"La guerra Fredda"

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"La guerra Fredda"
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cause
storia
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conseguenze
Compendio
del testo
e delle
immagini
Leslie Illingworth / Solo Syndication, London. Supplied by Llyfrgell Genedlaethol Cymru / National Library of Wales
Una mostra del Berliner Kolleg Kalter Krieg e della
Bundesstiftung zur Aufarbeitung der SED-Diktatur
presentata in lingua italiana da DVV International
BERLINER KOLLEG
KALTER KRIEG
BERLIN CENTER
FOR COLD WAR STUDIES
Il 9 marzo 2015 una brigata corazzata della 3a divisione di fanteria US viene
sbarcata a Riga. Prende parte alle esercitazioni Atlantic Resolve che intendono
dimostrare la solidarietà della NATO ai Paesi baltici durante la crisi ucraina.
Foto: picture alliance / dpa / Valda Kalnina
Il Primo Ministro britannico Winston Churchill, il Presidente USA Harry
Truman e il Capo dello Stato e del Partito Sovietico Josef Stalin (da sin. a dx.)
il 25 luglio 1945 a Potsdam. Dopo la vittoria sulla Germania e il Giappone,
l’alleanza bellica tra i partner disuguali non sarebbe durata a lungo.
Foto: picture alliance / Everett Collection
Una nuova guerra
fredda?
Gli inizi
Da alcuni anni si parla molto di una nuova guerra fredda.
Che si tratti dell’invasione della Russia in Georgia o della
minaccia nucleare della Corea del Nord, del programma di
armi nucleari dell’Iran o dell’intervento di Putin in Crimea,
per non parlare della guerra occulta contro l’Ucraina – molti commentatori sono dell’opinione che stiamo ricadendo in
un tormentato periodo di crisi come quello tra il 1945 e il
1991. Da parte loro, politici e militari contribuiscono a questo timore, come il presidente polacco Andrzej Duda, che
nell’agosto 2015 ha richiesto un aumento, oltre a quanto concordato, delle truppe NATO stazionate in Europa orientale.
Anche negli Stati baltici cresce la paura di una minaccia da
parte della Russia. Il Cremlino alimenta le ansie effettuando
esercitazioni militari nelle immediate vicinanze dello spazio
aereo dell’Europa occidentale e aumentando le spese per gli
armamenti. Negli USA nel frattempo si discute sul diritto
all’“attacco preventivo” nel quadro di una “guerra cibernetica”, mentre al di sopra di tutti aleggia lo spettro di una Cina
dotata di enormi armamenti e ben determinata a espandersi
politicamente.
Gli attuali sviluppi invitano a volgere lo sguardo indietro agli inizi e allo svolgimento della guerra fredda – e, cosa
non meno importante, ai motivi della sua inaspettata fine.
Con la vittoria sulla Germania nazista e la capitolazione
del Giappone, nel 1945 l’alleanza di Gran Bretagna, USA e
URSS ha raggiunto il suo obiettivo. Dalle controversie sul riordinamento della Germania e dell’Europa Orientale scaturisce ben presto un insuperabile conflitto. Socialismo di Stato
e dittatura del Partito all’est, libera economia di mercato e democrazia rappresentativa all’ovest si dimostrano inconciliabili così come i rispettivi interessi nell’economia e nella politica di sicurezza. L’Est e l’Ovest vedono il loro futuro a lungo
termine garantito solo da un allargamento a livello mondiale
del proprio modello di società. Pertanto la guerra fredda è
un conflitto globale che si sviluppa in tutti i continenti con
la mobilitazione di risorse economiche, scientifiche, culturali
e militari. Alla divisione ideologica del mondo fa seguito la
scissione politica e militare con la fondazione della NATO
nel 1949 e del Patto di Varsavia nel 1955. Mentre nell’emisfero settentrionale ci si attiene a una “non pace” superarmata,
per quattro decenni il Terzo mondo diventa il teatro di “guerre calde”.
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Il 6 agosto 1945 una bomba atomica americana distrugge la città di Hiroshima
in Giappone. Le lancette dei resti di un orologio da polso trovato tra le rovine
segnano il momento dell’esplosione alle 8:15 ora locale.
Foto: UN Photo / 84772
Il 1° novembre 1952 gli USA sull’atollo Eniwetok nei Mari del Sud
­sperimen­ta­no la prima bomba all’idrogeno (“Ivy Mike”).
Foto: National Nuclear Security Administration / Nevada Site Office
Il carburante della
guerra fredda
Gli strumenti
dell’apocalisse
Il 6 e 9 agosto 1945 Hiroshima e Nagasaki vengono annientate con un’arma di potenza distruttiva senza pari, la bomba
atomica. Dal punto di vista militare gli attacchi sono immotivati, il Giappone è comunque sul punto di capitolare. Per
gli USA si tratta piuttosto di dimostrare la propria superiorità tecnologica e la sua determinazione a usarla. L’operazione
serve a impressionare in particolare i leader sovietici. Molti
contemporanei pertanto considerano l’impiego delle bombe atomiche non come l’ultimo atto della Seconda Guerra
Mondiale, bensì come la nascita della guerra fredda. Mentre
Mosca rimprovera agli USA di avere un atteggiamento ricattatorio e di voler imporre il suo dominio sul mondo, Stalin
accelera il proprio programma di armamenti nucleari. Anche
per questo motivo il tentativo di controllo dei combustibili
atomici garantito dall’ONU fallisce. Al suo posto si diffonde un atteggiamento fatalistico: le armi nucleari sono armi
politiche, una grande potenza che vuole essere credibile non
può rinunciarvi. Quando l’URSS nel 1949 per la prima volta
riesce a portare a termine un test atomico, la guerra fredda si
manifesta nella sua vera essenza: da questo momento il conflitto tra concezioni del mondo inconciliabili si realizza attraverso la minaccia di annientamento di entrambe le parti – 
una novità nella storia mondiale.
La notizia della bomba atomica sovietica accelera negli USA
la costruzione di una superarma termonucleare che sprigiona la sua energia non mediante la fissione, bensì mediante la
fusione dell’atomo. Una bomba all’idrogeno, testata nella primavera del 1954, con una potenza di 15 megatoni supera di
750 volte l’effetto provocato dalla bomba di Hiroshima. Sette
anni dopo, la “Bomba Zar”, sperimentata dall’URSS, porta il
fungo atomico a 50 megatoni e ad un’altezza di 64 chilometri. Una sola di queste armi può desertificare un’area fino a
1.000 chilometri quadrati. Fino alla metà degli anni ’80 gli
arsenali di entrambe le superpotenze arrivano a oltre 60.000
testate, quanto basta per annientare più volte l’intero globo e
con ­esso l’Umanità.
Ciò nonostante non prevale alcuna ragionevolezza
­politica. Anzi, un crescente numero di Stati non desidera
altro che disporre di armi nucleari. Alla fine degli anni ’60
la Francia, la Gran Bretagna, la Repubblica Popolare Cinese
e Israele sono anch’esse potenze nucleari, successivamente
seguite dall’India, Pakistan e Corea del Nord. Nessuna delle
parti interessate fornisce dati affidabili sulla spesa sostenuta. Si ipotizza che durante la guerra fredda gli USA da soli
­abbiano speso cinque miliardi di dollari per armi in grado di
causare la fine del mondo.
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Coreani del Sud che fuggono dalla zona di battaglia, mentre truppe americane
di rinforzo avanzano verso il fronte. Immagine della guerra di Corea, agosto
1950.
Nella sua sfera d’influenza l’Unione Sovietica esige cieca obbedienza. Quando
nel 1948 la Jugoslavia comunista sotto Tito rifiuta di seguire le direttive, Mosca
dà inizio a una campagna di sobillazione che si protrarrà per anni.
Foto: picture-alliance / akg-images
Immagine: Neues Deutschland del 8. 7. 1949, 24. 8. 1949, 6. 10. 1949, 1. 12. 1949
Prova di forza in
Corea
Il « nemico»
all’interno
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale la Corea è divisa. Per imporre una riunificazione, il 25 giugno 1950 l’esercito comunista nordcoreano attacca e invade la parte
sud del Paese. Non è chiaro il motivo per cui l’URSS e la
Repubblica Popolare Cinese rivedono le loro riserve iniziali e già in primavera danno il loro consenso all’aggressione.
Probabilmente Stalin sta cercando un’occasione per mostrare agli USA – potenza tutelare della Corea del Sud – i limiti
del loro potere. Il mondo deve vedere che le armi nucleari
sono spuntate perché non possono vincere contro vantaggi geografici, né contro truppe numericamente superiori. È
un gioco rischioso. Sostenuti da un mandato dell’ONU, gli
USA attaccano, respingono gli invasori dal Sud e avanzano fino al confine cinese – per la prima volta a Washington
sembra offrirsi la possibilità di liberare un Paese dal comunismo. Quando 200.000 soldati cinesi passano al contrattacco
e respingono gli americani verso sud, i vertici militari USA
prendono in considerazione il ricorso alla bomba atomica. Il
Presidente Truman si rifiuta e decide di proseguire la guerra
di posizione. Nell’estate 1953 i combattimenti cessano e la
Corea, ormai completamente distrutta, continua a restare un
Paese diviso.
Nel novembre 1952 l’ex segretario generale del Partito
Comunista cecoslovacco, Rudolf Slánský, viene condannato
a morte quale probabile capo di una “congiura”. È il punto
culminante di una serie di processi dimostrativi e ondate di
persecuzioni nel blocco orientale che non si ferma davanti
a nulla – neppure davanti a comunisti. L’“epurazione” permanente della società e delle proprie fila è espressione di paranoia politica e contemporaneamente strumento di uniformazione di tutta la vita politica. Quando Slánský a dicembre
viene giustiziato, gli avversari dei comunisti nel blocco orientale ormai sono da tempo ridotti al silenzio, emigrati, arrestati o assassinati.
In Occidente i partiti comunisti di fatto sono legali; alle
elezioni in Francia e in Italia riscuotono costantemente oltre
il 20 per cento dei voti. Dalla fine degli anni ’40 però anche
in campo occidentale imperversa la paura di “infiltrazioni”.
Negli USA si arriva a una vera e propria caccia a insegnanti,
attori e giornalisti che vengono vilipesi perché considerati fiancheggiatori del comunismo internazionale. Il Partito
Comunista americano a quest’epoca da tempo non svolge
più alcun ruolo nella vita pubblica. Anche nella Repubblica
­Federale Tedesca il Partito Comunista tira avanti nell’ombra
e poi, nel 1956, viene proibito.
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Il 17 aprile 1955 il Presidente indonesiano Sukarno apre la Conferenza
di Bandung che diventa il punto di partenza del movimento dei Paesi non
allineati.
Foto: picture alliance / United Archives
Leipziger Straße a Berlino Est. Le proteste sociali sfociano in una insurrezione
popolare che il 17 giugno 1953 viene repressa da carri armati sovietici.
Foto: picture alliance / akg-images
La ricerca della
« terza via»
Arginare, liberare,
isolare
Già nella prima fase della guerra fredda, l’egemonia dei due
blocchi di potenze nemiche si trova ad affrontare critiche. In
aprile 1955 i “fautori del no”, come vengono chiamati dai contemporanei, indicono la loro prima Conferenza che si tiene a
Bandung in Indonesia. Le delegazioni provenienti da 23 Paesi
asiatici e 6 Paesi africani si considerano i rappresentanti di un
“Terzo mondo”, cioè di quegli Stati che dal 1945 si stanno liberando dal giogo del dominio coloniale straniero e nel mondo bipolare trovano una inaspettata attenzione. In particolare i
portavoce dell’India, dell’Egitto e della Jugoslavia propugnano
un ruolo autonomo tra Oriente e Occidente. Tuttavia sul piano politico negli anni successivi non si attengono agli obiettivi che si erano posti molti Paesi “non allineati”, come il rispetto dei diritti umani e la non ingerenza nelle questioni di altri
Paesi. Alcuni di loro, inoltre, cedono alle lusinghe delle superpotenze, accettano aiuti militari in forte misura e mettono una
contro l’altra Mosca e Washington. Allo stesso modo sono
all’ordine del giorno guerre tra i Paesi non allineati – tra India
e Pakistan, Somalia ed Etiopia, o Uganda e Tanzania. Egoismi
nazionali e ambizioni espansionistiche impediscono ai “non
allineati” di diventare i rappresentanti di un “terza via”.
Tra il 1953 e il 1956 nell’Europa orientale si diffonde la ribellione contro il dominio comunista. Le proteste sociali
sfociano quasi sempre nella richiesta di democrazia e autodeterminazione. Quando i dittatori locali non riescono a
riportare la situazione sotto controllo, intervengono i carri armati sovietici – nel 1953 nella Germania Orientale e
nel 1956 in Ungheria, dove il nuovo governo chiede aiuto
all’Ovest. Ma per le potenze occidentali, che fino ad allora
avevano sempre propagandato un “roll back” del comunismo, il rischio atomico è eccessivo. D’ora in poi in Europa
si parlerà solo di “arginare” la potenza sovietica. Dietro la
“cortina di ferro” l’URSS ha mano libera. L’unica eccezione
è Berlino Ovest. Quando i tentativi di Mosca di allontanare
dalla città le potenze occidentali falliscono, nell’agosto del
1961 viene eretto un muro che passa in mezzo alla città e
mette fine all’esodo di massa dalla Germania Orientale. A
seguito di una disputa per i diritti di accesso degli alleati a
Berlino Est, nell’ottobre 1961 si arriva a una prova di forza:
al “checkpoint Charlie” carri armati sovietici e statunitensi
per due giorni si fronteggiano con le armi cariche, finché
John F. Kennedy e Nikita Krusciov non disinnescano la situazione. Dopo questo episodio i confini della guerra fredda in Europa sono fissati – per il momento.
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Il 1° novembre 1961 con l’iniziativa “Women Strike for Peace” in 60 città ame­
ricane scendono in piazza circa 50.000 donne e madri che – come qui a New
York davanti alla Commissione americana per l’energia atomica – protestano
contro i test nucleari all’Est e all’Ovest.
Foto: picture alliance / AP Photo
La foto aerea fa parte della documentazione con cui il Presidente USA
­Kennedy il 16 ottobre 1962 viene informato dell’installazione di missili
­nucleari a Cuba.
Foto: John F. Kennedy Presidential Library and Museum, Boston
Protesta e
­resistenza
A un passo dalla
guerra atomica
In tutto il mondo negli anni ’50 si va formando la resistenza contro la politica di contrapposizione dei blocchi e la
loro corsa agli armamenti nucleari. Famosi scienziati e intellettuali come Bertrand Russell e Albert Einstein lanciano appelli per la messa al bando delle armi nucleari, nella
Repubblica Federale Tedesca il movimento “Lotta alla morte atomica” (“Kampf dem Atomtod”) contribuisce ad impedire che l­’esercito federale si doti di armamenti nucleari.
Negli USA e in Gran Bretagna decine di migliaia di cittadini
chiedono la fine degli esperimenti nucleari a cui imputano
gravissime contaminazioni ambientali per la dispersione di
materiale di scissione radioattivo – a ragione, come è dimostrato dalla presenza di stronzio 90 nel latte materno. In ambienti molto ristretti anche uno scienziato sovietico, Andrej
Sacharow, per la prima volta manifesta forti riserve in merito
alla prosecuzione dell’attuale politica. Dopo anni di avanti
e indietro, gli USA, l’Unione Sovietica e la Gran Bretagna
nell’ottobre 1963 firmano un “Trattato sulla messa al bando
parziale dei test”, rinunciando per il futuro agli esperimenti
di armi nucleari nell’atmosfera, nello spazio e in ambiente
sottomarino. Tuttavia, poiché il divieto non comprende gli
esperimenti nel sottosuolo, la corsa agli armamenti prosegue, e anche i critici continuano con le loro proteste.
Nei giorni tra il 14 e il 28 ottobre 1962 il confronto della guerra fredda vive uno dei momenti più drammatici. Durante un
volo di ricognizione gli USA scoprono che a Cuba sono in
fase di installazione le rampe di lancio per 36 missili nucleari
a medio raggio. Mosca vuole mettere alla prova le sue ambizioni di potenza mondiale e rendere evidenti agli USA i limiti
della loro potenza. A Washington l’idea di una minaccia di
questo genere non è all’ordine del giorno: sebbene, infatti, i
missili non influiscano minimamente sulla superiorità militare USA, tuttavia il loro stazionamento davanti alla porta di
casa dell’America è politicamente inaccettabile. Il Presidente
John F. Kennedy impone un blocco navale, mette le forze aeree in stato di massima allerta e dispiega in Florida un esercito di invasione di 120.000 soldati. Ancora più rischiosi sono
gli incidenti che avvengono alle spalle dei protagonisti della crisi: incrociatori USA cacciano sottomarini della Flotta
Rossa, ufficiali sovietici fanno partire un ricognitore sopra
Cuba, jet da combattimento americani violano lo spazio aereo sovietico. Quando Fidel Castro chiede di sferrare un primo attacco nucleare contro gli USA, Nikita Krusciov tira il
freno a mano. Con la rimozione dei missili la crisi è scongiurata, ma la guerra fredda si surriscalda: per stare al passo con
gli USA, il Cremlino ordina un massiccio riarmo in tutti i settori militari.
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Elicotteri USA assicurano un fuoco di copertura all’avanzata di soldati sud­
vietnamiti nel marzo 1965. Dalla primavera 1965 gli USA inviano un crescente
numero di truppe di terra in Vietnam.
Foto: picture alliance / AP Photo / Horst Faas
Agli inizi degli anni ’70 la guerra del Vietnam si estende anche al Laos e alla
Cambogia. Nel 1975 la Cambogia cade nelle mani dei Khmer Rossi sostenuti
dal Vietnam del Nord. Poco prima della caduta della capitale Phnom Penh, il
governo invia al fronte anche soldati bambini.
Foto: BStA / Harald Schmitt
Il trauma del
­Vietnam
Campo di battaglia
Terzo Mondo
Fin dagli inizi degli anni ’60 il campo di battaglia per l’influenza e il predominio delle due superpotenze è principalmente il Terzo Mondo. Diversamente dall’Europa, politicamente irrigidita, qui vi sono nuovi alleati da conquistare e
grandi risorse da sfruttare. Oggetto di particolare attenzione è il Vietnam. Il fatto che la Francia dopo una devastante
sconfitta nel 1954 abbia dovuto lasciare il Paese non viene
preso sul serio a Washington. Truppe americane –nel 1968
si tratta di 550.00 uomini – insieme ai loro alleati sudvietnamiti combattono la guerra più bollente nell’ambito della guerra fredda – contro i guerriglieri e l’esercito regolare
del Vietnam del Nord, massicciamente sostenuti dall’URSS
e dalla Repubblica Popolare Cinese. Sul Vietnam cadono
più bombe che in tutti i teatri di guerra messi insieme della Seconda Guerra Mondiale, si calcola che siano stati uccisi due milioni di vietnamiti – il più grande tributo di sangue
oltre ­alla Corea. Tuttavia, perfino un’estensione dei combattimenti al Laos e alla Cambogia non riesce ad impedire il fallimento ­degli USA. Nel 1975 avviene la riunificazione del
Vietnam sotto il dominio comunista.
La guerra del Vietnam divide l’opinione pubblica americana ed è ancora oggi oggetto di aspre controversie. In tutto
il mondo gli USA perdono prestigio e influenza, soprattutto
tra i giovani.
Dopo il 1945 nel Terzo Mondo si calcola che vengano uccisi 22 milioni di uomini in circa 150 guerre. Questo bilancio
non è imputabile solo alla rivalità delle superpotenze: elementi determinanti sono lotte di potere regionali, guerre civili e faide tribali, oppure lotte di liberazione dal dominio coloniale. Tuttavia, nella maggior parte dei casi l’Est e l’Ovest si
schierano politicamente, sostengono i loro favoriti con denaro e armi, inviano consulenti militari, mercenari e a volte anche proprie truppe. Poiché entrambi i blocchi vogliono prendere piede politicamente, economicamente e militarmente
nel Terzo Mondo, intensificano i conflitti locali e li tirano
artificiosamente per le lunghe. L’impegno delle superpotenze apre ai destinatari margini di manovra spesso inaspettati.
Solo la minaccia di passare al campo avversario riesce a trattenere la rispettiva potenza protettrice e spinge sempre più in
alto il prezzo della guerra.
Le guerre calde combattute durante la guerra fredda
avranno conseguenze che si protrarranno per tempi imprevedibili: avvelenamento dell’ambiente e danni al patrimonio
genetico (Vietnam), mine nascoste nel suolo di immense
aree (Angola), perdite demografiche (Cambogia, Nicaragua,
El Salvador, Guatemala) o radicalizzazione politica (Afghanistan).
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Nella didascalia della foto pubblicata a Mosca il 12 marzo 1969 si legge:
“Soldati di confine sovietici (con mantelli chiari) in una rissa con provocatori e
intrusi della Cina Rossa […] sul confine cino-sovietico estremo-orientale”.
La foto vincitrice del premio World Press Photo nel 1973 mostra il Presidente
cileno Salvador Allende l’11 settembre 1973, il giorno del colpo di stato milita­
re davanti al palazzo presidenziale.
Foto: picture alliance / dpa / UPI
Foto: picture alliance / UPI New York Times
Pechino contro
Mosca
La guerra occulta
Ai primi di marzo 1969 sanguinosi scontri tra l’esercito cinese e sovietico sul confine formato dal fiume Ussuri portano al culmine un conflitto risalente agli anni ’50. Qui è
essenzialmente in gioco la supremazia ideologica. Da Cuba
all’Albania, entrambe le parti lottano accanitamente per accaparrarsi alleati e zone di influenza. Quando la Repubblica
Popolare Cinese dà avvio alla costruzione di armi nucleari
e propugna la tesi di un’inevitabile guerra contro l’“imperialismo occidentale”, nel 1960 Mosca ritira i suoi operatori
umanitari e i consulenti militari. Segue una guerra di propaganda condita da volgari insulti personali. Nel 1966 i partiti
comunisti dei due Paesi troncano i loro rapporti e le Guardie
Rosse assediano l’ambasciata sovietica a Pechino. Dopo gli
incidenti sull’Ussuri gli osservatori internazionali prevedono una prossima guerra tra i rivali. In effetti, a Mosca si comincia a prendere in considerazione un attacco preventivo
contro gli impianti nucleari cinesi. Di conseguenza Pechino
effettua tentativi di avvicinamento agli USA. Con successo,
perché Washington con la “carta Cina” intende rivalutare la
sua posizione verso l’URSS. Il periodo di gelo cinese-sovietico termina solo alla fine degli anni ’80.
La “guerra occulta” svolge un ruolo straordinario nella guerra fredda. Ciò significa destabilizzare le zone di influenza
dell’avversario e proteggere il proprio ambito di potere da
“infiltrazioni” nemiche, utilizzando strumenti economici,
servizi segreti, campagne ideologiche e mercenari. Però sia
l’Ovest che l’Est non vogliono comparire come mandanti. Oltre all’Africa, il teatro d’azione principale è l’America
Latina. In Guatemala nel 1954 la CIA consente un colpo di
stato militare contro il governo di Jacobo Arbenz, in Cile nel
1973 il Presidente socialista Salvador Allende con l’appoggio degli USA viene ucciso durante un colpo di stato. A Cuba
Washington vuole imporre un cambio di regime. Dagli anni
’70 l’URSS e i suoi alleati intensificano operazioni occulte
in Angola, Guinea Bissau e Mozambico: l’addestramento di
esercito, polizia e guerriglia, la fornitura di armi e la preparazione di attentati sono anche qui gli strumenti preferiti. Cuba
ne usa con particolare dovizia – per lo più senza consultarsi
con Mosca. Per impedire un’ulteriore espansione dell’Avana,
nell’ultima fase della guerra fredda gli USA aprono un fronte
segreto in Nicaragua e nel Salvador.
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Un momento culminante della politica di distensione: la conferenza CSCE a
Helsinki. La foto del 30 luglio 1975 mostra (da sin. a dx) il Cancelliere della
Germania Federale Helmut Schmidt, il Segretario del Partito Comunista della
Germania Orientale Erich Honecker, il Presidente USA Gerald Ford e il Can­
celliere austriaco Bruno Kreisky.
Operai portano in trionfo il leader degli scioperi Lech Wałęsa fino ai cantieri
Lenin di Danzica il 30 agosto 1980.
Foto: BStA / Harald Schmitt
Foto: picture alliance / akg-images
Politica di
­distensione
Verso l’auto­
determinazione
Sotto l’effetto della costruzione del muro di Berlino, della crisi di Cuba e della guerra del Vietnam, si intensifica la ricerca
di vie di uscita dal confronto tra i blocchi. Nella Repubblica
Federale Tedesca il governo di Willy Brandt tra il 1969 e il
1973 impone un nuovo corso politico, guidato dall’idea:
“Cambiamento mediante avvicinamento”. Nei Trattati stipulati con l’Unione Sovietica, la Polonia, la Cecoslovacchia e
la Germania Orientale tutte le parti si impegnano a non effettuare rivendicazioni territoriali reciproche, a rinunciare
all’uso della forza e a rendere più permeabile la cortina di
ferro mediante trattati commerciali, facilitazioni di espatrio
e convenzioni per visitatori. Contemporaneamente gli USA
e l’URSS concordano di ridurre la loro corsa agli armamenti; da quel momento valgono limiti massimi per missili intercontinentali e sistemi antimissili. Anche le relazioni di
Washington con Pechino migliorano notevolmente dopo il
primo viaggio in Cina di un Presidente USA nell’anno 1972.
La Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa
nel 1975 (CSCE) evidenzia e consolida quello che è stato finora raggiunto e inoltre mette all’ordine del giorno la tutela
dei diritti umani. Non da ultimo, i partecipanti alla CSCE si
accordano su una prosecuzione del dialogo tra i blocchi – come garanzia per future crisi.
Nel blocco orientale la politica di distensione apre nuovi spazi per il dissenso politico – nonostante la rigida sorveglianza
e le intimidazioni da parte della polizia e dei servizi segreti.
Richiamandosi all’atto finale della Conferenza di Helsinki,
centinaia di oppositori in Cecoslovacchia firmano la “Charta
77”. È la nascita dell’omonimo movimento per i diritti civili,
aperto a tutti i cittadini interessati e allo scambio con organizzazioni non governative all’Ovest. Anche nella Germania
Est sorgono gruppi di opposizione che si impegnano sia su
argomenti come il disarmo, la tutela ambientale e il Terzo
Mondo, sia per la liberà di opinione e i diritti democratici.
In Polonia nel 1980 uno sciopero dà vita al sindacato autonomo Solidarnosc che nel giro di un anno arriva a contare
nove milioni di iscritti e ottiene addirittura il riconoscimento
ufficiale.
Nel frattempo negli USA e in Europa Occidentale entra
in scena un nuovo tipo di attivisti politici: gli esperti di disarmo e di diritti umani. Oltre all’attività politica tradizionale,
questi lavorano in comitati civici o forniscono consulenze
per iniziative pacifiste transnazionali di medici e studiosi di
scienze naturali. Pertanto a partire dagli anni ’70 la politica
estera e militare diventa sempre di più una questione della
società civile.
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Mujaddin afgani posano per una foto sul relitto di un elicottero militare
sovietico.
Foto, senza data [1980/81?]: picture alliance / AP Photo
Ronald Reagan e Michail Gorbaciov l’11 ottobre 1986 a Reykjavik in Islanda.
L’incontro al vertice fallisce nonostante generose proposte di disarmo sovieti­
che, poiché il Presidente USA non cede sul programma dello scudo spaziale.
Foto: picture alliance / Martin Athenstädt​
Un nuovo periodo
di gelo
Uscita dal circolo
vizioso
Agli inizi degli anni ’80 le tensioni tra i blocchi si riacutizzano. Allo scopo di “pacificare” la sua zona di influenza centroasiatica, l’URSS occupa l’Afghanistan, in Polonia Solidarnosc
viene messa al bando e viene imposta la legge marziale.
Poiché Mosca non rinuncia a un rimodernamento dei missili
a medio raggio, gli USA posizionano in Europa Occidentale
i loro missili Pershing II e Cruise. Milioni di persone manifestano contro la nuova corsa agli armamenti. Anche il dibattito negli USA su “guerre nucleari vincibili”, “decapitazione”
della leadership sovietica e armi spaziali provoca indignazione. Al Cremlino gli atteggiamenti minacciosi americani vengono presi per moneta sonante. Ulteriore nervosismo creano
falsi messaggi di computer su attacchi missilistici all’URSS
e simulazioni di ordini di impiego di armi atomiche durante
l’esercitazione NATO “Able Archer”. A causa di queste manovre gli eserciti in Europa Orientale e i missili intercontinentali sovietici vengono messi in stato di massima allerta;
nella Germania Est bombardieri nucleari con i motori accesi
aspettano l’ordine di attaccare – cosa che, come una prosecuzione di capitoli oscuri della prima fase della guerra fredda, si
svolge a novembre 1983.
Agli inizi degli anni ’80 l’Unione Sovietica è sull’orlo del crollo economico. A questo si aggiunge il cronico immobilismo
dei suoi leader politici. Con l’elezione di Michael Gorbaciov a
Segretario Generale del Partito Comunista Sovietico nel marzo 1985 si verifica un’inaspettata movimen­tazione nella politica sovietica. Gorbaciov esige “ricostruzione” (Perestroika)
e “trasparenza” (Glasnost) e consente agli “Stati satelliti” di
trovare la loro propria via al socialismo. In aggiunta a tutto
questo, Gorbaciov annuncia anche un prossimo ritiro dall’Afghanistan e sorprende l’Occidente con ampie proposte di disarmo e la disponibilità a iniziative unilaterali. Il Presidente
USA Ronald Reagan, che ancora nel 1984 aveva definito
l’URSS come l’“impero del male” si mostra disposto a trattare – non da ultimo perché avversari americani del riarmo
trovano un crescente numero di seguaci anche nel campo dei
conservatori. Alla fine del 1987 gli USA e l’URSS nel Trattato
di Washington sulle armi nucleari a raggio intermedio (INF)
concordano di distruggere tutto il loro arsenale di missili a
breve e a medio raggio e di non produrre più nuove armi di
questo tipo. Pertanto per la prima volta dal 1945 vengono
smantellate le armi nucleari. Antiche inimicizie sfumano, dopo anni di conflitto tra Ovest e Est cresce una fiducia finora
sconosciuta.
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Il 27 giugno 1989 i Ministri degli Esteri dell’Austria e dell’Ungheria, Alois
Mock e Gyula Horn, tagliano simbolicamente la Cortina di Ferro tra i loro
Paesi.
Il 29 giugno 1990 la CSCE pubblica il “Documento finale della riunione di
Copenhagen sulla dimensione umana” – una pietra miliare per i diritti umani
in Europa che entrano a far parte del diritto internazionale.
Foto: picture alliance / AP Photo
Foto: OSCE / Curtis Budden
Fine della storia?
L’eredità della
­guerra fredda
Il 2 maggio 1989 l’Ungheria smantella le sue fortificazioni sul
confine occidentale – un atto simbolico e l’avvio di un processo la cui drammaticità e rapidità sorprende tutti i partecipanti. Ciò che stupisce è soprattutto il fatto che nella maggior parte dei casi il cambiamento avviene con mezzi pacifici.
Questo vale per la Polonia e l’Ungheria, che dal 1988 superano perfino il riformista Gorbaciov, e anche per la Germania
Orientale, sebbene qui i leader locali non escludano l’opzione di una “soluzione cinese” – la repressione violenta delle
proteste come sulla Piazza Tiennamen a Pechino agli inizi di
giugno 1989. Poiché tuttavia non vi è più Mosca a coprire le
spalle e le proteste di massa aumentano di giorno in giorno, si
diffonde un certo timore. In Romania, invece, l’esercito spara sulla folla uccidendo migliaia di dimostranti prima che il
vecchio regime sia costretto a dimettersi. Michael Gorbaciov
stesso nel 1990 interviene con l’esercito contro la dissoluzione dell’Unione Sovietica: in Azerbaijan, Lituania e Lettonia.
Ma inutilmente: il 31 dicembre 1991, dieci mesi dopo lo
scioglimento del Patto di Varsavia, l’Unione Sovietica cessa
di esistere. Molti sperano nel trionfo definitivo della pace e
del liberalismo – un errore, come dimostra il gran numero di
conflitti e guerre dal 1991.
Dal 1991 divampano di nuovo conflitti precedentemente
congelati, come in Jugoslavia e sul territorio dell’ex URSS.
Contemporaneamente si creano nuovi focolai di incendio –
principalmente in Medio Oriente e in Africa. L’ostinato mantenimento di vecchie sfere di potere e di influenza impedisce
una soluzione collaborativa del conflitto da parte delle grandi
potenze e ostacola il cammino verso una nuova architettura
di sicurezza. Come se non bastasse, tutte le potenze atomiche
investono miliardi nell’ammodernamento dei loro arsenali
nucleari, sabotando l’obiettivo di un mondo denuclearizzato.
Tra i lasciti positivi della guerra fredda possiamo annoverare la creazione di strumenti per il superamento politico
dei conflitti – per esempio la “Conferenza per la Sicurezza
e la Cooperazione in Europa” convocata nel 1971 durante la politica di distensione e la sua attuale derivazione,
l’ “Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in
Europa” (OCSE). Il compito dell’OCSE è non solo di dirimere le crisi, bensì di contribuire alla costruzione di istituzioni
democratiche e di promuovere i diritti umani. Nel frattempo
anche in Asia questo modello di cooperazione multilaterale
viene preso ad esempio. Qui vi è un’occasione per cancellare
l’eredità della guerra fredda – ma non una garanzia.
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GLI EDITORI
Il Berliner Kolleg Kalter Krieg, fondato nel 2015 è un luogo di scambio
scientifico internazionale e della ricerca sulla guerra fredda che ha
caratterizzato la seconda metà del 20mo secolo e le cui conseguenze
continuano ad avere effetti fino a oggi. www.berlinerkolleg.com
La Bundesstiftung zur Aufarbeitung der SED-Diktatur promuove progetti ed elabora molteplici proposte proprie con la finalità di contribuire
al dibattito complessivo sulle cause, la storia e le conseguenze delle
dittature comuniste in Germania e in Europa. bei.
www.bundesstiftung-aufarbeitung.de
La versione italiana della mostra è stata realizzata grazie a DVV International, l’Istituto per la collaborazione internazionale del Deutschen
Volkshochschul-Verband e.V., che collabora in oltre 30 Paesi dell’Africa,
Asia, America Latina e Europa con oltre 200 partner statali, scientifici e
della società civile per la formazione degli adulti.
www.dvv-international.de
Il grande interesse per la storia della guerra fredda è dimostrato dall’enorme
affluenza di visitatori alla mostra all’aperto e al Black Box dell’ex checkpoint
Charlie a Berlino.
Foto: picture alliance / dpa
Luoghi della
­memoria
Oggi il ricordo della guerra fredda è rielaborato in musei o
mostre nei luoghi dove si sono svolti gli eventi. Le interpretazioni sono molteplici come molteplici sono gli ex protagonisti, e rispecchiano i punti di vista nazionali o i dettati politici. In Vietnam si concentrano sui crimini di guerra commessi
dall’esercito USA. Nella Corea del Sud continua una narrazione iniziata dagli anni ’50 di vittime innocenti ed eroica difesa – mentre nell’Europa Orientale l’epoca dopo il 1945 viene descritta soprattutto come dominazione sovietica. Negli
USA e in Gran Bretagna la guerra fredda è rappresentata in
primo luogo come competizione per i migliori aerei, carri
armati e navi, in parte anche come emozioni forti presso le
rampe di lancio missilistiche dismesse. In Russia il ricordo
è tenuto vivo da musei delle forze armate e luoghi virtuali in
Internet. In Germania si possono visitare bunker atomici, residui sul confine tra le due Germanie e gallerie scavate per la
fuga dall’Est, ma per la maggior parte si vedono le tracce della sorveglianza dello Stato e della detenzione nella Germania
dell’Est. Nel complesso si nota soprattutto una mancanza:
nessuno finora ha raccontato la guerra fredda come storia
universale.
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GLI AUTORI
Autore della mostra è il Prof. Dr. Bernd Greiner, nato nel 1952,
storico, politologo e americanista. Greiner insegna all’Università di
Amburgo. Dal 1989 lavora all’Istituto di Scienze Sociali di Amburgo,
e come storico dirige anche il Berliner Kolleg Kalter Krieg di recente
fondazione.
Curatore della mostra è il Dr. Ulrich Mählert, nato nel 1968, direttore
della divisione Scienza e Cooperazione internazionale della Bundes­
stiftung zur Aufarbeitung der SED-Diktatur.
L’allestimento è opera del Dr. Thomas Klemm, nato nel 1975, storico
e insegnante di arte. Lavora da libero professionista come grafico e
allestitore di mostre a Lipsia. www.thomasklemm.com
La traduzione della mostra è stata effettuata da [Qualitalia S.r.l.]
RINGRAZIAMENTI
Il ringraziamento degli editori va agli archivi, musei e media, ai collaboratori e altri sostenitori del progetto che hanno messo a disposizione
fotografie, vignette e facsimili. Al primo posto vogliamo citare l’agenzia
fotografica dpa picture alliance (D), l’Archivio federale (D), nonché la
fototeca dell’Ufficio Stampa e informazioni del Governo Federale (D),
da cui proviene la maggior parte delle immagini utilizzate nella mostra.
Il nostro ringraziamento va inoltre a: archive.org (USA), Archive
­Sakharov (Ru), Bulletin of the Atomic Scientists (USA), Archiv der
Bundesstiftung zur Aufarbeitung der SED-Diktatur, abbreviato BStA
(D), Express Newspapers (GB), The John F. Kennedy Presidential
Library and Museum (USA), M. DuMont Schauberg / Berliner Zeitung
(D), Philip Nash, Pennsylvania State University (USA), National
Archives (USA), The National Library of Wales (GB), National
Nuclear ­Security Administration (USA), Neues Deutschland (D),
OSZE / OSCE, Robert-Havemann-Gesellschaft (D), Royal Air Force
Museum Cosford (GB), Solo Syndication (GB), Der Spiegel (D), statista.com (D), Stiftung Haus der Geschichte der Bundesrepublik Deutschland (D), Süddeutsche Zeitung Photo (D), die tageszeitung(D),
UN Photo, US Army (USA), White House Photo Office (USA) und
Wikipedia.
NOTA BENE
Tutte le fotografie, documenti audio e testi, nonché l’ideazione della
mostra sono tutelati da diritti d’autore e non devono essere riprodotti,
modificati o in altro modo diffusi senza l’autorizzazione dei titolari dei
diritti. I titolari dei diritti delle foto sono citati nelle rispettive didascalie.
Avete domande o critiche in merito alla mostra? Oppure – nonostante
la massima cura nella ricerca delle immagini – non abbiamo tenuto
conto dei vostri diritti di autore e/o di sfruttamento? Vi preghiamo di
rivolgervi al Dr. Ulrich Mählert tramite
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