scelto di connotare la
mostra con un importante progetto di mediazione culturale,coinvolgendo la comunità iraniana di Roma che
ha prodotto testi che commentano e rileggono le opere esposte e le diverse sezioni tematiche, tracciando
emozionanti percorsi alternativi. Cosi, attraverso le suggestioni, le riflessioni e il vissuto personale espressi
dalla comunità iraniana, i lavori presentati si arricchiscono di ulteriori significati storici.
Parallelamente, grazie a un ricco programma di eventi culturali e attività educative – proiezioni,
dibattiti,incontri e laboratori – vogliamo offrire al pubblico importanti momenti di approfondimento per
comprendere la storia e la cultura dell'Iran moderno. Questo vivido ritratto trova un suo ideale
completamento nel catalogo della mostra che costituisce uno strumento scientifico fondamentale per
accostarsi alla storia e all'arte dell'Iran. Oltre ai testi dei curatori, il volume riunisce saggi che analizzano le
opere esposte e raccontano la politica culturale insieme ai principali eventi degli ultimi anni: il Festival delle
arti di Shiraz-Persepoli, l'eredita della guerra con l'Iraq e il ruolo degli affreschi murali come strumento di
propaganda.
Con questa grande mostra dedicata all'Iran contemporaneo il MAXXI conferma il proprio impegno per il
sostegno e la promozione di realtà artistiche internazionali ancora poco conosciute in Italia. Nei prossimi
mesi, infatti, dalla retrospettiva dedicata a Huang Yong Ping a The Future Is Now, una mostra sulla videoarte coreana, intendiamo caratterizzare sempre di più questo museo come un laboratorio sperimentale
aperto verso il mondo.
Unedited History. Iran 1960-2014 testimonia infine il nostro interesse per la creazione di un'articolata rete
di collaborazioni con musei e istituzioni internazionali che rafforzi la promozione e la valorizzazione della
creatività contemporanea. Desidero dunque ringraziare il musee d'Art moderne de la Ville de Paris, che ha
ideato questa mostra, i curatori Catherine David, Odile Burluraux, Morad Montazami, Narmine Sadeg e
Vali Mahlouji grazie ai quali e stato possibile presentare per la prima volta una retrospettiva di tale
importanza sull'arte iraniana, e Hormoz Vasfi che ha supportato generosamente l'intero progetto del
MAXXI.
Unedited History. Iran 1960-2014
Hou Hanru, Direttore artistico Fondazione MAXXI
Il progetto Unedited History si propone di presentare una nuova e specifica ricerca sulla scena delle arti
visive contemporanee in Iran a partire dagli anni che precedono la Rivoluzione islamica del 1979. L’Iran,
cosi come la sua scena artistica, e stato fortemente isolato e incompreso in Occidente, sin dall’improvvisa
separazione da esso prodottasi alla fine degli anni Settanta. La produzione artistica e la realtà sociale del
Paese sono state ignorate dalle tendenze artistiche dominanti e dai media culturali esteri e solo pochi
artisti hanno potuto contare sul consenso e la promozione del mercato e delle istituzioni occidentali.
Eppure la produzione iraniana, sospesa tra modernità e tradizione, idee innovative e attenzione alla realtà
sociale, non e mai venuta meno. Al contrario, si e sviluppata attraverso il confronto quotidiano con i
cambiamenti sociali ed economici uniti all’instabilità delle condizioni finanziarie, ai conflitti geopolitici, alle
limitazioni religiose e politiche, alle guerre e ai tumulti sociali. Spesso l’arte svolge la funzione di testimone
diretto di una realtà ad alta intensità. In Iran si sono prodotte e sperimentate creazioni artistiche attraverso
diversi linguaggi originali, mentre la nozione e l’espressione di modernità sono state continuamente
ridefinite e reinventate. L’Iran, con la sua produzione artistica e per effetto dei cambiamenti geopolitici
attualmente in corso nella regione e nel mondo, e guardato con sempre maggiore interesse dall’esterno.
Per la prima volta, Unedited History tenta di presentare una visione più approfondita della dinamica ma
spesso sconosciuta situazione artistica del Paese negli ultimi decenni.
Respingendo e rifiutando gli approcci culturali e politici stereotipati e in linea con il mercato, spesso
adottati nel mondo artistico occidentale, il team di curatori del progetto, composto da figure di origine
europea e iraniana, ha scelto di esplorare in profondità la storia alfine di presentare la complessa realtà
del Paese e l’altrettanto complicata relazione tra la situazione sociale e la creazione artistica in Iran.
Opponendosi a una lettura unitaria o stereotipata di questa storia, i curatori hanno adottato un punto di
vista specifico e rigoroso, mirante a esplorare e presentare la complessità stessa attraverso le riflessioni
sulle reciproche influenze tra gli eventi socio-geopolitici da una parte e le produzioni artistiche dall’altra.
Questo approccio non solo e in grado di delineare un dettagliato e fedele ritratto delle attività artistiche
incostante evoluzione, ma dimostra altresì la necessita di assumere una posizione dal punto di vista delle
responsabilità intellettuali e curatoriali. Esso rappresenta un esemplare esercizio di serio impegno nel
dialogo tra culture e comunità artistiche. Il progetto, promosso e realizzato dal musee d'Art Moderne de la
Ville de Paris, arriva ora al MAXXI. Siamo particolarmente felici dell’opportunità di ospitare la mostra nella
città di Roma. Si tratta del primo di una serie di progetti che il team curatoriale del MAXXI svilupperà per
mettere in luce gli scambi dinamici tra la scena artistica italiana ed europea e i mondi dell’arte del Medio
Oriente e del Mediterraneo. Ora come nel passato, l’evoluzione delle società e delle identità culturali in
questi due contesti e stata strettamente correlata, grazie alla costante circolazione di individui,idee e
collaborazioni. In alcuni momenti, questo processo e stato ostacolato da incomprensioni e conflitti. Oggi,
nel mondo globalizzato, la distanza tra le due aree si e fortemente ridotta. I destini di queste regioni sono
intimamente legati. L’Italia, e Roma in particolare, cosi come Parigi e la Francia, ospitano nutrite comunità
iraniane, i cui membri sono attivi in molti campi – economia, arte, politica – e in cui sono rappresentati
diversi pensieri e valori in grado di dar vita a una scena culturale caratterizzata da un forte dinamismo. Allo
stesso tempo, i rapporti delle comunità con il Paese d’origine non si sono mai interrotti. I fenomeni di
andata e ritorno tra Europa e Iran costituiscono infatti una grande fonte di ispirazione perle esperienze
creative. Sulla scena europea sono stati attivamente presenti molti artisti iraniani. Unedited History dedica
una forte attenzione alla loro attività,includendo alcuni importanti artisti residenti in Europa.Seguendo il
medesimo principio e al fine di promuovere questo stretto legame, sarà organizzata una serie di eventi,
conversazioni e collaborazioni con la comunità iraniana di Roma. Un ringraziamento particolare va a
Hormoz Vasfi, la cui passione, la cui conoscenza e il cui generoso supporto sono stati di fondamentale
importanza per la realizzazione della mostra in questa sede. Desideriamo inoltre ringraziare per la sua
disponibilità Gh. Ali Pourmarjan, dell’Istituto culturale dell’Ambasciata della Repubblica islamica d’Iran.Lo
staff del dipartimento curatoriale, il dipartimento di ricerca e la didattica del MAXXI, in stretta
collaborazione con il team di Parigi, si sono impegnati per arricchire la mostra e i programmi dedicati al
pubblico. A loro va la nostra profonda riconoscenza. Unedited History e un esperimento intellettuale e
artistico complesso ma unico. Il progetto apre una finestra per una maggiore comprensione del mondo e di
noi stessi. Dobbiamo sempre ricordare che il dialogo tra il Medio Oriente e l’Europa e un elemento chiave
della ri(formazione) delle identità culturali di coloro che in queste due regioni vivono e producono arte.
Roma, 1° ottobre 2014
Unedited History. Iran 1960-2014
Fabrice Hergott, Direttore del musee d’Art moderne de la Ville de Paris
Si sa che non esiste società senza arte e che, tranne in caso di estrema povertà o di pericolo di morte
incombente, gli uomini creano opere d’arte. L’Iran e un grande Paese, non solo per la sua ampiezza e la
sua popolazione, ma anche per la sua storia. Probabilmente le prime città conosciute sono state fondate
poco dopo l’invenzione della scrittura. Di fatto l’Iran e, cosi come l’antico Egitto, una delle culle
dell’umanità e precede di gran lunga l’avvento delle civiltà del bacino mediterraneo su cui si fonda il
mondo occidentale. Da quell’epoca non hanno mancato di fare la loro comparsa grandi capolavori artistici
iraniani, molti dei quali sono oggi conservati all’interno di musei occidentali. Nel corso degli ultimi
cinquant’anni, l’Iran e stato attraversato da una serie di tensioni successive e spesso simultanee. Dopo
una fase in cui hanno interagito diverse influenze, e seguita una monarchia occidentalizzata, poi
rovesciata da una rivoluzione – la più importante del XX secolo insieme alla Rivoluzione russa – i cui effetti
sono tutt’oggi profondi anche al di la dei confini iraniani. Il ritorno della religione su scala mondiale non
esisterebbe se non ci fosse stata la Rivoluzione islamica del 1979, evento che ha indiscutibilmente
contribuito a definire l’attuale assetto geopolitico mondiale tanto quanto la fine dell’URSS comunista dieci
anni più tardi. Centrale sia dal punto di vista geografico sia dal punto di vista storico, l’Iran e divenuto un
Paese imprescindibile per il suo peso nell’equilibrio dei poteri e delle influenze del mondo moderno. Tale
importanza non e limitata al piano politico, ma si riflette anche nella coscienza di una società che non ha
smesso di interrogarsi, come mai avvenuto prima, sui cambiamenti del mondo, le sue violente
trasformazioni, le sue devastazioni e le sue speranze.
L’esistenza di questa coscienza non e tanto sorprendente quanto la mancata conoscenza che ne
abbiamo. Eppure, gli artisti ci sono. L’Iran non ha conosciuto la distruzione paranoica e sistematica delle
sue elite subita dalla maggior parte degli altri Paesi nel corso di tutto il XX secolo. I segni di questa
coscienza si trovano ovunque nell’architettura, nel cinema, nella letteratura, nel fumetto e nelle arti
plastiche. Tuttavia, essi sembrano non essere mai stati messi in relazione con la storia vissuta,
rispondendo solamente ai luoghi comuni, sempre di stampo leggermente colonialista, attraverso i quali
l’Occidente guarda al mondo in generale e al mondo persiano, immenso e poco conosciuto. Come indicato
dal suo titolo, questa mostra permette per la prima volta di esaminare la situazione in Iran e dall’Iran a
partire da questa storia “grezza”, vissuta individualmente e collettivamente dagli artisti dall’interno. Si tratta
forse della migliore, se non della sola maniera, per osservare oggi una situazione geografica e storica
coerente.
Siamo felici e orgogliosi di aver potuto consentire a Catherine David di realizzare questa mostra con il
contributo costante di Odile Burluraux, l’esperienza di Morad Montazami e Narmine Sadeg, Vali Mahlouji
per "Archeologia del decennio finale" e l’assistenza di Samira Kaveh. Il progetto non sarebbe stato cosi
ambizioso senza il loro eccezionale impegno e l’importante lavoro compiuto insieme allo staff del musee
d’Art moderne e di Paris Musees.
Unedited History. Iran 1960-2014
INTRODUZIONE
La mostra Unedited History. Iran 1960 —2014 raccoglie le molteplici forme della cultura visuale iraniana
dagli anni Sessanta ad oggi. Nelle tre sezioni cronologiche ospitate nella Galleria 2 e nella Galleria 4 del
Museo sono riuniti una grande varietà di opere — dipinti, fotografie, installazioni, grafica — e documenti —
materiale d’archivio, giornali, manifesti, video — grazie ai quali è possibile ricostruire la realtà sociale e
politica che ha dato vita alle differenti manifestazioni della cultura visuale e della modernità in Iran. La
mostra è dunque il tentativo di ricreare le grandi “sequenze” di accadimenti, idee, cambiamenti degli ultimi
cinquant’anni che hanno prodotto tali manifestazioni: gli anni dello Scià, la Rivoluzione e la nascita della
Repubblica Islamica, la guerra contro l’Iraq e gli ultimi decenni. In questa ricostruzione vi sono delle
assenze, delle difficoltà dovute alla complessità della storia iraniana più recente, ancora oggetto di
discussione. Il titolo Unedited History (storia non montata) è un riferimento al film editing, il montaggio
cinematografico, cioè a quella fase in cui il film è stato girato ma le sequenze non sono ancora state legate
tra loro e sono allo stato di frammenti. Il titolo è allora anche un’ipotesi: dal momento che non esiste “una”,
sola e unica, storia della modernità pre–scritta e determinata, è possibile considerare la “modernizzazione”
iraniana sotto forma di storie frammentarie montate tra loro?
Uno degli intenti di Unedited History è quello di mostrare che la Rivoluzione del 1979 e la guerra Iran —
Iraq, combattuta tra il 1980 e il 1988, non hanno determinato la fine del processo della modernità, bensì
come esso sia da qui (ri)cominciato osservando la produzione culturale prima e dopo tali avvenimenti,
nelle connessioni tra arti diverse. La mostra non intende dare conto di tutte le espressioni del moderno,
ma piuttosto mettere in evidenza le profonde connessioni tra la cultura visuale e le diverse eredità da essa
generate. L’esposizione si concentra quindi sia sulle rotture che sugli elementi di continuità, spesso meno
visibili, tra momenti storici consecutivi caratterizzati però dalle stesse figure di rilievo. Testimonianze,
documenti di una storia che si sta ancora scrivendo, insiemi di opere spesso incompleti o difficilmente
accessibili, manifesti e riviste sono importanti elementi che restituiscono la storia sociale e politica dell’Iran
della seconda metà del XX secolo.
La fotografia, il film, la tradizione documentaria hanno quindi un ruolo fondamentale nella comprensione
del modernismo, ma ci offrono letture contraddittorie delle immagini, soprattutto a partire dagli anni
sessanta. È per questo motivo che Unedited History prende come punto di partenza questo decennio per
suddividersi in tre sezioni cronologiche: nella Galleria 2 sono ospitate la prima sezione, Gli anni della
“modernizzazione” 1960 — 1978, e la seconda, La Rivoluzione e la guerra Iran — Iraq 1979 — 1988; nella
Galleria 4 la terza sezione, Prospettive contemporanee 1989 —2014, dedicata alla produzione artistica e
culturale più recente.
La mostra è arricchita dai testi a commento di alcune opere e sottosezioni selezionate, frutto del progetto
di mediazione interculturale Il mio Iran a cura del Dipartimento educazione del MAXXI con la comunità
iraniana di Roma.
LE SEZIONI DELLA MOSTRA
Gli anni della “modernizzazione” 1960—1978
In questi anni in Iran la cultura acquista un peso sempre maggiore, con uno sviluppo notevole delle arti
visive, delle arti performative e dell’editoria. Vengono organizzati eventi di rilievo internazionale come le
biennali e nascono nuove istituzioni, come il Museo d’Arte Contemporanea di Teheran, con il sostegno
dello Scià e soprattutto dell’imperatrice Farah Diba. Si discute, inoltre, sulla definizione di un’identità
iraniana e di un’arte non occidentale o non “occidentalizzata”: prende avvio dunque il processo di
“modernizzazione”, attraverso la scelta di forme e tecniche artistiche complesse che fondono tradizione e
novità, storia e mito, politica e metafisica. Contemporaneamente, la distanza tra livelli diversi della società
aumenta sempre di più, provocando forti proteste contro la monarchia Pahlavi.
Bahman Mohassess (1931 — 2010) è una figura esemplare in questo momento: la sua profonda
conoscenza della cultura europea e il suo essere pittore, scultore, scenografo e traduttore fanno di lui
l’artista “universale”. Il dialogo tra la mitologia classica e la crisi dell’individuo dopo la Seconda Guerra
Mondiale caratterizza il suo lavoro. Dopo aver studiato scultura a Roma, si divide tra l’Iran e l’Italia. Le sue
opere pittoriche risentono notevolmente della formazione da scultore: i suoi personaggi sono volumi in uno
spazio tridimensionale.
Anche Behjat Sadr (1924 — 2009) ha studiato in Italia, come molti altri artisti iraniani in quegli anni, e la
sua produzione, come quella di Bahman Mohassess, è emblematica del cosmopolitismo degli anni
Sessanta e Settanta. Ma a differenza dei suoi contemporanei, Sadr ha sperimentato l’arte cinetica
europea per poi approdare ad un astrattismo non geometrico, in cui si concentra sull’analisi del
movimento. Morteza Momayez (1935 — 2005) – grafico, pittore, fotografo, illustratore – nei primi anni
sessanta inizia la collaborazione con il poeta Ahmad Shamlou realizzando copertine per la rivista letteraria
internazionale Ketâb–e Hafteh (Il libro della settimana), di cui quest’ultimo è direttore. La rivista, oltre agli
scritti di autori iraniani, pubblica quelli di scrittori internazionali come André Gide, Lev Tolstoj e Tennessee
Williams.
Altra figura di spicco nella storia delle arti grafiche è Ardeshir Mohassess (1938 — 2008), disegnatore e
cronista per la stampa internazionale. La biblioteca “ideale” allestita in mostra è composta dai suoi libri
d’artista e da diverse pubblicazioni francesi e statunitensi. La sua opera ha avuto una forte influenza sugli
artisti iraniani più giovani grazie alla grande diffusione dei suoi lavori dovuta alla stampa.
La prima sezione si chiude con due raccolte documentarie inedite che introducono gli anni settanta,
caratterizzati da grandi sollevazioni politiche e cambiamenti culturali: gli archivi del Festival delle arti di
Shiraz — Persepolis e le fotografie di Kaveh Golestan (1950 — 2003) scattate a Shahr–e No, il
quartiere a luci rosse di Teheran, tra il 1975 e il 1977. Il Festival delle arti di Shiraz — Persepolis è un
importante festival di musica, danza, teatro, poesia e film che si è tenuto dal 1967 al 1977. Vi si esibiscono
grandi artisti iraniani e internazionali: la tradizione persiana e l’avanguardia occidentale. Il Festival è stato
uno spazio di scambio e condivisione artistica e intellettuale, ma anche una causa delle forti agitazioni
popolari di quegli anni poiché distante dalle reali necessità del popolo iraniano. Le fotografie di Golestan,
invece, mostrano il lato buio e le contraddizioni dell’Iran prima della Rivoluzione attraverso i ritratti in
bianco e nero delle prostitute che vivono nella “cittadella” di Shahr–e No, documentandone le precarie
condizioni emotive e di povertà.
La Rivoluzione e la guerra Iran—Iraq 1979—1988
La Rivoluzione ha prodotto molte immagini che offrono sguardi contrastanti e che danno conto tanto della
rappresentazione dell’individuo, quanto di quella della collettività – basti pensare alla mobilitazione senza
precedenti di folle nelle proteste. Anche la guerra Iran — Iraq, chiamata dagli iraniani “Guerra imposta” o
“Sacra difesa” , riveste un’importanza fondamentale per lo sviluppo delle pratiche documentarie nella
fotografia, nel video e nel cinema. In quegli anni sono stati creati, inoltre, archivi clandestini di materiale
disparato in forte opposizione alla lettura ufficiale degli eventi.
Le fotografie di Bahman Jalali (1944 — 2010) e Rana Javadi (1953), pubblicate nel libro –manifesto
subito censurato Giorni di sangue, giorni di fuoco, registrano gli eventi che hanno portato alla deposizione
dello Scià. Il film Memories of Destruction di Kamran Shirdel (1939) — uno dei documentaristi più
censurati durante la monarchia Pahlavi — riunisce spezzoni inediti girati durante la Rivoluzione,
mostrando la diffusione dei manifesti e delle iscrizioni sui muri di Teheran. Anche il video Flowers di
Bahman Kiarostami (1978) è un archivio per immagini: le prime diffuse dalla Radio — Televisione
Nazionale Iraniana dopo la conquista dei mezzi di comunicazione e degli studi televisivi da parte dei
rivoluzionari. Nella Galleria 2 del Museo sono presentati i manifesti della Rivoluzione come se fossero in
una strada di passaggio e suddivisi in modo da evidenziare la diversità tra gli artisti e le tecniche: i
manifesti del Gruppo 57, quelli dei fratelli Shishegaran, gli anonimi e quelli dei gruppi alternativi. Essi
testimoniano il ruolo decisivo degli studenti e delle università nella Rivoluzione e sono stati un mezzo di
comunicazione dei rivoluzionari marxisti, prima di diventare uno strumento di propaganda per la
costruzione di un’identità nazionale. I manifesti sono ispirati a figure di politici o religiosi locali oppure
risentono dell’influenza dell’estetica rivoluzionaria sovietica e messicana. Alcuni, infine, sono la
riproduzione di dipinti di importanti artisti come Kazem Chalipa (1957), profondo conoscitore della pittura
moderna europea della fine del XIX secolo così come del muralismo messicano. Le sue opere sono dense
di simboli religiosi e rivoluzionari e mostrano la complessa relazione tra arte istituzionale e testimonianza
storica. Hannibal Alkhas (1930 — 2010), uno dei principali innovatori della generazione dei pittori
“rivoluzionari”, si avvicina alle tendenze marxiste e diventa il maestro di molti altri pittori. La riproduzione
dell’affresco mostra l’Imam Khomeini che saluta la folla insieme a Ali Shariati, filosofo e militante politico,
famoso per i suoi discorsi sulla modernizzazione dell’Islam, che influirono molto sulla rivolta popolare. In
fondo all’opera, il pittore inserisce se stesso con i pennelli in mano. L’immagine è stata dipinta su molte
tele: questo è emblematico del modo in cui gli affreschi politici si sono diffusi come mezzo di espressione,
subito dopo la Rivoluzione. Anche la guerra Iran — Iraq è stata registrata da diversi punti di vista. Alcuni
registi e fotografi scelgono di testimoniare il conflitto nella quotidianità, sul campo di battaglia vicino ai
soldati. Morteza Avini (1947 — 1993), ad esempio, nella sua prima serie documentaria intitolata Haqiqat
(Verità) esprime una narrazione molto soggettiva, grazie all’impiego di una telecamera portatile e
all’onnipresenza della sua voce fuoricampo. Il regista stabilisce un legame fraterno con i soldati –
infiammati dagli ideali della Rivoluzione e ora pronti a sacrificare la propria vita – e monta le loro interviste
dalla trincea mostrandone umanità e gesti quotidiani. La narrazione soggettiva di Avini ha notevolmente
influenzato le testimonianze iraniane della guerra.
Bahman Jalali testimonia la graduale e implacabile distruzione della città di Khorramshahr – città portuale
sul fiume Arvand, importante canale di trasporto del petrolio – da parte degli iracheni. Il fotografo, inoltre,
va sui campi di battaglia e registra le condizioni di vita così come la morte dei soldati.
Prospettive contemporanee 1989—2014
In Iran, dopo la fine della guerra con l’Iraq, il capitalismo moderno si integra con difficoltà ma gradualmente
nel regime islamico e si assiste insieme allo sviluppo della società civile. Anche in questi anni i
cambiamenti politici influiscono sul percorso degli artisti, ma se in passato essi erano chiamati ad
impegnarsi appoggiando il governo – pena il silenzio, la scomparsa dal circuito dell’arte ufficiale o la
forzata emigrazione in Occidente – ora producono opere che rispondono sempre di più alle richieste del
mercato dell’arte internazionale. Molti artisti, trasferitisi in Europa, soprattutto in Francia, sperimentano
media e approcci diversi rispetto a quelli insegnati in patria fino agli anni Ottanta. Una nuova generazione
di fotografi, tutti eredi di Bahman Jalali e Kaveh Golestan, rimane invece fedele alla tradizione della
fotografia documentaria degli anni Settanta e Ottanta, opponendosi alla estetizzazione delle immagini
della moda e della pubblicità. Mohsen Rastani (1958), della stessa generazione di Jalali e anche lui
fotoreporter dai campi di battaglia durante la guerra Iran — Iraq, rappresenta un modello di impegno
attraverso l’impiego del mezzo fotografico sempre indipendente rispetto all’ideologia dominante. Con la
sua serie Famiglia iraniana, ancora in progress, intende mostrare l’eterogeneità della società iraniana del
dopoguerra attraverso ritratti di gruppi familiari socialmente e culturalmente diversi. Tahmineh Monzavi
(1988), appartenente alla più giovane generazione di fotografi e videomaker, ben si inserisce nella
tradizione documentaria degli anni settanta lavorando su quelle che ha definito “contraddizioni sociali”. I
suoi progetti trattano forme di esclusione sociale, temi complessi come il transessualismo e figure
confinate ai margini della società. In mostra sono esposti la serie fotografica Tina Shamlou, Teheran, che
descrive la quotidianità di un travestito ospitato in un rifugio per donne in difficoltà, e alcuni scatti di una
sartoria dove un gruppo di giovani uomini sta cucendo abiti da sposa.
Anche Mitra Farahani (1975) è vicina all’eredità degli anni Sessanta e Settanta, tanto da produrre un
documentario sui maggiori esponenti di quegli anni, come Bahman Mohassess e Behjat Sadr. I suoi grandi
disegni a carboncino su tela ne risentono fortemente e sono così realistici da sembrare fotografie. Nel
video qui esposto, esplora il confine tra immagine fissa e immagine in movimento, spostando la figura del
decapitato a Villa Borghese, Roma, per interrogarsi sulla rappresentazione collettiva di Davide e Golia. I
lavori degli ultimi anni di Khosrow Khorshidi (1932) sviluppano il legame tra città e memoria: i suoi
disegni ricreano i monumenti e l’atmosfera ormai scomparsa della Teheran degli anni Trenta e Quaranta.
Il lavoro multidisciplinare di Narmine Sadeg (1955) è ispirato alla storia popolare La conferenza degli
uccelli del poeta iraniano del XII secolo Farid al–Din Attâr. L’artista invita a reinterpretare gli elementi del
racconto tradizionale attraverso l’allegoria: ogni visitatore è interrogato su quale sia il suo posto tra i
vincitori e i vinti della storia e su chi sia realmente il perdente.
L’installazione multimaterica di Chohreh Feyzdjou (1955 — 1996) è un’opera d’arte “totale” che assembla
materiali e oggetti disparati. Il suo lavoro – una critica alla mercificazione dell’arte, ma anche una
riflessione malinconica sul passare del tempo – consiste nella classificazione e conservazione metodica di
tutte le sue creazioni artistiche in contenitori da laboratorio e cassette scrostate. Morta per una malattia
incurabile, l’artista ha tentato con la propria opera di conservare le tracce della propria esistenza. Barbad
Golshiri (1982) ha reso omaggio a Feyzdjou costruendo una tomba–sarcofago accanto al luogo di
sepoltura dell’artista nel cimitero parigino di Pantin. La silhouette della tomba qui allestita rimanda alle
sepolture anonime dei martiri della guerra Iran — Iraq, o a quelle dei dissidenti politici dopo la guerra.
UNEDITED IRAN. Iran 1960 – 2014
ARTISTI IN MOSTRA - BIOGRAFIE
Hannibal Alkhas
(1930-2010)
Era un pittore, scultore, scrittore, traduttore e poeta. Dopo aver conseguito il Master of Fine Arts presso
l’Art Institute di Chicago nel 1959, ha avuto una lunga carriera in Iran e negli Stati Uniti come professore
d’arte ed ebbe come allievi molti aspiranti artisti, specie dopo le sollevazioni e gli eventi rivoluzionari del
1979 a Teheran, quando e divenuto il punto di riferimento dei più noti pittori murali. Ha fondato inoltre la
fortunata galleria Gilgamesh, una delle prime gallerie d’arte moderna in Iran. Le sue opere sono state
esposte in Iran, Europa, Canada, Australia, Israele, Dubai e Stati Uniti. Ha pubblicato testi di critica d’arte,
raccolte di racconti, libri per bambini e ricordi in farsi e composto diverse poesie nella sua lingua madre
assira (siriano), parte delle quali sono state trasposte in musica. Ha tradotto testi di poesia persiana
moderna in Inglese, poesie di Carl Sandburg in farsi e un volume illustrato di poesia di Hafez in lingua
Assira.
Morteza Avini
(1947-1993)
Figura principale del cinema documentario durante la guerra Iran-Iraq, negli anni Ottanta è anche un
importante collaboratore della rivista “Sureh”, al fianco del designer Reza Abedini. Sin dagli inizi
dell’invasione irachena, si dedica a una vasta operazione di registrazione e di trasposizione narrativa della
guerra (anche a fini ideologici). Prima della sua serie più conosciuta, Revâyat-e fath [Le cronache della
vittoria] (trasmessa dalla televisione nazionale tra il 1985 e il 1988), negli undici episodi di Haqiqat [Verità]
(1980-1981) Morteza Avini definisce una strategia alternativa a quella del classico reportage di guerra,
basata sulla combinazione della mistica sciita e della telecamera a spalla, con una forte insistenza sul
montaggio e il processo di scrittura. La forma inedita dei suoi film, strettamente legati alla storia della
Repubblica islamica, li proietta oltre la limitata sfera della “propaganda”. In un’ultima produzione intitolata
Shahri dar âssemân [Una città celeste], Avini documenta invece le tracce della guerra nel presente, in
particolare le operazioni di ricerca dei corpi e di sminamento nel corso delle quali troverà la morte, a causa
dell’esplosione di una mina. I suoi scritti di argomento estetico, sociale e politico sono raccolti in dodici
volumi (ed. Vâneh).
Mazdak Ayari
(nato nel 1975)
Vive e lavora a Teheran.
Dopo aver studiato fotografia presso l’università Azad insieme al fotografo Bahman Jalali, partecipa nel
a
2004 al primo concorso di fotografia documentaria, “Kaveh Golestan”. Nel 2005 espone alla 9 Biennale di
fotografia di Teheran, nel 2010 partecipa alla mostra collettiva Omaggio a Bahman Jalali presso la galleria
Forouhar di Teheran, nel 2012 è incluso nell’esposizione La protezione della pantera iraniana alla galleria
Golestan e nel 2013 in Qualcosa della fotografia documentaria: 1978-2013 alla galleria Silk Road. La sua
pratica fotografica si concentra in particolare sul vocabolario dell’intimità e sulle rappresentazioni familiari,
ma anche della vita sociale e urbana di Teheran, degli individui emarginati e degli incontri inaspettati.
Azad Collaborative design Project
Progetto in corso dal 2008
Nel 2008, Reza Abedini ha dato vita ad un progetto non commerciale di design: una serie di collaborazioni
fra un gruppo selezionato di giovani grafici iraniani e la Azad Art Gallery di Teheran. L’idea è quella di
affidare a ciascuno dei designer la creazione di un poster per gli eventi della galleria. Il catalogo della
mostra è stampato sul retro del poster e viene inviato al pubblico come invito. Dall’autunno del 2008,
questo progetto si è sviluppato sotto la direzione artistica di Aria Kasaei. Nel corso degli ultimi sei anni,
hanno collaborato al progetto 45 designer e sono stati ideati, stampati e distribuiti 250 manifesti che non si
limitano a presentare il lavoro di un artista, ma rappresentano l’interpretazione visual del tema o del
concept dell’intera mostra, quindi una forma di espressione artistica.
Designer: Reza Abedini Studio | Art Director: Aria Kasaei — StudioKargah
Mohammad Reza Abdolali nato nel 1983, vive e lavora a Teheran; Cassra Abedini nato nel 1973, vive e lavora
a Teheran; Reza Abedini nato nel 1967, vive e lavora a Beirut e Den Haag, Paesi Bassi; Ali Asali nato nel 1988,
vive e lavora a Teheran; Shahrzad Changalvaee nato nel 1983, vive e lavora a New Haven, Connecticut; Homa
Delvaray nata nel 1980, vive e lavora a Teheran; Maryam Enayati e Leila Miri nate nel 1978 e nel 1976, vivono
e lavorano a Teheran; Vahid Erfanian nato nel 1981, vive e lavora a Mashad, Iran; Farhad Fozouni nato nel
1979, vive e lavora a Teheran e Berlino; Behrad Javanbakht nato nel 1976, vive e lavora a Teheran; Aria
Kasaei nato nel 1980, vive e lavora a Teheran e Parigi; Mohammad Khodashenas nato nel 1975, vive e lavora
a Lahijan, Iran; Omid Nemalhabib nato nel 1981, vive e lavora a Teheran; Peyman Pourhosein nato nel 1980,
vive e lavora a Teheran; Sanaz Soltani nata nel 1984, vive e lavora a Teheran.
Kazem Chalipa
(nato nel 1957)
Vive e lavora a Teheran.
È uno dei pittori più rinomati dell’epoca rivoluzionaria e del periodo della guerra Iran-Iraq. All’inizio degli
anni Ottanta fonda il dipartimento di arti visive di Hoze Honari va Sâzmân-e Tablighât-e Eslâmi e insegna
in numerosi dipartimenti artistici (università di Teheran, Soureh, università Azad). Kazem Chalipa è stato
assistente di diversi importanti artisti (Jalil Ziapour, Irandokht Mohassess) e ha subito l’influenza dell’opera
di suo padre, Hassan Esmaeilzadeh, uno dei pionieri della cosiddetta pittura delle “case del caffè”
(Naqâshiy-ye Qahve Khâneh), che rappresentava le grandi battaglie dei santi e dei martiri sciiti. I temi
della “Rivoluzione islamica”, della “sacra difesa” o dell’“imam nascosto” sono spesso affrontati
dall’artista, nel rispetto del codice simbolico ma attraverso una riappropriazione colta della storia
religiosa e politica dell’Iran. I suoi dipinti sono molto apprezzati e durante la guerra vengono riprodotti su
manifesti di diverse organizzazioni. Esposti in diverse occasioni sia in Iran sia all’estero, sono conservati
nelle collezioni del Museo d’Arte Contemporanea di Teheran e del dipartimento di Hoze honari va
sâzmân-e tablighât-e eslâmi.
Mitra Farahani
(nata nel 1975)
Vive e lavora tra Parigi e Teheran.
Dopo aver svolto i propri studi all’università Azad di Teheran e all’École des arts décoratifs di Parigi,
realizza un primo film documentario su una prostituta transessuale di Teheran (Juste une femme, 2001),
che nel 2002 ottiene il premio speciale della giuria al Festival internazionale del cinema di Berlino. Segue
Tabous ( Zohre & Manouchehr), uscito nelle sale nel 2004, documentario poetico sulle relazioni amorose
e sessuali all’interno della società iraniana. Si ricorda inoltre Behjat Sadr: il tempo sospeso (2006),
documentario intimista sull’importante pittrice dell’era “moderna”. Con il suo ultimo film su Bahman
Mohassess, dal titolo Fifi Howls from Happiness (2012), selezionato al Festival di Berlino e al Cinéma du
réel di Parigi, Mitra Farahani prosegue la propria inesausta indagine sulle figure essenziali della modernità
in Iran. Se i primi film recano l’impronta della sua pratica di artista visiva, i suoi disegni sono sempre più
influenzati dal cinema. La tecnica a carboncino su tela o su pannelli di paraventi mostra grandi frammenti
di corpi e inquietanti figure, in cui emerge la stessa riflessione sul realismo presente nei suoi film.
Chohreh Feyzdjou
(1955-1996)
Dopo gli studi all’accademia di belle arti di Teheran e poi di Parigi, si orienta verso un lavoro di carattere
installativo, imperniato su una critica della mercificazione dell’arte e su una riflessione più malinconica sul
passaggio del tempo. Il suo lavoro consiste infatti nella classificazione e nella conservazione metodiche
della propria produzione artistica – comprese le opere meno recenti – in insiemi di contenitori da
laboratorio, cassette scrostate e rotoli di carta dipinta. In questa “bottega dell’apocalisse” (Youssef
Ishaghpour), materiali come la cera colorata e la tintura di mallo di noce conferiscono agli oggetti una
particolare texture scura. Morta per una malattia autoimmune incurabile all’età di 40 anni, Chohreh
Feyzdjou ha tentato con la propria opera di conservare le tracce della propria esistenza, basandosi sul
concetto della reciproca trasfigurazione dell’arte e della vita. Le sue mostre più rilevanti sono state
presentate alla galleria Patricia Dorfmann (1992), alla Galerie nationale du Jeu de Paume a Parigi (1994), e
a dOCUMENTA (10) a Kassel (1997). Nel 2002 un’ampia selezione delle sue opere è stata acquisita dal
Fonds national d’art contemporain e lasciata in deposito al CAPC di Bordeaux, che le ha dedicato una
personale nel 2007.
Jassem Ghazbanpour
(nato nel 1963)
Vive e lavora a Teheran.
La sua attività di fotografo, avviata nel 1979, si colloca nel campo del documentario sociale, ma si rivolge
anche all’architettura e ai territori locali e prosegue successivamente nel corso dell’esperienza della guerra
Iran-Iraq (a Khorramshahr, sua città natale). Jassem Ghazbanpour si impegna inoltre nella realizzazione di
opere in memoria e in omaggio ai giovani soldati-martiri. Nel 1991 crea la casa editrice Tiss e pubblica la
sua opera Tehran Under Missile Attack [Teheran sotto attacco missilistico]. I suoi reportage sugli attacchi
chimici durante la guerra Iran-Iraq e in Kurdistan appaiono in diversi giornali internazionali (“Time
International”, “El País”). In parallelo con il lavoro di fotoreporter, Ghazbanpour porta avanti l’attività di
fotografo “archeologo”, testimoniata dall’opera di prossima pubblicazione Neighbours’ Mementos [Ricordi
dei vicini], basata sulla metodica raccolta delle iscrizioni lasciate dei soldati iracheni a Khorramshahr.
Barbad Golshiri
(nato nel 1982)
Vive e lavora a Teheran.
Dopo gli studi di pittura alla Scuola d’arte e d’architettura dell’università Azad di Teheran, acquisisce
rapidamente la propria autonomia di artista interdisciplinare, critico e traduttore. Il suo lavoro, basato
sull’impiego di diverse tecniche, si sviluppa in molteplici direzioni di indagine: la poetica della ripetizione, il
corpo sottoposto alla prova della violenza politica, la decostruzione del linguaggio e del testo. Barbad
Golshiri conduce inoltre da diversi anni un’attività di costruttore di tombe e memoriali. Spesso destinati a
individui anonimi privati del diritto alla sepoltura per ragioni politiche, questi monumenti rendono omaggio
anche a figure storiche, come Samuel Beckett o Jan van Eyck. Attivo sulla scena artistica internazionale
da una decina d’anni, Golshiri ha esposto in numerose istituzioni, tra cui: Neuer Berliner Kunstverein,
Berlino; Chelsea Art Museum, New York; Göteborg Konstmuseum, Göteborg; Saatchi Gallery, Londra;
ZKM, Karlsruhe. Nel 2011 è stato curatore del progetto Disturbing the Public Opinion, che ha presentato
opere di artisti iraniani al Röda Sten Art Centre di Göteborg.
Arash Hanaei
(nato nel 1978)
Vive e lavora a Teheran e Parigi.
Dopo aver studiato fotografia all’università Azad di Teheran e aver acquisito una conoscenza approfondita
dei lavori realizzati durante la Rivoluzione e la guerra Iran-Iraq dalla generazione precedente, sviluppa una
pratica in cui si mescolano diversi media e tecniche. Utilizzando le opportunità offerte dalla fotografia
amatoriale e dai nuovi network di diffusione delle immagini, si dedica a estendere i registri e i codici della
tradizione documentaria. Le serie Recreational Areas [Aree ricreative] (2008) e Capital [Capitale] (2009)
sono entrambe testimonianza di una fertile interferenza tra disegno digitale e memoria fotografica. Se la
prima getta uno sguardo ironico sull’isolamento dell’individuo e la repressione del desiderio, la seconda si
presenta come una mappa disegnata della città di Teheran, che indaga la trasformazione dello spazio
pubblico nel dopoguerra (in particolare la paradossale coesistenza degli affreschi raffiguranti i martiri e dei
messaggi pubblicitari). Le sue opere sono state presentate in diverse mostre personali (gallerie Silk Road
e Aaran a Teheran) e collettive (CAB-Contemporary Art Center a Bruxelles, Chelsea Museum of Art a New
York, Asia House a Londra).
Behzad Jaez
(nato nel 1975)
Vive e lavora a Teheran.
Dopo gli studi di fotografia compiuti a partire dal 1997 alla Scuola di arte e di architettura dell’università
Azad di Teheran, frequenta una specializzazione sulle pratiche documentarie con Kaveh Golestan e
Bahman Jalali. Dal 1998 al 2006 lavora anche come fotogiornalista indipendente per diversi giornali e
realizza numerose serie: Khatami e il Popolo (1997 - 2006), La Folla (1997-2008), Talabeh Studies (20012002), Le iscrizioni murali ed elettorali (2002-2006), Il terremoto di Bam (2004). Questi progetti sono stati
a
presentati in occasione della 9 Biennale di fotografia di Teheran (2004), nella mostra Immagini dell’anno
alla Casa degli artisti di Teheran (2004-2005) e pubblicate dalla rivista italiana “Private” (2005). Behzad
Jaez ha inoltre partecipato alla collettiva Omaggio a Bahman Jalali tenutasi nel 2010 presso la galleria
Forouhar di Teheran.
Bahman Jalali
(1944-2010)
Fotografo, grande conoscitore della storia della fotografia in Iran, professore esigente e generoso,
Bahman Jalali è stato un importante “traghettatore” di immagini. Le sue fotografie della Rivoluzione del
1979 e della guerra Iran-Iraq appaiono oggi come strumenti essenziali alla comprensione profonda di
questi eventi. Dopo la Rivoluzione, svolge la professione di insegnante e nel 1998 partecipa al lancio della
rivista di fotografia “Aksnâmeh”. Tra il 2003 e il 2006 realizza la serie Immagini di immaginazione a partire
da montaggi e sovrapposizioni complesse di negativi di immagini del periodo Qajar e di altri documenti.
Nel 2007 la Fundació Antoni Tàpies di Barcellona e Catherine David hanno organizzato la prima
esposizione monografica delle sue opere, poi ospitata da Camera Austria alla Kunsthaus di Graz nel 2009.
Nel 2011, in seguito al conferimento del premio internazionale Sprengel della fotografia avvenuto nel
2009, lo Sprengel Museum di Hannover gli ha dedicato una retrospettiva.
Rana Javadi
(nata nel 1953)
Vive e lavora a Teheran.
Insieme a Bahman Jalali, Rana Javadi documenta le rivolte studentesche e popolari della Rivoluzione.
Parte di queste immagini viene esposta alla fine del 1978 presso la facoltà di belle arti dell’università di
Teheran e riunito nel libro-manifesto Rouzhây-e âtash, Rouzhây-e khoun [Giorni di sangue, giorni di
fuoco]. Più tardi i due collaborano per la salvaguardia di importanti archivi fotografici di laboratori che
avevano avviato la loro attività già nel XIX secolo (Chehrenegar). Rana Javadi sviluppa la propria opera
personale – come nella serie When You Were Dying [Quando stavi per morire] (2008) – secondo principi
di composizione, montaggio e collage iconografico che richiamano le tecniche di stampa antiche e
moderne, e riflettono l’Iran di ieri e di oggi. Dal 1989 è altresì direttrice del dipartimento fotografico
dell’Ufficio di ricerche culturali di Teheran e, dal 1977 al 1997, di Akskhâneh-ye Shahr, il primo museo di
fotografia di Teheran. Le sue opere sono esposte in Iran, in Europa e negli Stati Uniti.
Aria Kasaei
(nato nel 1980, vive e lavora a Teheran e Parigi)
Aria Kasaei ha lavorato come designer per gallerie istituti di cultura e eventi culturali come Tehran Design
Week, Damonfar Painting Biennial, Mohsen Gallery e Azad Art Gallery. Si è formato alla Sooreh
University, e ha fondato lo Studio Kargah con Peyman Pourhosein nel 2001 a Tehran, dove vive e lavora.
Ha esposto il suo lavoro sia in Iran che all’estero in Francia, Germania, Italia, Polonia, Giappone, Cina,
Stati Uniti, Canada e Messico. Collabora con la rivista di grafica iraniana Neshan, e ha curato esposizioni
di grafica come Azad Collaborative Design Project nel 2009 a Tehran e nel 2012 a Berlin, From Iran
l’esposizione di poster a Copenhagen nel 2011, e la retrospettiva di Assurbanipal Babilla a Tehran in
2013.
Khosrow Khorshidi
(nato nel 1932)
Vive e lavora a Teheran.
Negli anni Sessanta lavora in Italia come decoratore nel cinema e nel teatro (in particolare per Franco
Zeffirelli e Luchino Visconti), e nel 1969 diviene direttore del dipartimento di arti decorative dell’università
di Teheran. Dopo aver lavorato negli Stati Uniti, a partire dagli anni Novanta e dal suo ritorno in Iran,
Khosrow Khorshidi espone i suoi disegni, dipinti e sculture in diverse gallerie. Nel 1996 mette in scena una
versione dell’opera musicale Les Misérables al Farhangsarâ-ye Bahman di Teheran: eseguita senza
musica, l’opera impressiona per il suo apparato scenico. I disegni pubblicati in I bei vecchi tempi (ed.
Ketâb Sarâ, 2013) rappresentano un lavoro di memoria sulla Teheran degli anni Trenta e Quaranta, la cui
architettura è ormai quasi completamente scomparsa. Realizzati inizialmente a uso dei suoi studenti,
questi disegni-reminiscenze suscitano l’entusiasmo di un ampio pubblico ma anche degli storici.
Bahman Kiarostami
(nato nel 1978)
Vive e lavora a Teheran.
Il primo film di questo documentarista e montatore, Morteza Momayez, il padre delle arti grafiche
contemporanee in Iran, esce nel 1996. I suoi soggetti, relativi agli aspetti della vita culturale e sociale del
Paese natale, restituiscono uno sguardo acuto e sottile sulla complessità e i paradossi di un mondo in
rapida trasformazione. La sua filmografia include: Tabaki (2001), I Saw Shoush [Ho visto Shoush] (2002),
Nour (2003), Infidels [Infedeli] (2004), Two Bows [Due strumenti ad arco] (2004), Persian Gardens
[Giardini persiani] (2005), Pilgrimage [Pellegrinaggio] (2005), Re-enactment [Ricostruzione] (2006),
Anonymous [Anonimo] (2007), Statues of Tehran [Statue di Teheran] (2008), The Treasure Cave [La
grotta del tesoro] (2010), Javad (2011), Kahzirak, Four Views [Kahzirak, quattro vedute] (2013), TaxiTehran [Taxi-Teheran] (2013). Il suo ultimo film, Variations of a Hexicon, è incentrato sulla vita e l’opera di
Monir Shahroudy-Farmanfarmaian.
Ardeshir Mohassess
(1938-2008)
Il suo percorso di disegnatore prende forma agli inizi degli anni Sessanta, a fianco del grande poeta
Ahmad Shamlou, nella rivista “Ketâb-e Hafteh”. La sua verve satirica si esprimerà in seguito nel giornali
locali, come “Keyhân” o “Towfiq”. Ardeshir Mohassess pubblica numerosi libri d’artista e appare
regolarmente nella stampa internazionale – su “Jeune Afrique” ma anche sul “New York Times” a partire
dal 1973 –, prima di scegliere l’autoesilio ed emigrare definitivamente negli Stati Uniti nel 1977. La sua
opera rievoca un’iconografia colta, dalla miniatura alla pittura qajar, passando per Honoré Daumier e Saul
a
Steinberg. Nel 1958 partecipa alla 1 Biennale di Teheran e nel 2008 conosce la propria consacrazione
con una retrospettiva all’Asia Society di New York. La biblioteca del Congresso a Washington conserva la
sua serie di disegni Life in Iran [Vita in Iran] (pubblicata nel 1994).
Bahman Mohassess
(1931-2010)
Nel 1954, in seguito al colpo di Stato organizzato dalla CIA contro Mohammad Mossadeq, Bahman
Mohassess lascia l’Iran per recarsi a studiare all’Accademia di belle arti di Roma. Partecipa a numerose
mostre, tra cui la Biennale di Venezia nel 1955 e le biennali di Parigi e São Paulo nel 1962, ed espone
altresì in Iran, dove viene ben presto riconosciuto. Attivo inizialmente in campo pittorico, realizza inoltre
diverse sculture (alcune monumentali), la maggior parte delle quali viene distrutta e scompare dopo la
Rivoluzione. Nel corso degli anni Settanta si stabilisce definitivamente a Roma. In occasione di un ultimo
viaggio in Iran, distrugge praticamente tutte le sue opere, riportando con sé solo alcuni lavori di piccolo
formato. Resterà in Italia fino alla morte senza manifestarsi pubblicamente, continuando a produrre in
totale solitudine opere di piccolo formato, in particolare collage, che non verranno mai esposte. La sua
opera è la testimonianza di una mente raffinata, tormentata e misteriosa, in cui si materializza una
modernità attratta dalle sperimentazioni più audaci, che rende Mohassess una figura quasi mitica della
storia dell’arte iraniana del XX secolo. È conosciuto anche per le sue traduzioni di Italo Calvino, Jean
Genet ed Eugène Ionesco, le cui opere vengono da lui stesso messe in scena a Teheran.
Morteza Momayez
(1935-2005)
Grafico, pittore, fotografo, illustratore per adulti e bambini, inizia la propria carriera nel 1958 presso lo
studio Bahrami, dove gli vengono commissionati i primi loghi (in quest’epoca conosce già la grafica
polacca). In seguito entra in contatto con il grande poeta Ahmad Shamlou, per il quale realizza più di un
centinaio di copertine della rivista “Ketâb-e Hafteh”. Nel corso degli anni Settanta istituisce la cattedra di
arti grafiche alla facoltà di belle arti dell’università di Teheran e porta avanti un’intensa attività di autore di
manifesti per il teatro, il cinema e numerosi festival. Dopo aver fondato il primo sindacato dei grafici
iraniani, nel 1972 organizza presso il centro espositivo Mehrshah la mostra 50 anni di grafica in Iran. Nel
1979 prende parte alla Rivoluzione al fianco dei propri studenti. Nel 1987 Morteza Momayez dà vita alla
Biennale della grafica di Teheran (ospitata dal Museo d’Arte contemporanea) e diviene direttore del
dipartimento di grafica e fotografia dell’università di Teheran. La sua opera è stata esposta in più occasioni
sia in Iran sia all’estero, in mostre personali e collettive.
Tahmineh Monzavi
(nata nel 1988)
Vive e lavora a Teheran.
Tahmineh Monzavi si è formata all’università Azad di Teheran. La sua fotografia documentaria si interessa
a diverse forme di marginalità ed esclusione, così come alle modalità di interazione tra spazio privato e
spazio pubblico. La serie Women in Grape Garden Alley è stata realizzata insieme alle donne
tossicodipendenti ospitate in un centro di recupero, mentre High Fashion and Wind-Up Dolls documenta le
sfilate di moda clandestine a Teheran. Nel 2011 ha ottenuto il premio internazionale Sheed Award per la
fotografia documentaria e sociale.
Farhad Rahmati
(nato nel 1964)
Vive e lavora a Teheran.
Dopo gli studi di pittura svolti nei primi anni Ottanta alla facoltà dell’università di belle arti di Teheran,
Farhad Rahmati si perfeziona con lo storico dell’arte Roueen Pakbaz, che lo introduce alle correnti
artistiche moderne (espressionismo, cubismo, surrealismo). Frequenta inoltre corsi di calligrafia con
Sedaqat Jabbar, di pittura murale con Hadi Hazavieh, e di fotografia. Dopo aver terminato gli studi realizza
un’opera epica sule tema di Hussein e Ashura, composta da 72 dipinti a olio di 210 × 140 cm.
Successivamente ha prodotto numerosi lavori scultorei, decorazioni e scenografie, in particolare per luoghi
commemorativi come gli shohadâ (dedicati ai martiri).
Mohsen Rastani
(nato nel 1958)
Vive e lavora a Teheran.
In qualità di fotografo al fronte della guerra Iran-Iraq, realizza una serie di ritratti di martiri per le famiglie.
Dopo aver diretto il settore fotografico di diversi quotidiani e altre testate (“Sobh-e Emrooz”, “Tasvir”…),
nel 1999 Mohsen Rastani fonda l’Associazione dei fotoreporter iraniani e svolge l’attività di docente presso
diverse università. Lavora sul campo di numerosi conflitti (Libano, Bosnia), riuscendo a superare i limiti
dell’esperienza più intima della guerra Iran-Iraq. Dal 1994 si dedica quasi esclusivamente al progetto
Famiglie iraniane, un’inchiesta la cui ambizione irrealizzabile sarebbe quella di restituire la varietà della
società iraniana dopo la Rivoluzione.
Narmine Sadeg
(nata nel 1955)
Vive e lavora a Parigi.
Dopo aver studiato all’università di Teheran e all’École des beaux-arts di Parigi, conduce una ricerca
teorica e porta a termine una tesi di dottorato all’università Paris-Diderot sulle interferenze tra testo e
immagine. All’inizio degli anni Novanta, rappresentata dalla galerie Giovanna Minelli a Parigi, ottiene il
premio Villa Médicis hors les murs (1993) e realizza un ampio progetto di installazione video-documentaria
che indaga il funzionamento istituzionale dell’arte contemporanea (Tell me about art, 1993-1994).
Muovendosi tra scultura, disegno, video e installazione, le sue opere esplorano l’idea di estraneità e le
invisibili frontiere tra il dentro e il fuori, il qui e l’altrove. Il suo lavoro è stato esposto a Villa Arson, Centre
national d’art contemporain, Nizza; al CAVS & MIT Museum, Cambridge, Massachusetts; alla galleria
Basilisk, Copenhagen; alla Werkstatt Galerie, Berlino.
Narmine Sadeg è inoltre maître de conférences presso il dipartimento d’arte dell’università BordeauxMontaigne.
Behjat Sadr
(1924-2009)
In seguito agli studi compiuti alla facoltà di belle arti dell’università di Teheran, Behdjat Sadr si trasferisce a
Roma, dove si orienta verso la pittura astratta e l’arte informale. Abbandonando il telaio e i colori
tradizionali, impiega sostanze pittoriche sintetiche industriali, che fa colare su supporti poggiati a terra. Al
ritorno in Iran alla fine degli anni Cinquanta, le sue sperimentazioni con la materia e il gesto attraggono
ben presto l’attenzione di Pierre Restany e, successivamente, di Michel Ragon. Negli anni Ottanta,
periodo in cui vive tra Parigi e Teheran, realizza in particolare fotomontaggi in uno stile singolare memore
dei suoi dipinti. Le sue opere sono state esposte in numerose istituzioni in Francia e altrove: Galleria La
Bussola, Roma (1958); Biennale di Venezia (1956, 1962); musée d’Art moderne de la Ville de Paris, Parigi
(1963); Grey Foundation, Saint Paul, Minnesota (1971); Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique,
Bruxelles (1972); Centre d’art Le Noroît, Arras (1985); Grey Art Gallery, New York (2010). Nel 2004, il Museo
d’Arte Contemporanea di Teheran le dedica un’importante retrospettiva, iscritta in una serie di mostre
dedicate ai pionieri dell’arte moderna in Iran.
Kaveh Golestan
(1950-2003)
Il suo lavoro di fotoreporter e documentarista ha influenzato fortemente la generazione attuale di fotografi
e artisti. La forza poetica delle sue immagini, risalenti a prima e a dopo la Rivoluzione, oltrepassa il
genere del fotoreportage. Prima del 1979, egli documenta le condizioni di vita delle donne che lavorano a
Shahr-e No, il quartiere a luci rosse della parte meridionale di Teheran, così come il mondo operaio e le
istituzioni che accolgono i bambini affetti da malattie mentali. Nel 1979 il suo lavoro sulla Rivoluzione gli
vale il premio Pulitzer. Nel corso della guerra Iran-Iraq, è il primo a fotografare l’attacco con armi
chimiche compiuto da Saddam Hussein sulla popolazione curda di Halabja. Nel 2007 la casa editrice
Hatje Cantz gli dedica la monografia Recording the Truth in Iran [Registrare la verità in Iran], titolo tratto
dal documentario realizzato da Golestan nel 1991 sulla condizione dei giornalisti in Iran. Kaveh Golestan
è morto nel 2003 in seguito all’esplosione di una mina a Kifri, in Iraq.
Kamran Shirdel
(nato nel 1939)
Vive e lavora a Teheran.
Figura emblematica del cinema documentario e socio-politico, compie i primi studi al Centro sperimentale
di cinematografia di Roma, frequentando in particolare i corsi di Roberto Rossellini e di Michelangelo
Antonioni. Dopo il suo ritorno a Teheran, Kamran Shirdel realizza numerosi documentari sugli emarginati e
le classi più povere, commissionati dal ministero delle Arti e della Cultura. Tuttavia i suoi film vengono
regolarmente censurati per la brutale esibizione del lato oscuro della modernizzazione e della Rivoluzione
bianca, e l’autore si vede costretto all’esilio. Alcuni suoi film, ormai considerati fondamentali e spesso
riscoperti successivamente, come Qaleh [Il quartiere delle donne] e Teheran è la capitale dell’Iran (1966),
sono stati spesso terminati molti anni dopo le riprese, a causa della confisca dei materiali. La sua celebre
trilogia è completata da un altro mediometraggio, La prigione delle donne (1965), ma è d’obbligo citare
anche La notte in cui ha piovuto (1967), primo tentativo di trasformare la forma stessa del documentario
per un’indagine critica sulle apparenze e il discorso. Shirdel è infine il fondatore e il direttore del Festival
internazionale del documentario di Kish.
Behzad, Esmail e Kourosh Shishegaran
(nati nel 1952, 1946 e 1944)
Nel 1973 Kourosh Shishegaran ha la sua prima mostra personale a Teheran. All’epoca, si interessava
all’idea di mass production. Sostenendo l’avvicinamento dell’arte e del popolo, espone le proprie opere
nello spazio pubblico, crea dipinti che riproducono volontariamente dettagli di quadri di grandi maestri e si
dedica all’arte postale. Dal 1976 la produzione di manifesti, in particolare a sostegno del Libano, è al
centro della sua pratica artistica. Tra il 1977 e il 1979 avvia una collaborazione con i suoi due fratelli,
basata inizialmente sul design di oggetti e mobili. I primi eventi della Rivoluzione ispirano due manifesti
realizzati nell’ottobre 1978 e intitolati For a Free Press! [Per una stampa libera!] e For Today [Per oggi]. I
tre fratelli si dedicano a quel punto a una serie di manifesti, disegnati individualmente ma realizzati a sei
mani, che rispondono in tempo reale a ogni evento o fatto rilevante del processo rivoluzionario. Questi
manifesti appaiono nello spazio pubblico prima in forma di serigrafie, poi come stampe offset. Nel mese di
marzo 1980 i tre fratelli Shishegran organizzano inoltre una mostra manifesto alla biblioteca dell’università
di Teheran.
Unedited History. Iran 1960-2014
Programmazione collaterale
a cura di B.A.S.E. e del Dipartimento Educazione
10 dicembre 2014 -29 marzo 2015
Il programma di eventi collaterali e attività didattiche, armonizzando la missione educativa a quella della
ricerca, offre chiavi di lettura che possano aiutare ad approfondire la cultura iraniana arricchendo il
messaggio della mostra.
Il mio Iran
Luglio 2014 – Marzo 2015
Progetto di mediazione interculturale con la comunità iraniana di Roma
Condividere strategie e produrre strumenti che possano mediare al meglio significati complessi, attraverso
il coinvolgimento diretto della comunità di appartenenza degli artisti, è uno degli obbiettivi principali del
museo in occasione della mostra. Il progetto prevede una serie di incontri di gruppo con referenti della
comunità iraniana e italiani in cui si analizzeranno gli artisti e le opere per darne una lettura personale,
fatta di molte voci e opinioni diverse.
Il progetto educativo si è avvalso della consulenza di Silvia Mascheroni, esperta di mediazione
interculturale del patrimonio artistico e docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Una storia non editata. Incontro con i curatori e gli artisti della mostra
10 dicembre 2014, 17:00
Galleria 2
In occasione dell’inaugurazione un un talk con i curatori e gli artisti, moderato dal Direttore Artistico del
MAXXI Hou Hanru, per discutere le tappe fondamentali del progetto all’interno della mostra.
Shab-e Yalda. La festa del solstizio d’inverno
20 e 21 dicembre 2014, 16:00
Foyer Guido Reni
Laboratori didattici per le famiglie sulla festività Shab-e Yalda
Questi laboratori pre-natalizi sono dedicati a Shab-e Yalda, la gioiosa celebrazione della notte più lunga
dell’anno, quella del solstizio d’inverno. Prevedono una parte narrativa, dove ai bambini vengono
raccontate fiabe persiane, e una parte creativa dove adulti e bambini giocano e disegnano insieme,
inventando una nuona favola con i loro personaggi preferiti e quelli delle fiabe persiane.
La Rivoluzione è finita?
Il documentario e il film iraniano dal 1960 a oggi
a cura di Italo Spinelli
14 e 15 Febbraio 2015
MAXXI B.A.S.E.
Due appuntamenti dedicati al cinema e al documentario iraniano, per ripercorrere le fasi salienti della
cinematografia in Iran prima e dopo la Rivoluzione ed offrire uno sguardo sui temi e i caratteri prevalenti
della produzione artistica visiva in relazione a i fatti politici, sociali ed estetici degli ultimi cinquant’anni
Nawrūz, il Capodanno persiano
21 marzo 2015
Hall del museo
In occasione del Nawrūz e per promuovere la cultura e le tradizioni persiane, verranno realizzate attività
che ricordano i rituali preparatori di Chahârshanbe Sûrî (Festa del Fuoco, ultimo mercoledì dell’anno) e
descrivono i significati simbolici dell’Haft Sîn (Sette “S”). Il giorno in cui cade il Nawrūz la giornata sarà
completamente dedicata ai festeggiamenti con reading e letture drammatizzate di brani di letteratura
iraniana contemporanea. La sera sarà organizzata una cena persiana con musica tradizionale preceduta
da visite guidate alla mostra e laboratori per le famiglie.
Pacchetto: biglietto di ingresso al museo ridotto 8 euro + visita guidata 4 euro
Cena gratuita fino ad esaurimento posti, max 150 persone
Mille e una storia. Architettura, poesia e letteratura nell'Iran contemporaneo
27-28-29 marzo 2015
MAXXI B.A.S.E.
Tre appuntamenti dedicati alla cultura contemporanea dell'Iran per raccontare la storia, non ancora
chiusa, del conflitto tra tradizione e modernità della società di oggi.
Venerdì 27 marzo: incontro con l’architettura iraniana contemporanea, dallo zelo della modernizzazione
dell’ultimo Shah fino all’esplosione urbanistica dei giorni nostri.
Si prosegue con due appuntamenti di poesia e letteratura curati da Felicetta Ferraro (Ponte33).
Sabato 28 marzo: Appenderò alle mie orecchie due rosse ciliegie. La voce di Forugh Farrokhzad,
poetessa appassionata e coraggiosa che con i suoi versi ha espresso l'inquietudine di un'epoca di
trasformazioni sul filo di scelte personali ed artistiche di assoluto anticonformismo.
Domenica 29 marzo: Leggere l'Iran. Trasformazione sociale ed evoluzione culturale attraverso autori e
pagine di letteratura contemporanea.