Sans trop de dommage»: lo Zéno francese di Paul

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Sans trop de dommage»: lo Zéno francese di Paul
Beatrice Stasi
«Sans trop de dommage»: lo Zéno francese di Paul-Henri Michel (1927)
1.
Storia di una traduzione
Svevo a Paul-Henri Michel:
Tarasp, 2 Agosto 1926
Pregiatissimo Signore,
il signor Beniamino Crémieux mi fa sperare ch’Ella sarebbe disposto di tradurre il mio
romanzo La Coscienza di Zeno di cui è stabilita la pubblicazione presso l’ed. Gallimard
(«N.R.F.»). Non appena Ella m’avesse data la Sua adesione, Le farei pervenire il volume
che preparai per la traduzione facendovi qualche lieve taglio [Svevo 2008, LXIII].
L’indirizzo, Crémieux glielo aveva dato in una lettera del 28 luglio e Svevo, come al
solito, non aveva perso tempo. La candidatura di Paul-Henri Michel come traduttore del
capolavoro sveviano era stata preceduta da quella della moglie stessa di Crémieux, Marie Anne
Comnène, che aveva però finito col rinunciarvi, spaventata non solo dalle sue «migraines
incessantes», ma anche dalla «hâte bien naturelle que je sens en vous pour cette traduction» come
ella stessa aveva scritto a Svevo il 6 aprile 1926 (Svevo 1978, 120). Da una lettera alla stessa
Comnène dello stesso anno (1° marzo) si apprende che era stato fatto anche il nome di un
possibile traduttore svizzero, forse lo stesso al quale Svevo allude in una lettera a Larbaud del 30
aprile, precisando «che però non sa bene il francese» e commentando: «Ma io non voglio una
traduzione tanto esatta» (Svevo 1978, 68).
Padroneggiava invece tanto il francese quanto l’italiano il giovane Michel (1894-1964),
«chef de la section italienne au Musée de la guerre» a Vincennes, che il primo conflitto mondiale
aveva indotto ad abbandonare gli studi di cultura germanica per dedicarsi all’italianistica.
Scandita dai «subito» imposti dall’ansia dell’autore italiano, la corrispondenza con il
giovane traduttore prosegue a stretto giro di posta: se le lettere di Svevo sono tutte edite, grazie
alla generosa e sollecita risposta di Paul-Henri Michel a una richiesta di Letizia Svevo1 in vista
della pubblicazione dell’Epistolario curata da Maier (Svevo 1966)2, alcune delle lettere del
traduttore, conservate presso il Museo Sveviano di Trieste, sono tuttora inedite, mentre le altre
sono comparse nel volume Lettere a Italo Svevo (Maier 1973) o tra le Testimonianze
dell’Introduzione alla recente edizione critica della Coscienza di Zeno (Svevo 2008).
Il 5 agosto Paul-Henri Michel accetta in linea di massima di tradurre il romanzo,
riservandosi, però, di dare una risposta definitiva dopo averlo letto, per «sapere quanto è lungo –
quanto è difficile» (Maier 1973, 117). Svevo leggerà tale risposta il 13 agosto, al suo rientro a
Trieste:
Eccoci d’accordo su tutto (intanto il franco è risalito e non occorrerà, speriamolo, fare
dei tagli) salvo… che il libro le piaccia. Glielo invio subito e spero subito mi domanderà
il denaro. Sarebbe un buon segno che mi darebbe la tranquillità [Svevo 1966, 807].
Michel risponde, in data 18 agosto, dichiarando di aver «cominciato subito la lettura» del
libro, di seguitare «con grandissimo interesse» e annunciando l’invio di un «saggio della sua
traduzione subito dopo le vacanze di settembre» (lettera inedita, Fondo Svevo, 74.4-1).
Il 21 agosto Svevo si dichiara rassicurato dalla risposta di Michel e torna a parlare dei
«lievi tagli» da lui segnati in seguito a una richiesta specifica di Crémieux, augurandosi che siano
1
La lettera di Letizia, in data 4 aprile 1963, è tuttora conservata, insieme ad altre sue e della madre Livia, nello
straordinario archivio privato di casa Michel del quale si parlerà fra poco.
2
Nel caso in cui le lettere siano state ripubblicate tra le Testimonianze dell’edizione critica della Coscienza di Zeno
da me curata (Svevo 2008), si è preferito citare da questa più recente pubblicazione, in cui il testo delle lettere è stato
controllato (e, ove necessario, corretto) sulle fotocopie degli originali conservate presso il Museo Sveviano di Trieste.
sufficienti («Io spero bastino») e chiedendo al traduttore di dirgli «se crede di farci degli altri tagli
e in quali punti», «sapendo dallo stesso Crémieux che se ne intende, che Lei è un artista» (Svevo
2008, LXIV).
Fino al 15 agosto di quest’anno, non ero riuscita a rintracciare questa copia della Coscienza
di Zeno inviata al traduttore, sulla quale le citate testimonianze epistolari facevano immaginare la
presenza di segni di una rilettura da parte dello stesso Svevo, segni senz’altro importanti, da un
punto di vista filologico, per un’opera il cui unico testimone è, come è noto, la prima e ultima
edizione a stampa pubblicata in vita dall’autore, presso l’editore Cappelli di Bologna, nel 1923. In
questa data, invece, il figlio di Paul-Henri Michel, Olivier Michel, che ero finalmente riuscita a
rintracciare nel mese di luglio, mi ha annunciato con una e-mail il ritrovamento della copia della
Coscienza con i tagli e alcune correzioni testuali effettuati dalla mano stessa di Svevo. Questa e le
altre lettere elettroniche di Olivier Michel testimoniano il ruolo davvero decisivo che la sua
collaborazione, entusiastica e intelligente, ha avuto in questa mia ricerca. Grazie al suo aiuto, una
breve missione a Parigi ai primi di settembre mi ha permesso di prendere visione non solo di
questa copia della Coscienza, ma anche dell’epistolario di Paul-Henri Michel, in particolare quello
contemporaneo alla traduzione, meticolosamente conservato.
Famiglia di bibliotecari, quella dei Michel, ed è stata probabilmente l’abitudine
professionale al rispetto e alla conservazione dei documenti a permettere a tanto materiale
prezioso di arrivare indenne fino a noi, attraverso eventi tragici come la seconda guerra mondiale e
l’occupazione di Parigi: bibliotecario a Aix-en-Provence e poi ad Amiens era già il padre del
traduttore, Henri Michel (1861-1944), anche lui buon conoscitore della lingua e cultura italiana, e
autore di un libro di poesie, Meditation symbolique, pubblicato nel 1885, che scopro citato e
commentato da Maurice Blondel in un quaderno di appunti (Henrici 1994, 27); il nostro PaulHenri, che, come si è detto, all’epoca era impiegato presso la Bibliothèque-Musée de la guerre di
Vincennes, avrebbe lavorato a partire dagli anni Trenta presso la Bibliothèque Mazarine; degno
erede della tradizione familiare, Olivier, nato nel settembre 1928, a pochi giorni di distanza dalla
morte di Svevo, è stato bibliotecario a Besançon, Lille, Parigi e all’École Française di Roma.
Proprio grazie a una indicazione di Olivier, ho potuto ritrovare nelle lettere di Henri al
figlio le prove di un altro dato importante, finora ignoto, relativo alla prima traduzione francese
della Coscienza (Svevo 1927): essa non è tutta opera di Paul-Henri Michel, ma è frutto di una
collaborazione tra padre e figlio. In quel periodo il giovane Paul (che d’ora in poi chiameremo
così, rinunciando a quel secondo nome che potrebbe creare qualche confusione col padre e col
quale, invece, il figlio firma le sue traduzioni, forse per indicare un rapporto di collaborazione
familiare sperimentato anche in altri lavori), oltre al suo lavoro di bibliotecario, attendeva alla
stesura della sua tesi di dottorato su Leon Battista Alberti, ma anche ad altre traduzioni, come
quella delle lettere di Santa Caterina da Siena e di Novant’anni di Mario Puccini, spinto anche da
necessità economiche dovute al recente acquisto di una nuova abitazione (al 33 di Boulevard
Murat, la stessa visitata da Svevo durante il suo ultimo soggiorno parigino, nel marzo 1928, dove
tuttora si trova l’archivio di famiglia e la «bella biblioteca» ricordata dallo scrittore italiano in una
lettera3). Le «vacanze di settembre», alle quali Paul allude nella già citata lettera a Svevo del 18
agosto, saranno probabilmente l’occasione in cui padre e figlio cominciano la collaborazione e si
dividono il lavoro. Il primo cenno a questa collaborazione compare, infatti, in una lettera di Henri
successiva al rientro a Parigi di Paul, in data 11 ottobre:
Amiens, 11 ottobre
J’ai avancé un peu ma traduction [d]e la Coscienza di Zeno. Je me suis d’ailleurs
decidé à recopier tout ce qu’était fait déjà, - pour mise en point et corrections.
3
«Già ora l’importante è il lavoro che incombe a Lei [la traduzione di Senilità], nella Sua bella biblioteca tanto
ordinata, dai libri mai maltrattati perché quando Ella li prende in mano pare li accarezzi» (Lettera del 24 marzo 1928, in
Svevo 1966, 868).
Il cenno a un lavoro di copiatura, correzione e messa a punto di ciò che era stato fatto,
lascia pensare che la traduzione del capitolo La mort de mon père, annunciata da una lettera di
Crémieux a Svevo in data 21 ottobre e inviata da Michel (ovviamente Michel figlio) il giorno
dopo, 22 ottobre, possa far parte del testo al quale Michel padre aveva provveduto a dare una veste
definitiva.
Alcuni particolari della lettera di Crémieux rappresentano poi indizi utili per scoprire un
altro aspetto nella complessa storia di questa traduzione: «Votre traducteur Michel est rentré de
vacances; il a déjà traduit plus de 150 pages de la Coscienza di Zeno et va vous envoyer le chapitre
sur la mort du père pour que vous puissiez juger de la qualité de son travail qu’il compte toujours
avoir terminé pour janvier ou février» (Svevo 1978, 79). Sorprende, in qualche modo, la decisione
di inviare a Svevo solo il capitolo quarto, quando invece le 150 pagine già tradotte dovevano
evidentemente comprendere anche le 36 pagine dei primi tre capitoli (oltre che una buona parte
del capitolo quinto). E sorprende, soprattutto, non trovare nelle lettere di Svevo, così ansioso di
seguire da vicino il lavoro del traduttore, una richiesta esplicita o almeno un cenno alla versione
delle prime pagine del romanzo. È questo un silenzio che ci priva di una prova certa, ma che
suggerisce una ipotesi in grado di spiegarlo: Svevo non è curioso di vedere la traduzione dei primi
tre capitoli perché sa – o, forse, semplicemente, sospetta – di averla già vista. E l’ha vista
pubblicata su quel numero di febbraio del 1926 del «Navire d’Argent» che rappresenta «la
première ligne d’attaque» – come la definisce in una lettera Larbaud (Svevo 1978, 62) – scelta
dagli italianisti francesi per la loro battaglia pro-Svevo: solo che, in quella sede, la traduzione era
firmata da Benjamin Crémieux e, a quella data, il nome di Paul Michel non era ancora comparso
negli scambi epistolari tra Trieste e Parigi.
Un confronto interlineare tra le due traduzioni conferma il sospetto: nonostante alcune
modifiche, estremamente circoscritte e quasi tutte concentrate – opportunamente e
prevedibilmente – nelle prime pagine, la traduzione di Michel è praticamente identica a quella
firmata da Crémieux. Dico firmata, perché il progetto, al quale si è già accennato, di far tradurre
l’intero romanzo a Marie Anne Comnène induce a sospettare (ma in questo caso senza indizi) che
l’occupatissimo italianista, già impegnato dalla stesura del saggio critico pubblicato in apertura
della sezione dedicata a Svevo dalla rivista, abbia passato alla moglie l’incarico di tradurre i primi
tre capitoli della Coscienza4 (le pagine da Senilità, invece, com’è noto, furono tradotte da
Larbaud).
Se si rilegge la citata lettera di Henri Michel al figlio dell’11 ottobre alla luce di quanto
emerso, prende forma l’ipotesi che «tout ce qu’était fait déjà» si riferisca non tanto (o non solo) al
capitolo quarto tradotto da Paul, ma anche ai primi tre capitoli pubblicati sul «Navire d’argent»,
che il traduttore, sulla base senz’altro di un accordo con i Crémieux, avrebbe riutilizzato nella
propria traduzione dell’opera, apportandovi solo quelle minime modifiche necessarie a non
rendere il riuso troppo evidente. Tranne, infatti, la prima pagina del romanzo (la celebre
Prefazione del dottor S.) e due facciate del capitolo sul fumo che erano state tagliate nella versione
pubblicata in rivista e che vengono ripristinate con solo due soppressioni minime, la traduzione dei
primi tre capitoli nel volume Gallimard del 1927 ripropone quella apparsa nel numero di febbraio
del 1926 su «Le Navire d’Argent».
Le poche varianti tra le due versioni, se sembrano per lo più suggerite dall’opportunità di
camuffare il riciclaggio operato, offrono comunque più di uno spunto di riflessione, tanto da un
punto di vista filologico quanto da uno interessato alle scelte linguistiche e stilistiche. Per quanto
4
Un lievissimo indizio può essere rappresentato da una lettera a Svevo di Adrienne Monnier, la direttrice del
«Navire d’Argent» che in data 3 luglio consiglia, a proposito della traduzione: «Il vaut mieux ne pas compter sur
Crémieux qui est trop occupé» (Maier 1973, 116). Se si ricorda come nella corrispondenza tra l’autore e i Crémieux sia
sempre la signora ad essere indicata come possibile traduttrice del romanzo, si può ipotizzare che anche per i tre capitoli
apparsi sulla rivista la traduzione venisse ufficialmente attribuita per ragioni comprensibilissime al più prestigioso
intellettuale della coppia, con uno scambio di ruoli che, in questa lettera, sembrerebbe fuorviare persino la stessa
direttrice della pubblicazione.
riguarda il primo aspetto, il confronto tra le due traduzioni offre elementi utili per provare a
stabilire se le correzioni d’autore presenti nella copia inviata a Michel fossero già state segnalate
su quella utilizzata da Crémieux (o dalla moglie) per la sua traduzione. Proprio la correzione
apportata da Svevo sulla prima pagina del romanzo farebbe, come prima impressione, propendere
per questa ipotesi. Nella copia inviata a Michel, infatti, esattamente alla fine del primo rigo, Svevo
aveva aggiunto a margine una congiunzione che modificava come segue il celebre incipit del
romanzo: «Io sono il dottore di cui in questa novella si parla e talvolta con parole poco
lusinghiere» (in corsivo la congiunzione aggiunta a penna). Dal confronto tra le due traduzioni
emerge un dato a dir poco sorprendente: la congiunzione compare nella traduzione di Crémieux
(«Je suis le docteur mentionné – et parfois en termes peu flatteurs – dans le récit qui va suivre»
[Svevo 1926, 27]) e non compare, invece, in quella di Michel, effettuata, peraltro, sulla copia in
cui l’aggiunta era stata effettuata («Je suis le médecin dont il est parlé en termes parfois peu
flatteurs dans le récit qui va suivre» [Svevo 1927, 9]). Credo che proprio la presenza della «e»
nella traduzione di Crémieux abbia indotto Michel a ignorare la correzione a penna di Svevo: per
chi intendeva differenziare la propria versione dalla precedente, per camuffarne l’effettiva
dipendenza, appariva fondamentale evitare, nella frase d’apertura del romanzo, una concordanza
su una scelta non suffragata dalla fedeltà all’originale agli occhi di un qualsiasi lettore che non
fosse a conoscenza della correzione autografa di Svevo. Se ciò spiega l’assenza della
congiunzione nella traduzione di Michel, non ne spiega, però, la presenza nella traduzione di
Crémieux: si può ipotizzare che Svevo avesse effettuato lo stesso intervento anche sulla copia
utilizzata dal critico, presumibilmente quella inviatagli dall’autore, come è noto, sulla base di una
segnalazione di Joyce contenuta in una lettera del 30 gennaio 1924 (Svevo 1978, 29). Un’altra
ipotesi, invece, prova a ruotare la prospettiva, prendendo in considerazione la possibilità che non
ci sia un precoce ripensamento e intervento correttorio di Svevo – a meno di un anno dall’uscita
del romanzo – a monte della traduzione di Crémieux, ma che l’autore, sempre incerto sulle proprie
competenze linguistiche e stilistiche, abbia percepito la versione francese come una correzione
migliorativa del proprio italiano, tanto da accoglierla nella sua revisione del testo stesso effettuata
successivamente, in vista dell’edizione francese del volume.
A favore, in una qualche misura, di questa ipotesi è il fatto che un’altra delle correzioni
apportate da Svevo in queste prime pagine del romanzo sulla copia inviata a Michel non risulta
recepita nella traduzione di Crémieux. Si tratta di un refuso senz’altro evidente (e come tale
corretto in tutte le edizioni del romanzo, a prescindere dalla correzione d’autore, ignorata fino a
questo momento): «Ricordo la parola sana e non la faccina certamente senza anch'essa che a me
doveva essere rivolta in quel momento» (Svevo 1923, 12). Nella copia inviata a Michel, Svevo ha
corretto «senza» soprascrivendo «sana». Tale correzione non doveva essere presente nel testo in
possesso di Crémieux, la cui traduzione glissa sul refuso che, evidentemente, gli impediva di
comprendere appieno il senso del testo: «Je me rappelle cette sage parole, mais j’ai oublié la
bouche qui la proférait et le visage qui certainement était tourné vers moi» (Svevo 1926, 33). Il
punto è che il Michel (probabilmente Henri) responsabile della copiatura, messa a punto e
correzione del lavoro di Crémieux, non sembra essersi accorto di avere, nella copia inviatagli
dall’autore, gli elementi per correggere la traduzione approssimativa del primo traduttore e la
riproduce identica. Che la revisione operata sul lavoro di Crémieux non fosse particolarmente
accurata è testimoniato dal ricorrere di alcuni errori, come i «quadri» («Molte date che trovo
notate su libri o quadri preferiti, spiccano per la loro deformità», Svevo 1923, 16) trasformati in
«cahiers» in entrambe le traduzioni, anche in questo passaggio identiche (Svevo 1926, 37; Svevo
1927, 20)5.
Le poche varianti introdotte non mancano, però, di modificare, sia pure in misura minima,
il tono del discorso, con scelte lessicali più vicine alla modesta colloquialità sveviana, come si può
vedere confrontando le due diverse versioni dell’incipit, già citate.
5
Né questo errore risulta corretto da Mario Fusco nella sua revisione della traduzione di Michel (Svevo 1986, 27).
Rimandando a una prossima monografia critica un analisi comparatistica sistematica delle
due traduzioni e tornando a raccontare la storia dell’edizione francese del romanzo attraverso il
carteggio tra Svevo e Michel, nella citata lettera di accompagnamento al capitolo quarto francese,
Paul annuncia a Svevo di avere intrapreso la traduzione dei due capitoli successivi, Storia del mio
matrimonio e La moglie e l’amante:
Paris, 33 Bd Murat, 22 octobre 1926
Cher Monsieur,
Excusez-moi de vous avoir laissé si longtemps sans nouvelles. Je viens de passer
quelques temps à la campagne où j’ai pris un peu de repos. J’ai continué ma traduction de
la Coscienza di Zeno et je vous envoie, ci-joint, le chapitre La mort de mon père. M.
Crémieux insiste beaucoup pour que le livre soit réduit d’une centaine de pages. Ce sera
un peu délicat, mais j’espère pouvoir y arriver sans trop de dommage. J’ai fait très peu de
coupures dans le chapitre que je vous envoie – Seulement quelques phrases par ci par là.
Comme je n’ai qu’une seule copie de ma traduction, je vous serais très reconnaissant de
me la renvoyer dès que vous l’aurez lue, sous pli recommandé. J’ai également commencé
à traduire les deux chapitres suivants: Storia del mio matrimonio et La moglie e l’amante.
Je ne pense pas pouvoir finir mon travail pour le 1er janvier, comme M. Crémieux me le
demande, mais je serai bien avancé à cette date et j’éspère ne pas être en retard de plus de
six semaines, au plus deux mois [Svevo 2008, p. LXV].
Che siano in lavorazione entrambi i capitoli è l’esatta verità: come si potrà dedurre da
alcune lettere successive, la parte di testo tradotta da Michel padre sarà proprio il capitolo La
moglie e l’amante. Ma non anticipiamo. Se nel post-scriptum di una lettera in data 2 novembre
Henri rassicura Paul sui progressi e i tempi della traduzione («La traduction avance. Sauf
interruption forcée, j’aurai fini en décembre»), nella lettera successiva, dell’11 novembre, dà per
scontato il ricevimento, da parte di Paul, di un «cahier demandé de Svevo», che una prima ipotesi
potrebbe identificare col capitolo La mort de mon père mandato a Trieste una ventina di giorni
prima:
Tu a bien reçu, je suppose, le cahier demandé de Svevo. Moi aussi, j’avance dans cette
traduction (véritablement ennuyeuse). Exactement j’ai traduit 80 pages. Il m’en reste à
traduire 57. Je compte avoir fini vers le 10 décembre.
A parte lo scarso apprezzamento per il romanzo sveviano manifestato qui e altrove da
Michel padre6, questa lettera ci permette di stabilire il numero delle pagine che Henri si è
impegnato a tradurre: 137. Che si tratti del capitolo sesto (La moglie e l’amante) lo si può ricavare
dalla lettera successiva, del 3 dicembre, nella quale Michel padre, per quantificare l’entità dei tagli
effettuati, fa riferimento ai numeri precisi delle pagine nell’edizione Cappelli:
De la page 193 à la page 301 incl[ue] de Svevo j’ai 527 lignes supprimées, comptées
sévèrement, soit 15 pages. Il faut joindre les suppressions des 9 premières pages du
chapitre, lesquelles tu as entre les mains et celles qu’on pourra faire dans les 19 dernières.
Il sesto capitolo, nell’edizione Cappelli, comincia, infatti, a pagina 184, dunque
esattamente nove pagine prima della pagina 191 (le nove pagine che sono già in mano a Paul) a
partire dalla quale Henri conta il numero delle righe tagliate e finisce a pagina 323, dunque non
proprio diciannove pagine, ma ventidue dopo quella pagina 301 alla quale arriva il computo dei
tagli già effettuati: le tre pagine di differenza potrebbero essere considerate una piccola svista,
comprensibile se si pensa che riguardano l’unica sezione di testo non ancora lavorata dal
6
«Je comprends que Paul trouve le Svevo long! C’est un texte vraiment fastidieux», scrive Henri in una lettera del
14 gennaio 1927, quando ormai ha finito di tradurre il capitolo affidatogli.
traduttore. Si deve poi anche tener presente che, per poter lavorare sullo stesso testo, padre e figlio
potrebbero aver dovuto spaginarlo: può darsi, dunque, che, nella divisione materiale del volume, le
ultime pagine del capitolo sesto (l’ultima conteneva anche l’inizio del capitolo successivo) siano
rimaste a Paul.
Quel cenno alle nove pagine già in possesso del figlio potrebbe poi suggerire un’altra
ipotesi interpretativa per l’allusione al «cahier demandé de Svevo» nella lettera dell’11 novembre,
ipotesi che mi sembra inserirsi meglio nella successione cronologica qui ricostruita: il «cahier»
non sarebbe il capitolo inviato a Trieste ormai già una ventina di giorni prima, ma, appunto, le
prime nove pagine della traduzione di Henri, richieste da Paul, forse, per assicurarsi, non tanto
della qualità, quanto dell’omogeneità del lavoro paterno rispetto al proprio.
Intanto Svevo, che aveva subito espresso in termini entusiastici il suo apprezzamento per il
primo capitolo tradotto inviatogli, La mort de mon père, nonostante la preoccupazione per i tagli
richiesti e una richiesta minima di modifica7, era tornato a scrivere al suo traduttore francese in
data 25 novembre, ribadendo la sua «enorme» inquietudine per «quel desiderio di abbreviazioni
comunicatoLe dal Crémieux» e chiedendogli di inviargli «anche gli altri capitoli a mano a mano
che li finisce». In entrambe le precedenti edizioni (Svevo 1966 e Svevo 2008), la lettera porta
erroneamente la data del 5 novembre, mentre il timbro postale permette di correggere questa data
in quella del 25 novembre, come ho potuto verificare seguendo, anche in questo caso, una
indicazione di Olivier Michel. L’errore è dovuto al fatto che quando, nel 1963, Paul invia a Trieste
le fotocopie delle lettere di Svevo (ma non gli originali, che pure Letizia si era offerta di
comprare), non riproduce anche le buste, limitandosi a segnare a matita la data di spedizione nei
casi in cui essa non sia presente nel testo. Nel caso di questa lettera, la data riportata a matita, per
una banale svista, è quella del 5 novembre, come si può tuttora vedere nella copia conservata
presso il Museo Sveviano (F.S. Corr. A 74.11-1).
Paul risponde in data 10 dicembre, scusandosi per il ritardo, spedendo la traduzione del
capitolo quinto e annunciando come pronta quella del capitolo sesto, con parole che potrebbero
essere state pensate per giustificare la diversa grafia (o il diverso aspetto tipografico, nel caso si
trattasse di dattiloscritti) dei due testi:
Cher Monsieur,
Enfin je trouve le temps de vous écrire !
Vous devez penser de moi que je suis impardonnable à vous laisser dans l’inquiétude.
Mais rassurez-vous. Quand j’ai reçu votre lettre j’avais à peu près terminé les deux
chapitres Storia del mio matrimonio et La moglie e l’amante mais il me fallait les
recopier. J’ai recopié le premier et je fais recopier le second. Je vous envoie l’Histoire du
mariage […] [Svevo 2008, LXVII].
In realtà la traduzione del capitolo sesto non doveva essere stata ancora completata, se una
settimana dopo, il 17 dicembre, Henri scrive al figlio di essere stato molto occupato per altri
impegni, a casa e in biblioteca, e di dover ancora tradurre cinque pagine8.
7
Lettera del 25 ottobre 1926 (il capitolo gli era stato inviato solo tre giorni prima): « Egregio Signore, / Ho ricevuto
la cara Sua del 22 con la traduzione di un capitolo del mio romanzo. Ella non ha bisogno delle mie lodi, ma debbo dirle
che sono incantato del Suo lavoro. Qualche lieve abbreviazione che io non amo – pare – a torto, come dice il mio amico
Crémieux dal quale tanto volentieri mi lascio dirigere. In quanto alla possibilità di tagliare cento pagine ci ho i miei
dubbi. Ho la fiducia che se Ella si decidesse ad amputazioni vorrebbe dire che sono possibili senza grande danno e
dormo i miei sonni tranquilli. / Una sola osservazione. A pag. 65 del romanzo si legge: “…adagiandovisi prima sul
fianco sinistro eppoi sul destro su cui sapeva resistere per qualche minuto”. / Lei tradusse sempre spinto dal desiderio di
abbreviare (pag. 36): “où il s’étendait tantôt sur le côté droit, tantôt sur le gauche”. / Devo dire che forse neppure
l’italiano è abbastanza chiaro. Un ammalato di quel genere non sa riposare per più di un attimo sul fianco sinistro
mentre più facilmente, per breve tempo, sopporta l’oppressione sul destro. / Vorrei fosse rilevata la differenza. Già Ella
saprà farlo con una parola sola» (Svevo 2008, LXVI).
8
«J’ai retrouvé sans peine la feuille 18 de Svevo. Je te l’enverrai en même temps que la fin de la traduction. Je n’y ai
guère travaillé ces jours derniers car j’ai été très occupé à la bibl[iothèque] et à la maison. J’ai encore cinq pages à
traduire».
Svevo, comunque, non potrà vedere né quel capitolo né gli ultimi due prima della
pubblicazione, benché, nella lettera successiva, in data 21 dicembre, si dichiari ansioso di
riceverli, dopo aver letto attentamente l’Histoire de mon mariage, apprezzando, come sempre, il
valore della traduzione di Paul, ma lasciando trapelare il disappunto per i tagli imposti:
La Sua traduzione mi dà quasi sempre una grande soddisfazione. Ho cercato di seguire
il consiglio del signor Crémieux9 ma certe abbreviazioni mi dolsero per quanto debba
riconoscere che sono fatte da un artista. Vorrei Lei restituisse quelle poche righe che
stabiliscono l’aritmia del violino di Zeno (Sua pag. 70). Valery Larbaud parlandomene
sorrise con compiacenza ed era un sorriso ch’io amai come se fosse stato un applauso.
Non vorrei più rinunziarvi.
Aggiungo alle Sue una mia cartella in cui propongo dei lievi mutamenti. Sia tanto
buono di vedere se può usarne. Se così non fosse, non si secchi neppure di scrivermene e
faccia come Lei meglio ritiene [Svevo 2008, LXVIII-LXIX].
Il prezioso archivio della famiglia Michel ci ha restituito anche questa cartella,
permettendoci di stabilire che Paul ha scrupolosamente accolto tutti gli interventi suggeriti
dall’autore nella loro sostanza, in alcuni casi con piccoli aggiustamenti formali funzionali alla
migliore resa in francese del testo.
La traduzione che Svevo propone a p. 2 del testo inviatogli da Michel («à cause de ma
longue inertie que je crois très instructive» per l’italiano «per la mia lunga inerzia, ch’io credo
molto istruttiva» [Svevo 1923, 73]) diventa infatti nel testo a stampa (Svevo 1927, 70): «J’étais
assez cultivé, après deux cycles d’études universitaires et à cause de ma longue inertie: je crois
l’inertie très instructive», con l’eliminazione di un pronome relativo che avrebbe potuto essere
inteso come riferito anche agli studi universitari e la conseguente esplicitazione del paradosso,
enfatizzata dalla ripetizione del termine chiave «inertie».
Dubbi sulla proponibilità della traduzione tentata a pagina 8, per rendere l’italiano «Pareva
fossero da consegnarsi in fascio» (Svevo 1923, 81), riferito alle ragazze Malfenti legate dal nome
con la stessa iniziale, sono espressi dallo stesso Svevo: «qui les faisait livrables (existe ce mot
dans ce sens? Je l’ai vu employé dans des lettres commerciales) toutes ensemble…». La soluzione
adottata da Paul coglie perfettamente lo spirito dell’espressione italiana e del suggerimento
sveviano: «comme une marchandise à livrer en stock» (Svevo 1927, 74).
La traduzione proposta da Svevo a p. 14 – «puis de nouveau (hélas!) le droit» – compare
identica alla corrispondente p. 79 del volume Gallimard, mentre la successiva, a pagina 22 del
manoscritto o dattiloscritto inviato a Trieste, viene modificata con la sostituzione, non del tutto
fedele, di un superlativo assoluto al comparativo dell’originale, che il francese di Svevo cercava
invece di mantenere:
… s’era fatto con me anche più affabile e intimo [Malfenti dopo aver introdotto Zeno
a casa] [Svevo 1923, 95]
… encore plus affable qu’auparavant [traduzione proposta da Svevo]
… se montrait à mon égard très affable [Svevo 1927, 84].
La nota successiva di Svevo si limita a spiegare il senso dell’espressione tradotta alla p. 49
del testo inviatogli da Michel («passare un tempo sulla pedana significa tirare di scherma»),
spiegazione perfettamente recepita nella traduzione di Michel («faire tous les jours une demi9
Cfr. la già citata missiva di Michel in data 10 dicembre: «Je vous envoie l’Histoire du mariage en vous
transmettant une recommandation (qui m’a été faite par M. Crémieux pour vous). M. Crémieux donc, vous demande de
lire cette traduction sans vous reporter à votre texte pour ne pas être trop tenté de restituer les lignes passées» (Svevo
2008, LXVII-LXVIII).
heure d’éscrime», [Svevo 1927, 101]), fedele alla lettera all’italiano «passare ogni giorno una
mezz’oretta sulla pedana» (Svevo 1923, 118).
Particolarmente interessante dal punto di vista filologico è l’appunto successivo, in quanto
consente di correggere un refuso dell’edizione Cappelli riproposto in tutte le edizioni successive
(compresa la mia): «Page 65. Pour moi les miracles existent ou n’existent pas. Il faut ou croire etc.
C’è un errore di stampa nel testo italiano. Dovrebbe dire o non esistono invece che e non
esistono». Anche in questo caso il traduttore francese registra scrupolosamente l’indicazione
sveviana («Pour moi les miracles existent ou n’existent pas», [Svevo 1927, 111]), come anche per
l’ultimo appunto, che specifica il senso – evidentemente ambiguo per i non esperti di musica –
dell’«eterno Kreutzer» studiato da Zeno (Svevo 1923, 137): «Page 71. Pas la sonate à Kreutzer
mais les études composés par Kreutzer». «Les éternels exercises de Kreutzer» sarà la soluzione
adottata da Michel (Svevo 1927, 115), che dunque ha tutto il diritto di assicurare a Svevo di aver
tenuto conto delle osservazioni fattegli su questo capitolo, quando, finalmente, tornerà a scrivergli,
il 4 marzo 1927, scusandosi per non avergli più inviato i capitoli successivi, che aveva dovuto
consegnare al Comitato di lettura della Nouvelle Revue Française, e dando per scontato che
l’autore avrebbe ormai potuto prendere visione del lavoro effettuato solo al momento delle bozze:
Cher Monsieur,
Il y a longtemps que j’aurais dû vous écrire. Au moment où je me disposais à vous
envoyer le chapitre La moglie e l’amante j’ai dû remettre mon manuscrit entre les mains
du Comité de lecture de la «n. r. f.». Je sais aujourd’hui, par M. Crémieux, que le
manuscrit est accepté et que la publication ne saurait tarder beaucoup.
J’ai tenu compte des observations que vous m’avez faites relativement au chapitre
Histoire de mon mariage. Quant au reste, vous reverrez les épreuves [Svevo 2008,
LXIX].
A poter leggere la traduzione di Michel prima ancora che venisse ultimata furono
certamente i coniugi Crémieux, come risulta da una lettera a Svevo del 2 febbraio 1926 di Marie
Anne Comnène, che definisce «remarquable» (sottolineato) il lavoro del traduttore e ne annuncia
la conclusione in un quindicina di giorni: «Nous la revoyons ce soir mon mari et moi nous
partageant joyeusement la page et nous émerveillant pour la 2e fois de ce que contient ce livre»
(Svevo 1978, 126).
Privato, invece, della possibilità di prendere visione, prima della consegna in tipografia,
della traduzione – pagata, peraltro, da lui e non dalla casa editrice – e amareggiato per i troppi
tagli, Svevo risponde a Michel solo il 13 marzo, con un tono garbatamente polemico, non,
ovviamente, nei confronti del traduttore, al quale ribadisce la sua stima e fiducia, ma dell’editore:
Pregiatissimo Signore,
Ho ricevuto la cara Sua del 4 e La ringrazio. Intanto so che quello ch’è tradotto è ben
tradotto. Debbo perciò esprimerle la mia riconoscenza. Sono però un po’ sconcertato
dalle soppressioni che si vollero. Mi pare stranissimo.
È evidente che non mi si invieranno le bozze perché io le corregga. Non sarei
certamente al caso di farlo. Chi le rivedrà? Forse in Francia c’è già nella Tipografia chi
sia tanto intelligente di poter farlo [Svevo 2008, LXX].
In effetti, Svevo leggerà la traduzione francese solo quando, finalmente, sarà pubblicata, ai
primi di ottobre del 1927, con un notevole ritardo rispetto ai tempi indicati in un primo momento
dall’imprevidente Crémieux, che, avendogli fatto annunciare dalla moglie, nella già citata lettera
del 2 febbraio, l’uscita del libro prima dell’estate, aveva esposto se stesso, la consorte e anche il
traduttore alle lettere, ansiose e ansiogene, dell’impaziente autore, man mano più inquieto sulle
sorti francesi del suo capolavoro, tanto da arrivare a dubitare della sua stessa pubblicazione da
parte del «redoutable M. Gallimard10 che mandò a quel paese me e il mio romanzo, visto che
neppur con un rigo prese mai l’impegno di pubblicarlo», come scrive in una lettera a Michel del 2
giugno (Svevo 1966, 847). Il giovane traduttore si affretta a rassicurarlo, con una lunga lettera,
tuttora inedita, in data 5 giugno (F.S., Corr. A, 74.21-1,2,3) e una seconda del 22 luglio (Svevo
1973, 138-9), in cui annuncia di aver ricevuto le prime bozze del libro, si scusa di non aver potuto
farle avere anche all’autore, a causa dei tempi strettissimi imposti per la riconsegna e gli
suggerisce la possibilità di richiederne direttamente una copia alla casa editrice. Sempre in questa
lettera, Michel declina ogni responsabilità sulla scelta del titolo per l’edizione francese, Zéno,
«imposé par l’éditeur au lieu de La conscience de Zénon qui a été trouvé trop abstrait» e lamenta
anche, ma attribuendovi minore importanza, il ripristino del nome in italiano del protagonista,
contro la traduzione Zénon da lui proposta. Nella risposta, in data 8 agosto, Svevo dichiara di
essere stato indeciso se scrivere all’editore «tanto per domandargli delle prove che per protestare
contro il titolo», ma di aver «finito col non farne niente» (Svevo 1966, 849), confermando un
atteggiamento quasi fatalistico di attesa nei confronti della prima traduzione di un suo lavoro,
reazione comprensibile alla consapevolezza di essere stato espropriato di ogni possibilità reale
d’intervento.
Fortunatamente, la qualità della traduzione lo risarcirà, almeno in parte, della violenza
subita: nella lettera a Paul Michel in data 7 ottobre 1927, successiva al ricevimento e alla lettura
dello Zéno francese, il dolore per i tagli imposti non attenua, neanche in questo caso,
l’ammirazione e la gratitudine per il lavoro svolto dal traduttore, testimoniata non solo a parole,
ma anche nei fatti, con la richiesta, in altre lettere, di tradurre, sempre a sue spese, testi come Una
burla riuscita e Senilità:
Carissimo Signor Michel,
Ero un po’ indisposto e la traduzione della Coscienza non poteva arrivarmi meglio a
proposito. Passai molte ore deliziose che debbo a Lei. Rilessi tutto il romanzo, anche
quella parte che già conoscevo. Nella vostra cara, bella, fluida, pronta lingua, quand’è
ricreata da mano maestra, tutto diventa più fluido, più lieve, più trasparente. Lessi anche
l’ultima parte (la più amputata) e non posso negare che talvolta mi sentii… froissé come
se taluno mi tagliasse brutalmente la parola in bocca. Ero però preparato a gravi cose ed
ebbi la soddisfazione di scoprire in Lei anche un chirurgo abile che sa sfiorare col suo
coltello delle parti vitali senza lederle. Pur un po’ dolorante, Le mando i miei
ringraziamenti. La presente anzi non ha altro scopo: Stringerle riconoscente la mano
maestra [Svevo 1966, 853-4]11.
Il dolore per i tagli subiti continuerà, comunque, a farsi sentire, come dimostra la seguente
lettera a Valerio Jahier, dove egli non manca, però, di evocarne, con un sorriso peraltro amaro, nel
lessico freudiano tipico di questo carteggio, la probabile rimozione:
Ma io desidero vivamente ch’Ella conosca anche l’originale del Zeno. Non soltanto
perché è la cosa che – checché ne dicano i malevoli – scrissi meglio, ma anche perché per
volere del Gallimard la traduzione fu falcidiata di non meno di 100 pagine. Come se in
francese non esistessero dei romanzi più lunghi del mio. Fui un po’ loquace, è vero, ma è
doloroso, specialmente per un loquace, di sentirsi tagliare la parola. Una ferita che –
secondo il Freud – è esposta alla soppressione patologica [Svevo 1978, 239].
2.
I tagli di Svevo
La scoperta della copia preparata da Svevo per la traduzione francese ha offerto, come è
ormai evidente, del materiale di lavoro nuovo e prezioso per questa e altre ricerche. Il volume si
10
Svevo sta citando un’espressione di Paul-Henri Michel, nella già citata lettera del 4 marzo 1927, in cui gli
annuncia la quantità dei tagli imposti dalla casa editrice.
11
Rispetto a Svevo 1966, il controllo sull’originale ha permesso di eliminare una virgola, assente nel manoscritto,
dopo «froissé».
presenta attualmente «relié en peau de lapin pendant l’occupation 1940-44 par Fortin», come ha
annotato a matita l’attento bibliotecario Paul Michel nell’ultimo foglio di guardia; un’aggiunta,
sempre a matita, dell’altrettanto attento bibliotecario e bibliofilo Olivier, ci informa che Fortin era
il «legatore della Bibliothèque Mazarine», sede di lavoro in quegli anni del padre Paul, come si è
detto. Sulla copertina, è stato aggiunto in basso, a matita, l’anno di pubblicazione del romanzo:
1923.
Unita dalla rilegatura alle prime pagine di guardia del volume è l’autografo della lettera di
Svevo a Michel del 25 ottobre 1926, quella in cui Svevo, dopo aver letto la prova di traduzione
inviatagli dal giovane italianista francese, gli manifesta per la prima volta un apprezzamento per il
lavoro svolto confermato successivamente, come si è visto, nel corso di tutta la corrispondenza12.
Un’annotazione in calce all’ultima pagina del romanzo, la 519, segna i due «explicit de la
traduction française: 1) 22 mars 1927; 2) 7 juin 1953», riferiti, rispettivamente alla traduzione
della quale stiamo ricostruendo la storia e alla traduzione integrale che, un quarto di secolo più
tardi, l’editore Gallimard si decise finalmente a commissionare allo stesso Michel. La prima parte
dell’annotazione è a matita, mentre le due date sono state scritte (la prima, forse, ricalcata) con
dell’inchiostro blu; elemento questo utile, in quanto tale inchiostro, risalendo, evidentemente,
all’epoca della seconda traduzione, permette di datare agli anni Cinquanta alcuni dei segni che
indicano i tagli effettuati da Michel sul testo.
Essi, infatti, sono segnalati, per nostra fortuna, con modalità diverse: perfettamente
riconoscibili sono quelli indicati da Svevo, con un marcato inchiostro nero che circoscrive tutta la
zona del testo da eliminare e ribadisce la cancellatura con lunghe righe trasversali e, in un caso,
incrociate.
A volte, quando il taglio interessa porzioni brevi di testo, Svevo sceglie invece di sbarrare
le righe interessate: resta da stabilire se questa diversa modalità di segnalazione sia casuale, o
intenda indicare una soppressione pensata non solo in vista dell’abbreviazione, imposta, per
l’edizione francese, ma anche in vista di un miglioramento, autonomamente deciso, del testo
italiano, con l’eliminazione di alcune ridondanze o di dettagli apparsi irrilevanti allo stesso autore.
In tal caso, ci troveremmo di fronte a vere e proprie varianti d’autore che, insieme ad altri
interventi sul testo dello stesso Svevo (correzioni di meri refusi tipografici, ma anche cambiamenti
lessicali), rendono questo nuovo testimone della Coscienza di Zeno particolarmente interessante
dal punto di vista filologico, tanto da meritare una edizione critica, alla quale sto già lavorando.
A legittimare tale dubbio è il fatto che solo in pochi casi (dieci, ma considerando anche sei
di poche parole) i tagli sono segnalati con delle sbarre orizzontali sul testo, mentre tutti gli altri (di
cui una decina al di sotto delle 3 righe) sono circoscritti e sbarrati trasversalmente, con una
modalità di cancellazione che, salvandone la leggibilità, potrebbe indicare il carattere provvisorio
e occasionale – per non dire coatto – della soppressione. Bisogna comunque osservare che tutti i
tagli inferiori al rigo sono indicati dalla sbarratura orizzontale soprascritta al testo: sarà dunque
difficile scartare in maniera definitiva l’ipotesi che si tratti, semplicemente, dell’opzione più
sbrigativa per segnare i tagli più brevi, anche se proprio il fatto che si tratti di eliminazioni
sporadiche di una o due parole li rende poco efficaci ai fini di un accorciamento del testo.
Volendo, comunque, proporre un esempio di soppressione che potrebbe essere considerata
una variante, scelgo un caso in cui il sospetto che il taglio sia in realtà una correzione tesa ad
eliminare una ridondanza appare ben motivato: il «mi parve abbattutissima» riferito a Carla
(Svevo 1923, 226) era in realtà anticipato, a poche righe di distanza, da una frase quasi identica
(«Essa ringraziò, ma pareva tuttavia abbattuta»), che poteva in effetti fare apparire superflua una
ripetizione ravvicinata e non giustificata, mi sembra, da una intenzione enfatizzante.
Motivata potrebbe apparire anche l’intenzione correttoria nel cassare l’avverbio «mai» a p.
264 («Perciò penso che anche quella notte essa abbia meditato il suicidio, ma io non le lasciai mai il
12
Probabilmente è questa la lettera, ritrovata in un secondo momento, che Michel si preoccupa di inviare a Letizia
Svevo, affinché possa essere pubblicata insieme alle altre nell’Epistolario e per la quale la figlia di Svevo lo ringrazia
con particolare calore in una lettera datata 11 janvier 1964.
tempo di dirmelo»), che avrebbe potuto suonare almeno in parte contraddittorio rispetto all’«anche»
che lo precede, come dimostrano le parole di Carla a Zeno nella pagina immediatamente
precedente: «– Il giorno intero fui perseguitata dal desiderio di uccidermi per essermi abbandonata
ad un uomo che subito dopo mi trattò così male!» (Svevo 1923, 262-3).
Anche per il «subito» cancellato a p. 66 si può ipotizzare un ripensamento, dovuto
all’incongruenza di quell’indicatore temporale nel contesto: «Si levò dal letto e credette di essersi
destato dopo una notte di sonno in un albergo di Vienna. Deve aver sognato di Vienna per il
desiderio della frescura nella bocca arsa ricordando l'acqua buona e ghiacciata che v'è in quella
città. Parlò subito dell'acqua buona che l'aspettava alla prossima fontana». Un altro «subito» è
cassato a p. 317, tanto da far pensare che l’ansioso Svevo potesse avvertire la frequenza di questo
indicatore temporale nella sua prosa come una sorta di tic linguistico. Ovviamente, il fatto che si
tratti solo di due correzioni rende tale ipotesi alquanto remota.
Inutilmente descrittivo, poi, potrebbe essergli apparso il sintagma – anche questo sbarrato
– «da destra a sinistra», che indugia a rappresentare il rigirarsi nel letto di Zeno a p. 153 («Che
cosa avrei poi fatto in quella lunga notte? Mi vedevo ribaltarmi da destra a sinistra nel mio letto o
correre per le vie o le bische in cerca di svago»).
Per tornare ai tagli sicuramente funzionali all’accorciamento richiesto dall’editore
francese, essi sono localizzati in una quarantina di pagine dell’edizione Cappelli e sono, come si
diceva, di misura diversa: il più lungo arriva a eliminare due pagine e mezzo, i più brevi semplici
sintagmi o, addirittura, singole parole. Cercando di quantificare l’entità complessiva della
riduzione del testo indicata da Svevo, adottando come unità di misura le 34 righe per pagine
dell’edizione Cappelli, il testo risulta abbreviato di dieci pagine e alcune righe (5, per l’esattezza,
ammesso che un calcolo del genere all’esattezza possa ambire). Quantità significativamente vicina
a quella indicata dallo stesso Svevo per un’altra copia della Coscienza inviata in Francia in vista
della traduzione, alcuni mesi prima di quella indirizzata a Michel. Destinatario, stavolta, era lo
stesso Crémieux, come ci dice anche una lettera a Giuseppe Prezzolini dell’8 marzo 1926, dove si
accenna ad «alcuni tagli (purtroppo non abbondanti)», ma effettuati «senza rimorso»13. Se si
confronta questo «purtroppo», che fa pensare alla possibilità, auspicata dallo stesso autore, di
ulteriori tagli, con la speranza, espressa nella lettera a Michel citata in precedenza, che «bastino» i
tagli già effettuati, si sarebbe indotti a credere che i tagli segnati sulla copia inviata direttamente al
traduttore siano più corposi di quelli fatti «senza rimorso» alcuni mesi prima nella copia inviata a
Crémieux.
In realtà, come si diceva, è lecito pensare che i tagli furono pressoché identici: pur non
avendo potuto trovare la copia inviata al critico, da una lettera di Svevo ad Marie Anne Comnène,
del 16 marzo 1926, apprendiamo, infatti, che i tagli effettuati sulla copia destinata ai coniugi
Crémieux abbreviavano il libro «di 10 pagine, 2 righe e anche 1/2 parola» (Svevo 1978, 118). A
parte la precisione ironicamente millesimale del computo sveviano, non siamo molto lontani dal
numero di pagine e, addirittura, di righe tagliato nella copia spedita alcuni mesi dopo a Michel:
una coincidenza quantitativa che sembrerebbe suggerire l’identità delle parti soppresse in
entrambe le copie. Si può così ipotizzare che Svevo, al momento della prima spedizione, abbia
segnato i tagli su due copie del libro, forse per essere sicuro di poter controllare che i tagli
effettuati nell’edizione francese coincidessero con i propri, e che, in un secondo momento, abbia
spedito a Paul Michel una copia identica a quella inviata a Crémieux.
I tagli di Svevo (trentacinque in tutto, senza contare quelli già citati che riguardano una o
due parole) sono concentrati esclusivamente nei capitoli quinto, sesto e settimo del romanzo: dieci
13
«Villa Veneziani, Trieste 10, 8 Marzo 1926. / Pregiatissimo Signor Prezzolini, / Sono arrivato da pochi giorni a
Trieste ove trovai molto da fare. Anche in letteratura! Preparai un volume della Coscienza per la traduzione francese e lo
mandai, come eravamo rimasti d’accordo, al Crémieux. Feci alcuni tagli (purtroppo non abbondanti) ma senza rimorso»
(Svevo 2008, LXI).
in Storia del mio matrimonio, dieci in La moglie e l’amante e quindici in Storia di un’associazione
commerciale. Poiché, però, sono di lunghezza diversa, il capitolo che risulta maggiormente
abbreviato è Storia del mio matrimonio, dove il numero delle righe tagliate è praticamente doppio
rispetto a quelle del capitolo successivo, La moglie e l’amante e maggiore, anche se di poco, di
quelle del capitolo settimo.
Ma quali sono le pagine del suo romanzo che Svevo sacrifica «senza rimorso» (se si vuole
prestare fede alla lettera a Prezzolini)? Pur senza pensare di poter proporre in questa sede
un’analisi particolareggiata dei singoli tagli, provo a presentare gli aspetti più significativi delle
scelte operate dall’autore.
Il primo taglio (Svevo 1923, 76-79) è anche il più lungo e investe due aneddoti di Zeno sui
rapporti d’affari col suocero: nel primo Zeno viene ingannato da Giovanni Malfenti, che riesce a
vendergli merce destinata ad essere deprezzata in seguito a un decreto, mentre nel secondo il
genero riesce a trarre degli utili da un affare in cui il suocero invece subisce delle perdite, ma solo
perché, a causa della sua distrazione, si dimentica di seguire un suo consiglio e di vendere delle
azioni che, inaspettatamente, vedranno crescere la loro quotazione. Paradossalmente, in un primo
momento, il taglio sembrò troppo lungo al traduttore che, ancora ottimista sulla possibilità di non
interpretare alla lettera la richiesta dell’editore di abbreviare il testo, scrive all’autore, il 29 agosto
1926, di aver deciso di ripristinare almeno una parte del testo: «Quanto ai tagli non vedo ancora
dove si potrebbero fare. Ho pensato invece a ristabilire qualche pagina da Lei cancellata (per
esempio questa storia del decreto, a pagina 76 sgg.)» (Svevo 1973, 117-8)14.
In realtà, nell’edizione francese, di quelle pagine verrà recuperata solo la spiegazione del
rapporto tra il decreto e l’affare in questione e una frase che spiega sinteticamente l’approccio
teorico e disinteressato di Zeno alle notizie dei giornali, lasciando nella penna la contrapposizione
a quello pragmatico e utilitaristico incarnato da Giovanni Malfenti:
Avrei dovuto anche subito intendere quel decreto e vederne le conseguenze ciò che
non era tanto facile perché con esso si riduceva il tasso di un dazio per cui la merce di cui
si trattava veniva deprezzata.
Il giorno dopo mio suocero smentì le sue confessioni. L'affare in bocca sua
riacquistava la fisonomia che aveva avuta prima di quella cena. «Il vino inventa,» diceva
egli serenamente e restava acquisito che il decreto in questione era stato pubblicato due
giorni dopo la conclusione di quell'affare. Mai egli emise la supposizione che se avessi
visto quel decreto avrei potuto fraintenderlo. Io ne fui lusingato, ma non era per
gentilezza, ch'egli mi risparmiasse, ma perché pensava che tutti leggendo i giornali
ricordino i proprii interessi. Invece io, quando leggo un giornale, mi sento trasformato in
opinione pubblica e vedendo la riduzione di un dazio ricordo Cobden e il liberismo. È un
pensiero tanto importante che non resta altro posto per ricordare la mia merce.
D’ailleurs, en admettant que j’eusse lu le décret, en aurais-je saisi les conséquences
pratiques? Cette reduction d’une taxe d’octroi m’aurait fait penser à Cobden et au libre
échange, voilà tout [Svevo 1927, 73].
Ci sono anche altri due tagli, relativamente lunghi, di microsequenze narrative relative a
vicende d’affari, ma entrambi riguardano Guido, che ha difficoltà persino a depositare in banca il
capitale (Svevo 1923, 330) o a rendere produttivo l’attivismo indotto dall’innamoramento per
14
Il controllo sull’originale ha permesso di effettuare alcune correzioni segnalate dal corsivo, ripristinando una
virgola dopo decreto e sgg. invece di seg.). Che il traduttore non effettuasse un taglio da lui suggerito e poi fosse
lasciato libero di sopprimere altre parti del testo dovette apparire quasi una provocazione all’autore italiano, quando gli
fu chiara l’entità della riduzione imposta. Si legga, a questo proposito, un passo di una lettera a Montale del 17
dicembre 1926: «Anche i miei amici francesi mi danno dispiaceri. Pare che Gallimard esiga che La Coscienza venga
abbreviata di 70 pagine. Io proposi di saltare un episodio e non accettarono. Ecco che il traduttore è autorizzato di
tagliare di qua e di là. Non parli di questo con nessuno. Il traduttore è veramente un artista, ma veramente io non vedo la
necessità della sua collaborazione. E ne sono amareggiato» (Svevo 1978, 198).
Carmen (Svevo 1923, 340-1): la caratterizzazione del personaggio, già ampiamente sviluppata nel
corso del romanzo, non ne risente.
Diverso è il caso dei tagli che colpiscono personaggi minori: se la soppressione di una
intera microsequenza narrativa fa addirittura scomparire la protagonista dell’unica relazione preconiugale di Zeno ricordata nel libro (Svevo 1923, 80-1), due altre pur circoscritte soppressioni a
pagina 98 hanno l’effetto di smorzare in maniera sensibile la spavalderia giovanile che caratterizza
il personaggio di Alberta (e il fatto che la seconda sia segnata da una cancellatura orizzontale
potrebbe far pensare a una intenzione dell’autore di attenuare in maniera definitiva la vivacità del
personaggio):
Augusta, con la sua indole dolce, facilmente si commoveva e Alberta stava a sentire le
mie descrizioni di scapigliatura studentesca con le guancie arrossate dal desiderio di poter
in avvenire passare anch'essa per avventure simili.
Ad Alberta quella parte in cui non credette fu tuttavia gradevole perché vi scorse degli
ottimi suggerimenti.
Che poi il primo taglio investa anche la «dolcezza» di Augusta rappresenta una perdita
meno significativa, considerato lo sviluppo descrittivo regalato alla futura signora Cosini e alla sua
dolcezza nel corso di tutto il romanzo.
Sacrificano, invece, anche se solo in parte, uno dei tratti più amabili della caratterizzazione
di Carla i due tagli alle pagine 28015 e 281, che riducono l’indugio sulle doti interpretative rivelate
nel cantare la canzonetta triestina e sulla sua stessa consapevolezza artistica del loro valore. Da
notare che il secondo taglio, quello che elide l’intuizione di Carla sulla propria superiorità in
questo genere di performance («Sapeva che a me quella canzonetta sarebbe piaciuta di più del
canto che le insegnava il suo maestro»), è segnata con la sbarratura orizzontale soprascritta, e
potrebbe dunque – il condizionale, ripeto, è assolutamente d’obbligo – essere considerata una
variante d’autore.
Un altro taglio di poche righe ha l’effetto di modificare in qualche misura il profilo di un
altro personaggio come Luciano, eliminando una scena che lo vede mentire per coprire Carmen (e,
dunque, indirettamente, Guido): «Carmen per convincermi mi fece confermare anche da Luciano
la pesca delle due orate ed io da quella volta pensai che Luciano per ingraziarsi Guido sia stato
capace di qualunque azione» (Svevo 1923, 364). Considerato il ruolo dubbio di questo
personaggio, uomo di fiducia di casa Malfenti e dipendente di Guido, il taglio ha l’effetto di
eliminare uno sbilanciamento esplicito del personaggio a vantaggio del suo datore di lavoro,
ribadendone l’indecisa ambiguità.
Anche il taglio più consistente che investe direttamente Ada non è senza conseguenze sulla
caratterizzazione del personaggio: si tratta del paragrafo che accenna a un corteggiamento subito
dalla donna durante la villeggiatura sul lago e alla percezione della propria bellezza da parte della
donna, ma anche al possibile, diverso modo di apprezzarla da parte di chi non la aveva conosciuta
prima della malattia:
Un giorno feci una scoperta che mi sorprese assai. Ada si credeva ancora bella!
Lontano, sul lago, le avevano fatta la corte ed era evidente ch'essa gioiva dei suoi
successi. Probabilmente li esagerava perché mi pareva fosse un eccesso il pretendere di
aver dovuto lasciare quella villeggiatura per sottrarsi alle persecuzioni di un innamorato.
Ammetto che qualche cosa di vero ci possa essere stato, perché probabilmente ella poteva
apparire meno brutta a chi prima non l'aveva conosciuta. Ma già, non tanto, con quegli
15
« Innegabile il talento! La strana canzonetta triestina finisce con una strofe in cui la stessa giovinetta proclama di
essere vecchia e malandata e che oramai non ha più bisogno di altra libertà che di morire. Carla continuava a profondere
malizia e lietezza nel verso povero. Era tuttavia la giovinezza che si fingeva vecchia per proclamare meglio da quel
nuovo punto di vista il suo diritto».
occhi e quel colorito e quella forma di faccia! A noi essa appariva più brutta perché,
ricordando com'era stata, scorgevamo più evidenti le devastazioni compiute dalla malattia
[Svevo 1923, 428-9].
Proprio questo paragrafo ha potuto essere considerato, in un commento al romanzo (Svevo
1994), come un indizio importante a favore dell’ipotesi di un adulterio di Ada: appare dunque
evidente come la sua eliminazione tolga al profilo del personaggio un’espressione vagamente
enigmatica, quale che sia il modo in cui il lettore tenti di decifrarla (personalmente, non trovo
convincente l’ipotesi dell’adulterio).
Senza grandi conseguenze appare invece la soppressione successiva, molto più circoscritta,
che si limita a eliminare un cenno alla gelosia, già ripetutamente segnalata, di Ada e alla sua
propensione a elidere il ricordo di un passato in comune con Zeno: «Fra di noi non c'era più il
nostro passato. C'era però la sua gelosia. Quella era viva come nell'ultimo nostro incontro» (Svevo
1923, 429).
Sacrificata, almeno in parte, dai due tagli alle pagine 426-7 è la figura del Nilini, la quale,
anticipo, sarà vittima di un ridimensionamento ancora più marcato per le soppressioni effettuate da
Paul Michel, che, forse, ha interpretato la soppressione da parte dell’autore di una intera pagina
dedicata a questo personaggio (la seconda più consistente tra quelle operate da Svevo) come una
utile direttiva per il difficile compito assegnatogli di accorciare il romanzo. Colgo l’occasione per
anticipare anche un’altra peculiarità dei tagli di Michel, che molto spesso investono parti di testo
limitrofe a quelle già tagliate da Svevo, cercando forse, anche in questi casi, di appoggiare le
proprie scelte sull’autorità autoriale – mi si perdoni il gioco di parole.
Tornando ai tagli di Svevo, non stupisce che, per ragioni di proporzioni, un numero
consistente di essi investa direttamente l’indiscusso protagonista del libro, Zeno Cosini e, in
particolare il complicato lavorio interiore, le sinuose volute della sua psicologia, come l’indugio
sulla trasfigurazione fantastica di Ada durante l’innamoramento (Svevo 1923, 95-6, ma anche 99),
la cui eliminazione ha l’effetto di attenuare una certa cerebralità nella presentazione di
quell’evento; ma anche dettagli del suo pensare (Svevo 1923, 137 [prima frase], 373, 43816), a
volte concretizzati in invenzioni paradossali, come quella dell’ordigno che allontana dai genitori i
bambini urlanti (355) a volte rappresentati come dibattiti interiori, con un io sdoppiato (230, 317,
398) o con altri personaggi, convocati al foro della sua (discutibile) coscienza, come la signora
Malfenti (121, 234) o il fantasma di un Copler appena defunto e colpevolmente dimenticato (2767).
Tagli più brevi, invece, sopprimono definizioni nette (forse troppo nette?) di alcuni tratti
distintivi della psicologia zeniana, primo fra tutti quello a p. 247 («Io finsi una malattia, quella
malattia che doveva darmi la facoltà di fare senza colpa tutto quello che mi piaceva»), che,
essendo segnato con una sbarratura soprascritta, potrebbe essere addirittura considerato (con tutta
la cautela possibile) una variante d’autore, tesa a sopprimere una esplicitazione troppo diretta di un
meccanismo di difesa abituale al quale ricorre il «povero Cosini».
Quantitativamente poco rilevante, ma anche in questo caso responsabile della rinuncia a
una rappresentazione sintetica di un aspetto preciso del carattere di Zeno, è il taglio a p. 200: «Da
me la religione acquistava tutt'altro aspetto. Se avessi avuto la fede vera, io a questo mondo non
avrei avuto che quella». Senza conseguenze, invece, mi sembra l’elisione dell’ennesima
descrizione di una confessione di Zeno ad Augusta (quella successiva alla gita in barca con Guido
e Carmen), miracolosamente catartica, ancorché incompleta e dunque almeno in parte mendace:
Cercai di attenuare la sua convinzione, ma poi dovetti ancora raccontare. Feci una
16
«Il sonnno ridà le forse»: che questo sia uno dei tagli indicati cassando direttamente le parole induce, in realtà, a
formulare altre ipotesi sulle sue motivazioni. Considerato che Zeno si accinge a svegliare il povero Guido dal benefico
dormiveglia in cui si è rifugiato contro la catastrofe incombente, il taglio potrebbe addirittura voler elidere una
consapevolezza troppo esplicita della cattiveria implicita nel comportamento di Zeno.
confessione anche per quanto concerneva me, descrivendo la noia che m'aveva cacciato
di casa e il mio rimorso di non amare meglio Antonia. Mi sentii subito meglio e
m'addormentai profondamente [Svevo 1923, 363].
Sorprendono, invece, due tagli, peraltro molto circoscritti, che eliminano due commenti
ironici di Zeno (Zeno narratore nel primo caso, Zeno personaggio nel secondo):
Quando ripenso a quei giorni di passione sento un'ammirazione grande per la profetica
anima mia [119].
Ed io dissi ad Augusta:
- Ecco che sono minacciato di altri baci di tua madre [383].
Considerato, anche, il risparmio minimo di righe (4 in tutto, due per pagina), tale scelta
permette, forse, di mettere a fuoco una certa indifferenza da parte dell’autore verso certune punte
comiche del testo che contribuiscono, invece, alla sua godibilità. I tagli di Svevo, insomma, a
differenza di quelli di Michel, non sembrano calibrati in vista di una maggiore leggibilità del testo
e proprio questa prospettiva diversa potrebbe spiegare come mai il traduttore francese avesse
pensato, in un primo momento, di ripristinare la vivace sequenza narrativa sacrificata dal primo
taglio d’autore.
Confermano questa tendenza di Svevo il sacrificio di un divertente doppio senso interno al
taglio alle pp. 95-6 («In realtà io nella mia vita corsi dietro a molte donne e molte di esse si
lasciarono anche raggiungere»), ma anche l’indugio enfatico, forse giudicato ridondante, sui
brindisi di Zeno per i figli degli sposi Speier alla cena in loro onore (272), passo anche questo, non
a caso, almeno in parte recuperato dal traduttore; per non parlare del paradosso che spinge Zeno a
prendere in considerazione l’ipotesi di confessare a Guido i maltrattamenti inflitti al suo cane con
lo scopo di vincerne la diffidenza: « Per far dileguare i sospetti di Guido, quasi quasi gli avrei
raccontato in quale modo io avevo saputo conquistarmi l'antipatia del cane» (334).
Non sembrano, invece, ridurre più di tanto la godibilità del testo le soppressioni di alcune
microsequenze narrative – come l’indugio sull’accoglienza della cameriera al suo ritorno in casa
Malfenti dopo il periodo di assenza imposto dalla padrona di casa (137-8) – o dialogiche – come la
breve discussione sulla gradevolezza o sgradevolezza della luce nel corso della seconda gita in
barca di Guido, Zeno e Luciano (430).
Volendo offrire una definizione sintetica della strategia seguita da Svevo nell’autoridurre il
suo romanzo, si può mettere in evidenza come, in genere, egli opti per il taglio di intere sequenze
o microsequenze, ricorrendo solo rarissimamente a interventi minimi sulle singole parole (che
proprio perché così rari potrebbero non essere finalizzati all’accorciamento del testo), arrivando a
modificare, in maniera più o meno impercettibile, la caratterizzazione di alcuni personaggi
(soprattutto minori), ma anche ad elidere delle definizioni troppo nette della psicologia di Zeno e
persino a rinunciare, in taluni casi, ad alcuni dei paradossi e delle esagerazioni tipici della sua
retorica.
3.
I tagli di Paul ed Henri Michel
[…] nei primi capitoli, mi pare impossibile di tagliare.
Nella “Storia di un’associazione commerciale” sarebbe forse più facile. Ma ne
riparleremo quando avrò studiato il suo volume più davvicino.
Non credo che il libro sia troppo lungo perché si legge con piacere – (almeno in
italiano) ma speriamo bene… Farò tutto il mio possibile per non tradire troppo la sua
bella opera [Maier 1973, 118].
L’ottimismo di questa lettera di Michel del 29 agosto 1926, già in parte citata, dovette
arrendersi, come si è visto, alle imposizioni della casa editrice, che costrinsero il traduttore ai tagli
così computati nella lettera del 4 marzo 1927 (anch’essa, in parte, già citata):
Je pense qu’il vaut mieux que vous n’ayez pas vu le manuscrit. Vous serez ainsi moins
peiné par les suppressions qu’il m’a fallu faire, surtout à la fin. J’ai supprimé 94 pages
(on m’avait dit cent). Elles se repartissent ainsi :
Chapitre 1. 2. 3. 4. et 5.: 18 p.
» 6.
22 p.
» 7.
43 p.
» 8.
11 p.
Je regrette bien d’avoir dû le faire et je vous assure que c’est contre mon gré – mais
M. Crémieux me dit qu’il n’est même pas sur que ma traduction soit acceptée
intégralement! Gallimard est un homme redoutable. Enfin sur ce point je crois que M.
Crémieux nous défendra [Svevo 2008, LXIX-LXX].
È un calcolo attendibile, come ho potuto constatare confrontando le 519 pagine
dell’edizione Cappelli (34 righe a pagine, tra i 50 e i 55 caratteri per riga), con le 364, molto più
fitte, dell’edizione Gallimard (38 righe a pagine, tra i 55 e i 60 caratteri per riga).
Anche per individuare e circoscrivere i tagli di Paul (e di Henri, limitatamente al capitolo
sesto), il ritrovamento della copia di lavoro è di grande aiuto. I tagli di Paul sono indicati con
piccole parentesi quadre, segnate con una matita o con una penna a inchiostro nero o blu, dal tratto
sottile (dunque facilmente distinguibile dai segni più marcati lasciati da Svevo). Come si è
anticipato, i segni con l’inchiostro blu risalgono, con ogni probabilità, al 1953, quando Michel
produce la prima traduzione integrale del testo in francese e, per ripristinare e tradurre i passi
tagliati nell’edizione del 1927, trova utile segnare sul testo italiano anche quelli in precedenza non
segnalati. Che l’inchiostro blu sia stato utilizzato dopo l’uscita dell’edizione 1927 è confermato
dal fatto che con esso sono scritti i numeri delle pagine dell’edizione francese a margine dei punti
del testo corrispondenti nell’edizione italiana. Tale inchiostro, alternato con la matita, compare
anche in un appunto sul penultimo foglio di guardia dell’edizione Cappelli, dove un elenco di
«Suppressions maintenues» indica quindici passi che non sono stati ripristinati nell’edizione 1953
e neanche, per ben due terzi (dieci su quindici), nella revisione che Mario Fusco ha pubblicato
della traduzione di Michel nel 1986.
Tornando alla traduzione del 1927, nel capitolo tradotto da Henri sono riconoscibili tanto
le parentesi quadre di Paul, quanto altri segni presenti solo in questo capitolo e pertanto
attribuibili, verosimilmente, al padre, come dei segni in matita rossa. Solo suo sembra pure l’uso
delle parentesi tonde, invece delle quadre, per indicare l’inizio e la fine del taglio. Sempre nel
capitolo tradotto da Henri compaiono alcuni segni verticali ondulati per segnalare parti di testo
non soppresse, ma riassunte. Considerato, però, che la tendenza a riassumere invece che a tagliare
come strategia di accorciamento del testo è un tratto distintivo del tradurre di Henri rispetto a
quello di Paul, non è possibile stabilire se quei segni siano del traduttore Henri negli anni Venti, o
del revisore Paul negli anni Cinquanta, che indicava così i passi sintetizzati per poter ripristinare il
testo originale nell’edizione integrale.
Da un confronto interlineare tra il testo italiano e la traduzione, emerge, comunque,
l’esistenza di tagli ulteriori rispetto a quelli segnalati, ma anche alcuni rari casi di tagli segnalati e,
in realtà, non effettuati, come quello a p. 257, che, trovandosi nel capitolo sesto tradotto da Henri,
suggerisce l’ipotesi di un intervento di ripristino da parte del figlio del testo soppresso dal padre.
Di mano di Paul è, invece, nell’ultimo capitolo, la correzione della data 1919 in 1915, che
elimina una delle incongruenze della cronologia interna al testo, che non sembra attribuibile
all’autore sia perché a matita, sia perché l’assenza di altri segni della penna di Svevo in tutto il
capitolo indurrebbe a credere che la sua rilettura si sia arrestata alla fine del capitolo settimo (del
resto era nei capitoli centrali che Crémieux gli aveva consigliato di effettuare i tagli 17). Come mi è
già capitato di osservare (Svevo 2008), tutte le incongruenze cronologiche presenti nell’ultimo
capitolo saranno eliminate nella traduzione francese (come pure in quella tedesca prodotta in
quegli stessi anni da Rismondo): ma il ritrovamento della copia inviata in Francia da Svevo
elimina definitivamente la possibilità di attribuire tale eliminazione all’autore.
Il numero dei tagli e il poco tempo a disposizione non consentono certo di illustrare i tagli
di Michel in maniera analitica, come si è provato a fare, sia pure rapidamente, con quelli di Svevo.
Rispetto alle soppressioni dell’autore, quelle del traduttore sono sovente anche minime, diffuse in
maniera capillare nel testo. Molto spesso ad essere eliminate sono le formule introduttive in prima
persona, assertive o dubitative, che nel testo italiano non permettono mai al lettore di dimenticare
che sta leggendo non la storia di Zeno, ma la coscienza che Zeno ha della propria storia. Volendo
sintetizzare, e, dunque, inevitabilmente semplificare, si potrebbe dire il testo francese tende,
invece, di tanto in tanto, a elidere la coscienza e a presentarci solo la storia, illuminando con la
certezza del reale eventi, dettagli e sensazioni che le formule più sfumate dell’originale italiano
lasciavano in ombra. A parte la soppressione di vari «A me parve» o affini, faccio pochi altri
esempi, e brevi: tradurre «je pensais obscurément qu’il m’eût été agréable d’embrasser Augusta en
présence d’Adeline» (Svevo 1927, 144) l’italiano «ricordo oscuramente di aver pensato una volta
che sarebbe stata una bella soddisfazione per me di baciare Augusta in presenza di Ada» (Svevo
1923, 176) trasloca impercettibilmente l’incertezza dal ricordo al pensiero, il quale, grazie
all’imperfetto, acquista un grado di realtà dovuto all’aspetto durativo dell’azione che certo non
aveva il carattere puntuale dell’infinito passato utilizzato nell’originale, ribadito per giunta
dall’indicatore temporale «una volta». Insomma: nel testo italiano l’oscurità, attribuita al ricordo,
mette in dubbio l’atto stesso del pensiero; nel francese l’oscurità investe solo il modo di
manifestarsi del pensiero stesso, la cui esistenza, ripetuta nel tempo, è presentata come un dato di
fatto. Il taglio, minimo peraltro, ha così l’effetto di occultare la dialettica tra passato e presente,
alla base della ricostruzione memoriale e della sua incertezza. Conseguenze simili ha anche un
altro taglio molto circoscritto, tanto da non essere segnalato a margine, che elide un «Mi ricordo»
(Svevo 1923, 178; Svevo 1927, 145).
Cedo alla tentazione di un altro esempio:
Non sapevamo ancora quello che avremmo fatto in quell'ufficio (adesso so che
neppure Guido allora lo sapeva) e si discuteva di tutta la nostra organizzazione [Svevo
1923, 378].
Nous discutions l’organisation de notre office sans savoir ce que nous y ferions. Guido
n’était pas plus fixé que moi [Svevo 1927, 251].
L’elegante traduzione francese, che elimina le tre ripetizioni del verbo sapere dell’italiano
(ma è uno dei casi in cui bisognerebbe riflettere sull’opportunità di eliminare le ripetizioni nel
tradurre), sopprimendo la forma verbale al presente, che per giunta era ribadita dall’indicatore
temporale «adesso», retrodata implicitamente la consapevolezza di Zeno dell’inettitudine di
Guido, contribuendo a un impercettibile sbilanciamento dei rapporti tra i due personaggi. Tale
sbilanciamento mi sembra una delle conseguenze dei tagli più consistenti operati da Michel nel
capitolo settimo – quello che, fin dalla prima lettura, gli era apparso il più adatto a subirli, come
dichiara in una lettera già citata.
Anche in questo caso, mi limito a un solo esempio, quello che, non a caso, mi ha indotto a
rileggere tutto il capitolo alla luce di una ipotesi interpretativa che riconosca in molti dei tagli
effettuati l’effetto di peggiorare (e non era facile!) la presentazione del personaggio di Guido. I
17
Si veda la lettera di Svevo a Marie Anne Comnène del 1° marzo 1926: «Il signor Crémieux (…) asserisce che la
storia del fidanzamento e anche la Storia di un’Associazione Commerciale dovrebbero essere abbreviate» (Svevo 1978,
p. 116).
tagli alle pp. 369-71, infatti, sopprimono alcuni dei pochi dettagli positivi su Guido che la
vendicativa coscienza di Zeno arriva a raccontare (qui come altrove, le parti in corsivo sono quelle
tagliate):
Dopo qualche giorno, per qualche tempo, fu preso da un grande affetto per i due
marmocchi. Augusta che passava una parte della sua giornata dalla sorella, mi raccontò
ch'egli dedicava loro ogni giorno qualche ora. Li carezzava, e ninnava e Ada gliene era
tanto riconoscente che fra i due coniugi sembrava rifiorire un nuovo affetto. In quei
giorni egli versò un importo abbastanza vistoso ad una società d'Assicurazioni per far
trovare ai figli a vent'anni una piccola sostanza. Lo ricordo per aver io registrato
quell'importo a suo debito.
Fui invitato anch'io a vedere i due gemelli; anzi da Augusta m'era stato detto che avrei
potuto salutare anche Ada, che invece non poté ricevermi dovendo stare a letto ad onta
che fossero passati già dieci giorni dal parto.
[…]
Presto Guido ritornò alla vita di prima. Dopo l'affare del solfato veniva più assiduo in
ufficio, ma ogni settimana, al sabato, partiva per la caccia e non ritornava che al lunedì
mattina tardi e giusto in tempo per dare un'occhiata all'ufficio prima di colazione. Alla
pesca andava di sera e passava spesso la notte in mare. Augusta mi raccontava dei
dispiaceri di Ada, la quale soffriva bensì di una frenetica gelosia, ma anche di trovarsi
sola per tanta parte della giornata. Augusta tentava di calmarla ricordandole che a caccia
e a pesca non c'erano donne. Però - non si sapeva da chi - Ada era stata informata che
Carmen talvolta aveva accompagnato Guido a pesca. Guido, poi, l'aveva confessato
aggiungendo che non c'era niente di male in una gentilezza ch'egli usava ad un'impiegata
che gli era tanto utile. Eppoi non c'era stato sempre presente Luciano? Egli finì col
promettere che non l'avrebbe invitata più, visto che ad Ada ciò dispiaceva. Dichiarava di
non voler rinunciare né alla sua caccia che gli costava tanti denari né alla pesca. Diceva
di lavorare molto (e infatti in quell'epoca nel nostro ufficio c'era molto da fare) e gli
pareva che un po' di svago gli spettasse. Ada non era di tale parere e le sembrava che il
miglior svago egli l'avrebbe avuto in famiglia, e trovava in ciò l'assenso incondizionato
di Augusta, mentre a me quello sembrava uno svago troppo sonoro.
Augusta allora esclamava:
- E tu non sei forse a casa ogni giorno, ad ore debite?
Era vero ed io dovevo confessare che fra me e Guido c'era una grande differenza, ma
non sapevo vantarmene. Dicevo ad Augusta accarezzandola:
- Il merito è tuo perché hai usato dei metodi molto drastici di educazione.
Il taglio reseca con precisione chirurgica i (pochi) elementi positivi del comportamento di
Guido: il suo attaccamento (almeno iniziale) ai figli, che si concretizza, addirittura, in un
investimento previdente a loro favore, presso una società di assicurazioni; ma anche la sua
maggiore assiduità in ufficio, dopo l’affare fallimentare del solfato di rame; e, per ultimo, le
giustificazioni da lui invocate per spiegare il suo bisogno di svago (prima fra tutte quel maggior
impegno nel lavoro che, ancora una volta, viene sottaciuto).
Se, dunque, alcuni tagli che riguardano Guido farebbero pensare a uno Zéno più zeniano di
Zeno nel condannare il suo antagonista, anche quelli, ancora più consistenti, che investono le
complesse modalità della percezione che Zeno ha degli eventi sembrano, talvolta, finire col
produrre una immagine migliore del protagonista narratore, nascondendone alcuni imbarazzanti
retro pensieri.
Si confronti, a esempio, nei due testi, la scena in cui convergono i ricordi relativi al periodo
del doppio fidanzamento:
La scena che si ripeté all'infinito, s'impresse nella mia mente così: tutt'e quattro
eravamo seduti intorno al fine tavolo veneziano su cui ardeva una grande lampada a
petrolio coperta da uno schermo di stoffa verde che metteva tutto nell'ombra, meno i
lavori di ricamo cui le due fanciulle attendevano, Ada su un fazzoletto di seta che teneva
libero in mano, Augusta su un piccolo telaio rotondo. Vedo Guido perorare e dev'essere
successo di spesso che sia stato io solo a dargli ragione. Mi ricordo ancora della testa di
capelli neri lievemente ricciuti di Ada, rilevati da un effetto strano che vi produceva la
luce gialla e verde.
Si discusse di quella luce e anche del colore vero di quei capelli. Guido, che sapeva
anche dipingere, ci spiegò come si dovesse analizzare un colore. Neppure questo suo
insegnamento non dimenticai più e ancora oggidì, quando voglio intendere meglio il
colore di un paesaggio, socchiudo gli occhi finché non spariscano molte linee e non si
vedano che le sole luci che anch'esse s'abbrunano nel solo e vero colore. Però, quando
mi dedico ad un'analisi simile, sulla mia retina, subito dopo le immagini reali, quasi una
reazione mia fisica, riappare la luce gialla e verde e i capelli bruni sui quali per la prima
volta educai il mio occhio [Svevo 1923, 178-179].
Je ne vois qu’une scène, indéfiniment répétée: tous quatre, nous sommes assis autour
de la table vénitienne. Une grosse lampe à pétrole, coiffée d’un abat-jour vert, en étoffe,
n’éclaire que les travaux de broderie d’Augusta et d’Adeline. Le reste du salon est plongé
dans l’ombre. Guido pérore.
On discuta beaucoup autour de cette lampe. Guido, qui, entre autres talents, savait
peindre, nous apprit, à propos de couleur de cheveux, comment on analyse une couleur.
Cette leçon non plus, je ne l’ai plus oubliée. Toutefois, quand j’essaye d’analyser une
couleur suivant la méthode qu’il nous enseignait, ma rétine est moins frappée par l’objet
que je regarde que par l’image obsédante de ses cheveux bruns et du salon des Malfenti,
sous une lumière jaune et verte [Svevo 1927, 146].
I tagli, come si vede, sono abbastanza circoscritti e l’esigenza di brevità non impedisce al
traduttore (qui come altrove) di aggiungere qualche parola (quelle segnate in corsivo nel testo
francese) assente nell’originale, per riassumere il senso dei passi espunti. Pure, quei pochi tagli
hanno l’effetto di lasciare nell’ombra la centralità assoluta di Ada e dei suoi capelli in tutta la
scena: sono quei capelli che Zeno ricorda, è dell’effetto di luce su quei capelli che i personaggi
discutono, nelle due parti di testo soppresse. Anche alcune delle parole che il traduttore aggiunge,
evocando accanto agli «cheveux bruns» il «salon des Malfenti» contribuiscono ad attenuare la
fascinazione erotica di quel ricordo, conferendo un carattere «obsédant» (altro aggettivo introdotto
dalla penna elegante del traduttore) non tanto alla figura femminile lasciata nell’ombra, quanto a
tutta la scena. Che Michel sia consapevole delle implicazioni di queste soppressioni sembra
trovare conferma in un taglio del capitolo successivo – il sesto, quello tradotto dal padre, ma le
piccole parentesi quadre sembrerebbero suggerire che il taglio sia stato segnato da Michel figlio –,
che, per coerenza, elimina proprio l’esplicitazione del senso di quell’indugio intorno agli effetti di
luce sui capelli di Ada rimosso dagli interventi precedenti: «La lampada a petrolio in quel salotto
non era mai arrivata ad illuminare gli scarsi capelli di Augusta» (Svevo 1923, 185).
Ancora più evidenti, forse, sono le conseguenze di un altro taglio, nel capitolo settimo, col
quale viene espulsa dal testo la coscienza che Zeno manifesta della sua aggressività repressa verso
Ada:
Ricordo però che tale prospettiva rese il mio pensiero più affettuoso per Ada. Fino ad
allora, quando m'avevano informato dei dolori di Ada causati da Guido, io non ne avevo
certamente goduto, ma pure avevo rivolto il pensiero con una certa soddisfazione alla
mia casa nella quale Ada aveva rifiutato di entrare ed ove non si soffriva affatto. Ora le
cose avevano cambiato: quell'Ada che m'aveva respinto con disdegno non c'era più, a
meno che i miei testi di medicina non sbagliassero [Svevo 1923, 378].
Che dell’intero paragrafo Michel salvi solo la dichiarazione di affetto per Ada («Je me
rappelle que, malgré tout, cette perspective m’inclinait à plus de tendresse envers Adeline», Svevo
1927, 280) ha l’effetto di attribuire a Zeno un buonismo che contraddice la vendicativa ostilità
lasciata trasparire dalla sua pur inattendibile coscienza.
Né sarà priva di conseguenze, nella percezione dei rapporti tra Zeno e Guido da parte del
lettore francese, la rimozione di uno dei pochi luoghi del testo in cui Zeno accenna a una sua
qualche responsabilità nel fallimento di Guido, sia pure minimizzandola come frutto di uno
scrupolo di coscienza eccessivo e immotivato. Di tutto il paragrafo viene salvata solo la parte
finale, quella che ribadisce la grande generosità dell’offerta di una parte del proprio patrimonio per
salvare il cognato:
Del resto, staccatomi da lui, anch'io sentii un sollievo come se fossi andato appena
allora all'aria libera. Sentivo veramente la libertà che m'era tolta per i propositi di
educarlo e rimetterlo sulla buona strada. In fondo il pedagogo è incatenato peggio
dell'alunno. Ero ben deciso di procurargli quel denaro. Naturalmente non so dire se lo
facessi per affetto a lui o ad Ada, o forse per liberarmi da quella piccola parte di
responsabilità che poteva toccarmi per aver lavorato nel suo ufficio. Insomma avevo
deciso di sacrificare una parte del mio patrimonio e ancora oggidì guardo a quel giorno
della mia vita con una grande soddisfazione. Quel denaro salvava Guido e a me garantiva
una grande tranquillità di coscienza [Svevo 1923, 444].
Altrettanto significativa la soppressione di un intero paragrafo a p. 491 (in quell’ultimo
capitolo di cui Svevo, invece, non sacrifica neanche una riga), che elimina una prova importante
dell’inattendibilità del racconto di Zeno, non a caso commentata in tutte le edizioni e in molti
saggi, e cioè le indagini compiute dal dottor S. sugli affari di Guido e il riconoscimento, da parte
del narratore, del carattere necessariamente incompleto e insincero della propria confessione:
Pare che il dottore a proposito di Guido abbia fatte anche delle indagini. Egli
asserisce che, scelto da Ada, egli non poteva essere quale io lo descrissi. Scoperse che un
grandioso deposito di legnami, vicinissimo alla casa dove noi pratichiamo la psicoanalisi, era appartenuto alla ditta Guido Speier & C. Perché non ne avevo io parlato?
Se ne avessi parlato sarebbe stata una nuova difficoltà nella mia esposizione già tanto
difficile. Quest'eliminazione non è che la prova che una confessione fatta da me in
italiano non poteva essere né completa né sincera. In un deposito di legnami ci sono
varietà enormi di qualità che noi a Trieste appelliamo con termini barbari presi dal
dialetto, dal croato, dal tedesco e qualche volta persino dal francese (zapin p. e. e non
equivale mica a sapin). Chi m'avrebbe fornito il vero vocabolario? Vecchio come sono
avrei dovuto prendere un impiego da un commerciante in legnami toscano? Del resto il
deposito legnami della ditta Guido Speier & C. non diede che delle perdite. Eppoi non
avevo da parlarne perché rimase sempre inerte, salvo quando intervennero i ladri e
fecero volare quel legname dai nomi barbari, come se fosse stato destinato a costruire
dei tavolini per esperimenti spiritistici.
Ancora una volta, il taglio presenta la storia di Zeno bypassando il filtro della sua
inaffidabile coscienza, ma anche uno dei rari luoghi in cui il testo accoglie delle informazioni sulla
vicenda assunte da un’altra fonte: non a caso un lettore sensibile come Valerio Jahier indicava
proprio in questa soppressione uno dei difetti dell’edizione francese, in una lettera datata 25
gennaio 1928.
Volendo provare a riassumere gli effetti di tutti questi tagli sulla fisionomia complessiva
del romanzo, si può provare a dire, con un paradosso, che Michel è un interprete talmente fedele
della coscienza di Zeno da trasmettere l’immagine di sé e della propria vicenda faticosamente
elaborata dal signor Cosini con una nettezza ed evidenza maggiore rispetto a quella,
premeditatamente opaca e nebulosa, che l’autore fa evocare al narratore. I numerosi tagli che ne
sgravano e semplificano il lavorio interiore, con la rimozione di alcuni passaggi del suo pensare e
del suo pensarsi, finiscono con l’offrire una immagine complessiva del personaggio che ne
trasmette o, addirittura, ne chiarisce i tratti distintivi, pur riducendone la strutturale e complessa
contradditorietà: non a caso uno Svevo «pur dolorante» per i tagli subiti, era stato il primo, in una
lettera già citata, a riconoscere al suo traduttore la capacità, degna di un grande chirurgo, «di
sfiorare col suo coltello delle parti vitali senza lederle».
Poche parole sui tagli nel capitolo sesto, operati, con ogni probabilità, da Henri che,
fortunatamente, solo in pochissimi casi conferma la scarsa sintonia col testo dichiarata, come si è
visto, nelle lettere. Il colto padre di Paul, che nelle lettere al figlio si soffermava a esprimere il suo
apprezzamento per il capolavoro proustiano letto in quegli stessi anni, finisce con l’elidere uno dei
rari cenni espliciti al dottor S. e dunque alla psicanalisi nel capitolo affidatogli, con un lungo taglio
di un intero paragrafo18 che ha l’effetto di eliminare un elemento importante per la coesione
strutturale del romanzo.
4.
Come traduce Paul, come traduce Henri
Per finire, provo a definire sinteticamente il tradurre di Paul e di proporre ancora più
rapidamente un confronto con quello di Henri.
Il giudizio di Svevo sulla qualità artistica del lavoro del suo traduttore, nella già citata
lettera del 7 ottobre 1927, ne mette a fuoco alcune caratteristiche fondamentali: la fluidità, la
leggerezza, la trasparenza, la prontezza. Sono qualità che tuttora fanno dello Zéno francese,
complici anche i tagli, un’opera nel complesso più leggibile dell’originale, ma che, bisogna dire,
sarebbe difficile riconoscere alla prosa italiana di Svevo, i cui tratti distintivi sembrano invece
collocarsi nei campi semantici opposti rispetto a quelli evocati per Paul. Anche la variegata
ricchezza delle risorse lessicali a disposizione del traduttore, in minima parte emersa dalle poche
citazioni che è stato possibile produrre in questa sede, alternando registri diversi, dal ricercato al
colloquiale, finisce talora per diluire la densità tendenzialmente monocorde dell’italiano di Svevo,
attribuendogli delle sfumature di senso che ricordano, forse, quelle che il troppo bravo Guido si
permette di regalare a Bach nella sua magistrale esecuzione della Chaconne: che, per fare solo un
esempio, la coppia antitetica «sano VS. malato» veda in qualche misura alleggerito il suo peso
dalle variazioni lessicali con le quali il traduttore ne assottiglia lo spessore semantico, indurrebbe a
osservare, come fa l’invidioso Zeno a proposito del violino di Guido, che Svevo, come Bach, «è
tanto modesto nei suoi mezzi che non ammette un arco fatturato a quel modo».
Quanto al capitolo tradotto da Henri, un’analisi comparativa delle due traduzioni consente
di individuare nella traduzione paterna una minore aderenza alla lettera del testo rispetto a quella
del figlio, anche se all’interno di una sintassi più articolata, nel complesso più vicina alle volute
del discorso sveviano, rispetto alla cartesiana clarté e distinction della prosa di Paul. Un’altra
tendenza del tradurre di Henri rispetto a quello di Paul è il ricorso al riassunto, oltre che al taglio,
per abbreviare il testo: se, in linea di massima, nelle pagine del figlio il testo non tradotto è
individuato e circoscritto, grazie a una segmentazione della sintassi sveviana in periodi più brevi,
18
«Io temo che il dottore che leggerà questo mio manoscritto abbia a pensare che anche Carla sarebbe stata un
soggetto interessante alla psico-analisi. A lui sembrerà che quella dedizione, preceduta dal congedo al maestro di canto,
fosse stata troppo rapida. Anche a me sembrava che in premio del suo amore essa si fosse attese da me troppe
concessioni. Occorsero molti, ma molti mesi, perché io intendessi meglio la povera fanciulla. Probabilmente essa s'era
lasciata prendere per liberarsi dall'inquietante tutela del Copler, e dovette essere per lei una ben dolorosa sorpresa
all'accorgersi che s'era concessa invano perché da lei si continuava a pretendere proprio quello che le pesava tanto, cioè
il canto. Si trovava ancora fra le mie braccia e apprendeva che doveva continuare a cantare. Da ciò un'ira e un dolore che
non trovavano le parole giuste. Per ragioni differenti dicemmo così ambedue delle stranissime parole. Quand'essa mi
volle bene, riebbe tutta la naturalezza che il calcolo le aveva tolto. Io la naturalezza non la ebbi mai con lei» (Svevo
1923, 254).
ma rispettosa dei nessi semantici dell’originale, la ristrutturazione sintattica operata dal padre
disarticola il discorso sveviano per articolarlo in maniera diversa, rendendo meno puntuali ed
evidenti i tagli operati.
In particolare nelle prime pagine del capitolo, è possibile trovare delle riarticolazioni
sintattiche del discorso che rischiano di perdere i nessi logici dell’originale, come nel seguente
esempio:
Altro che il suo rossore! Quando questo sparve con la semplicità con cui i colori
dell'aurora spariscono alla luce diretta del sole, Augusta batté sicura la via per cui erano
passate le sue sorelle su questa terra, quelle sorelle che possono trovare tutto nella legge e
nell'ordine o che altrimenti a tutto rinunziano. Per quanto la sapessi mal fondata perché
basata su di me, io amavo, io adoravo quella sicurezza. Di fronte ad essa io dovevo
comportarmi almeno con la modestia che usavo quando si trattava di spiritismo. Questo
poteva essere e poteva perciò esistere anche la fede nella vita.
Però mi sbalordiva; da ogni sua parola, da ogni suo atto risultava che in fondo essa
credeva la vita eterna [Svevo 1923, 185].
Et maintenant ce n’est pas seulement à ses fraiches couleurs de jeune fille que je
pensais: quand le soleil paraît, on ne cherche plus dans le ciel les teintes rosées de
l’aurore. Non, c’est la santé morale d’Augusta qui faisait mon admiration. Elle était de
ces femmes qui s’avancent dans la vie d’un pas assuré et n’attendent rien que de l’ordre,
de la règle, de la loi. Je l’aimai pour cette belle confiance, pour cette sécurité que je saivs
bien précaire, puisqu’elle était fondée sur moi, et dont j’étais par fois abasourdi.
Véritablement, elle semblait croire que la vie ne dût pas finir [Svevo 1927, 152].
In queste stesse pagine è possibile trovare un esempio di taglio che, non a caso, del testo
sceglie di salvare la parte più semplice e concreta:
Essa sapeva tutte le cose che fanno disperare, ma in mano sua queste cose cambiavano
di natura. Se anche la terra girava non occorreva mica avere il mal di mare! Tutt'altro! La
terra girava, ma tutte le altre cose restavano al loro posto. E queste cose immobili
avevano un'importanza enorme: l'anello di matrimonio, tutte le gemme e i vestiti, il verde,
il nero, quello da passeggio che andava in armadio quando si arrivava a casa e quello di
sera che in nessun caso si avrebbe potuto indossare di giorno, né quando io non
m'adattavo di mettermi in marsina. E le ore dei pasti erano tenute rigidamente e anche
quelle del sonno. Esistevano, quelle ore, e si trovavano sempre al loro posto [Svevo 1923,
186].
Un tas de choses avaient pour ma femme une importance énorme: les vêtements qu’il
faut mettre selon les circonstances, les heures des repas, celles du lever et du coucher.
Ah! ces heures! Elles avaient comme une existence réelle; c’étaient des êtres qu’on
trouvait là, toujours à leur poste [Svevo 1927, 152-153].
E, per finire, ecco un esempio di traduzione che riassume, più che tagliare, l’originale,
finendo col proporre una riscrittura che rispetta il senso, ma non la forma del testo italiano:
Il vino è un grande pericolo specie perché non porta a galla la verità. Tutt'altro che la
verità anzi: rivela dell'individuo specialmente la storia passata e dimenticata e non la sua
attuale volontà; getta capricciosamente alla luce anche tutte le ideuccie con le quali in
epoca più o meno recente ci si baloccò e che si è dimenticate; trascura le cancellature e
legge tutto quello ch'è ancora percettibile nel nostro cuore. E si sa che non v'è modo di
cancellarvi niente tanto radicalmente, come si fa di un giro errato su di una cambiale.
Tutta la nostra storia vi è sempre leggibile e il vino la grida, trascurando quello che poi la
vita vi aggiunse [275-6].
Le grand danger de l’ivresse est qu’elle n’amène pas à la surface notre véritable
pensée. Bien au contraire, ce qu’elle révèle de l’individu, c’est son histoire passée,
ancienne, oubliée et non sa volonté présente. Elle va même chercher dans le fond obscur
de la con science, pour les jeter en pleine lumière, ces imaginations baroques où l’on se
complaît un moment, sans en garder le souvenir, et elle néglige tout ce que la vie a pu
ajouter à ce passé mort [216].
Bibliografia
Coutagne M. J.
1994 (cur.), «L’Action». Une dialectique du Salut, Colloque du centenaire. Aix-enProvence, Mars 1993, Paris, Beauchesne Editeur.
Henrici P.
1994 «Unir l’ascétique très chrétienne à la psychologie très physiologique». Les Notessemaille de Blondel, in Coutagne (1994), pp. 17-43.
Maier B.
1973 (cur.) Lettere a Italo Svevo. Diario di Elio Schmitz, Milano, Dall’Oglio
Svevo
1923 La coscienza di Zeno, Bologna, Cappelli
1926 Zeno Cosini, traduction par Benjamin Crémieux, in «Le Navire d’Argent», a. 2, n. 9.
1927 Zéno, Paris, Editions de la Nouvelle Revue Française
1966 Epistolario, a cura di B. Maier, Milano, Dall’Oglio
1978 Carteggio con James Joyce, Eugenio Montale, Valery Larbaud, Benjamin Crémieux,
Marie Anne Comnène, Valerio Jahier, a cura di B. Maier, Milano, Dall’Oglio
1986 La conscience de Zeno, traduit de l’italien par Paul-Henri Michel, Nouvelle édition
revue par Mario Fusco, Paris, Gallimard
1994 La coscienza di Zeno, a cura di G. Palmieri, Firenze, Giunti
2008 La coscienza di Zeno, a cura di B. Stasi, Roma, Edizioni di storia e letteratura