“Spazi interculturali: trame, percorsi, incontri” Elenco degli abstract

Transcript

“Spazi interculturali: trame, percorsi, incontri” Elenco degli abstract
INCONTRO TEMATICO
“Spazi interculturali: trame, percorsi, incontri”
Elenco degli abstract
Sessione A. Stereotipi e pregiudizi
CORRELAZIONE ILLUSORIA ED ATTRIBUZIONE DI CAUSA: UNO STUDIO SUGLI
STEREOTIPI ETNICI IN ETA’ INFANTILE
Lorenza Di Pentima & Alessandro Toni
Dipartimento di Ricerca Sociale e Metodologia Sociologica “Gianni Statera”
Università degli Studi di Roma “Sapienza”
Gli studi che si sono interessati dell’emergere dei pregiudizi in età infantile hanno
dimostrato che i bambini sviluppano piuttosto precocemente precisi stereotipi attinenti sia il
proprio gruppo di appartenenza, sia gruppi diversi. I bambini, infatti, già all’età di 3 anni
sembrano possedere specifiche idee preconcette riguardanti gli altri gruppi etnici e/o
culturali (Yee e Brown, 1992; Doyle e Aboud, 1995). Tuttavia è tra i 5 e i 7 anni che i
bambini manifestano in modo più evidente pregiudizi negativi nei confronti dei membri
dell’out-group e al contempo una preferenza per coloro che appartengono al proprio
gruppo; solo successivamente i piccoli mostrano più accettazione per le minoranze e una
attenuazione della tendenza a favorire l’in-group e a sfavorire l’out-group (Arcuri e Cadinu,
1998; Aboud, 2003).
L’emergere del pregiudizio etnico in età infantile può essere ricondotto allo sviluppo
cognitivo e, in particolare, alla capacità di categorizzazione ed autocategorizzazione
sociale (Tajfel, Turner, 1986). I bambini, infatti, imparano, per lo più sulla base di
caratteristiche fisiche, a classificare se stessi come appartenenti ad un determinato gruppo
e ad identificare coloro che sono membri di gruppi differenti (Aboud, 1988).
Una delle conseguenze dei processi di categorizzazione sociale è rappresentata
dal group serving bias di attribuzione, ovvero la tendenza ad attribuire a cause interne i
comportamenti positivi del proprio gruppo e i comportamenti negativi degli altri gruppi e a
cause esterne i comportamenti negativi dell’in-group e quelli positivi dell’out-group
(Hewstone e Jaspars, 1982).
L’attribuzione di comportamenti per lo più positivi al proprio gruppo e di
comportamenti negativi a gruppi diversi può essere ricondotta, peraltro, anche ad un altro
fenomeno, noto come correlazione illusoria. Secondo il paradigma della correlazione
illusoria tendiamo a percepire come associati, benché ciò non sia vero, eventi insoliti e
poco frequenti. In ambito sociale, ad esempio, Hamilton e Gifford (1976) hanno dimostrato
che tendiamo ad associare eventi insoliti come l’essere membro di una minoranza (definita
solo in termini numerici) e la messa in atto di un comportamento negativo. Gli studi che
hanno analizzato il paradigma della correlazione illusoria in età infantile hanno evidenziato
risultati differenti in funzione dell’appartenenza etnica dei bambini. In queste ricerche il
gruppo di minoranza è definito sia dall’essere costituito da bambini immigrati, sia
dall’essere numericamente inferiore. Coloro che erano membri del gruppo di maggioranza
attribuivano più frequentemente comportamenti negativi al gruppo di minoranza (Primi e
Agnoli, 2002, 2005). I bambini della minoranza, al contrario, in taluni casi sovrastimavano i
comportamenti negativi del proprio gruppo, ma in altri attribuivano ad esso più
comportamenti positivi (Bachmann e Primi, 2006).
Il presente studio intende analizzare sia la correlazione illusoria sia il group serving bias di
attribuzione in bambini Italiani e Marocchini di scuola elementare, al fine di verificare
quanto entrambi i processi concorrano ad influenzare gli stereotipi di tipo etnico.
Hanno partecipato alla ricerca 397 bambini di scuola elementare, dei quali 297 Italiani e
100 Marocchini. L’età media è 8,9 anni (SD= .82) con un range di 8-11 anni. Sono stati
considerati alunni frequentanti le classi terza, quarta e quinta presso istituti pubblici del
Centro Italia.
E’ stato somministrato a ciascun bambino il materiale messo a punto da Primi e Agnoli
(2002), riadattato in questa ricerca per rappresentare i tratti somatici tipici di ambedue i
gruppi etnici oggetto del presente studio. Il test è costituito da 2 set (uno per bambini e
uno per bambine) di 21 disegni, in cui sono rappresentati bambini/e mentre mettono in atto
comportamenti positivi e negativi. I protagonisti delle vignette sono presentati secondo il
gruppo di appartenenza: il gruppo di maggioranza con tratti somatici tipici degli Italiani e il
gruppo di minoranza con tratti somatici propri dei Marocchini. La contrapposizione tra
maggioranza e minoranza è anche definita sulla base di una differenza numerica (le
vignette rappresentanti gli Italiani sono più numerose rispetto a quelle rappresentanti i
Marocchini).
A ciascuna vignetta, inoltre, è stata associata una domanda relativa all’attribuzione di
causa (interna versus esterna) per poter comprendere come i bambini motivano i
comportamenti positivi e negativi riferiti al gruppo di maggioranza e al gruppo di
minoranza. Ogni domanda ha previsto 4 alternative, 2 concernenti cause interne e 2
cause esterne. Le cause sono state individuate sulla base delle tipologie proposte da
Weiner (1985, 1986).
Per ciò che concerne la correlazione illusoria una analisi preliminare dei dati, condotta
mediante ANOVA sui bambini Italiani e Marocchini, ha evidenziato una significativa
associazione tra gruppo di minoranza e comportamenti negativi. Entrambi i gruppi,
peraltro, sovrastimano l’attribuzione all’in-group dei comportamenti positivi.
Per quanto attiene l’attribuzione di causa i risultati mostrano che sia i bambini Italiani sia
quelli Marocchini individuano in riferimento al loro gruppo per lo più cause interne quando
viene chiesto loro di valutare i comportamenti positivi, mentre riconducono maggiormente
a cause esterne i comportamenti negativi. Per quanto riguarda, invece, l’individuazione
delle cause dei comportamenti messi in atto dall’out-group si rileva una tendenza opposta.
Entrambi i gruppi riconducono a cause esterne i comportamenti positivi e a cause interne
quelli negativi.
Bibliografia
Aboud, F.E. (1988), Children and Prejudice, Oxford: Basil Blackwell
Aboud, F.E. (2003), “The Formation of In-group Favoritism and Out-group Prejudice in
Young Children: Are They Distinct Attitudes?”, Developmental Psychology, 39, 48-60
Arcuri, L. e Cadinu, M.R. (1998), Gli stereotipi, Bologna: Il Mulino
Bachmann, C. e Primi, C. (2006), Correlazione illusoria e appartenenza al gruppo: uno
studio con i bambini di una comunità cinese, Ricerche di Psicologia, 1, 105-121
Doyle, A. e Aboud, F.E., (1995), “A Longitudinal Study of White Children’s Racial Prejudice
as a Social Cognitive Development”, Merrill - Palmenr Quarterly, 41, 210-229
Hamilton, D.L. e Gifford, R.K. (1976), Illusory correlation in interpersonal perception: a
cognitive basis of stereotypic judgments, Journal of Experimental Social Psychology, 12,
392-407
Hewstone, M. e Jaspars, J. (1982), Intergroup relations and attribution processes, in H.
Tajfel (a cura di), Social identity and intergrop relations, Cambridge, Cambridge University
Press
Hewstone, M. e Jaspars, J. (1982). Intergroup relations and attributions processes. In H.
Tajfel (a cura di) Social identità and intergroup relations. Cambridge, Cambridge University
Press
Primi, C. e Agnoli, F. (2002), Children correlate infrequent behaviors with minority groups:
a case of illusory correlation, Cognitive Development, 17, 1105-1131
Primi, C. e Agnoli, F. (2005), Correlazione illusoria e stereotipo etnico in età evolutiva, Età
Evolutiva, 80, 42-53
Tajfel, H. e Turner, J.C. (1986), “The Social Identity Theory of Intergroup Behaviour”, in S.
Workell, W.G. Austin (a cura di), Psychology of Intergroup Relations, Chicago: Nelpon –
Hall,
Weiner, B. (1985), An attributional theory of achievement motivation and emotion.
Psychological Review, 92, 548-573
Weiner, B. (1986), An Attributional Theory of Motivation and Emotion. New York: SpringerVerlag
Yee, M.D. e Brown, R. (1992), “Self – Evalutations and Inter – Group Attitudes in Children
Aged Three to Nine”, Child Development, 63, 619-629
IO VOTO, TU NO: SDO, CONCEZIONE DELLO STATO E ATTEGGIAMENTO VERSO
GLI IMMIGRATI
Anna Miglietta, Silvia Gattino, Stefano Tartaglia
Dipartimento di Psicologia, Università di Torino
L’orientamento alla dominanza sociale (SDO) è una variabile di personalità che può
influenzare gli atteggiamenti verso gli immigrati stranieri, anche rispetto all’accettarli come
nuovi cittadini. La nozione di cittadinanza rimanda alla natura del contratto sociale che lega
individui e stato. Questa discende fondamentalmente da due ideologie che difendono vuoi
il primato della comunità – affermando la supremazia dell’ordine pubblico sulla libertà degli
individui – vuoi il primato dei diritti individuali, naturali e inalterabili, nei confronti di qualsiasi
sistema sociale. Così lo stato può essere percepito come difensore dei privilegi dell’ingroup
(i cittadini) da un outgroup potenzialmente minaccioso (gli immigrati), o un’entità sociale
che si fonda su partecipazione e solidarietà verso le categorie sociali più deboli, tra cui gli
immigrati.
La presente ricerca ha coinvolto 239 italiani adulti (età media = 45.51; d.s. = 15.03).
L’ipotesi, testata attraverso un modello di equazioni strutturali, è che la SDO influenzi la
concezione della natura e dei compiti dello Stato (repressivo vs. sociale), e gli
atteggiamenti verso il multiculturalismo (accettazione vs. rifiuto delle differenze culturali).
Questi, a loro volta, influenzano l’atteggiamento del gruppo maggioritario rispetto
all’inclusione degli immigrati, operazionalizzato attraverso una variabile volta a rilevare la
disponibilità a concedere agli immigrati il diritto di voto alle elezioni politiche.
I risultati hanno confermato che la SDO influenza un atteggiamento di chiusura verso
le differenze culturali e una concezione dello stato di tipo repressivo. La concezione dello
stato influenza a sua volta la disponibilità a concedere il voto agli immigrati mentre,
contrariamente alle nostre ipotesi, gli atteggiamenti verso il multiculturalismo non
esercitano alcuna influenza in tal senso.
Parole chiave: inclusione sociale, SDO; modelli di equazioni strutturali; educazione alla
cittadinanza
L’EFFETTO DEL CONFLITTO REALISTICO SU PREGIUDIZIO SOTTILE E MANIFESTO:
IL CASO CINESE.
Pia Cariota Ferrara, Francesco La Barbera
Università degli Studi di Napoli Federico II
Una delle più note proposte teoriche nell’ambito della tradizione psicosociale è senza
dubbio la Teoria del Conflitto Realistico di Sherif e collaboratori (cfr. Sherif, 1967), la quale
afferma che il conflitto intergruppi nasce quando uno scopo competitivo crea una
situazione di interdipendenza a struttura negativa. Questo studio è stato condotto in una
zona della provincia napoletana dove gli immigrati di provenienza cinese formano un
gruppo numeroso ed economicamente in conflitto con la popolazione autoctona. Al fine di
indagare l’effetto del conflitto realistico sul pregiudizio manifesto e sul pregiudizio sottile,
ad un campione non probabilistico di autoctoni sono state somministrate le scale di
Pettigrew e Meertens (1995), utilizzando come variabile entro i soggetti il gruppo-target Cinesi (target conflittuale) vs. Polacchi (target non conflittuale) vs. Marocchini (target non
conflittuale, tradizionalmente svalutato) – e come variabile between l’appartenenza
categoriale dei rispondenti rispetto all’occupazione lavorativa (commercianti settore
tessile, commercianti altro settore, liberi professionisti, studenti). Dalle prime analisi
effettuate sembra emergere che il conflitto realistico esercita un’azione maggiore sulla
dimensione manifesta, piuttosto che su quella sottile del pregiudizio. Verranno discusse le
interazioni tra il pregiudizio, il conflitto realistico, lo status sociale e le dinamiche identitarie
(cfr. Capozza e Brown, 2000).
Parole chiave: conflitto intergruppi, pregiudizio manifesto e sottile
Bibliografia
Brown, R., e Capozza, D., 2000. Social Identity Processes. Sage, London.
Sherif, M., 1967. Social interaction, process and products. Chicago: Aldine; trad. it.:
L’interazione sociale, Il Mulino, Bologna, 1972.
Pettigrew, T.F., & Meertens, R.W. (1995). Subtle and blatant prejudice in Western Europe,
European Journal of Social Psychology, 25, pp. 57-75.
LA COSTRUZIONE DELL’ESPERIENZA INTERCULTURALE:
APPLICAZIONE/USO DI UNO STRUMENTO PER LA VALUTAZIONE DI
RAPPRESENTAZIONI E STEREOTIPI IN UN CAMPIONE DI IMMIGRATI VERSO IL
GRUPPO “OSPITANTE”
Antonio Aiello*, Angela Angelastro**, Maria Teresa Agus*, Paola Ortu*, Gabriele
Sanna *, Ingrid Atzei*.
*Università degli Studi di Cagliari; **“Sapienza” Università di Roma
La presente ricerca ha indagato sul declinarsi di rappresentazioni e stereotipi culturali che
la minoranza immigrata nel nostro Paese detiene verso il gruppo di maggioranza. A tal fine
si è ulteriormente affinato uno strumento valutativo dell’esperienza interculturale
consistente in un intervista articolata su 20 aree problema. Sul piano teorico, si è fatto
riferimento ad assunti di matrice etnografica, in cui sono esplicitate osservazioni di natura
riflessiva, rifacendosi così alla prospettiva antropologica adottata da Geertz (1987) e
considerando il contesto come una delle caratteristiche salienti dell’indagine. In ogni caso,
l’ambito teorico principale, nel quale questo lavoro prende corpo, è quello della psicologia
sociale discorsiva (Billig, 1985). Lo strumento è stato somministrato ad un campione di 80
immigrati, approssimativamente bilanciati per genere, singolarmente intervistati.
Nell’insieme i risultati esaminati attraverso l’Analisi del Discorso ha messo in evidenza
come la scelta dei dispositivi retorici risulti largamente funzionale e intenzionale nei
parlanti, al fine di argomentare circa specifici repertori interpretativi considerati salienti per
la costruzione discorsiva dell’identità sociale positiva (Tajfel, 1981). Attraverso queste
strategie discorsive gli intervistati hanno mostrato, inoltre, atteggiamenti di marcato
etnocentrismo verso il gruppo di maggioranza (Aiello, 2003). Nell’insieme tali risultati
vengono discussi sottolineando anche la salienza degli aspetti metodologici inerenti
l’applicazione/uso di strumenti atti a rilevare l’esperienza interculturale.
Parole chiave: Le immagini dell’immigrazione, Intervista interculturale,
interculturale.
Mediazione
Bibliografia
Aiello A. (2003). L'articolazione discorsiva del "Razzismo Moderno": l'uso del diniego e
delle giustificazioni. Rivista di Psicolinguistica Applicata, 3, 20-33.
Billig M. (1985). Prejudice, categorization and particularization: from a perceptual to a
rethorical approach. European Journal of Social Psychology, 15, 79-103.
Geertz C. (1987) Local knowledge. New York: Basic Book. Antropologia interpretativa
(1998) Bologna: Il Mulino.
Tajfel H. (1981). Gruppi umani e categorie sociali. Bologna: Il Mulino.
CATEGORIZZAZIONI INCROCIATE ED IDENTITÀ UMANA COME MODERATORI DEL
PREGIUDIZIO ETNICO
Monica Rubini e Flavia Albarello
Università di Bologna
La società contemporanea grazie ai flussi migratori verso il nostro paese diventa sempre
più popolata da una molteplicità di gruppi sociali caratterizzati da etnie e culture assi
diversificate tra loro. Alcuni di questi gruppi diventano oggetto di grande discriminazione
simbolica e comportamentale altri invece vengono invece trattati con maggior rispetto e
considerazione.
Lo scopo della linea di ricerca oggetto di questo contributo è quello di investigare gli
effetti delle categorizzazioni sociali incrociate (ottenute attraverso la congiunzione dell’
attributo colore della pelle e appartenenza religiosa) insieme al priming dell’identità
umana su una forma particolarmente drammatica di discriminazione, ossia la negazione
(relativa) dell’umanita dei gruppi sociali risultanti da tali incroci. I risultati mostrano che la
salienza dell’identità umana attenua la tendenza a considerare i gruppi target meno
umani solo quando questi vengono considerati relativamente familiari e non minacciosi .
Verranno discusse le implicazioni di tali fattori come facilitatori del contatto intergruppi.
TUTTI UGUALI? LE IMMAGINI DEI GRUPPI IMMIGRATI NEGLI STEREOTIPI DEGLI
ITALIANI
Chiara Volpato e Federica Durante
Università degli Studi di Milano – Bicocca
Lo studio indaga il contenuto dello stereotipo dei principali gruppi immigrati presenti nella
realtà italiana mediante lo Stereotype Content Model (SCM; Fiske, Cuddy, Glick & Xu,
2002; Lee & Fiske, 2006). Tale modello propone di considerare le relazioni socio-strutturali
intergruppi rispetto a due dimensioni critiche: lo status socio-economico (alto-basso) e il
tipo di interdipendenza (cooperativa-competitiva) percepiti. Le combinazioni delle relazioni
strutturali generano il contenuto degli stereotipi, che si articola intorno a due nuclei
fondamentali: competenza e calore. Abbiamo chiesto ai partecipanti all’indagine di
valutare una serie di gruppi immigrati (scelti per la loro numerosità e salienza), giudicando:
competenza, calore, status e interdipendenza con il gruppo italiano. I risultati sono in
corso di elaborazione. Ci aspettiamo: 1) che le immagini dei gruppi immigrati differiscono
per quanto riguarda le attribuzioni di competenza e calore; 2) che alcuni gruppi siano
definiti da stereotipi ambivalenti, vale a dire siano giudicati alti su una dimensione, bassi
sull’altra; 3) che altri gruppi (ad esempio, “clandestini”) siano oggetto di un pregiudizio
sprezzante e giudicati bassi sia sulla dimensione di competenza, sia sulla dimensione di
calore.
Parole chiave: Contenuto dello stereotipo, Immigrati, Indagine empirica.
Bibliografia
Fiske, S. T., Cuddy, A. C., Glick, P., & Xu, J. (2002). A model of (often mixed) stereotype
content: Competence and warmth respectively follow perceived status and competition.
Journal of Personality and Social Psychology, 82, 878-902.
Lee, T. L., & Fiske, S. T. (2006). Nota n outgroup, not yet an ingroup: Immigrants in the
Stereotype Content Model. International Journal of Intercultural Relations, 30, 751-768.
CHI E’ ETNOCENTRICO E’ EGUALMENTE PREGIUDIZIEVOLE NEI CONFRONTI DI
DIFFERENTI MINORANZE RELIGIOSE?
Marcella Ravenna e Alessandra Roncarati
Università di Ferrara, Dipartimento di Scienze Umane
Le trasformazioni avvenute nella societ‡ italiana con líintensificarsi dei flussi migratori e
del terrorismo internazionale, possono avere prodotto notevoli e pervasive modificazioni
nelle relazioni intergruppi in termini di chiusura cognitiva e sociale nei confronti degli
outgroup (Jost e Hunydady, 2002). In considerazione di tali andamenti e dellíincremento di
episodi di razzismo e di antisemitismo (EUMC, 2006) questo studio investiga i possibili
nessi fra motivazioni a rafforzare le disuguaglianze intergruppi e percezione di due
minoranze religiose, piuttosto che etniche: Ebrei e Musulmani. Tramite un questionario
differenziato per tipo di minoranza, abbiamo verificato: a) come 401 studenti universitari
percepiscono i target in termini di entitativit‡ (Castano et al, 1999), pregiudizio (Levinson e
Sanford, 1944; Pettigrew e Meertens, 1995) e deumanizzazione (PÈrez e Chulvi, 2003;
Struch e Schwartz, 1989); b) la forza delle relazioni fra livelli di dominanza (Pratto et al.
1994) e di etnocentrismo (Aiello e Areni, 1998) dei perceiver e misure di percezione
sociale dei target, c) come líadesione a sistemi di credenze non egalitarie influenza la
percezione dei target. I risultati, discussi nel quadro delle relazioni intergruppi ed a
possibili azioni di riduzione del pregiudizio, evidenziano percezioni differenziate verso
Musulmani ed Ebrei, ove spiccano livelli di pregiudizio e di discriminazione pi˘ consistenti
nei confronti dei primi. PoichÈ sono i partecipanti con alti livelli di etnocentrismo a
manifestare atteggiamenti di pregiudizio e comportamenti discriminatori pi˘ marcati verso i
Musulmani, questo ci porta a sostenere che chi Ë etnocentrico non Ë egualmente
pregiudizievole nei confronti delle due minoranze religiose considerate.
Parole Chiave: etnocentrismo, discriminazione intergruppi, minoranze religiose, metodo
correlazionale, riduzione del pregiudizio
Sessione B. Ruoli sociali e familiari attraverso le culture
LE COPPIE MISTE TRA RISORSE E DIFFICOLTÀ
Milena Lombardi, Ritagrazia Ardone
Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione – Università
Sapienza di Roma
Introduzione
Il considerevole aumento dei processi migratori in Italia sta contribuendo alla continua
crescita del fenomeno delle unioni miste. Risulta rilevante studiare le dinamiche affettive e
negoziali di queste coppie, al fine di giungere ad una comprensione articolata e complessa
del fenomeno, che permetta anche di predisporre interventi di promozione delle relazioni.
Obiettivi
Il presente contributo ha lo scopo di descrivere le condizioni che, nella percezione dei
partner, rendono realizzabile una relazione di coppia mista e le conseguenze che ne
derivano.
Metodo
La ricerca si avvale di una metodologia qualitativa che utilizza l’approccio narrativo,
facendo emergere il vissuto dei partecipanti. Il corpus dei dati è costituito da 11 interviste
effettuate a coppie miste, trascritte e codificate attraverso il software ATLAS.ti.
Risultati
I partecipanti hanno individuato, tra le caratteristiche che rendono realizzabile la relazione,
l’apertura mentale, la flessibilità, la disponibilità a collaborare per il bene della coppia.
Un’altra condizione indispensabile è la conoscenza di una lingua comune che garantisce
una comunicazione funzionale e permette all’altro di accedere al mondo interno del
partner. Dalle interviste emerge la convinzione che il rapporto con un partner straniero
richieda un notevole impegno (commitment).
Tra le conseguenze della relazione mista gli intervistati riconoscono l’arricchimento
reciproco, sperimentando inoltre delle trasformazioni di sé, sia come risultato del confronto
con una persona diversa, sia in quanto il partner è portatore della propria cultura di
appartenenza. Un aspetto che appare problematico riguarda l’inserimento sociale, specie
in alcuni casi. Nella nostra ricerca sono i partecipanti provenienti da alcuni paesi dove
vigeva il regime comunista a risentire in maniera specifica di giudizi negativi sulla loro
storia e cultura.
Parole chiave Coppie miste, Analisi qualitativa di interviste narrative, Promozione delle
relazioni
INTERVENTI CULTURALMENTE SENSIBILI: QUALE TERAPIA FAMILIARE PER
GRUPPI ARABI MINORITARI?
Guido Veronese∗, Mahmud Said**, Marco Castiglioni∗.
Università Milano Bicocca, Scienze della Formazione.
**
Educational Psychological Services Iksal (Israel), Center for Adolescent and Family
Therapy “Al Madina”, Nazareth (Israel).
*
Israele è oggi terreno di confronto tra culture in costante differenziazione e
contrapposizione: la cultura araba, rappresentata dalla minoranza palestinese con “carta
blu”, e la cultura occidentale rideclinata nel milieu ebraico.
La terapia familiare (TF), in virtù delle sue premesse epistemologiche di stampo
interazionista, è uno degli interventi di supporto psicologico e terapeutico che storicamente
ha posto maggiore attenzione ai contesti culturali micro e macro-sociali, elaborando
interventi e pratiche adattabili alla cultura in cui gli operatori svolgono la loro azione.
Obiettivo e contesto della ricerca: individuare i temi emergenti dalla conversazione con gli
operatori autoctoni durante un periodo di formazione in TF, tenutosi in Israele a social
worker e psicologi dell’educazione arabi.
Metodo: i testi della discussione con gli operatori arabi in formazione sono sottoposti ad
analisi del contenuto, con un metodo di tipo grounded theory, al fine di costruire macro
categorie semantiche a partire dai nuclei tematici rilevati da giudici indipendenti.
Risultati: alcune tecniche di TF appaiono ben adattarsi alla configurazione attuale della
famiglia nucleare arabo-palestinese, che prevede figure maschili forti ma periferiche e
figure femminili centrali ma vissute come più deboli. Viene discussa l’efficacia di alcuni
strumenti culturalmente sensibili di intervento sulla famiglia, evidenziandone vincoli e
rischi (concettuali e operativi) connessi alla loro derivazione occidentale.
Parole Chiave: lavoro sul campo, Israele/Palestina, ricerca qualitativa.
PROGETTI E PERCORSI MIGRATORI AL MASCHILE
Nadia Rania, Laura Migliorini, Paola Cardinali
Dipartimento di Scienze Antropologiche, Sezione di Psicologia
Università degli Studi di Genova
Nell’incontro tra culture diverse conseguente ad eventi migratori il tema dell’identità sociale
si interseca con gli studi sulle strategie d’acculturazione (Capozza, Brown, 2000). Come è
noto diversi studi hanno messo in evidenza come la migrazione possa rappresentare
un’esperienza stressante con costi psicologici ed emotivi non trascurabili sia a livello
individuale sia sociale (Baccallao, Smokowsky, 2007). Il percorso di adattamento può
essere favorito dalla soddisfazione per la situazione, dal senso di autoefficacia percepito e
dalla possibilità di sviluppare relazioni interpersonali con soggetti appartenenti alla cultura
ospite (Mogghaddam, Taylor, Wright, 1993). All’interno di questo scenario quando a
migrare sono gli uomini risulta particolarmente saliente l’inserimento lavorativo e la
conseguente identità professionale. Il contesto di lavoro, all’interno del quale si sviluppa
l’identità professionale e sociale dell’individuo (Walsh, Gordon, 2007), può favorire il
benessere soggettivo e il contatto tra le diverse etnie riducendo la discriminazione tra
gruppi (Jasinskaja-Lahti, Liebkind, Perhoniemi 2007).
L’obiettivo del contributo è quello di indagare, attraverso interviste in profondità, il
progetto migratorio, il percorso di inserimento e gli stress ad esso connessi, la definizione
dell’identità professionale, la rete di supporto, le strategie di riorganizzazione delle
competenze pregresse per adattarle al nuovo contesto, la connessa percezione di
autostima e l’incontro tra culture. La ricerca, con carattere esplorativo, ha coinvolto 42
uomini adulti (età media 38 anni) immigrati extracomunitari; le trascrizioni sono state
sottoposte ad analisi qualitativa del contenuto (Nudist). Verranno presentati i principali
risultati.
Parole chiave: migrazione maschile, intervista in profondità, inserimento sociale e
lavorativo
LE FAMIGLIE INTERCULTURALI: IDENTITÀ, DINAMICHE INTERPERSONALI E
SOCIALI
Panari Chiara, Fruggeri Laura, Mancini Tiziana
Dipartimento di Psicologia, Università di Parma
Le famiglie interculturali, composte da persone appartenenti a culture diverse,
rappresentano un fenomeno sociale in progressiva espansione in Italia.
L’obiettivo della presente ricerca è analizzare questa nuova tipologia famigliare
distaccandosi dall’approccio della psicologia cross-culturale. La prospettiva teorica di
riferimento è, invece, la psicologia culturale (Mantovani, 2005) che concepisce la cultura
come una risorsa per l’azione agita concretamente dagli individui nella vita quotidiana.
Nell’assumere questo punto di vista, sono stati adottati modelli d’analisi complessi
(Falicov, 1995; Fruggeri, 1995), nella convinzione che una simile tipologia famigliare
potesse essere letta in modo esaustivo solo attraverso differenti fattori individuali,
interpersonali e sociali.
A partire da queste premesse è stato condotto uno studio attraverso 40 interviste
semistrutturate a 20 coppie miste. Lo strumento utilizzato era articolato in diverse parti
(qualitative e quantitative) finalizzate a rilevare le strategie adottate per fare fronte a tre
specifiche situazioni (le scelte educative, il rapporto con l’esterno e con la famiglia
allargata) e l’impatto che su tali strategie hanno la provenienza del coniuge straniero,
l’identità e le pratiche culturali agite in famiglia.
I dati qualitativi sono stati analizzati attraverso l’Interpretative Phenomenological Analysis.
Quelli quantitativi attraverso statistiche non parametriche per dati appaiati.
Il principale risultato consiste nel fatto che le modalità di gestione delle differenze culturali
nelle diverse situazioni interattive considerate non sembrano determinate dagli
orientamenti culturali dei coniugi, ma sono piuttosto contesto-specifiche e dunque l’esito
dell’intreccio di fattori individuali, interpersonali e macrosociali.
Parole chiave: famiglie interculturali; psicologia culturale; counseling interculturale
IDENTITÀ INDIVIDUALE E FAMILIARE IN ADOLESCENTI CHE HANNO VISSUTO UN
CONFLITTO ETNICO NELL’INFANZIA
Silvia Galvani, Wilma Binda, Claudia Manzi
Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
La ricerca si focalizza sul funzionamento di famiglie con ragazzi adolescenti che hanno
vissuto un conflitto etnico durante l’infanzia. Lo scopo principale è capire che tipologia di
coping familiare e di funzionamento ( in termini di supporto sociale, conflittualità,
comunicazione, coesioni) siano messi in atto dalle famiglie dopo una guerra. Sono
riscontrabili differenze rispetto ad un contesto non bellico? Inoltre ci prefiggiamo di
comprendere se la modalità di coping familiare e di funzionamento sono coinvolti, o al
limite predittivi, sia nel processo di sviluppo dell’identità dell’adolescente (con riferimento
all’Identity Process Theory di Breakwell, 1986) sia nella costruzione del benessere (con
riferimento al concetto di Post Traumatic Growth di Tedeschi e Calhoun, 1995).
Il campione è costituito da 100 triadi kosovare reperite in una scuola superiore di
Mitrovica (Kosovo) e 100 triadi italiane reperite in una scuola superiore di Crema ( Italia)..
E’ stato somministrato un questionario al fine di raccogliere informazioni socio
demografiche e relative alla guerra, relative alla costruzione del processo di identità, al
funzionamento familiare. Ci aspettiamo che dopo una guerra il funzionamento familiare
cambi in relazione agli stili parentali, al livello di comunicazione, alla ricerca di supporto
sociale. Inoltre questo cambiamento potrebbe interessare sia il benessere e la
costruzione dell’identità adolescenziale, sia la qualità di vita della famiglia.
Parole Chiave: Identità Individuale e Familiare; Studio Quantitativo; Promozione della
salute- benessere in ambito post bellico
CONSUMO DI TABACCO TRA ADOLESCENTI IMMIGRATI E NON:
L’INFLUENZA DI VARIABILI FAMILIARI E SOCIO-ECONOMICHE
Santinello Massimo*, Cristini Francesca**, Lenzi Michela*, Altoè Gianmarco*,
Daniela Baldassari***
* Università degli Studi di Padova
** Università degli Studi della Valle d’Aosta
*** CRRPS - Centro Regionale di Riferimento per la Promozione della Salute - Verona
Ricerche condotte soprattutto in Nord America (Georgiades, Boyle, & Duku, 2007; Garcia
Coll, 2005; Nguyen, 2006) hanno delineato un fenomeno definito “immigrant paradox”.
Questo si riferisce al fatto che, pur se gli adolescenti immigrati vivono spesso in condizioni
socioeconomiche svantaggiate, essi riportano minori livelli di problematiche da
esternalizzazione ed internalizzazione (Georgiades, Boyle, Duku, & Racine, 2006;
Sampson, Morenoff, & Raudenbush, 2005). Alcuni autori hanno spiegato questo
fenomeno di resilienza dei giovani immigrati sulla base di processi legati a positive
caratteristiche delle famiglie di immigrati (Shields & Behrman, 2004; Vega, Sribney,
Aguilar-Gaxiola, & Kolody, 2004).
Alcune ricerche hanno evidenziato come anche il consumo di tabacco sia meno diffuso tra
gli adolescenti immigrati rispetto ai coetanei non immigrati (Georgiades et al., 2006).
Risulta, quindi, importante analizzare quali fattori possano influenzare il consumo di
tabacco in adolescenza e se tali fattori abbiano il medesimo impatto su adolescenti
immigrati e non. Ciò risulta particolarmente rilevante nel contesto italiano, poiché che
l’Italia non è inclusa in uno dei più importanti studi Europei sull’adattamento di adolescenti
immigrati e non (Berry, Phinney, Sam, & Vedder, 2006).
Sulla base di queste considerazioni il presente contributo si propone di analizzare se il
consumo di tabacco è meno frequente in adolescenti immigrati rispetto agli adolescenti
nati in Italia; si vuole inoltre verificare se la condizione di essere immigrati o figli di
immigrati ha un effetto di moderazione sulla relazione tra consumo di tabacco, livello
socioeconomico, qualità delle relazioni familiari. I dati della presente ricerca sono stati tratti
dallo studio trans-nazionale “Health Behavior in School Aged Children” (HBSC), condotto
in collaborazione con l’ufficio Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
L’universo di riferimento per l’indagine HBSC è costituito da alunni nelle fasce di età di 11,
13 e 15 anni, provenienti dalla Regione Veneto.
Il campione della presente ricerca è composto da 6474 studenti; dal presente studio sono
stati esclusi gli studenti che non hanno potuto essere classificati rispetto alla condizione di
immigrati o non immigrati e rispetto alle variabili familiari. In tal modo il campione risulta
composto da 6116 studenti (maschi=50,2%, femmine= 49,8%). I risultati preliminari non
evidenziano la relazione ipotizzata tra consumo di tabacco e livello socio-economico;
inoltre, il fenomeno definito immigrant paradox risulta meno presente tra gli adolescenti
immigrati in Italia, rispetto a quanto evidenziato da altre ricerche.
Parole chiave: adolescenti, immigrati di 1° e 2° generazione, consumo di tabacco,
prevenzione
Bibliografia
Berry, J.W., Phinney, J.S., Sam, D.L., & Vedder, P. (Eds.) (2006a). Immigrant youth in
cultural transition: Acculturation, identity and adaptation across national contexts.
Mahwah, NJ: Lawrence Erlbaum Associates.
Garcia Coll, C. (2005). The immigrant paradox: Critical factors in Cambodian students’
success. Paper presented at the 2005 Biennial meeting of the Society for Research in
Child Development. Atlanta, Georgia, 7–10 April 2005.
Georgiades, K., Boyle, M. H., & Duku, E. (2007). Contextual Influences on Children’s
Mental Health and School Performance: The Moderating Effects of Family Immigrant
Status. Child Development, 78, 5, 1572 – 1591.
Georgiades, K., Boyle, M. H., Duku, E., & Racine, Y. (2006). Tobacco use among
immigrant and non-immigrant adolescents: Individual and family level influences. Journal
of Adolescent Health, 38, 443.e1 – 443.e7.
Nguyen, H.H. (2006). Acculturation in the United States. In D.L. Sam & J.W. Berry (Eds.),
Cambridge handbook of acculturation psychology (pp. 311–330). Cambridge: Cambridge
University Press.
Sampson, R. J., Morenoff, J. D., & Raudenbush, S. (2005). Social anatomy of racial and
ethnic disparities in violence. American Journal of Public Health, 95, 224 – 232.
Shields, M. K., & Behrman, R. E. (2004). Children of immigrant families: Analysis and
recommendations. The Future of Children, 14, 4 – 15.
Vega, W. A., Sribney, W. M., Aguilar-Gaxiola, S., & Kolody, B. (2004). 12-month
prevalence of DSM-III-R psychiatric disorders among Mexican Americans: Nativity, social
assimilation, and age determinants. The Journal of Nervous and Mental Disease, 192, 532
– 541.
TRA CONTEMPORANEITÀ E TRADIZIONE: LA FAMIGLIA ARABA IN ISRAELE
NELL’EPOCA DELLA GLOBALIZZAZIONE.
Guido Veronese∗, Marco Castiglioni∗, Mahmud Said**.
*
Università Milano Bicocca, Scienze della Formazione.
**
Educational Psychological Services Iksal (Israel), Center for Adolescent and Family
Therapy “Al Madina”, Nazareth (Israel).
Il caso della famiglia araba in Israele appare emblematico nel fare emergere alcune
contraddizioni tra istanze locali tradizionali e forze globalizzanti particolarmente attive nei
contesti urbani. La minoranza palestinese in Israele, pur vivendo in una sorta di
marginalizzazione e deprivazione culturale, appare proiettata verso la modernizzazione
rideclinata nell’adesione ai valori occidentali.
Obiettivo: obiettivo della ricerca è evidenziare gli elementi di contrasto tra istanze
tradizionali e spinte verso la modernità nella famiglia araba israeliana urbanizzata.
Metodo: interviste semistrutturate effettuate con psicologi dello sviluppo e social worker
israelo-palestinesi impegnati nel lavoro clinico e sociale con famiglie della regione di
Nazareth (Galilea), sottoposte ad analisi tematica attraverso confronto intergiudici.
Risultati: dall’analisi delle interviste appare una sorta di intransitività tra istanze tradizionali
e spinte alla contemporaneità. La rinuncia alla tradizione mette a rischio di perdita
dell’identità la famiglia araba che si vedrebbe assimilata alla cultura israeliana. La rinuncia
alla contemporaneità rischia di accentuare la marginalizzazione e il “declassamento” della
cittadinanza araba in Israele.
Parole Chiave: Israele, famiglia araba, globalizzazione
Sessione C. I luoghi dell’incontro
LA COSTRUZIONE SOCIALE DEI PROCESSI DI ACCULTURAZIONE IN UNA PICCOLA
COMUNITÀ LOCALE
Tiziana Mancini
Dipartimento di Psicologia, Università di Parma
Partendo dalla prospettiva della psicologia culturale (Cole, 1986), l’obiettivo di questo
studio è stato quello di descrivere i processi di costruzione sociale delle modalità di
integrazione tra autoctoni e immigrati di religione musulmana in un piccolo paese della
Lunigiana, segnato negli ultimi anni da due eventi particolari: l’apertura di una moschea
(1999) e l’individuazione di una possibile cellula terroristica islamica nel paese (2003).
Analizzando le narrazioni di questi eventi da parte dei media, di alcune figure autorevoli
del paese (sindaco, parroco, iman) e di un gruppo di abitanti locali sia autoctoni che
immigrati musulmani, l’obiettivo principale della ricerca è stato rivolto alla ricostruzione dei
contesti di significato all’interno dei quali tendono a strutturarsi i rapporti tra appartenenti
alla comunità locale autoctona (N. 2100) e appartenenti alla comunità musulmana (N. 86).
Lo studio si è avvalso di strumenti sia qualitativi che quantitativi: i) interviste condotte
rispettivamente con il Sindaco, il Parroco e l’Iman della moschea; ii) analisi del contenuto
di 42 articoli di giornale; iii) questionari semi-strutturati somministrati a 105 adulti autoctoni
(età media = 44.03, Range 18-77; 59% F.) e a 19 adulti immigrati dal Nord-Africani (18
marocchini, 1 tunisino; età media = 27.42, Range 18-39; 2 F.).
I risultati ottenuti descrivono una situazione in cui alla preoccupazione allarmistica
veicolata dai media e ai tentativi di stigmatizzazione dei membri della comunità
musulmana, si associano forti sentimenti di discriminazione da parte dei musulmani
consapevoli di generare negli autoctoni paure e un senso di minaccia. Questo tende a
portare gli stessi immigrati ad una chiusura nei confronti della comunità locale, chiusura
che se da un lato sembra contribuire alla scarsa conoscenza che gli autoctoni hanno
dimostrato di avere dei modi di vivere della comunità musulmana ritenendoli molto più
orientati alla messa in atto delle proprie “pratiche” culturali di quanto in realtà gli stessi non
abbiano dichiarato di fare, dall’altro è in contrasto con quelle aspettative di integrazione
che gli autoctoni hanno espresso nei loro confronti.
Parole chiave: immigrati musulmani; psicologia culturale; acculturazione
LA COSTRUZIONE DI UNO SPAZIO DI RICERCA INTERCULTURALE: IL TERRITORIO
Valentina Schiavinato, Dorian Soru, Paolo Cottone, Giuseppe Mantovani
Università di Padova
Il contributo propone un approccio agli studi interculturali (Mantovani 2008b) che
considera il territorio quale spazio privilegiato di ricerca. L’intercultura è qui intesa come un
modo di considerare le differenze che, nella relazione tra persone e culture, pone in primo
piano l’agency. La prospettiva interculturale, quindi, permette di costruire nuovi “oggetti” di
ricerca non più basati sulle contrapposizioni tra gruppi culturali, intesi come delle “realtà
omogenee”, immobili e chiuse in se stesse (Mantovani, 2008c), bensì sull’analisi dei
sistemi di attività nel territorio.
Il territorio è pensato come luogo non della cristallizzazione e del confinamento (cfr. il
concetto di “campo” dei primi studi etnografici) ma piuttosto dell’incontro culturale. Lo
studio di sistemi di attività nel territorio, quindi, permette di osservare i processi di
cambiamento che avvengono in tutti i campi della vita quotidiana delle persone e delle
città, favoriti anche, ma non solo, dall’intensificarsi dei processi migratori. Spazi di ricerca
privilegiati, in questo senso, sono costituiti dalle “interfacce” tra cittadini migranti e italiani,
anche di carattere istituzionale. Si pensi, tra gli altri, ai servizi sociosanitari, spazi per la
comunicazione sul disagio psicologico (Armezzani, 2008) così come per la condivisione
delle pratiche di cura ed accudimento della relazione madre-bambino, oppure ai Consigli
di Quartiere, spazi di elaborazione delle politiche locali (Schiavinato e Soru, 2008), o
ancora agli sportelli di servizio pubblico, luoghi del contatto diretto tra cittadini ed
istituzione.
L’analisi del discorso, in particolare nella sua “versione” critica (CDA) costituisce una
metodologia adatta a cogliere, in maniera situata, i processi sociali legati al “farsi”
dell’intercultura nel territorio (Mantovani, 2008a). La CDA, infatti, indaga l’articolazione tra i
livelli micro e macro del discorso, inteso come pratica sociale, non guardando agli individui
isolati ma piuttosto alle relazioni tra essi, mediate da artefatti culturali, ponendo particolare
attenzione agli aspetti organizzativi.
Sono presentati alcuni esempi di analisi tratti da una ricerca, condotta in un quartiere di
Padova, sulle pratiche politiche delle istituzioni locali in campo interculturale, e alcuni
spunti da una ricerca, tutt’ora in corso, sull’organizzazione degli sportelli comunali in
riferimento all’utenza migrante.
Bibliografia
Armezzani, M. (2008). Psicologia clinica e intercultura. In G. Mantovani (a cura di),
Intercultura e mediazione. Modelli ed esperienze per la ricerca, la formazione e la pratica,
Roma, Carocci.
Mantovani, G. (2008a). Discorso e contesto sociale. Metodi qualitativi per un mondo
plurale. Bologna: Il Mulino.
Mantovani, G. (a cura di)(2008b). Intercultura e mediazione. Modelli ed esperienze per la
ricerca, la formazione e la pratica. Roma: Carocci.
Mantovani, G. (2008c). Intercultura: la differenza nel cortile di casa. In G. Mantovani (a
cura di), Intercultura e mediazione. Modelli ed esperienze per la ricerca, la formazione e la
pratica, Roma, Carocci.
Schiavinato, V., Soru, D. (2008). Studio del territorio come strategia di ricerca: “dire” e
“fare” l'intercultura in un Consiglio di Quartiere. In G. Mantovani (a cura di), Intercultura e
mediazione. Modelli ed esperienze per la ricerca, la formazione e la pratica, Roma,
Carocci.
Parole chiave: territorio, critical discourse analysis, sistemi di attività istituzionali
I FACILITATORI CULTURALI: UN ESEMPIO DI COMUNICAZIONE INTERCULTURALE
SU STRADA
Vincenzo Romania e Adriano Zamperini
Università di Padova
A Padova, come in tante altre aree metropolitane, la presenza di immigrati è diventata
sempre più consistente (oltre il 10%) e ha sollevato, negli anni, conflitti di tipo culturale e di
controllo sociale con la popolazione locale. La situazione cittadina è diventata così oggetto
di attenzione nazionale, per alcuni casi in cui il conflitto è arrivato a sfociare in proteste di
comitati cittadini, nella costruzione di muri separatori ed in altre forme di manifestazione di
insofferenza popolare. In tale contesto, si è inserito il progetto “Facilitatori Culturali”,
promosso dal Comune di Padova, al fine di agire sulle politiche di comunità nei quartieri
più difficili, cercando di migliorare le relazioni interetniche e la vivibilità percepita. Nel
giugno 2007, in forma sperimentale per un anno, è stata così introdotta una figura inedita
di mediatori culturali su strada, chiamati dalla municipalità patavina a svolgere un lavoro di
prossimità, di ascolto e di mediazione, nei quartieri a più alta concentrazione di immigrati.
In totale sono stati reclutati 18 operatori, tutti stranieri, provenienti da differenti aree
linguistiche. Per tale progetto, siamo stati chiamati a svolgere due inchieste campionarie
all’inizio ed alla fine del servizio ed a seguire i facilitatori attraverso una serie di focus
group, finalizzati a comprendere le difficoltà, le contingenze, e gli aspetti psico-sociali
legati alla loro professione. I dati tratti da questi incontri costituiscono una ricchissima
fonte di conoscenza sulle dinamiche di costruzione di ruolo, sui processi di interazione fra
stereotipi, pregiudizi ed esperienza ed ancora sugli aspetti interazionali, comunicativi ed
emozionali legati alle pratiche di comunicazione interculturale che hanno costituito la loro
professione.
In chiave interazionista, il nostro intervento vuole indagare come i facilitatori hanno
affrontato il proprio ruolo come condotta situata, considerate la novità del ruolo stesso, la
mancanza di aspettative codificate, la necessità di ri-posizionarsi rispetto a stereotipi e a
cattive interpretazioni popolari del ruolo, le difficoltà e le contingenze relazionali ed
emozionali connesse ad una professione del dialogo, rispetto alla quale nel nostro
contesto istituzionale non esistono referenti omologhi.
Parole chiave: comunicazione interculturale; metodo: analisi interazionista di focus group; i
contesti pratici di mediazione culturale.
INSEGNANTI E GENITORI NEI CONTESTI EDUCATIVI: PRATICHE DIALOGICHE E DI
CONFRONTO INTERCULTURALE
Susanna Mantovani, Francesca Linda Zaninelli
Quale idea di bambino hanno insegnanti, genitori e genitori di culture diverse? In che
modo le idee, le aspettative e le preoccupazioni dei genitori possono trovare voce ed
essere ascoltate e interpretate nei contesti educativi? La scuola dell’infanzia è in grado di
trasformare la complessità della società multiculturale in un’opportunità per tutti? La
presenza, gli sguardi e le voci dei genitori immigrati sono un evidenziatore del curriculum
implicito e una opportunità per ripensare gli obiettivi, le pratiche comunicative e la funzione
dei servizi educativi e della scuola come prima occasione per l’incontro e il dialogo in uno
spazio pubblico.
Il contributo che si presenta approfondisce il tema della relazione tra famiglie e servizi per
l’infanzia esplorando le modalità e gli approcci comunicativi che coinvolgono i genitori
immigrati e gli insegnanti per individuare pratiche dialogiche, stimoli per la comunicazione
(filmati, testi, ecc) e modalità per la conduzione di gruppi di genitori e insegnanti che
possano essere implementate nei contesti educativi rendendo possibile la partecipazione
e l’ascolto delle voci dei genitori immigrati. La nostra proposta prende le mosse dai dati
emergenti da una ricerca che ha dato la parola ai genitori immigrati delle scuole
dell’infanzia di paesi diversi (Mantovani, Bove, Tobin, 2008; Mantovani, 2007; Bove, 2007)
e fa riferimento agli studi sulla natura culturale dei gruppi (Zucchermaglio, 2006) e alle
indicazioni emergenti dagli studi sulla comunicazione interculturale (Mucchi Faina, 2006) e
dialogo in contesti culturalmente eterogenei (Baraldi, 2004).
Parole Chiave: insegnanti/genitori, pratiche dialogiche, servizi educativi per l’infanzia
IL SOVRAIUTO A SCUOLA: UNA PROSPETTIVA INTERCULTURALE
Francesca D’Errico, Tiziana Mastrovito, Giovanna Leone
Università di Roma La Sapienza
I costi dell’aiuto per il ricevente, generalmente esaminati a livello interpersonale (Nadler,
1997), possono essere considerati anche in una prospettiva intergruppi. Tali costi, infatti,
appaiono legati non solo alla visibilità sociale del diverso potere di chi dà rispetto a chi
riceve, ma anche all’accettazione (o meno) di relazioni di potere asimmetriche intergruppi.
Si assume, infatti, che una norma implicita preveda che i membri del gruppo dominante
aiutino i membri del gruppo dominato (Nadler, 2002). In quest’ottica, il nostro contributo si
focalizza più in particolare sul fenomeno del sovraiuto benevolo, definibile come un aiuto
eccessivo rispetto alle potenzialità autonome del ricevente. Pur espressione di
interessamento da parte del donatore, tale aiuto può essere controproducente, poiché, se
reiterato, rischia di rendere chi riceve dipendente da chi dà (D’Errico & Leone, 2006;
Leone, in stampa; D’Errico, in stampa). In tale quadro abbiamo condotto uno studio in una
scuola elementare, osservando 20 diadi insegnante-alunno (10 alunni italiani e 10 rumeni)
impegnati in un gioco di simulazione, creato ad hoc. Adattando originalmente, a fini di
conoscenza esplorativa, la classica tecnica di intervento del video-feedback (Mastrovito, in
stampa), abbiamo mostrato privatamente, a ciascun insegnante coinvolto, la
videoregistrazione delle sequenze critiche del proprio comportamento di aiuto, come
stimolo-guida per un’intervista focalizzata sull’analisi della propria interazione con l’alunno.
I risultati mostrano il ruolo cruciale dell’autoriflessione, nella consapevolezza critica dei
comportamenti di aiuto disfunzionali.
Bibliografia
D’Errico F., Leone G., (2006). Giocare ad aiutare. L’uso di un gioco di simulazione come
possibilità di osservazione e di auto-valutazione del sovra-aiuto materno, in presenza di
una malattia cronica infantile (“The helping game. Using a game simulation to collect
observations and self-ratings on maternal over-helping, in case of chronic illness of the
child”) Psicologia della salute, (1) 91-106.
Leone G. (in stampa). I costi dell’aiuto. Teorie e pratiche del dare e del ricevere. Milano,
Unicopli.
D’Errico F. (in stampa). Il sovraiuto materno nella malattia cronica infantile: aspetti
comportamentali, emozionali e autoriflessivi. In G.Leone (a cura di ) I costi dell’aiuto.
Teorie e pratiche del dare e del ricevere. Milano: Unicopli Editore.
Mastrovito T. (in stampa). Giochi di simulazione e video-feedback: una proposta
metodologica. In G. Leone (a cura di) I costi dell’aiuto. Teorie e pratiche del dare e del
ricevere. Milano: Unicopli.
Nadler A. (1997). Personality and Help Seeking: Autonomous versus Dependent Seeking
of Help, in Sarason B., Sarason I., & Pierce R.G., (a cura di), Handbook of Personality and
Social Support, New York, Plenum.
Nadler, A. (2002). Inter-Group Helping Relations as Power Relations: Maintaining or
Challenging Social Dominance Between Groups Through Helping, Journal of Social
Issues. 58, no. 3, pp. 487-502.
Parole chiave: aiuto, gioco di simulazione e video-feedback, contesti scolastici multietnici
LUOGHI CHE RACCONTANO/RACCONTO DEI LUOGHI:
SPAZI ED OGGETTI DOMESTICI TRA BIOGRAFIA E CULTURA
Sabina Giorgi Alessandra Fasulo
Università Sapienza di Roma
L’allestimento degli spazi domestici, sia in termini di allocazione e uso degli spazi (Birdwell
–Pheasant, Lawrence-Zuñiga 1999; Graesch 2004; Low, Lawrence-Zuñiga 2003) sia in
termini di disposizione ed esibizione degli oggetti (Chevalier 1999; Miller 2001; Bonnot
2002) è rispondente tanto a convenzioni culturali, che a stili familiari e individuali, che
ancora a istanze di socializzazione (quest’ultimo punto particolarmente saliente nel caso
famiglie immigrate (Giorgi 2008; Giorgi Padiglione, Pontecorvo, 2007). Il presente studio
intende approfondire tale tematica attraverso l’investigazione comparativa sui racconti
relativi alle case, agli spazi e agli oggetti ottenuti tramite due fonti principali: la descrizione
della casa, audioregistrata, fatta da uno o più membri della famiglia al ricercatore nel corso
di una “visita guidata” (audiotour), e la descrizione che tutti i membri della famiglia
individualmente, muniti di telecamera, hanno svolto come compito di ricerca (videotour)
(Ochs et al. 2006).
Gli audiotour e videotour di 8 famiglie italiane a Roma, due famiglie marocchine a Rabat e
due famiglie marocchine a Roma saranno analizzati confrontando le famiglie sia come
singole ‘culture familiari’ (Padiglione, Fatigante 2008) che propongono modalità espressive
idiosincratiche e peculiari, sia come esponenti di uno stesso contesto culturale (famiglie
italiane a Roma, famiglie marocchine a Rabat o a Roma) che mostrano nel confronto sia
tratti culturali generali, sia modalità inventive e sincretiche, particolarmente nel caso delle
famiglie marocchine a Roma.
Saranno illustrare le rappresentazioni emergenti riguardo a suddivisioni e appropriazioni
dei luoghi della casa, logiche alla base dell’esposizione e del nascondimento di oggetti,
narrazioni di cui spazi e oggetti sono protagonisti. Le scelte di allestimento degli spazi
domestici, nel quadro teorico della ‘memoria sociale’, saranno discusse come ‘lavoro
culturale’ che le famiglie e i suoi membri svolgono rispetto alle proprie storia e tradizione e
a quelle delle diverse appartenenze culturali che intendono testimoniare all’interno delle
proprie case.
Bibliografia:
Birdwell-Pheasant, D. e Lawrence-Zúñiga, D., 1999, (eds.) House life. Space, Place and
Family in Europe, Oxford, Berg.
Bonnot T. (2002) La vie des objets. d'ustensiles banals a objets decollection, Paris,
Maison des Sciences de l'Homme.
Chevalier, S., 1999, The French Two-Home Project. Materialization of Family Identity, in I.
Cieraad, (Ed.) At Home. An Anthropology of Domestic Space. Syracuse, New York,
Syracuse University Press, pp. 107-117.
Giorgi, S. (2008) Etnografia di famiglie marocchine. Tesi di dottorato, Sapienza Università
di Roma
Giorgi, S., Padiglione, V., Pontecorvo, C. (2007) Appropriations: Dynamics of Domestic
Space Negotiations in Italian Middle-Class Working Families, Culture & Psychology,13: pp.
147 - 178.
Graesch, A.P. (2004). Notions of Family Embedded in the House. Anthropology News, 45
(5).
Low, S. e Lawerence-Zúñiga, D., 2003, The anthropology of space and place, MaldenOxford-Victoria, Blackwell.
Miller, D. (2001) Home Possessions. Material culture behind closed doors, Oxford, New
York, Berg.
Ochs, E., Graesch, A. P., Mittmann, A., Bradbury, T., and Repetti, R. (2006). Video
Ethnography and Ethnoarchaeological Tracking. In M. Pitt-Catsouphes, K. Kossek, and S.
Sweet (Eds.), The Work-Family Handbook: Multi-Disciplinary Perspectives and
Approaches to Research, pp. 387-409. Lawrence Erlbaum Associates, New Jersey.
Padiglione V., Fatigante M. (2008) Family cultures. In preparazione per conferenza
ISCAR, San Diego, Settembre 2008.
Parole Chiave: spazi ed oggetti domestici, etnografia, narrazioni audio e video, forme
dell’abitare nella migrazione
L’ALTRO
BENESSERE.
INTERCULTURALI
MULTISCAPES
NARRATIVI
E
CONTAMINAZIONI
Giuseppe Mininni, Rossella Rubino
Università degli studi di Bari
Una consolidata tradizione di ricerca sul costrutto del benessere soggettivo aderisce a una
prospettiva cross-culturale, nella quale l’enfasi è posta sulla ricerca delle possibili
variazioni nei repertori interpretativi di tale vissuto riconducibili al confronto tra teorie
edoniche e teorie eudemoniche (Diener, 2004). In una prospettiva di interculturalità
(Mantovani 2004), come quella che verrà qui adottata, si è invece interessati alla
individuazione e alla salvaguardia della incommensurabilità (Benvenuto 2000) quale cifra
dell’esperienza di benessere soggettivo, documentabile attraverso scambi e negoziazioni
di significati. I dati empirici, raccolti con la tecnica dell’intervista semistrutturata, sono stati
forniti dalle descrizioni e dai racconti di 13 extracomunitari residenti a Bari. Alcune
procedure di socioretorica (Berlin 1993) compatibili con gli approcci dell’Analisi del
Discorso e della Conversazione ci hanno consentito di rintracciare una prima mappa dei
processi di costruzione interculturale dell’esperienza del benessere soggettivo. Essi
appaiono marcati da una tendenza generale all’attraversamento dei confini temporali e
degli ambienti di lavoro e da strategie particolari di tessitura narrativa della propria storia di
vita. La molteplicità dei paesaggi interiori riconoscibili come benessere
personale/soggettivo viene resa coerente da uno sforzo di “appaesamento” (Signorelli
2000), sostenuto dalle pratiche discorsive che, nell’incontro tra le culture, valorizzano le
differenze nelle forme di attribuzione di senso.
Sessione E. Pratiche interculturali
DIALOGO INTERCULTURALE E APPROCCIO ECOLOGICO
Caterina Arcidiacono, Fortuna Procentese, Anna Bocchino
Università di Napoli Federico II
L’obiettivo del contributo si muove nell’ambito degli studi psico-sociali inerenti il tema
dell’immigrazione con particolare riferimento sia a come l’individuo singolo è inscritto in un
sistema sociale (Bronfenbrenner; 1979, Murrel 1973, Prilleltensky, 2001) sia alle tematiche
inerenti i processi di acculturazione così come delineati dai modelli di Berry (2001),
Bourhis & Barrette (2004) e Bourhis et al. (1997). Il tema del dialogo interculturale sarà
analizzato nella prospettiva dell’ approccio ecologico (Prilleltensky, 2008) che considera
l’individuo all’interno del contesto socioculturale di riferimento e delle relazioni che si
instaurano al suo interno, e che per la definizione del benessere individuale e collettivo
non trascura di esaminare le opportunità che i contesti offrono e forme /modalità di potere
che in essi viene esercitato.
A partire da una ricerca sul campo ( Arcidiacono, Procentese, Bocchino in preparazione),
condotta con un gruppo di immigrati, residenti nelle aree napoletane caratterizzate da
flussi migratori con caratteristiche di relativa stabilità e di legami comunitari, saranno
portate alla discussione riflessioni per le politiche di integrazione sociale tra i gruppi
prevalenti e minoritari che popolano il nostro paese.
L’accento sarà inoltre posto su come il cambiamento culturale fra individui provenienti da
differenti background e le dinamiche di potere che si instaurano all’interno del
gruppo/contesto di accoglienza
influenzino la qualità delle relazioni intergruppali
(Branscombe, Ellemers, Spears, & Doosje,1999; Florack, Herbert Bless & Piontkowski,
2003, Prilleltensky, 2006).
Parole chiave: Interazione migranti nativi, Approccio ecologico, quartiere e contesti
organizzativi/associativi locali.
L'INTERVISTA INTERCULTURALE COME LUOGO DI CONFRONTO
Alessandra Talamo
Università Sapienza di Roma
La salienza del confronto tra culture nel panorama odierno è rilevabile, oggi, anche dalla
ricchezza della produzione di studi sulle situazioni di incontro sociale tra culture ospitanti e
migranti.
La produzione scientifica di tali dati avviene in gran parte attraverso l’uso di metodologie
tipiche della ricerca sociale: interviste e questionari.
Nonostante la consapevolezza del fatto che la qualità dei dati raccolti dipenda dalla
relazione che si viene a creare nel momento specifico dell’incontro tra intervistato e
intervistatore sia emersa sin nei primi studi psicologici che utilizzano interviste in modo
sistematico (si pensi alla formazione degli intervistatori che ha caratterizzato il Rapporto
Kinsey), assistiamo spesso alla pubblicazione di indagini che riguardano i migranti e
l’incontro tra culture che non offrono alcuna prospettiva sulle conversazioni che li hanno
generati. Pochi termini, tuttavia, esprimono in psicologia il senso dell’oggetto di studio in
modo tanto esplicito come quello di <<Interviste>>. Inter-vista rimanda esplicitamente ad
un processo di co-costruzione da parte dei partecipanti, ad una visione unitaria di un dato
fenomeno che si raggiunge attraverso l’integrazione e lo scambio di visioni durante
l’interazione (Kvale, 1996). Harvey Sacks (1972) sostiene che i partecipanti alla
conversazione ordinaria (o mondana) progettano il loro colloquio relativamente a chi si
trovano di fronte: un colloquio specifico per un destinatario specifico. Gli aspetti di cocostruzione dei significati durante le interviste interculturali sono, come è evidente,
assolutamente centrali eppure tuttora poco indagati. L’intervista, così come il questionario,
possono essere concettualizzati come delle particolari modalità di interazione sociale, tipi
specifici di conversazione. E così, proprio come avviene in una qualunque forma di
interazione sociale, anche nell’intervista ogni contributo dei partecipanti alla conversazione
in corso, struttura la conversazione stessa e quindi influisce su ciascuna fase del processo
di comprensione delle domande e delle risposte ad esse.
La ricerca che è stata condotta riferisce i risultati dell’analisi discorsiva di 13 interviste
condotte a migranti di diverse culture di provenienza. L’analisi si focalizza su due aspetti
dell’incontro culturale: il comportamento dell’intervistatore come portatore di una cultura
“indiscussa” (quella ospitante) e interprete spesso ingenuo dei significati degli intervistati;
le capacità linguistiche degli intervistati come risorse per la negoziazione dei significati
durante l’intervista.
I risultati invitano ad una problematizzazione delle indagini condotte in contesti
interculturali in assenza di competenze specifiche di mediazione linguistica e culturale da
parte dei ricercatori.
IL CORPO MIGRANTE TRA CAMBIAMENTO CULTURALE E PROCESSI DI AGENCY:
UNA LETTURA ATTRAVERSO IL CASO DELLE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI.
Federica de Cordova* & Paolo Inghilleri**
*Università degli Studi di Verona, **Università degli Studi di Milano
Il lavoro prende origine da una ricerca sui processi di cambiamento attivati, in contesti
migratori, da gruppi sociali portatori di pratiche escissorie. In particolare, vengono
approfondite le dinamiche di trasformazione identitaria poste in atto attraverso il confronto
con il contesto socioculturale italiano, associato all’impatto che ha avuto la recente
regolamentazione giuridica delle pratiche di mutilazione genitale femminile. La condizione
di migrazione pone i soggetti al di fuori del quadro culturale d’origine, in cui tali pratiche
tradizionali acquisiscono senso. Le persone, donne e uomini ad esse legati, si trovano
così a dover fronteggiare un’immagine di sé all’interno di un “disordine simbolico”, in un
doppia lettura che persiste al di là delle scelte specifiche che ogni individuo compie
relativamente al mantenimento della pratica.
L’indagine sulla relazione esistente tra i soggetti e l’ordine sociale, condotta attraverso dei
focus group con testimoni privilegiati, approfondisce le seguenti ipotesi:
a) che la richiesta al cambiamento proposta dalla società ospitante vada ad indebolire
i processi di definizione identitaria propri dei gruppi in oggetto e che induca quindi
strategie compensative;
b) che l’opportunità di cambiamento proposta dal confronto con la società ospitante
sveli eventuali funzioni patogene dei significanti culturali ed apra ad occasioni di
cambiamento di sé, svelando anche eventuali processi di violenza strutturale.
Gli esiti di questi percorsi identitari saranno dibattuti ponendo in relazione alcuni dei
modelli di adattamento culturale tipici della psicologia sociale (acculturazione,
assimilazione, processi di adattamento sociale) in relazione con i concetti di agency e
autodeterminazione.
Parole chiave: cambiamento culturale - costruzione del sé – esperienza soggettiva biculturale
INVECCHIAMENTO E INTERCULTURA
Alberta Contarello, Roberto Bonetto, Diego Romaioli e Joao Wachelke
Dipartimento di Psicologia Generale, Università di Padova
Negli ultimi anni, ci siamo occupati del processo di invecchiamento in prospettiva
sociocostruttivista. L’attenzione è stata rivolta alle rappresentazioni sociali di “anziano”,
“vecchiaia”, “invecchiamento” condivise in diversi contesti e alla relazione di tali
conoscenze della vita quotidiana con i costrutti di “Active Aging” e “Positive Aging”. Il modo
in cui abbiamo esplorato l’invecchiamento nei vissuti di giovani e di anziani, nelle immagini
dei media, nei discorsi raccolti in interviste e piccoli gruppi trova il proprio fondamento
teorico nel paradigma delle rappresentazioni sociali – che sottolinea il carattere sociale,
storico, situato di quelle forme di pensiero condiviso che va a studiare – e nella prospettiva
del socio-costruzionismo – che nega l’esistenza di un “modo corretto” di descrivere il
mondo e invita a considerare le tante costruzioni possibili, culturalmente e storicamente
situate. Per ampliare tale esplorazione, si è avviata un’indagine parallela, in contesto
italiano e brasiliano, tramite interviste e strumenti quali-quantitativi.
I risultati invitano a discernere tra gruppi sociali distinti in ragione del posizionamento
assunto rispetto al tema dell’invecchiamento e quindi ad uno studio delle intersezioni tra
processi di costruzione differenti dello stesso fenomeno. Il presente contributo si propone
di approfondire le dinamiche intergenerazionali e i possibili percorsi di interazione tra
gruppi, delineando un più ampio progetto di ricerca in dialogo con una prospettiva
interculturale.
Parole Chiave:Invecchiamento, Rappresentazioni sociali, Strumenti e analisi qualiquantitativi, Generazioni, Italia, Brasile
DOUBLE BURDEN TRA DONNE ITALIANE E DONNE MIGRANTI:
SPUNTI PER UNA RICERCA UNA RICERCA AZIONE FEMMINISTA
Elisabetta Camussi, Anita Pirovano, Valentina Grosso Gonçalves
Dipartimento di Psicologia, Universita` degli Studi di Milano-Bicocca
La femminilizzazione dei processi migratori è un dato relativamente recente (Decimo,
2005) ed è molto indagata in letteratura (prevalentemente sociologica ed economica) sia
per i risvolti legati ai diritti delle donne in contesti culturali differenti da quello di
provenienza sia rispetto al tema del lavoro privato di cura (l’ambito in cui le donne migranti
si trovano impiegate nella maggior parte dei casi). Questo fenomeno è fortemente
connesso alla “rivoluzione incompiuta” italiana (Zamprini,2005), ossia al progressivo
Formattati: Elenchi puntati e
numerati
aumento della presenza delle donne nel mercato del lavoro extra-domestico, cui non ha
fatto seguito un cambiamento del sistema di welfare (tuttora familistico e incentrato sul
lavoro di cura non retribuito svolto quasi esclusivamente dalle donne, Picchio, 2000) e
neppure un sostanziale aumento di condivisione dei compiti di cura tra i partner (Eurostat,
2006), Questa ricerca qualitativa vuole guardare al fenomeno da un punto di vista
psicosociale, con un approccio non neutro rispetto al genere, esplorando in gruppi di
donne italiane e migranti la rappresentazione del lavoro, del lavoro di cura, delle pari
opportunità e del work-life conflict. Si ipotizza che nonostante i due gruppi vivano
condizioni profondamente differenti e vengano spesso descritti come in contrapposizione
(rispetto alle provenienze, alle culture, alle condizioni di vita, allo status), in realtà esistano
delle trasversalità profonde in
termini di rappresentazioni del ruolo femminile e prospettive di emancipazione. Quaranta
donne lavoratrici, italiane e migranti, hanno partecipato ad un colloquio individuale semistrutturato seguito da un follow up di gruppo. Le trascrizioni integrali delle produzioni
discorsive sono state analizzate mediante metodi quali-quantitativi computer aided.
Parole Chiave: metodi qualitativi, donne migranti, feminist action-research
CAMBIAMENTI SOCIALI E RICOSTRUZIONE DEL SE’: UN PERCORSO DI
NEGOZIAZIONE TRA APPARTENENZA ED IDENTITA’ NELLE BANDE DI “LATINOS”
ITALIANI.
Eleonora Riva
Università degli Studi di Milano
Le esperienze delle bande giovanili in Italia tendono a connotarsi sempre più per
categorizzazioni di origine etnico e culturale. Questa tipologia di aggregazione risulta
molto più complessa ed articolata rispetto alle bande di quartiere e alle baby gang, e
permettono di riconoscersi al proprio interno anche a ragazzi che non appartengono al
mondo delinquenziale (Axelman, Bonnell 2006). In particolare le bande latino-americane
risultano avere una struttura articolata e una buona capacità di connessione a livello
internazionale (Jodi 2007), e anche per ciò acquistano interesse per i giovani immigrati
latino-americani del territorio italiano (Ambrosini, Quierolo Palmas 2005). Tali gruppi, in
questo particolare momento storico, stanno promuovendo dei processi di emersione dal
sommerso (Kallas 2004), e si muovono, apportando anche dei grandi cambiamenti nelle
proprie modalità comunicative, relazionali e di manifestazione sociale, per ottenere il
riconoscimento da parte delle istituzioni come interlocutori legittimi (Cannarella,
Lagomarsino, Quierolo Palmas 2007).
In questo contributo si intende approfondire i significati simbolici ed identitari che il
partecipare a tale processo di cambiamento sociale può avere per i singoli adolescenti
coinvolti (Fowlin 2002). A partire dall’analisi di alcuni casi di ricerca, dimostreremo come
l’uscita dal gruppo/banda, per sanzioni legali o amministrative, possa portare a un reingresso nel gruppo con una veste nuova proprio grazie ai processi di cambiamento
sociale in atto (Taylor et al. 2002, 2003). Per presentare questo approccio, oltre alle più
note teorie sulle dinamiche di gruppo e sull’adattamento culturale, si farà riferimento al
concetto di artefatto culturale (Inghilleri 2003) e alle teorie della psicologia positiva
(Csikszentmihalyi 1990, Peterson e Seligman 2004).
Parole chiave: identità sociale e individuale, metodo: colloqui clinici, contesto applicativo:
mediazione sociale e territorio urbano
DISCRIMINAZIONE PERCEPITA, CONFLITTI E PROCESSI DI INCLUSIONE NEI
CONTESTI INTER-ETNICI
Carmencita Serino, Filomena Milena Marzano, Giovanna Susca
Università di Bari
In un momento in cui il "bisogno di sicurezza" rappresenta uno dei temi caldi della vita
sociale, occorre moltiplicare gli sforzi in direzione della comprensione e della gestione
delle dinamiche legate all'incontro fra culture.Nei contesti di vita , il confronto intergruppi
può generare tensioni e conflitti che si esprimono nel senso di minaccia e nella percezione
di discriminazioni che sembrano rappresentare in misura crescente la cifra delle nostre
relazioni sociali , e che segnalano l'impoverirsi di quella fondamentale risorsa per l'azione
e per la convivenza che siamo soliti definire "capitale sociale".
In questo quadro, il nostro contributo verte sulle discriminazioni percepite da parte degli
stranieri, con particolare riferimento all'ambito lavorativo e ai contesti socio-sanitari.
Sul tema delle discriminazioni in ambito lavorativo vengono richiamati e discussi i risultati
di una ricerca da noi condotta in collaborazione con Centri e Associazioni interculturali nel
quadro di un confronto nazionale che ha interessato fra Regioni emblematiche (Puglia e
Veneto) . La ricerca ha interessato 636 lavoratori, 260 donne e 376 uomini provenienti dal
Nord Africa, dall'Africa Centro-meridionale, dall'Est Europa, dal Sud America e
dall'Estremo Oriente e interpellati in province del Nord (N= 396 in Verona) e nel Sud
Italia (N=240 in Bari, Lecce e Brindisi)*.
Le relazioni inter-etniche nei contesti socio-sanitari sono invece l'oggetto di una ricerca
attualmente in corso in centri socio-sanitari e strutture assistenziali della Puglia, di cui
vengono qui presentati i primi risultati.
[*Progetto di Ricerca nazionale "La discriminazione etnica nel lavoro pubblico e privato:
monitoraggio del fenomeno ed effettività delle tutele". Progetto UNAR, fin. Dal
Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in coll. con
Associazione Multietnica di Intercultura e Servizi per Immigrate e Immigrati
"Sarowiwa"(Sogg.proponrntr) , l'Università di Bari, l'Università di Lecce, e il "CESTIM" di
Verona]
Sessione E. Identità sociale, contatto intergruppi e processi di acculturazione
INCLUSIVITÀ DELL’IDENTITÀ SOCIALE ED INTEGRAZIONE FRA GRUPPI
Silvia Moscatelli e Monica Rubini
Università di Bologna
Il presente contribuito prende in rassegna gli studi relativi alla questione delle
appartenenze sociali multiple e della complessità dell’identità sociale, focalizzandosi sulle
conseguenze per l’integrazione ed il miglioramento delle relazioni tra gruppi. Una identità
sociale complessa (ossia una rappresentazione di diversi ingroup come distinti ma
integrati in un’unica identità sociale) è correlata ad una maggiore tolleranza verso gruppi
etnici diversi dal proprio (Brewer e Pierce, 2003). È inoltre possibile avanzare ipotesi
rispetto alla situazione in cui i gruppi di appartenenza sono caratterizzati da livelli di
inclusività diversi (ad esempio, la regione di provenienza, la nazione, ed entità
sovranazionali): una identità sociale più inclusiva dovrebbe infatti essere in relazione con
atteggiamenti più positivi verso gruppi che, pur rappresentando degli outgroup ad un
determinato livello di categorizzazione, appartengono ad uno stesso ingroup sovraordinato
(Rubini e Moscatelli, 2006). Sarà infine illustrato un progetto di ricerca che, prendendo in
considerazione le relazioni fra un gruppo maggioritario (gli Italiani) ed un gruppo
minoritario (costituito da immigrati), si propone di individuare alcune variabili connesse ad
una integrazione sociale positiva, esaminando in particolare il ruolo giocato dallo sviluppo
di una identità sociale inclusiva da parte degli immigrati e dalla percezione di deprivazione
relativa rispetto al gruppo maggioritario.
Parole Chiave: appartenenze sociali multiple, inclusività dell’identità sociale degli
immigrati, integrazione sociale
L’ATTEGGIAMENTO MAGGIORITARIO NEI CONFRONTI DELLE STRATEGIE DI
ACCULTURAZIONE MINORITARIE: L’IMPORTANZA DI CONSIDERARE PIÙ LIVELLI DI
ANALISI
Dino Giovannini, Andrea Pintus e Loris Vezzali
Dipartimento di Scienze sociali, cognitive e quantitative
Università di Modena e Reggio Emilia
La ricerca psicosociale ha ampiamente evidenziato come l’acculturazione sia un processo
che coinvolge sia i membri dei gruppi maggioritari sia quelli appartenenti ai gruppi
minoritari. In proposito, Bourhis, Moise, Perreault e Senecal (1997) hanno proposto il
modello di acculturazione interattiva, secondo cui l’esito del processo di acculturazione
dipende dalla corrispondenza tra gli orientamenti di acculturazione espressi dai gruppi che
entrano in contatto tra loro. In particolare, diverse ricerche hanno messo in luce come sia
di fondamentale importanza analizzare la corrispondenza tra le strategie di acculturazione
preferite e quelle percepite come preferite, nonché effettivamente adottate dall’outgroup
(Navas et al., 2005), un aspetto fino ad ora ancora poco esplorato che è stato indagato in
questo studio. In modo casuale sono stati somministrati a studenti universitari italiani tre
tipi di questionario, analoghi per contenuto, ma che differivano per il gruppo target
considerato: 1) immigrati in generale; 2) immigrati Cinesi; 3) immigrati Marocchini. I
risultati delle analisi confermano l’importanza di indagare in modo congiunto
l’atteggiamento acculturativo espresso rispetto a: a) diversi outgroup (immigrati in generale
e specifici gruppi); b) specifici ambiti (contesto lavorativo, cultura, relazioni intime); c) più
livelli di astrazione (preferito dai soggetti, attribuito all’outgroup, percepito come dato di
realtà).
Sono risultate, inoltre, importanti predittori delle strategie di acculturazione variabili di
differenza individuale, quali l’identificazione con l’ingroup e l’orientamento alla dominanza
sociale (Sidanius & Pratto, 1999).
Parole Chiave: strategie di acculturazione, questionario, interventi per aumentare la
coesione sociale
Bibliografia
Bourhis, R. Y., Moïse, L. C., Perreault, S., & Senecal, S. (1997). Towards an interactive
acculturation model: A social psychological approach. International Journal of Psychology,
32, 369-386.
Navas, M. M., García, C Sánchez, J., Rojas, A. J., Pumares, P., & Fernández, J. S.
(2005). Relative Acculturation Extended Model (RAEM): New contributions with regard to
the study of acculturation. International Journal of Intercultural Relations, 29 (1), 21-37.
Sidanius, J., & Pratto, F. (1999). Social dominance: an intergroup theory of social
hierarchy and oppression. New York: Cambridge University Press.
APPARIRE GIUSTI VERSO GLI IMMIGRATI: IL CONFLITTO TRA EGALITARISMO E
INSICUREZZA NEGLI ELETTORI DI SINISTRA.
Alparone, F. R.*, Mucchi Faina, A.**, Pagliaro, S.*; Pacilli, M .G**
*Dipartimento di Scienze Biomediche, Università di Chieti-Pescara
**Dipartimento di Istituzioni e Società, Università di Perugia
Recenti sondaggi riflettono un’immagine del nostro paese come fortemente attraversato
da un sentimento di insicurezza legato al fenomeno dell'immigrazione. Si rileva un legame
diretto tra paura della criminalità e presenza di immigrati nel contesto di vita, legame che
può avere come evidenti ricadute un aumento del pregiudizio e dell’intolleranza. Ricerche
internazionali mostrano inoltre che: 1) la percezione di minaccia di atti terroristici aumenta
il pregiudizio non solo verso gruppi direttamente collegati a questa minaccia ma anche
verso gruppi estranei a questi accadimenti e generalmente più protetti dalla norma sociale
di correttezza;. 2) le richieste di ordine, sicurezza e protezione – considerate tradizionale
appannaggio della destra – appaiono oggi diffuse anche tra le persone orientate a
sinistra.. Ci si chiede come queste persone riescano a conciliare i valori centrali della loro
ideologia (solidarietà, equità) - che proscrivono l’esibizione del pregiudizio - con la
percezione di insicurezza che induce un aumento del pregiudizio in senso lato verso gli
immigrati. Considerando l’atteggiamento ambivalente come una strategia per offuscare il
pregiudizio verso i gruppi esterni, nella presente ricerca si è ipotizzato che l’ambivalenza
medi l’effetto dell’insicurezza sul pregiudizio verso un gruppo etnico protetto dalla norma
sociale, ma solo negli elettori di sinistra. Una ricerca condotta con 226 studenti
dell’Università di Chieti ha confermato la nostra ipotesi.
Parole chiave: insicurezza , ambivalenza, pregiudizio, collocazione politica, Metodo:
sperimentale
CONTATTO INTERGRUPPI: EFFETTI SUL FUNZIONAMENTO COGNITIVO
E LE VALUTAZIONI DELL’OUTGROUP
Loris Vezzali*, Dora Capozza**
* Università di Modena e Reggio Emilia, ** Università di Padova
Si è realizzato un esperimento al fine di confrontare i modelli del contatto intergruppi (vedi
Brown & Hewstone, 2005; Gaertner & Dovidio, 2000). La relazione considerata era quella
tra Italiani e Albanesi.
Sessanta studenti di Psicologia (Università di Padova) sono stati assegnati a una di tre
condizioni sperimentali: gruppi separati, identità comune, controllo (contatto con un
Italiano). I risultati hanno mostrato che le valutazioni dell’outgroup, espresse sulle misure
esplicite (valutazione misurata con il differenziale semantico; stereotipi), erano migliori
nelle condizioni di gruppi separati e identità comune che nella condizione di controllo.
Inoltre, livelli precedenti di pregiudizio esplicito (pregiudizio affettivo; Pettigrew & Meertens,
1995) e implicito (Implicit Association Test; Greenwald, McGhee, & Schwartz, 1998)
peggioravano la prestazione cognitiva (Stroop test; vedi Richeson & Shelton, 2003) e, allo
stesso tempo, miglioravano le valutazioni espresse sulle misure esplicite solo nella
condizione di gruppi separati.
L’esperimento dimostra che il contatto può avere simultaneamente effetti negativi (sulla
prestazione cognitiva) e effetti positivi (sulle valutazioni esplicite). Inoltre, si è trovato che
gli effetti negativi dei livelli iniziali di pregiudizio esplicito e implicito sono moderati dalla
salienza della categorizzazione.
Parole chiave: contatto intergruppi, studio sperimentale, interventi di riduzione del
pregiudizio.
NON TUTTI GLI OUTGROUP SONO “MENO UMANI”: STATUS E MINACCIOSITÀ DEI
GRUPPI COME MODERATORI DELLA DEUMANIZZAZIONE
Flavia Albarello e Monica Rubini
Università di Bologna
Nelle società contemporanee multi-culturali basate su principi di uguaglianza e
democrazia, discriminazione ed ostilità verso chi appartiene a gruppi differenti sono
comportamenti normativamente osteggiati. Eppure assistiamo spesso a forme di
discriminazione aggravate, caratterizzate dalla negazione totale o parziale dell’umanità
altrui (deumanizzazione).
Il riconoscimento dell’altrui appartenenza al comune ingroup degli esseri umani
rappresenta un rilevante principio organizzatore della percezione sociale influenzato,
talvolta, anche dal livello di categorizzazione subordinato, dall’appartenenza a gruppi
specifici.
Uno studio sperimentale ha analizzato il ruolo di alcuni fattori nel moderare/esacerbare la
discriminazione e la deumanizzazione nei confronti di alcuni gruppi sociali. Sono stati
esaminati gli effetti della salienza di diversi livelli di categorizzazione sociale (co-salienza
dell’identità umana e sociale vs. salienza dell’identità sociale) su discriminazione e
deumanizzazione (attribuzione di emozioni secondarie e inalienabiltià dei diritti umani)
espressa nei confronti di gruppi nazionali differenti per status e minacciosità percepita
(italiani vs. irlandesi vs. olandesi vs. rumeni).
I risultati ottenuti mostrano che la co-salienza dell’identità umana e sociale modera la
discriminazione/deumanizzazione nei confronti degli outgroups non percepiti come
minacciosi o di status inferiore.
Le implicazioni relative al fatto che la co-salienza dell’identità umana non sia sempre una
“panacea” contro il pregiudizio verso l’Alter nelle relazioni intergruppi multi-culturali
verranno discusse.
Parole chiave: deumanizzazione, fattori di moderazione, relazioni intergruppi.
IMMIGRATI, TEPPISTI, O GIOVANI FRANCESI EMARGINATI?
L’IMPATTO E IL RICORDO DELLE NOTIZIE SULLE RIVOLTE DEL 2005 NELLE
PERIFERIE FRANCESI IN STUDENTI UNIVERSITARI ROMANI. ANALISI DELLE
RAPPRESENTAZIONI DEGLI AGENTI DEI DISORDINI.
Gilda Sensales, Angela Angelastro, Alessandra Areni, Alessandra Giovannini
Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione
Sapienza Università di Roma
La ricerca, inquadrata nella tradizione delle rappresentazioni sociali, esplora l'impatto
delle notizie sui disordini del 2005 nelle periferie francesi, provocati da giovani francesi figli
di immigrati di seconda e terza generazione, sui processi di memorabilità a breve/lungo
termine e di attivazione di diverse rappresentazioni degli agenti dei disordini. Si è
progettato un disegno quasi-sperimentale 2X2 usando, per la raccolta dati, un
questionario introdotto da un estratto stampa in cui si sono manipolati gli etichettamenti
identitari (categoriali: giovani francesi versus denigratori: giovani teppisti), riferiti ai
protagonisti dei disordini, e le attribuzioni causali (individuali-descrittive: la morte di due
ragazzi in una centralina elettrica versus politiche-astratte: crisi del modello di
integrazione), utilizzate per spiegare l’origine dei disordini. Si sono così ottenute quattro
condizioni, a cui se ne è aggiunta una quinta di controllo (senza l’estratto stampa). Il
questionario ha, tra l’altro, previsto: la richiesta di libere associazioni evocate dal testo o
dal ricordo dell’evento; la ritrascrizione dell'estratto stampa o, nel caso del gruppo di
controllo, la libera evocazione delle notizie sui disordini. Hanno partecipato alla ricerca
201 universitari della "Sapienza" di Roma. I dati lessicografici sono stati elaborati con
SPAD-T per l’individuazione delle dimensioni latenti e del piano fattoriale. Sono emersi tre
fattori in grado di spiegare il 40.44% della varianza, mentre l’incrocio fra secondo e terzo
fattore ha permesso di costruire un piano fattoriale focalizzato sui temi del conflitto, del
pregiudizio e della discriminazione.
Parole-chiave: discriminazione e conflitto; libere associazioni; analisi lessicografica.
PROCESSI DI RESILIENZA CULTURALE: CONFRONTO TRA MODELLI EURISTICI
Manetti Mara, Zunino Anna, Frattini Laura, Zini Elena
Università degli Studi di Genova, Dipartimento di Scienze Antropologiche
Il processo di acculturazione si può associare a differenti dimensioni del
benessere/malessere degli immigrati quali l’autostima, la salute fisica (Finch, Hummer,
Kolody, & Vega, 2001), la depressione (Finch, Kolody, & Vega, 2000), l’ansia (Kessler,
Mickelson, & Williams, 1999) e i problemi comportamentali (Liebkind & Jasinskaja-Lahti,
2000b; Verkuyten, 1998). Lo stress da acculturazione non va pertanto considerato come
un esito inevitabile dell’esperienza migratoria, poiché i conflitti che possono scaturire dal
processo di adjustment non necessariamente generano disagio (Berry, 1992). Esistono
infatti tra gli immigrati persone più competenti di altre nell’affrontare eventi di vita e
cambiamenti, che si avvalgono positivamente delle stimolazioni offerte dalle situazioni di
crisi.
Il concetto di resilienza è connesso a una definizione positiva delle abilità necessarie
all’individuo e alle comunità per fronteggiare situazioni problematiche (Seligman e
Csikszentmihalyi, 2000). La resilienza, dunque, è riparazione, ma anche cambiamento:
nasce da una frustrazione, e può trasformarsi in opportunità.
Clauss-Ehlers (2004) elabora, all’interno del costrutto di resilienza, quello di resilienza
culturale, definendolo come il grado in cui i vincoli della cultura di ognuno possono, o
meno, promuovere lo sviluppo di strategie di coping adattive o maladattive in relazione alla
cultura di accoglienza.
Questo specifico tipo di resilienza si declina in un certo numero di aspetti che includono
traiettorie di sviluppo all’interno di matrici culturali e comprendono norme, strutture
familiari, rapporti con i pari, ecc.
In questo lavoro si intende analizzare, nell’ambito della letteratura psicosociale, il costrutto
di resilienza in relazione ai processi migratori e presentare modelli euristici connessi a
differenti percorsi culturali.
Parole chiave: Resilienza culturale, processi di adjustment, Scuola e percorsi di
inserimento lavorativo.