DON`T BANK ON THE BOMB

Transcript

DON`T BANK ON THE BOMB
DON’T BANK ON THE BOMB
2015
Il rapporto internazionale sui finanziamenti ai produttori di
armi nucleari.
Anche quest’anno è stato pubblicato il report
annuale “Don’t bank on the bomb” a cura di
PAX e dell’International Campaign to Abolish
Nuclear Weapons (ICAN) con il quale le due
organizzazioni intendono incrementare la
trasparenza sui finanziamenti delle armi
nucleari e stimolare il dibattito pubblico a
sostegno della loro delegittimazione.
Come sempre il report, chiaro nelle sue
argomentazioni, evidenzia una carenza di
informazioni ufficiali di pubblico dominio sulla
produzione
e
sugli
investimenti
delle
medesime armi.
Esso non riporta ogni singolo investimento e
non include gli investimenti fatti da governi,
università o chiese, ma solo dalle istituzioni finanziarie, prendendo in
considerazione una varietà di fonti (rapporti delle ONG, report delle istituzioni
finanziarie, siti web e altre fonti pubbliche).
I nove Paesi dotati di armi nucleari (Cina, Corea del Nord, Francia, India,
Israele, Pakistan, Federazione Russa, Regno Unito e Stati Uniti) stanno
modernizzando i propri arsenali. Alcuni di essi si giustificano dietro la pretesa
della manutenzione, mentre altri
annunciano
apertamente
la
produzione di nuove tecnologie e
piani di sviluppo.
“Ad esempio, il Congressional
Budget Office nel gennaio 2015 ha
comunicato che gli Stati Uniti
spenderanno circa 350 miliardi di
dollari nei prossimi dieci anni per
potenziare e mantenere il proprio
arsenale nucleare. Si arriverà a
1.000 miliardi di dollari nell’arco
di trenta anni. Il solo programma
1
di radicale modernizzazione delle testate nucleari tattiche B61, di cui 70 sono
sul territorio italiano, costerà circa 10 miliardi di dollari. Queste testate saranno
destinate ad essere trasportate dai nuovi aerei F35, 90 dei quali saranno
acquistati dall’Aeronautica italiana come è stato confermato dalla recente legge
sul Bilancio dello Stato 2016” nota Maurizio Simoncelli, vicepresidente
dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo (IRIAD).
Si stima che la spesa mondiale per queste armi sia di oltre 100 miliardi di
dollari ogni anno. Questa spesa serve per assemblare nuove testate,
modernizzare le vecchie e costruire missili, sistemi di lancio e tecnologie di
supporto.
Se la maggior parte del finanziamento per le armi nucleari proviene da
contribuenti che hanno sede all’interno dei Paesi nucleari, una parte
consistente proviene anche da investitori privati di Paesi non-nucleari.
All’interno del report, le istituzioni che finanziano queste attività sono elencate
in tre gruppi in base alla misura del loro coinvolgimento nel finanziamento
dell’industria militare nucleare intesa come insieme delle aziende che
producono componenti chiave per testare, sviluppare, mantenere,
modernizzare e dislocare le armi nucleari:
a) Nella cosiddetta “Hall of Fame” rientrano 13 istituzioni finanziarie a livello
globale (5 in più dello scorso anno) che in maniera attiva e significativa
hanno adottato, applicato e pubblicato politiche globali di prevenzione
contro qualsiasi tipologia di finanziamento ai produttori di armi nucleari.
Queste istituzioni finanziarie cosiddette “virtuose” si trovano in
Danimarca, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Regno Unito;
b) 40 istituzioni finanziarie (cc.dd. “Runners-Up”), invece, hanno intrapreso
una strada di esclusione parziale dei finanziamenti;
c) 382 banche, compagnie assicurative, fondi pensione di 27 diversi paesi
(“Hall of Shame”) investono significativamente nell'industria delle armi
atomiche. 238 hanno sede in Nord America, 76 in Europa, 59 in Asia e
nel Pacifico, 9 in Medio Oriente. Si tratta di 29 istituzioni in meno rispetto
all'anno precedente.
Per quanto riguarda l'Italia vi sono alcuni esempi virtuosi e altri meno. Banca
Etica rientra nella “Hall of Fame”. Unicredit e Intesa San Paolo nella lista dei
“runners-up”. Nel complesso, 11 istituti bancari italiani hanno concesso una
somma totale di 4 miliardi e 149 milioni di euro a 26 società. L'azienda
Finmeccanica, di cui il 30,2% è del Ministero dell’Economia e delle Finanze, fa
parte della “Hall of Shame”. A partire dal 2013 è legata alla produzione di
testate destinate a far parte dell’arsenale francese e attraverso la joint venture
MBDA e di un programma per la consegna di veicoli di supporto al missile
balistico intercontinentale dell’esercito statunitense.
2
La gran parte dell’opinione pubblica globale concorda sull’inaccettabilità delle
armi nucleari. In che modo, dunque, è possibile facilitare la loro eliminazione?
Quali pressioni si possono realisticamente effettuare? Se le nucleari sono le
uniche armi di distruzione di massa a non essere ancora illegali, quali lezioni si
possono trarre dalle esperienze passate sulla messa al bando di altre armi
“inumane”?
Innanzitutto, delegittimare le armi nucleari e dimostrare l’opposizione della
Società Civile al loro possesso aiuta gli sforzi negoziali per renderle illegali,
facilitandone di conseguenza l’eliminazione. Nessuna arma, infatti, è mai stata
eliminata senza essere stata messa al bando e senza essere prima stata
delegittimata dalla società.
Come la società civile, anche le istituzioni finanziarie nel tempo hanno accolto
questo principio, ma, come dimostra il report, la strada è ancora lunga.
Infatti, i 10 maggiori investitori, tutti con sede degli Stati Uniti, da soli hanno
fornito capitali per più di 209 miliardi di dollari. Tra questi i primi 3 (Capital
Group, State Street e Balckrock) hanno investito più di 95 miliardi.
In Europa, i maggiori investitori sono BNP Paribas (Francia), Royal Bank of
Scotland (Regno Unito) e Crédit Agricole (Francia).
53 istituzioni finanziarie, invece, hanno pubblicamente messo in moto politiche
virtuose, 18 in più rispetto al 2014.
ABP, un fondo pensione olandese, ha deciso di interrompere i rapporti con le
società indiane Larsen & Toubro e Walchandnagar.
Fonds de Compensation, un fondo investimenti lussemburghese, ha deciso di
bloccare definitivamente i finanziamenti ad Aecom, Fluor e Huntington Ingalls.
Infine, Nordea, una banca svedese, ha annunciato nel maggio 2015 di voler
escludere la Boeing, a causa del coinvolgimento della stessa nella produzione
di componenti per i missili Trident D5.
Altri esempi sono: la SEB, Swedbank (banche svedesi), Co-operative Bank
(Regno Unito) e la Pensioenfonds Horeca & Catering (Olanda) hanno rafforzato
politiche simili.
La pubblicizzazione delle politiche che proibiscono gli investimenti ai produttori
di armi nucleari può dar vita ad un effetto domino di delegittimazione che
coinvolge altre istituzioni finanziarie.
È quanto accaduto con alcune delle “Hall of Fame” e “Runners-up” che hanno
discusso diversi modi per prevenire i finanziamenti delle armi nucleari.
3
Questo sistema di delegittimazione, volto ad interrompere i flussi finanziari, ha
trovato efficace applicazione nella precedente campagna internazionale contro
le “cluster bombs”.
A differenza delle armi nucleari, queste sono state chiaramente bandite tramite
uno specifico trattato internazionale, nonostante non tutti i paesi abbiano
cessato di produrle o acquistarle.
Il suo successo evidenzia come la pressione economica abbia un grande ruolo
nell’interrompere la produzione delle armi “inumane”, anche quando queste
armi sono ancora vendute a paesi che non rientrano nel regime dei trattati.
Pertanto, secondo il Rapporto, tagliare i finanziamenti privati alle aziende del
settore nucleare militare può certamente dimostrarsi una strategia efficace per
bloccarne la produzione, non sostenibile da parte dei singoli stati.
Il
rapporto
completo
è
reperibile
al
content/uploads/2015/11/2015_Report_web.pdf
http://www.dontbankonthebomb.com/wp-
La sintesi del rapporto è stata curata da Emanuele Greco, Maged Srour, Maria Carla
Pasquarelli.
4