La violenza incendia il mito svedese
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La violenza incendia il mito svedese
5 IL CAFFÈ 26 maggio 2013 ILMONDO La violenza incendia il mito svedese MAPPE LUIGI BONANATE Tensioni sociali e protesta degli immigrati dilagano da Stoccolma alle altre città In Iran elezioni che uccidono la democrazia NOSTRO SERVIZIO I disordini nelle periferie di Stoccolma, arrivati alla sesta notte consecutiva, stanno ora innescando focolai anche nei sobborghi di altri centri della Svezia. Disordini che - com’è gia avvenuto nelle banlieu parigine, nei quartieri periferici di Londra - fanno crollare, o almeno incrinano il modello scandinavo, fino a ieri considerato all’avanguardia continentale per le politiche sociali. E anche se le autorità svedesi negano a gran voce una matrice “etnica” della rivolta (che in una settimana ha visto decine di auto date alle fiamme, centinaia di arresti, massici interventi delle forze dell’ordine e scontri tra polizia e manifestanti con numerosi feriti su entrambi i fronti) la difficoltà a gestire il problema immigrati appare evidente. La paura che lo “straniero” si trasformi in una scheggia impazzita del sistema, scuote le coscienze di tutta Europa, che ha ancora negli occhi l’immagine dell’uomo, di origine nigeriana, con le mani e il machete sporchi di sangue del soldato britannico ucciso, nel cuore della City, al grido di “Allah è grande”. Come è rimasto nella retina il filmato del ghanese che, armato di piccone, ha ucciso tre persone a Milano una settimana fa. Il collegamento tra violenza e immigrazione si acutizza con il soldato accoltellato ieri, sabato, a Parigi da un magrhrebino, con il ricordo che anche i due fratelli dell’attentato alla maratona di Boston, con tre morti e 264 feriti, erano immigrati dalla Cecenia. La figura dell’immigrato finisce per fare da massimo comune divisore, anche nei disordini in Svezia, in una somma di fattori che comprendono la difficoltà delle politiche sociali e di integrazione, crisi economica, alto tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile, e il degrado che accomuna un po’ tutte le periferie urbane del mondo occidentale. A preoccupare maggiormente è il fatto che è grazie alla sua politica liberale di immigrazione, se la Svezia è diventata negli ultimi decenni una delle destinazioni Reuters top in Europa per gli immigrati, sia in termini assoluti che relativi rispetto alle sue dimensioni. Nel Paese scandinavo, infatti, a lungo visto come un oasi di pace, più che seguire la cronaca dei disordini e i bollettini “di guerra” col bilancio di vittime e danni, si è scatenato un dibattito sull’ integrazione degli immigrati, molti dei quali arrivati grazie alle generose politiche di asilo del Paese, e che ora costituiscono circa il 15 Reuters Gli stranieri, anche di seconda generazione sono il 15% di una popolazione di 9,5 milioni di abitanti HUSBY I disordini sono partiti da Husby, dove l’80% degli abitanti sono immigrati In Etiopia In Russia Il debito dell’Africa cancellato dal Brasile La sfida dei gay a Putin, cortei, scontri e arresti In occasione delle celebrazioni per il cinquantenario dell’Unione africana (Ua), che sono avvenute ieri, sabato, ad Addis Abeba, il Brasile ha portato in dono l’omaggio probabilmente più gradito: la cancellazione del debito che il Continente Nero aveva col Paese sudamericano.I due principali beneficiari della cancellazione del debito saranno la Repubblica del Congo-Brazzaville e la Tanzania, ma l’importo totale ammonta a 900 milioni di dollari (circa 865 milioni di franchi) ed è maturato nei confronti di dodici Paesi africani. “Avere relazioni speciali con l’Africa è strategico per la politica estera del nostro Paese”, ha affermato nella capitale etiopica Thomas Traumann, il portavoce della presidente brasiliana Dilma Rousseff, presente alle cerimonie per i 50 anni dell’Unione africana. Celebrazione che ha visto la partecipazione dei capi di Stato dei 54 Paesi membri. I gay russi scendono in piazza e sfidano il presidente Vladimir Putin. Non senza tensioni. Ieri, sabato, a Mosca, una trentina di attivisti omosessuali sono stati fermati mentre sfilavano, in una manifestazione non autorizzata, davanti alla sede del Comune. Tra loro c’era anche Nikolai Alexeiev, leader del movimento in Russia. Da Mosca a Kiev, dove invece un centinaio di attivisti sono riusciti a sfilare nel Gay Pride stavolta tollerato e protetto da un cordone di agenti, fermate una dozzina di persone che hanno cercato di aggredire i manifestanti dopo aver organizzato una contromanifestazione, alla quale hanno aderito esponenti di gruppi ortodossi conservatori, urlando slogan come “l’Ucraina non è l'America, Kiev non è Sodoma”. Vladimir Putin, a gennaio, aveva fatto approvare una legge per vietare la propaganda omosessuale. per cento di una popolazione di 9,5 milioni di persone. Poco più della Svizzera. Per quanto esacrabile è bastata l’uccisone di un 69enne armato da parte della polizia, per far scattare la scintilla che ha incendiato la rivolta a Husby, quartiere alla periferia di Stoccolma, dove l’80 per cento degli abitanti sono immigrati (anche di seconda generazione), e dove il tasso di occupazione è intorno al 40 per cento, rispetto al 65 su scala nazionale. L’ Agenzia per l’occupazione svedese è stata costretta ad ammettere che il 20% dei giovani di Husby non svolge alcuna attività, e tra i ragazzi dai 16 ai 19 anni uno su cinque è senza lavoro o non va a scuola. E sono soprattutto giovani, già considerati dai media locali “una generazione perduta”, il maggior numero di arrestati dalla polizia. E quasi tutti hanno già dei precedenti, in un Paese dove si è penalmente responsabili già a partire da 15 anni. Così, ininterrottamente per tutte le notti della settimana scorsa, incidenti, incendi, scontri con le forze dell’ordine si sono contati a decine nella periferia della capitale. Poi, fino alle prime luci dell’alba di ieri la rivolta si è propagata ad altre città svedesi: automobili ed edifici sono state dati alle fiamme durante la notte nelle cittadine di Orebro, Uppsala e Linkoeping. E tutti nei nei quartieri poveri, quelli attanagliati da alti tassi di immigrazione e disoccupazione. r.c. Il sistema democratico ha subito l’ultimo sfregio. Nel corso di un secolo ormai, avevamo avuto e abbiamo casi in cui le liste elettorali sono state manipolate, altri in cui erano bloccate, elezioni con la propaganda tutta nelle mani dei gruppi al potere e le opposizioni che non possono far sentire la loro voce. Ma soltanto ora si è toccato il fondo: in Iran, il Consiglio dei guardiani della Costituzione ha escluso dalla candidatura alla presidenza dell’Iran niente meno che il suo ex-presidente, A. H. Rafsandjani, che evidentemente era dotato in passato della legittimità a essere eletto. Poteva essere sconfitto in campo, manipolando i voti come era successo per la rielezione di Ahmadinejad nel 2009. Ma chi davvero detiene il potere, che non è evidentemente neppure il presidente uscente, che avrebbe voluto un altro candidato (a sua volta squalificato prima dell’inizio della gara), è la Guida suprema Khamenei, che ha ritenuto che la soluzione più semplice per vincere le elezioni, e conservare il potere, fosse escludere a priori dalla competizione tutti i concorrenti, pericolosi o meno che fossero. In questo modo la democrazia muore e si danneggia la sua immagine mondiale. Già abbiamo dovuto constatare, mille volte, che la celebrazione delle elezioni è diventata un rito poco libero e ancor meno pluralistico, e non fingeremo di scandalizzarci oggi. Ma il problema è piuttosto che siamo di fronte a un andazzo sempre più diffuso e che sfugge a ogni controllo o possibilità di dibattito da parte delle pubbliche opinioni. Si tratta di una tendenza planetaria alla quale dobbiamo prestare grande attenzione perché si fonda su un meccanismo perverso in quanto sfuggente. La fonte dell’autorità di Khamenei (o di chi fosse al suo posto) è religiosa: la Guida suprema è il massimo depositario della fede, in questo caso l’islam sciita. E non c’è nulla che si possa opporre all’interprete riconosciuto del Verbo. Qualsiasi tentativo di discussione si trasforma in eresia (e difatti di islam ce ne sono due, sciita e sunnita, che si dividono proprio sul piano teologico) o in bestemmia e quindi va impedito, meglio se ciò avviene prima che si sia potuto manifestare pubblicamente. Che sarà mai di una società giovane, di quasi 70 milioni di abitanti che non possono conoscere la democrazia e non hanno alcuna possibilità di esprimersi liberamente, dovendo obbedire a una autorità che si fonda sul divino? Ma non basta: oggi come oggi neppure più della fede c’è certezza, perché lo scisma sunniti-sciiti si sta trasformando in uno scontro tutto terreno, fatto di potenza ed egemonia, che nulla ha più a che vedere con la religione. A meno che crediamo che il petrolio sia stato destinato ai seguaci più fedeli e obbedienti. >d^, DW ϮϬϭϯ ϭϯ ʹ ϮϬ ůƵŐůŝŽ ϮϬϭϯ ͼ ^ƉŽƌƚ &ĞƌŝĞŶ ZĞƐŽƌƚ &ŝĞƐĐŚ YƵĞƐƚ͛ĞƐƚĂƚĞ ǀŝ ƉŽƌƚŝĂŵŽ ƐƵůůĂ ͚ƐƉŝĂŐŐŝĂ͛ ĚĞůů͛ůĞƚƐĐŚ͕ ŝů Ɖŝƶ ŐƌĂŶĚĞ ŵĂƌĞ Ěŝ ŐŚŝĂĐĐŝŽ ĚĞůůĞ ĂůƉŝ ƐǀŝnjnjĞƌĞ͘ ^ĐŽƉƌŝƌĞƚĞ ƋƵĞƐƚŽ ƉĂƚƌŝŵŽŶŝŽ ŶĂƚƵƌĂůĞ ĂƚƚƌĂǀĞƌƐŽ ƵŶĂ ƐĞƌŝĞ Ěŝ Ăƚƚŝǀŝƚă ĞŵŽnjŝŽŶĂŶƚŝ͗ ƚƌĞŬŬŝŶŐ Ă ϯ͚ϬϬϬ ŵ͕ ƌĂĨƚŝŶŐ ƐƵů ZŽĚĂŶŽ͕ ďĂŐŶŝ ƚĞƌŵĂůŝ͕ ƉĂƌĐŽ ĂǀǀĞŶƚƵƌĂ ͞^ǁŝƐƐ ^ĞŝůƉĂƌŬ͕͟ ƚĂŶƚŝ ŐŝŽĐŚŝ Ğ ĚŝǀĞƌƚŝŵĞŶƚŽ͘ hŶ͛ŽĐĐĂƐŝŽŶĞ ƵŶŝĐĂ ƉĞƌ ĐŝŵĞŶƚĂƌƐŝ͕ ĨĂƌĞ ƐƉŽƌƚ͕ ƐƚĂƌĞ ŝŶ ĐŽŵƉĂŐŶŝĂ Ğ ƉƌĂƚŝĐĂƌĞ ůĂ ůŝŶŐƵĂ ƚĞĚĞƐĐĂ͘ ^ƉŽƌƚ &ĞƌŝĞŶ ZĞƐŽƌƚ &ŝĞƐĐŚ ϯϵϴϰ &ŝĞƐĐŚ dĞů͘ нϰϭ ;ϬͿϮϳ ϵϳϬ ϭϱ ϭϱ &Ădž нϰϭ ;ϬͿϮϳ ϵϳϬ ϭϱ ϬϬ ŝŶĨŽΛƐƉŽƌƞĞƌŝĞŶƌĞƐŽƌƚ͘ĐŚ ǁǁǁ͘ƐƉŽƌƞĞƌŝĞŶƌĞƐŽƌƚ͘ĐŚ ƚă͗ ϭϮͲϭϲ ĂŶŶŝ WƌĞnjnjŽ͗ ,& ϲϬϬ ;Ăůů ŝŶĐůƵƐŝǀĞ͗ ƐŽŐŐŝŽƌŶŽ ĐŽŶ ƉĞŶƐŝŽŶĞ ĐŽŵƉůĞƚĂ͕ ƚƵƚƚĞ ůĞ Ăƚƚŝǀŝƚă͕ ŐƵŝĚĞ͕ ƚƌĂƐĨĞƌƚĞ ůŽĐĂůŝͿ EƵŵĞƌŽ ƉĂƌƚĞĐŝƉĂŶƚŝ͗ Ϯϱ ZĞƐƉŽŶƐĂďŝůĞ ĐĂŵƉŽ͗ dŚŽŵĂƐ >ĂŵďƌŝŐŐĞƌ /ŶĨŽƌŵĂnjŝŽŶŝ ĞĚ ŝƐĐƌŝnjŝŽŶŝ͗ ůĂƵĚŝŽ ZŽƐƐĞƚƚŝ͕ ĚŝƌĞƚƚŽƌĞ ^ƉŽƌƚ &ĞƌŝĞŶ ZĞƐŽƌƚ &ŝĞƐĐŚ ͲŵĂŝů ƌŽƐƐĞƚƚŝΛƐƉŽƌƚĨĞƌŝĞŶƌĞƐŽƌƚ͘ĐŚ dĞů͘ нϰϭ ϳϵ ϰϰϰ Ϯϳ ϱϱ WƌĞǀŝƐƚŽ ƵŶ ŝŶĐŽŶƚƌŽ ŝŶĨŽƌŵĂƚŝǀŽ ŝŶ dŝĐŝŶŽ ƚƐĐŶŚ Ƶ Ğ &Ƶ Θ EdhZ ^WKZd /E>h^/