Incontro con il progettista

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Incontro con il progettista
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2015/1
Dal mondo
Nell’autunno scorso a Pechino,
in presenza delle massime autorità cinesi e francesi, è stato reso
to per il Museo nazionale d’arall’Atelier dell’architetto Jean
Nouvel in collaborazione con
l’Istituto di progettazione architettonica della città (Biad). Per la
dimensione ‒ circa 130.000 mq
‒ e la ricchezza della sua collezione ‒ conterrà openi nostri ‒ il museo può essere
considerato in nuce uno dei più
grandi al mondo e sorgerà a nord
della «città proibita», in stretto
rapporto con il grande e storico
asse di penetrazione nord-sud. Il
progetto è l’esito di un anno di
lavoro e, prima ancora, della vittoria al concorso internazionale
Il Namoc: sezione e terrazzo sul tetto. Fonte: http://www.jeannouvel.com.
calibro di Zaha Hadid e Frank
Gehry. Si tratta di una proposta
ambiziosa che intende, con la realizzazione dell’intervento, dare
testimonianza di una delle più
grandi e antiche civiltà esistenti
sulla terra, mostrando non solo
le opere realizzate nei millenni
di storia ma cercando di rendere
attraverso immagini e simboli il
suo spirito più autentico.
A questo tipo d’interventi, che
vogliono sia rispondere alle esigenze funzionali del programma
dentro la cultura di un popolo,
l’architetto francese non è nuovo, avendoci abituati da ormai
lungo tempo. Il famoso Institut
du monde arabe (Ima), realizzato agli inizi degli anni Ottanta
a Parigi quando Nouvel era ancora molto giovane, ha segnato
una svolta nella cultura architettonica europea, traducendo una
posizione progettuale che trova
uniti funzionalismo e capacità di
interpretare i contenuti sensibili
di uno spazio. E per raggiungere lo scopo, Nouvel non ha mai
esitato a utilizzare tutti i mezzi
a disposizione, nuovi materiali,
luci e colori, compresa la migliore tecnologia: esibita senza
ostentazione, senza «mostrare i
muscoli», com’era invece in uso
durante l’espressionismo strutturale negli anni Settanta; ma al
servizio di un’idea, un’immagine,
uno spazio avvolgente e sensuale che l’architetto intende creare:
come i numerosissimi diaframmi comandati da cellule fotoelettriche e regolati dall’intensità
della luce ‒ l’identico principio
‒ impiegati per ricoprire la facciata
sud dell’Ima, e per rappresentare
l’espressione più moderna della
cultura araba.
In un’intervista rilasciata quando era poco più che trentenne,
Nouvel sembra anticipare una
nuova strada per l’architettura:
L’architettura è prodotta dalla contaminazione con il contesto in cui è inserita
Il Kilometro rosso: il muro con il parcheggio antistante. Foto WS.
un avvenire fatto prevalenteimmagini luminose, colorate e
popolari. L’architetto francese
nato nel 1945 a Fumel, piccolo
comune nella regione dell’Aquitania nella Francia sud-occidentale, parla di architettura come
support, elementare e sedimentata nella storia; e di architettura
come apport, costituita da accessori, segni, insegne, ecc., che
ricerca il contatto e la contaminazione con il contesto in cui è
inserita e prende forma. Sono
richiami espliciti ai concetti
espressi anni prima dall’architetto americano Robert Venturi,
sulla scorta degli studi condotti
con Denise Scott Brown sulla
main street di Las Vegas, in cui
l’architettura è vista come un
plice dal punto di vista costruttivo ed espressivo, seducente
da quello spaziale e simbolico
grazie all’applicazione esterna
della decorazione: l’architettura ‒ con le parole di Venturi ‒
non è altro che un decorated
citarie dei tabelloni, le insegne
schermi elettronici giocano per
l’architetto americano e, anche
per Nouvel, un ruolo quanto
mai decisivo nella fruizione dello spazio. A riguardo, si veda il
progetto del lontano 1967 per il
National Football Hall of fame
di New Brunswick, tra i primi
esempi a rivendicare l’impor-
Il Kilometro rosso: i laboratori di ricerca nella parte posteriore. Foto WS.
Ex Cinema Excelsior (MI). Foto WS.
tanza dell’immagine nel coin-
attualmente impiegati non meno
di 1500 addetti. La particolarità
dell’intervento è costituita da un
lungo muro ‒ un chilometro per
l’appunto ‒ rivestito in lastre di
alluminio laccato di colore rosso,
che funge sia da barriera acustica
e visiva ‒ dietro il quale sono or-
del corpo umano nello spazio.
Nell’arco della sua carriera Nouvel ha progettato e costruito in
mezzo mondo numerosissime
architetture, opere che hanno ino su quella di un piccolo centro
urbano: sono almeno da menzionare l’Opera house di Lione,
il Centro congressi di Lucerna,
l’ampliamento del Museo Reina
a Barcellona, la Fondazione
Cartier e il Museo Quai Branly
a Parigi; di un certo interesse per
la proposta, e per la scala inusuale dell’intervento, è anche il
più recente progetto per il Concorso della Grand Paris, voluto
dall’allora presidente Nicolas
Sarközy e incentrato sulle strategie future da sviluppare per la
possono essere taciuti i progetti e le realizzazioni nel contesto
italiano, negli ultimi anni sempre
più numerosi e importanti: su
tutti merita di essere ricordato
il Kilometro rosso, realizzato
per conto della società Brembo ‒ leader incontrastata nel
mondo dei sistemi frenanti per
auto e moto, presente anche in
Formula 1 ‒ e localizzato lungo
l’autostrada A4 Torino-Trieste,
alle porte di Bergamo. Si tratta
gico con all’interno la presenza
di circa 80 realtà, tra aziende,
centri di ricerca e laboratori; e
e negli spazi agricoli della campagna circostante ‒ sia da quinta
scenica a scala territoriale, capace di valorizzare l’insediamento
tecnologico voluto dalla Brembo; e dove anche il parcheggio
delle automobili, posizionato
davanti in bella mostra, partecipa con ruolo attivo alla strategia
di marketing e comunicazione
visiva sapientemente istruita
dall’architetto francese. W.S.
Incontro con il progettista
Ambienti di lusso e materiali di pregio, la New Line partecipa alla realizzazione
della White house di Aldesago
Il fronte verso il lago. Fonte: Archivio CLR.
D. Architetto Claudio Lo Riso, nella
short biography che compare nel sito
del suo studio si legge che lei ha avuto
come maestri Mario Botta e Giancarlo
Dürisch, con i quali ha lavorato come
apprendista quando era ancora giovane. Sono due personalità molto diverse
moltissimo la cultura architettonica ticinese, sebbene con un differente
chiederle se il loro magistero è ancora
presente nel suo lavoro e in particolare
nel progetto della White house.
R. Con Mario Botta ho iniziato
a lavorare all’età di diciotto anni,
come apprendista nel suo studio, e poi ho continuato per altri
Planimetria della villa. Fonte: Archivio CLR.
cinque come architetto. Giancarlo Dürisch è stato invece mio
professore alla Scuola Tecnica
Superiore di Trevano-Lugano,
to da lui per circa un anno. Da
entrambi ho appreso i principi
fondamentali del mestiere di architetto ‒ ci tengo a sottolineare la riconoscenza che debbo
loro per quello che mi hanno
insegnato ‒ anche se, devo confessarlo, ho risentito maggiordi Mendrisio. E nei miei lavori
molti elementi compositivi ricorrono ancora, nonostante credo di aver provato a sviluppare
una ricerca personale che ha avuto nel progetto della White house uno dei momenti più felici.
D. Può descrivere il progetto della villa e riassumere i concetti che lo hanno
informato?
R. La White house è nata inizialmente come villa singola, per un
solo proprietario. Poiché il terreno si trova in una posizione privilegiata, con una vista panoramica unica nel suo genere, forse
la migliore che si può godere a
Lugano, l’intento è stato di fornire a tutti gli ambienti della casa
una vista lago. Il progetto è costituito da due corpi principali:
Il corpo a forma triangolare. Fonte: Archivio CLR.
in pianta, il primo ha la forma
di occhio, adagiato al centro del
lotto; il secondo, posto sotto il
primo, è di forma triangolare,
proiettato a mo’ di sperone verso la vista panoramica e pensato
come terrazza-giardino allestita con una grande piscina con
vasca a tracimazione. In corso
d’opera l’impianto originario ha
subito delle varianti, sono stati
aggiunti: da un lato, un corpo
a forma di prisma trapezoidale,
una sorta di dependance della
villa, poi trasformata in residenza; dall’altro, un corpo circolare
destinato ai parcheggi coperti;
ma cosa più rilevante, il volu-
me principale è stato suddiviso
per ospitare quattro lussuosi
appartamenti totalmente indipendenti. Tutti gli ingressi sono
posizionati sul retro, lungo la
strada cantonale che attraversa
la frazione di Aldesago, nel Comune di Brè, dove la villa è ubicata. Il progetto ha avuto quindi
una lunga gestazione, come ho
detto, e, da un’idea iniziale scatucantiere è terminato solo pochi
anni fa.
D.
getto, quanto determinante è stato il
Cinque appartamenti con una vista esclusiva sul lago, sulla città e sul San Salvatore
L’interno dell’appartamento al piano -3. Fonte: Archivio CLR.
presenza del paesaggio circostante?
R. La frazione di Aldesago si
trova a quasi ottocento metri
di altitudine e rappresenta una
delle zone più belle del contesto luganese: per la vista che si
può godere sulla città, sul lago,
sul San Salvatore e sulle catene
montuose che la circondano; ma
anche per il microclima che la
contraddistingue, e per le numerose aree verdeggianti a disposizione degli abitanti. È del tutto
evidente che il contesto ha income lo è stata la forte pendenza del terreno sul quale è inserita: niente è per caso.
D. Nella realizzazione dell’intervento lei si è avvalso di alcune imprese
esecutrici. Quanto determinante è stata la loro collaborazione?
R. La collaborazione con le imprese è sempre determinante
per la buona riuscita di un lavoro. L’architetto non può fare
a meno del loro supporto nella
fase del cantiere, pena lo scadere
dell’idea progettuale e della qualità del risultato. E anche questo
l’ho appreso dai miei maestri.
D. Parliamo della collaborazione con
la New Line. Di quali lavori si è occupata?
R. Con il mio studio colla-
Il bagno padronale. Fonte: Archivio CLR.
boriamo da molti anni con la
New Line, e direi molto bene,
soprattutto perché ha una professionalità di alto livello, garantita da una lunga attività alle
spalle. Possiede al suo interno
tà di consigliarti sulle soluzioni
da prendere con il cliente: non
è cosa scontata, nemmeno di
poca importanza. Inoltre, possiede uno spazio espositivo molto grande, uno showroom dove
è possibile trovare una varietà
selezionata di materiali e soluzioni di arredo, in cui il cliente,
di persona, è orientato e facilitato nella scelta. È un punto di
forza, un vantaggio considerevole, poiché in Ticino questi tipi
di spazi non sono così comuni,
e specialmente di questo livello.
Non voglio poi dimenticare la
qualità dei prodotti che la New
Line dispone: dai pavimenti, ai
rivestimenti, agli arredobagni,
e non solo per l’interno; più
di recente ha aperto una zona
dedicata all’outdoor. Insieme
abbiamo fatto numerosi lavori,
molte ville; e la White house è
una di queste.
D. Può indicarmi le parti della casa, o
gli ambienti, che sono stati realizzati?
Quali materiali sono stati impiegati?
Quali invece gli arredi?
R. Nella villa di Aldesago la
New Line si è occupata di tutti
i pavimenti interni in legno, realizzati in rovere sbiancato e in
teck, materiali che mi ha consigliato direttamente lo staff
di professionisti con i quali ho
collaborato; poi i bagni, rivestiti sempre in teck, con gli arredi
e gli accessori di Antonio Lupi,
uno dei leader internazionali più
apprezzati nel settore; anche il
bagno dell’appartamento padronale, il più grande e posizionato a piano -3 rispetto l’ingresso
Pavimenti interni in legno realizzati in rovere sbiancato e in teck, materiali moderni
ed eleganti che conferiscono pregio e qualità agli appartamenti
Arredobagni. Fonte: Archivio CLR.
dalla strada, è stato rivestito in
teck e fornito di arredi della medesima azienda leader, con una
minipiscina Seaside Teuco e una
Jacuzzi multifunzionale con incorporati doccia, sauna e bagno
turco. Sono tutti oggetti di alta
qualità, e possiedono un disegno
semplice ma ricercato; progettati da importanti nomi del mondo del design internazionale. Il
cliente apprezza moltissimo la
qualità di questi prodotti, e la
New Line sa anche, con attenzione e capacità, approntare la
-
La minipiscina. Fonte: Archivio CLR.
tato non tradisca le aspettative.
Vorrei poi aggiungere che la
particolarità di alcuni bagni della
White house non riguarda solo
la dimensione, ragguardevole
se si considera lo standard a cui
tutti noi, chi più chi meno, siamo abituati; essi sono integrati
nell’ambiente notte, quasi senza
soluzione di continuità, e richiamano alla mente le famose salle
de bains ideate da Le Corbusier
nelle sue ville.
D. Le sembra che sia stato raggiunto
un buon risultato? Quali aspetti ri-
Arredobagni. Fonte: Archivio CLR.
tiene essere maggiormente interessanti
e perché?
R. Posso affermare che il progetto della White house è uno
dei più interessanti cui ho potuto lavorare nella mia carriera
di architetto: la posizione, la dimensione e la volontà del committente, molto legato alla villa,
hanno consentito un risultato
di grande pregevolezza, al quale
ritengo ci siano aspetti da rimarcare più di altri: potrei parlare
del corpo verticale di collegamento comune tra i piani della
villa, costituito da scala e ascensore, in pianta posizionato perfettamente al centro del volume
principale, quasi a evocare una
pupilla, per completare la metafora dell’occhio cui ho accennato all’inizio; ma credo sia più nel
complesso che vada apprezzata
la White house, i cui equilibri
volumetrici risultano soddisfare
le esigenze del cliente, i vincoli
del contesto e i regolamenti edilizi: tutto sembra tornare. E poi
non dimenticherei l’ottima esecuzione dei lavori da parte delle
imprese che l’hanno realizzata, e
la New Line è stata una di queste: sì, posso dire che il risultato
è totalmente positivo.
D. Parlando ancora in generale della White house, le posso chiedere se
ci sono stati dei motivi architettonici
che più di altri hanno caratterizzato
il progetto?
R. Mi sento molto legato a un
certo razionalismo di scuola europea, del quale Le Corbusier
è forse l’esponente di punta;
ma non dimenticherei nemmeno i risultati di certi architetti
americani, quali Richard Meier,
Arredobagni di grande bellezza, con un disegno semplice ma ricercato, ideati
dai migliori marchi internazionali del settore
La minipiscina. Fonte: Archivio CLR.
Oscar Niemeyer, Louis Kahn;
per quest’ultimo ho nutrito una
grande passione giovanile, anche per via del mio apprendistato nello studio di Mario Botta,
il quale considerava l’architetto
di origini estoni la sua fonte d’ispirazione principale. Poi le vorrei dire una cosa: sono nato in
Svizzera ma ho origini italiane,
pugliesi; e ho passato numerose
vacanze estive nel paese natale
di mia madre, nel Gargano, dove
amavo moltissimo quel paesag-
La doccia. Fonte: Archivio CLR.
gio contraddistinto da un’architettura completamente bianca.
Forse è per questa ragione che
la cifra stilistica del mio lavoro è
connotata dal mattone splittato
color bianco (25x12 cm), che io
uso non fugato, per farlo assomigliare il più possibile a una massa
muraria omogenea: un modo di
ricordare le mie origini e l’architettura mediterranea cui sono
D.
dell’attività professionale dello studio.
Mi parli brevemente dei progetti realizzati e di quelli in cantiere?
R. Mi sono sempre occupato
prevalentemente di architettura residenziale, ville private che
tra committenza e paesaggio
nel quale sono inserite, naturale
o urbano che sia; oggi però lo
studio è più grande ‒ la struttura è composta da una decina
di persone ‒ e si occupa di pro-
commerciali, banche; di restaurare chiese; insomma, temi tra
loro diversi ma che fanno tutti parte del campo disciplinare
dell’architetto. Al momento ho
alcuni cantieri aperti, e mi piace
qui ricordare la ristrutturazione della casa di Franco Ponti,
il grande architetto organico
ticinese, un lavoro interessante
senza le quali, ormai lo so bene,
questo mestiere che faccio da
più di venticinque anni non sa-
rebbe così affascinante.
Architetto Lo Riso, la ringrazio per
il tempo che mi ha dedicato e la sua
preziosa collaborazione. Buon lavoro.
W.S.
Via Senago 42a
6915 Pambio-Noranco (CH)
Tel.+41 091 923 26 12
Fax: +41 091 923 27 19
[email protected]
Ricerche
La costruzione di un paesaggio alpino: l’insediamento turistico Corte di Cadore
Enrico Mattei con Edoardo Gellner. Fonte: Fondo Gellner/IUAV.
La planimetria dell’intervento. Fonte: Achleitner F. et al., Edoardo Gellner.
Corte di Cadore, Skira, Milano, 2002.
Il Villaggio turistico Corte di
Cadore sorse durante la metà
degni anni Cinquanta per volontà dell’ingegner Enrico Mattei –
allora presidente di una delle più
grandi aziende pubbliche fondate dallo Stato italiano, l’Eni – il
sediamento per vacanze rivolto
ai dipendenti e alle loro famiglie:
si trattava di un centro in grado
di ospitare seimila persone, con
cinquecento case (realizzate poi
solo duecentosessantatre), una
colonia per seicento bambini,
tivi e alberghieri, un campeggio
e una chiesa; ma, prima ancora,
era da considerarsi un’idea del
tutto innovativa, legata al tempo
libero dei lavoratori, che contava
pochi esempi analoghi persino
in Europa. Il luogo scelto fu il
piccolo paese di Borca, nel Cadore, ai piedi dell’Antelao, cima
più alta e simbolo dell’intera regione storica situata nel Veneto,
nell’alta provincia di Belluno.
Mattei chiamò a progettare l’intervento l’architetto Edoardo
Gellner – istriano di nascita,
viennese di formazione ma trasferito a Cortina d’Ampezzo
dopo la seconda guerra mondiale – e con lui iniziò un rapporto
di lavoro che durò per circa un
decennio, dal 1954 al 1962, anno
dell’«incidente mortale» occorso
all’imprenditore, mentre i lavori
del villaggio non erano ancol’ubicazione, Gellner propose a
Mattei un’area degradata dalle
frane dell’Antelao e ormai consolidata, sul versante sud della
grande montagna, considerata
dai contadini un enorme ghiaione inospitale, dopo aver scartato alcuni altri luoghi più idonei
nei pressi di Cortina. Una scelta
guardata con sospetto, poiché
predisposta con il duplice intento di realizzare l’insediamento
di case e strutture di servizio e,
insieme, porre mano alla riquarimboschire gli spalti aspri e brulli soprastanti il paese.
Il progetto contemplò l’inserimento di unità abitative per
quattro, sei, sette e otto persone
raggruppate in quattro zone – in
planimetria numerate da 100 a
400 come fossero camere d’albergo – raggiungibili da piccole
strade serpeggianti nel rispetto
sce di bosco d’alto fusto. Colpisce in particolare come tutte le
unità abitative si siano adattate
terreno, in apparenza in modo
quasi casuale, sempre però nel
rispetto dell’orientamento sudest e avendo come riferimento
poche tipologie edilizie – all’epoca innovative – oggi da considerare quasi ecologiche per lo
stretto rapporto che instaurano
con l’ambiente naturale. Le case
sono progettate su piattaforme,
no il piano terra libero, solo
dove necessario occupato da
autorimesse; sono sopraelevate
da setti murari con altezze differenti e possiedono un tetto in
legno a unica falda. La colonia
è invece un complesso costituito da diciassette corpi di fabbrica collegati da un sistema di
rampe e spazi di sosta coperti, a
mo’ di piccolo borgo, destinati a
ospitare bambini tra i sette e dodici anni. L’insieme è dominato
dal grande padiglione dedicato
all’accettazione e al soggiorno
degli ospiti, ortogonale al pendio e disposto a separare gli edi-
Una perfetta simbiosi tra natura e architettura, una piccola «utopia sociale»
La chiesa dedicata a Nostra Signora del Cadore. Fonte: Fondo Gellner.
a valle, da quelli ad uso servizi
ecc.), più a monte. L’offerta residenziale è stata integrata con
due alberghi, nella parte centrale dell’insediamento, mentre
la struttura che avrebbe dovuto
servire tutti gli abitanti prevista
con negozi, cinema, ristoranti e
vennero costruiti invece gli impianti sportivi e nella parte più a
monte un campeggio, composto
da quattro nuclei di dieci capanne
in legno a sei posti, oltre a quella
dei capisquadra, dalla caratteristica foggia canadese, cioè a due
spioventi, poggianti su bassi muriccioli di sostegno in pietra.
Dell’intero complesso l’opera più
rappresentativa rimane però la
chiesa, dedicata a Nostra Signora del Cadore, prezioso gioiello
dell’architettura sacra contemporanea realizzata da Gellner insieme al maestro e amico Carlo
Scarpa. La chiesa è a pianta basilicale con navate laterali, mentre
la copertura è a tenda con due
falde molto pendenti rivestite in
rame. All’interno, è caratterizranti strutturali metallici, posati
in senso ortogonale rispetto allo
per sostenere la maestosa copertura; i muri perimetrali sono in
cemento a vista, trattato come
fosse pietra naturale; mentre la
Capanna del campeggio. Foto MP.
Vista panoramica dell’insediamento. Fonte: Fondo Gellner.
cata e da una scalinata che sale
li a nastro. Va ricordato che fu
una delle prime chiese costruite
con l’altare «versus populum», e
cioè rivolto verso i fedeli, prima
ancora che il Concilio Vaticano
II conclusosi nel 1965 – la chiesa terminò e venne consacrata
nel 1961 – adottasse la riforma
liturgica. Esternamente, l’esile
struttura del campanile conferisce una leggerezza e un’eleganza insolita per le chiese alpine,
spirituale», un elemento architettonico che contribuisce a
sottolineare il valore religioso
dell’intero complesso. Alla chiesa si accede da un piazza porti-
il sagrato, uno spazio aperto verso la vallata sottostante e la vista
del paesaggio ampezzano.
Ora, più di mezzo secolo è trascorso da quando il Villaggio è
stato realizzato: il luogo è ricoperto da un bosco di conifere e
paesaggio alpino del Cadore, in
una mirabile simbiosi tra natura e architettura. Non c’è alcun
dubbio che siamo di fronte a un
insediamento moderno perfettamente riuscito, in cui sono mescolati insieme molteplici aspetti:
da una profonda conoscenza delle manifestazioni di architettura
rurale e di urbanistica spontanea,
al gusto del disegno dei particopera dell’architetto americano
Frank Lloyd Wright che, nonostante la lontananza, nel secondo
profondo un’intera generazione di architetti. E Gellner fu tra
questi. L’architetto nato ad Abbazia nel 1909, insieme a Mattei,
operò per costruire un piccolo
luogo di riposo e recuperare un
brano di paesaggio della penisola
italiana, cercando di migliorare le
condizioni di vita di una società
che stava mutando anima e volto:
guardando a una sorta di «utopia
sociale» che, a dispetto di altrove, a Borca di Cadore ha saputo
pienamente concretizzarsi. W.S.